Istanza Di Interpello All’agenzia Delle Entrate: Come Funziona

Hai dubbi su come applicare una norma fiscale a un caso concreto? Ti trovi in una situazione incerta con l’Agenzia delle Entrate e vuoi avere una risposta ufficiale prima di agire, per evitare accertamenti e sanzioni?

L’istanza di interpello è lo strumento previsto dalla legge che ti consente di chiedere all’Agenzia delle Entrate un chiarimento vincolante su come interpretare e applicare correttamente una norma tributaria al tuo caso specifico.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario, fiscalità d’impresa e contenzioso con il Fisco – ti spiega cos’è l’interpello, quando può essere utilizzato, come si presenta e quali effetti produce, in modo semplice ma rigoroso.

Scoprirai:

Cos’è un’interpello e quando conviene presentarlo:
– Si tratta di una richiesta formale che il contribuente rivolge all’Agenzia delle Entrate per conoscere in anticipo la corretta interpretazione di una norma, in presenza di incertezza oggettiva.
– È utile per prevenire accertamenti, contenziosi e sanzioni, soprattutto in ambito di operazioni complesse, internazionali, agevolazioni fiscali, riorganizzazioni societarie, residenza fiscale, esterovestizione, ecc.

Quali sono le principali tipologie di interpello previste dal legislatore:
– Interpello ordinario, per questioni di interpretazione
– Interpello probatorio, per dimostrare la sussistenza di determinati requisiti
– Interpello antiabuso, per verificare se un’operazione può essere considerata elusiva
– Interpello disapplicativo, per evitare l’applicazione automatica di norme antielusive
– Interpello nuovi investimenti, riservato a operazioni con impatto significativo

Come si presenta l’istanza:
– L’istanza deve essere firmata dal contribuente (o dal legale rappresentante) e contenere dati completi, descrizione dettagliata dei fatti, norme di riferimento e posizione interpretativa proposta.
– Va presentata all’Agenzia delle Entrate (Direzione competente) a mezzo PEC o tramite posta raccomandata, almeno 90 giorni prima dell’operazione in caso si voglia sicurezza preventiva.
– In alcuni casi, è possibile la presentazione anche da parte del professionista delegato, con documentazione allegata.

Cosa succede dopo la presentazione:
– L’Agenzia ha 90 giorni di tempo (in certi casi 120) per rispondere. Se lo fa, la sua risposta è vincolante solo per l’Amministrazione, e il contribuente che si adegua non può essere sanzionato.
– Se l’Agenzia non risponde entro i termini, vale il principio del silenzio-assenso (salvo i casi in cui è espressamente escluso).

Perché è uno strumento prezioso:
L’interpello è uno strumento di tutela preventiva, che permette di agire in modo trasparente e consapevole, senza rischiare interpretazioni errate o sorprese nei controlli futuri. È particolarmente utile per aziende, professionisti e privati che vogliono sicurezza fiscale prima di prendere decisioni delicate.

Con l’assistenza di un avvocato esperto puoi predisporre un’istanza ben costruita, fondata e difendibile, aumentando le possibilità di ottenere una risposta favorevole e proteggendoti da contestazioni successive.

Alla fine della guida potrai richiedere una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo, per valutare se il tuo caso rientra tra quelli che giustificano un interpello, preparare insieme la documentazione necessaria e interagire con l’Agenzia delle Entrate nel modo più sicuro e vantaggioso.

Introduzione

L’interpello all’Agenzia delle Entrate è uno strumento giuridico di tutela e consultazione avanzata che consente al contribuente di ottenere dall’Amministrazione finanziaria un parere ufficiale sull’applicazione di norme tributarie a un caso concreto e personale. Introdotto dall’art. 11 dello Statuto dei diritti del contribuente (Legge n. 212/2000) e oggetto di successive riforme, l’interpello rappresenta un canale di dialogo preventivo tra contribuente e Fisco, con l’obiettivo di garantire certezza del diritto, evitare contenziosi e favorire comportamenti fiscalmente corretti in un’ottica di cooperazione.

Questa guida – destinata ad avvocati, consulenti fiscali e imprenditori – offre un quadro completo ed aggiornato a maggio 2025 dell’istituto dell’interpello tributario in Italia. Adottando un linguaggio giuridico divulgativo, la guida illustra in modo approfondito le diverse tipologie di interpello previste dalla normativa italiana (ordinario, probatorio, anti-abuso, disapplicativo e interpello sui nuovi investimenti), ne analizza la disciplina vigente (comprensiva delle più recenti novità normative e di prassi), e fornisce esempi pratici, tabelle riepilogative e risposte ai quesiti più frequenti.

Cosa troverete in questa guida:

  • Un inquadramento normativo dell’interpello e della sua evoluzione, dal “vecchio” interpello ordinario alle forme speciali introdotte dalle riforme del 2015 e successive.
  • Una sezione dedicata a ciascuna tipologia di interpello, con definizioni, presupposti di ammissibilità, procedura di presentazione, effetti giuridici della risposta (anche in caso di mancata risposta entro i termini) ed esempi concreti di casi d’uso.
  • Approfondimenti su giurisprudenza aggiornata (sentenze di Cassazione e prassi amministrativa fino al 2025) riguardante aspetti chiave come l’impugnabilità delle risposte, il silenzio-assenso e la portata vincolante dei pareri resi.
  • Tabelle riepilogative che confrontano le varie tipologie di interpello per requisiti, tempi di risposta ed effetti, facilitando una consultazione rapida.
  • Una sezione FAQ (Domande frequenti) con risposte concise alle questioni più comuni (ad es. “Cosa accade se l’Agenzia non risponde in tempo?”, “La risposta è vincolante anche per il contribuente?”, “È possibile impugnare un interpello?”).
  • Una bibliografia finale completa delle fonti normative, di prassi e giurisprudenziali citate, per consentire ulteriori approfondimenti.

Obiettivo della guida: fornire un strumento di consultazione avanzato e affidabile per i professionisti legali e fiscali interessati all’uso strategico dell’istanza di interpello. Conoscere a fondo questo istituto permette infatti di gestire al meglio l’incertezza interpretativa in materia tributaria, pianificare operazioni complesse con maggiore sicurezza e interagire con l’Amministrazione finanziaria in modo efficace e consapevole. Utilizzare correttamente l’interpello significa ridurre il rischio fiscale per l’impresa o il contribuente e prevenire possibili contenziosi, sfruttando a pieno le garanzie offerte dallo Statuto del contribuente.

Nelle sezioni che seguono verranno descritte nel dettaglio tutte le tipologie di interpello e le relative modalità operative. Prima di entrare nel vivo, è utile richiamare brevemente il quadro normativo generale e le finalità di questo istituto.

Quadro normativo ed evoluzione dell’istituto

Il diritto di interpello del contribuente è disciplinato dall’art. 11 della Legge 27 luglio 2000 n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente). Tale articolo, intitolato significativamente “Interpello”, delinea i casi in cui “il contribuente può interpellare l’amministrazione finanziaria per ottenere una risposta” riguardante l’interpretazione o l’applicazione delle norme tributarie a fattispecie concrete. L’istituto nasce dunque come uno strumento volontario, a disposizione del contribuente, per dirimere dubbi interpretativi in sede preventiva, prima di adottare un certo comportamento fiscale.

Evoluzione normativa principale:

  • Statuto del Contribuente (2000): nella formulazione originaria dell’art. 11 L.212/2000, era previsto l’interpello ordinario (di tipo essenzialmente interpretativo) in presenza di obiettiva incertezza normativa. Negli anni successivi, varie norme speciali hanno introdotto interpelli ad hoc (ad esempio l’interpello anti-elusivo ex art. 21 L. 413/1991, relativo a operazioni straordinarie potenzialmente elusive, e gli interpelli disapplicativi previsti da singole disposizioni anti-elusive come l’art. 37-bis, comma 8, DPR 600/1973 per le società non operative e altre fattispecie).
  • Delega fiscale 2014 e D.Lgs. 156/2015: una svolta importante è avvenuta con la riforma attuata dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156 (in attuazione della legge delega n. 23/2014). Questo decreto ha operato un riordino complessivo degli interpelli, modificando l’art. 11 dello Statuto e introducendo in maniera organica quattro tipologie principali di interpello (ordinario, probatorio, anti-abuso, disapplicativo). L’intento era garantire maggiore omogeneità di disciplina e tempi più rapidi di risposta (il termine generale fu ridotto da 120 a 90 giorni). È stata inoltre estesa la regola del silenzio-assenso a tutte le tipologie di interpello, superando differenze previgenti (come l’assenza di silenzio-assenso in alcuni interpelli obbligatori). Contestualmente, il D.Lgs. 156/2015 ha eliminato o riassorbito alcuni interpelli “obbligatori” previsti da norme speciali, razionalizzando l’istituto.
  • D.Lgs. 128/2015 (Decreto “abusivismo”): ha introdotto nell’ordinamento la disciplina generale dell’abuso del diritto (art. 10-bis dello Statuto) e previsto il corrispondente interpello anti-abuso (sostitutivo del previgente interpello anti-elusivo ex art. 21 L. 413/1991). Da allora il contribuente può chiedere all’Agenzia di valutare preventivamente se una data operazione configuri abuso del diritto.
  • D.Lgs. 147/2015 (Decreto internazionalizzazione): ha introdotto una categoria speciale, l’interpello sui nuovi investimenti, destinata a chi intende realizzare in Italia significativi piani d’investimento. Questa forma di interpello (ex art. 2 D.Lgs. 147/2015) mira ad attrarre investimenti fornendo certezza su tutti i profili fiscali di un progetto, anche complesso, prima che venga attuato.
  • Provvedimento 4 gennaio 2016: in attuazione della riforma del 2015, l’Agenzia delle Entrate ha emanato un Provvedimento direttoriale (prot. n. 2016/15934) che definisce le regole procedurali unificate per la presentazione e gestione delle istanze di interpello. In particolare, si è stabilita la competenza delle Direzioni Regionali per la maggior parte degli interpelli (con alcune eccezioni per istanze di competenza centrale, come quelle di grandi contribuenti, nuovi investimenti, regime di adempimento collaborativo, ecc.). Il Provvedimento disciplina altresì le modalità di invio (es. via PEC) e le cause di inammissibilità delle istanze.
  • Assetto attuale (2023-2025): la disciplina dell’interpello continua ad essere affinata. Il D.Lgs. 29 dicembre 2023, n. 219 (in attuazione di una nuova delega fiscale, L. 118/2022) ha confermato e ampliato alcune innovazioni: ha formalizzato l’introduzione di un contributo economico per la presentazione dell’istanza (ancora in attesa di decreto attuativo); ha limitato l’interpello probatorio ai soli contribuenti di maggiori dimensioni (regime di adempimento collaborativo) o che presentano interpello nuovi investimenti; e ha previsto l’implementazione di un servizio di “consultazione semplificata” delle banche dati fiscali, basato anche su intelligenza artificiale, come filtro preliminare per i contribuenti minori (persone fisiche e piccole imprese) prima dell’accesso all’interpello. Tali modifiche sono esaminate più avanti in dettaglio nelle sezioni pertinenti.

Va evidenziato che il quadro normativo attuale (art. 11 L.212/2000 come modificato) prevede espressamente cinque lettere, dalla a) alla f), a copertura delle varie tipologie di interpello oggi esistenti. Esse sono così riassumibili:

  • a) Interpello ordinario (di tipo interpretativo o qualificatorio): riguarda l’interpretazione di disposizioni tributarie o la corretta qualificazione giuridico-fiscale di una fattispecie, in presenza di condizioni di obiettiva incertezza.
  • b) (ora trasfusa in altra lettera, v. oltre) – in seguito vedremo che la classificazione è stata in parte modificata.
  • c) Interpello anti-abuso: concerne l’applicazione della disciplina dell’abuso del diritto (art. 10-bis) a uno specifico caso concreto.
  • d) Interpello disapplicativo: finalizzato a ottenere la disapplicazione di norme tributarie antielusive che limiterebbero benefici fiscali, dimostrando che nel caso presentato non vi è intento elusivo.
  • e) Interpello probatorio: istanza volta a verificare la sussistenza delle condizioni o l’idoneità degli elementi probatori richiesti dalla legge per accedere a determinati regimi fiscali, nei casi espressamente previsti dalla legge.
  • f) Interpello probatorio per nuovi residenti (art. 24-bis TUIR): riguarda la verifica delle condizioni per accedere al regime fiscale agevolato dei neo-residenti (imposta sostitutiva forfait per soggetti che trasferiscono la residenza in Italia).

Nota: La lettera b) originaria dell’art. 11 ora risulta assorbita dalla distinzione tra interpello interpretativo e qualificatorio (entrambi ricompresi nella lettera a) come interpello ordinario puro o “qualificatorio”). Le lettere e) ed f) attengono invece al c.d. interpello probatorio, con la particolarità che la lettera f) è dedicata al regime speciale dei nuovi residenti (introdotto nel 2017). Inoltre, il comma 2 dell’art. 11 attuale specifica che l’interpello probatorio (lett. e) è riservato a soggetti in regime di adempimento collaborativo (cooperative compliance, D.Lgs. 128/2015) e a chi presenta interpello nuovi investimenti (art. 2 D.Lgs. 147/2015) – su questo punto, frutto delle recenti modifiche normative, torneremo tra breve.

In sintesi, oggi l’ordinamento riconosce diverse tipologie di interpello a seconda della finalità, pur all’interno di una disciplina unificata. Nella tabella seguente è fornita una panoramica generale delle varie tipologie, con riferimento ai principali presupposti, tempi di risposta ed effetti (si approfondiranno poi singolarmente nei paragrafi successivi).

Tipologie di interpello: panoramica generale

Di seguito si riportano le principali tipologie di interpello previste dall’art. 11 Statuto del contribuente e dalla normativa collegata, con i relativi riferimenti normativi, l’oggetto della richiesta, i tempi di risposta dell’Amministrazione e alcune note distintive:

TipologiaRiferimenti normativiOggetto e finalitàTermine di rispostaNote particolari
Interpello ordinario (interpretativo/qualificatorio)Art. 11, co. 1, lett. a) Statuto (L. 212/2000)Chiarimenti su applicazione di norme tributarie o qualificazione giuridico-fiscale di una fattispecie concreta, in presenza di obiettiva incertezza interpretativa.90 giorni (sospesi in agosto e per eventuale richiesta pareri ad altri enti).Ammissibile solo se manca una soluzione ufficiale già fornita dall’amministrazione (prassi) sulla medesima fattispecie. In caso di mancata risposta entro il termine, opera il silenzio-assenso sulla soluzione proposta dal contribuente.
Interpello probatorioArt. 11, co. 1, lett. e) Statuto (vedi anche lett. f per neo-residenti)Verifica preventiva della sussistenza di condizioni o della idoneità di elementi di prova richiesti da specifiche norme per accedere a particolari regimi o benefici fiscali. È attivabile solo nei casi espressamente previsti dalla legge (esempi: verificare status di società non operativa; condizioni per ACE o Gruppo IVA).90 giorni (sospesi in agosto e per richieste ad altri enti).Richieste strettamente legate a disposizioni che consentono tale interpello (rinvio normativo esplicito alla lett. e)). Dal 2024, per effetto del D.Lgs. 219/2023, questa tipologia è limitata ai soggetti in adempimento collaborativo o a coloro che presentano interpello nuovi investimenti. Silenzio-assenso applicabile in caso di mancata risposta.
Interpello anti-abusoArt. 11, co. 1, lett. c) Statuto (art. 10-bis L. 212/2000)Valutazione dell’abuso del diritto: il contribuente sottopone un’operazione specifica all’Agenzia per sapere se configuri un comportamento abusivo/elusivo ai sensi dell’art. 10-bis Statuto. Consente di conoscere ex ante se l’Amministrazione considererà l’operazione come elusiva (abuso) oppure lecita.90 giorni (sospesi in agosto ecc.).Ha sostituito il previgente “interpello anti-elusivo” ex art. 21 L.413/1991 dal 2016. Utile in operazioni straordinarie, riorganizzazioni societarie, ecc. Silenzio-assenso se l’Agenzia non risponde entro i termini (il che equivale ad acquiescenza alla soluzione prospettata).
Interpello disapplicativo (interpello “obbligatorio”)Art. 11, co. 1, lett. d) Statuto (già art. 37-bis, co. 8 DPR 600/1973 per es.)Richiesta di disapplicazione di norme tributarie anti-elusive che in via ordinaria limiterebbero deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta o altre agevolazioni, fornendo prova che nella specifica situazione non sussistono effetti elusivi. In pratica, il contribuente chiede di non applicare un regime fiscale punitivo o restrittivo previsto per contrastare possibili abusi, dimostrando che nel suo caso l’abuso non c’è.90 giorni (sospesi in agosto ecc.).Unico caso di interpello rimasto “obbligatorio” in senso sostanziale: se il contribuente non interpella l’Agenzia, le norme antielusive restano applicabili (es. limitazioni al riporto perdite in fusione, tassazione minima delle società di comodo, ecc.). L’istanza va presentata entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta in cui si verifica la fattispecie. Il silenzio-assenso si applica anche a questo interpello nel regime post-2016, ma prima della riforma non era previsto (ora uniformato). La risposta (negativa) dell’Agenzia è considerata un atto impugnabile in giudizio secondo la giurisprudenza consolidata (facoltà per il contribuente di ricorrere avverso il diniego).
Interpello sui nuovi investimentiArt. 2 D.Lgs. 147/2015 (decreto internazionalizzazione)Parere sul trattamento fiscale di un piano di investimento di rilevante ammontare in Italia, inclusa l’eventuale qualificazione di operazioni straordinarie connesse (es. esistenza di azienda o stabile organizzazione, assenza di abuso del diritto, ecc.). Destinato a investitori italiani o esteri che pianificano nuovi investimenti di importo significativo, con impatto occupazionale duraturo.120 giorni (prorogabili di altri 90 giorni se richiesta documentazione integrativa).Ammissibile solo per investimenti ≥ €15 milioni (soglia attuale, dal 2023, ridotta rispetto ai €30 milioni iniziali, già abbassati a €20 mln nel 2019) e con ricadute occupazionali significative. La risposta è vincolante per tutti i soggetti coinvolti nel piano. Vale finché rimangono invariate le circostanze di fatto e diritto su cui si basa e l’Agenzia non può revocarla in autotutela (salvo mutamenti normativi). In caso di silenzio oltre 120 gg (o 210 gg se prorogato), vale il silenzio-assenso sulla soluzione proposta.

Legenda: Statuto = Legge 212/2000 (Statuto diritti contribuente); silenzio-assenso = mancata risposta equivale ad accoglimento dell’istanza; adempimento collaborativo = regime di cooperative compliance per grandi contribuenti; neo-residenti (24-bis TUIR) = regime flat tax per nuovi residenti facoltosi.

Come si evince dalla tabella, ciascuna tipologia di interpello ha finalità specifiche e condizioni proprie, ma tutte condividono un impianto procedurale comune delineato dalla norma generale. Nei capitoli seguenti approfondiremo ognuna di esse, con esempi e riferimenti applicativi. Successivamente, saranno descritti i profili procedurali generali (come redigere e presentare un’istanza, gli effetti della risposta, ecc.) validi trasversalmente.

Interpello ordinario (interpretativo e qualificatorio)

Definizione: L’interpello ordinario è la forma “generale” di interpello con cui il contribuente può chiedere all’Agenzia delle Entrate di esprimersi sulla corretta interpretazione di una norma tributaria oppure sulla corretta qualificazione fiscale di una situazione di fatto concreta, quando su tali aspetti sussistono condizioni di obiettiva incertezza. In altri termini, è lo strumento per ottenere chiarimenti ufficiali in caso di dubbi interpretativi riguardanti l’applicazione di disposizioni fiscali al proprio caso.

Questa tipologia, disciplinata dall’art. 11 comma 1 lettera a) dello Statuto, si declina oggi in due sottocategorie, entrambe ricondotte all’interpello ordinario:

  • l’interpello ordinario “interpretativo”, relativo all’applicazione di norme tributarie in caso di incertezza sulla loro interpretazione teorica;
  • l’interpello ordinario “qualificatorio”, relativo alla corretta qualificazione giuridico-tributaria di una fattispecie concreta, quando il dubbio riguarda più la natura del fatto che la norma astratta.

In passato l’art. 11 distingueva solo l’ipotesi interpretativa, ma con la riforma del 2015 il legislatore ha esplicitamente incluso anche l’aspetto qualificatorio tra le incertezze che legittimano la presentazione di interpello ordinario. Ciò consente di usare l’istituto anche nei casi in cui non è in dubbio il significato della norma, bensì l’inquadramento del caso concreto alla luce di quelle norme (ad esempio: stabilire se un insieme di beni configuri un’azienda; se una spesa rientri tra quelle di rappresentanza o pubblicità ai fini fiscali; se un soggetto estero configuri una stabile organizzazione, ecc.).

Presupposto fondamentale: la “obiettiva incertezza”. Il contribuente deve versare in una situazione in cui l’interpretazione della norma o la qualificazione della fattispecie non siano chiare, e tale incertezza deve essere oggettiva, non dipendere cioè da una semplice ignoranza soggettiva. L’art. 11 comma 4 Statuto infatti specifica che non ricorre incertezza oggettiva se l’Amministrazione finanziaria ha già fornito soluzione a casi analoghi tramite atti di prassi pubblici (circolari, risoluzioni). Dunque, prima di presentare un interpello ordinario, è necessario verificare che sull’argomento non esistano già chiarimenti ufficiali. Se ad esempio l’Agenzia ha emanato una circolare interpretativa proprio sulla questione che ci interessa, l’istanza di interpello sarebbe inammissibile per carenza di incertezza (o verrebbe comunque respinta richiamando la soluzione già nota).

Modalità di presentazione: l’istanza di interpello ordinario va redatta in forma libera, ma deve contenere tutti gli elementi previsti dalla legge (valido per tutte le tipologie): i dati identificativi dell’istante, la descrizione dettagliata della fattispecie, la specifica indicazione della norma tributaria di cui si chiede l’interpretazione, l’esposizione della propria soluzione interpretativa (cioè come il contribuente ritiene di dover applicare la norma) e l’indicazione che sulla questione non sono pendenti altre istanze o procedure (né esistono appunto soluzioni ufficiali). Su aspetti procedurali generali torneremo in un capitolo dedicato; qui rileviamo che per l’ordinario non vi sono termini stringenti di presentazione, essendo un interpello facoltativo e generalmente preventivo. È comunque implicito che vada presentato prima che il contribuente assuma il comportamento fiscale rispetto al quale nutre il dubbio, o al più entro la scadenza dell’adempimento dichiarativo riferito a quell’operazione. Ad esempio, se il dubbio riguarda la deducibilità di un costo sostenuto nell’anno, l’istanza dovrebbe idealmente essere presentata prima di presentare la dichiarazione dei redditi di quell’anno (così da regolarsi in base alla risposta).

Effetti della risposta: la risposta scritta e motivata dell’Agenzia vincola il Fisco (tutti i suoi organi) limitamente al richiedente e alla questione oggetto di interpello. Ciò significa che, se l’Agenzia concorda con l’interpretazione proposta dal contribuente, dovrà attenersi a tale orientamento nei confronti di quel contribuente per il caso specifico (non potrà quindi emanare atti di accertamento difformi da quanto riconosciuto). Viceversa, se la risposta è negativa (ossia l’Agenzia ritiene non corretto l’orientamento del contribuente), questi saprà che, persistendo in quel comportamento, potrebbe subire un accertamento. La risposta non è formalmente impugnabile (art. 11 co. 7) in quanto atto meramente consultivo, ma il contribuente ha comunque la possibilità di adeguarsi ed evitare contenziosi, oppure di adottare ugualmente la propria interpretazione e poi eventualmente contestare in sede contenziosa l’atto impositivo. Si noti che la giurisprudenza ammette l’impugnazione immediata solo per alcune risposte specifiche (vedremo il caso del disapplicativo); nel caso dell’ordinario, in genere la risposta negativa non esplicita una “pretesa tributaria” immediata e quindi non è ricorribile da sola.

Silenzio-assenso: uno dei grandi vantaggi dell’interpello ordinario (e oggi di tutti gli interpelli) è la previsione del silenzio-assenso. Se l’Agenzia delle Entrate non fornisce risposta entro il termine previsto (90 giorni dalla presentazione, prorogati di diritto al primo giorno lavorativo successivo se scadono di sabato o festivo, con sospensione nel mese di agosto), il silenzio equivale ad accoglimento dell’interpretazione proposta dal contribuente. In tal caso la soluzione indicata nell’istanza si considera “condivisa” dall’Amministrazione. Questo meccanismo tutela il contribuente dall’inerzia dell’ente: decorso inutilmente il termine, egli può comportarsi secondo quanto esposto nella domanda, con la certezza che eventuali atti impositivi difformi sarebbero annullabili (su sua eccezione in giudizio) perché emessi in violazione del parere ormai tacitamente favorevole. Vale la pena ricordare che prima della riforma del 2015 il silenzio-assenso era applicato solo agli interpelli ordinari “interpretativi” ex art.11, mentre non operava per altre istanze (ad esempio i disapplicativi). Dal 2016, invece, la circolare 9/E/2016 ha chiarito che la regola si estende a tutte le tipologie di interpello. La Cassazione stessa ha confermato che il mancato rispetto del termine genera condivisione tacita – salvo eccezioni previste – richiamando, per gli interpelli ordinari, l’art. 11 Statuto.

Esempi pratici:

  • Interpello interpretativo: Una piccola impresa individuale deve applicare una nuova normativa fiscale su un credito d’imposta, ma la formulazione della norma è ambigua. Non essendovi alcuna circolare esplicativa, il contribuente presenta interpello ordinario esponendo il dubbio interpretativo e la propria soluzione. Soluzione prospettata: ad esempio, ritiene che il credito spetti anche in relazione a un certo bene strumentale. Se l’Agenzia concorda (risposta positiva), l’impresa applicherà la norma come indicato e non subirà contestazioni; se l’Agenzia nega la spettanza, l’impresa saprà di non poter legittimamente fruire del credito su quel bene. In caso di mancata risposta entro 90 giorni, la soluzione del contribuente si intende accolta tacitamente, vincolando l’ufficio.
  • Interpello qualificatorio: La società Alfa S.p.A. intende acquistare una serie di beni (macchinari, attrezzature, contratti, dipendenti) da un’altra azienda e vuole sapere se tale insieme costituisce giuridicamente un ramo d’azienda (la cui cessione gode di un particolare regime di neutralità fiscale) oppure una mera vendita di beni separati. Si tratta di una qualificazione fiscale incerta. Alfa può presentare un interpello ordinario qualificatorio descrivendo l’operazione e chiedendo come qualificarla. Questo è proprio uno degli esempi fatti dal legislatore: “valutazione della sussistenza di un’azienda” ai fini fiscali. Una risposta favorevole (che confermi trattarsi di ramo d’azienda) metterà al riparo Alfa da future contestazioni sull’imposta di registro o sulla continuità dei valori fiscali; una risposta negativa la avvertirà che l’operazione sarà trattata come cessione di singoli beni con le relative conseguenze tributarie.

In entrambi gli esempi, l’interpello ordinario offre al contribuente certezza ex ante. Questa certezza è particolarmente preziosa in un sistema tributario complesso come quello italiano: investimenti, operazioni e scelte aziendali possono essere portati avanti con maggiore tranquillità avendo un comfort letter dell’Agenzia sul trattamento fiscale applicabile.

Interpello probatorio

Definizione: L’interpello probatorio è un’istanza tramite la quale il contribuente chiede all’Agenzia delle Entrate di esprimere un parere circa la sussistenza di determinati requisiti di fatto o la validità di elementi di prova previsti dalla legge come condizione per accedere ad un certo regime fiscale agevolativo. A differenza dell’ordinario, qui il contribuente non espone un dubbio interpretativo generale, bensì sottopone all’Amministrazione documentazione e fatti specifici per ottenere conferma che soddisfa le condizioni richieste da una norma per godere di un beneficio o per essere escluso da un regime punitivo.

Si parla di interpello “probatorio” proprio perché al centro vi è la prova dei presupposti: il contribuente vuole sapere se, alla luce delle prove fornite, egli rientra o meno in un certo regime fiscale. Importante: questo interpello è ammesso solo “nei casi espressamente previsti dalla legge”. Ciò significa che bisogna rinvenire in una norma tributaria specifica il rinvio alla facoltà di interpellare l’Amministrazione circa la presenza di condizioni o l’idoneità di prove (tale rinvio di solito fa esplicito riferimento all’art. 11, co.1, lett. e) L.212/2000).

Esempi di casi espressamente previsti:

  • Le società non operative (c.d. società di comodo): l’art. 30 della L. 724/1994 prevede un regime punitivo per le società che dichiarano redditi inferiori a certe soglie, salvo prova di oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento di ricavi adeguati. La norma consentiva di presentare istanza per dimostrare tali circostanze. Tradizionalmente questo era noto come interpello disapplicativo per le società di comodo; dopo la riforma è inquadrabile come interpello probatorio, poiché il contribuente deve provare le condizioni che giustificano la non applicazione della disciplina penalizzante.
  • Il regime ACE (Aiuto alla Crescita Economica): l’art. 1, comma 8, DL 201/2011 prevedeva la possibilità di interpellare l’amministrazione per chiarire la spettanza del beneficio ACE in situazioni particolari. Anche qui, l’istanza serviva a comprovare il possesso di requisiti richiesti per la deduzione ACE.
  • Il Gruppo IVA: il DPR 633/1972 (IVA) all’art. 70-ter comma 5 prevede che, in caso di opzione per il regime di Gruppo IVA, i soggetti che vogliono escludere un’entità dal perimetro del gruppo perché sostengono che non sussiste un vincolo finanziario, economico od organizzativo possono presentare interpello probatorio per dimostrare tale insussistenza. L’Agenzia ha confermato l’ammissibilità dell’interpello probatorio in tal senso, e con una recente risposta (Interpello n. 228/2024) ha chiarito i requisiti probatori per escludere, ad esempio, il vincolo organizzativo tra due società ai fini del Gruppo IVA.
  • Altri casi: tipicamente riguardano norme anti-elusive che prevedono un esonero subordinato a verifica. Ad esempio, la disciplina CFC (Controlled Foreign Companies, art. 167 TUIR) come riformata, che permette di non tassare per trasparenza i redditi di una controllata estera a bassa fiscalità se si dimostra che non si tratta di una costruzione artificiosa. La normativa CFC prevede la possibilità di presentare interpello per ottenere tale disapplicazione (e quindi si configura come interpello probatorio/disapplicativo, a seconda delle classificazioni).

Rapporto con l’interpello disapplicativo: come si nota dagli esempi, c’è una stretta parentela tra interpello probatorio e disapplicativo. In entrambi i casi, spesso, il contribuente mira a disapplicare una certa norma (es. regime delle società non operative, norme CFC, limiti al riporto perdite). La differenza sta nell’impostazione: l’interpello probatorio è definito come tale quando la legge richiede una prova di condizioni per accedere ad un trattamento, e l’istanza verte su quelle prove. Il disapplicativo (lett. d) è più generico, riferito a norme antielusive. Di fatto, molte istanze che prima del 2016 si chiamavano “disapplicative” rientrano oggi concettualmente anche nel probatorio. Esempio: società di comodo – la Cassazione in passato le trattava come interpello disapplicativo obbligatorio, ma la circolare 9/E/2016 le ha ricondotte nell’alveo probatorio. Tuttavia, nella prassi quotidiana, spesso non si fa una netta distinzione terminologica e si continua a parlare di “interpello disapplicativo delle società non operative”. Ciò che conta è capire che la finalità è dimostrare qualcosa (assenza di intenti elusivi, presenza di circostanze eccezionali) per ottenere la non applicazione di una norma.

Disciplina applicabile: L’interpello probatorio, essendo ricompreso nell’art. 11 comma 1 lett. e), segue in linea generale le stesse regole procedurali dell’ordinario:

  • Presentazione: va indirizzato alla Direzione regionale competente (salvo soggetti di grandi dimensioni dove interviene la Divisione Contribuenti centrale) con PEC o altri mezzi, e deve contenere una descrizione dettagliata dei fatti e delle prove che il contribuente sottopone. Di solito si allegano documenti a supporto. È fondamentale indicare la norma agevolativa o di esonero per cui si chiede conferma del rispetto delle condizioni.
  • Tempistiche: l’Agenzia risponde entro 90 giorni, prorogabili se chiede integrazioni (come per gli altri interpelli). Vale la sospensione di agosto. In caso di mancata risposta, anche qui vige il silenzio-assenso, dunque la tesi del contribuente si considera accolta tacitamente. Ciò è stato confermato espressamente dalla circolare 9/E/2016: il silenzio-assenso opera per tutte le istanze presentate ai sensi dell’art. 11, quindi anche per i probatori, fatte salve le esclusioni (che però per i probatori non sono previste, a parte i casi di inammissibilità ordinari).
  • Effetti della risposta: la risposta (positiva o negativa) vincola l’Amministrazione finanziaria nei termini usuali (solo nei confronti del contribuente istante e per quella specifica fattispecie). Ad esempio, se l’Agenzia risponde che una certa società non è di comodo perché ha provato una situazione oggettiva impeditiva, l’ufficio accertatore non potrà applicarle la disciplina delle società non operative. Se invece la risposta nega l’esimente, la società saprà che, in assenza di interpello favorevole, deve adeguarsi al regime punitivo (o eventualmente potrà contestarlo in giudizio dopo aver ricevuto l’avviso di accertamento).
  • Impugnabilità: la legge prevede la non impugnabilità delle risposte di interpello in generale (art. 11 co. 7), e questo vale anche per i probatori. Dunque il contribuente non può ricorrere direttamente contro un parere negativo probatorio. Dovrà eventualmente attendere un atto impositivo basato su quel diniego e impugnare quest’ultimo. (Diverso il caso del disapplicativo, come vedremo, dove la giurisprudenza fa eccezione). Una recente nota evidenzia che, analogamente agli interpelli antiabuso, anche le risposte ai probatori non sono impugnabili ex art. 11 co.7.

Novità 2023-2024: Con il D.Lgs. 219/2023 è stata introdotta una rilevante limitazione: possono presentare interpello probatorio solo i contribuenti ammessi al regime di adempimento collaborativo (cooperative compliance) oppure coloro che presentano un interpello nuovi investimenti. In pratica, l’uso generale di tale tipologia viene riservato ai contribuenti di più grandi dimensioni o impegnati in investimenti importanti. La ratio dichiarata è concentrare le risorse dell’Agenzia sui casi di maggior impatto, ma la scelta ha suscitato qualche perplessità nella dottrina, dato che alcune norme (es. società di comodo, CFC) continuano formalmente a prevedere la possibilità di interpello probatorio per chiunque. Al momento (maggio 2025) questa limitazione è in vigore, sebbene si attendano chiarimenti applicativi. Ciò significa che, ad esempio, una PMI che volesse presentare interpello probatorio per dimostrare di non essere di comodo potrebbe vedersi opporre una inammissibilità (in quanto non in cooperative compliance). In sostanza, l’interpello probatorio “puro” sta divenendo uno strumento riservato a contribuenti di fiducia e grandi investitori.

Esempio pratico: La società Beta S.r.l. ha registrato negli ultimi due anni ricavi molto bassi rispetto ai suoi asset, rischiando di essere qualificata come non operativa e subire la tassazione minima presuntiva. La causa però è oggettiva: Beta ha un immobile industriale in ristrutturazione, rimasto sfitto temporaneamente, e dunque fatturato scarso per ragioni non dipendenti da volontà elusiva. La norma (art. 30 L.724/94) le consentirebbe di evitare la disciplina di comodo se dimostra l’esistenza di tali circostanze. Beta può presentare un interpello probatorio (ex lett. e) art.11) illustrando la situazione e allegando documenti (perizia sui lavori, contratto con agenzia immobiliare per trovare conduttori, ecc.) per provare che il mancato reddito è dovuto alla ristrutturazione. Se l’Agenzia, valutate le prove, risponde positivamente riconoscendo la situazione straordinaria, Beta S.r.l. potrà disapplicare la normativa delle società di comodo per quel periodo senza rischi (nessuna maggiorazione d’imposta né limitazioni alla deduzione di perdite). In caso di silenzio per 90 giorni, varrà comunque l’assenso implicito. Se la risposta fosse negativa (ritenendo le prove non sufficienti), Beta dovrà applicare la normativa punitiva oppure, se se ne discosta (dichiarando un reddito inferiore al minimo), dovrà mettere in conto un probabile accertamento e prepararsi eventualmente a difendersi in Commissione tributaria.

Interpello anti-abuso

Definizione: L’interpello anti-abuso (o interpello sull’abuso del diritto) è lo strumento che consente al contribuente di interpellare l’Amministrazione finanziaria per sapere se una specifica operazione o una serie di operazioni configura un abuso del diritto ai sensi dell’art. 10-bis dello Statuto dei contribuenti. In altre parole, quando un contribuente pianifica un’operazione potenzialmente elusiva (cioè formalmente lecita ma da cui consegue un vantaggio fiscale indebito, secondo la definizione di abuso), può chiedere all’Agenzia un parere preventivo sulla qualificazione anti-abuso di tale operazione.

Questa tipologia di interpello, prevista dall’art. 11 comma 1 lett. c), è stata introdotta nel 2015 in parallelo alla codificazione dell’abuso del diritto. Ha sostituito il precedente interpello anti-elusivo disciplinato dall’art. 21 della L. 413/1991 (ormai abrogato), il quale però si applicava solo ad alcune operazioni straordinarie specifiche. L’interpello anti-abuso attuale ha portata generale: copre qualunque fattispecie in cui possa porsi un problema di elusione fiscale o abuso.

Finalità: L’obiettivo è di fornire al contribuente, che opera magari in modo fiscalmente efficiente, la certezza che la sua operazione non sarà successivamente contestata dal Fisco come abusiva. Se l’Agenzia ritiene che non vi sia abuso, emetterà risposta favorevole e il contribuente potrà procedere con tranquillità; se invece ravvisa profili di abuso, lo comunicherà e il contribuente potrà scegliere se rinunciare, modificare l’operazione, oppure procedere consapevole del rischio di un futuro contenzioso.

Definizione di abuso (breve richiamo): per abuso del diritto in ambito tributario si intende un insieme di operazioni prive di sostanza economica, effettuate essenzialmente per ottenere vantaggi fiscali indebiti, ancorché nel rispetto formale delle norme. L’art. 10-bis L. 212/2000 stabilisce che è configurabile abuso (e quindi disconoscimento dei vantaggi) quando ricorrono tali condizioni, salvo il rispetto di valide ragioni extrafiscali non marginali. Non si applicano sanzioni penali in caso di abuso (ma solo il recupero delle imposte e interessi) e l’onere della prova dell’abuso spetta all’Amministrazione.

In questo contesto, l’interpello anti-abuso è pensato come un meccanismo di cooperative compliance aperto a tutti: invece di agire nell’incertezza ed eventualmente subire accertamenti (che, in caso di abuso accertato, comportano recupero imposte), il contribuente preferisce giocare a carte scoperte col Fisco, illustrando prima l’operazione ed esponendo le proprie ragioni economiche e la propria tesi di liceità.

Caratteristiche procedurali:

  • Presentazione: L’istanza va presentata prima di porre in essere l’operazione o il comportamento di cui si dubita (è essenziale la preventività). Deve contenere la descrizione dettagliata dell’operazione programmata, gli elementi attinenti a eventuali valide ragioni economiche, l’indicazione del vantaggio fiscale che se ne deriverebbe, e la specifica richiesta di valutazione ai sensi dell’art. 10-bis. Inoltre, il contribuente in genere illustra perché a suo avviso l’operazione non costituisce abuso (ad es. perché vi sono ragioni extrafiscali sostanziali).
  • Termini di risposta: anche qui il termine ordinario è 90 giorni dalla presentazione. Dato che spesso queste istanze riguardano operazioni complesse, l’Agenzia può richiedere documentazione integrativa, sospendendo i termini, o anche segmentare la risposta per questioni (come previsto in generale dalla normativa). La sospensione di agosto si applica normalmente.
  • Silenzio-assenso: sorprendentemente, sì, vale anche per l’anti-abuso. Diciamo “sorprendentemente” perché viene spontaneo pensare che l’Amministrazione difficilmente resti silente su un potenziale abuso. Tuttavia, la legge non fa eccezioni: “Quando la risposta non è comunicata al contribuente entro il termine previsto, il silenzio equivale a condivisione della soluzione prospettata dal contribuente”. Quindi se decorrono 90 giorni senza risposta, si forma un assenso implicito: l’operazione si considera non abusiva secondo il Fisco. L’atto eventuale successivo che la riqualificasse come abusiva sarebbe annullabile in giudizio. In pratica, per evitare il silenzio-assenso l’Agenzia generalmente fornisce una risposta (spesso interlocutoria o di diniego) entro i termini, specie nei casi dubbi. Ma il contribuente ha questo scudo: se per errore o complessità la risposta non arriva, la sua tesi è avallata.
  • Effetti vincolanti: La risposta vincola l’Agenzia come gli altri interpelli. Se l’Agenzia dice “non c’è abuso”, in futuro non potrà ripudiare quella valutazione su quella operazione (salvo mutate circostanze). Se dice “c’è abuso”, attenzione: il contribuente non è vincolato, potrebbe comunque eseguire l’operazione; però sapendo che se lo fa, l’ufficio probabilmente contesterà i vantaggi fiscali ottenuti qualificandoli come elusivi. La risposta anti-abuso negativa, di fatto, non ha efficacia vincolante per il contribuente (è libero di agire in contrasto, assumendosene i rischi), e non è atto impugnabile immediatamente (trattandosi di parere consultivo). La tutela per il contribuente dissenziente consisterà nel difendersi contro l’eventuale avviso di accertamento che verrà emanato se procede con l’operazione come prospettata.

Sul piano processuale, la risposta anti-abuso non comunica ancora una pretesa tributaria, ma solo il convincimento dell’Amministrazione sulla fattispecie. Perciò non rientra tra gli atti impugnabili ex art. 19 D.Lgs. 546/92 e il contribuente non può fare ricorso immediato. Questo è confermato anche dalla Corte di Cassazione per analogia con altri interpelli: la risposta negativa, “pur senza efficacia vincolante per il contribuente stesso”, è un atto che porta a conoscenza del contribuente il parere del Fisco, ma non è impugnabile autonomamente. Dovrà essere contestato solo insieme all’atto impositivo eventualmente emesso.

Esempio pratico: I soci della società Gamma S.r.l. intendono effettuare una riorganizzazione: scindere parzialmente l’azienda trasferendo liquidità e immobili in una NewCo, in modo da facilitare l’uscita di alcuni soci. Questa operazione di scissione asimmetrica con attribuzione di asset a una società di nuova costituzione potrebbe essere vista come volta a far uscire riserve senza tassazione (un caso tipico di possibile elusione). Per evitare rischi, Gamma S.r.l. presenta un interpello anti-abuso descrivendo la scissione progettata, indicando che l’obiettivo è ristrutturare la compagine societaria (ragioni extrafiscali) e chiedendo se l’operazione possa essere considerata abusiva oppure no.

  • Se l’Agenzia risponde che non costituisce abuso (magari perché riconosce fondate le ragioni extrafiscali, come la volontà di separare attività diverse tra due gruppi di soci), Gamma potrà procedere con la scissione sapendo che non verrà contestata come elusiva.
  • Se invece l’Agenzia risponde che l’operazione è abusiva (ritenendo ad esempio che lo scopo reale sia distribuire utili ai soci uscenti in forma esentasse), Gamma potrà decidere di modificare l’operazione (es. optare per una liquidazione trasparente delle quote, pagando le imposte relative) per evitare problemi, oppure andare avanti lo stesso e poi eventualmente contrastare la riqualificazione fiscale in sede contenziosa, con peró scarse possibilità di vittoria data la posizione già espressa dal Fisco.
  • Se l’Agenzia non risponde nei 90 giorni, Gamma si troverà nella situazione – improbabile ma possibile – di silenzio-assenso: potrà ragionevolmente supporre che l’operazione non sarà considerata abusiva, avendo l’Amministrazione lasciato decorrere il termine senza obiezioni.

In tutti i casi, l’interpello anti-abuso offre un meccanismo di gestione preventiva del rischio fiscale, coerente con un rapporto più collaborativo tra Fisco e contribuente. Per le imprese che compiono operazioni straordinarie complesse (fusioni, scissioni, conferimenti, leverage buy-out, ecc.), questo interpello è un utile “check” per evitare di incorrere, magari anni dopo, in contestazioni di elusività con effetti economici pesanti (perdita di benefici, ricalcolo imposte, interessi). Va comunque sottolineato che non tutte le operazioni dubbie richiedono interpello: se vi è una prassi consolidata o una norma chiara, l’interpello anti-abuso può non essere necessario. Il suo utilizzo è consigliabile in presenza di zone grigie interpretative su cui non vi è certezza né dottrinale né giurisprudenziale.

Interpello disapplicativo

Definizione: L’interpello disapplicativo è l’istanza con cui il contribuente chiede formalmente la disapplicazione di una norma tributaria anti-elusiva che altrimenti sarebbe applicabile al suo caso e gli risulterebbe sfavorevole, fornendo all’Amministrazione la dimostrazione che, in quella particolare fattispecie, non si realizzano gli scopi elusivi che la norma in questione mirava a prevenire. In termini più semplici: esistono norme fiscali “penalizzanti” (ad es. che negano benefici o impongono tassazione minima) pensate per contrastare comportamenti elusivi; tuttavia, se un contribuente ritiene che nel suo caso la situazione non abbia finalità elusive, può interpellare l’Agenzia chiedendo di non applicargli quella norma.

Nella versione attuale dell’art. 11 Statuto, l’interpello disapplicativo è contemplato sempre al comma 1 (lettera d)) ma con una formulazione diversa dal solito “può interpellare”. Infatti la norma dice: “il contribuente interpella l’amministrazione finanziaria per la disapplicazione di norme tributarie […]”. L’uso dell’indicativo interpella (anziché può interpellare) segnala che siamo di fronte a un caso peculiare: qui l’interpello è di fatto obbligatorio per ottenere la disapplicazione. Ciò è confermato dalla relazione governativa e dalla dottrina: il legislatore ha voluto mantenere, per queste ipotesi, la natura preventiva vincolante – cioè se vuoi disapplicare quella norma devi passare dal vaglio dell’Agenzia. Pertanto l’interpello disapplicativo è l’erede di quei vecchi interpelli obbligatori (ex art. 37-bis comma 8 DPR 600/73) che si usavano, ad esempio, per società non operative, CFC, perdite fiscali post-fusione, ecc.

Ambito tipico: Rientrano in questa categoria tutti quei casi in cui una legge tributaria anti-elusiva prevede limitazioni a deduzioni, detrazioni, crediti o altri vantaggi fiscali, ma lascia al contribuente la possibilità di dimostrare che nel suo caso non c’è intento elusivo e quindi di non applicare tali limitazioni. Gli esempi classici di interpello disapplicativo sono:

  • Il caso delle perdite fiscali in caso di fusione (art. 172 comma 7 TUIR): se una società con perdite pregresse viene fusa, le perdite non sono più utilizzabili dalla società risultante salvo che la società fusa avesse superato un test di vitalità economica. Tuttavia la legge consente, se il test è fallito, di presentare interpello per provare che la fusione non è fatta a scopo di elusione (cioè non è finalizzata solo all’utilizzo delle perdite). In caso di esito favorevole, l’Agenzia disapplica la norma restrittiva e permette il riporto delle perdite anche se i test non sono soddisfatti.
  • Le società non operative (di comodo): come già detto, sono soggette a una disciplina punitiva (tassazione su un reddito minimo presunto, indetraibilità credito IVA, ecc.) a meno che dimostrino che esistono circostanze oggettive per le quali non potevano conseguire il reddito minimo. Tradizionalmente, l’iter per ottenere la disapplicazione di queste norme è l’interpello disapplicativo (ora considerato probatorio, ma la sostanza è la stessa). Ad esempio, una società in liquidazione o con un immobile inagibile può chiedere di non essere trattata come di comodo.
  • Le CFC (società controllate estere a bassa tassazione): prima di tassare per trasparenza in Italia gli utili della controllata estera, la normativa (art. 167 TUIR, nella formulazione applicabile di volta in volta) consente al contribuente di interpellare l’Agenzia per dimostrare che la controllata svolge un’attività economica effettiva (non è un’entità artificiosa creata per ottenere vantaggi fiscali). Se l’interpello è favorevole, le norme CFC sono disapplicate e gli utili esteri non vengono imputati al socio italiano.
  • Altre ipotesi: esistono varie disposizioni antielusive con clausole di salvaguardia tramite interpello disapplicativo (ad es. il regime delle società in perdita sistemica, simile alle non operative; alcune norme anti-accordi indebiti nel consolidato fiscale; ecc.).

Procedura e termini speciali:

Come anticipato, l’interpello disapplicativo si distingue perché è generalmente richiesto che sia presentato entro un termine preciso, legato al periodo d’imposta cui si riferisce la disapplicazione. Il D.Lgs. 156/2015, art. 2 co.2 stabilisce che l’istanza di interpello disapplicativo va inoltrata “entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta in cui la fattispecie si manifesta”. Ad esempio, se nell’anno X avviene una fusione e si vogliono conservare le perdite di una società fusa che non supera i test, l’interpello per disapplicare la limitazione va presentato entro la data di presentazione della dichiarazione dei redditi dell’anno X (dichiarazione che si presenta nell’anno X+1). Questo termine è massimo: nulla vieta di presentare prima (anche durante l’anno X prima della fusione, se la si programma), ma entro la dichiarazione bisogna aver interpellato il Fisco. La norma non fissa invece un termine iniziale minimo: in teoria l’istanza può essere proposta anche con largo anticipo sulla realizzazione della fattispecie, sebbene l’esperienza mostri che l’Agenzia tende a respingere le istanze ritenute “eccessivamente preventive” (ad esempio chiedo oggi di disapplicare una norma per una fusione che forse farò tra 2 anni). È bene quindi presentare l’interpello disapplicativo quando la fattispecie è imminente o già in corso, purché prima della relativa dichiarazione.

Dal punto di vista della competenza, storicamente le risposte agli interpelli disapplicativi erano fornite dalle Direzioni regionali dell’Agenzia (il provvedimento 2016 confermava questa impostazione, salvo escalation in casi complessi). Ad oggi, gran parte di queste istanze è ancora gestita a livello decentrato regionale, con coordinamento centrale sulle linee interpretative.

Vincolatività e tutela del contribuente:

  • Risposta favorevole: vincola pienamente l’amministrazione finanziaria. Ad esempio, se una società Alfa ottiene interpello positivo per disapplicare i limiti al riporto delle perdite in una fusione, qualsiasi avviso di accertamento che in futuro, contrariamente a quanto deciso, disconoscesse quelle perdite sarebbe annullabile per difformità dalla risposta. Va segnalato che con il D.Lgs. 219/2023 è stato precisato che tali atti difformi sono annullabili (e non nulli), cioè serve che il contribuente li impugni per farli caducare, il giudice non può annullarli d’ufficio. Ma la sostanza non cambia: il contribuente ha la vittoria in tasca in caso di contestazione contraria al parere avuto.
  • Risposta negativa (diniego di disapplicazione): qui c’è una peculiarità. La risposta negativa all’interpello disapplicativo di fatto impone al contribuente l’applicazione della norma antielusiva (se non vuole esporsi a sanzioni). Ad esempio, se gli negano la disapplicazione della disciplina società di comodo, dovrà dichiarare il reddito minimo e pagare le imposte relative, altrimenti verrà accertato. Questa “pregiudizievolezza” immediata ha portato la giurisprudenza a ritenere il diniego all’interpello disapplicativo come un atto impugnabile davanti al giudice tributario, pur non essendo incluso tra gli atti tipici elencati dall’art. 19 D.Lgs. 546/1992. La Cassazione, con un orientamento consolidato (tra cui sent. n. 17010/2012, n. 25281/2015, n. 36050/2022), ha affermato che è ammesso ricorso contro il provvedimento di diniego dell’interpello disapplicativo, poiché con esso il Fisco manifesta una pretesa tributaria ben individuata (applicazione della norma antielusiva e quindi maggiore imposta dovuta) e motiva le ragioni, configurando un atto lesivo per il contribuente. Dunque il contribuente, ottenuto il diniego, può (ma non è obbligato a) impugnarlo subito, chiedendo al giudice di riesaminarlo. Se non lo impugna, resta comunque libero di adeguarsi e poi eventualmente impugnare l’atto impositivo conseguente, ma la possibilità di azione immediata è un’opzione in più a sua tutela.
  • Silenzio-assenso: come già detto, grazie alla riforma 2015, oggi si forma il silenzio-assenso anche negli interpelli disapplicativi (mentre prima non operava, come chiarito da prassi e Cassazione). Ciò significa che se l’Agenzia non risponde entro 90 giorni, il contribuente può considerare accolta la sua richiesta di disapplicazione. Tuttavia, attenzione: la Cassazione ha specificato, per le vicende antecedenti alla riforma, che il silenzio-assenso non operava perché l’istanza di disapplicazione non rientra nei procedimenti abilitativi ai sensi della L. 241/1990. Dopo la modifica legislativa però la previsione è esplicita in art. 11, quindi per interpelli presentati dal 2016 in poi vale il silenzio-assenso anche su questi. Unico limite: l’istanza deve essere ammissibile. Se l’istanza era inammissibile (ad es. presentata tardivamente, o priva dei presupposti), il silenzio non può sanare l’inammissibilità. Infatti la circolare 9/E/2016 sottolinea che in caso di interpello inammissibile non si avrà silenzio-assenso decorso il termine, proprio perché il procedimento non poteva essere avviato validamente. Nella pratica, gli uffici tendono a emettere comunque un provvedimento (spesso di inammissibilità o di diniego motivato) entro i termini per evitare situazioni di silenzio-assenso dubbio.

Esempi pratici:

  • Disapplicazione limiti perdite in fusione: La società Holding S.p.A. decide nel 2025 di fondere per incorporazione la sua controllata Target S.r.l., che ha rilevanti perdite fiscali pregresse. Purtroppo Target non soddisfa il test di vitalità richiesto dall’art. 172 TUIR (ad esempio aveva ricavi esigui rispetto alle perdite). Senza interpello, tali perdite non sarebbero utilizzabili post-fusione. Holding però ha solide ragioni economiche per la fusione (riorganizzazione del gruppo, sinergie industriali) e ritiene che non sia un’operazione fatta solo per le perdite. Presenta dunque interpello disapplicativo entro il termine della dichiarazione 2025, chiedendo che sia disapplicato l’art. 172, c.7 TUIR e quindi autorizzato il riporto delle perdite di Target post-fusione, motivando l’assenza di finalità elusive.
    • Se l’Agenzia risponde positivamente (entro 90 giorni), Holding potrà riportare le perdite di Target in Holding successivamente senza timore: eventuali accertamenti sul punto sarebbero annullabili perché in contrasto col parere ottenuto.
    • Se l’Agenzia risponde negativamente (diniego), Holding può valutare di impugnare subito il diniego davanti alla Commissione Tributaria. In tal caso, se il giudice le desse ragione, potrebbe recuperare l’uso delle perdite. Se invece non impugna, Holding dovrà rinunciare a usare quelle perdite in dichiarazione (pena un avviso di accertamento).
    • Se l’Agenzia non risponde entro 90 giorni (caso raro, visto che di solito risponde, specie a rischio silenzio), Holding può considerare accolte le proprie ragioni tacitamente. Tuttavia, per prudenza, in tali casi è consigliabile segnalare nella dichiarazione di avere agito in silenzio-assenso e conservare tutta la documentazione a supporto, in caso l’ufficio erroneamente procedesse con un controllo.
  • Disapplicazione disciplina “società di comodo”: La società XYZ S.r.l. possiede un immobile commerciale sfitto da tempo a causa di una crisi del settore. Nel 2024 non raggiunge il volume minimo di ricavi richiesti dall’art. 30 L.724/94 e risulterebbe dunque non operativa, con conseguenti maggiori imposte. Tuttavia la società può provare che l’immobile è inutilizzabile per lavori straordinari condominiali protratti e che ha fatto il possibile per affittarlo. XYZ presenta interpello (entro settembre 2025) chiedendo la disapplicazione della disciplina sulle società non operative per l’anno 2024, al fine di non vedersi imputare un reddito minimo fittizio. Se l’ufficio accorda la disapplicazione, XYZ nel modello Redditi 2025 indicherà di non essere considerata di comodo allegando il protocollo della risposta. Se l’ufficio nega, XYZ dovrà assoggettarsi alla tassazione minima (oppure potrà sfidare la norma pagando e poi impugnando l’avviso di accertamento, con esito incerto). Anche qui, il silenzio di 90 giorni equivarrebbe ad accoglimento implicito, ma realisticamente l’Agenzia risponde sempre a queste istanze (spesso negativamente se non ritiene valide le giustificazioni).

Sintesi sul disapplicativo: è l’interpello più vincolante per il contribuente: in mancanza di interpello (o di risposta favorevole), la norma antielusiva si applica e il contribuente non può autonomamente disapplicarla. Da ciò discende il suo carattere “obbligatorio” – e anche l’attenzione della Cassazione nel garantire tutela giurisdizionale immediata contro eventuali abusi del potere da parte del Fisco (dinieghi infondati possono essere portati subito al vaglio del giudice). Si tratta quindi di un istituto di garanzia importante: se la posizione del contribuente è meritevole, otterrà il via libera e non subirà la norma ingiustamente; se non lo è, quantomeno ne viene a conoscenza e può uniformarsi per evitare conseguenze peggiori.

Interpello sui nuovi investimenti

Definizione: L’interpello sui nuovi investimenti è una particolare forma di interpello introdotta dall’art. 2 del D.Lgs. 147/2015, rivolta a investitori (italiani o stranieri) che intendono realizzare in Italia significativi piani di investimento e desiderano ottenere in via anticipata dall’Amministrazione finanziaria un parere a 360 gradi sul trattamento fiscale di tali piani. È spesso definito anche “ruling sugli investimenti” e costituisce uno strumento di fiscalità attrattiva, volto a incentivare l’afflusso di capitali e attività economiche nel nostro Paese offrendo un quadro certo delle regole fiscali applicabili.

Caratteristiche salienti:

  • Importo rilevante: l’investimento previsto deve avere un valore minimo molto elevato. Originariamente, dal 2016 al 2018, la soglia era fissata in almeno 30 milioni di euro di investimento. Dal 2019 (DL 119/2018 convertito) la soglia è stata abbassata a 20 milioni di euro. Recentemente, a seguito di osservazioni e di una pubblica consultazione, l’Agenzia ha comunicato che per le istanze presentate dal 1° gennaio 2023 la soglia può essere ulteriormente ridotta, fino a 15 milioni di euro (non inferiore). Di fatto, oggi si considerano ammissibili piani di investimento pari o superiori a €15 milioni. Questa evoluzione evidenzia la volontà di ampliare la platea di utilizzo del ruling investimenti, pur mantenendolo riservato a iniziative di grande dimensione.
  • Ricadute occupazionali: oltre al valore economico, è richiesto che il piano di investimento produca rilevanti e durature ricadute occupazionali in Italia. Non c’è un numero minimo di posti di lavoro fissato in norma, ma il business plan deve evidenziare una crescita occupazionale significativa e stabile collegata all’investimento.
  • Tipologia di investimenti coperti: la definizione di “investimento” ai fini di questo interpello è volutamente ampia e “aperta”. Può trattarsi di:
    • Avvio di nuove attività economiche in Italia.
    • Ampliamento di attività esistenti (es. aumento capacità produttiva, nuovi stabilimenti).
    • Operazioni straordinarie funzionali all’investimento (es. acquisizioni, fusioni).
    • Attività di ristrutturazione aziendale di imprese in crisi che preludono a rilancio.
    • Operazioni di reshoring: rimpatrio di attività o rientro di soggetti dall’estero in Italia.
      In generale qualsiasi progetto imprenditoriale di carattere duraturo che rispetti i requisiti di importo e occupazione può rientrare nell’interpello nuovi investimenti.
  • Contenuto del parere richiesto: è molto più ampio di un normale interpello. Il contribuente può chiedere all’Agenzia delle Entrate di pronunciarsi su “ogni profilo fiscale” del piano di investimento. Ciò include:
    • Il regime fiscale delle operazioni societarie previste (fusioni, conferimenti, scissioni, cessioni d’azienda, ecc.), compresa l’eventuale valutazione di esistenza di un’azienda o di una stabile organizzazione ai fini tributari.
    • La qualificazione di eventuali incentivi o agevolazioni fiscali connessi al piano.
    • La non abusività del complesso delle operazioni progettate (di fatto integra anche un interpello anti-abuso su scala più vasta).
    • La possibilità di disapplicare specifiche disposizioni antielusive se del caso.
    • Ogni altra questione fiscale rilevante (imposte dirette, IVA, tributi locali se di competenza statale, ecc.) inerente al business plan.
    Insomma, è un ruling globale: l’investitore presenta il suo progetto di investimento e riceve dall’Agenzia un documento che chiarisce il trattamento fiscale complessivo di quel progetto e delle operazioni correlate. Questo consente di modellare l’operazione in modo fiscalmente efficiente e soprattutto di evitare incertezze che potrebbero frenare o scoraggiare l’investimento stesso.

Procedura e tempi: L’interpello nuovi investimenti deve essere presentato preferibilmente prima di avviare il piano o nelle prime fasi (è richiesto il criterio di “preventività” – non deve essere un consuntivo a piano concluso). In alcuni casi, come precisato dalla circolare 7/E/2023, se l’investitore non ha ancora tutte le informazioni utili (perché il progetto è in via di definizione), è opportuno attendere ad avere un quadro più chiaro prima di presentare l’istanza, in conformità al principio di leale collaborazione. Ciò per evitare di ottenere un ruling su dati parziali.

Le istanze vanno inviate alla struttura centralizzata dell’Agenzia: inizialmente era la Direzione Centrale Normativa a gestirle, poi con la riorganizzazione 2018 la competenza è passata alla Divisione Contribuenti – Ufficio Interpello nuovi investimenti – con un indirizzo PEC dedicato (interpello@pec.agenziaentrate.it). Questo centralismo garantisce uniformità di trattazione e coinvolgimento di uffici specializzati data la complessità.

Il termine di risposta è più lungo degli altri interpelli: 120 giorni, prorogabili di ulteriori 90 giorni in caso l’Agenzia richieda documentazione integrativa. Dunque al massimo si può arrivare a 210 giorni circa (7 mesi). È un tempo commisurato alla mole di analisi che spesso questi dossier richiedono, potendo coinvolgere molteplici imposte e talora interlocuzioni anche con altre Autorità (ad es. Agenzia Dogane se ci sono profili doganali, ecc.). La circolare 25/E/2016 prima e la 7/E/2023 poi hanno fornito linee guida interne per far sì che le varie Direzioni interessate collaborino per una risposta unica e coordinata.

In caso di mancata risposta entro i termini, vale il silenzio-assenso anche per l’interpello nuovi investimenti. Ciò significa che l’assenza di pronunciamento in 120/210 giorni equivale all’accoglimento di tutte le soluzioni interpretative prospettate dall’investitore, vincolando il Fisco a quella visione. Considerata la complessità, è però raro che l’Agenzia lasci decorrere il termine senza rispondere: di norma fornisce un parere (anche articolato) entro il limite.

Effetti della risposta: La risposta dell’Agenzia alle istanze sui nuovi investimenti ha efficacia vincolante e di ampio respiro. In particolare:

  • Vincola l’amministrazione finanziaria in relazione all’intero piano di investimento descritto e nei confronti di tutti i soggetti coinvolti nel piano. Ciò è notevole: ad esempio, se il piano prevede una fusione tra A e B e poi un’acquisizione di C, la risposta varrà per A, B e C in quanto parti del piano, pur essendo stato presentato magari solo da A come investitore principale.
  • Ha efficacia fino a che restano invariate le circostanze di fatto e di diritto su cui si basa. Dunque copre anche gli anni successivi e le fasi attuative del piano, finché non cambi qualcosa di sostanziale (es. modifica normativa fiscale rilevante o modifiche sostanziali al progetto).
  • L’Agenzia non può revocare né modificare unilateralmente il contenuto del proprio parere (diversamente da quanto avviene con gli interpelli ordinari, dove teoricamente l’amministrazione potrebbe con successiva circolare mutare interpretazione con effetto solo pro futuro). In ambito nuovi investimenti è stabilito che non c’è spazio per “rettifiche della soluzione interpretativa” da parte del Fisco con riferimento al piano approvato, se non per i comportamenti futuri estranei a quel perimetro. In pratica, viene offerta stabilità al ruling: il Fisco si spoglia dei poteri accertativi su quegli aspetti, avendoli esaminati a monte. Addirittura la norma prevede la nullità (o annullabilità, vedi sopra) di ogni atto impositivo o sanzionatorio emesso in difformità dal parere fornito.
  • La risposta, su richiesta del contribuente, può essere emanata anche in lingua inglese (utile per investitori esteri) come indicato dalla circolare 7/E/2023.

Relazione con altri istituti: L’interpello nuovi investimenti è concepito come distinto da altri strumenti di tax ruling internazionale già esistenti. In particolare, non rientrano in questa procedura:

  • Gli accordi preventivi per imprese con attività internazionale (APA su transfer pricing, ecc. ex art. 31-ter DPR 600/73) che seguono altra disciplina.
  • Il regime di adempimento collaborativo (cooperative compliance), che prevede un dialogo continuo e che di fatto rende superfluo l’interpello per i soggetti aderenti (infatti l’art. 11 esclude dal suo ambito gli aderenti all’adempimento collaborativo per le questioni coperte da tale regime).
  • Gli interpelli ordinari/probatori classici per questioni minori: l’Agenzia se riceve una istanza nuovi investimenti tende a far confluire tutte le domande in un unico procedimento. Un contribuente in cooperative compliance o in APA che abbia anche un nuovo investimento dovrà coordinare le procedure per evitare sovrapposizioni.

Esempio pratico: Un caso tipico è quello di un investitore estero. Ad esempio, la multinazionale TechCorp Inc. (non residente) intende aprire in Italia un importante centro di ricerca e uno stabilimento produttivo, investendo circa €50 milioni e prevedendo 200 nuove assunzioni nei prossimi 3 anni. L’operazione comporterà:

  • La costituzione di una società italiana (Newco Italia).
  • L’acquisizione di un ramo d’azienda tecnologico da una società italiana esistente.
  • Ingenti acquisti di macchinari con possibili crediti d’imposta industria 4.0.
  • Richiesta di applicazione di regimi speciali (forse Patent box, o incentivo Sud).
  • Trasferimento in Italia di alcuni manager stranieri (impatriati).

Per TechCorp ci sono svariate incognite fiscali: tassazione dell’acquisizione (IVA, registro), fruizione dei crediti d’imposta, stabile organizzazione di TechCorp (vuole usare Newco per evitare una branch, ma verifica), Transfer pricing nelle commesse infragruppo, etc. Invece di frammentare i quesiti, TechCorp (tramite Newco Italia una volta costituita, o anche direttamente se prevista procedura ad hoc) presenta un interpello sui nuovi investimenti illustrando il progetto complessivo e ponendo all’Agenzia una serie di quesiti correlati. Nella domanda espone anche le proiezioni di gettito fiscale aggiuntivo e impatto occupazionale come da prassi richiesta.

L’Agenzia delle Entrate esamina il piano, coinvolgendo eventualmente la Direzione Regionale ove sorgerà lo stabilimento e altre unità competenti, e dopo un’interlocuzione (possono esserci incontri, richieste di integrazioni) risponde entro 4 mesi. Risposta: ad esempio:

  • Conferma che l’acquisizione del ramo d’azienda sarà soggetta a imposta di registro 0.5% (come da prassi) ma non configura cessione di azienda ai fini delle imposte sui redditi (la neutralità dipende dall’interpretazione data).
  • Attesta che Newco Italia non sarà considerata una stabile organizzazione di TechCorp estera (evitando doppie imposizioni) data l’autonoma personalità giuridica e struttura decisionale locale.
  • Approva l’accesso di Newco ai crediti d’imposta previsti per i macchinari in base al piano presentato.
  • Valuta non abusiva l’intera operazione di investimento e non anti-economici i contratti infragruppo previsti, se rispettate certe condizioni di mercato.
  • Eventualmente disapplica per iscritto qualche norma antielusiva se applicabile (es: esclude che l’acquisizione del ramo configuri abuso di diritto ai fini del registro).

Con questo “tax ruling” in mano, TechCorp ha piena visibilità dei costi fiscali e del regime fiscale applicabile all’investimento. Il parere vincolante la tutela da eventuali cambi di orientamento del Fisco durante l’implementazione del progetto, a meno di cambi normativi. Questo vantaggio riduce fortemente il tax risk associato a progetti di larga scala, ed è perciò un elemento di attrattività dell’Italia per investimenti esteri (sul modello di altri paesi come Olanda, Lussemburgo, ecc., noti per offrire rulings anticipati).

Aggiornamenti recenti: Con la circolare 7/E del 28 marzo 2023 l’Agenzia ha fornito vari chiarimenti sul funzionamento pratico dell’interpello nuovi investimenti, a 7 anni dalla sua introduzione. Tra i punti salienti:

  • Conferma della soglia minima a 15 milioni di euro per le istanze dal 2023.
  • Precisazioni sulla definizione di “investimento” e sull’ammissibilità di vari tipi di progetti (ad esempio chiarendo che il concetto è ampio e include anche investimenti immateriali, riorganizzazioni, ecc., purché con effetti durevoli).
  • Indicazioni sui “tempi della risposta”, ribadendo 120+90 giorni e introducendo la possibilità di risposte parziali su singoli quesiti se la complessità lo consente, fermo restando il termine finale per tutti i quesiti. Ad esempio, l’Agenzia potrebbe rispondere subito ad alcuni aspetti (es. conferma di non stabile organizzazione) e prendersi più tempo (entro i 210 gg totali) per altri aspetti più complessi, per non ritardare inutilmente tutto il parere.
  • Richiamo all’importanza di allegare un business plan dettagliato con evidenza anche degli effetti positivi in termini di gettito sul sistema fiscale italiano (questo serve all’Agenzia anche per valutare l’impatto complessivo e motivare il proprio eventuale assenso con ragioni di convenienza generale).
  • Suggerimento, come già detto, di evitare istanze premature: se il piano non è sufficientemente delineato, meglio attendere e presentare un interpello più completo e consapevole.

In conclusione, l’interpello sui nuovi investimenti si configura come uno strumento di alto livello nel panorama fiscale italiano, usabile da imprese di grandi dimensioni come elemento di tax certainty su progetti strategici. Data la sua natura eccezionale (importi elevati, coinvolgimento di vari uffici), è relativamente poco frequente, ma ha un impatto notevole sui casi in cui viene applicato. Ad esempio, diverse multinazionali negli ultimi anni hanno utilizzato questo ruling per insediamenti di fabbriche o centri di ricerca in Italia, con successo. Nel contempo, la soglia ridotta a 15 milioni potrebbe vedere aumentare il numero di istanze presentate anche da medie aziende italiane che pianificano investimenti industriali importanti (es. un’azienda italiana che investe 20 milioni in un nuovo stabilimento nel Mezzogiorno potrebbe volere conferma su credito d’imposta Sud, regole ZES, cumulo incentivi, ecc. tramite interpello nuovi investimenti).

Procedura di presentazione delle istanze di interpello

In questa sezione approfondiamo gli aspetti procedurali comuni a tutte (o quasi) le tipologie di interpello, fornendo istruzioni pratiche su come predisporre e inviare un’istanza, nonché su come si svolge l’iter e quali sono le possibili decisioni dell’Amministrazione.

Requisiti formali e contenuto dell’istanza

L’istanza di interpello deve essere presentata in forma scritta e contenere obbligatoriamente una serie di elementi indicati dalla legge e dal Provvedimento attuativo del 2016. In particolare, pena l’inammissibilità, occorre indicare:

  • Dati identificativi del richiedente: per persone fisiche, nome, cognome, codice fiscale e domicilio fiscale; per società o enti, denominazione, codice fiscale/partita IVA, sede legale e dati del legale rappresentante. Se l’istanza è presentata da un rappresentante (es. avvocato o commercialista delegato), andranno indicati anche i dati di quest’ultimo e allegata la procura (semplice, anche in copia) o atto equivalente che ne attesti i poteri.
  • Tipologia di interpello: l’istante deve specificare quale tipo di interpello sta proponendo (ordinario, probatorio, anti-abuso, disapplicativo, nuovi investimenti). Questo è importante perché l’Agenzia possa instradare l’istanza all’ufficio competente e applicare le regole relative. Ad esempio, un interpello anti-abuso verrà trattato dalla Direzione regionale con eventuale supporto centrale su abuso del diritto, un interpello nuovi investimenti sarà di competenza centrale Divisione Contribuenti. Il Provv. 2016 invita a indicare nell’oggetto la norma di riferimento (“Istanza di interpello ex art. 11, legge 212/2000, tipologia …”).
  • Descrizione dettagliata della fattispecie concreta: questa è la parte cruciale. Il contribuente deve esporre in modo chiaro e completo i fatti e le circostanze oggetto del quesito. Occorre descrivere cosa è accaduto o si intende fare, quando, con chi, e ogni altro elemento rilevante. È fondamentale che i fatti siano presentati in modo veritiero e completo: la risposta dell’Agenzia vincola solo in quanto i fatti posti a base dell’istanza corrispondono al vero. Se emergono in seguito difformità o omissioni significative, la risposta può perdere efficacia. Ad esempio, se ometto di riferire un elemento che cambierebbe la qualificazione fiscale, il parere ottenuto potrebbe non proteggermi.
  • Indicazione della norma tributaria di cui si richiede l’interpretazione o l’applicazione: bisogna citare gli articoli di legge o le disposizioni oggetto di dubbio. Ad esempio: “art. 19 del DPR 633/72 (detrazione IVA)”, oppure “art. 10-bis L.212/2000 (abuso del diritto)”, oppure “art. 30 L.724/94 (società non operative)”. Questo perché l’ufficio possa inquadrare giuridicamente il quesito.
  • Il quesito specifico e la soluzione interpretativa proposta dal contribuente: l’istanza non è solo domanda, ma anche proposta di soluzione. Il contribuente deve esplicitare qual è la propria tesi. Ad esempio: “Si chiede di sapere se la cessione oggetto di istanza rientri nel regime d’esenzione art. 10 DPR 633/72. L’istante ritiene di sì, in quanto… (segue motivazione)”. Oppure: “L’istante ritiene che l’operazione descritta non costituisca abuso del diritto ai sensi dell’art.10-bis, in quanto supportata dalle seguenti valide ragioni economiche…”. Questa parte è fondamentale perché il silenzio-assenso opera sulla soluzione interpretativa prospettata dal contribuente. Quindi se il contribuente non prospetta una soluzione chiara, non vi è una base su cui possa formarsi l’assenso implicito.
  • Dichiarazione sull’assenza di situazioni preclusive: bisogna dichiarare che sulla questione oggetto di interpello non è pendente un procedimento di accertamento o contenzioso. In pratica, che il contribuente non ha ricevuto, per gli stessi fatti e norme, atti dell’Agenzia (come un processo verbale di constatazione – PVC, avvisi di accertamento, etc.) e che non ha in corso ricorsi o controversie su di essi. Questa auto-dichiarazione serve a garantire che l’interpello resti uno strumento preventivo e non sia usato strumentalmente durante controlli già avviati (in tal caso, semmai la sede è il contraddittorio con l’ufficio o il ricorso).
  • Documenti allegati: eventuali allegati che si vogliono fornire (es. contratti, bilanci, perizie). Non è obbligatorio allegare documenti, ma spesso è opportuno. Per interpelli probatori/disapplicativi, la documentazione probatoria è essenziale (ad esempio bilanci degli ultimi anni per società di comodo, contratti di affitto, etc.). Per interpelli nuovi investimenti, si richiede esplicitamente un business plan dettagliato e analisi degli effetti economici e fiscali del piano. Tutti gli allegati vanno elencati nell’istanza.
  • Firma: l’istanza deve essere datata e sottoscritta. Se inviata via PEC, è sufficiente la scansione del cartaceo firmato o la firma digitale. Se inviata da un rappresentante, la firma di quest’ultimo e come detto la procura.

Uno schema semplificato di struttura potrebbe essere:

Oggetto: Istanza di interpello ai sensi dell’art. 11, L. 212/2000 – [tipologia] – [sintesi quesito]
Istante: … (dati)
Autorità competente: … (Direzione regionale … / Divisione Contribuenti AE)
Descrizione della fattispecie: … (illustrare dettagliatamente i fatti)
Quesito e norme rilevanti: … (indicare le disposizioni tributarie di cui si richiede interpretazione/applicazione)
Soluzione interpretativa proposta: … (spiegare l’interpretazione del contribuente e perché la ritiene corretta)
Assenza di situazioni preclusive: … (dichiarare che non vi sono accertamenti, cause in corso, etc.)
Documenti allegati: … (lista)
Luogo, data, firma.

Modalità di invio: Oggi il canale ordinario è la PEC (Posta Elettronica Certificata). Il Provvedimento 2018 ha istituito caselle PEC dedicate per l’invio centralizzato di determinate istanze. In generale:

  • Per interpelli ordinari, probatori, anti-abuso e disapplicativi presentati da contribuenti non grandi e non in regime di cooperative compliance, l’istanza va inviata alla Direzione Regionale dell’Agenzia delle Entrate competente in base al domicilio fiscale dell’istante (solitamente la regione dove ha sede la società o residenza la persona). Sul sito dell’Agenzia vi è l’elenco di tutte le PEC delle Direzioni Regionali per gli interpelli. Ad esempio: un contribuente lombardo invierà a dr.lombardia.interpello@pec.agenziaentrate.it, uno laziale a dr.lazio.interpello@pec…, etc.
  • Ci sono casi in cui l’istanza va all’ufficio centrale Divisione Contribuenti (PEC interpello@pec.agenziaentrate.it): come da Provv. 1° marzo 2018, queste includono interpelli presentati da soggetti di più rilevante dimensione (grandi contribuenti, solitamente >100 milioni di ricavi, tipicamente seguiti da Direzioni Large Taxpayers), da non residenti senza stabile organizzazione in Italia, da Amministrazioni centrali o Enti pubblici nazionali, nonché gli interpelli nuovi investimenti e quelli dei soggetti in adempimento collaborativo. In pratica, tutte queste categorie vengono accentrate alla Divisione Contribuenti per la risposta.
  • In mancanza di PEC, l’istanza può essere presentata in forma cartacea tramite raccomandata A/R o consegna a mano presso l’ufficio protocollo della Direzione competente (che ne rilascia ricevuta). Tuttavia, dato che la PEC garantisce data certa e tracciabilità e velocità, è fortemente preferibile.
  • Ogni istanza dovrebbe essere singola per questione: se un contribuente ha più quesiti distinti, dovrebbe presentare istanze separate, salvo che siano strettamente connessi (ad esempio un interpello nuovi investimenti include per definizione più profili, ma è unico). È anche vietato presentare interpelli reiterativi: se ho già ottenuto risposta su un tema, non posso tornare a chiedere sullo stesso identico punto a meno di nuovi elementi.

Contributo per la presentazione: Al momento di redigere questa guida (maggio 2025) non è ancora materialmente richiesto alcun pagamento per inviare un interpello. Tuttavia, una importante novità normativa è all’orizzonte: il D.Lgs. 219/2023 ha introdotto il principio che “la presentazione dell’istanza di interpello è subordinata al versamento di un contributo”, destinato a finanziare la formazione del personale delle agenzie fiscali. La misura e le modalità di pagamento di tale contributo devono essere stabilite da un decreto del MEF, modulandole in base al tipo di contribuente, al volume d’affari e alla complessità della questione. Ad oggi questo decreto attuativo non è stato ancora emanato (il che ha creato qualche incertezza nel periodo immediatamente successivo all’entrata in vigore della norma, a gennaio 2024, su come comportarsi). L’Agenzia delle Entrate ha chiarito nelle prime settimane del 2024 che, fino all’emissione del decreto, le istanze di interpello continuano ad essere accettate senza contributo e non saranno dichiarate inammissibili per mancato pagamento. Si prevede che nel corso del 2025 tale decreto venga pubblicato, introducendo di fatto un interpello a pagamento. Ciò costituirà un cambiamento significativo: bisognerà allegare la prova di versamento del contributo all’istanza. Probabilmente l’importo varierà (si vocifera da poche centinaia di euro per persone fisiche a importi più alti per grandi società, ma aspettiamo dettagli).

Accanto a ciò, il legislatore delegato ha previsto un’altra misura destinata ai “piccoli contribuenti” (persone fisiche e società minori in contabilità semplificata): per loro l’accesso all’interpello sarà condizionato all’aver prima utilizzato un servizio di “consultazione semplificata” messo a disposizione dall’Agenzia. In pratica, verrà creata una banca dati online con documenti di prassi e interpretazioni, potenziata da strumenti di ricerca avanzata e intelligenza artificiale, che il contribuente dovrà consultare; se non troverà risposta al suo dubbio neanche lì, allora potrà presentare interpello. Questo per evitare l’afflusso di quesiti su questioni già chiarite, specie da parte di contribuenti non assistiti da professionisti. Questa novità è stata confermata in uno schema di decreto attuativo approvato dal Governo a fine 2023, ma richiederà del tempo per diventare operativa, dovendo implementare la piattaforma tecnologica. Dunque nel 2025 è ancora in fase preparatoria, ma conviene esserne consapevoli: in futuro, per una piccola impresa o un privato, l’interpello potrà richiedere di aver consultato prima questo database (e, aggiungiamo, per loro forse il contributo economico sarà più basso o azzerato se seguono la via della consultazione semplificata).

Iter istruttorio e risposta dell’Amministrazione

Una volta presentata l’istanza, questa viene protocollata dall’ufficio competente (DR regionale o Divisione centrale). Da quel momento decorrono i termini per la risposta (90 o 120 giorni a seconda dei casi, con le sospensioni previste). Ecco cosa può accadere durante l’iter:

  • Richiesta di documentazione integrativa: L’ufficio, se ritiene che manchino elementi per decidere, può inviare (sempre via PEC o raccomandata) al contribuente una richiesta di integrazione documentale o di chiarimenti. Ciò è molto comune. Ad esempio, chiede: “fornire copia del contratto oggetto di interpello”, oppure “spiegare meglio la voce di bilancio X citata”, etc. Quando viene formulata tale richiesta, i termini di risposta si sospendono fino a che il contribuente non ottempera, fornendo quanto richiesto. La normativa di riferimento (art. 4 D.Lgs. 156/2015) prevedeva che se la documentazione integrativa non veniva prodotta entro 1 anno, l’istanza si considerava rinunciata. In pratica, il contribuente ha tempo massimo un anno per rispondere, ma è buona norma farlo il prima possibile. Dopo l’invio della documentazione integrativa, il termine di 90 giorni per la risposta riprende a decorrere (alcuni interpretano che riparta ex novo, altri che riprenda dal punto in cui si era fermato: la circolare 9/E parlava di riinizio del termine in caso di integrazione fornita oltre 60 giorni dalla richiesta, e di residuo termine se fornita prima: non entriamo nei dettagli, in genere l’ufficio si tiene comunque 90 giorni dal ricevimento di tutte le integrazioni).
  • Eventuale interlocuzione informale: Soprattutto per interpelli complessi (es. nuovi investimenti, anti-abuso, probatori su grosse operazioni), l’ufficio può invitare l’istante a incontri o call per discutere i punti. Questo non è formalizzato nella legge, ma rientra nella prassi di collaborazione (specie in regime di cooperative compliance). Può aiutare a chiarire aspetti e a far emergere eventuali soluzioni concordate. Atti di questi incontri possono essere verbalizzati.
  • Coinvolgimento di altre strutture: per alcuni interpelli l’ufficio competente deve sentire un parere di altre amministrazioni. Ad esempio, interpello su crediti d’imposta cofinanziati UE potrebbe richiedere parere del MISE, o su agevolazioni regionali il parere della Regione. In tali casi, la normativa prevede che la richiesta di parere ad altra amministrazione sospende il termine fino a risposta della stessa, e comunque per non più di 60 giorni. Se l’altro ente non risponde entro 60 giorni, l’Agenzia procede comunque a rispondere all’istante nei successivi 30 giorni. Questo meccanismo serve a non bloccare indefinitamente l’interpello per colpa di terzi.
  • Esame giuridico: la Direzione che tratta l’interpello effettua l’analisi giuridica. Può consultare la propria divisione legale o le banche dati di prassi e giurisprudenza (lo fa internamente, ma in realtà oggi l’analisi è supportata da strumenti – anche la citata piattaforma semplificata sarà in primis usata dagli stessi funzionari). Per questioni nuove, può anche interpellare a sua volta la Direzione Centrale Normativa per un coordinamento (ciò succede spesso: la DC Normativa fornisce indirizzi per risposte uniformi su temi di portata generale).
  • Esito – tipologie di risposta: Entro la scadenza, l’ufficio emette un provvedimento in forma scritta e motivata, che viene notificato o comunicato al contribuente (di solito via PEC, più raramente via raccomandata). Il provvedimento potrà essere:
    • Risposta favorevole (condivisone della soluzione): l’Agenzia comunica che la soluzione prospettata dall’istante è corretta. In tal caso spesso la risposta è sintetica: “Si concorda con la soluzione interpretativa proposta” e viene magari riportata la motivazione richiamando i punti chiave.
    • Risposta sfavorevole (difforme): l’Agenzia non condivide la tesi del contribuente e fornisce la propria soluzione. Esempio: l’istante chiedeva se un provento fosse esente, l’Agenzia risponde che invece è imponibile e spiega perché. Queste risposte sono tipicamente più lunghe, perché devono argomentare la diversa interpretazione e citare norme, circolari, sentenze a supporto.
    • Risposta interlocutoria o parziale: a volte l’Agenzia fornisce una risposta limitata e dichiara di non poter rispondere ad altri aspetti. Questo capita se l’istanza conteneva più quesiti, magari uno ammissibile e uno no. In tal caso dichiarerà inammissibile o non trattabile uno, e risponderà sull’altro. Oppure, come da circolare recente, può rispondere ad alcuni quesiti e precisare che per gli altri la risposta seguirà (purché comunque entro i termini complessivi). Ogni parte evasa va motivata.
    • Comunicazione di inammissibilità: questa in senso tecnico non è una “risposta nel merito”, ma una presa d’atto che l’istanza non può essere accolta a livello procedurale. L’ufficio emanerà una breve comunicazione in cui dichiara l’interpello inammissibile, specificandone la ragione (ad es. “perché verte su questione su cui esistono già chiarimenti ufficiali – circolare X del…”, oppure “perché presentato oltre i termini previsti dall’art.2 co.2 D.Lgs.156/2015”, o ancora “perché l’istante risulta già destinatario di PVC su tale materia”). In tal caso, non essendoci esame di merito, non si produce alcun effetto vincolante né silenzio-assenso. Anzi, la comunicazione di inammissibilità viene solitamente inviata entro 30 giorni proprio per chiudere subito il procedimento, evitando il decorso dei 90 giorni che darebbe silenzio-assenso. Ad esempio, un interpello su materia chiarita da circolare verrà rigettato come inammissibile; il contribuente dovrà rifarsi alla circolare per la soluzione.
    • Silenzio (assenza di risposta): se l’ufficio non trasmette nulla entro i termini, scatta come visto l’assenso implicito. Questo scenario però l’amministrazione cerca di evitarlo accuratamente: preferisce emettere anche solo una nota di proroga o richiesta piuttosto che far maturare il silenzio. In ogni caso, il contribuente prudentemente può, decorso il termine, inviare magari una PEC di sollecito e di constatation del silenzio-assenso, per avere traccia.

L’Agenzia ha l’obbligo di redigere risposte motivate. In genere le risposte di interpello (eccetto alcuni disapplicativi o probatori molto “standard”) sono pubblicate in forma anonima sul sito dell’Agenzia (nelle raccolte di “risposte ad interpello” suddivise per anno e numero). Dal 2018 infatti l’Agenzia numerotta e pubblica tutte le risposte ad interpello di interesse generale, per diffondere la conoscenza (ad esempio “Risposta n. 100/2025: Trattamento fiscale di X…”). Questo crea un corpo di prassi consultabile da chiunque, e riduce anche la presentazione di interpelli su questioni analoghe già chiarite per altri.

È importante sottolineare che la risposta, se comunicata oltre la scadenza, formalmente non evita il silenzio-assenso. Cioè, se l’Agenzia risponde il 100° giorno (supponendo termine 90gg) dandovi torto, quella risposta è tardiva e dunque, secondo la legge, il silenzio-assenso a 90gg ha già approvato la vostra soluzione. In tal caso l’atto impositivo difforme sarebbe annullabile. Tuttavia, situazioni del genere sono rare e delicate: potrebbe doverle far valere un giudice. La Cassazione in alcuni casi di epoca precedente ha considerato “legittimo l’accertamento anche se la risposta fu tardiva, non essendoci silenzio-assenso”, ma si trattava di interpelli dove la legge non prevedeva silenzio-assenso (vecchi disapplicativi). Oggi se capitasse, la norma essendo chiara sul silenzio, la tardiva risposta non comunicata entro i termini equivale ad atto emanato fuori tempo. Il contribuente in tali casi può eccepire l’intervenuto assenso tacito e quindi l’inopponibilità della risposta tardiva.

Cause di inammissibilità e casi particolari

Non tutte le richieste possono essere accettate dall’Agenzia: vi sono vari casi di inammissibilità dell’istanza di interpello, alcuni generali, altri specifici per tipo. Le principali cause (alcune già accennate) sono:

  • Istanza priva degli elementi essenziali: se manca anche uno solo degli elementi richiesti (descrizione del caso, indicazione norme, soluzione proposta, firma), l’istanza è irregolare. L’ufficio in pratica può chiedere integrazione (ad es. se manca firma digitale, chiedono conferma) oppure dichiararla inammissibile.
  • Questione già risolta da prassi o circolari: come detto, se esiste una risoluzione o circolare che affronta un caso corrispondente a quello prospettato, non c’è incertezza oggettiva. Ad esempio, presentare interpello ordinario per chiedere qualcosa su cui c’è già una circolare esplicativa è inammissibile. L’ufficio risponderà “inammissibile ai sensi dell’art. 11 co.4, l’amministrazione ha già fornito soluzione con circolare …, che risulta applicabile al caso in esame” e magari allegherà copia della circolare.
  • Quesiti generici o ipotetici: l’interpello deve riguardare un caso concreto e personale. Non sono ammesse domande teoriche (“si chiede di conoscere l’interpretazione generale della norma X”) né quesiti formulati in via del tutto astratta senza riferimenti personali. L’ufficio pretende di vedere che il caso riguarda quell’istante. Se così non fosse, c’è uno strumento diverso chiamato “consulenza giuridica”, attraverso cui ad esempio associazioni di categoria possono porre quesiti generali. Ma non è vincolante come l’interpello.
  • Interessi di importo esiguo o questioni minimali: questa non è una causa formale, ma con la riforma 2023-24 si sta cercando di scoraggiare interpelli su questioni bagatellari. Da qui la consultazione semplificata per piccoli contribuenti: se la soluzione era facilmente trovabile, l’istanza potrebbe essere non presa in carico. In futuro, se uno non consulta la banca dati, l’interpello sarà dichiarato inammissibile per difetto di tale condizione (quando la norma lo prevedrà espressamente).
  • Istanza tardiva (per interpelli con scadenza): in particolare per l’interpello disapplicativo, se presentato oltre il termine della dichiarazione relativa al periodo d’imposta, è tardivo e quindi inammissibile. Ad esempio, chiedere nel 2023 la disapplicazione per il 2021 (dichiarazione 2022 già fatta) non ha senso. L’ufficio rigetta: l’azione doveva essere fatta prima.
  • Pendenza di accertamenti o cause: se il contribuente ha ricevuto un processo verbale di constatazione (PVC) su quell’argomento o un avviso di accertamento o altro atto impositivo, non può presentare interpello sullo stesso oggetto. Similmente se ha già un ricorso pendente. Queste situazioni rendono l’istanza inammissibile perché non preventiva. Ad esempio, un contribuente verifica da un PVC che l’Agenzia gli contesta una certa operazione: non può a quel punto correre a fare interpello per farsela “avallare”; deve semmai discutere nell’accertamento.
  • Istanza su materia non di competenza dell’Agenzia delle Entrate: l’art. 11 copre tributi amministrati dall’Agenzia Entrate. Non è utilizzabile per, ad esempio, tributi doganali (per cui c’è l’interpello doganale ex art. 11, co.5 DLgs 374/90 presso l’Agenzia Dogane e Monopoli) o contributi previdenziali, etc. Ogni ente ha i suoi eventuali interpelli (es. Ministero Lavoro per interpello in diritto del lavoro). Quindi se arriva all’AdE un interpello su materie non sue, sarà inammissibile per incompetenza. L’ufficio a volte reindirizza il contribuente all’ente corretto.
  • Oggetto non sufficientemente determinato: se il quesito è eccessivamente vago o non delimitato, l’ufficio potrebbe dichiarare inammissibile per indeterminatezza. Ad esempio: “chiedo conferma che la mia società è in regola con tutte le norme fiscali” – è ovviamente inadmissibile. L’interpello deve essere specifico.

Quando l’Agenzia dichiara inammissibile un interpello, come detto, solitamente lo fa con una risposta formale rapida. Tale comunicazione di inammissibilità non è impugnabile (perché non decide sul merito e non incide sul rapporto tributario, è come una presa d’atto). Il contribuente in tali casi rimane senza un parere ufficiale e dovrà valutare da solo o con consulenti come procedere, eventualmente prendendosi il rischio o cercando nei documenti di prassi esistenti.

Vincolatività della risposta e suoi limiti

Quando l’Agenzia rilascia la risposta (esplicita o implicita) ad un interpello, questa ha una forza vincolante per l’Amministrazione stessa. Come recita l’art. 11, “La risposta, scritta e motivata, vincola ogni organo dell’amministrazione finanziaria con esclusivo riferimento alla questione oggetto dell’istanza e limitatamente al richiedente”. Questo è un caposaldo: la PA deve mantenere fede a quanto ha detto. In pratica:

  • Vincolo soggettivo: vale solo per il contribuente che ha presentato l’interpello (identificato con codice fiscale nell’istanza) e non ad altri contribuenti, neppure se si trovano in una situazione identica. Quindi, non è possibile “estendere” automaticamente il parere ad altri: se un altro soggetto vuole la stessa conferma, deve presentare a sua volta interpello (oppure può confidare che l’Agenzia applichi lo stesso criterio come prassi, ma giuridicamente non è vincolata verso terzi). Fa eccezione il caso dei nuovi investimenti, come visto, dove la risposta vincola anche verso soggetti espressamente coinvolti nel piano.
  • Vincolo oggettivo: vale solo per la questione specifica esaminata. Non protegge il contribuente su questioni diverse o ulteriori non trattate. Se nell’istanza per esempio ho chiesto della deducibilità fiscale di un certo costo e l’Agenzia mi dice che è deducibile, non è che con quell’interpello sono autorizzato su qualsiasi altra questione fiscale: la protezione giuridica copre esclusivamente quel punto (deducibilità di quel costo). Questo implica che se l’operazione o il caso presentato ha molteplici implicazioni fiscali, conviene esplicitarle tutte nell’istanza per ricevere un parere completo. Altrimenti il Fisco potrà su aspetti non richiesti intervenire successivamente.
  • Vincolo temporale: il vincolo perdura finché i fatti rimangono quelli descritti e le norme non cambiano. Se il contribuente poi mette in atto l’operazione con modifiche sostanziali rispetto a quanto rappresentato, il parere potrebbe non essere più applicabile. Ad esempio, interpello anti-abuso su una certa struttura societaria e poi nella realtà la struttura implementata differisce materialmente: la risposta potrebbe non coprire la nuova situazione. Inoltre, se intervengono novità legislative o pronunciamenti di rango superiore (Corte di Giustizia UE, Corte Costituzionale) che modificano il quadro, la risposta dell’interpello non può prevalere su di essi. L’art. 11, comma 3, prevede che l’amministrazione possa rettificare la soluzione interpretativa data, con effetto solo per il futuro. Significa che l’Agenzia potrebbe pubblicare successivamente (es. con circolare) un orientamento diverso: in tal caso, i comportamenti futuri del contribuente saranno soggetti alla nuova interpretazione, ma quelli pregressi coperti dall’interpello restano tutelati. Questa rettifica infatti non ha effetto retroattivo. Ad esempio, ottengo interpello nel 2022 che mi dice A, nel 2024 l’Agenzia con circolare dice su casi analoghi B (diverso): io fino al 2024 sto tranquillo con A, dal 2024 in poi se ripeto l’operazione so che l’Agenzia ora la vede in altro modo e potrei non essere più protetto (la circolare rappresenta la “valenza esclusivamente per gli eventuali comportamenti futuri dell’istante” di cui al comma 3 art.11). Questo in teoria; nella pratica casi di “cambio di interpretazione” tali da smentire interpelli dati sono pochi.
  • Vincolo per uffici dell’amministrazione finanziaria: la risposta obbliga tutti gli uffici delle Entrate (e anche dell’eventuale Guardia di Finanza delegata ad accertamenti sui tributi erariali) a rispettarla. Quindi l’ufficio territoriale o la Direzione controlli che effettueranno verifiche, devono adeguarsi. Se emettessero un atto (avviso di accertamento, cartella, provvedimento) in difformità dalla risposta – sia essa esplicita o tacita – l’atto è annullabile su ricorso del contribuente. Non è automaticamente nullo, come precisato di recente, ma comunque il giudice dovrà dichiararlo illegittimo se il contribuente eccepisce la difformità. Di solito, appena si segnala l’esistenza di un interpello favorevole, l’ufficio desist e annulla in autotutela l’eventuale atto erroneamente emesso.
  • Non vincola il contribuente (di regola): paradossalmente, se la risposta è favorevole, il contribuente potrebbe anche decidere di non avvalersene. Ad esempio se cambiano convenienze economiche. Oppure se è negativa, il contribuente – come visto – potrebbe anche disattenderla (a suo rischio). Il contribuente non è giuridicamente obbligato a seguire il parere (non c’è una sanzione per “condotta difforme da interpello” di per sé). Ovviamente però, se se ne discosta e quell’interpello era l’unica cosa che lo proteggeva, resta scoperto. Solo negli interpelli disapplicativi c’era in passato l’idea che il contribuente dovesse attendere l’esito e uniformarsi: ma anche lì, in teoria uno potrebbe ignorare il diniego e poi litigare (anche se comporta come detto rischi elevati). Quindi, il vincolo è a carico del Fisco, non del contribuente. Eccezione sono i casi come i nuovi investimenti dove il contribuente di solito ha interesse a far tutto come concordato, perché se deviasse, la risposta potrebbe non valere più.
  • Tutela della buona fede del contribuente: a margine, segnaliamo che l’art. 10, comma 2, dello Statuto del Contribuente dispone che al contribuente non possono essere irrogate sanzioni né richiesti interessi moratori se egli ha posto in essere il comportamento in conformità ad una risposta ad interpello ottenuta (o comunque alle indicazioni contenute in atti dell’Amministrazione). Questa è una garanzia in più: non solo l’atto difforme è annullabile, ma in ogni caso la buona fede del contribuente che si è fidato del Fisco lo mette al riparo da sanzioni. Addirittura, se un contribuente non aveva presentato interpello ma ha agito seguendo una circolare che poi cambia, anche lì niente sanzioni in virtù dell’affidamento.

In sintesi, la risposta all’interpello ha quasi la natura di un contratto unilaterale: il Fisco “promette” di comportarsi in un certo modo e deve mantenere la parola. Ciò non toglie che possano innescarsi controversie interpretative su cosa esattamente coprisse la risposta o se i fatti corrispondano. Ma nella maggior parte dei casi, l’interpello risolve alla radice il problema e quell’argomento non sarà fonte di contenzioso. L’istituto persegue proprio questo: ridurre il contenzioso tributario ex post, spostando la discussione a un momento preventivo dove si collabora per chiarire.

Domande frequenti (FAQ)

Di seguito, una serie di domande comuni sull’istituto dell’interpello e le relative risposte sintetiche, utili per dissipare i dubbi pratici più ricorrenti:

  • D: L’interpello è obbligatorio?
    R: Nella maggior parte dei casi no, è facoltativo. Il contribuente può decidere di presentarlo o meno. Fa eccezione l’interpello disapplicativo, che di fatto è obbligatorio se si vuole ottenere la disapplicazione di certe norme antielusive: senza interpello, quelle norme restano applicabili e il contribuente non può autonomamente ignorarle. Ad esempio, una società di comodo senza interpello non può evitare la tassazione minima. Negli altri casi (ordinario, probatorio, anti-abuso, nuovi investimenti) l’interpello è uno strumento a disposizione, non un obbligo giuridico.
  • D: Cosa succede se l’Agenzia delle Entrate non risponde entro il termine?
    R: Si forma il silenzio-assenso, ossia il silenzio dell’Amministrazione equivale a accoglimento della soluzione interpretativa prospettata dal contribuente. In pratica, la tesi esposta nell’istanza si considera approvata e vincolante per il Fisco come se avesse risposto positivamente. Questo avviene decorso il 90° giorno (per gli interpelli ordinari, probatori, anti-abuso, disapplicativi) o il 120° giorno (per interpello nuovi investimenti) dalla presentazione, tenendo conto di eventuali sospensioni (es. il mese di agosto, o periodi di richiesta integrazioni). Il silenzio-assenso tutela il contribuente dall’inerzia: qualsiasi atto impositivo successivo in contrasto con la soluzione accolta tacitamente sarà annullabile. Va detto che l’Agenzia cerca sempre di evitare il silenzio-assenso rispondendo nei termini o dichiarando inammissibile l’istanza se del caso.
  • D: La risposta dell’Agenzia è vincolante anche per il contribuente?
    R:No, la risposta vincola esclusivamente l’Amministrazione finanziaria. Il contribuente non è formalmente obbligato a seguire il parere ricevuto. Ovviamente, se la risposta è a lui favorevole, avrà tutto l’interesse a uniformarsi (per godere della protezione che essa comporta). Se invece la risposta è negativa (cioè l’Agenzia non concorda con la sua tesi), il contribuente ha due strade:
    1. Adeguarsi a quanto prescritto dall’Agenzia, evitando così futuri problemi;
    2. Non adeguarsi e mantenere il comportamento che ritiene corretto: in tal caso, però, dovrà essere pronto ad affrontare un accertamento e a contestarlo in contenzioso, poiché il parere contrario preannuncia la posizione del Fisco. La scelta di discostarsi da una risposta sfavorevole è quindi rischiosa ed è generalmente sconsigliata, a meno che il contribuente sia fortemente convinto della propria ragione e voglia far valere le proprie argomentazioni in giudizio (magari portando nuovi elementi non considerati nell’interpello).
  • D: Posso impugnare (fare ricorso contro) la risposta ad un interpello se non sono d’accordo?
    R: In generale no. Le risposte alle istanze di interpello non rientrano tra gli atti impugnabili elencati nell’art. 19 del DLgs 546/1992, in quanto non sono provvedimenti impositivi ma pareri. Dunque, non è ammesso ricorso diretto contro una risposta negativa dell’Agenzia (né contro una dichiarazione di inammissibilità). L’unica eccezione riguarda gli interpelli disapplicativi: la Corte di Cassazione ha riconosciuto che il diniego di disapplicazione di norma antielusiva costituisce in sostanza una pretesa tributaria specifica e immediata, e pertanto il contribuente ha facoltà di impugnarlo subito davanti alla Commissione Tributaria. Negli altri casi (ordinario, probatorio, anti-abuso), il contribuente potrà far valere le proprie ragioni solo impugnando l’eventuale atto di accertamento successivo emanato in difformità (ad esempio, se ha seguito la sua interpretazione nonostante il parere contrario). In sintesi: di norma non si può fare ricorso contro la risposta, salvo nel disapplicativo in cui la giurisprudenza lo consente (facoltativamente).
  • D: Quali sono i vantaggi pratici di un interpello?
    R: I vantaggi principali sono:
    1. Ottenere certezza sul trattamento fiscale di una situazione prima di adottare decisioni o comportamenti definitivi (evitando quindi sorprese a posteriori e sanzioni).
    2. Godere, in caso di risposta favorevole o di silenzio-assenso, di una tutela forte: il Fisco non potrà discostarsi da quanto concordato, e il contribuente è al riparo da accertamenti su quel punto.
    3. Anche in caso di risposta sfavorevole, l’interpello offre una sorta di “early warning”: il contribuente scopre anticipatamente la posizione dell’Agenzia e può scegliere di adeguarsi, evitando di incorrere in violazioni inconsapevolmente. In tal senso, l’interpello permette spesso di evitare un contenzioso che sarebbe sorto dopo (meglio sapere prima la posizione del Fisco che scoprirla con una cartella esattoriale).
    4. L’interpello sospende (per la questione oggetto) eventuali termini di decadenza per l’Amministrazione? Su questo c’è da chiarire: la legge dice che la presentazione dell’istanza non incide sulle scadenze tributarie né interrompe termini di decadenza o prescrizione. Quindi, attenzione: se devo fare un versamento, non è che presentando interpello ottengo una proroga di quel versamento. Devo comunque rispettare le scadenze (salvo che riesca a ottenere risposta prima e la risposta mi dica che non dovevo pagare, ma se arriva dopo, intanto il versamento andava fatto o quantomeno ravveduto). Quindi l’interpello non ferma le scadenze fiscali. Tuttavia, se c’è un dubbio serio, molti preferiscono presentare interpello e magari nel frattempo aderire all’interpretazione prudenziale (pagare le imposte come se valesse l’ipotesi sfavorevole) e poi, se l’interpello dà ragione al contribuente, correggere il tiro (chiedere rimborso, integrativa a favore, ecc.).
  • D: Quanto tempo prima occorre presentare l’interpello?
    R: Non c’è un termine fisso generale, ma va presentato con un congruo anticipo rispetto al momento in cui serve conoscerne l’esito. Considerando che l’Agenzia ha fino a 90 giorni (o 120) per rispondere, è consigliabile muoversi almeno 4 mesi prima dell’evento fiscale in questione. Ad esempio, se ho una scadenza fiscale a giugno e ho dubbi, meglio presentare interpello entro febbraio (per avere potenzialmente risposta entro maggio). Per gli interpelli disapplicativi vige il termine ultimo della dichiarazione annuale, come detto. Per interpelli anti-abuso, va presentato prima di porre in essere l’operazione dubitativa: presentarlo dopo averla realizzata vanifica il senso (in teoria se presentato dopo l’operazione potrebbe essere dichiarato inammissibile per carenza di preventività). Quindi in generale: il prima possibile, compatibilmente con l’avere in mano tutti gli elementi. Presentare troppo in anticipo su situazioni non mature può portare a risposte interlocutorie o inammissibilità per ipoteticità.
  • D: L’Agenzia può dare una risposta parziale o diversa dalla domanda?
    R: Sì, l’Agenzia risponde “in scienza e coscienza” a quanto ritenuto rilevante. Può succedere che l’Agenzia, nell’analizzare l’istanza, individui un profilo non considerato dal contribuente e lo tratti. Ad esempio, il contribuente chiede di una certa detrazione, e l’Agenzia risponde anche su un’altra implicazione fiscale del caso che ritiene collegata. In genere, però, la risposta rimane nell’alveo del quesito formulato. Se alcune parti del quesito non sono chiare o esulano dall’interpello (magari perché chiedono previsioni su normative future, o coinvolgono valutazioni di fatto che l’Agenzia non può fare), l’Agenzia lo dice e limita la risposta. Ad esempio: “non compete a questa Direzione esprimersi su aspetti valutativi non fiscali; per quanto concerne il quesito fiscale, si ritiene che…”. Oppure dichiara inammissibile in parte e ammissibile in parte.
  • D: Che differenza c’è tra interpello e consulenza giuridica?
    R: L’interpello riguarda un caso concreto e personale e sfocia in una risposta vincolante per quel contribuente. La consulenza giuridica, disciplinata da norme interne dell’Agenzia, consiste invece in quesiti di carattere generale posti da soggetti qualificati (ordini professionali, associazioni di categoria, enti pubblici su questioni generali) a cui l’Agenzia risponde in modo non vincolante ma pubblicamente, spesso tramite circolari o risoluzioni. Ad esempio, il Consiglio Nazionale dei Commercialisti può inviare una richiesta di consulenza giuridica all’Agenzia su un dubbio applicativo che riguarda molti contribuenti; l’Agenzia risponde con una risoluzione valida erga omnes (ma non “impegnativa” come un interpello, infatti se un contribuente poi agisce in contrasto con la risoluzione potrebbe subire contestazioni, anche se di norma la risoluzione crea prassi). Dunque l’interpello è personale e vincolante, la consulenza giuridica è generale e non vincolante (ma autorevole).
  • D: È possibile ritirare o rinunciare ad un interpello dopo averlo presentato?
    R: Formalmente sì, il contribuente può rinunciare all’istanza, ad esempio se si accorge che non ne ha più bisogno o se ha commesso errori. La rinuncia va comunicata per iscritto. Se inviata, l’ufficio chiude il procedimento e non darà risposta (o, se l’ha già predisposta, la archivia). Attenzione però: se l’Agenzia ha già emesso la risposta e l’ha spedita, non si può “rinunciare” dopo averne conosciuto l’esito (sarebbe come voler cancellare un fatto compiuto). Quindi la rinuncia ha senso in corso d’opera, non all’ultimo. Inoltre, se l’Agenzia ha chiesto integrazioni e il contribuente non risponde entro un anno, l’istanza si considera come rinunciata. Questa è una rinuncia tacita (presunzione normativa di abbandono).
  • D: L’interpello copre anche eventuali reati tributari?
    R: L’interpello riguarda la materia fiscale amministrativa. Se un’operazione è lecita fiscalmente grazie a un interpello, per definizione non si configureranno reati tributari (che scattano solo in presenza di violazioni fiscali dolose). Invece, se l’interpello è negativo e il contribuente segue l’indicazione del Fisco, paga le imposte dovute e quindi non commette reato. Se dovesse disattendere e configurare poi una frode o altro, sarebbe perseguibile. Ma la domanda può sottintendere: “ottenere un interpello favorevole mi mette al riparo da possibili contestazioni penali in caso poi l’interpretazione fosse rivista come elusiva o evasiva?” In genere, sì, perché se si segue un interpello favorevole il fatto non è illecito tributario (quindi manca il presupposto del reato). Inoltre, l’abuso del diritto per legge non dà luogo a sanzioni penali. Quindi usare l’interpello come scudo penale è eccessivo dirlo, ma certamente chi ha un interpello a favore difficilmente potrà essere accusato di dolosa violazione fiscale.
  • D: Interpello e accertamento con adesione / autotutela: come si coordinano?
    R: Se c’è già un avviso di accertamento, non si può più fare interpello su quella questione; semmai si può ricorrere o chiedere accertamento con adesione per trovare un accordo. Se invece si è presentato interpello e poi, prima della risposta, l’ufficio emette un accertamento (magari ignorando l’esistenza dell’interpello), si crea un cortocircuito: il contribuente segnalerà subito all’ufficio che c’è un interpello pendente, e normalmente l’ufficio annulla in autotutela l’atto o sospende la riscossione in attesa della risposta. In pratica, l’Agenzia dovrebbe evitare di emettere atti su materie oggetto di interpello non ancora risolte. Se comunque succede, il contribuente ha strumenti difensivi (può impugnare l’atto chiedendo al giudice di tener conto dell’interpello pendente). Una volta avuta la risposta, se favorevole, l’accertamento sarà annullato; se negativa, probabilmente l’accertamento coincide con essa e andrà eventualmente definito.

In conclusione, l’istanza di interpello è uno strumento da utilizzare con consapevolezza: ben preparata e motivata, può risolvere molti problemi ex ante e offrire serenità fiscale al contribuente. Richiede però attenzione nel predisporla (per evitare inammissibilità) e un certo anticipo rispetto agli eventi. Per i professionisti, è un tassello fondamentale nella pianificazione fiscale dei clienti e nella gestione del tax risk. Con le ultime riforme, l’istituto è in evoluzione (introduzione di costi e filtri di ammissibilità per le istanze meno importanti), ma resta un elemento di garanzia fondamentale nel nostro ordinamento tributario.

Bibliografia e fonti normative

Fonti normative principali:

  • Statuto dei diritti del contribuente – Legge 27 luglio 2000, n. 212, art. 11 (“Diritto di interpello”). Testo vigente (aggiornato a gennaio 2024) che disciplina le tipologie di interpello, termini e effetti.
  • Decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 156, artt. 1-8. Ha riformato l’istituto dell’interpello riordinando l’art. 11 L.212/2000 e abrogando/modificando norme previgenti. In particolare l’art. 2 comma 1 lett. a)-c) ha introdotto le tipologie (ordinario, probatorio, anti-abuso) e comma 2 ha regolato il disapplicativo (termine di presentazione).
  • Decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147, art. 2. Ha istituito l’interpello sui nuovi investimenti, definendone ambito (investimenti ≥ 30 mln € con ricadute occupazionali) e demandando a successivo decreto MEF le modalità attuative. (Oggi soglia ridotta a 15 mln € per modifiche successive).
  • Decreto legislativo 5 agosto 2015, n. 128, art. 6. Ha introdotto il regime di adempimento collaborativo e disposto che i contribuenti aderenti gestiscono i dubbi interpretativi all’interno di tale regime (interpello probatorio riservato a essi).
  • Provvedimento del Direttore Agenzia Entrate 4 gennaio 2016, prot. 12090/2016. “Regole procedurali per le istanze di interpello presentate ai sensi dell’art. 11 L.212/2000”. Stabilisce competenze degli uffici (istanze alle Direzioni Regionali per tributi erariali), modalità di presentazione (PEC, raccomandata, ecc.), causa di inammissibilità e gestione istruttoria (richiesta documenti integrativi).
  • Provvedimento direttoriale 1° marzo 2018, prot. 48230/2018. Ha modificato le competenze introducendo la Divisione Contribuenti centrale per la ricezione degli interpelli di grandi contribuenti, non residenti, nuovi investimenti, cooperative compliance, etc., con istituzione di casella PEC unica.
  • Decreto-legge 23 ottobre 2018, n. 119 (conv. L. 136/2018), art. 1 comma 1. Ha modificato l’art. 2 D.Lgs. 147/2015 abbassando da 30 a 20 milioni la soglia di investimento per interpello nuovi investimenti.
  • Legge 30 dicembre 2022, n. 197 (Legge di bilancio 2023), art. 1 comma 184. Ha introdotto modifiche alla disciplina del regime impatriati e forse elementi di interpello probatorio (riguardanti art. 24-bis TUIR lettera f).
  • Decreto legislativo 29 dicembre 2023, n. 219, recante attuazione ulteriori deleghe fiscali. Ha innovato l’art. 11 L.212/2000 introducendo il contributo obbligatorio per gli interpelli, limitando il probatorio ai coop. compliance e nuovi investimenti, e prevedendo consultazione semplificata come condizione di ammissibilità per alcuni soggetti (in linea con la legge delega n. 111/2023).

Prassi amministrativa:

  • Circolare Agenzia Entrate n. 9/E del 1° aprile 2016 – “Prime istruzioni sulla nuova disciplina dell’interpello del contribuente”. Chiarisce il funzionamento post-riforma, confermando l’estensione del silenzio-assenso a tutte le istanze, definendo interpello ordinario interpretativo vs qualificatorio, casi di inammissibilità, ecc.
  • Provvedimento Agenzia Entrate 8 marzo 2017 (interpello neo-residenti art. 24-bis TUIR) – disciplina attuativa specifica (collegata alla lettera f).
  • Provvedimento Agenzia Entrate 20 maggio 2016 – modalità attuative interpello nuovi investimenti (previsto da art. 2 D.Lgs.147/2015).
  • Circolare Agenzia Entrate n. 25/E del 1° giugno 2016 – Primo commento ai chiarimenti su interpello nuovi investimenti.
  • Circolare Agenzia Entrate n. 7/E del 28 marzo 2023 – “Chiarimenti sull’istituto dell’interpello sui nuovi investimenti”. Aggiorna dopo alcuni anni: spiega soglia 15 mln, ambito aperto di “investimento”, dettagli procedurali sulla risposta a 120+90 gg, pubblicazione in inglese, etc.
  • Risoluzioni e Risposte ad interpello varie pubblicate dal 2018 al 2025 (nn. 1/E a seguire), disponibili sul sito Agenzia Entrate. Esempi: Risposta interpello n. 96/2019 su società non operative; Risposta n. 123/2020 su abuso del diritto in caso di scissione; Risposta n. 228/2024 su interpello probatorio Gruppo IVA; ecc. (Citate in maniera puntuale nel testo dove rilevanti).
  • Circolare Agenzia Entrate n. 19/E del 8 agosto 2018 – Approfondimenti sul regime degli interpelli dopo primi due anni di applicazione (tratta, tra l’altro, casi di silenzio-assenso e di rinuncia, e coordinamento con riforma del contenzioso).

Giurisprudenza di legittimità:

  • Cass., Sez. Trib., n. 17010/2012 – Principio di impugnabilità dei dinieghi “atipici” se contengono una pretesa definita, applicato all’interpello disapplicativo (pietra miliare).
  • Cass., Sez. Trib., n. 25281/2015 – Conferma impugnabilità diniego interpello disapplicativo, richiamata poi da giurisprudenza successiva.
  • Cass., Sez. Trib., n. 13963/2017 – Idem, su società di comodo.
  • Cass., ord. n. 32425/2019 – Ribadisce la linea su interpello disapplicativo impugnabile.
  • Cass., Sez. Trib., n. 36050/2022 – Ultima pronuncia di principio: consolidamento possibilità di ricorso contro diniego disapplicativo, dettagliando che non è atto elencato art.19 ma comunque impugnabile per ragioni costituzionali di tutela.
  • Cass., ord. n. 20011/2021 – Caso “società di comodo – risposta tardiva”: afferma che ante riforma 2015 non c’era silenzio-assenso sui disapplicativi, quindi il ritardo non preclude accertamento.
  • Cass., Sez. V, n. 214/2022 – (simile su interpello disapplicativo ex art. 37-bis DPR 600).
  • Cass., Sez. V, n. 35442/2023 – Riguarda interpello disapplicativo (riporta evoluzione fino a DLgs 156/2015, e distingue nullità/annullabilità atti difformi; cita modifiche sopravvenute).
  • Cass., Sez. III Penale, n. 12231/2020 – (In materia penale, su abuso del diritto e rilevanza interpelli: conferma che l’abuso non integra reato e che un comportamento conforme a interpello esclude il dolo).
  • CTR / CTP: giurisprudenza di merito varia sull’applicazione pratica (ad es. decisioni su casi di silenzio-assenso formatisi, ecc.), non elencata per brevità ma coerente coi principi di Cassazione.

Istanza di Interpello all’Agenzia delle Entrate: Fatti Aiutare Da Studio Monardo

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⚠️ Con l’interpello puoi chiedere all’Agenzia delle Entrate una risposta ufficiale, scritta e vincolante.
È lo strumento giusto per tutelarti prima di agire, evitando sanzioni o accertamenti futuri.

Cos’è l’istanza di interpello

📄 È una richiesta formale che il contribuente può inviare all’Agenzia delle Entrate per ottenere chiarimenti su come applicare una norma fiscale nel proprio caso concreto.

📌 È regolata dagli articoli 11 e seguenti dello Statuto del Contribuente (Legge n. 212/2000) e dal D.Lgs. 156/2015.

A cosa serve l’interpello

✅ Evitare errori fiscali o interpretazioni sbagliate
✅ Sapere con certezza cosa pensa il Fisco prima di agire
✅ Mettere al sicuro operazioni complesse o borderline (residenza fiscale, esterovestizione, IVA, agevolazioni, trust, ecc.)
✅ Prevenire contenziosi futuri e agire con serenità

Tipi di interpello

📌 Ordinario: per chiarire come applicare una norma
📌 Probatorio: per dimostrare che ricorrono determinate condizioni
📌 Antiabuso: per chiedere se un’operazione è elusiva
📌 Disapplicativo: per non applicare una norma che impone penalizzazioni
📌 Interpello sui nuovi investimenti: per grandi operazioni societarie

Come si presenta

📝 L’istanza deve essere:

  • Sottoscritta e motivata
  • Presentata in via telematica o cartacea (a seconda dei casi)
  • Inviata prima di compiere l’operazione
  • Completa di documenti e informazioni rilevanti

📬 L’Agenzia delle Entrate risponde entro 90 giorni, con risposta vincolante solo per l’Amministrazione (non può poi contestarti il contrario).

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🔁 Ti protegge da errori interpretativi e contenziosi futuri

🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in diritto tributario e contenzioso fiscale
✔️ Autore di istanze di interpello su operazioni societarie e internazionali
✔️ Consulente di imprese, professionisti e soggetti con profili di rischio fiscale
✔️ Gestore della Crisi – iscritto al Ministero della Giustizia
✔️ Riconosciuto per la capacità di prevenire e risolvere conflitti col Fisco

Conclusione

Un interpello ben fatto oggi può evitarti grossi problemi domani.
Se hai un dubbio fiscale, non rischiare: chiedi chiarezza al Fisco con gli strumenti giusti.

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  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
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