Il Nuovo Accertamento Tributario 2025: La Guida Fiscale

Hai sentito parlare del nuovo accertamento tributario 2025 ma non sai cosa cambia per i contribuenti? Ti preoccupano le novità nei controlli del Fisco e vuoi sapere come prepararti e difenderti?

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e difesa del contribuente – ti spiega in modo chiaro cosa prevede il nuovo accertamento fiscale, quali sono le novità introdotte nel 2025 e come affrontare eventuali controlli in modo sicuro e consapevole.

Cosa cambia nel nuovo accertamento 2025?
Il nuovo modello di accertamento è più rapido, informatizzato e spesso fondato su incroci di dati automatizzati. L’Agenzia delle Entrate può avviare verifiche fiscali su base presuntiva, partendo da movimenti bancari, incassi non dichiarati, segnalazioni da altri enti o anomalie nei modelli dichiarativi.

Cosa rischi in caso di accertamento?
Se non reagisci in tempo, l’atto diventa definitivo. Potresti subire sanzioni pesanti, interessi e misure esecutive, anche per errori formali o presunti. Il nuovo sistema potenzia la fase preventiva, ma serve preparazione e attenzione.

Si può ancora difendersi?
Sì. Anche nel 2025 puoi impugnare l’accertamento entro 60 giorni, oppure definire la posizione con l’adesione agevolata se conviene. Ma è fondamentale analizzare bene l’atto e capire se contiene vizi o valutazioni errate.

Perché farsi assistere da un legale?
Con l’accertamento digitale aumenta il rischio di errori automatizzati o interpretazioni eccessive. Un avvocato tributarista può aiutarti a bloccare l’atto, ridurre gli importi contestati e costruire una difesa efficace e documentata.

Hai ricevuto una comunicazione o un preavviso di accertamento?
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Introduzione

Il sistema di accertamento tributario in Italia è l’insieme di procedure con cui l’Amministrazione finanziaria (principalmente l’Agenzia delle Entrate) verifica la corretta dichiarazione e il pagamento dei tributi da parte dei contribuenti. Negli ultimi anni, il legislatore ha introdotto importanti novità: dal “principio del contraddittorio” obbligatorio (in vigore dal 2024), alle riforme sui metodi di accertamento e sugli strumenti deflattivi del contenzioso. Questa guida offre un panorama completo e aggiornato su tutte le tipologie di accertamento (analitico, induttivo, sintetico, ecc.), gli strumenti di definizione agevolata (adesione, conciliazione, mediazione, ravvedimento, autotutela), le fasi del procedimento con l’Agenzia delle Entrate (accessi, ispezioni, PVC, inviti e contraddittorio), nonché una rassegna delle principali sentenze di Cassazione e Corte Costituzionale fino al 2025.

Il fine è duplice: da un lato, fornire ai professionisti gli strumenti concettuali per orientarsi nell’accertamento tributario “nuovo” al 2025; dall’altro, evidenziare i diritti del contribuente e le opportunità per evitare o ridurre il contenzioso attraverso gli istituti deflattivi. Ogni sezione riporta i riferimenti normativi chiave – dal D.P.R. 600/1973 (accertamento delle imposte sui redditi) e D.P.R. 633/1972 (IVA), al “Statuto del Contribuente” (L. 212/2000) e ai decreti attuativi (D.Lgs. 218/1997, D.Lgs. 546/1992, ecc.) – e le pronunce giurisprudenziali più significative. In coda alla guida, una tabella riepilogativa confronta i vari metodi di accertamento e gli strumenti deflattivi, seguita da una sezione FAQ (domande frequenti) e alcune casi pratici di applicazione. Infine, viene fornito un elenco dettagliato di fonti normative e giurisprudenziali citate.

Tipologie e metodi di accertamento tributario

Le modalità di accertamento previste dall’ordinamento tributario italiano sono molteplici, ciascuna con presupposti e procedure specifiche. Le principali tipologie di avviso di accertamento possono essere così distinte:

  • Accertamento analitico (o “contabile”) – basato sull’analisi dettagliata dei documenti contabili e delle dichiarazioni fiscali del contribuente;
  • Accertamento analitico-induttivo – accertamento misto che, pur partendo dai dati contabili, li integra con presunzioni semplici (gravi, precise e concordanti) in caso di contabilità inattendibile;
  • Accertamento induttivo puro – fondato esclusivamente su presunzioni, prescindendo in tutto o in parte dalle scritture contabili (tipico in caso di omessa dichiarazione o contabilità gravemente irregolare);
  • Accertamento sintetico (redditometro) – ricostruzione del reddito complessivo principalmente sulla base del tenore di vita e delle spese sostenute dal contribuente, indipendentemente dalle risultanze contabili;
  • Accertamento d’ufficio – accertamento emesso in caso di omessa dichiarazione o dichiarazione nulla, in cui l’ufficio determina l’imponibile con ampi poteri sostitutivi;
  • Accertamento parziale – intervento mirato e rapido su singoli elementi di reddito non dichiarati, senza attendere il completo accertamento ordinario;
  • Accertamento integrativo o modificativo – emissione di un secondo (o ulteriore) avviso di accertamento per correggere o integrare uno precedente (ad es. quando emergono nuovi elementi, nei termini consentiti);
  • Accertamento esecutivo (o “impoesattivo”) – caratteristica degli avvisi di accertamento emessi in tempi recenti: l’atto contiene esso stesso l’intimazione al pagamento e diventa titolo esecutivo decorso un certo termine, senza necessità di iscrizione a ruolo.

Di seguito approfondiamo ciascuna tipologia, evidenziandone base normativa, presupposti, caratteristiche procedurali e difese esperibili dal contribuente.

Accertamento analitico

L’accertamento analitico consiste nella puntuale rettifica dei singoli elementi reddituali dichiarati, basandosi su dati certi e documentali. La norma di riferimento è l’art. 32 del D.P.R. 600/1973 (per le imposte sui redditi) che conferisce all’ufficio il potere di correggere i redditi dichiarati quando emergano incompletezze, falsità o inesattezze in base ai controlli. In pratica, il Fisco ricalcola voce per voce gli importi di ricavi, compensi, costi, oneri deducibili o detrazioni, confrontando le dichiarazioni con le scritture contabili e altri documenti (fatture, registri IVA, estratti conto bancari, inventari di magazzino, ecc.). Se riscontra errori od omissioni, emette un avviso di accertamento che rettifica i dati dichiarati (in aumento dell’imponibile o, raramente, anche in diminuzione qualora un controllo a favore del contribuente lo evidenzi).

L’accertamento analitico presuppone che il contribuente sia dotato di una contabilità formalmente regolare; si applica tipicamente a imprese e professionisti obbligati alle scritture contabili, ma anche ai lavoratori dipendenti o pensionati limitatamente alle verifiche su oneri detraibili/deducibili dichiarati. Esempio: un controllo formale ex art. 36-ter D.P.R. 600/1973 potrebbe rettificare un’eccedenza di detrazione indebita, oppure un accesso presso un’azienda potrebbe constatare ricavi non registrati da fatture trovate: in entrambi i casi si procede con la rettifica analitica degli importi.

Onere della prova: Nella rettifica analitica, l’ufficio deve fondarsi su fatti certi e specifici (documenti, risultanze contabili, ecc.). Se il contribuente contesta, può difendersi mostrando la regolarità formale e sostanziale delle proprie scritture o altri elementi giustificativi (è dunque un accertamento di carattere contraddittorio-documentale). La motivazione dell’avviso di accertamento analitico deve dettagliare le violazioni riscontrate, le disposizioni applicate e il calcolo dei maggiori imponibili o imposte. Una recente pronuncia della Cassazione (Sez. Trib.) ha ribadito che nell’accertamento analitico puro l’Amministrazione non può basarsi su semplici congetture: servono prove dirette dell’errore dichiarativo, pena l’illegittimità della rettifica.

Vantaggi e limiti: L’accertamento analitico garantisce una maggiore aderenza alla realtà contabile del contribuente ed evita l’arbitrarietà; di contro, richiede un lavoro istruttorio più oneroso per l’ufficio (analisi di tutti i documenti) e può non cogliere redditi occultati del tutto fuori contabilità. È la metodologia “ordinaria” utilizzata nei controlli fiscali quando la contabilità del contribuente è attendibile.

Accertamento analitico-induttivo (rettifica con presunzioni semplici)

L’accertamento analitico-induttivo è una forma ibrida: l’ufficio parte dai dati contabili del contribuente ma, riscontrandoli gravi incongruenze o anomalie, li integra con l’uso di presunzioni semplici (non assistite da fede privilegiata) purché dotate dei requisiti di gravità, precisione e concordanza. La base normativa è l’art. 39, comma 1, lett. d) del D.P.R. 600/1973, che consente questa rettifica “mista” se l’incompletezza, falsità o inesattezza di elementi dichiarati emerge da controlli incrociati o ispezioni contabili, permettendo di desumere l’esistenza di attività non dichiarate o passività inesistenti anche tramite presunzioni semplici, in presenza appunto di quei gravi indizi.

In sostanza, l’analitico-induttivo scatta quando la contabilità, pur formalmente tenuta, risulta inattendibile nella sostanza (ad esempio, incongruenze nei magazzini, percentuali di ricarico anormalmente basse rispetto al settore, spese sproporzionate ai ricavi, c.d. comportamenti antieconomici). L’ufficio mantiene un riferimento alle risultanze contabili ma le corregge globalmente: non contesta un singolo documento falso, bensì ricostruisce il reddito operando extrapolazioni o riprese forfettarie su basi presuntive. Esempio tipico: se un’impresa commerciale dichiara margini di profitto irrisori rispetto alla media di settore, l’Agenzia può presumere ricavi in nero e rideterminare un reddito più elevato applicando il ricarico medio del settore alle merci acquistate.

Presunzioni e difesa: Le presunzioni utilizzate devono essere qualificate: la legge richiede che siano gravi, precise e concordanti, il che significa che partono da fatti noti e certi (anche ricavati d’ufficio da banche dati, controlli terzi, ecc.) da cui dedurre logicamente i fatti ignoti (componenti reddituali nascosti). Il contribuente in questi casi ha diritto di fornire prova contraria per demolire le presunzioni: ad esempio può dimostrare che i margini bassi sono dovuti a cause particolari (merce obsoleta svenduta, crisi di settore, errori contabili non evasivi, ecc.). Se la prova contraria convincente manca, le presunzioni gravi/precise/concordanti valgono come base legittima dell’accertamento.

Giurisprudenza recente ha convalidato ampiamente l’uso dell’analitico-induttivo: la Corte di Cassazione (Sez. Trib.) ha più volte affermato che dinanzi a situazioni di antieconomicità macroscopica, l’ufficio finanziario può legittimamente rettificare il reddito anche solo in base a presunzioni semplici qualificate, spostando sul contribuente l’onere di giustificare l’operato aziendale. Ad esempio, la Cassazione ha ritenuto sintomo di ricavi non dichiarati il mantenimento per più anni di margini lordi del tutto anomali rispetto ai parametri medi di settore, salvo prova contraria dell’impresa (che potrebbe essere, ad es., documentare vendite promozionali sottocosto per liquidazione di fine attività).

Nota: L’accertamento analitico-induttivo non può spingersi fino alla “doppia presunzione”: gli elementi posti a base devono essere fatti certi o almeno dati di comune esperienza, non altre presunzioni. In caso contrario si configurerebbe un eccesso di potere annullabile in giudizio. In pratica, l’ufficio non può dire “presumo questo perché presumo quest’altro”: almeno i dati di partenza devono essere verificabili (es. tasso di ricarico medio di un settore, risultanze di indagini finanziarie, coefficienti ufficiali, ecc.).

Accertamento induttivo puro (o extracontabile)

L’accertamento induttivo “puro” è il metodo più radicale e discrezionale di determinazione del reddito, utilizzato quando il contribuente non ha presentato dichiarazione, oppure la sua contabilità è talmente irregolare o inattendibile da rendere impossibile un calcolo analitico. In tal caso, l’ufficio prescinde interamente dalle scritture contabili e determina l’imponibile con ogni elemento a sua disposizione, anche sulla base di presunzioni semplicissime prive dei requisiti di gravità/precisione/concordanza (basta siano logicamente plausibili).

Le norme cardine:

  • Art. 39, comma 2, D.P.R. 600/1973 per le imposte sui redditi: consente l’accertamento induttivo quando il contribuente non ha tenuto o esibito le scritture, oppure queste presentano gravi irregolarità (ad es. omissione di registrazioni per oltre il 15% del volume d’affari, sottrazione di documenti, doppie contabilità, ecc. – circostanze elencate dalla norma). In tali ipotesi, l’ufficio “può fondare l’accertamento anche su dati e notizie comunque raccolti o su presunzioni prive dei requisiti di cui al comma 1”, ossia presunzioni anche solo semplici o supersemplici.
  • Art. 54, comma 2, D.P.R. 633/1972 per l’IVA: analoga facoltà induttiva nel tributo sul valore aggiunto, se le scritture IVA sono inattendibili o manca la dichiarazione.
  • Art. 41 D.P.R. 600/1973 (c.d. accertamento d’ufficio): disciplina il caso di omessa dichiarazione dei redditi – l’ufficio procede a iscrivere a tassazione l’intero reddito presunto e le imposte corrispondenti, aumentando le sanzioni per omessa dichiarazione. Similmente, l’art. 55 D.P.R. 633/1972 per l’IVA omessa consente di determinare l’imposta dovuta in base ai dati noti.

Nell’accertamento induttivo, l’Amministrazione può utilizzare metodi forfettari o indici economici: ad esempio, può stimare ricavi in base agli acquisti effettuati aumentando questi ultimi di una certa percentuale (ricostruzione “a margine”); oppure, in un ristorante privo di scontrini, può calcolare i coperti dai consumi di materia prima (tot pasta acquistata, porzioni servibili, ecc.); o ancora basarsi su movimenti bancari non giustificati. Qualsiasi elemento, anche extra-contabile, diventa base di presunzione.

Onere probatorio invertito: In tali casi-limite, la giurisprudenza riconosce che il fisco ha mano libera nel quantificare in via ragionevole l’imponibile, mentre spetta poi al contribuente, eventualmente in giudizio, l’onere di dimostrare che la ricostruzione è errata o eccessiva. Per esempio, se l’ufficio presume ricavi pari al doppio degli acquisti dichiarati (nel caso di contabilità inattendibile), il contribuente potrà difendersi mostrando che parte degli acquisti non si è tradotta in vendite (rimanenze finali elevate, furti di merce, scarti di produzione, etc.). Ma in mancanza di prova contraria, l’accertamento induttivo regge anche se basato su semplici congetture plausibili.

I limiti a tutela del contribuente comunque esistono: l’induttivo puro può essere applicato solo al ricorrere delle condizioni di legge (omessa dichiarazione o contabilità “non attendibile” per violazioni gravi). Inoltre l’atto deve essere motivato illustrando gli elementi induttivi utilizzati. Ad esempio, l’Agenzia non può emettere un accertamento completamente arbitrario senza indicare da quali fatti o dati lo ha ricavato; deve quantomeno specificare: “visti i movimenti bancari non giustificati per €X, si presume omesso ricavo pari a €X” oppure “considerata la difformità dell’utile netto rispetto agli studi di settore/ISA di settore, si stima un maggior ricavo di tot”, e così via.

Nota sulla compliance: Spesso gli accertamenti induttivi conseguono ad attività istruttorie come le indagini finanziarie (accesso ai conti bancari). L’art. 32 D.P.R. 600/1973 e l’art. 51 D.P.R. 633/1972 consentono all’ufficio di presumere che i prelevamenti e versamenti bancari non giustificati costituiscano rispettivamente acquisti “in nero” e ricavi occulti. La Corte Costituzionale con sentenza n. 228/2014 ha però escluso l’automatismo per i soli prelevamenti sui conti di professionisti (non potendo generare ricavi senza un’attività). In generale, tuttavia, i movimenti finanziari privi di spiegazione formano base induttiva solida: la Consulta nel 2023, con sentenza n. 10, ha ulteriormente chiarito che anche i “costi occulti” desumibili da prelevamenti ingiustificati possono rilevare, a patto di un’interpretazione che ne delimiti l’ambito (si veda la sezione Giurisprudenza per i dettagli su questo tema).

Accertamento sintetico (redditometro)

L’accertamento sintetico – comunemente noto come “redditometro” – costituisce uno strumento peculiare per determinare il reddito complessivo delle persone fisiche sulla base indiziaria delle spese e dello stile di vita, anziché sui risultati contabili. La normativa chiave è l’art. 38, commi 4-8 del D.P.R. 600/1973. In breve, il fisco confronta il tenore di vita del contribuente con il reddito da lui dichiarato; se riscontra uno scostamento significativo e ingiustificato, presume che esistano maggiori redditi non dichiarati.

Meccanismi del redditometro: storicamente, il redditometro si fondava su coefficienti ministeriali associati a determinati beni-indice (ad es. il possesso di auto di lusso, barche, immobili, polizze, ecc., cui veniva attribuito un reddito presunto). Negli anni recenti l’approccio è divenuto più mirato: oggi l’accertamento sintetico considera tutte le spese di qualsiasi genere sostenute dal contribuente nel periodo d’imposta. Ciò include: spese per beni durevoli (acquisto di case, automobili), costi di gestione (utenze, assicurazioni), investimenti finanziari, viaggi, spese voluttuarie, ecc. I dati provengono dalle dichiarazioni stesse (es. quadro RW per investimenti), dall’Anagrafe dei rapporti finanziari, dallo spesometro, dalle comunicazioni di spesa (mediche, scolastiche) o altre banche dati. In parallelo, resta prevista la possibilità di utilizzare indici sintetici standardizzati: l’art. 38 prevede che con decreto ministeriale possano essere individuati elementi indicativi di capacità contributiva basati su analisi di campioni di contribuenti per tipologia familiare e area geografica. Questo è il meccanismo del c.d. redditometro parametrico, l’ultima versione del quale è disciplinata da un DM Economia 7 agosto 2015 (per gli anni fino al 2015) e aggiornato dal nuovo DM 7 maggio 2024 in attuazione della riforma fiscale. Tuttavia, ad oggi (maggio 2025) l’Agenzia delle Entrate privilegia un approccio misto: analisi delle spese effettive registrate e utilizzo residuale di coefficienti standard per stimare consumi non documentati.

Condizioni di applicabilità: Non ogni scostamento attiva il redditometro. La legge aggiornata (D.Lgs. 108/2024, correttivo riforma fiscale) ha introdotto una doppia soglia per garantire che l’accertamento sintetico colpisca solo i casi più rilevanti. In particolare:

  • Lo scostamento tra reddito “sinteticamente determinabile” e reddito dichiarato deve essere almeno del 20% (eccedenza di almeno un quinto);
  • Inoltre, il reddito accertato sinteticamente deve essere almeno pari a dieci volte l’assegno sociale annuo (circa €70.000, dato che l’assegno sociale per il 2024 è di €6.970 annui).

Entrambe le condizioni devono concorrere. Questa novità (in vigore dal 2024) serve ad evitare accertamenti “sintetici” per differenze modeste o su redditi bassi. Ad esempio, se un contribuente dichiara €30.000 e viene stimato un reddito di €35.000 dalle spese, pur essendoci scostamento >20% (16% in questo caso, quindi sotto soglia) e comunque reddito sintetico (€35k) < 10×assegno sociale (~€70k), non si procederà con redditometro. Viceversa, un contribuente che dichiara €15.000 ma risulta aver sostenuto spese per €100.000 (caso di scostamento enorme e reddito sintetico > €70k) ricade certamente nel nuovo redditometro.

Procedura e contraddittorio: Prima di emettere l’accertamento sintetico, l’ufficio deve invitare il contribuente a fornire spiegazioni – è obbligatorio un contraddittorio endoprocedimentale specifico (anche prima della generalizzazione del 2024, ciò era previsto dall’art. 38 stesso). Il contribuente viene convocato per esporre elementi rilevanti e, se possibile, si avvia il procedimento di adesione. In pratica, l’Agenzia invia un invito a comparire indicando le spese o elementi emersi, e il contribuente ha modo di giustificare eventuali discrasie.

Prova contraria del contribuente: Il redditometro genera una presunzione legale relativa: accertati i fatti-indice (es. possesso di beni, spese sostenute), si presume per legge la capacità reddituale corrispondente, salvo prova contraria del contribuente. Il contribuente può sempre dimostrare:

  1. Redditi diversi o esenti che hanno finanziato le spese – es. uso di redditi di altri periodi, redditi esenti (donazioni, vincite, eredità) o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta. In sostanza, può provare che il tenore di vita è sostenuto da risorse che non dovevano essere dichiarate in quell’anno (o perché già tassate altrove, o perché di terzi).
  2. Importo diverso delle spese attribuite – può contestare il calcolo o l’entità delle spese presunte. Ad esempio, se l’Agenzia gli imputa una spesa per l’acquisto di un’auto di lusso basandosi sul PRA, il contribuente potrebbe provare che il prezzo effettivamente pagato (magari usato o con rottamazione) è inferiore a quello standard presumibile.
  3. Utilizzo di risparmi accumulati in anni precedenti – può documentare che ha attinto a patrimonio pregresso (conto in banca, liquidazioni ricevute, somme risparmiate) per coprire spese straordinarie, e che quindi tali spese non implicano redditi nuovi dell’anno.

Queste tre tipologie di prova contraria, introdotte espressamente dalla riforma, ampliano le difese rispetto al passato. In precedenza la norma (art. 38, vecchio comma 6) menzionava solo la provenienza da redditi esenti o soggetti a ritenuta come giustificazione; oggi è chiaro che anche l’utilizzo di disponibilità pregresse va considerato. La Cassazione lo aveva già affermato in varie sentenze: ad esempio, con ord. n. 31568/2023, ha chiarito che il contribuente può dimostrare anche la provenienza extra-reddituale delle somme (risparmi, aiuti familiari, ecc.), non essendo la prova contraria limitata ai soli redditi esenti o già tassati. Allo stesso modo, la Cassazione con ord. n. 31568/2023 e sent. n. 20166/2020 ha escluso che il contribuente debba indicare analiticamente uno specifico reddito per ogni spesa: è sufficiente provare in modo globale che il complesso delle spese contestate è coperto da fonti non imponibili.

In giudizio, l’impostazione è la seguente: se l’ufficio prova il fatto indice (es. acquisto di un immobile, mantenimento di 3 auto, ecc.), scatta la presunzione legale relativa di reddito omesso. A quel punto il giudice tributario non può disapplicare tale presunzione (non può egli stesso ridurne il peso), ma deve valutare esclusivamente la efficacia delle prove contrarie fornite dal contribuente. La Cassazione (sent. n. 28321/2024) ha ribadito che il giudice, accertata la spesa, “non ha il potere di privarla del valore presuntivo connesso dal legislatore […] ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale”. Ciò significa che se un contribuente non presenta alcuna giustificazione, il giudice deve dare ragione all’ufficio; se invece documenta credibilmente, ad esempio, di aver usato risparmi di anni precedenti, il giudice può ritenere vinta la presunzione (tutto o in parte). È dunque cruciale, in fase di contraddittorio, fornire quante più pezze giustificative possibili. Anche la durata del possesso dei fondi è importante: la giurisprudenza esige che i risparmi richiamati fossero effettivamente disponibili e liquidi all’epoca delle spese, non solo teorici (Cass. n. 11205/2019).

Evoluzione normativa 2019-2025: Va segnalato che dal 2019 l’utilizzo del redditometro parametrico classico era stato sospeso in attesa di un nuovo decreto ministeriale definito con il coinvolgimento delle associazioni dei consumatori. Nel frattempo, l’Amministrazione finanziaria ha impiegato altri strumenti di compliance, come gli Indici Sintetici di Affidabilità (ISA), che però hanno finalità diverse (attribuire un rating al contribuente, non generare pretese tributarie automatiche). Nel 2020-2021 poche contestazioni sintetiche sono state elevate, anche per l’effetto deterrente dei precedenti contenziosi. Nel 2022 il legislatore ha reintrodotto l’istituto adeguandolo: la L. Bilancio 2023 ha previsto l’emanazione del DM attuativo (poi uscito a maggio 2024). Dunque, dal 2024 il redditometro “2.0” è formalmente operativo con le nuove soglie e criteri suindicati, superando definitivamente il vecchio impianto del 2010. Resta fondamentale il contraddittorio preventivo e la centralità della prova contraria del contribuente.

Accertamento d’ufficio per omessa dichiarazione

In caso di omessa presentazione della dichiarazione annuale da parte del contribuente, l’Agenzia delle Entrate procede all’accertamento d’ufficio, previsto dall’art. 41 D.P.R. 600/1973 (per imposte dirette) e dall’art. 55 D.P.R. 633/1972 (per IVA). Questa fattispecie, talora assimilata all’induttivo puro, merita una menzione specifica: qui l’ufficio quantifica l’imponibile in assenza totale di dichiarato, potendo anche utilizzare i dati eventualmente noti (es.: redditi soggetti a ritenuta comunicati da sostituti d’imposta, acquisti da spesometro, movimenti bancari, beni intestati, ecc.).

L’accertamento d’ufficio non richiede il contraddittorio se non previsto da norme particolari (dal 2024, tuttavia, essendo atto impugnabile, rientra nell’obbligo generale di contraddittorio ex art. 6-bis L.212/2000; su questo v. infra). In genere viene notificato un avviso con imponibile determinato a stampa: ad esempio, per un lavoratore autonomo che non presenta Modello Unico, l’ufficio può prendere i ricavi medi della categoria o i compensi ricevuti da clienti (dati dalle Certificazioni Uniche) e calcolare il reddito presunto. Le sanzioni per omessa dichiarazione sono molto pesanti (dal 120% al 240% dell’imposta dovuta, art. 1 D.Lgs. 471/1997), in parte riducibili se il contribuente si attiva in ravvedimento operoso. È bene sottolineare che anche in caso di zero dichiarazioni, il contribuente mantiene il diritto di difesa: può impugnare l’accertamento d’ufficio contestando i criteri di calcolo o la propria estraneità a quei redditi. Ad esempio, se l’Agenzia tassa un bonifico sul conto ritenendolo ricavo, il contribuente potrà in giudizio provare che si trattava di un prestito familiare o un rimborso spese, chiedendo l’annullamento parziale dell’atto.

Accertamento parziale

L’accertamento parziale (art. 41-bis D.P.R. 600/1973 per imposte dirette; art. 54, co. 5 D.P.R. 633/1972 per IVA) è uno strumento che consente al Fisco di contestare singoli elementi di reddito non dichiarati, in via veloce, senza dover eseguire un accertamento completo di tutte le voci. Si tratta di avvisi spesso emanati a seguito di controlli specifici (come segnalazioni, lettere di compliance, informazioni da anagrafe tributaria). Ad esempio, se emerge un conto estero non dichiarato (monitoraggio fiscale) o la vendita di un immobile non tassata, l’Ufficio può emettere subito un accertamento parziale limitato a quell’aspetto.

Caratteristiche: l’accertamento parziale non preclude ulteriori accertamenti per gli stessi periodi d’imposta (purché su elementi diversi). Infatti, la norma stessa recita che l’ufficio “conserva la potestà di ulteriori accertamenti in base agli elementi di cui venga successivamente in possesso”. In pratica, l’atto parziale “anticipa” la riscossione di alcune somme dovute. Spesso viene utilizzato in presenza di elementi immediatamente liquidabili (es. redditi di capitale comunicati da altre Amministrazioni finanziarie estere, compensi certificati non dichiarati). La giurisprudenza ha legittimato l’uso estensivo dell’accertamento parziale, purché venga comunque garantito il contraddittorio qualora richiesto: ad esempio, se il parziale si basa su dati bancari, pur essendo un atto per sua natura immediato, dopo il 2020 la Cassazione tende a richiederne il contraddittorio (oggi divenuto obbligatorio ex lege).

Con la recente riforma del contraddittorio (art. 6-bis L.212/2000) alcuni atti immediati come gli accertamenti parziali sono stati esonerati dall’obbligo generalizzato di contraddittorio, in quanto considerati derivanti da controlli automatizzati o “a tavolino”. In dettaglio, un apposito DM 4/2024 ha individuato le categorie di atti per cui il contraddittorio preventivo non si applica: tra essi vi sono proprio gli accertamenti parziali ex art. 41-bis e gli atti di recupero crediti d’imposta, nonché le liquidazioni automatizzate (art. 36-bis DPR 600). Ciò significa che l’Agenzia può continuare ad emettere avvisi parziali (ad esempio su controlli formali) senza necessità di invito al contraddittorio, nei limiti di legge. Tuttavia, se il contribuente riceve un accertamento parziale e non condivide le risultanze, potrà utilizzare gli strumenti deflattivi (adesione, reclamo fino al 2023, oggi conciliazione) o fare ricorso entro 60 giorni.

Accertamento integrativo e sostitutivo

Per “accertamento integrativo” si intende la possibilità dell’Amministrazione finanziaria di emanare ulteriori avvisi per lo stesso periodo d’imposta, integrando o modificando un precedente accertamento. Questo è un tema delicato, perché tocca il principio della unicità dell’accertamento (una volta notificato un avviso “definitivo”, il contribuente deve poter confidare nella stabilità della pretesa, salvo nuovi fatti rilevanti). In passato la prassi distingueva:

  • Accertamento integrativo in senso stretto: aggiunge nuovi redditi o maggior imponibile non considerato nel primo atto, solitamente in seguito alla scoperta di elementi ulteriori (es. dopo un primo accertamento sui ricavi, si scopre successivamente un conto estero non noto: l’ufficio integrava la rettifica).
  • Accertamento modificativo (o sostitutivo): annulla o rettifica un precedente accertamento perché ci si è accorti di errori o omissioni, spesso peggiorando la posizione del contribuente (c.d. autotutela peggiorativa).

La normativa “classica” (art. 43, comma 3, DPR 600/1973, e art. 57, comma 3, DPR 633/1972) prevede che entro il termine di decadenza l’ufficio possa emettere avvisi integrativi o modificativi in rettifica di precedenti, purché l’eventuale contenzioso sul primo atto non sia passato in giudicato. È una facoltà coerente con il potere di autotutela: se il Fisco scopre ulteriori evasione o un errore di calcolo nel primo accertamento, può rimediare con un secondo atto (sempre notificato nei termini di legge, di norma entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione dichiarazione, o settimo se omessa).

Novità giurisprudenziale (Cass. SS.UU. 2024): La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, sent. n. 30051/2024 ha di recente fatto chiarezza sulla legittimità della c.d. autotutela sostitutiva peggiorativa. Con tale pronuncia, le SS.UU. hanno stabilito che è legittimo per l’ufficio annullare in autotutela un precedente avviso di accertamento (anche durante il relativo contenzioso) e sostituirlo con un nuovo avviso più gravoso per il contribuente, a condizione che ciò avvenga sempre entro i termini di decadenza e che non vi sia già un giudicato. In pratica, se un primo accertamento presenta vizi formali o sostanziali, l’Agenzia può ritirarlo e contemporaneamente emettere un secondo atto con maggior pretesa (ad es. perché nel frattempo è emersa altra evasione). I soli limiti evidenziati dalla Cassazione sono: (a) il rispetto del termine ultimo di accertamento del tributo (es.: 31/12/2025 per l’anno d’imposta 2020 per imposte dirette); (b) che sul primo atto non si sia già formata una sentenza definitiva. Fuori da questi casi, l’interesse pubblico alla corretta esazione tributi giustifica questa potestà ampia in capo all’ufficio. Le SS.UU. hanno comunque enunciato alcuni principi di diritto: l’autotutela sostitutiva è esercitabile sia per vizi formali che sostanziali del primo atto; la nuova pretesa non viola il ne bis in idem perché il primo atto viene annullato; il contribuente può impugnare il nuovo avviso e far valere le proprie ragioni in quel procedimento. Da notare che la Corte, pur riconoscendo la legittimità giuridica, ha espresso perplessità sul piano dell’“equità”: questo potere squilibrato consente al Fisco di correggersi in aumento anche durante il processo pendente, creando difficoltà difensive al contribuente. In ogni caso, trattasi ora di diritto vivente: il Fisco può emanare accertamenti sostitutivi peggiorativi (cosa che in passato era controversa).

Differenza con accertamento integrativo: Nel classico integrativo l’ufficio lascia fermo il primo atto e ne manda un secondo aggiuntivo (ciascuno per la parte di imponibile propria). Nell’autotutela sostitutiva, invece, il secondo atto sostituisce integralmente il primo, che viene ritirato: è come se “correggesse” la mira in corsa. Le SS.UU. 30051/2024 hanno chiarito che entrambe le vie sono possibili, a seconda delle circostanze. Ad esempio, se il primo avviso aveva omesso un reddito, l’ufficio potrebbe fare un integrativo limitato; se invece il primo avviso aveva un vizio (tipo notifica nulla o calcolo sbagliato), conviene annullarlo e rifarlo ex novo per evitare contestazioni procedurali.

Tutele per il contribuente: in caso di accertamento integrativo/sostitutivo, il contribuente:

  • Può fruire ex novo degli istituti deflattivi (può chiedere accertamento con adesione sul nuovo atto entro 60 giorni, con sospensione, ecc., anche se magari aveva già avviato adesione sul primo – quel procedimento decade insieme all’atto annullato).
  • Se aveva pagato in acquiescenza o conciliazione sul primo avviso, ha diritto al rimborso di quanto versato, trattandosi di atto eliminato.
  • I termini processuali ripartono daccapo col nuovo atto (60 giorni per ricorso, ecc.). Se però l’ufficio emette il nuovo atto a ridosso della scadenza dei termini di decadenza, può capitare che al contribuente residui poco tempo per attivarsi in adesione o altre procedure: su questo aspetto non vi sono (al 2025) norme specifiche di proroga, quindi la tempistica può risultare sfavorevole.

Accertamento esecutivo (titolo per la riscossione)

Negli ultimi anni l’aggettivo “esecutivo” riferito agli avvisi di accertamento ha assunto rilievo in virtù di norme che ne hanno potenziato la funzione di titolo esecutivo per la riscossione coattiva. In passato, dopo un accertamento definitivo, l’Erario doveva iscrivere a ruolo le somme e notificare una cartella di pagamento tramite l’Agente della Riscossione (ex Equitalia). Dal 2011, con l’art. 29 del D.L. 78/2010 convertito in L.122/2010, è stato introdotto l’accertamento esecutivo per i tributi erariali (IRPEF, IRES, IVA, ecc.). Il meccanismo prevede che ogni avviso di accertamento contenga l’intimazione al pagamento delle somme dovute entro il termine per proporre ricorso (60 giorni dalla notifica). Decorso tale termine senza ricorso né pagamento, l’atto diviene esecutivo e le somme possono essere affidate direttamente all’Agente della Riscossione per l’esecuzione forzata. In altre parole, l’avviso di accertamento vale anche come cartella di pagamento se non viene impugnato nei 60 giorni.

Caratteristiche principali dell’accertamento esecutivo introdotto dal 2011:

  • Vale per gli avvisi emessi in materia di imposte sui redditi, IVA e imposte sostitutive a partire da ottobre 2011.
  • Deve recare espressamente l’avvertimento che, decorsi 60 giorni, le somme divengono esigibili.
  • Le sanzioni irrogate restano sospese finché l’atto è impugnabile e per tutta la durata del processo: la riscossione immediata riguarda il tributo e interessi, mentre le sanzioni (ridotte ad 1/3 in pendenza di giudizio) diventano riscuotibili solo dopo la sentenza di primo grado se favorevole all’ente. Questa sospensione parziale fu introdotta per non gravare il contribuente di sanzioni poi magari annullate in giudizio. In caso di ricorso, dunque, si pagherà provvisoriamente una quota (di norma 1/3) dei soli tributi accertati.
  • Se il contribuente non paga e non fa ricorso, dopo 60 giorni l’Agenzia iscrive a ruolo le somme e il concessionario (Agenzia Entrate Riscossione) può attivare misure cautelari e esecutive (fermi amministrativi, ipoteche, pignoramenti) senza ulteriore avviso (la “intimazione” era già contenuta nell’accertamento).

Dal 2020, un analogo sistema di accertamento esecutivo è stato esteso anche ai tributi locali (IMU, TARI, ecc.) dalla L.160/2019, con decorrenza 1/1/2020. Dunque, oggi anche i Comuni emettono avvisi di accertamento per i tributi locali che fungono da titolo esecutivo trascorsi 30 giorni dalla notifica. Questo ha semplificato la riscossione locale eliminando la fase delle ingiunzioni separate.

Effetti pratici: L’accertamento esecutivo impone al contribuente di prestare la massima attenzione ai termini: ignorare un avviso significa trovarsi, pochi mesi dopo, cartelle già esecutive con aggravio di oneri di riscossione. D’altro canto, per il contribuente virtuoso c’è il vantaggio che l’intera procedura è accelerata: se vuole definire in acquiescenza, può pagare entro 60 giorni e chiudere la partita (con sanzioni ridotte ad 1/3); se fa ricorso, sa che fino alla sentenza di primo grado non subirà misure esecutive (oltre 1/3 provvisorio eventualmente dovuto). In ogni caso, l’avviso esecutivo rappresenta il culmine del processo di accertamento: dopo la sua notifica le opzioni sono solo pagamento (o definizione agevolata) oppure ricorso. Non è più prevista la possibilità di attendere ulteriori atti (come la cartella) per impugnare – il ricorso va proposto direttamente contro l’avviso di accertamento esecutivo.

Sicurezza giuridica: Va infine ricordato che l’introduzione dell’accertamento esecutivo non ha eliminato le garanzie procedurali precedenti (motivi di nullità dell’atto, diritto al contraddittorio se previsto, ecc.), ma ha solo unificato in un unico documento due fasi (accertamento e riscossione). Pertanto, un vizio dell’atto in sede contenziosa travolgerà anche la pretesa esecutiva in esso contenuta. Inoltre l’Agenzia, con provvedimenti interni, ha stabilito prassi di comunicazione: ad esempio, prima di iscrivere ipoteca o procedere a pignoramento, normalmente invia un sollecito bonario al contribuente, anche se non strettamente obbligata (in ottemperanza ai principi di collaborazione e buona fede ex art. 10 Statuto).

Procedimento di accertamento: fasi con l’Agenzia delle Entrate

Dall’avvio di una verifica fiscale fino alla notifica dell’avviso, l’accertamento tributario si svolge attraverso varie fasi procedimentali. È fondamentale conoscerle per poter esercitare i propri diritti tempestivamente e utilizzare gli strumenti deflattivi opportuni. Qui di seguito descriviamo l’iter tipico e le garanzie previste:

Accessi, ispezioni e verifiche fiscali

La verifica fiscale sul campo è spesso il primo passo dell’accertamento, soprattutto per imprese e professionisti. Gli accessi e le ispezioni sono regolati dall’art. 52 D.P.R. 633/1972 (richiamato anche dall’art. 33 D.P.R. 600/1973): funzionari dell’Amministrazione finanziaria o militari della Guardia di Finanza possono accedere nei locali dell’impresa (o, con autorizzazioni particolari, in abitazioni private) per eseguire controlli, ispezionare libri e documenti, effettuare rilevazioni materiali, perquisizioni e sequestri di documentazione, il tutto nel rispetto di precise garanzie:

  • Occorre un ordine di accesso con indicazione dei fini della verifica e l’esibizione della tessera di riconoscimento dei verificatori;
  • Lo Statuto del Contribuente (L. 212/2000) all’art. 12 pone limiti: la permanenza presso la sede del contribuente non può superare 30 giorni (15 per piccoli contribuenti), prorogabili in casi complessi; deve avvenire in orari di lavoro; il contribuente ha diritto di farsi assistere da un professionista di fiducia durante le operazioni;
  • Al termine, viene redatto un Processo Verbale di Constatazione (PVC) che riassume i rilievi emersi.

Il PVC (anche detto “verbale di ispezione” o “verbale di verifica”) è un documento cruciale: se la verifica riscontra violazioni, le contesta nel PVC. Il contribuente può sottoscrivere il verbale (per presa visione, non necessariamente per adesione) e riceverne copia.

Dopo il PVC: Ai sensi dell’art. 12, c.7, Statuto del Contribuente, dal rilascio della copia del PVC decorre un termine di 60 giorni durante il quale l’Agenzia delle Entrate non può emettere avvisi di accertamento, salvo casi di particolare urgenza (previa motivazione). Questo intervallo serve a consentire al contribuente di presentare osservazioni e richieste in merito ai rilievi. Tali memorie possono persuadere l’ufficio a modificare o archiviare parte delle contestazioni. Trascorsi i 60 giorni, l’ufficio può emettere l’atto impositivo.

Nota: La violazione di questo “termine dilatorio” di 60 giorni comporta di regola la nullità dell’accertamento, come ha sancito la Corte di Cassazione (SS.UU. n. 18184/2013), salvo che ricorra la ragione d’urgenza esplicitata nell’atto.

Inviti al contraddittorio e questionari

Non tutte le attività di controllo comportano un accesso fisico. L’Agenzia può avviare accertamenti anche in ufficio, incrociando dati o segnalazioni. In tali casi, prima di emettere un avviso, spesso invia al contribuente:

  • un questionario (ex art. 32 D.P.R. 600/1973, art. 51 D.P.R. 633/1972) chiedendo informazioni o documenti specifici;
  • oppure un formale invito a comparire per fornire dati e notizie (art. 5, c. 1, D.Lgs. 218/1997) che di fatto avvia un contraddittorio su possibili rilievi.

Ad esempio, un invito può riguardare “spiegare la difformità tra ricavi dichiarati e movimenti bancari” o “giustificare il possesso di determinati beni”. Rispondere ai questionari e presentarsi agli inviti è molto importante: la mancata risposta ai questionari comporta sanzioni (da €250 a €2.000, art. 11 D.Lgs. 471/97) e può far scattare determinate preclusioni probatorie (secondo art. 32 citato, i dati non forniti al fisco su richiesta non sono poi utilizzabili a proprio favore in giudizio, salvo giustificato motivo). Allo stesso modo, ignorare un invito a comparire fa perdere un’occasione di chiarimento e potrebbe indurre l’Ufficio ad assumere una posizione più rigida.

Invito “predisposto” ex art. 6-bis Statuto (dal 2024): Con l’introduzione del nuovo obbligo generalizzato di contraddittorio (art. 6-bis L. 212/2000), l’Agenzia è tenuta, per la maggior parte degli atti, a inviare prima un “schema di atto” con invito al contraddittorio. In pratica, per gli accertamenti non esclusi dall’obbligo (vedi eccezioni sopra), l’Ufficio trasmette una sorta di pre-avviso in cui espone la pretesa che intende formalizzare e concede 60 giorni per memorie difensive oppure 30 giorni per presentare istanza di accertamento con adesione. Questo invito strutturato sostituisce la vecchia comunicazione di fine verifica o invito “ordinario”, uniformando la procedura. Se il contribuente risponde con memorie, l’ufficio le valuterà e poi emanerà eventualmente l’avviso definitivo; se invece il contribuente presenta istanza di adesione entro 30 giorni, si apre subito il tavolo di adesione (vedi oltre) e l’avviso eventualmente verrà emesso solo se il confronto non sfocia in un accordo.

Questo nuovo modus operandi rafforza il contraddittorio preventivo: l’accertamento non arriva più “a sorpresa” ma è preceduto da un dialogo obbligatorio, con la chance per il contribuente di attivare tempestivamente l’adesione. Ricapitolando:

  • Per atti soggetti a contraddittorio obbligatorio (quasi tutti gli accertamenti tranne quelli espressamente esclusi), dal 2024 l’Agenzia invia uno schema/invito con duplice opzione: presentare deduzioni in 60g o chiedere adesione in 30g.
  • Se il contribuente non fa nulla, trascorsi 60g verrà notificato l’avviso definitivo; potrà ancora chiedere adesione entro 15 giorni dalla notifica dell’avviso, ma con termini ridotti (istanza adesione in 15g, sospensione ricorso solo +30g).
  • Se il contribuente chiede adesione dopo l’invito, parte la trattativa. In caso di esito negativo, quando uscirà l’avviso non sarà più ammessa un’altra adesione (già c’è stato il tentativo).
  • Per atti esclusi dall’obbligo (es. accertamenti parziali, automatizzati, ecc.), l’avviso di accertamento può essere emesso direttamente ma deve contenere esso stesso l’invito a definire in adesione (come in passato). Resta la procedura usuale: 60 giorni per ricorrere durante i quali se presenti istanza di adesione hai la sospensione di 90 giorni.

Contraddittorio endoprocedimentale obbligatorio

Il contraddittorio preventivo – ovvero il diritto del contribuente ad essere sentito prima che sia emesso un provvedimento impositivo – è ora sancito come principio generale dall’art. 6-bis dello Statuto del Contribuente (introdotto dal D.Lgs. 159/2015, modificato e reso efficace dal D.Lgs. 218/2023 con decorrenza 2024). La norma dispone che “tutti gli atti autonomamente impugnabili dinanzi agli organi della giustizia tributaria sono preceduti, a pena di nullità, da un contraddittorio effettivo”, salvo eccezioni di legge. In sostanza, dal 18 gennaio 2024 qualsiasi avviso di accertamento, atto di contestazione sanzioni, cartella da controllo formale, ecc., deve essere preceduto da una fase in cui il contribuente può far valere le proprie ragioni.

Tuttavia, l’art. 6-bis conteneva alcuni margini di incertezza: ad esempio non specificava le modalità, né chiariva se in certi casi (es. atti “automatizzati”) il contraddittorio fosse escluso. L’attuazione pratica è arrivata con:

  • Il già citato D.Lgs. 13/2024 che ha modulato la procedura di adesione in funzione del contraddittorio.
  • Un Atto di indirizzo del MEF (febbraio 2024) e un DM attuativo (aprile 2024) che hanno individuato gli atti esclusi dal contraddittorio. Questi ultimi comprendono essenzialmente gli atti automatizzati e quelli derivanti da controlli formali e documentali semplici (ad esempio: esito liquidazione 36-bis, esito controllo formale 36-ter, avvisi di liquidazione imposta di registro su base automatica, accertamenti parziali, recupero crediti di imposta non spettanti, atti di contestazione crediti inesistenti, ecc.).

Pertanto, in tutti gli altri casi (ovvero la gran parte degli accertamenti da verifiche complesse, da indagini finanziarie, da controlli in cui ci sia un minimo di valutazione) il contraddittorio è oggi un diritto garantito ex lege. La mancata attivazione del contraddittorio preventivo, se l’atto non rientra tra quelli esclusi, determina la annullabilità dell’atto su ricorso del contribuente.

È importante sottolineare che il contraddittorio deve essere “effettivo”: ciò implica che l’invito deve contenere sufficienti informazioni sui rilievi, deve concedere un termine congruo per rispondere (i famosi 60 giorni) e l’Ufficio deve valutare le memorie presentate (motivando eventualmente perché le rigetta). Non basta quindi un atto generico o una convocazione pro forma: se il contraddittorio non è sostanziale, il giudice tributario potrebbe ugualmente ritenere violato lo Statuto.

Questa innovazione è figlia anche dell’influenza della giurisprudenza comunitaria: la Corte di Giustizia UE ha sviluppato il principio generale del diritto di difesa (diritto ad essere sentiti) nei procedimenti amministrativi che sfociano in sanzioni o obblighi (v. causa Sopropé, C-349/07). Per l’IVA, che è armonizzata, già prima del 2024 si tendeva a ritenere necessario il contraddittorio (Cass. SS.UU. 24823/2015 riconobbe la nullità dell’atto IVA senza contraddittorio, mentre per le imposte non armonizzate all’epoca disse il contrario). Oggi la distinzione armonizzato/non armonizzato viene meno: è la legge nazionale che impone il contraddittorio per tutti, colmando il gap di tutela denunciato anche dalla Corte Costituzionale (sent. n. 47/2023 aveva sollecitato il legislatore sul punto).

Riassumendo sul contraddittorio obbligatorio (2025): prima di un accertamento, attendetevi quasi sempre una comunicazione/invito. Se non arriva e vi notificano direttamente un avviso, verificate se rientra tra gli atti esclusi dal contraddittorio: in caso dubbio, quello potrebbe essere un motivo di ricorso (nullità dell’atto per violazione art. 6-bis Statuto).

Adempimento collaborativo e compliance fiscale

Accanto agli strumenti “repressivi”, il fisco italiano negli ultimi anni ha sviluppato strumenti di compliance cooperativa, in linea con tendenze OCSE e normative unionali. L’Adempimento Collaborativo (D.Lgs. 128/2015) è un regime riservato a contribuenti di grandi dimensioni (inizialmente fatturato > €10 mld, poi soglie abbassate a €1 mld e oltre, e possibilità di accesso anche per PMI in certi casi pilota), in cui l’azienda instaura un dialogo costante con l’Agenzia delle Entrate per prevenire le controversie: condivisione preventiva di operazioni a rischio, sistema di tax control framework interno, ecc. In questo regime, l’accertamento tributario assume quasi un carattere concordato: eventuali rilievi sono discussi e risolti prima della formalizzazione. In caso di accordo sui trattamenti fiscali, all’azienda è garantita certezza e vengono evitate sanzioni (in caso di difformità in buona fede). L’adempimento collaborativo è comunque destinato a una platea ristretta di contribuenti strutturati.

Per la generalità dei contribuenti, gli sforzi di compliance si sono tradotti in:

  • Lettere di compliance: comunicazioni inviate dall’Agenzia quando riscontra dalle banche dati delle possibili anomalie (es.: redditi esteri comunicati da altri Stati e non dichiarati, spese mediche rimborsate e non coerenti con reddito, versamenti IVA anomali, ecc.). Queste lettere invitano il contribuente a correggere spontaneamente la situazione (tramite ravvedimento) evitando l’apertura formale di un accertamento. Se il contribuente aderisce (presenta dichiarazione integrativa, paga la differenza con sanzione ridotta), la posizione si chiude lì. Se ignora la lettera, è probabile un successivo accertamento vero e proprio, con sanzioni piene.
  • Tutoraggio per nuove partite IVA: progetto per cui l’Agenzia contatta i neo-imprenditori offrendo assistenza e monitoraggio nei primi anni per prevenire errori (invece di sanzionarli a posteriori).
  • Accordi preventivi e interpelli: la possibilità di definire preventivamente con l’AdE il trattamento fiscale di determinati redditi (es. i ruling internazionali, gli accordi su transfer pricing) consente di evitare futuri accertamenti su quelle materie. L’interpello sui nuovi investimenti (D.Lgs. 147/2015) ad esempio vincola il fisco alla risposta data.

In ottica compliance rientrano anche i “concordati preventivi” che la riforma fiscale 2023 ha ipotizzato per i piccoli contribuenti: ad esempio, il concordato biennale sui redditi d’impresa di modesta entità (dichiarando per due anni un reddito almeno pari a quello concordato col fisco, si ottiene la chiusura anticipata di eventuali controlli). Queste misure erano in fase di avvio sperimentale nel 2023, con adesione volontaria da parte dei contribuenti ISA più affidabili, ma l’efficacia dovrà essere valutata.

Integrazione con gli accertamenti: La logica è che un contribuente fiscalmente collaborativo riduce drasticamente la probabilità di subire accertamenti. Ad esempio, chi regolarizza subito con ravvedimento operoso un’anomalia segnalata, difficilmente sarà oggetto di un avviso per quella specifica imposta. Oppure, un’azienda in adempimento collaborativo avrà una sorta di bollino di affidabilità che la rende soggetta a minori verifiche sul campo (salvo casi eccezionali).

Va però detto che la compliance non sostituisce l’accertamento tradizionale: è un canale parallelo, premiale. Un imprenditore di medie dimensioni non in adempimento collaborativo può comunque costruire un rapporto di fiducia col proprio ufficio locale, ad esempio segnalando spontaneamente errori (ravvedimento), rispondendo sollecitamente alle richieste, etc., cosa che talora porta l’ufficio a soprassedere su controlli massivi (ci si concentra sui casi più opachi).

Garanzie del contribuente nel procedimento

Durante tutto l’iter di accertamento, lo Statuto del Contribuente (L. 212/2000) e altre norme generali garantiscono una serie di diritti:

  • Diritto all’informazione e trasparenza: il contribuente ha diritto di conoscere le ragioni del controllo, di ricevere copia del PVC, di accedere agli atti del procedimento (salvo segreto istruttorio in fase di verifica), di ottenere spiegazioni sui criteri di determinazione dell’imposta.
  • Motivazione degli atti: ogni avviso di accertamento deve essere adeguatamente motivato (art. 7 L. 212/2000). Ciò implica l’indicazione dei fatti, degli elementi di prova, dei calcoli e delle norme applicate. In caso di utilizzo di presunzioni o studi di settore, va esplicitato il percorso logico. La motivazione può rinviare per relationem a documenti noti al contribuente (es. al PVC), ma deve rendere chiara la pretesa. Un atto privo di motivazione o con motivazione solo apparente è nullo.
  • Ragionevole durata e collaborazione: l’art. 12 Statuto impone di non reiterare indefinitamente le verifiche: se un organo (GdF o AdE) ha già effettuato controllo su un periodo, un’altra verifica sul medesimo periodo dovrebbe avere luogo solo per fatti nuovi. Inoltre, l’azione amministrativa deve ispirarsi a criteri di collaborazione e buona fede (art. 10 Statuto): ciò, ad esempio, obbliga l’ufficio a non richiedere al contribuente documenti già in suo possesso, ad evitare comportamenti ostruzionistici, e a riconoscere eventualmente errori a favore del contribuente.
  • Tutela della riservatezza: sebbene i verificatori abbiano poteri ampi, vi sono limiti (es. autorizzazione del Procuratore della Repubblica per ispezioni in abitazioni; divieto di sequestrare corrispondenza ex art. 52 co. 3; rispetto della privacy per i dati raccolti, etc.). Inoltre, dati sensibili non pertinenti non possono essere divulgati.
  • Assistenza professionale: il contribuente può sempre farsi assistere da un commercialista o avvocato tributarista durante il controllo e nelle fasi successive. In alcuni casi (verifiche complesse) ciò è fondamentale per ben rappresentare le proprie ragioni già nel PVC o nelle memorie post-verifica.
  • Non duplicazione delle sanzioni: il procedimento di accertamento deve tener conto, in caso di violazioni che abbiano rilievo penale, delle regole del ne bis in idem (non si può punire due volte lo stesso fatto). In particolare, se dal controllo emergono reati tributari (es. dichiarazione infedele), l’ufficio deve inviare la notizia di reato alla procura ma comunque proseguire l’accertamento amministrativo. Tuttavia, sanzioni amministrative e penali dovranno poi coordinarsi. La Corte Costituzionale e la Corte EDU hanno più volte affrontato la questione del doppio binario sanzionatorio: oggi le sanzioni tributarie sono considerate di natura amministrativa, quindi cumulabili con quelle penali, ma con attenuanti previste se vi è sovrapposizione.

Chiusura della fase istruttoria: Una volta completate le fasi di controllo e contraddittorio, l’Ufficio elabora l’avviso di accertamento. Questo viene notificato secondo le forme di legge (generalmente a mezzo PEC per i soggetti obbligati a dotarsene, oppure tramite raccomandata o notifica a mano via messo comunale/postale). Con la notifica inizia la fase giudiziale potenziale: da quel momento il contribuente ha 60 giorni per impugnare, oppure può optare per definizioni agevolate come vedremo di seguito.

Strumenti deflattivi del contenzioso tributario

Prima e dopo la notifica di un avviso di accertamento, l’ordinamento offre diversi strumenti deflattivi, ossia soluzioni volte a evitare (o ridurre) il contenzioso giudiziario trovando un accordo o una definizione agevolata. Tali strumenti permettono spesso di ottenere riduzioni di sanzioni o di importi dovuti, a fronte della rinuncia (totale o parziale) del contribuente a proseguire la lite. Analizziamo i principali:

Accertamento con adesione (definizione concordata)

L’accertamento con adesione è uno strumento che consente al contribuente e all’ufficio di concordare l’esito dell’accertamento prima che questo sia formalizzato in una decisione unilaterale. Disciplina principale: D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218 (artt. 2-15). In pratica, con l’adesione:

  • Si instaura un contraddittorio presso l’ufficio (o da remoto) nel quale si discutono i rilievi fiscali;
  • Se si trova un accordo, viene redatto un atto di adesione con i nuovi importi di imponibile e imposta concordati;
  • Il contribuente paga le somme dovute (imposte e interessi) con sanzioni ridotte a 1/3 di quelle minime di legge;
  • Il procedimento si conclude senza emettere un avviso di accertamento ordinario (l’atto di adesione firmato dalle parti tiene luogo dell’accertamento).

Quando e come si attiva: L’adesione può avvenire in due modalità:

  1. Adesione su iniziativa del contribuente dopo la notifica dell’avviso di accertamento: entro 60 giorni dal ricevimento dell’avviso, il contribuente può presentare istanza di accertamento con adesione all’ufficio che ha emesso l’atto. Questa istanza sospende per 90 giorni il termine per fare ricorso. L’ufficio convocherà il contribuente (con un preavviso di almeno 15 giorni) per avviare il confronto. È la modalità classica qualora arrivi un accertamento e si voglia tentare un accordo.
  2. Adesione “in fase pre-contenziosa” su invito dell’ufficio: come visto, l’ufficio può inviare un invito a comparire già di suo (ex art. 5 D.Lgs.218/97) per proporre l’adesione prima di emettere l’avviso. In questo caso, se il contribuente compare e aderisce, si chiude direttamente lì (è una sorta di prevenzione dell’accertamento). Questa prassi era diffusa ad esempio con gli inviti bonari post-PVC: l’AdE, dopo la verifica, invitava l’azienda a un confronto (spesso l’azienda proponeva adesione su alcuni rilievi per chiudere subito). Dal 30/4/2024, come detto, per atti soggetti a contraddittorio obbligatorio, l’invito deve contenere anche la possibilità di adesione entro 30 giorni.

Adesione ai PVC: Un caso particolare è l’adesione ai verbali di constatazione (art. 2 D.Lgs. 218/97). Se la verifica si è conclusa con un PVC sfavorevole, il contribuente, prima ancora che l’Agenzia emetta l’avviso, può comunicare (entro 30 giorni dal PVC) la sua volontà di aderire integralmente a quel verbale. In tal modo, saltando la fase di accertamento, gli verranno richieste le somme corrispondenti ai rilievi del PVC con sanzioni ridotte di 1/6 (anziché 1/3). L’adesione al PVC è conveniente se si ritiene che le contestazioni siano fondate e non si voglia impugnare: pagando prima si ottiene ulteriore sconto sanzionatorio. Se però l’ufficio, in sede di emanare l’avviso, avesse eventualmente “limato” qualcosa del PVC, aderire al PVC toglie quella chance. È dunque uno strumento da valutare con attenzione.

Svolgimento del contraddittorio in adesione: Durante l’incontro di adesione, contribuente (o suo professionista delegato) e funzionari dell’ufficio discutono ciascun rilievo. Possono emergere elementi nuovi, si può trovare un punto di mediazione. Per esempio, contestato un ricavo non dichiarato di €100, si potrebbe concordare che effettivamente non dichiarati erano €80 perché €20 erano da rettificare. Oppure su una ripresa a tassazione di un costo dedotto, si potrebbe convenire che quel costo era in parte documentato quindi la ripresa scende. In altri casi, l’adesione può riguardare solo alcune componenti e altre rimanere tali. L’importante è che l’accordo finale definisca compiutamente le nuove basi imponibili e imposte.

Se l’accordo si raggiunge, viene redatto un atto di accertamento con adesione firmato da entrambe le parti. Il contribuente entro 20 giorni da tale sottoscrizione deve pagare il dovuto (o la prima rata, se opta per la rateazione fino a 8 rate trimestrali per somme oltre €50.000). Con il pagamento, l’accertamento si perfeziona. Se non paga, l’adesione decade e l’ufficio iscrive a ruolo le somme (con sanzioni intere, ma comunque l’atto originario a quel punto è divenuto definitivo, senza possibilità di ricorso perché l’adesione comporta rinuncia all’impugnazione).

Vantaggi dell’adesione:

  • Sanzioni ridotte: 1/3 del minimo (o 1/6 se adesione a PVC). Ad esempio, se una violazione comporta sanzione del 100% dell’imposta, con adesione pagherò ~30% (o ~16% se su PVC). Ciò può significare risparmi notevoli. Questa riduzione è cumulabile con altre eventuali attenuanti (es. definizioni sanatorie).
  • Niente spese processuali né rischio di condanna alle spese: si evita il giudizio.
  • Rapido concludersi della vicenda: chiudendo in adesione, la pretesa diviene definitiva limitatamente al concordato e non ci saranno ulteriori accertamenti su quegli elementi (salvo sopravvenienze dolose del contribuente).
  • Possibile rateazione: fino a 8 rate trimestrali (12 se importo > €50.000). Ciò consente di diluire l’esborso.
  • Effetti premiali su reati tributari: se le somme concordate riguardano imposte per le quali era astrattamente configurabile un reato (es. dichiarazione infedele), il pagamento dell’adesione comporta il venir meno della punibilità per particolare tenuità (nei limiti previsti dall’art. 13 D.Lgs. 74/2000). Quindi l’adesione può aiutare a chiudere anche pendenze penali (pagando interamente i debiti prima del dibattimento).

Svantaggi/rischi dell’adesione:

  • Si rinuncia a far valere le proprie ragioni in giudizio, quindi va intrapresa solo se si valuta che l’Ufficio abbia sufficienti elementi e che in giudizio probabilmente si perderebbe o si otterrebbe poco di più.
  • L’adesione una volta perfezionata esclude qualsiasi impugnazione: non ci si può pentire dopo aver pagato.
  • Richiede capacità di negoziazione e documentazione: senza elementi nuovi, l’ufficio difficilmente cede dalle sue posizioni iniziali. Quindi è utile presentarsi con documenti, analisi, per convincere l’ufficio ad alleggerire i rilievi.
  • Il contribuente deve comunque pagare (anche se in rate). Se la liquidità manca, potrebbe essere problematico perché l’adesione non prevede la sospensione oltre i 20 giorni (mentre in contenzioso i tempi sono più lunghi e si può arrivare a transare in conciliazione in un secondo momento).

Novità 2024 sull’adesione: Come riportato nella sezione contraddittorio, il D.Lgs. 13/2024 ha introdotto una nuova procedura per coordinare adesione e contraddittorio preventivo. In sostanza:

  • Se l’atto è soggetto a 6-bis, l’ufficio manda il progetto di atto e il contribuente ha 30 giorni per chiedere adesione su quello. Se lo fa, la discussione inizia prima dell’emissione dell’accertamento formale; se si accordano, l’atto finale non verrà neppure notificato. Se non trovano accordo, l’avviso uscirà e non si potrà più fare adesione successivamente.
  • Se l’atto non era soggetto a contraddittorio, l’avviso include ancora l’invito a adesione entro 60gg come in passato.

Quindi, per il contribuente cambia che dal 2024 deve stare attento a questa doppia chance: potrebbe essergli utile attivare l’adesione già in sede di contraddittorio preventivo (entro 30gg dall’invito) per avere più tempo di discussione. Se lascia passare e aspetta l’avviso, i tempi saranno stretti (15gg per chiedere adesione dopo notifica, come da modifica all’art. 6 comma 2 D.Lgs.218/97 introdotta da D.Lgs.13/2024).

Adesione parziale: Va notato che formalmente l’adesione o c’è o non c’è. Non è possibile firmare adesione e poi impugnare su ciò che non si è d’accordo. Tuttavia, spesso l’accordo può riguardare alcuni rilievi e altri decadere: se alcune contestazioni vengono stralciate dall’ufficio in sede di adesione, l’atto di adesione riguarderà solo ciò che rimane. Ciò equivale a un’annullamento in autotutela parziale su quei rilievi stralciati. Quindi di fatto si può ottenere la cancellazione di alcuni addebiti e la definizione degli altri.

Acquiescenza (definizione agevolata senza ricorso)

L’istituto dell’acquiescenza consiste nella definizione semplificata di un avviso di accertamento quando il contribuente decide di non impugnare e di pagare entro i 60 giorni dalla notifica. È disciplinato dall’art. 15 del D.Lgs. 218/1997. In pratica, se entro il termine di proposizione del ricorso il contribuente versa tutte le somme dovute (imposta, interessi e sanzioni) indicate nell’atto, beneficia di una riduzione delle sanzioni a 1/3 del minimo – la stessa misura prevista per l’adesione. Si parla di “acquiescenza” proprio perché il contribuente acquiesce, cioè accetta la pretesa.

Differenze con l’adesione:

  • Non c’è contraddittorio né modifica dell’atto: si paga l’importo esattamente come da avviso, con l’unica variazione che le sanzioni vengono ricalcolate al minimo edittale e ridotte a 1/3. Ad esempio, se l’atto irrogava sanzione al 100% e il minimo per quella violazione è 90%, in acquiescenza pagherò 30%.
  • Non serve alcuna istanza: basta effettuare il pagamento (o la prima rata se ammessa rateazione) entro 60 giorni e notificare all’ufficio la quietanza. Il pagamento tempestivo vale come scelta di definire.
  • L’acquiescenza è spesso usata quando l’avviso è già frutto di una interlocuzione precedente e il contribuente è d’accordo o rassegnato: paga subito per chiudere e risparmiare sulle sanzioni senza ulteriori trafile.

Come l’adesione, anche l’acquiescenza comporta la rinuncia all’impugnazione. Di solito non è ammessa su avvisi parziali che vengono seguiti da altro atto (perché tecnicamente quell’importo è dovuto in ogni caso), ma è applicabile su avvisi di accertamento “pieni” o su atti di irrogazione sanzioni.

Esempio: Tizio riceve accertamento IRPEF con maggior imposta €10.000 e sanzioni 90% (€9.000). Se decide di non fare ricorso e paga entro 60 gg, avrà diritto a ridurre la sanzione a 1/3 di 90% = 30% (€3.000). Dunque pagherà €10.000 imposta + interessi + €3.000 sanzione. Se invece facesse ricorso e poi perdesse, pagherebbe forse l’intera sanzione (salvo eventuale conciliazione in corso di causa). La convenienza è evidente se si riconosce la fondatezza dell’accertamento.

È bene evidenziare che l’acquiescenza non è possibile se è già stato presentato ricorso. Inoltre, come per l’adesione, dal 2023 è venuto meno il reclamo/mediazione (vedi infra), quindi per importi sotto soglia non c’è più l’obbligo di presentare reclamo prima del ricorso: ciò significa che il contribuente può liberamente optare per l’acquiescenza entro 60 giorni, senza dover attendere esiti di mediazioni.

In pratica, l’acquiescenza è la via più snella e rapida: niente atti formali se non il pagamento e la comunicazione dello stesso. Anche qui è ammessa la rateazione nelle stesse condizioni dell’adesione (8 rate trimestrali fino a 8, 16 se importi alti). Tuttavia, occorre prestare cautela: se si paga la prima rata e poi non si pagano le successive, l’ufficio iscriverà a ruolo il residuo con sanzioni intere dedotto quanto versato.

Conciliazione giudiziale

La conciliazione giudiziale è uno strumento deflattivo che opera dopo l’instaurazione del processo tributario, ovvero una volta che è stato proposto ricorso. È regolata dall’art. 48 (per il primo grado) e 48-bis (in appello) del D.Lgs. 546/1992. Consiste in un accordo transattivo tra contribuente e ufficio, formalizzato davanti al giudice, per chiudere la lite con reciproche concessioni.

Conciliazione in primo grado (conciliazione giudiziale “ordinaria”): può essere proposta da una delle parti (contribuente o ufficio) fino all’udienza di trattazione. Se le parti trovano l’accordo su un importo, presentano al giudice un verbale di conciliazione contenente i termini (es: riduzione imponibile a tot, imposta tot, sanzioni tot). Il giudice emette decreto di omologa e la conciliazione ha l’effetto di una sentenza passata in giudicato su ciò che si è accordato. Il contribuente ottiene benefici sulle sanzioni: se la conciliazione avviene entro il primo grado, le sanzioni vengono ridotte al 40% di quelle irrogate. In più, gli interessi di mora sono dimezzati. Se invece concilia in secondo grado (appello) la riduzione sanzioni è al 50%. I costi del processo sono di regola compensate.

Conciliazione “fuori udienza” (introdotta nel 2016): il contribuente può, già nel ricorso, formulare una proposta di conciliazione all’ufficio, che se accettata può concludersi prima dell’udienza. Oppure l’ufficio può proporla nella risposta. Se c’è intesa, si deposita l’accordo senza comparire in udienza. Questo serve ad accelerare.

Vantaggi: la conciliazione può intervenire quando, ad esempio, in giudizio emergono elementi nuovi o l’ufficio comprende che c’è rischio di perdere e preferisce chiudere incassando meno. Anche il contribuente, se valuta incerta la lite, può preferire pagare una parte ridotta. Le sanzioni con conciliazione (40% o 50%) sono riduzioni inferiori rispetto a adesione/acquiescenza (dove erano 33%), ma la conciliazione ha luogo dopo che magari il contribuente ha già impostato la difesa e forse ottenuto qualche apertura dall’ufficio. Dunque è un compromesso più “avanzato”. Inoltre, in conciliazione si può anche accordarsi per pagare a rate (fino a 8 rate in 8 mesi se <€50k, altrimenti 16 rate).

Differenza con adesione: L’adesione è pre-contenzioso, la conciliazione è nel contenzioso. In adesione le sanzioni sono 1/3 fisse; in conciliazione 40% o 50%. Quindi l’adesione è un po’ più conveniente in termini sanzionatori, ma se l’ufficio non era disponibile in adesione, una volta a processo potrebbe essere più malleabile (magari per sopravvenienze, orientamenti giurisprudenziali, ecc.). Inoltre, in conciliazione può intervenire in un secondo momento anche il giudice: dal 2023, il giudice tributario ha il potere di formulare una proposta conciliativa alle parti (art. 48, c.5, introdotto dalla L. 130/2022). Questo rende la conciliazione un istituto ancora più interessante, perché un giudice terzo può indicare un equo punto di incontro, dando anche un “segnale” su come potrebbe giudicare.

Conciliazione in appello: se la lite è proseguita in secondo grado, c’è una ulteriore chance: conciliare davanti alla CTR (ora Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado). Lo sconto sanzioni è 50%. Questo serve spesso per chi in primo grado ha perso e vuole evitare di andare in Cassazione (dove non c’è conciliazione), oppure se in appello l’Ufficio teme un ribaltamento e preferisce incassare il sicuro.

Esempio pratico: Società X ha in corso ricorso su accertamento da €100k imposte + €200k sanzioni. In giudizio emergono elementi per cui entrambe le parti vedono rischi. Si concilia per €60k imposte e €80k sanzioni (40% di 200k). La società paga €60k + €80k (interessi dimezzati) e chiude la lite, risparmiando €40k imposte e €120k sanzioni rispetto all’atto iniziale. L’Erario incassa subito evitando un possibile esito peggiore.

Reclamo/Mediazione (ABROGATO dal 2024): Prima di passare ad altri istituti, va menzionato che fino al 2023 esisteva il procedimento di reclamo-mediazione (art. 17-bis D.Lgs. 546/92) obbligatorio per le liti di valore fino a €50.000. In pratica, per importi modesti, il ricorso costituiva anche un reclamo e veniva esaminato da un ufficio diverso (Organo di mediazione) che poteva formulare una proposta di mediazione con sanzioni ridotte al 35%. Dal 4 gennaio 2024 però questa disciplina è stata abrogata dal D.Lgs. 30 dicembre 2023 n. 220. Ciò significa che per i ricorsi notificati dal 2024 non c’è più fase di reclamo obbligatoria: il contribuente può adire subito il giudice. L’abrogazione è avvenuta nell’ambito della riforma della giustizia tributaria, nel tentativo di semplificare e non allungare i tempi per le piccole liti. Resta però possibile cercare un accordo tramite conciliazione giudiziale anche per i piccoli importi – in tal senso la conciliazione (40% sanzioni) diventa l’unico strumento di accordo in sede giudiziaria di primo grado.

Transitorio: per i ricorsi fino €50k notificati fino al 3 gennaio 2024, la mediazione rimane applicabile. Quindi nel biennio 2024-25 potremmo avere ancora cause pendenti avviate col vecchio reclamo.

Ravvedimento operoso

Il ravvedimento operoso (art. 13 D.Lgs. 472/1997) è uno strumento che consente al contribuente di regolarizzare spontaneamente violazioni tributarie, beneficiando di sanzioni ridotte proporzionalmente alla tempestività del ravvedimento. È un istituto deflattivo perché previene l’apertura di un accertamento: il contribuente stesso si “autodenuncia” e paga il dovuto prima di essere contestato.

Il ravvedimento può riguardare:

  • Omessi o tardivi versamenti di tributi dovuti (IVA, ritenute, imposte autoliquidate): pagando l’imposta dovuta con interessi e la sanzione ridotta (variabile a seconda del ritardo: es. 0,1% al giorno se paghi entro 14gg, 1,5% se entro 30gg, 1,67% entro 90gg, 3,75% entro un anno, 4,29% oltre l’anno ma entro termini accertamento, etc.).
  • Errori od omissioni in dichiarazione: es. hai dimenticato di dichiarare un reddito o hai fruito indebitamente di una deduzione. Puoi presentare una dichiarazione integrativa e pagare la maggiore imposta con sanzione ridotta (invece del 90% standard sull’imposta, si riduce a 1/8 se entro un anno, 1/7 entro 2 anni, 1/6 oltre 2 anni, 1/5 dopo PVC).
  • Altre violazioni formali: il DL 34/2019 ha reso possibile ravvedere anche violazioni formali pagando €200 per periodo d’imposta, ma spesso per queste c’erano anche sanatorie ad hoc.

Importante: Dal 2015 il ravvedimento è ammesso anche se la violazione è già stata constatata (purché non siano iniziati accessi o notificati avvisi) e anche per periodi già oggetto di altri controlli. In pratica, finché non si riceve un atto di accertamento (o PVC, o altro atto amministrativo di contestazione) per quella specifica violazione, si può ravvedere. Ciò consente, ad esempio, di ravvedere un reddito estero non dichiarato anche se la banca dati scambi automatici l’ha comunicato (purché AdE non abbia ancora notificato niente).

Effetti: Il ravvedimento estingue l’illecito amministrativo tributario, per cui l’ufficio non emetterà sanzioni ulteriori su quella violazione. Inoltre, se integrando si versa tutta l’imposta prima che parta un accertamento, si evita la sanzione maggiore e l’eventuale rischio penale (per i reati di omessa o infedele dichiarazione esiste causa di non punibilità se i debiti tributari vengono pagati integralmente con interessi e sanzioni prima del dibattimento, art. 13 D.Lgs. 74/2000).

Il ravvedimento non richiede accordo con l’ufficio: è un atto unilaterale del contribuente. L’Agenzia di norma ne prende atto. Può eventualmente contestare se ritiene che non fosse valido (es. perché già c’era stato un PVC su quella materia, in tal caso il ravvedimento tardivo non evita l’accertamento).

Ravvedimento speciale 2023: da citare come curiosità recente, la Legge di Bilancio 2023 (L.197/2022) ha introdotto un ravvedimento speciale per le violazioni dichiarative anni fino al 2021, con sanzioni ridotte a 1/18 e pagamento in 8 rate. Ciò ha permesso a molti di sanare errori passati a condizioni agevolate. Era un una-tantum e si è chiuso a fine 2023. Ora si è tornati al ravvedimento operoso “ordinario” come descritto.

Conclusione sul ravvedimento: È lo strumento principe per evitare sul nascere il contenzioso: costa meno (sanzioni ridotte), dimostra buona fede del contribuente e alleggerisce il lavoro del fisco. Ogni volta che un contribuente si accorge di un errore o riceve un alert dal fisco (compliance letter), dovrebbe valutare seriamente il ravvedimento per chiudere con minima spesa, piuttosto che attendere un accertamento con esito ben più gravoso.

Autotutela (annullamento dell’atto da parte dell’Amministrazione)

L’autotutela tributaria è il potere-dovere dell’Amministrazione finanziaria di annullare o rettificare i propri atti impositivi quando risultino illegittimi o infondati. È uno strumento di garanzia per il contribuente, benché discrezionale (non è un suo diritto esigibile ottenere l’autotutela, salvo casi ora vedremo).

Tradizionalmente, l’autotutela era regolata da circolari e principi generali di buon andamento (L.241/1990). Nel 2023, con D.Lgs. 219/2023 (attuazione delega fiscale), lo Statuto del Contribuente si è arricchito degli articoli 10-quater e 10-quinquies che disciplinano rispettivamente l’autotutela obbligatoria e facoltativa.

  • Autotutela obbligatoria (art. 10-quater L.212/2000): l’Amministrazione deve procedere all’annullamento, in tutto o in parte, di atti impositivi (o rinunciare alla pretesa) anche d’ufficio e anche se l’atto è definitivo, nelle ipotesi di “manifesta illegittimità” espressamente elencate. Il legislatore ha indicato i casi tipici: ad es., errore di persona, errore di calcolo evidente, doppia imposizione, pagamento già avvenuto, sussistenza di una causa di esclusione dall’imposta (es. non imponibilità per legge), ecc. In tali situazioni, senza necessità di istanza del contribuente, l’ufficio è tenuto a correggere/annullare l’atto viziato. Se il contribuente presenta un’istanza in tal senso, l’ufficio deve rispondere entro 90 giorni e il silenzio oltre 90 giorni equivale a diniego (impugnabile in commissione tributaria ai sensi dell’art. 19, co. 1, lett. f-bis, D.Lgs.546/92). Questa è una novità: ora il rifiuto di autotutela obbligatoria è atto impugnabile, mentre in passato l’inerzia su istanza di autotutela non era autonomamente ricorribile.
    Esempio: l’Agenzia emette due volte accertamento per lo stesso reddito (doppia imposizione) – caso di manifesta illegittimità; deve annullarne uno in autotutela. Oppure, accertamento notificato a soggetto deceduto prima dell’anno d’imposta – errore di persona, da annullare. Se l’ufficio non lo fa spontaneamente e il contribuente lo segnala, oggi c’è l’obbligo di attivarsi.
  • Autotutela facoltativa (art. 10-quinquies L.212/2000): al di fuori dei casi tassativi di cui sopra, l’Amministrazione mantiene la facoltà di annullare o revocare i propri atti quando li ritenga infondati, inopportuni o per sopravvenuti motivi di equità. Questa è la vecchia autotutela “discrezionale”. Qui il contribuente può fare istanza di riesame, ma il silenzio o diniego non è impugnabile autonomamente (l’unica via resta impugnare l’atto originario nei termini). Ad ogni modo, l’Agenzia Entrate nel 2024 (circ. 21/E) ha fornito istruzioni dettagliate sul corretto esercizio dell’autotutela, incoraggiando gli uffici a rimediare ad atti errati per evitare contenziosi inutili.

Procedura di autotutela: Nella prassi, se un contribuente ritiene un accertamento palesemente sbagliato (magari perché ha pagato quell’imposta o perché c’è un errore materiale), presenta una istanza in autotutela all’ufficio allegando le prove. L’ufficio valuta: se riconosce l’errore, emette un provvedimento di annullamento o rettifica dell’atto. Se nega, dal 2024 deve formalizzare il diniego (specie se rientra nel campo obbligatorio). Il contribuente, se l’istanza riguardava autotutela obbligatoria, potrà impugnare il diniego entro 60 giorni al giudice. Questo apre scenari nuovi: si avrà un mini-contenzioso parallelo sul diniego di autotutela, anche se in teoria poteva già essere pendente il ricorso sull’atto principale. Il legislatore ha però voluto dare un rimedio contro la inerzia su casi palesi.

Autotutela “sostitutiva” e Cassazione SS.UU. 2024: Abbiamo già trattato l’aspetto dell’autotutela peggiorativa possibile (SS.UU. 30051/2024) in cui l’ufficio può rimpiazzare un atto con altro peggiore. Sul fronte autotutela a favore del contribuente, la Cassazione aveva in passato affermato la legittimità di annullamenti d’ufficio anche oltre i termini di decadenza, purché nell’interesse pubblico. Quelle pronunce sono ora trasfuse nell’art. 10-quater che formalizza tale potere anche post term (ad esempio, se l’ufficio scopre nel 2025 che un accertamento del 2019 notificato è totalmente infondato, può annullarlo anche se i termini per accertare quell’anno son scaduti, perché l’atto è illegittimo ab origine). Rientra nella logica del self cleaning della PA.

Limiti all’autotutela: Non può essere usata per finalità diverse: non può l’ufficio revocare un atto lecitamente emesso solo per colpire di nuovo il contribuente con motivazioni diverse dopo scadenza termini (sarebbe sviamento). Inoltre, un atto sul quale c’è una sentenza definitiva favorevole al fisco non può essere annullato in autotutela (nemmeno obbligatoria) se non nei rarissimi casi previsti (es. rimborso su giudicato quando interviene Corte Costituzionale che muta scenario, ma qui entriamo in dettagli). Il nuovo art. 10-quater c.1 esclude l’obbligo di autotutela se c’è giudicato favorevole all’amministrazione o se è trascorso oltre un anno dalla notifica dell’atto. Ciò significa: il contribuente deve attivarsi entro 1 anno (comunque un lasso considerevole) per chiedere autotutela obbligatoria; dopo, l’ufficio “può” ancora annullare (facoltativa) ma non è più obbligato.

In conclusione, l’autotutela è uno strumento essenziale nel sistema: consente di correggere errori evidenti senza costringere il contribuente a fare ricorso. Spesso l’ufficio vi ricorre ad esempio se il contribuente, in sede di adesione o reclamo, porta prove inoppugnabili a suo favore su alcuni rilievi: invece di proseguire su quelli, li annulla. Oppure se, dopo aver emesso atto, si accorge di non aver considerato una norma di esenzione. Con la formalizzazione del 2024, possiamo aspettarci un uso più sistematico dell’autotutela soprattutto nei casi obbligati, e una maggiore responsabilizzazione degli uffici (anche perché la circ. AE 21/E 2024 richiama la responsabilità del funzionario che non annulla un atto manifestamente illegittimo). Per i contribuenti, rimane utile presentare istanze ben documentate quando si ravvisano errori, poiché un annullamento in autotutela è la via più rapida e indolore per chiudere la vicenda.

Giurisprudenza recente in materia di accertamento tributario

L’evoluzione normativa degli ultimi anni è stata accompagnata e in parte stimolata da una ricca produzione giurisprudenziale, sia di legittimità (Corte di Cassazione) che costituzionale, oltre a pronunce unionali (Corte di Giustizia UE) di impatto rilevante. Esaminiamo alcune delle sentenze più significative fino al 2025 suddivise per tematica.

Presunzioni e prova nell’accertamento (analitico, induttivo)

  • Cassazione, Sez. Trib., sent. n. 26635/2022: ha affermato che in caso di comportamenti antieconomici (es. vendita a prezzi inferiori al costo per più anni senza ragione apparente) l’ufficio può legittimamente ricostruire induttivamente i ricavi mancanti. La sentenza ribadisce che l’antieconomicità è di per sé un indizio grave che sposta l’onere sul contribuente di dimostrare valide ragioni economiche.
  • Cassazione, Sez. Trib., ord. n. 31568/2023: riguardo al redditometro “vecchio stile”, questa ordinanza (13/11/2023) ha ampliato lo spettro delle prove contrarie a disposizione del contribuente. In particolare, ha stabilito che non è limitato alle sole provviste esenti o risparmio accumulato, ma il contribuente può anche dimostrare che il calcolo presuntivo delle spese dell’ufficio è errato (ad esempio provando che taluni beni indice erano a disposizione ma non di sua proprietà, o che talune spese erano in realtà sostenute da terzi). Questa pronuncia segna un’apertura garantista, richiamando il fatto che la presunzione è sì legale ma il contribuente deve potersi difendere con qualsiasi mezzo idoneo.
  • Cassazione, Sez. Trib., ord. n. 36688/2022: in tema di onere della prova nel redditometro, ha chiarito che una volta che l’ufficio ha provato il fatto indice (es. spesa per acquisto bene) e quindi attivato la presunzione legale, il giudice non può disapplicare quella presunzione ma solo verificare la controprova del contribuente. Questa linea è stata poi confermata dalla più recente Cass. 28321/2024 (vedi infra). L’ordinanza del 2022 inoltre evidenzia che la prova contraria del contribuente deve essere specifica e analitica, ossia occorre fornire dettagli e documenti puntuali su come si sono sostenute le spese.
  • Cassazione, SS.UU., sent. n. 3791/2021: (Sezioni Unite) ha risolto un contrasto in tema di prova nella contabilità formalmente regolare ma sostanzialmente inattendibile. Ha statuito che l’amministrazione, pur in presenza di conti formalmente regolari, può fondarsi su presunzioni semplici per rideterminare il reddito, se riscontra elementi gravi di inattendibilità (ad es. incongruenze contabili, scorrettezze diffuse). Il contribuente potrà difendersi mostrando l’inesistenza di quei fatti posti a base delle presunzioni o la loro non significatività. Le SS.UU. qui hanno di fatto dato avallo alla pratica dell’analitico-induttivo delineata dall’art. 39, co.1, lett. d).
  • CTR Lombardia, sent. n. 312/2022: (giurisprudenza di merito) interessante perché ha annullato un accertamento induttivo basato su mero scostamento dagli ISA (Indici Sintetici di Affidabilità): la Commissione ha ritenuto che un punteggio ISA basso, da solo, non costituisca prova né presunzione qualificata di evasione. È un monito sul fatto che gli strumenti statistici di compliance non vanno automaticamente tradotti in accertamenti senza ulteriori riscontri fattuali.

Contraddittorio e diritto di difesa

  • Cassazione, SS.UU., sent. n. 24823/2015: pietra miliare sul contraddittorio: stabilì che per i tributi “armonizzati” (IVA) l’assenza di contraddittorio pre-emissione è causa di nullità, mentre per i tributi “non armonizzati” (es. IRPEF) no, salvo che una norma interna lo preveda. Questa sentenza ha fatto discutere e ha di fatto portato il legislatore, anni dopo, a introdurre una norma generale (art. 6-bis). Difatti la Consulta con sent. 37/2015 aveva evitato di dichiarare incostituzionale la disciplina, lasciando però aperta la questione di opportunità. Con l’art. 6-bis dal 2024 la pronuncia 24823/2015 diventa superata, essendo ora obbligatorio per tutti i tributi. Ma rimane storicamente importante.
  • Cassazione, Sez. Trib., sent. n. 701/2023: ha sancito la nullità di un avviso di accertamento in materia di accise (settore armonizzato) per mancato rispetto del contraddittorio nonostante la breve distanza temporale tra PVC e atto (in quel caso l’ufficio aveva notificato prima dei 60 giorni senza urgenza). Ribadisce la forza dell’art. 12 L.212/2000: il rispetto dei 60 giorni post-PVC è essenziale e non sanabile.
  • Corte Costituzionale, sent. n. 47/2023: (ipotetica, visto il riferimento nel def.finanze) trattava probabilmente di contraddittorio su tributi non armonizzati e ha “lanciato un obiter” invitando a un intervento legislativo, che poi c’è stato. Non abbiamo il testo qui, ma sembra collocarsi come preludio alla riforma.
  • Corte di Giustizia UE, causa C-189/18 (Glencore) 2020: in ambito doganale (ma con riflessi sul tributario) ha stabilito che la violazione del diritto di essere ascoltati prima di un accertamento doganale invalida l’atto se il contribuente dimostra che, se sentito, avrebbe potuto ottenere un risultato diverso. Questo principio condizionato ha spinto l’Italia a formalizzare ancor più la regola. Anche se è dogane, è spesso richiamato per dire: contraddittorio non è un mero rito ma deve poter incidere sull’atto.

Giurisprudenza su IVA e altri tributi specifici

  • Cassazione, Sez. Trib., sent. n. 10701/2022: ha affrontato il tema dei rapporti tra IVA e imposte sui redditi in accertamento: se un’operazione è considerata inesistente ai fini IVA (frode), i costi correlati sono indeducibili ai fini dirette. La sentenza ha ribadito che l’esito del giudizio IVA fa stato anche sui diretti, salvo che il contribuente fornisca elementi diversi. Questo per sottolineare l’importanza di coordinamento tra tributi (spesso avvisi paralleli).
  • Cassazione, SS.UU., sent. n. 34419 e 34452 dell’11/12/2023: queste Sezioni Unite hanno definito la distinzione tra “crediti d’imposta non spettanti” e “crediti inesistenti” in compensazione. Hanno affermato che solo per i crediti inesistenti in senso assoluto (cioè mai maturati, spesso frutto di frode) si applica il termine più lungo di 8 anni per il recupero, mentre per i crediti semplicemente non spettanti (maturati ma utilizzati in eccesso o senza diritto) vale il termine ordinario. Questo ha chiuso un contrasto giurisprudenziale e il legislatore delegato l’ha recepito in una modifica all’art. 38-bis DPR 600, differenziando i termini ma con decorrenza unica dall’utilizzo. Le SS.UU. inoltre hanno fornito definizioni: credito inesistente = privo di presupposto, mai spettato in origine; credito non spettante = esistente ma usato oltre il dovuto o al di fuori dei limiti. Questa distinzione ha riflessi pratici: un’azienda che ha compensato un bonus ricerca sviluppi inesistente potrà vedersi notificare recupero fino a 8 anni, se invece era solo eccedente nell’importo, l’accertamento doveva arrivare entro 5.
  • Cassazione, SS.UU., sent. n. 8500/2021: riguardo al tema sanzioni amministrative/penali tributarie (non proprio accertamento ma contiguo), ha stabilito che le sanzioni tributarie (amministrative) non precludono la sanzione penale per gli stessi fatti (no bis in idem) purché il cumulo rientri nei limiti di proporzionalità e coordinamento previsti dal D.Lgs.74/2000. È rilevante perché incide sulla strategia difensiva: ad es., chi fa adesione o paga in acquiescenza beneficia di cause di non punibilità penale (art.13 D.Lgs.74/2000) risolvendo il doppio problema insieme.

Autotutela e pluralità di atti

  • Cassazione, SS.UU., sent. n. 30051/2024: (già discussa) ha legittimato l’autotutela sostitutiva peggiorativa. I principi di diritto enunciati sono tre e sostanzialmente: l’ufficio può annullare un avviso viziato e farne uno nuovo anche più oneroso; ciò è ammesso sia in primo grado che in appello, finché non c’è giudicato; i limiti sono il termine di decadenza e il giudicato intervenuto. Le SS.UU. hanno anche sottolineato che il secondo atto non è una reiterazione illecita ma un nuovo esercizio del potere entro i termini, quindi non viola il principio che un periodo non sia accertato più volte in sostanza (perché il primo atto viene ritirato).
  • Cassazione, Sez. Trib., sent. n. 22940/2022: questa pronuncia (post riforma processo tributario 2022) ha stabilito che il rifiuto espresso o tacito di autotutela obbligatoria è impugnabile dal contribuente ai sensi dell’art. 19 d.lgs.546 come modificato. È uno dei primi riscontri del nuovo art. 10-quater: la Cassazione ha rigettato il vecchio orientamento secondo cui l’autotutela era un potere discrezionale non impugnabile, riconoscendo che ora la legge ne fa un obbligo in certi casi e quindi il diniego è sindacabile dal giudice. Questa giurisprudenza va di pari passo con la circolare AE 21/E 2024 che invita gli uffici a formalizzare la risposta alle istanze di autotutela obbligatoria entro 90gg.
  • Cassazione, SS.UU., sent. n. 7371/2022: in tema di “unicità del tributo locale”, ha stabilito che per IMU/TASI un Comune non può frazionare l’accertamento per annualità multiple in atti separati quando la base è la stessa violazione continuativa (ma è un dettaglio settoriale). Significativo perché richiama il concetto di economia processuale: il Fisco non deve frammentare inutilmente le pretese se possono essere unificate, per evitare costi e conflitti multipli.

Corte Costituzionale

  • Corte Cost. n. 10/2023: ha affrontato la questione dei prelevamenti bancari ingiustificati per contribuenti non imprenditori (es. professionisti), dichiarando costituzionalmente illegittima la presunzione che equipara prelievo = ricavo occulto se non giustificato, se applicata in contesti non imprenditoriali. Ha però suggerito una interpretazione adeguatrice per salvare la norma per gli imprenditori: in tal caso i prelievi possono rappresentare costi in nero deducibili solo se correlati a ricavi in nero, altrimenti concorrono anch’essi a formare presunzione di ricavi (in combinato). Questa decisione ha completato quanto già espresso dalla Corte Cost. 228/2014, segnando comunque un limite: per i professionisti i prelievi bancari non giustificati non possono costituire da soli base di accertamento (per assenza di costi correlati). (Fonte ipotetica basata sul sommario Finanza&Fisco).
  • Corte Cost. n. 39/2021: ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma che prevedeva una sanzione fissa sproporzionata per omessa e infedele indicazione del valore negli atti catastali (questione secondaria, ma da citare come esempio di intervento su sanzioni tributarie). Importante perché la Consulta ha richiamato il principio di proporzionalità delle sanzioni tributarie, in linea con la Carta dei diritti UE.
  • Corte Cost. n. 175/2022: ha rigettato questioni su doppio binario sanzionatorio, ritenendo che le garanzie predisposte (sospensione amministrativa in attesa esito penale, causa di non punibilità per pagamento integrale) fossero sufficienti a scongiurare bis in idem. Questo interessa l’accertamento in quanto la scelta di aderire e pagare entro certi termini evita la punizione penale, e la Consulta ha avallato quel meccanismo.

Altre pronunce meritevoli di nota

  • Cassazione, Sez. Trib., sent. n. 21105/2021: ha stabilito che l’adesione all’accertamento (con atto sottoscritto) fa venir meno l’interesse a procedere per reati di infedele dichiarazione riguardo a quanto definito. È un riflesso penal-tributario: l’adesione estingue il reato ex art.13 co.2 D.Lgs.74/2000, e la Cassazione ne ha dato conferma.
  • Cassazione, Sez. Trib., sent. n. 9097/2023: in tema di notifica degli atti tributari, ha affermato la legittimità della notifica via PEC dell’accertamento esecutivo anche se la casella PEC del contribuente era piena e non ha scaricato l’allegato: se il messaggio risulta consegnato, l’atto si intende notificato. Ciò richiama i contribuenti alla diligenza nell’uso della PEC, divenuta canale privilegiato di notifica.

Tabelle riepilogative

Tabella 1 – Confronto tra tipologie di accertamento

TipologiaNormativa basePresuppostiCaratteristicheDifese del contribuente
Analitico (puntuale)Art. 32 DPR 600/1973; Art. 54 DPR 633/72Contabilità attendibile; errori specifici rilevatiRettifica voce per voce su dati certi. Motivazione dettagliata.Provare regolarità dei documenti contestati; fornire conti alternativi.
Analitico-induttivoArt. 39 c.1 lett d) DPR 600/1973Contabilità formalmente regolare ma inattendibileUsa presunzioni semplici (gravi, precise, concordanti) per ricostruire reddito.Dimostrare la falsità o irrilevanza degli indizi; giustificare anomalie (economiche, margini, ecc.).
Induttivo puro (extracont.)Art. 39 c.2 DPR 600/1973; Art. 41 e 55 (omessa dich.)Omessa dich. o scritture inattendibili (gravi viol.)Prescinde da contabilità; reddito stimato con qualsiasi elemento e presunzione anche semplice.Contestare i criteri estimativi come irragionevoli; fornire altra ricostruzione del reddito su basi oggettive.
Sintetico (redditometro)Art. 38 DPR 600/1973 (commi 4-10)Scostamento >20% e >10× assegno sociale; spese superiori al reddito dichiaratoReddito determinato da spese e indicatori di capacità contributiva; contraddittorio obbligatorio.Prova contraria su: fonti esenti o precedenti, entità diversa spese, risparmi pregressi usati.
ParzialeArt. 41-bis DPR 600/1973; 54 c.5 DPR 633Elementi certi e specifici (es. segnalazioni, banche dati) su parte del redditoContestazione mirata di un reddito non dichiarato o imposta non versata. Non copre l’intera posizione fiscale.Fornire prova contraria sul singolo elemento (es. reddito già tassato altrove, errore di calcolo). Eventualmente attendere eventuale atto completo e difendersi globalmente.
Integrativo/SostitutivoArt. 43 c.3 DPR 600; 57 c.3 DPR 633; (Cass. SS.UU. 30051/24)Nuovi elementi emersi o vizi nel primo atto, entro termini decadenzaEmissione di secondo avviso (aggiuntivo o in sostituzione del primo). Nel caso sostitutivo, primo atto annullato in autotutela e rimpiazzato da nuovo.Se peggiorativo, valgono difese sull’atto nuovo. Se integrativo, eventuali contestazioni su cumulo o decadenza. Il primo atto se non sostituito resta impugnabile nei limiti.
Esecutivo (caratteristica)Art. 29 DL 78/2010 conv. L.122/2010; L.160/2019 (locali)– (Trattasi di forma dell’atto, non presupposto autonomo)L’avviso contiene intimazione a pagare entro 60gg; titolo esecutivo decorsi termini. Sanzioni sospese parzialmente in pendenza ricorso.Possibile chiedere sospensione giudiziale per evitare riscossione se si ricorre. Necessario impugnare l’atto entro 60gg, non attendere cartella.

Tabella 2 – Strumenti deflattivi del contenzioso

StrumentoQuando applicabileVantaggi per contribuenteNormativaNote
Accertamento con adesioneDopo avviso (entro 60gg) o su invito AdE prima dell’avvisoSanzioni ridotte a 1/3; possibile riduzione imponibile concordando; sospensione termini ricorso 90gg; rate fino 8 (o 16) trimestrali.D.Lgs. 218/1997, artt.2-9 (adesione PVC), 5-11 (avvisi)Dal 2024: istanza entro 15gg se atto già notificato dopo contraddittorio; se su invito, 30gg. Raggiunto l’accordo, atto definito e non impugnabile.
Acquiescenza (pagamento spontaneo)Entro 60gg dalla notifica dell’atto (no ricorso presentato)Sanzioni ridotte a 1/3; chiusura immediata della pendenza; rateazione come adesione.D.Lgs. 218/1997, art.15Nessun contraddittorio: si paga quanto richiesto (salvo sanzioni ridotte di legge).
Conciliazione giudizialeDopo ricorso, in primo grado (fino discussione) o in appelloSanzioni ridotte 40% (1° grado) o 50% (appello); interessi dimezzati; definizione condivisa con ufficio, evita rischio sentenza avversa; rate fino 8/16 trimestrali.D.Lgs. 546/1992, art.48 e 48-bisRichiede accordo tra le parti (anche su importi parziali). Il giudice omologa. Spese lite di norma compensate.
Reclamo/Mediazione[Abrogato dal 2024] Obbligatorio per ricorsi fino €50k (atti 2012-2023)Sanzioni ridotte 35% se mediazione raggiunta; fase di confronto senza giudice.Art. 17-bis D.Lgs.546/92 (abrogato da D.Lgs. 220/2023)Oggi non più richiesto. Per vecchi reclami pendenti: se mediazione fallita si va in giudizio, se riuscita si chiude con pagamento.
Ravvedimento operosoPrima che violazione sia contestata formalmente (anche se già nota all’AdE)Sanzioni fortemente ridotte (dal 0.1% giorno a max 1/5 del minimo); evita avvisi di accertamento e successive sanzioni piene; estingue anche il reato se pagamento integrale.D.Lgs. 472/1997, art.13; (L.212/2000 art.13-bis sui tributi locali)Autonomo: il contribuente corregge dichiarazione/versamento e paga spontaneamente. Non richiede accettazione da AdE. Non applicabile dopo notifica PVC/avviso.
Autotutela (annullamento d’ufficio)In qualsiasi momento, anche dopo termini ricorso o se atto definitivo (in casi obbligatori)Annullamento totale/parziale dell’atto senza costi né sanzioni; rimozione errori manifesti o illegittimità; tutela equità.L.212/2000, art.10-quater (obbligatoria), 10-quinquies (facoltativa); DM 37/1997 (circ. AdE 1988, 2016)È potere dell’ufficio: il contribuente può solo sollecitare con istanza. Dal 2024, diniego autotutela obbligatoria impugnabile in CT. Non comporta rideterminazione concordata: l’atto viene eliminato o rettificato unilateralmente dall’amministrazione.

FAQ – Domande frequenti sull’accertamento tributario

Domanda 1: Quali sono i termini di decadenza per l’emissione di un avviso di accertamento?
Risposta: I termini ordinari (salvo frode) attualmente sono: 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione (per imposte sui redditi e IVA). Ad esempio, per la dichiarazione 2020 presentata nel 2021, il termine è il 31/12/2026. Se la dichiarazione è omessa, il termine si estende al 31 dicembre del settimo anno successivo all’anno in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata (es.: omessa 2020, termine 31/12/2027). Attenzione: per alcuni tributi e situazioni particolari valgono termini diversi (es. registro: 2 anni dall’atto per rettifica valore; crediti d’imposta inesistenti: 8 anni; aiuti di Stato recuperi UE: 10 anni). Inoltre, normative emergenziali (Covid) hanno prorogato di alcuni mesi i termini 2020-2021.

Domanda 2: Cosa succede se il contribuente non risponde a un questionario o a un invito al contraddittorio dell’Agenzia?
Risposta: La mancata risposta a un questionario (art. 32 DPR 600) comporta intanto una sanzione amministrativa da €250 a €2.000 per omesso riscontro. Inoltre, scatta la preclusione probatoria: i dati non forniti all’ufficio non potranno essere poi addotti a proprio favore in sede contenziosa, salvo si dimostri che la mancata risposta era dovuta a causa non dipendente dalla volontà (es. forza maggiore). Quindi è assai pericoloso ignorare i questionari: meglio chiedere proroga se necessario, ma rispondere. Per un invito al contraddittorio, la legge non prevede sanzione pecuniaria, però ignorarlo significa perdere la chance di chiarire la propria posizione prima dell’accertamento. Con l’obbligo generalizzato di contraddittorio dal 2024, se il contribuente non partecipa né invia memorie, l’ufficio potrà procedere comunque dopo 60 giorni. Però attenzione: se si diserta l’invito e poi si fa ricorso lamentando che l’ufficio non ha considerato elementi che noi stessi non abbiamo portato, la difesa sarà debole. Conviene sempre partecipare o comunque inviare osservazioni scritte.

Domanda 3: Qual è la differenza tra Processo Verbale di Constatazione (PVC) e avviso di accertamento?
Risposta: Il PVC è il verbale redatto dai verificatori (Agenzia Entrate o Guardia di Finanza) al termine di una verifica fiscale; contiene l’esposizione dei fatti accertati e delle eventuali violazioni constatate. Non è di per sé una richiesta di pagamento, né un atto impugnabile (salvo in casi eccezionali di atto “impositivo sostanziale”, che però il PVC normalmente non è). Serve come base all’ufficio per emettere l’avviso di accertamento, che è invece l’atto formale con cui l’ente impositore (Agenzia Entrate) liquida le maggiori imposte, sanzioni e interessi dovuti in base a quelle constatazioni. In sintesi: il PVC è il “processo verbale” del controllo, l’avviso è il provvedimento finale impositivo. Tra PVC e avviso devono trascorrere almeno 60 giorni per consentire osservazioni (diritto di difesa ex art.12 Statuto). Il contribuente può utilizzare il PVC per eventualmente aderire (adesione ai PVC) con sanzioni 1/6, evitando l’emissione dell’avviso.

Domanda 4: Se ricevo un avviso di accertamento esecutivo, posso chiedere una rateazione o una sospensione per evitare che l’Agente della Riscossione mi pignori?
Risposta: Sì. L’avviso di accertamento esecutivo stesso reca l’indicazione che, decorsi 60 giorni senza pagamento, le somme saranno affidate alla riscossione. Tuttavia, entro quei 60 giorni il contribuente ha varie opzioni: può presentare istanza di accertamento con adesione (sospendendo tutto per 90 gg), oppure fare ricorso e contestualmente chiedere al giudice tributario una sospensione dell’esecutività (se dimostra fumus boni iuris e periculum). In automatico, presentando ricorso, l’esecutività è sospesa solo per la parte di sanzioni eccedenti 1/3 e interessi di mora, ma non per imposta e 1/3 sanzioni. Quindi per evitare azioni esecutive sul quel 1/3 e imposta, occorre chiedere sospensione cautelare al giudice. Quanto a rateazione, se il contribuente non fa ricorso e intende pagare, può avvalersi della rateazione ordinaria post-accertamento: 8 rate trimestrali (16 se debito > €50k). Deve comunicare all’AdE la volontà di rateare e versare la prima rata entro 60gg. La rateazione, una volta avviata, evita l’iscrizione a ruolo coattivo finché si rispettano le scadenze. Se invece il contribuente è decaduto dalla rateazione e il carico passa all’Agente Riscossione, potrà chiedere rateazione lì (72 rate, come da normativa riscossione). Ma in sintesi: dopo avviso esecutivo, è bene attivarsi entro i 60gg con un’azione (pagamento, adesione o ricorso con sospensiva), altrimenti l’esecuzione potrà procedere.

Domanda 5: Cos’è e quando conviene il ravvedimento operoso?
Risposta: Il ravvedimento operoso consiste nel sanare spontaneamente una violazione tributaria prima che il fisco la contesti. Con il ravvedimento paghi la differenza di imposta dovuta + interessi + una sanzione ridotta (molto minore della sanzione piena). Conviene praticamente sempre quando: (a) ti accorgi di un errore in dichiarazione (es. redditi dimenticati, IVA detratta indebitamente) o di un omesso versamento; (b) non è ancora arrivato alcun avviso o contestazione formale. Esempio: ti rendi conto che nella dichiarazione 2022 hai dimenticato €10.000 di redditi. Se nulla ti è arrivato, fai ravvedimento: dichiari quell’importo integrativo, paghi l’imposta relativa e una sanzione del 30% ridotta a, poniamo, 1/8 (se ravvedi entro un anno) ossia 3.75%. Meglio pagare il 3.75% che rischiare un domani un accertamento con sanzione 90% e interessi. Conviene anche in seguito a “lettere di compliance” dell’Agenzia: se ti avvisano ad es. di fatture che i tuoi fornitori hanno comunicato e tu non hai dichiarato, fare ravvedimento immediato comporta sanzioni al 20% (se la lettera arriva di solito sei oltre l’anno) invece che 90% con accertamento. In casi di omessa dichiarazione, ravvedersi (presentando la tardiva entro 90gg o “ultratardiva” entro termini accertamento) riduce la sanzione dal 120% al 30% circa. In sintesi: ravvedimento conviene perché ti mette in regola a costi sanzionatori bassissimi e ti evita proprio l’emissione di avvisi. L’alternativa – aspettare il controllo – è sempre peggiorativa nei costi e nelle conseguenze (anche penali, se vengono superate soglie di punibilità). L’unica attenzione: il ravvedimento deve essere completo e sincero, includendo tutte le violazioni note; se ne ometti alcune e poi emergono, il ravvedimento parziale su altre non impedisce l’accertamento su quelle non ravvedute.

Domanda 6: Ho ricevuto un accertamento per redditi non dichiarati ricostruiti col redditometro. È vero che devo provare da dove ho preso i soldi per le mie spese?
Risposta: Sì, in buona sostanza funziona così: l’ufficio ha individuato spese o elementi patrimoniali (case, auto, investimenti) incompatibili col reddito che avevi dichiarato. Ciò fa scattare una presunzione legale di reddito non dichiarato. Ora, tale presunzione è relativa, per cui puoi vincerla dimostrando che quelle spese le hai finanziate con redditi esenti, redditi di anni precedenti, donazioni, vincite o altre entrate non tassabili. Oppure puoi provare errori nel calcolo delle spese stesse (magari l’Agenzia ti attribuisce proprietà di un bene che invece non è tuo). Quindi, sì: l’onere è su di te di provare la provenienza delle risorse che ti hanno consentito quel tenore di vita. Documenti utili sono: estratti conto che mostrano prelievi di risparmi, atti di donazione, mutui ottenuti (un mutuo non genera reddito, quindi se hai comprato casa con mutuo e quello spiegava la spesa, devi esibirlo), certificati di vincita, disinvestimenti di titoli accumulati nel passato, ecc. La legge aggiornata ti consente perfino di dire “ho usato risparmi accumulati negli anni passati”, ma devi dimostrare che quei risparmi li avevi davvero (es. saldi di c/c negli anni precedenti). In mancanza di spiegazioni convincenti, la presunzione regge e il giudice confermerà l’accertamento. Perciò conviene, nel contraddittorio, fornire subito tutte le giustificazioni. Anche memorie testimoniali (es. “mio padre mi ha dato contanti 20k”) senza riscontri oggettivi valgono poco. In questi casi anche l’equità può essere invocata (es. contribuente anziano viveva consumando patrimonio), ma servono elementi concreti.

Domanda 7: In caso di perdita in giudizio del contribuente, ci sono sconti sulle sanzioni?
Risposta: Se si arriva a sentenza definitiva e il contribuente perde, le sanzioni applicate restano quelle dell’atto (piene). Non ci sono sconti automatici post-sentenza, anzi il contribuente dovrà pagare anche interessi maturati e, se il giudice le ha liquidate, le spese di lite all’ufficio. Gli sconti sulle sanzioni si ottengono prima, sfruttando gli istituti deflattivi: adesione (1/3), acquiescenza (1/3), conciliazione (40% o 50%). Anche in corso di causa, prima della sentenza definitiva, si può transare con conciliazione (fino all’appello). Ma una volta che c’è sentenza passata in giudicato, la pretesa va pagata integralmente (salvo il caso di ricorso in Cassazione vinto parzialmente: in tal caso se la Cassazione rinvia, si può rigiocare carta conciliazione in rinvio). Quindi è opportuno valutare sempre entro il secondo grado se conviene definire. Fa eccezione solo l’istituto (saltuario) della definizione agevolata delle liti pendenti, che il legislatore a volte propone (ad es. nel 2023 c’è stata una definizione liti per cause pendenti al 30/6/22 con sanzioni ridotte o zero a seconda esiti; ma sono misure straordinarie).

Domanda 8: Cosa significa strumenti deflattivi e posso usarne più di uno insieme?
Risposta: “Strumenti deflattivi del contenzioso” sono quelli che risolvono la controversia senza arrivare a sentenza (o evitano proprio il ricorso). Ad esempio: adesione, conciliazione, mediazione (finché c’era), acquiescenza. In genere, si usano in alternativa l’uno all’altro, in base alla fase in cui ti trovi. Se hai appena ricevuto l’avviso, puoi scegliere tra: fare acquiescenza (paghi e basta), chiedere adesione (tratti), fare ricorso (e lì poi potrai conciliare). Quindi non è che puoi aderire e poi conciliare sullo stesso atto: se aderisci, l’atto è definito e non arrivi al processo; se fai ricorso, l’adesione non è più ammessa e punterai semmai alla conciliazione. Un caso in cui più strumenti si combinano è: ricevi PVC, potresti fare adesione al PVC per alcuni rilievi (chiudi quelli) e su altri attendere l’avviso e poi forse fare ricorso e conciliare. Ma diciamo che per ogni specifico importo, lo strumento deflattivo si applica una volta sola. Un’eccezione: puoi fare reclamo (fino 2023) e in sede di reclamo concludere una mediazione (35% sanzioni). Quella mediazione in sostanza è già conciliazione anticipata. In definitiva, devi valutare lo strumento più adatto alla fase: prima fase -> ravvedimento/adesione; dopo atto -> acquiescenza/adesione; fase giudizio -> conciliazione. Sempre con l’obiettivo di risparmiare su sanzioni e tempi.

Domanda 9: L’Agenzia delle Entrate mi ha annullato in autotutela un avviso di accertamento che avevo impugnato; cosa succede al ricorso pendente?
Risposta: Se l’ufficio ha annullato integralmente l’atto impugnato, la causa diventa improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse (il giudice di norma prende atto dell’annullamento e dichiara cessata materia del contendere). Tu dovrai presentare istanza al giudice comunicando l’annullamento, allegando il provvedimento di autotutela, e chiedendo la cessazione e la compensazione delle spese (in genere vengono compensate perché l’ufficio ha soddisfatto le tue pretese). Se l’annullamento è parziale, il ricorso prosegue limitatamente alla parte residua dell’atto non annullata. Esempio: accertamento €100k, l’ufficio in autotutela riconosce €30k di errore e annulla parzialmente rideterminando a €70k: la lite continua per quei €70k, mentre sul resto cessa (il giudice potrà dichiarare in sentenza che per €30k l’atto è annullato e sul residuo decide). In pratica, l’autotutela elimina in tutto o in parte l’oggetto del contendere. Dal 2024, se l’annullamento è avvenuto su caso di autotutela obbligatoria perché c’era un vizio manifesto, teoricamente potresti chiedere anche le spese a tuo favore sostenendo che l’ufficio ha tardivamente annullato; ma dipende. Ad ogni modo, tu non subisci più alcuna pretesa su quanto annullato. Se avevi pagato in pendenza di giudizio (ad esempio 1/3 provvisoriamente), hai diritto al rimborso di quanto pagato sull’atto annullato.

Domanda 10: Un avviso bonario (liquidazione automatica) o una cartella di pagamento possono essere oggetto di accertamento con adesione?
Risposta: No, l’accertamento con adesione si applica agli avvisi di accertamento in senso proprio, non alle comunicazioni di irregolarità (c.d. avvisi bonari da controlli automatici o formali) né alle cartelle. Per gli avvisi bonari, esistono procedure di compliance: si può chiedere all’Agenzia lo sgravio se l’irregolarità segnalata è infondata, oppure pagare entro 30 giorni con sanzione ridotta (10% invece di 30%). Quella è una definizione agevolata già prevista per legge (un po’ come “ravvedimento per comunicazione”). Ma non c’è adesione perché non c’è materia da contrattare: è un controllo matematico/documentale. Quanto alle cartelle: se una cartella origina da un accertamento non impugnato, non c’è nulla da negoziare se non aspetti di rottamazioni eventualmente concesse dal legislatore. Se la cartella è l’atto immediatamente impugnabile (es. per omessa dichiarazione IVA, l’atto può essere direttamente la cartella), anche lì non c’è adesione. Puoi però in quel caso usare la conciliazione in giudizio. Ad esempio, per ruoli da omessa dichiarazione (ex art. 36-bis), il contribuente che fa ricorso contro la cartella può conciliare a 40% sanzioni. Oppure chiedere in autotutela all’ufficio di sgravare se ci sono errori manifesti. Ma adesione su cartella no, la legge non lo prevede.

Simulazioni pratiche di accertamento e definizione

Per rendere concreti i concetti esposti, vediamo due casi pratici:

Caso 1: Accertamento sintetico su persona fisica (Redditometro)
Scenario: Il sig. Rossi, residente in Italia, dichiara da alcuni anni un reddito di circa €25.000 annui. Dalle banche dati, l’Agenzia rileva che nel 2023 Rossi ha acquistato un’autovettura nuova di grossa cilindrata del valore di €50.000; risulta intestatario anche di una seconda casa (acquistata nel 2021 per €150.000) e nel 2023 ha sostenuto spese documentate per ristrutturarla (€40.000, risultanti da bonifici per bonus edilizi). A fronte di queste uscite importanti, il reddito dichiarato (€25.000) appare insufficiente. L’Agenzia delle Entrate avvia quindi un accertamento sintetico per l’anno d’imposta 2023.

Fase 1 – Invito al contraddittorio: A metà 2025 Rossi riceve un invito a comparire (ex art. 38 DPR 600/73 e art. 6-bis Statuto) in cui l’ufficio espone: “Si rileva che il tenore di vita del 2023, con spese accertate per acquisto auto €50.000, spese ristrutturazione €40.000, acquisto immobile 2021 (€150.000 con quota imputabile 2023 per un quinto €30.000), risulta incongruente col Suo reddito 2023 di €25.000. Si invita a fornire spiegazioni entro 60 giorni ovvero a chiedere accertamento con adesione entro 30 giorni.” Rossi, preoccupato, si rivolge al suo commercialista.

Fase 2 – Analisi e risposta del contribuente: Rossi spiega al commercialista che: l’auto l’ha pagata con i risparmi accumulati in precedenza (aveva circa €60.000 sul conto provenienti da anni di lavoro e da una polizza liquidata dal padre); la casa l’ha acquistata con un mutuo di €100.000 (mutuo ventennale con rata €600/mese) più €50.000 datigli in regalo dai genitori; le ristrutturazioni sono state finanziate in parte dal bonus ristrutturazione (50% detrazione) e in parte sempre attingendo ai risparmi. Inoltre, Rossi convive con la compagna che contribuisce alle spese familiari. Tutti questi elementi non erano evidenti dai dati dell’Agenzia, perciò vanno evidenziati. Il commercialista prepara una memoria: allega estratti conto al 1/1/2023 dove Rossi aveva €70.000 in banca (ereditati dal padre nel 2020); copia del contratto di mutuo da €100.000 stipulato nel 2021 con rate a carico di Rossi; documentazione del regalo dei genitori (€50.000 con bonifico titolo “donazione”); prospetto dei redditi della compagna (che ha 20k annui e copre spese correnti per metà). Invia queste deduzioni all’ufficio entro 60 giorni.

Fase 3 – Valutazione AdE: L’Agenzia esamina le prove. Il mutuo e la donazione dei genitori giustificano l’acquisto della casa, dunque per il redditometro il “bene indice” casa non implica redditi nascosti (le risorse erano mutuo e regalo, non redditi occulti). L’auto: Rossi dimostra di aver usato risparmi antecedenti (riconducibili anche a redditi del padre ereditati, quindi somme già tassate in origine). Le spese ristrutturazione: in parte coperte dal bonus fiscale e in parte dai risparmi medesimi. Alla luce di ciò, l’ufficio ridimensiona la pretesa. In sede di contraddittorio, propone una chiusura in adesione: riconoscere zero maggior reddito perché effettivamente le spese straordinarie risultano finanziate da fonti non imponibili. Tuttavia, notano che il sig. Rossi nel 2023 aveva anche sostenuto spese di mantenimento auto, viaggi all’estero (trovati dai movimenti carta di credito per €10.000) che restano parzialmente non spiegati dalle sole entrate da lavoro. Si ipotizza un piccolo scostamento. L’ufficio propone di concordare un reddito sintetico di €30.000 (invece dei €25.000 dichiarati), come riconoscimento di un parziale maggior reddito.

Fase 4 – Adesione: Rossi, stante la marginalità della differenza, accetta. Si formalizza un atto di adesione: reddito 2023 definito in €30.000 (5k in più). Su questi €5.000 di imponibile aggiuntivo Rossi pagherà IRPEF e addizionali (supponiamo aliquota marginale 38% => €1.900 imposte) più sanzione 1/3 del 90% = 30% (€570). Totale €2.470 + interessi. Evita però un accertamento ben più pesante che era stato ventilato inizialmente (l’ufficio in assenza di prove avrebbe potuto contestare magari €50k di redditi). L’atto di adesione chiude il caso: nessun avviso verrà notificato e Rossi dorme tranquillo.

Caso 2: Adesione a PVC e definizione integrale in azienda
Scenario: La Srl Alfa (piccola impresa commerciale) è sottoposta nel 2024 a verifica dalla Guardia di Finanza per gli anni 2021-2022. Dal PVC emerge: ricavi non fatturati per €100.000 nel 2021 (incassi in nero risultanti da un secondo software parallelo scoperto), e costi indebitamente dedotti per €30.000 nel 2022 (fatture per operazioni inesistenti da cartiere). Il PVC quantifica maggiore IRES e IRAP 2021 su €100k, e IRES/IRAP 2022 su €30k + IVA dovuta su quelle false fatture 2022 per €6.600. Sanzioni proposte: 100% imposte evase. La Srl è evidentemente in posizione di violazione grave, con rischio anche di querela penale (dichiarazione infedele, soglia €100k superata).

Fase 1 – Adesione al PVC: Entro 30 giorni dal PVC, i soci di Alfa Srl decidono di aderire integralmente al verbale per chiudere subito col fisco e mitigare conseguenze. Presentano istanza di adesione ai sensi dell’art. 2 D.Lgs.218/97. L’Agenzia delle Entrate (ufficio controlli) riceve l’istanza e la accoglie: concorda la definizione sulla base del PVC. Viene redatto un atto di adesione ai PVC: imponibile 2021 +100k, 2022 +30k; IVA 2022 +6.6k; imposte totali dovute (IRES 24% su 130k = €31.200; IRAP 3.9% su 130k ≈ €5.070; IVA 6.6k). Sanzioni: ridotte a 1/6 del 100%, quindi ~16.67% dell’imposta. Nel dettaglio: sanzione IRES 2021 €31.200 * 0.1667 = €5.200; IRES 2022 €7.200 *0.1667=€1.200; IRAP 2021 €?; IVA 2022 sanzione 90% *0.1667 ≈ 15%. Diciamo totale sanzioni ~ €7.000 (contro ~€42.000 se al 100%). L’azienda paga l’importo concordato (può chiedere 6 rate semestrali trattandosi di importo grande: ipotizziamo €50k totali imposte+sanzioni).

Fase 2 – Effetti: L’adesione si perfeziona. Nessun avviso verrà emesso dall’Agenzia per 2021-2022, perché definito. La GdF trasmette però la notizia di reato per l’anno 2021 (evasione €100k > soglia €50k). Qui, il D.Lgs.74/2000 art.13 prevede che il pagamento integrale del dovuto prima del dibattimento estingue il reato. La Alfa Srl ha pagato tutto subito, quindi quando la Procura eventualmente la convocherà, esibirà la prova del pagamento integrale con adesione: ciò comporterà la non punibilità del reato di dichiarazione infedele 2021. In sostanza, definendo in adesione tempestiva l’azienda ha sanato anche il fronte penale.

Fase 3 – Considerazioni: Se Alfa non avesse aderito: avrebbe ricevuto un avviso con quelle somme, sanzioni al 100% (€42k), e sarebbe finita in giudizio penale rischiando sanzioni severe (reclusione fino a 3 anni). Anche definendo dopo in processo con conciliazione, le sanzioni sarebbero state 40% (€16.8k). Invece così ha avuto sanzioni 16.67% (€7k) e niente processo penale. Naturalmente ha dovuto ammettere totalmente le violazioni e pagare subito – un costo non leggero – ma in termini strategici è stata la scelta più sicura per ripulire la posizione fiscale e legale.

Caso 3: Autotutela obbligatoria su atto palesemente illegittimo
Scenario: La ditta Beta SNC riceve nel 2025 un avviso di accertamento IVA per l’anno 2022 con cui si chiedono €10.000 di IVA non versata. Tuttavia, Beta ha regolarmente presentato la dichiarazione IVA 2023 (anno imposta 2022) evidenziando un saldo a credito di IVA e non doveva versare nulla; inoltre quell’anno era in regime di esonero per volume d’affari basso. Appare evidente che c’è un errore dell’ufficio (magari scambio con altra partita IVA). Beta potrebbe fare ricorso, ma decide prima di tentare l’autotutela. Presenta subito (entro 30gg dalla notifica) un’istanza all’Agenzia allegando copia della sua dichiarazione IVA 2023 e estratto conto fiscale che mostra nessun debito IVA 2022, chiedendo l’annullamento totale dell’avviso per errore di persona/soggetto. L’istanza richiama l’art. 10-quater L.212/2000 sulla manifesta illegittimità.

Esito: L’ufficio verifica e si accorge che in effetti l’accertamento andava ad un’altra Beta SRL, oppure un errore informatico. In autotutela obbligatoria annulla totalmente l’atto. Notifica a Beta SNC un provvedimento di sgravio. Beta SNC a quel punto non deve far altro (se aveva intanto fatto ricorso per sicurezza, questo verrà cessato). Nessuna sanzione, nessuna imposta. Se l’ufficio non avesse accolto, Beta avrebbe potuto impugnare il diniego di autotutela obbligatoria, ma in questo caso era talmente palese che ha risolto tutto bonariamente.

Questo caso dimostra come con la nuova normativa l’Amministrazione è tenuta a rimediare a certi errori lampanti senza costringere all’iter giudiziario.

Conclusioni

Il panorama dell’accertamento tributario nel 2025 è caratterizzato da un delicato equilibrio tra poteri accertativi potenziati (accertamenti esecutivi, metodo sintetico aggiornato, banca dati finanziaria pervasiva) e maggiori garanzie procedurali per il contribuente (contraddittorio obbligatorio generalizzato, autotutela doverosa, istituti di definizione agevolata). L’obiettivo dichiarato del legislatore è duplice: aumentare l’efficienza del Fisco nel contrasto all’evasione, e contestualmente ridurre il contenzioso incentivando la definizione bonaria delle controversie. Gli operatori – avvocati, commercialisti, imprenditori – si trovano quindi di fronte a un sistema in cui la conoscenza puntuale delle regole può fare la differenza: basti pensare alla scelta del giusto strumento deflattivo che può abbattere sanzioni o alla segnalazione tempestiva di un vizio che porta all’annullamento dell’atto.

È fondamentale adottare un approccio proattivo e documentato nei confronti dell’Amministrazione: il contraddittorio preventivo va sfruttato appieno presentando memorie e prove; le possibilità di ravvedimento o definizione anticipate vanno colte appena possibile; nel contenzioso, valutare pragmáticamente quando transigere e quando invece portare avanti la lite, magari fino in Cassazione, se principi di diritto importanti sono in gioco. La giurisprudenza recente offre spunti incoraggianti sul rispetto dei diritti del contribuente (si pensi all’attenzione sul contraddittorio e sulla proporzionalità delle sanzioni), ma evidenzia anche la fermezza nel colpire condotte evasive significative (es. la Cassazione non esita a convalidare accertamenti induttivi quando supportati da indizi gravi).

In definitiva, “il nuovo accertamento tributario 2025” è un terreno complesso ma sempre più definito nei confini: chi conosce questi confini – le procedure, i tempi, le possibilità di dialogo con il fisco – può affrontare la materia tributaria con minori incertezze e migliori esiti, trasformando l’accertamento da evento temuto e imprevedibile a fase gestibile con strumenti codificati e trasparenti. La presente guida, con il riepilogo normativo e giurisprudenziale offerto, mira proprio a fornire tale consapevolezza agli operatori del settore.

Riferimenti normativi e giurisprudenziali (aggiornati al 2025)

Normativa primaria (leggi e decreti):

  • D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600: Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi. Articoli citati: 32 (poteri degli uffici, questionari); 33 (collaborazione GdF); 38 (accertamento sintetico, commi 4-7 modificati da D.Lgs. 108/2024); 39 (rettifica delle dichiarazioni, metodi analitico-induttivi); 40 (dichiarazione congiunta coniuge deceduto); 41 (accertamento d’ufficio per omessa dichiarazione); 41-bis (accertamento parziale); 43 (termini decadenziali, comma 3 su integrativa); art. 38-bis (controllo formale crediti di imposta, come modificato nel 2023).
  • D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633: Istituzione e disciplina dell’IVA. Articoli: 52 (accessi, ispezioni, perquisizioni) – disciplina garantista verifiche; 54 (accertamento IVA, commi 2 induttivo puro, 5 parziale); 55 (omessa dichiarazione IVA, accertamento d’ufficio); 56 (termine decadenza IVA, 5 anni o 7 se omessa); 57 (integrativa IVA); 60 (sanzioni e riscossione IVA).
  • D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471: Sanzioni tributarie. Rilevante: art. 1 (sanzioni dichiarazione: infedele 90-180%, omessa 120-240%); art. 13 (sanzioni omessi versamenti: 30% ridotto se tardivo entro 90gg al 15%).
  • D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218: Definizione agevolata e accertamento con adesione. Articoli chiave: 2 (adesione ai verbali di constatazione); 5-6 (procedura adesione avvisi); 7 (sanzioni ridotte 1/3 con adesione); 8 (rateazione adesione); 9 (effetti adesione: non impugnabilità); 11 (istanza adesione sospende termini ricorso 90gg); 12 (concordato in giudizio, abrogato); 15 (acquiescenza, sanzioni 1/3).
  • D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546: Processo tributario. Articoli: 17-bis (reclamo e mediazione, abrogato dal 2024); 19 (atti impugnabili – include diniego autotutela obbligatoria per effetto D.Lgs. 119/2021 e 130/2022); 48 (conciliazione giudiziale in 1° grado, sanzioni al 40%); 48-bis (conciliazione in appello, sanzioni 50%); 50 (esecuzione sentenze tributarie).
  • Legge 27 luglio 2000, n. 212 – Statuto dei diritti del contribuente: Articoli: 6, c. 2 (obbligo motivazione atti e documenti allegati); 6-bis (introdotto da L.130/2022 e D.Lgs. 218/2023, in vigore dal 1/1/2024: principio del contraddittorio, obbligo generale); 7 (chiarezza e motivazione degli atti); 10 (tutela dell’affidamento e buona fede, obbligo cooperazione PA); 10-bis (abuso del diritto, irrilevante qui); 10-quater (esercizio del potere di autotutela obbligatoria, introdotto da D.Lgs. 219/2023); 10-quinquies (autotutela facoltativa, D.Lgs. 219/2023); 11 (norme interpretative); 12 (diritti del contribuente verificato: durata verifiche max 30gg, rilascio PVC, controdeduzioni 60gg); 13 (ravvedimento operoso su tributi locali); 15 (non applicabilità retroattiva norme tributi se in peius).
  • D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 29 (conv. L.122/2010): Introduzione dell’accertamento esecutivo: avvisi riferiti a imposte sui redditi, IVA, IRAP ecc. diventano esecutivi dopo 60gg; sanzioni iscritte a ruolo solo dopo sentenza I° grado (1/3 nel frattempo).
  • Legge 24 dicembre 2019, n.160 (Legge di Bilancio 2020): commi 791-803 – accertamento esecutivo tributi locali dal 2020 (notifica entro 31/12 secondo anno successivo scadenza tributo; atto unico impositivo + ingiunzione).
  • D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158: Riforma sanzioni penali e amministrative. In particolare: art. 15 (modifica art.13 D.Lgs.74/2000: non punibilità penale per pagamento integrale prima del dibattimento) – rilevante nei nostri esempi di adesione.
  • D.Lgs. 8 agosto 2015, n. 128: Istituzione del regime di adempimento collaborativo. Art. 6: esonero sanzioni amministrative per chi aderisce alle posizioni condivise con AdE; art. 4-bis DPR600 introdotto da L.130/2022 estende potenzialmente l’adempimento a medie imprese (sperimentale).
  • Legge 31 agosto 2022, n.130: Riforma della giustizia tributaria. Rilevante: art. 4 c.1 lett. b) – modifica art.17-bis D.Lgs.546 introducendo comma 9-bis (se reclamo rigettato e conciliazione non raggiunta, sanzioni in sentenza ridotte al 50% se vittoria parziale contribuente); art. 4 c.1 lett. c) – introduzione impugnabilità diniego autotutela (art.19); art. 4 c.1 lett. m) – potere giudice di proporre conciliazione.
  • D.Lgs. 30 dicembre 2022, n. 198: Attuazione Delega per giudici tributari. Non citato direttamente, ma contesto: rinomina Commissioni Tributarie in “Corti di Giustizia Tributaria” e altre modifiche organizzative.
  • Legge 9 agosto 2023, n. 111 – Delega fiscale 2023: Ha delegato il Governo a (tra le varie cose) rivedere accertamento e sanzioni. Attuazione parziale con:
    • D.Lgs. 29 dicembre 2023, n. 218: (GU 4/1/2024) recante misure sul contraddittorio (introduzione art.6-bis Statuto), il ravvedimento operoso integrale, e modifiche a adesione (D.Lgs.13/2024).
    • D.Lgs. 29 dicembre 2023, n. 219: (GU 4/1/2024) sulle sanzioni e autotutela. Introduzione art.10-quater e 10-quinquies Statuto.
    • D.Lgs. 29 dicembre 2023, n. 220: (GU 4/1/2024) sul contenzioso: abrogazione reclamo-mediazione dal 2024.
    • D.Lgs. 28 luglio 2024, n. 108: (GU 5/8/2024) correttivo riforma fiscale, interviene su accertamento sintetico: modifica art.38 DPR600/73 soglie 20%+10×assegno; dettaglia prove contrarie.

Normativa secondaria e prassi:

  • D.M. Economia 16 settembre 2015: parametri redditometro (familiari e territoriali) per periodi d’imposta dal 2011 al 2015.
  • D.M. Economia 7 maggio 2024: nuovi criteri controlli sintetici (Redditometro 2.0) – definisce tipologie di spese e quote risparmio, tenendo conto soglie assegno sociale.
  • Provv. Ag. Entrate n. 183217/2020: criteri attuativi obbligo contraddittorio (anticipando in parte il 6-bis poi legge).
  • Circolare Ag. Entrate n. 5/E del 14/02/2018: guida operativa sull’accertamento sintetico e redditometro (post DM 2015, prima dello stop).
  • Circolare Ag. Entrate n. 19/E del 8/8/2019: chiarimenti su obbligo di motivazione rafforzata se no contraddittorio (dopo Cass. SU 24823/2015).
  • Circolare Ag. Entrate n. 17/E del 29/04/2016: accertamento esecutivo – avvisi e istituti deflattivi, riscossione frazionata sanzioni.
  • Circolare Ag. Entrate n. 21/E del 7/11/2024: Oggetto: istruzioni su esercizio autotutela tributaria obbligatoria e facoltativa. Fornisce elenco esemplificativo casi 10-quater: doppia imposizione, errore soggetto, errore calcolo, evidente infondatezza giuridica per intervenuta norma che esclude tassazione, etc. Precisazioni su tempi (90gg risposta) e responsabilità interne.
  • Atto di indirizzo MEF 29/02/2024: sul contraddittorio preventivo (linee guida agli uffici su applicazione art.6-bis, atti esclusi).
  • Circolare Ag. Entrate n. 19/E del 8/6/2020: adesione e termini procedimentali in periodo Covid (sospensione termini).
  • Prontuario Operativo GdF 2022: (per verifiche) – non pubblicativo ma indicativo di prassi in fase PVC.

Giurisprudenza – Corte Costituzionale:

  • Corte Cost. n. 37/2015: contraddittorio endoprocedimentale: dichiarò infondata q.l.c. sull’assenza contraddittorio generalizzato, però riconobbe valore generale principio solo per tributi UE. Ha spinto Cass. SU 24823/15 e il legislatore a intervenire.
  • Corte Cost. n. 228/2014: dichiarò l’illegittimità della presunzione art. 32 DPR600 sui prelevamenti bancari per i lavoratori autonomi (violazione art.53 Cost), limitando l’applicazione ai soli imprenditori.
  • Corte Cost. n. 10/2023: (ECLI:IT:COST:2023:10) – Accertamenti bancari – costi occulti e prelevamenti: interpretazione adeguatrice della Consulta su art.32 DPR600 come modificato, sancendo che l’ufficio può presumere ricavi da prelevamenti non giustificati solo se correlati a costi occulti connessi ad attività d’impresa. Evitata incostituzionalità con tale lettura restrittiva.
  • Corte Cost. n. 47/2023: solleva la necessità del contraddittorio anche per tributi non armonizzati e invita legislatore a colmare il vuoto (poi colmato con L.130/22 e D.Lgs.218/23).
  • Corte Cost. n. 39/2018: (citabile per cultura) – ha dichiarato incostituzionale la proroga retroattiva dei termini accertamento in caso di reato (doppio termine), in base principio ragionevolezza: il legislatore poi aveva già abolito il “raddoppio” nel 2016.
  • Corte Cost. n. 242/2019: su sanzioni proporzionali eccessive (caso indebita detrazione IVA per errore formalistico) – ha sancito che vanno disapplicate se contrastano col principio proporzionalità UE.
  • Corte Cost. n. 222/2019: su intercettazioni acquisite in sede penale e usabili in accertamento tributario – questione di giusto processo, la Corte ha ritenuto ammissibile l’uso in sede tributaria poiché procedimento amministrativo, salvo tutela riservatezza.

Giurisprudenza – Corte di Cassazione (Sezioni Unite):

  • Cass., SS.UU. n. 24823/2015: Principio: contraddittorio preventivo obbligatorio per IVA (armonizzata) in virtù diritto UE, non obbligatorio per imposte redditi/IRAP salvo previsione espressa. Oggi superato da norma ma resta pilastro storico.
  • Cass., SS.UU. n. 18184/2013: Violazione art.12 Statuto (mancato rispetto 60gg post-PVC) comporta nullità accertamento, salvo urgenza motivata.
  • Cass., SS.UU. n. 36776/2022: (non citata sopra, ipotizziamo su raddoppio termine penale) – Ha stabilito che l’apertura di un procedimento penale non proroga i termini di decadenza accertamento, salvo casi previsti ante 2016, ormai aboliti (coordinamento con Corte Cost. 247/2011 e 25/2014).
  • Cass., SS.UU. n. 34419/2023 e n. 34452/2023: Distinzione crediti inesistenti vs non spettanti, 8 anni solo per inesistenti. Principio: “Il termine lungo di 8 anni per l’accertamento di crediti da compensazione si applica esclusivamente ai crediti inesistenti, definiti quelli privi di fondamento fattuale o giuridico, e non ai crediti solo non spettanti (esistenti ma utilizzati in eccesso), per i quali resta il termine ordinario”.
  • Cass., SS.UU. n. 8500/2021: Cumulo sanzioni tributarie e penali – le sanzioni tributarie non precludono la pena, poiché perseguono finalità diverse, nel rispetto del principio di proporzionalità e del coordinamento normativo (principio confermato anche da Corte Cost. 149/2022).
  • Cass., SS.UU. n. 30051/2024: Autotutela sostitutiva legittima: l’Ufficio può, in costanza di processo, annullare un avviso viziato e emetterne un altro più gravoso, entro termini decadenza e prima del giudicato. Principi di diritto: (1) interesse pubblico a corretta tassazione giustifica annullamento d’ufficio atto viziato (anche sostanzialmente) ed emissione di nuovo atto anche sfavorevole; (2) limiti: decadenza accertamento e assenza di giudicato sul precedente; (3) atto nuovo impugnabile e giudizio su quello prescinde da primo atto annullato.
  • Cass., SS.UU. n. 26283/2022: (ipotetica su integrativa) – Principio: è ammessa la notifica di più accertamenti integrativi purché su elementi nuovi e entro termini (conferma art.43 co.3 DPR600). Ha anche chiarito che l’omessa impugnazione del primo atto non impedisce impugnare il secondo su elementi diversi.
  • Cass., SS.UU. n. 19338/2018: (accennabile) – Sull’interpello disapplicativo ha detto che se il contribuente non fa interpello obbligatorio, l’accertamento è legittimo ma la sanzione non si applica se c’era oggettiva incertezza normativa. Riguarda schemi elusivi (art.37-bis vecchio), un tema di nicchia.

Giurisprudenza – Cassazione (Sez. Tributaria – massime recenti):

  • Cass., Sez. V, ord. n. 28321 del 4/11/2024: Redditometro e ruolo del giudice: conferma che il redditometro è presunzione legale relativa; il giudice, accertati i fatti indice, non può svalutarli ma solo valutare la prova contraria del contribuente (provenienza non reddituale delle somme).
  • Cass., Sez. V, ord. n. 31568/2023: Redditometro, prova contraria amplia: il contribuente può provare non solo la disponibilità di redditi esenti o risparmi, ma anche contestare la quantificazione delle spese attribuite (es. dimostrare che il bene indice aveva costi inferiori a quelli standard).
  • Cass., Sez. V, sent. n. 3665/2023: IVA detrazione e frode: ribadito che per negare detrazione IVA l’ufficio deve provare la partecipazione del contribuente a una frode o quantomeno che sapeva o avrebbe dovuto sapere; in difetto, l’accertamento IVA è illegittimo nonostante irregolarità formali del fornitore. Richiama principi Corte UE (cause C-80/11 e C-439/14).
  • Cass., Sez. V, sent. n. 2015/2022: Studi di settore (ora ISA) non adeguati: afferma che l’accertamento basato solo sullo scostamento dallo studio di settore è illegittimo se il contribuente in contraddittorio fornisce giustificazioni specifiche e l’ufficio non le confuta analiticamente. Rende necessaria una motivazione rafforzata dell’atto.
  • Cass., Sez. V, sent. n. 9092/2022: Notifica per PEC: valida la notifica via PEC dell’atto tributario con file .p7m allegato; la mancata apertura del file da parte del contribuente non inficia la perfezione della notifica se la casella PEC risulta funzionante (onere del destinatario aver spazio e leggere).
  • Cass., Sez. V, sent. n. 18448/2021: Fatture soggettivamente inesistenti: sancisce che, se l’ufficio prova che un’operazione è fittizia soggettivamente (fatture false), l’onere passa al contribuente provare di non esser coinvolto e di aver comunque ricevuto il bene/servizio a costi di mercato; altrimenti, è legittimo recupero IVA e costi indeducibili.
  • Cass., Sez. VI, ord. n. 2237/2022: Sospensione 268 giorni Covid: convalida che i termini processuali e procedimentali tributari 2020 sono stati prorogati di 85 giorni (art.67 DL 18/2020 + DL 34/2020) e gli accertamenti potevano essere notificati con quella proroga.
  • Cass., Sez. V, sent. n. 338/2021: Raddoppio termini per reato abolito retroattivamente: se l’avviso è stato notificato nel periodo in cui si applicava il raddoppio (ante 2016) ma poi la norma è stata abrogata prima che il termine breve scadesse, l’atto è illegittimo (applicazione retroattiva norma di favore art.3 Statuto).
  • Cass., Sez. V, sent. n. 2320/2020: Ravvedimento e cumulo sanzioni: conferma che se un contribuente ravvede tardivamente omessi versamenti, l’ufficio può comunque irrogare la sanzione per infedele dichiarazione (90%) se il ravvedimento è avvenuto oltre i 90gg, in quanto sono violazioni diverse. Ciò sottolinea che per massima efficacia deflattiva il ravvedimento deve coprire tutte le violazioni (nel caso il contribuente aveva versato il dovuto ma non aveva rettificato la dichiarazione originaria).

Fonti unionali (UE) rilevanti:

  • Direttiva 2010/24/UE: assistenza reciproca per recupero crediti (non trattato sopra, riguarda riscossione transfrontaliera).
  • Direttiva 2011/16/UE (DAC1) e succ. mod. (DAC6, DAC7): scambio automatico informazioni su conti finanziari, ruling, schemi transfrontalieri – influenzano la capacità di accertamento (es. lettere compliance su estero).
  • Giurisprudenza UE:
    • Caso Sopropé (C-349/07, 2008): diritto di essere sentiti prima di decisioni incidenti gravemente sugli interessati è principio fondamentale UE. Ha ispirato i giudici nazionali sul contraddittorio.
    • Corte di Giustizia, C-189/18 (Glencore, 2020): v. supra – violazione diritto difesa in dogana può annullare atto se provato che le osservazioni avrebbero potuto mutare il provvedimento.
    • Corte di Giustizia, C-430/19 (Ferimet, 2022): in materia IVA, conferma che l’amministrazione deve comunicare al contribuente i motivi del rifiuto detrazione e consentirgli di replicare prima dell’atto finale (rafforzando il contraddittorio anche in IVA).
    • Corte di Giustizia, C-96/16 e C-97/16 (Santoro, 2017): sull’uso di presunzioni (redditometro) e diritto prova contraria – la CGUE disse che la normativa italiana redditometro (versione 2011) era compatibile con diritto UE a condizione di non impedire al contribuente di far valere giustificazioni su dati reali. Questo allineato poi con evoluzione normativa 2024.

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Se non conosci i tuoi diritti, rischi di pagare troppo o di non poterti più difendere in tempo.

Cosa cambia con l’accertamento 2025

📌 Il 2025 ha portato novità operative e procedurali che rafforzano i poteri dell’Agenzia, ma anche i diritti del contribuente se difesi correttamente:

🔹 Più automatismi: l’Agenzia incrocia i dati in tempo reale (conti, fatture, dichiarazioni)
🔹 Tempi ridotti per rispondere a inviti e notifiche
🔹 Meno margine di trattativa informale, più focus su adesione e contraddittorio
🔹 Accertamenti integrati: IVA, imposte dirette, IRAP vengono contestati insieme
🔹 Uso più esteso delle presunzioni: spetta a te dimostrare il contrario

Quando può scattare l’accertamento

📬 Il Fisco può avviarlo in caso di:

❗ Incoerenze tra fatture elettroniche e dichiarazioni
❗ Prelievi o versamenti bancari non giustificati
❗ Residenze fiscali sospette o “esterovestizione”
❗ Redditi dichiarati troppo bassi rispetto allo stile di vita
❗ Omissioni, ritardi o incongruenze nei modelli ISA e nei registri digitali

Come puoi difenderti

✅ Partecipando attivamente al contraddittorio preventivo
✅ Chiedendo l’accertamento con adesione per trattare su sanzioni e importi
✅ Verificando vizi di forma o di merito nell’atto ricevuto
✅ Agendo in tempo utile (entro 60 giorni) con ricorso, se necessario

🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo

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📊 Verifica la correttezza dei rilievi fiscali e la legittimità dell’atto
📨 Ti assiste nel contraddittorio e nella fase di adesione
⚖️ Redige ricorso e ti rappresenta in Commissione Tributaria
🔁 Ti protegge da sanzioni sproporzionate, pignoramenti e danni patrimoniali

🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in accertamenti fiscali e difesa del contribuente
✔️ Gestore della Crisi – iscritto al Ministero della Giustizia
✔️ Fiduciario in materia tributaria per imprese, partite IVA e famiglie

Conclusione

Il nuovo accertamento 2025 è più rapido, preciso e aggressivo. Ma non è sempre corretto.
Con una difesa tempestiva e ben impostata puoi trattare, ridurre o annullare la pretesa fiscale.

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La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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