Come Risolvere La Crisi Dell’imprenditore Troppo Indebitato

Hai accumulato debiti con banche, fornitori o il fisco? Ti trovi in difficoltà con pagamenti arretrati, pignoramenti in corso, segnalazioni in CRIF o fidi revocati? Ti stai chiedendo come uscire da questa spirale e se esiste un modo concreto per salvare la tua attività, proteggere il patrimonio e ripartire?

Negli ultimi anni, il legislatore ha introdotto strumenti sempre più efficaci per aiutare l’imprenditore onesto ma troppo indebitato, prima che la situazione diventi irreversibile. L’obiettivo è quello di garantire una seconda possibilità a chi ha ancora la volontà e la capacità di riorganizzarsi, evitando il fallimento e l’esposizione personale.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in crisi d’impresa, sovraindebitamento e ristrutturazione del debito – ti spiega quali sono le soluzioni legali previste dal Codice della Crisi per gli imprenditori in difficoltà, cosa puoi fare per fermare la discesa e quali strategie concrete possono aiutarti a uscire dal sovraindebitamento e difendere ciò che conta.

Scoprirai:

Le principali soluzioni per uscire dalla crisi, anche con debiti elevati:
– Composizione negoziata della crisi, per trattare con i creditori prima che sia troppo tardi
– Concordato preventivo in continuità aziendale, per salvare l’attività e ristrutturare i debiti
– Accordi di ristrutturazione con banche, fornitori e fisco, con dilazioni e riduzioni sostenibili
– Procedure di esdebitazione personale, per chi è anche garante, socio o ex imprenditore

Cosa può fare oggi un imprenditore sovraindebitato:
– Attivare strumenti protettivi che bloccano pignoramenti, decreti ingiuntivi, segnalazioni
– Elaborare un piano di rientro credibile, assistito da un legale e da un esperto della crisi
– Proteggere il patrimonio personale, distinguendo le responsabilità della società
– Uscire legalmente dal circuito del debito senza svendere tutto o subire passivamente

Quali sono i vantaggi reali offerti dalle nuove norme:
– Maggiore tutela per l’imprenditore in buona fede
– Accesso a soluzioni su misura anche per imprese minori, ditte individuali e professionisti
– Possibilità di ripartire senza il peso dei debiti passati, nel rispetto della legge e sotto il controllo del tribunale

Cosa succede se la crisi è già avanzata:
– Anche con pignoramenti e insolvenze in corso è possibile intervenire
– Si può sospendere l’azione dei creditori e ristrutturare il debito in modo ordinato
– È possibile arrivare all’esdebitazione personale, liberandosi dei debiti non più sostenibili

Con l’aiuto di un legale esperto puoi valutare subito quale strada percorrere, evitare decisioni impulsive, difenderti dalle pretese più aggressive e costruire un piano concreto per tornare in equilibrio, salvando il lavoro, la reputazione e il futuro.

Alla fine della guida potrai richiedere una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo, analizzare in dettaglio la tua situazione debitoria e costruire una strategia legale personalizzata per uscire dalla crisi, proteggere i tuoi beni e riprendere il controllo della tua impresa e della tua vita.

Introduzione

La crisi d’impresa causata da un eccessivo indebitamento è una situazione complessa che può colpire aziende di ogni settore e dimensione. Negli ultimi anni l’ordinamento italiano ha rivoluzionato gli strumenti per affrontare queste crisi, introducendo nuove soluzioni sia stragiudiziali (negoziate al di fuori delle aule di tribunale) sia giudiziali (procedure concorsuali vere e proprie). L’obiettivo di questa guida è fornire una panoramica avanzata e aggiornata (maggio 2025) di come un imprenditore sovraindebitato possa risolvere la propria crisi, sfruttando tutti gli strumenti offerti dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII) e dalla normativa vigente.

Il taglio sarà tecnico-giuridico ma divulgativo, rivolto sia a professionisti del diritto (avvocati, consulenti) sia agli stessi imprenditori, in modo da comprendere le opzioni disponibili e le relative implicazioni legali. Verranno analizzati i vari istituti, dai piani di risanamento negoziati agli accordi di ristrutturazione del debito, fino al concordato preventivo e alle procedure di liquidazione, senza trascurare le novità normative e le pronunce giurisprudenziali più recenti.

Nella guida troverete inoltre tabelle riepilogative con condizioni, vantaggi e svantaggi di ciascuno strumento, una sezione di FAQ (domande frequenti) e delle simulazioni pratiche di casi tipo italiani (ad es. la piccola impresa indebitata con il Fisco, la banca e i fornitori, oppure l’imprenditore individuale insolvente). In coda è fornito un elenco completo delle fonti normative e giurisprudenziali aggiornate citate o rilevanti in materia.

Evoluzione normativa recente: dal fallimento al Codice della Crisi

Per contestualizzare gli strumenti oggi a disposizione, è utile riepilogare la recente evoluzione normativa. La disciplina delle crisi d’impresa in Italia ha vissuto una riforma epocale con il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019), emanato in attuazione di una legge delega del 2017. Questo Codice, dopo vari rinvii, è entrato in vigore il 15 luglio 2022, a seguito di numerose modifiche correttive e di adeguamento. In particolare:

  • Nel 2020, il D.Lgs. 147/2020 ha apportato un primo correttivo al testo originario del Codice.
  • Nel 2021, il legislatore è intervenuto con misure urgenti a causa della pandemia e in vista del recepimento delle norme europee. In particolare, con il D.L. 118/2021 convertito in L. 147/2021 sono stati introdotti in anticipo due nuovi istituti: la Composizione negoziata della crisi e il concordato semplificato (di cui diremo oltre).
  • Nel 2022, per recepire la direttiva UE 2019/1023 (cosiddetta Insolvency Directive), è stato emanato il D.Lgs. 83/2022 che ha ulteriormente modificato il Codice prima della sua effettiva entrata in vigore. Questo intervento ha introdotto i “Quadri di ristrutturazione preventiva” richiesti dall’Europa, ossia strumenti flessibili per ristrutturare l’impresa ed evitare l’insolvenza, inclusa la possibilità di derogare alle normali regole di soddisfacimento dei creditori in presenza di consenso qualificato. Tra le novità più rilevanti portate dal decreto 83/2022 vi sono: il Piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (PRO), gli accordi di ristrutturazione “agevolati” con soglia ridotta di consenso, e una disciplina innovativa del cram-down fiscale (ossia la possibilità di omologare i piani anche senza il consenso del Fisco, in presenza di determinate garanzie per l’Erario).
  • Nel 2023-2024 sono seguiti ulteriori aggiustamenti. Un importante intervento è il D.Lgs. 136/2024 (cosiddetto “terzo correttivo”), pubblicato a fine settembre 2024, volto a perfezionare e chiarire diversi aspetti emersi nella prima applicazione del Codice. Questo decreto ha affrontato varie criticità interpretative segnalate da giudici e professionisti, apportando correzioni tecniche e introducendo incentivi per un maggiore utilizzo degli istituti preventivi. Ad esempio, con specifico riguardo alla composizione negoziata, si sono introdotte misure “promozionali” per incentivarne l’uso, dato che fino al 2024 tale strumento aveva trovato scarsa applicazione pratica.

Parallelamente, è evoluta anche la giurisprudenza di legittimità e costituzionale. La Corte di Cassazione e la Corte Costituzionale hanno emesso pronunce significative per interpretare la nuova normativa e rimuovere eventuali ostacoli. Ricorderemo, ad esempio, le Sezioni Unite 8557/2023, che hanno evidenziato un’importante differenza tra il vecchio regime fallimentare e il nuovo Codice in tema di accertamento del passivo (riconoscendo, sotto il CCII, tutela ai creditori ipotecari di terzi), e la Cass. 22699/2023, che ha chiarito l’accesso al concordato minore per l’ex imprenditore individuale (come vedremo nella parte dedicata al sovraindebitamento). Inoltre, la Corte Costituzionale con la sentenza n. 65/2022 ha eliminato alcune preclusioni (es. il divieto di falcidiare l’IVA per i consumatori), armonizzando la disciplina con i principi del diritto concorsuale e sovranazionale.

Con questo quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, possiamo ora analizzare i diversi strumenti a disposizione dell’imprenditore indebitato, distinguendo dapprima quelli di natura stragiudiziale (o para-concorsuale) e successivamente quelli giudiziali. In ogni caso, la scelta dello strumento dipenderà dalla gravità della crisi, dalla tipologia e dimensione dell’impresa, e dal livello di consenso che è possibile ottenere dai creditori.

(N.B.: per “imprenditore” si intende qui sia l’impresa in forma societaria sia l’imprenditore individuale; quando rilevante, distingueremo tra imprenditori soggetti a fallimento/liquidazione giudiziale e soggetti non fallibili come le piccole imprese e i consumatori.)

Strumenti stragiudiziali per la gestione della crisi d’impresa

Gli strumenti stragiudiziali sono quelli che mirano a risolvere la crisi mediante accordi volontari e piani negoziati con i creditori, evitando se possibile l’avvio di una procedura concorsuale giudiziaria. In genere, questi strumenti offrono maggiore flessibilità e riservatezza rispetto alle procedure formali, e possono consentire di preservare il valore aziendale senza gli effetti dirompenti di un fallimento. Di contro, richiedono un certo grado di consenso da parte dei creditori e la fattibilità economica di un piano di risanamento. Analizziamo i principali istituti stragiudiziali previsti dall’ordinamento aggiornato.

Composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa

La Composizione negoziata è uno strumento introdotto dal D.L. 118/2021 (oggi disciplinato negli artt. 17-25 quinquies CCII) che consente all’imprenditore in difficoltà di avviare, su base volontaria, trattative riservate con i creditori con l’assistenza di un esperto indipendente. Si tratta di una procedura extragiudiziale, confidenziale e flessibile, finalizzata a trovare un accordo di risanamento quando l’impresa si trova in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario, pur mantenendo la gestione ordinaria in capo all’imprenditore. La composizione negoziata è accessibile a tutte le imprese, di qualsiasi settore e dimensione, incluse le piccole imprese e le imprese agricole (tradizionalmente escluse dal fallimento). Non è richiesto uno stato di insolvenza conclamata: basta trovarsi in situazione di crisi o anche di semplice squilibrio che rende probabile l’insolvenza futura (l’ottica è quella di anticipare l’emersione della crisi).

Come funziona? L’imprenditore presenta un’istanza tramite la piattaforma telematica gestita dalle Camere di Commercio (cd. piattaforma “Composizione Negoziata”). Viene nominato un Esperto indipendente (iscritto in apposito elenco) che, dopo aver valutato la situazione aziendale, assiste e guida l’imprenditore nelle trattative con i creditori. Durante questa fase, l’imprenditore:

  • Mantiene la gestione dell’azienda, sia ordinaria che straordinaria, sotto la supervisione dell’esperto. L’esperto può tuttavia segnalare eventuali atti pregiudizievoli ed esprimere dissenso (annotandolo nel registro delle imprese) se ritiene che certe operazioni siano dannose per i creditori. In generale, l’impresa deve operare nell’interesse prevalente dei creditori durante le trattative.
  • Può richiedere al tribunale l’applicazione di misure protettive e cautelari a tutela del patrimonio: ad esempio la sospensione o il divieto di azioni esecutive e cautelari da parte dei creditori, per avere “respiro” durante le negoziazioni. Queste misure, se concesse, costituiscono un vero e proprio “ombrello protettivo” temporaneo.
  • Può ottenere, sempre previa autorizzazione del tribunale, di contrarre finanziamenti prededucibili (ossia con prelazione in caso di successivo fallimento) per sostenere l’attività corrente, o anche di cedere l’azienda o rami d’azienda senza incorrere in responsabilità per il cessionario riguardo ai debiti pregressi (derogando all’art. 2560 c.c.). Ciò agevola eventuali operazioni straordinarie durante la composizione negoziata.
  • Ha diritto a una esenzione dalle azioni revocatorie per i pagamenti e le garanzie concessi durante la trattativa, se coerenti con lo stato delle negoziazioni e le prospettive di risanamento, a meno che l’esperto vi si opponga formalmente. Questo incoraggia i creditori a continuare a supportare l’azienda (ad es. mantenendo forniture) senza timore che tali atti possano essere revocati successivamente.
  • Può ottenere la sospensione delle cause di scioglimento societario per perdite rilevanti, presentando apposita domanda all’avvio della procedura.
  • Può accedere a “misure premiali” di natura fiscale e pubblicistica (es. riduzione di sanzioni o interessi su debiti fiscali) se rispettate certe condizioni, come descritto più avanti.

Le trattative sono riservate (non c’è pubblicità legale, salvo l’annotazione iniziale dell’istanza di nomina dell’esperto nel registro imprese, e l’eventuale pubblicazione delle misure protettive con decreto del tribunale). La durata della composizione negoziata è di norma 180 giorni, prorogabili di ulteriori 180 su richiesta motivata. Durante tale periodo, imprenditore ed esperto esplorano possibili soluzioni di risanamento.

Esiti possibili: La composizione negoziata non è una procedura con esito predeterminato, bensì un percorso che può sfociare in diverse soluzioni. In particolare, entro la fine delle trattative l’imprenditore – se riesce a costruire un consenso sufficiente – può concludere con i creditori uno dei seguenti accordi (i quali vengono pubblicati nel registro delle imprese, a cura dell’esperto, nella “relazione finale”):

  • Contratti con uno o più creditori: ad esempio accordi stragiudiziali di dilazione o remissione parziale del debito. Tali contratti, se l’esperto attesta che sono idonei a garantire la continuità aziendale per almeno 2 anni, possono beneficiare delle agevolazioni di cui all’art. 25-bis CCII (riduzione interessi e sanzioni fiscali, ecc.). In pratica, il successo della trattativa negoziata può dare accesso a premi fiscali, come la riduzione al tasso legale degli interessi sui debiti tributari e l’abbattimento delle sanzioni, nonché la possibilità di rateizzare i debiti fiscali.
  • Convenzioni di moratoria: accordi con cui una pluralità di creditori (tipicamente banche) accettano di congelare o posticipare le scadenze dei crediti, guadagnando tempo per il risanamento. Anche tali convenzioni, se concluse con l’ausilio dell’esperto, vengono annotate e possono prevedere il mantenimento delle misure protettive per la durata stabilita.
  • Accordo di ristrutturazione “agevolato” o piano attestato: l’imprenditore può optare, se ne ricorrono i presupposti, per un Piano attestato di risanamento (ex art. 56 CCII) o un Accordo di ristrutturazione dei debiti (artt. 57 e segg. CCII) come esito della composizione negoziata. In tal caso beneficerà di alcune facilitazioni: ad esempio, se viene sottoscritto un accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa, la percentuale di consenso necessaria può essere ridotta dal 75% al 60% qualora il raggiungimento dell’accordo risulti dalla relazione finale dell’esperto. Inoltre, se dopo la composizione negoziata l’imprenditore propone un concordato preventivo, la soglia di adesione per eventuali proposte concorrenti di terzi si abbassa dal 30% al 20% (art. 111 CCII).
  • Accordo stragiudiziale con attestazione esperto: l’art. 23 comma 1 lett. c) CCII prevede uno specifico accordo sottoscritto da debitore, creditori e dallo stesso esperto, che attesta la coerenza del piano con la regolazione della crisi o insolvenza. Questo accordo, pubblicato nel registro imprese, comporta importanti benefici: esenzione da revocatoria per gli atti, pagamenti e garanzie posti in essere in esecuzione dell’accordo, e non punibilità per alcuni reati di bancarotta relativi a tali atti. In altre parole, se la trattativa si conclude con un accordo supervisonato dall’esperto, i pagamenti effettuati in sua esecuzione non potranno essere successivamente revocati né considerati distrattivi.
  • Concordato preventivo o altra procedura concorsuale: se la situazione lo richiede, l’imprenditore può decidere di accedere direttamente a un concordato preventivo “tradizionale” (presentando domanda di concordato durante o subito dopo la negoziazione). Questo può avvenire ad esempio quando serve una moratoria anche verso creditori non disponibili a trattare spontaneamente, o quando occorre la cram-down di dissenzienti che solo la procedura giudiziale può imporre.
  • Esito negativo: Purtroppo, in circa il 35% dei casi finora la composizione negoziata si conclude senza accordo, per assenza di concrete prospettive di risanamento o per trattative sfumate. In tal caso, l’imprenditore dovrà valutare altre soluzioni formali (come il fallimento/liquidazione giudiziale se vi sono presupposti di insolvenza irreversibile).

Un caso particolare di esito negativo “controllato” è il cosiddetto concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio (art. 25-sexies CCII). Questo strumento, previsto originariamente dal D.L. 118/2021 come “valvola di sicurezza”, consente all’imprenditore che non sia riuscito a concludere accordi nella composizione negoziata di richiedere al tribunale l’omologazione di un concordato liquidatorio senza il voto dei creditori. In pratica, se le trattative falliscono ma vi è la possibilità di liquidare i beni in maniera ordinata a vantaggio dei creditori, il debitore può presentare un piano di liquidazione (accompagnato da una relazione dell’esperto) che il tribunale potrà omologare anche senza l’approvazione dei creditori, purché siano assicurate ai creditori non soddisfatti le medesime somme ottenibili in caso di fallimento. Il concordato semplificato è dunque una procedura giudiziale “d’emergenza” attivabile solo dopo aver tentato la composizione negoziata, che bypassa la fase di voto per accelerare la liquidazione sotto controllo giudiziario. Rappresenta un’opportunità per evitare la dichiarazione di liquidazione giudiziale quando l’imprenditore cooperi attivamente e offra tutto il patrimonio residuo ai creditori.

Di seguito una tabella riepilogativa sulla Composizione negoziata:

Composizione negoziata – Condizioni, vantaggi e svantaggi

CaratteristicheDescrizione
AccessoVolontario, per qualsiasi impresa in crisi o insolvenza reversibile (incluse PMI e agricole). Nomina di un esperto indipendente tramite piattaforma CCIAA.
DurataFino a 6 mesi + proroga 6 mesi. Trattative riservate con assistenza esperto.
Misure protettiveSu richiesta, sospensione di azioni esecutive e cautelari durante le trattative. Autorizzabili atti urgenti (finanziamenti prededucibili, cessioni di azienda free-debiti).
Esiti possibiliAccordi stragiudiziali (piani attestati, accordi di ristrutturazione, convenzioni di moratoria), con benefici fiscali se garantita continuità 2 anni. In mancanza di accordo, possibile concordato semplificato liquidatorio (no voto creditori).
VantaggiFlessibilità e riservatezza; l’impresa continua l’attività; esenzioni da revocatorie per atti coerenti; incentivi fiscali (riduzione interessi e sanzioni tributarie) se esito positivo; possibilità di dilazione dei debiti fiscali fino a 120 rate (10 anni) in caso di accordo finale; i fornitori possono recuperare l’IVA delle fatture non incassate subito, grazie alla pubblicazione dell’accordo. Costi contenuti (compenso esperto definito per legge).
SvantaggiNecessità di collaborazione dei creditori (non è coercitivo salvo poi ricorrere a concordato); rischio di fallimento se le trattative falliscono e l’insolvenza peggiora; temporanea incertezza (gli accordi non sono garantiti ex ante). Utilizzo inizialmente scarso (richiede un cambio di mentalità), anche se in crescita dal 2023.

Nota: Nel 2023 sono state potenziate le misure premiali per chi utilizza la composizione negoziata. Ad esempio, il D.L. 13/2023 (conv. in L. 41/2023) ha aumentato da 72 a 120 il numero di rate mensili concedibili per dilazionare i debiti tributari se la composizione ha esito positivo con un accordo pubblicato. Inoltre, i creditori che aderiscono a un accordo di composizione negoziata possono emettere nota di variazione IVA (recuperando l’IVA sui crediti inesigibili) già dalla data di pubblicazione dell’accordo nel registro delle imprese. Tali incentivi mirano proprio a incentivare il ricorso all’istituto, che inizialmente ha registrato poche decine di domande ma è salito a oltre 1000 istanze complessive entro fine 2023 grazie anche a questi correttivi.

Piani attestati di risanamento

Il Piano attestato di risanamento è uno strumento puramente contrattuale e stragiudiziale già noto nella prassi previgente (ex art. 67, co.3, lett. d) Legge Fallimentare) e ora disciplinato dall’art. 56 CCII. Consiste in un piano di risanamento dell’impresa, con gli interventi necessari (operazioni sul debito, aumenti di capitale, dismissioni, riorganizzazione, ecc.), che viene attestato da un professionista indipendente circa la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano medesimo. L’obiettivo è il riequilibrio della situazione finanziaria e il recupero della continuità aziendale.

Caratteristica essenziale: il piano attestato è un accordo privatistico, non soggetto ad omologazione giudiziaria né a pubblicità legale (salvo la pubblicazione facoltativa del piano presso il registro imprese per ottenere taluni effetti). Non prevede una moratoria generale per legge: quindi i creditori non aderenti non sono vincolati e potrebbero teoricamente agire individualmente. Per questo, il piano attestato funziona bene in situazioni in cui il numero di creditori è limitato o vi è comunque un’adesione pressoché totale, oppure quando l’impresa dispone di risorse per pagare per intero i creditori non partecipanti.

Finalità e vantaggi giuridici: Il legislatore riconosce ai piani attestati alcuni benefici, al fine di incoraggiarne l’uso come soluzione precoce della crisi. In particolare, se il piano è idoneo a permettere il risanamento dell’esposizione debitoria e a garantire l’equilibrio finanziario, gli atti, pagamenti e garanzie posti in essere in esecuzione di esso non sono soggetti a revocatoria fallimentare in caso di successivo fallimento (art. 166, co.3, lett. d) CCII). Inoltre, la realizzazione di un piano attestato che abbia evitato il fallimento esonera gli amministratori e gli altri responsabili da taluni reati concorsuali: ad esempio, è causa di non punibilità per la bancarotta semplice relativa ai pagamenti effettuati in esecuzione del piano (art. 324 CCII). Queste tutele legali rendono il piano attestato un’opzione attraente quando l’impresa ha concrete possibilità di risanamento e intende evitare lo stigma e i costi di una procedura concorsuale.

Condizioni per l’utilizzo: Può accedere a un piano attestato qualsiasi imprenditore commerciale o agricolo, senza limiti dimensionali. Anche un’impresa minore o un’imprenditore agricolo, pur non soggetti a fallimento, possono legittimamente predisporre un piano attestato di risanamento – come rilevato in dottrina – e godere delle relative esenzioni (purché ovviamente vi sia un professionista attestatore e un’adeguata esecuzione del piano). Il piano deve prevedere il pagamento integrale dei creditori estranei nei termini di legge (generalmente 120 giorni dalla scadenza originaria o dall’omologazione, se pubblicato; questa condizione tuttavia è stata resa meno stringente per gli accordi agevolati, come si dirà più avanti). Serve poi la relazione di un attestatore indipendente, scelto tra revisori o professionisti esperti in materia concorsuale, che certifichi la veridicità dei dati aziendali e giudichi attendibile il piano di risanamento.

Forma e contenuto: Il piano in sé è un documento interno (solitamente composto da una relazione industriale e finanziaria) che descrive la strategia di risanamento. Tipicamente verranno rinegoziati i debiti (ad es. ristrutturazione dei finanziamenti bancari, accordi transattivi con fornitori, apporti di nuovi capitali da soci o terzi, vendita di asset non strategici, ecc.) in modo da ripristinare l’equilibrio economico e patrimoniale entro un certo orizzonte temporale. Importante: non c’è un requisito normativo di soddisfare i creditori chirografari in una misura minima (come invece accade nel concordato); tuttavia, il piano deve essere realistico e dimostrare che, con le risorse disponibili e gli accordi raggiunti, l’impresa potrà regolarmente far fronte alle obbligazioni come ristrutturate.

Nessun voto né omologazione: A differenza di concordato e accordi di ristrutturazione, qui non c’è una procedura di voto né un decreto di omologa. Il consenso dei creditori avviene contrattualmente: ciascun creditore può aderire alle modifiche proposte (es: accettare un pagamento dilazionato o una remissione parziale) o negoziare termini individualmente. Il piano può anche essere “unilaterale” – ossia predisposto dall’impresa e attestato, anche senza accordi formali con creditori – ma evidentemente la sua efficacia dipende dal fatto che i creditori lo rispettino in virtù dell’interesse comune al risanamento.

Vantaggi: massima flessibilità (il contenuto dell’accordo lo decidono le parti, senza i rigidi formalismi delle procedure concorsuali), riservatezza (pubblicità solo se l’imprenditore lo desidera, solitamente viene tenuto riservato per non allarmare il mercato), nessun intervento del tribunale (se non, eventualmente, a posteriori in caso di contestazioni). I costi sono relativamente bassi (non vi è un commissario o organi da nominare; l’unico costo significativo è l’attestatore e i consulenti che aiutano a stendere il piano). Permette inoltre di evitare il “marchio” di insolvenza che un concordato o fallimento comportano, con vantaggi reputazionali.

Svantaggi: l’assenza di una moratoria legale significa che un singolo creditore dissenziente può pregiudicare il piano agendo in via esecutiva. Pertanto il piano attestato funziona solo se la stragrande maggioranza dei creditori è collaborativa (in caso contrario, meglio un accordo di ristrutturazione o concordato, che vincolano anche le minoranze dissenzienti). Inoltre, poiché non c’è omologa, il piano non vincola erga omnes e non consente di imporre tagli unilaterali: in pratica le banche e i fornitori devono essere convinti che il piano sia nel loro interesse, altrimenti possono chiamarsi fuori. In situazioni di crisi avanzata, con molti creditori conflittuali, il piano attestato potrebbe non bastare. Infine, il piano attestato non offre protezioni immediate: se servono misure protettive occorre eventualmente richiedere l’accesso alla composizione negoziata o ad altre procedure.

In sintesi, il piano attestato è ideale per crisi non ancora irreversibili, con pochi creditori principali e possibilità di rientro, dove la fiducia tra impresa e creditori è mantenuta. Spesso rappresenta la prima opzione tentata dall’imprenditore per evitare la “pubblicità” di una procedura concorsuale. Se riesce, consente un risanamento discreto e rapido; se fallisce, nulla vieta di passare a strumenti più incisivi (accordi o concordato).

Esempio: un’azienda manifatturiera ha difficoltà di liquidità ma prospettive di mercato positive; concorda informalmente con le banche una rischedulazione dei debiti (allungando le scadenze dei mutui), ottiene dai fornitori una dilazione sulle forniture e dai soci un modesto apporto di capitale. Il tutto viene formalizzato in un piano triennale, che un esperto assevera come fattibile. Con l’esecuzione puntuale del piano, l’azienda supera la crisi, e se anche successivamente dovesse subire un fallimento, i pagamenti fatti ora in esecuzione del piano non potranno essere revocati.

(Si noti che il CCII ha anche previsto – come strumento ulteriore – il “piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione”, di cui diremo più avanti, che si pone a metà strada tra il piano attestato e il concordato, poiché pur essendo negoziato necessita di omologa giudiziale per derogare alle graduatorie di legge.)

Accordi di ristrutturazione dei debiti

Gli Accordi di ristrutturazione dei debiti (ARD) rappresentano uno strumento ibrido: sono accordi negoziati con i creditori, ma richiedono l’intervento finale del tribunale per la loro omologazione. In altre parole, l’imprenditore negozia un’intesa con una parte significativa dei creditori e poi chiede al tribunale di renderla vincolante (omologa), ottenendo alcuni effetti protettivi e “cristallizzando” l’accordo. La disciplina originaria (art. 182-bis L.Fall.) è stata ripresa e ampliata nel CCII, agli artt. 57-64.

Quorum e contenuto: Per un accordo “ordinario” è necessario che aderiscano creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti totali. Non serve l’unanimità quindi, ma una maggioranza qualificata in termini di valore. Il piano allegato all’accordo deve assicurare che i creditori non aderenti (la minoranza estranea) vengano comunque integralmente pagati entro 120 giorni dalla scadenza originaria o dall’omologa (se i loro crediti sono già scaduti) – a meno che non si tratti di creditori con cui si conviene una moratoria ai sensi di legge. Questa regola garantisce che i dissenzienti non vengano pregiudicati: in pratica, non posso imporre tagli ai crediti di chi non firma, se non pagando loro il 100% nei termini stabiliti. Tuttavia, la legge consente di chiedere misure protettive anche verso i creditori estranei durante la fase di trattativa (per evitare azioni esecutive nel frattempo).

Procedura: L’accordo viene depositato in tribunale insieme ad una relazione di un professionista attestatore che certifica l’idoneità dell’accordo a garantire l’integrale pagamento dei creditori estranei nei termini di legge e la veridicità dei dati aziendali (art. 56 CCII rinvia all’art. 48 per la documentazione). Il tribunale, verificati i requisiti, omologa l’accordo senza coinvolgere tutti i creditori in un voto, ma semplicemente controllando la legalità e fattibilità. Con l’omologazione, l’accordo diventa efficace ed esecutivo: vincola solo i creditori aderenti (salvo eccezioni che vedremo) e comporta la cessazione di eventuali azioni esecutive intraprese dai creditori aderenti per i crediti ristrutturati. Inoltre, a seguito del deposito della domanda, l’imprenditore può chiedere misure protettive (simili a quelle del concordato) per congelare le azioni esecutive di tutti i creditori, al fine di guadagnare tempo per raccogliere le adesioni (ciò soprattutto se viene depositata una proposta di accordo e si avvia la trattativa).

Varianti introdotte dal CCII: La riforma ha ampliato la tipologia degli accordi di ristrutturazione, prevedendo alcune varianti con quorum ridotti o con effetti estesi:

  • Accordo di ristrutturazione “agevolato” (art. 60 CCII): è una novità che consente di omologare un accordo anche con un consenso pari ad almeno 30% dei crediti, invece del 60% ordinario. Questo quorum ridotto però è ammesso solo al ricorrere di specifiche condizioni, stabilite dall’art. 60 e già anticipate nel 2021 col DL 118. In particolare: (a) il debitore non deve chiedere una moratoria di pagamento oltre 120 giorni per i creditori estranei; (b) non deve aver già usato strumenti “protettivi” (come un concordato in bianco o misure protettive ex art. 57, co.3 CCII) per evitare che abbia bloccato i creditori mentre trattava. In pratica, l’“accordo agevolato” è pensato per chi si muove molto tempestivamente: l’impresa appena in crisi che ottiene l’adesione di una parte ridotta di creditori (≥30%) ma è in grado di pagare puntualmente tutti gli altri nei termini. Il beneficio di questo istituto è la possibilità di contrarre finanziamenti in prededuzione e di accedere alla transazione fiscale con soglia più bassa di consenso, il tutto senza dover coinvolgere il 60% dei creditori. Tuttavia, come rilevato da alcuni autori, esso presenta delle criticità: richiede infatti che il 70% eventualmente non aderente venga comunque soddisfatto regolarmente – il che implica che l’impresa abbia liquidità sufficiente o supporto finanziario notevole. Per questo, alcuni ritengono che il ricorso pratico a questa norma sarà limitato ai casi di crisi molto iniziale e di accordo prevalentemente finanziario (es. con le banche che rappresentano oltre il 30% del debito).
  • Accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa (art. 61 CCII): questa figura permette di estendere gli effetti dell’accordo anche ai creditori non aderenti appartenenti a determinate categorie omogenee, qualora all’interno di tali categorie si sia raggiunto un livello di consenso elevato. In particolare, se l’accordo riguarda debiti verso banche e intermediari finanziari, o verso fornitori strategici, ed è approvato da almeno il 75% (ora ridotto a 60% se l’azienda aveva avviato una composizione negoziata) dei crediti di quella categoria, l’imprenditore può chiedere al tribunale di estendere gli effetti dell’accordo anche al rimanente 25-40% dissenziente. Ad esempio: se il 80% delle banche per importo ha aderito alla ristrutturazione del debito finanziario, il piano può essere reso vincolante anche per la restante banca dissenziente. Ciò evita il problema del holdout (il creditore isolato che non aderisce sperando di essere pagato integralmente). Ovviamente l’estensione è possibile solo se i non aderenti sono omogenei per posizione giuridica agli aderenti e traggono dal piano un trattamento non inferiore a quello che avrebbero in alternativa (liquidazione). Questa possibilità di cram-down settoriale esisteva già (ex art. 182-septies L.Fall. per le banche) ed è stata confermata.
  • Accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari: è sostanzialmente assorbito nell’accordo ad efficacia estesa, prevedendo che se almeno il 75% (ora 60% post-composizione negoziata) delle banche e affini aderisce, l’accordo vincola tutte le banche. L’idea è gestire le crisi dove il debito bancario è preponderante mediante un accordo che una volta raggiunto un consenso ampio con le banche principali, costringa anche le minori.
  • Accordo in esecuzione di un piano attestato (“accordo di ristrutturazione soggetto a omologazione” nel vecchio lessico della direttiva): su questo torneremo a proposito del PRO, ma va menzionato che il CCII consente all’imprenditore di presentare un accordo di ristrutturazione anche in attuazione di un piano attestato già predisposto, ottenendo l’omologazione per dare maggiore certezza all’operazione. In pratica, se l’imprenditore ha un piano attestato condiviso con alcuni creditori chiave, può “blindarlo” chiedendo l’omologa come accordo ex art. 57 CCII.

Transazione fiscale e con gli enti previdenziali: Un capitolo importante negli accordi (come nei concordati) è la possibilità di includere anche i debiti verso l’Erario e gli enti previdenziali con falcidie o dilazioni. L’accordo di ristrutturazione può contenere una proposta di transazione fiscale (art. 63 CCII) per ridurre o riscadenzare i tributi e i contributi dovuti. Tali enti formalmente sono creditori come gli altri e possono aderire all’accordo. Fino a qualche anno fa, se l’Erario non aderiva, non era possibile omologare l’accordo con una falcidia dei suoi crediti, creando di fatto un diritto di veto. Ma il nuovo impianto normativo, in recepimento della direttiva UE, ha introdotto il principio del cram-down fiscale: se la proposta rivolta al Fisco e all’INPS assicura a questi enti un trattamento non inferiore a quello che avrebbero in liquidazione (e comunque conforme alle priorità di legge), il tribunale può omologare l’accordo anche senza il voto favorevole di Agenzia Entrate o INPS, giudicando “ingiustificato” il loro eventuale dissenso. Ad esempio, se l’accordo prevede che il Fisco incassi 30% in 5 anni e in un fallimento ne ricaverebbe solo 10%, il rifiuto dell’Erario sarebbe abusivo: il tribunale può approvare l’accordo comunque (omologazione forzata dei crediti pubblici). Questo principio è stato applicato nella prassi, ad esempio con il Tribunale di Verona che nel giugno 2024 ha omologato un accordo nonostante il voto contrario del Fisco, rilevando che gli enti pubblici dissenzienti erano comunque trattati meglio del fallimento.

Effetti dell’omologazione: Una volta omologato, l’accordo di ristrutturazione produce effetti simili a una sentenza tra le parti aderenti: impegna l’imprenditore ad attuare il piano e vincola i creditori aderenti a rispettare le nuove scadenze e importi pattuiti, rinunciando ad azioni esecutive individuali. I creditori estranei invece conservano i loro diritti per intero (devono essere pagati come da contratto originario entro i 120 giorni post omologa, se non già scaduti). Non c’è un effetto erga omnes generale come nel concordato (salvo i casi di efficacia estesa per categorie nominate prima). Tuttavia, l’inosservanza dell’accordo può portare il debitore a essere dichiarato in liquidazione giudiziale su istanza dei creditori (se dopo l’omologa l’impresa diviene insolvente e non rispetta i pagamenti). Durante l’esecuzione dell’accordo omologato, alcuni atti, pagamenti e garanzie previsti dal piano godono di protezione: ad esempio, anche qui vale l’esenzione da revocatoria per ciò che è coerente all’accordo e ai pagamenti promessi.

Di seguito, tabella di sintesi sugli Accordi di ristrutturazione:

Accordi di ristrutturazione dei debiti – Condizioni, pro e contro

CaratteristicheDescrizione
Soglie di adesioneOrdinario: ≥ 60% dei crediti aderenti. “Agevolato”: ≥ 30% (condizioni restrittive). Possibile efficacia estesa a intere classi omogenee se ≥ 75% (60% post-composizione) di quella classe aderisce.
ProcedimentoDeposito ricorso con proposta di accordo + piano + attestazione di fattibilità e integrale pagamento estranei. Possibili misure protettive interim. Omologa del tribunale (decreto) se condizioni rispettate e nessuna lesione per creditori estranei.
EffettiVincola solo i creditori aderenti (salvo estensioni di legge ad altri). I creditori estranei vanno pagati per intero nei termini (max 120 gg) salvo abbiano accettato altra scadenza. Sospende azioni esecutive dei soli aderenti sui crediti ristrutturati; con misure protettive, sospensione generalizzata temporanea. Dopo omologa, protezione revocatoria per atti esecutivi del piano.
VantaggiPiù flessibile del concordato: niente voto di tutti i creditori, solo accordo con una maggioranza mirata. Maggiore rapidità (il tribunale valuta requisiti senza lunghe adunate di creditori). Mantenimento delle redini dell’impresa in mano al debitore (non c’è spossessamento, solo un eventuale commissario per controllo se nominato). Possibilità di accordi mirati (ad es. solo con banche) e di cram-down su dissenzienti qualificati (banche minoritarie, ecc.). Disponibile anche per imprese medio-grandi e, in casi limitati, per imprenditori agricoli non minori. Utilizzabile anche in combinazione con composizione negoziata (con soglie ridotte e incentivi).
SvantaggiRichiede comunque un consenso significativo dei creditori finanziari – non adatto a conflittualità estrema o dispersione eccessiva. I creditori estranei devono essere pagati al 100%, quindi l’accordo non risolve il problema di quei debiti (a meno di escluderli per importanza modesta). Non vi è liberazione integrale dai debiti: se la crisi peggiora, i creditori estranei possono comunque agire appena scaduti i termini. Rischio di free riders (creditori che non aderiscono per farsi pagare interamente sapendo che altri invece sacrificano qualcosa).

Il Piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (PRO)

Tra gli strumenti di nuova introduzione spicca il cosiddetto Piano di ristrutturazione soggetto a omologazione, spesso abbreviato in PRO. Introdotto formalmente nel nostro ordinamento con la riforma attuativa della direttiva Insolvency (D.Lgs. 83/2022), il PRO è disciplinato dagli artt. 64-bis – 64-quater CCII e si colloca a metà strada tra gli accordi di ristrutturazione e il concordato preventivo. Si tratta di un “quadro di ristrutturazione preventiva” in senso europeo: l’imprenditore propone un piano che viene sottoposto a omologazione del tribunale, ma solo dopo aver ottenuto il consenso di tutti i creditori in ciascuna classe votante. In pratica, il PRO consente di realizzare un accordo con i creditori suddivisi in classi, con intervento del tribunale per l’omologazione, e la particolarità è che può prevedere la distribuzione del valore generato dal piano anche in deroga alle regole ordinarie di graduazione dei crediti (priorità), a condizione che vi sia l’unanimità all’interno di ogni classe di voto.

Chi può accedere: Il PRO è riservato agli imprenditori commerciali medio-grandi, cioè soggetti fallibili. La norma (art. 64-bis, co.1) dice chiaramente che l’imprenditore che non possiede i requisiti di piccola impresa (art. 2, c.1, lett. d) CCII) può proporre un PRO. Sono invece esclusi le imprese minori e gli imprenditori agricoli (non fallibili), i quali hanno a disposizione semmai il concordato minore o altri strumenti. In sostanza, il PRO è pensato per aziende di dimensioni significative che vogliano sfruttare uno strumento flessibile di ristrutturazione con il sigillo del tribunale ma senza passare per la procedura di concordato tradizionale.

Come funziona: L’imprenditore deve trovarsi in stato di crisi o di insolvenza (anche conclamata) e presenta al tribunale un ricorso analogo a quello di concordato, allegando un piano dettagliato e una proposta ai creditori, con suddivisione dei creditori in classi omogenee per posizione giuridica e interesse economico. Ad esempio, potrà fare classi separate di banche chirografarie, obbligazionisti, fornitori, lavoratori, ecc., a seconda delle categorie di crediti. Il piano può essere sia in continuità aziendale (prosecuzione dell’attività, magari ristrutturando debiti e operando rilanci) sia a carattere liquidatorio (cessione dei beni e pagamento dei creditori col ricavato). Non vi è preclusione: il PRO può prevedere il risanamento con proseguimento dell’impresa o, se la continuazione non è possibile, la liquidazione ordinata del patrimonio.

La caratteristica-chiave è che nel PRO il debitore può proporre di distribuire ai creditori il valore generato dal piano anche non rispettando la priorità assoluta tra le cause di prelazione. In un concordato ordinario, un creditore chirografario non può ricevere più di uno privilegiato senza il suo consenso, ecc. Nel PRO invece è possibile deviare da queste regole – ad esempio dare una percentuale maggiore a chirografari rispetto ad alcuni privilegiati – purché ogni classe di creditori accetti la proposta. La logica è: se tutti i soggetti interessati (in ciascuna classe) sono d’accordo, si può “sovvertire” la regola della parità di trattamento e delle priorità legali. Questo consente soluzioni molto flessibili, su misura, che magari in un concordato classico sarebbero inammissibili.

Omologazione e condizioni: Il tribunale ha un ruolo di controllo: all’inizio, dopo il deposito del ricorso, nomina un giudice delegato e un commissario giudiziale (o conferma un eventuale commissario già nominato durante una fase prenotativa). Vengono concesse le misure protettive come per il concordato. Si procede a far votare le classi sulla proposta (anche qui il CCII prevede modalità analoghe a quelle del concordato preventivo in continuità). La differenza è che per l’omologa devono aver votato a favore tutte le classi costituite. Se c’è unanimità delle classi, il tribunale può omologare verificando che siano rispettati alcuni requisiti: ad esempio, che i crediti prededucibili e quelli privilegiati di lavoro (art. 2751-bis n.1 c.c.) siano soddisfatti integralmente entro 30 giorni dall’omologazione (ciò tutela i lavoratori). Inoltre, nessun creditore può ricevere più del 100% del proprio credito (ovvio).

Importante: Se tutte le classi approvano, il tribunale omologa di fatto recependo la volontà negoziale espressa dai creditori, se il piano è fattibile e rispetta le condizioni di legge. Non essendoci classi dissenzienti, non vi è cram-down da fare. Se invece non tutte le classi approvano all’unanimità, il PRO non può essere omologato. Non è previsto il cram-down interclassi (quello esiste solo nel concordato preventivo, come vedremo). Il PRO è quindi uno strumento di accordo totale: la sua forza e il suo limite è che richiede un consenso completo per deviare dalle regole ordinarie.

Qualora una classe rifiutasse, l’alternativa per il debitore potrebbe essere quella di convertire il procedimento in un concordato preventivo (l’art. 64-quater CCII infatti prevede la possibile conversione in concordato in caso di mancata approvazione di tutte le classi). In tal caso si proseguirà secondo le regole del concordato, con eventuale cram-down se applicabile.

Vantaggi del PRO: Consente operazioni di ristrutturazione molto sofisticate, negoziate su misura con i creditori principali, con flessibilità massima nella distribuzione del valore. Rappresenta l’attuazione della direttiva UE sui quadri preventivi: ad esempio, può permettere di salvare un’azienda trasferendo parte della attività a nuovi investitori e concordando che alcuni creditori chirografari ottengano quote di partecipazione al capitale anche se ciò li fa recuperare più di creditori privilegiati, se questi ultimi accettano. Insomma, offre la possibilità di “contrattare” collettivamente le regole del gioco, salvaguardando però alcuni punti fermi (l’unanimità per classe, l’integrale pagamento dei debiti lavorativi, il rispetto della relative priority tra classi dissentienti che però non c’è perché non devono essercene). Altro vantaggio: tempi relativamente rapidi, perché se c’è consenso totale la fase di omologa è quasi una formalità (il tribunale non deve gestire opposizioni di classi).

Svantaggi: Richiede consenso unanime nelle classi – il che non è semplice. Se un creditore per classe si oppone, l’intera architettura salta o va convertita in concordato. Dunque è uno strumento applicabile quando c’è forte cooperazione tra debitore e creditori. Inoltre, non è adatto a situazioni con centinaia di creditori piccoli: tipicamente troverà spazio nei casi di ristrutturazioni del debito finanziario (banche, bondholders) o di grandi imprese con pochi stakeholder chiave. Un ulteriore svantaggio percepito è la novità: essendo appena nato, i creditori potrebbero non fidarsi inizialmente di questo meccanismo o non conoscerlo. Tuttavia, a fine 2023 si è già registrato il primo caso di omologazione di un PRO in Italia – il Tribunale di Vicenza il 7 novembre 2023 ha omologato un piano di ristrutturazione soggetto a omologazione, segnando un precedente importante. Segno che, se ben utilizzato, il PRO può funzionare.

Confronto col concordato preventivo: a differenza del concordato, nel PRO non c’è voto a maggioranza: o c’è unanimità per classi, o nulla di fatto. In cambio di questa rigidità, il debitore nel PRO può fare proposte che nel concordato sarebbero inammissibili (ad es. dare qualcosa ai soci anche se i chirografari non vengono pagati integralmente, purché questi ultimi acconsentano; oppure pagare di più un credito chirografario strategico rispetto ad altri di pari rango, se tutti i chirografari concordano di farlo). Nel concordato classico, come vedremo, vige la absolute priority rule salvo eccezioni di cram-down, mentre qui si può seguire la relative priority rule negoziata: finché ogni classe ottiene almeno più di qualsiasi classe inferiore, e accetta, la distribuzione può essere non proporzionale.

In definitiva, il PRO arricchisce le opzioni a disposizione dell’imprenditore in crisi, fornendo uno strumento aggiuntivo di regolazione negoziale. La sua applicazione richiederà casi specifici (aziende di grandi dimensioni con creditori organizzati) e un cambio di approccio dei creditori. Ma è importante conoscerlo perché rappresenta il recepimento delle best practice europee in tema di ristrutturazione preventiva.

Strumenti giudiziali di regolazione della crisi e dell’insolvenza

Passiamo ora agli strumenti giudiziali, ovvero quelle procedure concorsuali formali che si svolgono sotto la supervisione (e spesso con il controllo) dell’autorità giudiziaria. In queste procedure, a differenza degli strumenti stragiudiziali, vi è tipicamente la nomina di organi concorsuali (come il commissario giudiziale o il curatore), la formazione di uno status di concorsualità (patrimonio separato, parità tra creditori secondo cause di prelazione) e l’applicazione di regole legali inderogabili per assicurare la tutela dell’interesse collettivo dei creditori. Gli strumenti giudiziali includono il concordato preventivo, la liquidazione giudiziale (ex fallimento), nonché le procedure minori di composizione delle crisi da sovraindebitamento per chi non è soggetto al fallimento (concordato minore, ristrutturazione del consumatore, liquidazione controllata). Analizziamo ciascuno di essi, evidenziando le novità del Codice della Crisi.

Concordato preventivo

Il concordato preventivo è una procedura concorsuale giudiziale con cui l’imprenditore in crisi (o insolvente) propone ai creditori un piano per il soddisfacimento, totale o parziale, dei loro crediti, al fine di evitare la liquidazione giudiziale (fallimento). È detto “preventivo” proprio perché serve ad evitare la soluzione liquidatoria finale, attraverso un accordo omologato dal tribunale. Si tratta di uno strumento di regolazione collettiva della crisi: tutti i creditori vengono coinvolti, suddivisi per categorie e classi, e la maggioranza di essi (o delle classi) può vincolare anche i dissenzienti.

Il CCII disciplina il concordato negli artt. 84-120, distinguendo due tipologie fondamentali:

  • Concordato in continuità aziendale (art. 84, co.2): quando il piano prevede che l’impresa (o una parte di essa) continui l’attività, direttamente dal debitore o tramite la cessione/affitto a un soggetto terzo che la prosegue. La continuità può essere diretta (il debitore rimane in attività e utilizza i ricavi futuri per pagare i creditori) oppure indiretta (ad esempio, l’azienda è ceduta a un investitore che garantisce la prosecuzione e il ricavato della cessione alimenta il piano). Il concordato in continuità mira dunque al risanamento e alla conservazione dei posti di lavoro, oltre che a massimizzare la soddisfazione dei creditori nel lungo termine.
  • Concordato liquidatorio (art. 84, co.3): quando il piano consiste prevalentemente nella liquidazione del patrimonio dell’imprenditore e nella distribuzione del ricavato ai creditori, senza prosecuzione dell’attività (se non quel tanto necessario per vendere al meglio gli asset). In questo caso l’obiettivo principale è liquidare i beni in modo ordinato e soddisfare i creditori in misura superiore a quanto otterrebbero da un fallimento tradizionale.

Condizioni di ammissibilità: Il debitore può accedere al concordato se si trova in stato di crisi o insolvenza. Deve presentare una proposta di concordato e un piano corredato da una relazione di un attestatore indipendente che ne certifichi fattibilità e veridicità dei dati (art. 87 CCII). Per il concordato liquidatorio, la legge richiede un soddisfacimento minimo dei creditori chirografari pari ad almeno il 20% del loro credito, salvo che vengano apportate risorse esterne aggiuntive che elevino tale percentuale (vincolo già presente nella vecchia legge fallimentare). Ciò significa che un concordato che liquida i beni non può offrire ai chirografari meno del 20% a meno di contributi esterni: questo per evitare concordati liquidatori “troppo penalizzanti”. Nel concordato in continuità, invece, non c’è una percentuale minima fissa, ma deve risultare che i creditori hanno una prospettiva di soddisfacimento migliore rispetto all’alternativa liquidatoria (principio della convenienza). Inoltre, devono essere garantiti i crediti prededucibili e i crediti privilegiati, salvo diversa falcidia consentita dalla legge (ad esempio l’IVA può essere falcidiata in concordato dopo la dichiarazione di incostituzionalità della norma che lo vietava, e ora espressamente ammesso nel CCII).

Procedimento e voto: Dopo il deposito della domanda di concordato, il tribunale svolge un controllo di ammissibilità (c.d. “fase di apertura”) in cui verifica la presenza dei documenti richiesti e l’assenza di cause ostative. Se ammette il debitore alla procedura, nomina un Commissario giudiziale (figura che vigilerà sulla gestione durante il concordato) e fissa un termine per presentare il piano (se si era in concordato con riserva) o per convocare i creditori al voto. I creditori sono suddivisi in classi se hanno posizione giuridica ed interessi omogenei (la formazione delle classi è obbligatoria quando vi sono creditori con cause di prelazione differenti o comunque interessi divergenti). Segue la votazione: tradizionalmente avveniva in adunanza dei creditori, ma oggi può avvenire anche per mezzi telematici, espressione di voto scritto, ecc., entro termini fissati.

Per l’approvazione, salvo diverso quorum stabilito dal piano, occorre il voto favorevole dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto. Se vi sono classi, si considera approvato se ha riportato il voto favorevole della maggioranza dei crediti in ciascuna classe (nel concordato in continuità) o dei 2/3 in valore dei crediti votanti complessivamente (nel concordato liquidatorio). In realtà, il CCII ha innovato permettendo l’omologazione anche in caso non tutte le classi abbiano detto sì: è il meccanismo del cram-down interclassi di cui parliamo tra poco.

Dopo il voto, se la proposta è approvata dalla maggioranza richiesta, si passa all’udienza di omologazione davanti al tribunale. I creditori dissenzienti (o astenuti) possono proporre opposizione all’omologa, contestando la regolarità della procedura o la convenienza della proposta. Il tribunale, sentite le parti, decide con decreto motivato se omologare il concordato (rendendolo efficace) oppure respingerlo (in tal caso l’insolvenza del debitore di regola conduce alla liquidazione giudiziale).

Cram-down e omologazione forzata: Una delle novità più interessanti introdotte dal CCII, in attuazione della direttiva UE, è la possibilità di omologare il concordato anche senza il voto favorevole di tutte le classi di creditori, in presenza di determinate condizioni – il cosiddetto cram-down trasversale. In particolare, l’art. 112 CCII (aggiornato dal correttivo 2024) prevede:

  • Nel concordato in continuità aziendale: se una o più classi di creditori hanno votato contro, il tribunale può comunque omologare il concordato nonostante il dissenso di tali classi, purché (a) il piano rispetti la distribuzione del valore di liquidazione secondo le cause di prelazione (nessun creditore di rango inferiore riceve più di uno di rango superiore sul valore minimo di liquidazione); (b) l’eventuale valore eccedente la liquidazione sia distribuito secondo un criterio di priorità relativa: in sostanza le classi dissenzienti devono ricevere almeno quanto le altre classi di pari rango e qualcosa in più di quelle di rango inferiore; (c) nessun creditore ottenga più del 100% del dovuto; (d) sia approvato da almeno la maggioranza delle classi (in termini di numero) inclusa almeno una classe di creditori privilegiati, oppure, in assenza di questa maggioranza, sia approvato da almeno una classe di creditori “interessati” (non integralmente soddisfatti) che avrebbe diritto a qualche pagamento secondo le priorità legali. Questa ultima condizione (d) sostanzialmente significa che il cram-down può essere fatto se almeno una classe di creditori impaired (non pagati al 100%) ha detto sì e avrebbe diritto a una parte del valore di liquidazione. La riforma 2024 ha chiarito inoltre che la “classe rilevante” ai fini del cram-down non è quella genericamente “maltrattata”, ma quella di creditori parzialmente soddisfatti: quindi, se un creditore di grado elevato viene pagato anche solo in parte, non è considerato “maltrattato” in senso assoluto e la sua classe non conta per bloccare il cram-down. In pratica, l’idea è che almeno una classe di creditori che subisce una decurtazione ma avrebbe preso qualcosa comunque nel fallimento deve aver accettato (ad esempio, una classe di chirografari che nel fallimento avrebbe avuto il 10% e ne riceve il 30% nel concordato, vota sì; ciò permette di forzare l’omologa contro la classe dissenziente magari dei privilegiati che prendono 100% ma hanno votato no).
  • Nel concordato liquidatorio: l’art. 112, co.5 prevede che se i creditori dissenzienti (opponenti all’omologa) rappresentano almeno il 20% dei crediti ammessi al voto, il tribunale può comunque omologare se ritiene che il piano assicuri loro almeno quanto avrebbero ricavato da una liquidazione giudiziale immediata. In pratica, in caso di opposizione dei dissenzienti minoritari, il giudice fa un giudizio di convenienza comparativa: se il concordato è almeno pari (se non migliore) al fallimento per quei creditori, può forzare l’omologa anche col loro dissenso. Questa regola introduce una sorta di cram-down più semplice basato sul test dell’alternativa liquidatoria.

In aggiunta al cram-down interclassi, il CCII ha formalizzato il cram-down fiscale/previdenziale anche nel concordato preventivo. Già ne abbiamo accennato: se il Fisco o l’INPS votano no, ma la proposta assicura loro un trattamento equo (non inferiore al miglior realizzo alternativo) e le condizioni suesposte sono rispettate, il tribunale può superare il loro dissenso. In sostanza, l’Erario non ha più potere di veto assoluto, il che è un cambiamento radicale rispetto al passato. Ad esempio, Cassazione Sez. Un. 8500/2021 (ancor prima del CCII) aveva aperto la strada ritenendo ammissibile l’omologazione anche contro il diniego dell’Erario se c’era abuso del diritto. Ora il CCII lo prevede espressamente negli art. 63 e 88: il tribunale valuta la ragionevolezza del dissenso erariale e, se esso appare ingiustificato (cioè il piano offre all’Erario almeno quanto la liquidazione eppure l’ente ha detto no), allora procede comunque. Questa valutazione è discrezionale e caso per caso, ma tende a evitare comportamenti puramente ostruzionistici da parte degli enti pubblici.

In concreto, questi meccanismi sono già stati applicati: ad esempio, il Tribunale di Milano con decreto dell’11 aprile 2024 ha delineato i presupposti del cram-down trasversale, confermando che serve almeno una classe “sacrificata” che approvi e che i dissenzienti non vengano trattati peggio di altri pari grado. E il Tribunale di Verona (7 giugno 2024) ha omologato un concordato in continuità nonostante il voto contrario dell’Agenzia Entrate e dell’INPS, ritenendo il loro rifiuto abusivo in quanto il piano li soddisfaceva adeguatamente.

Effetti del concordato omologato: Con il decreto di omologa (che dal CCII ha natura di sentenza a tutti gli effetti), il concordato preventivo diviene vincolante per tutti i creditori anteriori ammessi al voto o comunque appartenenti alle classi, anche se dissenzienti o non votanti. I creditori chirografari e privilegiati degradati sono pagati secondo le percentuali e i tempi previsti dal piano; eventuali creditori prelatizi parzialmente falcidiati vengono soddisfatti fino a concorrenza del valore dei beni su cui insisteva la prelazione, secondo quanto stabilito. I creditori estranei (ad esempio quelli erroneamente non inclusi o contestati) restano con i loro diritti però non possono agire esecutivamente fintanto che il concordato è in corso di esecuzione, se non per la parte eventualmente eccedente non coperta dal piano. Dal momento dell’omologa, cessano tutte le azioni esecutive individuali e i pignoramenti in corso (si convertono eventualmente nel concorso sul piano). L’impresa prosegue l’attività se era un concordato in continuità, sotto la vigilanza del Commissario (che diviene “giudice” dell’esecuzione del piano insieme al tribunale).

Un effetto fondamentale è l’esdebitazione implicita: i creditori concorsuali, una volta eseguiti i riparti previsti, non possono più pretendere dal debitore (o dalla società debitrice) la parte eccedente dei loro crediti rimasta insoddisfatta. Di fatto, l’omologazione funge da scarico dei debiti residui secondo i termini dell’accordo. Ulteriori effetti: l’art. 116 CCII attribuisce efficacia di cosa giudicata all’omologa per quanto concerne la regolarità del procedimento e l’omologabilità del piano, mentre non fa stato sull’esistenza o sul rango dei crediti individuali (un creditore escluso può far accertare il suo credito altrove, ma non rimettere in discussione l’omologa, salvo incida sul quorum). Inoltre, scattano alcune cause di non punibilità penale e di esenzione da responsabilità per il debitore: ad esempio, l’art. 324 CCII esclude la punibilità per bancarotta fraudolenta per gli atti compiuti in esecuzione del concordato omologato e l’art. 166 CCII vieta le azioni revocatorie su tali atti. In breve, il concordato omologato protegge il debitore e chi ha cooperato al piano, consentendo un vero “fresh start” dell’attività se in continuità.

Risoluzione e annullamento: Va ricordato però che il concordato può essere soggetto, dopo l’omologa, a una fase di controllo sull’esecuzione. Se il debitore non adempie agli obblighi del piano, i creditori possono chiedere la risoluzione del concordato (art. 121 CCII) e in tal caso il tribunale dichiara l’apertura della liquidazione giudiziale (fallimento). In caso di condotte fraudolente (ad esempio, l’omologa è stata ottenuta con documenti falsi o omettendo atti di frode ai creditori), può essere chiesto l’annullamento del concordato. Dunque l’omologa non è un traguardo irrevocabile se non si rispetta poi il piano o se c’erano illeciti, ma in generale rappresenta la normalizzazione della situazione dell’impresa.

Ricapitolando, tabella sul Concordato preventivo:

Concordato preventivo – Tipologie e punti chiave

AspettoConcordato in continuitàConcordato liquidatorio
FinalitàRisanamento e prosecuzione attività (diretta o tramite cessione). Protezione dell’avviamento e dei posti di lavoro.Liquidazione dei beni dell’impresa e cessazione attività, massimizzando il ricavato per creditori.
Requisiti specialiPiano industriale credibile che eviti o superi insolvenza entro il termine del piano. Eventuali nuovi finanziamenti solo se necessari e non pregiudizievoli. Tutte le classi devono votare a favore, salvo cram-down.Soglia 20% minimo ai chirografari (salvo apporto di risorse esterne). Pian o non “manifestamente inattuabile” (controllo di fattibilità attenuato).
Gestione dell’impresaDebitore rimane alla guida, sotto sorveglianza del Commissario. Possibili autorizzazioni per atti straordinari. Divieto di pagare crediti anteriori salvo autorizzazione.Di norma l’attività cessa salvo esigenze di esercizio provvisorio per miglior realizzo. Il patrimonio è liquidato da un Liquidatore (nominato in sede di omologa) sotto controllo del Commissario e del giudice delegato.
Classi e votoFormazione classi obbligatoria se creditori differenziati. Approvazione: maggioranza di crediti per ciascuna classe votante (tutte le classi devono sì, oppure almeno una classe “in the money” sì per cram-down).Classi eventualmente per differenziare prelazioni e categorie. Voto complessivo: 2/3 dei crediti votanti (sul totale crediti ammessi al voto). Opposizione di ≥20% crediti ammessi può essere superata se piano più conveniente di fallimento.
Cram-downPrevisto sia interclassi (art. 112(2)): omologa nonostante classi dissenzienti se condizioni a), b), c), d) soddisfatte; sia fiscale: omologa nonostante no di Fisco/INPS se loro trattamento ≥ liquidazione ed è irragionevole il dissenso.Previsto cram-down “semplice”: se opposizione di minoranza qualificata (20%), tribunale può omologare se concordato ≥ liquidazione immediata per tutti. Possibile anche cram-down fiscale alle stesse condizioni (applicabile anche qui).
EsecuzionePost omologa, l’impresa continua attività secondo il piano, sotto vigilanza. Pagamenti ai creditori secondo scadenze e percentuali del piano, con eventuali garanzie di controllo. Se inadempimenti gravi → risoluzione e liquidazione giudiziale.Liquidatore realizza attivo (vendite beni, incassi crediti) e ripartisce ai creditori secondo il piano. Tempistiche di pagamento possono essere immediate (es. vendita iniziale) o in più riparti. Se realizzi inferiori a stime e non rispettano almeno 20% promesso → possibile risoluzione.
VantaggiImpresa salvata come going concern; soddisfazione creditori potenzialmente maggiore col proseguimento; flessibilità grazie a classi e possibili stralci concordati; protezione da azioni esecutive durante la procedura; possibilità di finanza nuova prededucibile; creditori legati dall’esito (anche i contrari, se cram-down). Debitore esdebitato residualmente dopo esecuzione piano.Liquidazione ordinata invece che concorsuale disordinata; controllo giudiziario che garantisce parità di trattamento; rispetto priorità legali (salvo accordi diversi se classi privilegiate acconsentono a degradazioni); tempi potenzialmente più rapidi di un fallimento perché c’è un piano di realizzo già definito; previsione di dividendo minimo ai chirografari. Debitore persona fisica può avere esdebitazione finale.
SvantaggiProcedura complessa e costosa (commissari, periti, spese legali); richiede preparazione accurata del piano e consenso di varie classi; possibili opposizioni e ritardi; incertezza sull’omologa se classi dissentono (cram-down è discrezionale del giudice entro margini). Durante procedura, impresa in limbo (reputazione danneggiata, contratti pubblici a rischio, ecc.).L’impresa comunque viene chiusa; i creditori normalmente ottengono percentuali modeste (20% baseline); per i chirografari il concordato liquidatorio spesso non differisce molto dal fallimento se non per un (eventuale) leggero miglior realizzo; tempi di liquidazione possono comunque dilatarsi se beni difficili da vendere; controllo giudiziale su ogni aspetto (minor flessibilità rispetto ad accordi privati).

(N.B.: L’istituto del concordato preventivo semplificato ex art. 25-sexies CCII è già stato trattato in seno alla composizione negoziata, essendo una variante speciale applicabile solo dopo la fallita composizione negoziata, per la liquidazione rapida senza voto.)

Liquidazione giudiziale (ex fallimento)

La liquidazione giudiziale è la procedura concorsuale della massima gravità, in quanto comporta la spossessione dell’imprenditore e la liquidazione integrale del suo patrimonio sotto il controllo di un organo pubblico (il tribunale e il curatore). Corrisponde al vecchio fallimento, termine che il nuovo Codice ha abbandonato in favore di una nomenclatura più “neutra”. È regolata dagli artt. 121-270 CCII.

Presupposti: Si accede alla liquidazione giudiziale quando l’impresa è in stato di insolvenza irreversibile, ovvero non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni. La liquidazione può essere dichiarata su ricorso del debitore stesso (che “si porta i libri in tribunale” riconoscendo il dissesto), oppure su istanza di un creditore o d’ufficio dal PM. Restano esclusi da essa gli imprenditori non fallibili (le imprese minori sotto soglia e le imprese agricole): per questi la procedura equivalente è la liquidazione controllata (di cui diremo nelle procedure di sovraindebitamento). Dunque, in generale, la liquidazione giudiziale riguarda le imprese medio-grandi.

Effetti dell’apertura: Con la sentenza dichiarativa di liquidazione giudiziale (una volta si chiamava sentenza di fallimento), l’imprenditore viene spossessato della gestione e disponibilità dei suoi beni: questi entrano nella massa attiva affidata al Curatore nominato dal tribunale. Gli amministratori decadono (per le società) e il Curatore subentra con poteri di amministrazione e di disposizione del patrimonio fallimentare. I creditori perdono i diritti di esecuzione individuale e devono presentare domanda di insinuazione al passivo per partecipare al concorso. Viene fissata l’udienza di verifica dello stato passivo in cui il Giudice delegato esamina, insieme al curatore e al commissario giudiziale (se nominato), le domande dei creditori e forma lo stato passivo dei crediti ammessi (con grado di prelazione, ecc.). Da notare, un’innovazione del CCII: possono insorgere nel passivo anche soggetti che non erano debitori diretti ma che vantano garanzie reali su beni del fallito per debiti altrui. Le Sezioni Unite Cass. 8557/2023 hanno evidenziato che sotto la legge fallimentare tali creditori “del terzo datore d’ipoteca” non potevano insinuarsi, mentre il nuovo art. 201 CCII consente loro di partecipare al riparto sul ricavato di quei beni. È un esempio di come il CCII abbia ampliato la platea dei partecipanti al concorso per una maggiore efficienza.

Nel frattempo, il Curatore predispone un programma di liquidazione: individua i beni da vendere, i crediti da incassare, le azioni da esercitare (revocatorie, risarcitorie, ecc.) per recuperare attivo, e propone tempi e modalità delle dismissioni (ad es. asta competitiva, esercizio provvisorio, affitto d’azienda temporaneo, ecc.). Questo programma è sottoposto all’approvazione del Comitato dei creditori (organo consultivo composto da 3 o 5 creditori nominati dal GD) e poi viene attuato.

Liquidazione dell’attivo: Tutto il patrimonio viene convertito in denaro secondo il programma: vendita di immobili, macchinari, cessione di contratti, incasso crediti, possibili transazioni. Il CCII incoraggia la vendita unitaria dell’azienda dove possibile, per conservare valore (introducendo tra l’altro la possibilità di vendere l’azienda senza alcune passività, come già previsto nell’amministrazione straordinaria). Se l’impresa ha prospettive, il tribunale può autorizzare un esercizio provvisorio dell’impresa (continuare l’attività per un certo periodo) per evitare perdita di valore in caso di chiusura immediata.

Riparto ai creditori: Man mano che si liquidano asset, il curatore predispone piani di riparto delle somme: si soddisfano in primis le spese di procedura e i creditori prededucibili, poi i creditori privilegiati secondo il loro grado (se il ricavato sul bene non basta, diventano chirografari per il residuo), infine i creditori chirografari in proporzione (parzialmente, di solito). Se qualcosa resta, tocca ai postergati. In genere i chirografari ricevono percentuali molto basse, spesso pochi centesimi per euro. Terminata la liquidazione, il curatore presenta il conto finale e il tribunale dichiara chiusa la procedura.

Durata massima e semplificazioni: Il Codice della Crisi ha introdotto il principio che la liquidazione dovrebbe preferibilmente concludersi entro 3 anni dall’apertura. Questo per allinearsi alla direttiva UE che impone la liberazione dell’imprenditore onesto entro 3 anni (vedi oltre sull’esdebitazione). Non è un termine perentorio, ma un obiettivo di gestione efficiente. In ogni caso, decorsi 3 anni, l’imprenditore persona fisica può aspirare all’esdebitazione anche se la liquidazione non è formalmente conclusa. Vi sono poi procedure semplificate per casi di attivo esiguo: ad esempio, se non ci sono beni da liquidare, il tribunale può chiudere subito per mancanza di attivo (cosiddetto fallimento irreversibile), oppure nominare un curatore per una gestione rapida senza comitato creditori.

Effetti per l’imprenditore: Sul piano personale, l’imprenditore (persona fisica) subisce vari effetti: gli vengono revocati poteri di amministrazione e disposizione sui beni; non può svolgere attività d’impresa per la durata della procedura se non autorizzato; perde eventuali cariche in società; subisce limitazioni negli atti di carattere patrimoniale (non può ad esempio incassare crediti o riscuotere il proprio stipendio oltre la parte impignorabile). Per le società, con la liquidazione giudiziale si apre di fatto la fase di estinzione: la società rimane in vita giuridica durante la procedura ma finalizzata solo alla liquidazione dei beni; esaurito l’attivo, viene cancellata dal registro imprese.

Esdebitazione (fresh start): La nota positiva, frutto di evoluzioni normative a tutela del debitore meritevole, è che l’imprenditore persona fisica, dopo aver subito la liquidazione, può ottenere la liberazione dai debiti residui. Già la legge fallimentare dal 2012 prevedeva l’esdebitazione a fine fallimento su istanza. Il CCII ha reso il meccanismo più automatico: trascorsi 3 anni dall’apertura della liquidazione giudiziale, il tribunale (su istanza del debitore o su segnalazione del curatore) dichiara inesigibili i debiti concorsuali non soddisfatti, liberando il debitore onesto dall’incubo dei debiti residui. Anzi, il terzo correttivo ha eliminato persino la necessità di istanza: l’esdebitazione viene concessa d’ufficio al ricorrere dei presupposti, così che dopo 3 anni il debitore esca “pulito”. Ovviamente ciò vale solo se il debitore ha cooperato e non ci sono cause ostative (es. condotte fraudolente, violazioni gravi). Questa previsione, come evidenziano le fonti, fa sì che non occorra più un procedimento separato per l’esdebitazione: “dopo tre anni, in assenza di motivi ostativi, tale provvedimento viene richiesto all’interno della stessa procedura, rendendolo automatico”. È un grande progresso in ottica di fresh start: l’imprenditore onesto ma sfortunato può ripartire dopo pochi anni, senza dover attendere magari 5, 10 anni come avveniva un tempo.

Anche per le società vi è un effetto simile: benché la società si estingua, i creditori non soddisfatti non possono più rivalersi sui soci se questi erano limitatamente responsabili; se invece erano soci a responsabilità illimitata (SNC, SAS accomandatari), costoro dovranno affrontare la liquidazione in proprio, ma beneficeranno anch’essi dell’esdebitazione personale alle condizioni di legge.

Evidenze giurisprudenziali recenti: La Cassazione si è occupata di vari aspetti del nuovo fallimento/liquidazione. Oltre alla citata SU 8557/2023 sul terzo datore d’ipoteca (che evidenzia come il CCII abbia innovato in favore dei creditori ipotecari esterni), si segnalano pronunce su aspetti procedurali: ad esempio Cass. 12377/2022 ha chiarito che le nuove regole di competenza introdotte dal CCII (artt. 27-35) si applicano alle procedure iniziate dopo la vigenza del Codice, evitando conflitti di giurisdizione. Altre pronunce confermano l’orientamento di favor legislativo per l’esdebitazione: Tribunale di Torino 2023 ha sottolineato come l’esdebitazione decorso il triennio sia doverosa ove il debitore abbia rispettato gli obblighi di cooperazione.

Conclusione sulla liquidazione giudiziale: È la soluzione di ultima istanza, da evitare se vi sono alternative praticabili, perché distrugge fisiologicamente parte del valore (avviamento, reti commerciali). Tuttavia rimane necessaria in molti casi per risolvere situazioni irrecuperabili, garantendo una parità di trattamento e un ordine nelle soddisfazioni. Il Codice cerca di mitigarne gli effetti per il debitore onesto (tramite esdebitazione rapida) e di efficientarla (tramite regole di vendita più flessibili, termini più stringenti, ecc.).

Crisi da sovraindebitamento: strumenti per piccoli imprenditori e persone fisiche

Accanto alle procedure maggiori, il legislatore ha mantenuto (e riformato) una serie di strumenti dedicati ai soggetti non fallibili – cioè ai debitori “civili” o economici minori: consumatori, professionisti, start-up, piccoli imprenditori sotto soglia, imprenditori agricoli, etc. Questi soggetti, pur non soggetti a fallimento, possono trovarsi in uno stato di sovraindebitamento (definito come una situazione di perdurante squilibrio tra debiti e patrimonio liquidabile, con impossibilità di adempiere regolarmente). La legge n. 3/2012 aveva introdotto tre procedure per costoro: il piano del consumatore, l’accordo del debitore e la liquidazione del patrimonio. Il CCII le ha riordinate nelle Procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento (artt. 65-91 CCII), che possiamo articolare in:

  • Ristrutturazione dei debiti del consumatore (artt. 67-73 CCII), riservato alle persone fisiche che hanno contratto debiti per scopi estranei all’attività imprenditoriale (i veri e propri consumatori).
  • Concordato minore (artt. 74-83 CCII), destinato invece ai piccoli imprenditori, imprenditori agricoli, start-up innovative e in generale debitori non fallibili diversi dal consumatore (es. imprenditori sotto le soglie di fallibilità, o ex imprenditori per debiti residui dell’attività cessata).
  • Liquidazione controllata del sovraindebitato (artt. 268-277 CCII; un rinvio in fine al Titolo IV del Codice), che è la procedura liquidatoria per tutti questi soggetti (analoga alla liquidazione giudiziale ma in versione semplificata).
  • Accanto a queste, va menzionata l’Esdebitazione del debitore incapiente (art. 283 CCII), cioè la cancellazione dei debiti per chi non ha alcun patrimonio liquidabile – una novità introdotta per dare sollievo ai cd. poveri assoluti sovraindebitati.

Tali strumenti hanno subìto notevoli miglioramenti con il Codice, al fine di ampliare l’accesso e l’efficacia. Ad esempio, sono stati eliminati alcuni divieti (come il divieto di falcidiare l’IVA, dichiarato incostituzionale e poi rimosso) e sono state introdotte procedure familiari (membri della stessa famiglia sovraindebitati possono presentare un’unica procedura congiunta se i debiti hanno un’origine comune). Vediamoli in dettaglio:

1. Ristrutturazione dei debiti del consumatore: È la procedura riservata al debitore persona fisica che non sia imprenditore (o i cui debiti siano estranei ad eventuali attività d’impresa svolte). Consente al consumatore sovraindebitato di proporre un piano di ristrutturazione ai creditori, sulla base delle sue effettive possibilità economiche e reddituali. È uno strumento molto orientato alla meritevolezza: il giudice valuta se il consumatore ha agito con correttezza e buona fede, senza colpa grave nell’indebitarsi (es. niente frodi, nulla spese spropositate intenzionali). Se il debitore risulta “meritevole” (concetto introdotto per evitare abusi), il tribunale può omologare il piano anche senza l’assenso di tutti i creditori. Infatti, nel piano del consumatore versione Legge 3/2012 non era previsto un voto dei creditori: il giudice decideva sulla base della convenienza e meritevolezza. Il CCII ha mantenuto uno schema simile: i creditori possono fare opposizione, ma non esiste un meccanismo di voto deliberativo. Il piano del consumatore può prevedere la falcidia di vari crediti (anche erariali, come detto, ora l’IVA può essere falcidiata in presenza di meritevolezza, a seguito della sent. Corte Cost. 15/2022). Il piano deve offrire ai creditori quanto il consumatore realisticamente può pagare in base al suo reddito e patrimonio, lasciandogli però uno spazio vitale di sussistenza (non gli si può togliere, ad esempio, il minimo vitale dello stipendio).

L’omologazione è pronunciata dal tribunale se ritiene che: (a) il piano assicura ai creditori un trattamento non inferiore all’alternativa liquidatoria (anche qui c’è un test di convenienza); (b) il debitore merita tutela (non ha colpe gravi); (c) eventuali reclami dei creditori non prospettino elementi sufficienti per negare l’omologa. In pratica, si cerca di conciliare il diritto del debitore onesto ad avere una seconda chance con quello dei creditori ad ottenere il massimo possibile compatibilmente con le capacità del debitore. Il piano è solitamente formulato con l’assistenza di un Organismo di composizione della crisi (OCC) o di un professionista nominato per gestire la procedura. Se omologato, vincola tutti i creditori anteriori (anche se oppositori), e il debitore dovrà eseguirlo (tipicamente mediante rateizzazione di pagamenti mensili proporzionali al suo reddito, e/o liquidazione di qualche bene non essenziale).

Novità: il CCII ha formalizzato la possibilità di trattamento differenziato dei crediti tributari e contributivi nel piano del consumatore, come per il concordato, introducendo anche qui il concetto di cram-down fiscale. Inoltre, una innovazione significativa è la possibilità di includere nel piano la cessazione di eventuali cessioni del quinto in corso: infatti il Codice chiarisce che i prestiti su cessione del quinto stipendio sono equiparati agli altri debiti chirografari e possono essere falcidiati o non pagati nel piano (significa che, omologato il piano, si blocca la trattenuta in busta paga per il quinto, consentendo al debitore di recuperare quella parte di reddito per destinarla eventualmente ai creditori in modo equo). Questa era una questione discussa in passato, ora risolta a favore del debitore.

2. Concordato minore: È l’equivalente del concordato preventivo ma per i debitori “minori”. Soggetti ammessi: imprenditori commerciali sotto le soglie di fallibilità (art. 2 lett d: attivo annuo ≤ €300k, ricavi ≤ €200k, debiti ≤ €500k, valori indicativi), imprenditori agricoli di qualsiasi dimensione (che per definizione non falliscono), start-up innovative, e anche imprenditori cessati dal registro imprese da oltre un anno (che prima non potevano accedere al fallimento né al concordato). Proprio su quest’ultimo punto è intervenuta Cass. 22699/2023: ha stabilito che un imprenditore individuale cancellato dal registro può comunque accedere al concordato minore, poiché la norma che sembrava escluderlo (art. 33 co.4 CCII che vieta concordato ai soggetti cancellati da oltre un anno) va riferita alle sole società cessate, non all’imprenditore individuale. Dunque, anche un ex imprenditore che ha chiuso l’attività ma si ritrova con debiti pregressi può utilizzare il concordato minore per sistemarli.

Il concordato minore funziona in modo simile a quello preventivo: il debitore propone un piano ai creditori, c’è un voto per teste o per valori (il CCII richiama in sostanza la necessità di approvazione a maggioranza dei crediti votanti, senza classi obbligatorie salvo opportunità di farle). Viene nominato un OCC/Commissario che aiuta e controlla. La differenza è che la procedura è semplificata e calibrata su scala ridotta: ad esempio, l’adunanza dei creditori può essere evitata se il commissario raccoglie i voti per iscritto; la relazione particolareggiata dell’OCC funge da attestazione del piano (non serve un attestatore esterno). Non c’è la soglia del 20% minimo ai chirografari come nel concordato grande, ma comunque va garantito che i creditori ottengano almeno quanto otterrebbero nella liquidazione controllata alternativa. Se i creditori approvano, si omologa; se non approvano, è prevista una conversione automatica in liquidazione controllata su istanza del debitore.

Un elemento fondamentale è la previsione del cram-down fiscale anche nel concordato minore. L’art. 80 CCII consente al giudice di omologare il concordato minore anche in assenza di voto favorevole dei creditori pubblici privilegiati (Erario e INPS) se il loro dissenso è determinante nel far mancare la maggioranza e se il piano offre a tali enti un trattamento non inferiore a quello che otterrebbero in liquidazione. Ad esempio, se il Fisco detiene il 60% dei crediti e vota no, impedendo di raggiungere la maggioranza, ma il piano gli offre comunque il massimo possibile, il giudice può considerare il rifiuto abusivo e omologare lo stesso. Tale potere è discrezionale ma già applicato dai tribunali (es. Tribunale di Verona 2024, citato prima).

Una particolarità del concordato minore è che può essere utilizzato come sbocco della composizione negoziata anche per le piccole imprese. Se una PMI in composizione negoziata non raggiunge un accordo stragiudiziale, può proporre questo concordato “minore” (anche in versione semplificata ex art. 25-sexies se senza voto, come visto).

Effetti dell’omologazione del concordato minore: Simili al concordato preventivo – vincola tutti i creditori anteriori nei termini del piano. Se il piano fallisce nella esecuzione, si va in liquidazione controllata. Il debitore (persona fisica) può poi avere l’esdebitazione a fine procedura o dopo 3 anni. Nel concordato minore, come nel piano del consumatore, gioca il concetto di meritevolezza: se emergono atti in frode o mala fede del debitore, l’omologazione può essere negata (art. 69 CCII).

3. Liquidazione controllata del sovraindebitato: Quando il debitore non è in grado di offrire un piano sostenibile, resta la via della liquidazione dei suoi beni, analoga al fallimento ma più snella. Può accedervi sia il consumatore sia il piccolo imprenditore (o possono esservi messi d’ufficio se falliscono piani o concordati minori). La liquidazione controllata prevede la nomina di un Liquidatore (di norma un professionista nominato dal tribunale su designazione dell’OCC) che prende in mano il patrimonio del debitore, lo vende e distribuisce il ricavato ai creditori secondo le regole legali (privilegi, proporzioni). A differenza del fallimento: non c’è spossessamento in senso tecnico per il consumatore (che però di fatto deve consegnare i beni non necessari, ecc.), non c’è stato passivo formale (anche se i creditori vanno avvisati e possono far valere i loro crediti). L’OCC spesso coincide col liquidatore. È pensata per essere meno stigmatizzante: ad esempio, non c’è pubblicità sui quotidiani della dichiarazione di liquidazione come avveniva col fallimento, ma solo iscrizione presso registro OCC e tribunale.

L’esdebitazione dopo liquidazione controllata è fortemente potenziata: a fine procedura o decorsi 3 anni dall’apertura, il debitore persona fisica è automaticamente liberato dai debiti residui, salvo casi di dolo o violazioni. Non è richiesta l’istanza del debitore (differenza con la vecchia legge). Addirittura, se il debitore non possiede nulla da liquidare, può chiedere subito l’esdebitazione del debitore incapiente: l’art. 283 CCII consente al debitore persona fisica, meritevole ma privo di cespite liquidabile e senza possibilità di offrire alcuna utilità ai creditori, di ottenere l’esdebitazione integrale immediata (“esdebitazione senza utilità”). Questo istituto, presente già nella riforma 2020 ma mai entrato in vigore per i rinvii, è ora realtà: offre una via d’uscita anche a chi è totalmente insolvibile, un tempo escluso da ogni beneficio (principio del fresh start anche per il cosiddetto insolvente puro).

Considerazioni pratiche: le procedure di sovraindebitamento, specie il piano del consumatore, sono pensate per situazioni come: famiglia sovraindebitata con più prestiti e carte di credito, piccolo artigiano che ha chiuso l’attività con debiti verso banca e fornitori, ecc. Spesso i debiti includono debiti fiscali (es. contributi INPS non versati, cartelle esattoriali) e debiti finanziari. Ora, i giudici applicano criteri di meritevolezza un po’ più elastici che in passato, riconoscendo che anche chi è stato magari poco prudente col credito merita un sollevamento se la sua situazione è irreversibile (si parla di valutare il merito creditizio inverso, punendo anche le banche che hanno prestato irresponsabilmente). Un esempio: un ex artigiano ha 100.000 euro di debiti tra banche e Agenzia Entrate; possiede solo un’automobile. Può proporre un concordato minore offrendo la vendita dell’auto e il pagamento in 4 anni di una parte del debito con una quota del suo stipendio, arrivando magari a soddisfare il 30% e chiedendo stralcio del resto. Se ha avuto una riduzione del lavoro per cause esterne (mercato, salute) e non per colpa sua, è probabile che il concordato sia omologato. Oppure, se non può pagare nulla, ricorrerà alla liquidazione controllata cedendo l’auto e poi ottenendo esdebitazione sul residuo.

Tabelle riassuntive sovraindebitamento:

  • Ristrutturazione del consumatore: proposta da consumatore meritevole; no voto creditori, decide il giudice su convenienza; possibile falcidia crediti anche fiscali; durata piano max 5-7 anni tipicamente; esdebitazione al termine se eseguito.
  • Concordato minore: proposta da piccolo imprenditore o ex imprenditore; voto a maggioranza crediti; possibile cram-down fiscale; richiede meritevolezza; se fallisce votazione → liquidazione controllata; esdebitazione dopo esecuzione o liquidazione successiva.
  • Liquidazione controllata: attivabile dal debitore o d’ufficio; liquidatore vende tutto; esdebitazione automatica dopo chiusura o 3 anni; debitore persona fisica può conservare stipendio minimo, ecc.; analogie col fallimento ma senza fallito civile (non ci sono pene accessorie civili come interdizioni, che infatti il CCII ha abolito anche per il fallimento, salvo il divieto di nuove iniziative economiche per la durata).

Le procedure di sovraindebitamento, un tempo poco conosciute, stanno diventando sempre più rilevanti. La crisi pandemica e la situazione economica hanno aumentato il numero di individui e micro-imprese in difficoltà. Il CCII ha previsto anche che le procedure possano essere attivate in forma familiare congiunta: membri indebitati di una stessa famiglia (es. marito e moglie entrambi sovraindebitati) possono presentare un unico piano o un unico concordato minore, se ciò consente una soluzione unitaria, riducendo i costi e coordinando meglio i pagamenti. Questa innovazione evita duplicazioni procedurali.

In conclusione, un imprenditore troppo indebitato ha oggi a disposizione un vero ventaglio di strumenti: dalle negoziazioni assistite e riservate come la composizione negoziata e i piani attestati, passando per accordi semi-giudiziali come gli ARD e i PRO, fino alle procedure concorsuali vere e proprie come il concordato preventivo (grande o minore) e la liquidazione (giudiziale o controllata). La scelta dello strumento dipende dalla natura dell’attività (grande impresa vs piccola, o persona fisica), dal grado di consenso raggiungibile e dalla sostenibilità economica di un piano di ristrutturazione.

Nei capitoli seguenti proporremo alcune simulazioni pratiche di casi concreti, per illustrare come applicare questi istituti, e una sezione di FAQ che risponde ai dubbi più frequenti di imprenditori indebitati e professionisti chiamati ad assisterli.

Casi pratici: simulazioni di risanamento e insolvenza

Di seguito presentiamo alcune situazioni tipo di imprenditori italiani sovraindebitati e le possibili strategie di soluzione mediante gli strumenti illustrati, per rendere più concreto quanto esposto finora.

Caso 1: PMI manifatturiera indebitata con Fisco, banca e fornitori

Scenario: Alfa Srl è un’impresa manifatturiera (settore tessile) con 25 dipendenti. Negli ultimi anni ha accumulato debiti per circa 500.000 €: in particolare 200.000 € verso una banca (prestito rateale garantito da ipoteca su capannone), 100.000 € verso l’Agenzia delle Entrate (IVA e ritenute non versate) e il resto verso fornitori di materie prime. La crisi è dovuta al calo di commesse e ad alcuni investimenti sbagliati. L’azienda è ancora operativa ma con liquidità insufficiente; i fornitori iniziano a mettere in mora la società e il Fisco minaccia pignoramenti. Alfa Srl però ha ancora un buon portafoglio ordini e sarebbe competitiva se ristrutturasse il debito e dilazionasse i pagamenti.

Problemi da affrontare: debito fiscale elevato (con interessi e sanzioni), debito bancario garantito (se la banca agisse, esproprierebbe il capannone) e fornitori critici che potrebbero interrompere le forniture. L’azienda vuole evitare la liquidazione giudiziale per non perdere l’attività e i posti di lavoro.

Soluzione possibile: Composizione negoziata + Concordato preventivo in continuità. L’azienda, assistita dal proprio legale, decide innanzitutto di avviare una Composizione negoziata nominando un esperto indipendente. Ciò le permette di ottenere immediatamente la sospensione delle azioni esecutive (misure protettive), bloccando i pignoramenti che il Fisco minacciava e guadagnando tempo. Durante la negoziazione, con l’aiuto dell’esperto, Alfa Srl elabora un piano: l’idea è di diluire il debito bancario (allungando il mutuo e mantenendo l’ipoteca), tagliare parte dei debiti fornitori (offrendo il 60% dilazionato in 4 anni) e soprattutto definire col Fisco una transazione fiscale che riduca sanzioni e interessi e rateizzi l’IVA in 5 anni. Grazie alle nuove norme, l’esperto segnala che se Alfa Srl garantirà almeno due anni di continuità aziendale, potrà beneficiare della riduzione delle sanzioni e interessi ex art. 25-bis CCII. Inoltre, il recente DL 13/2023 consente, a seguito di accordo, di chiedere fino a 120 rate per il debito fiscale, rendendo sostenibile la transazione.

Durante le trattative, la banca si mostra collaborativa (preferisce rinegoziare il credito che attivare una procedura esecutiva lunga e incerta). Alcuni fornitori strategici accettano la proposta di stralcio al 60%, altri rifiutano pretendendo il 100%. L’Erario sarebbe disposto a ridurre sanzioni e interessi ma non il capitale IVA (per legge l’IVA è falcidiabile solo in procedura concorsuale a certe condizioni, non in accordo stragiudiziale puro – sebbene la Corte Costituzionale abbia aperto a soluzioni, l’Agenzia difficilmente accetta tagli volontari sull’IVA fuori da un concordato).

Al termine dei 3 mesi di composizione negoziata, Alfa Srl non ottiene l’adesione di tutti i creditori necessaria per concludere un accordo stragiudiziale: i fornitori minori non vogliono aderire e vorrebbero procedere individualmente. A questo punto, l’esperto conclude che non c’è un accordo totale, ma il piano è valido e potrebbe essere attuato coattivamente attraverso un concordato preventivo in continuità. L’azienda allora opta per depositare un ricorso di Concordato preventivo, allegando il medesimo piano rielaborato come proposta concordataria.

Nel concordato, i creditori vengono classificati:

  • Classe 1: Banca ipotecaria (riceverà integrale pagamento del mutuo, ma dilazionato su più anni, nessuna falcidia sul capitale garantito; viene degradato a chirografario solo il piccolo importo di mutuo eccedente il valore del bene ipotecato).
  • Classe 2: Fisco e INPS (creditori privilegiati per IVA e contributi): proposta di pagamento integrale del capitale imposta, ma con abbattimento di tutte le sanzioni e interessi (grazie alla transazione fiscale inclusa) e dilazione in 60 mesi. In percentuale equivalente forse al 70% dei loro crediti complessivi.
  • Classe 3: Fornitori strategici aderenti: proposta 60% in 4 anni.
  • Classe 4: Fornitori non strategici (dissenzienti): proposta minima, diciamo 20% in 4 anni (il minimo per legge essendo concordato in continuità non c’è soglia fissa, ma serve convenienza: qui il 20% supera lo 0% che avrebbero in fallimento perché l’attivo sarebbe tutto assorbito da ipoteca e Fisco).
  • Classe 5: Dipendenti (crediti per TFR e stipendi): saranno pagati al 100% fuori piano con privilegio ex art. 2751-bis, quindi non votanti.

Si procede al voto: Banca (Classe 1) approva perché preferisce continuità; la Classe Fisco/INPS (2) vota contro perché, sebbene prenda più del fallimento, c’è ancora una falcidia su sanzioni (ipotizziamo l’ente per prassi voti no). Fornitori aderenti (3) votano sì, fornitori dissenzienti (4) ovviamente no. Riassumendo, supponiamo abbiano detto SÌ la classe 1 e 3, NO la 2 e 4. Abbiamo maggioranza delle classi? 2 su 4 classi hanno approvato, includendo però la classe 1 (privilegiata). Quindi maggioranza delle classi c’è (due su quattro) e almeno una privilegiata ha detto sì (la banca). Pertanto, il tribunale può valutare il cram-down sulle classi dissenzienti 2 e 4. Verifica che:

  • Nessun creditore di rango inferiore prende più di uno di rango superiore: qui i fornitori (ranghi chirografari) prendono 20-60%, il Fisco (privilegiato) prende 70% -> condizione rispettata (nessun chirografo prende più del Fisco privilegiato).
  • Relative priority: la classe 4 (dissenziente) di chirografi ottiene meno (20%) della classe 3 (60%) che è pari rango ma ha detto sì, tuttavia questo è giustificato perché la classe 3 aveva accettato un 60%. La classe 4 comunque prende più della classe ipotetica inferiore (non ce ne sono inferiori ai chirografi). Diciamo che il tribunale valuta che la discriminazione è giustificata dagli interessi diversi (classe 3 fornitori strategici salvaguardati per avere continuità).
  • Nessuno prende oltre il 100% (ovvio).
  • Condizione speciale: c’è almeno una classe “interessata” (non integralmente pagata) di rango elevato che ha accettato – sì, la banca privilegiata di fatto è pagata integralmente col privilegio quindi non conta come “impaired”; ma la classe 3 chirografi prende 60% quindi è impaired e ha accettato. Inoltre se guardiamo il Fisco (classe 2) dissenziente: il suo voto contrario è determinante? Forse sì, ma vediamo.

In parallelo, per il Fisco dissenziente il tribunale applica l’art. 48/80 CCII: nota che senza il voto del Fisco la maggioranza delle classi c’è comunque, ma in ogni caso esso è privilegiato dissenziente. Valuta il suo dissenso: siccome l’Erario prende 70% nel concordato contro un ipotetico 0% nel fallimento (essendo privilegio su beni già saturi di ipoteca), il giudice ritiene irragionevole il rifiuto e procede al cram-down fiscale, omologando nonostante il loro no.

Alfa Srl così ottiene l’omologazione del concordato preventivo. L’azienda continua l’attività, paga regolarmente le rate ai creditori secondo il piano. I fornitori dissenzienti, per legge, sono vincolati dall’omologa e incasseranno quel 20% in 4 anni – non possono più agire per il resto. Il Fisco incasserà il suo 70% dilazionato, ma con la possibilità in caso di ritardo di attivare garanzie (nel piano magari è prevista una fideiussione a garanzia delle rate). L’azienda, liberata dal peso dei debiti e con un carico finanziario sostenibile, torna redditizia. I posti di lavoro sono salvi. Dopo 4 anni, eseguiti i pagamenti concordatari, Alfa Srl esce completamente risanata e i debiti residui sono esdebitati (i creditori non possono pretendere oltre).

Commento: in questo caso si è usata la composizione negoziata per congelare subito le azioni e provare l’accordo stragiudiziale; non essendo riuscito con tutti, si è passati al concordato che, grazie al nuovo cram-down fiscale e interclassi, ha permesso di realizzare comunque la ristrutturazione nonostante il dissenso di alcuni creditori. Prima della riforma, un singolo fornitore o l’Agenzia Entrate avrebbero potuto bloccare il piano: oggi molto meno. Si noti come l’esperto negoziale e l’OCC abbiano avuto ruoli centrali (il primo nella fase stragiudiziale, il secondo poi come commissario/attestatore nel concordato). Questo esempio mostra una strategia mista di negoziazione e procedura concorsuale per un PMI.

Caso 2: Grande azienda in crisi finanziaria con soli creditori bancari

Scenario: Beta SpA è un’azienda del settore metallurgico con 200 dipendenti. Ha debiti finanziari enormi (50 milioni €) verso un pool di banche (obbligazioni e mutui) e pochi altri debiti (fornitori strategici 5 milioni; debiti fiscali nella norma regolarmente pagati). La crisi è prevalentemente finanziaria: calo di fatturato e aumento costo materie prime l’hanno portata a non riuscire più a servire il debito. Tuttavia Beta SpA ha un business potenzialmente sano e un importante investitore estero sarebbe disposto a iniettare capitali freschi per 20 milioni, a condizione di ristrutturare il debito bancario residuo in modo significativo. Le banche coinvolte sono una decina, alcune molto esposte (tre banche detengono il 60% del totale finanziamenti). Beta SpA vuole evitare la perdita di controllo e possibilmente evitare anche l’etichetta di “fallita”, preferendo una ristrutturazione riservata per poi rilanciarsi.

Problemi: Necessità di tagliare il debito bancario (haircut), di convincere tutte le banche ad accettare un accordo e di far entrare il nuovo investitore pulito da pesi. Le banche maggiori sono cooperative, le minori sono più aggressive e potrebbero fare azioni legali.

Soluzione possibile: Accordo di ristrutturazione con efficacia estesa oppure PRO (piano di ristrutturazione soggetto a omologazione). Qui il debitore ha pochi tipi di creditori (banche e pochi fornitori) ed è di grandi dimensioni, quindi può sfruttare i nuovi strumenti ibridi.

Beta SpA, assistita da un advisor finanziario, apre tavoli di confronto con le banche. Visto che detiene l’adesione di 3 banche principali che hanno il 60%, potrebbe puntare a un accordo di ristrutturazione agevolato: infatti se raccoglie almeno il 60% (che ha) ed è in composizione negoziata (che può avviare), la soglia per efficacia estesa scende al 60%. Poniamo che Beta SpA attivi la Composizione negoziata per sicurezza (le banche così sospendono eventuali azioni in corso, magari escussioni di pegni, ecc.). Nel contempo predispone un Accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 57 CCII: l’accordo offre alle banche una conversione parziale del debito in strumenti partecipativi e un taglio del 30% sul residuo con rimborso a 5 anni grazie all’apporto del nuovo investitore. Alle banche dissenzienti (che ipotizziamo rappresentino il 20% del debito) Beta propone di pagarle per intero in 120 giorni (come creditori estranei, condizione per l’accordo agevolato). I fornitori (5 mln) li paga integralmente a scadenza (così da tenerli estranei e non dover chiedere loro sacrifici). In pratica, l’accordo coinvolge solo la categoria “banche”.

Grazie al fatto che Beta possiede il 60% di consenso tra le banche (≥60%), presenta l’accordo al tribunale chiedendo l’omologazione e l’estensione ai sensi dell’art. 61 CCII verso le banche non aderenti. Poiché sono tutte banche (intermediari finanziari) e ha più del 75% tra loro, i dissenzienti (20%) verranno vincolati all’accordo. Il tribunale omologa verificando che i non aderenti prendono dal piano almeno quanto avrebbero in fallimento (sì, in fallimento forse avrebbero 50 cent/dollaro, qui prendono 70 grazie all’investitore). Così l’accordo di ristrutturazione viene approvato: tutte le banche, anche chi era contraria, sono obbligate a rispettare i nuovi termini (haircut 30%, scadenze allungate). Beta SpA quindi, con l’ingresso del nuovo investitore, ottiene liquidità per pagare i creditori estranei e sostenere il piano. L’accordo, essendo omologato, le permette di continuare l’attività senza la formalità di un concordato pubblico (anche se l’omologa è pubblica, l’accordo spesso è percepito come meno “infamante” di un concordato). Beta ha quindi evitato la liquidazione e ridotto il debito in modo consensuale.

In alternativa, Beta SpA avrebbe potuto utilizzare il Piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (PRO): suddividendo i creditori in due classi (banche e fornitori estranei), poteva proporre in tribunale direttamente un piano chiedendo l’omologa se ogni classe avesse accettato. In questo caso, sarebbe bastato convincere tutte le banche (classe unica) – e in effetti le banche detentrici del 60% se avessero accettato e trascinato le altre, di fatto rendevano unanime la classe. Con PRO Beta avrebbe potuto anche deviare dalle priorità: ad esempio garantire ai fornitori (classe 2) pagamento integrale mentre alle banche (classe 1) dare 70%. Ma essendo i fornitori modesti e già previsti pagati integrali, questo non era un problema. Beta avrebbe potuto preferire il PRO se avesse voluto includere anche una ristrutturazione del capitale sociale o soluzioni particolari da far approvare all’unanimità. Nel nostro scenario, l’accordo di ristrutturazione appare sufficiente e più semplice.

Esito: Beta SpA prosegue l’attività ristrutturata. Nessun dipendente perde il lavoro. Le banche maggiori recuperano buona parte ed evitano incagli peggiori, le minori devono accettare l’accordo ma almeno ottengono il nuovo piano approvato. L’investitore estero entra in azienda con 20 milioni per sviluppo (fiducioso perché il debito residuo è ora sostenibile). Beta SpA torna competitiva e qualche anno dopo riesce anche a rifinanziarsi sui mercati.

Commento: il caso Beta mostra come per grandi imprese con pochi creditori qualificati il concordato spesso non sia la prima scelta – meglio un accordo di ristrutturazione, che è più rapido e negoziato. Inoltre evidenzia l’uso dell’efficacia estesa: qui i pochi dissenzienti sono stati forzati. In passato, senza quell’istituto, Beta avrebbe dovuto fare un concordato o convincere il 100% delle banche. Con la nuova legge, con il 75% (ora 60% se composizione negoziata) delle banche d’accordo, si va avanti comunque. Questo incentiva le banche stesse ad aderire in massa per non rimanere vincolate da decisioni altrui. Un effetto collaterale positivo: la banca dissenziente in minoranza, sapendo di poter essere obbligata, potrebbe essere più propensa a negoziare soluzioni ragionevoli in futuro.

Caso 3: Imprenditore individuale ex artigiano sommerso dai debiti

Scenario: Mario è un ex artigiano edile che ha chiuso la sua ditta individuale due anni fa a causa di troppi debiti. Attualmente lavora come dipendente (muratore presso una cooperativa) con stipendio di 1.400 €/mese. Ha però sulle spalle circa 80.000 € di debiti: 30.000 € con l’Agenzia Entrate Riscossione (per contributi e imposte non pagati negli anni da autonomo), 20.000 € con una banca (fido di c/c non rientrato) e 30.000 € con fornitori e vecchi collaboratori. Non possiede immobili né altri beni di valore (vive in affitto, ha un’utilitaria). Paga ancora 200 € al mese per un finanziamento personale in corso (che scadrà tra 3 anni, importo residuo 7.000 €). Mario non è fallibile (ditta individuale artigiana, volume sotto soglie). I creditori lo stanno tempestando di diffide; l’Agenzia Entrate ha già iniziato a pignorare 1/10 dello stipendio (circa 140 €/mese). Mario, disperato, cerca aiuto presso l’OCC locale.

Problemi: Mario è un sovraindebitato persona fisica, ex imprenditore (quindi la procedura giusta è concordato minore o liquidazione controllata, non il piano del consumatore puro, perché i debiti derivano in buona parte dall’attività). Vuole evitare che i pignoramenti sullo stipendio continuino per decenni, non vede via d’uscita visto l’importo elevato.

Soluzione possibile: Concordato minore con esdebitazione. L’OCC analizza la situazione: Mario non ha patrimonio liquidabile se non piccole cose. Ha però una capacità di rimborso mensile, volendo, di circa 300 € (stringendo la cinghia, destinando la parte di stipendio che già stava venendo pignorata + qualcosina). Viene dunque elaborato un piano quinquennale: Mario propone di pagare 300 €/mese per 5 anni ai creditori, per un totale di 18.000 € (circa il 22% del debito totale). La ripartizione potrebbe essere: 22% a ciascun creditore chirografario. Al Fisco 22% dei 30k (6.600 €) – da trattare come chirografo perché dopo interessi e sanzioni? In realtà i contributi e imposte per Mario persona fisica potrebbero avere privilegi limitati, ma ammettiamo che essendo piccolo imprenditore anche il debito fiscale si considera chirografo se non garantito da privilegi su beni (non ha beni). L’OCC attesta che il piano è fattibile (Mario può permettersi 300 €/mese) e conveniente rispetto alla liquidazione: se Mario facesse liquidazione controllata, i creditori prenderebbero praticamente zero (perché non c’è attivo, solo futuri 140€/mese di pignoramento per anni, ma legalmente dopo 3 anni sarebbe esdebitato anche senza nulla!). Quindi anche 22% è infinitamente meglio di zero.

Si deposita la domanda di concordato minore al tribunale. Ai creditori viene comunicata la proposta di Mario: essi voteranno tramite lettera (spesso nei sovraindebitamenti il voto è raccolto per dichiarazioni, non assemblee). È probabile che qualche creditore non risponda nemmeno (silenzio = dissenso di solito). Tuttavia, anche se non si raggiungesse la maggioranza, Mario ha un asso nella manica: può chiedere al giudice comunque l’omologa via cram-down fiscale se il no provenisse dall’Erario in modo ingiustificato (qui l’Erario prenderebbe 6.6k vs 0 in liquida, quindi il giudice la considererebbe ragionevole e omologherebbe comunque). E se mancano altre maggioranze, il tribunale può comunque convertire in liquidazione controllata. Ma ipotizziamo che la maggioranza dei crediti votanti in valore (banca + qualche fornitore) dica sì riconoscendo la buona fede di Mario.

Il tribunale omologa il concordato minore. Gli effetti: i pignoramenti stipendio cessano (sostituiti dai versamenti previsti nel piano); tutti i creditori devono rispettare il piano (prenderanno il 22% in rate mensili via OCC). Mario effettua con sacrificio i pagamenti per 5 anni. Al termine, ha pagato 18.000 € in totale. Il tribunale dichiara l’esdebitazione: i restanti ~62.000 € di debiti sono definitivamente cancellati. Mario può ricominciare da capo, questa volta con le finanze in ordine, e magari in futuro avviare nuovamente un’attività in proprio in modo più prudente.

Variante: se il reddito di Mario fosse stato troppo basso per proporre il 22%, avrebbe potuto valutare direttamente la liquidazione controllata: consegnare l’auto e poco altro al liquidatore e ottenere l’esdebitazione subito. In alcuni casi l’art. 283 CCII permette persino l’esdebitazione immediata “a zero”, ovvero senza dare nulla ai creditori, se non c’è nulla da dare. Ma questo beneficio è una tantum (può ottenerlo solo una volta nella vita). Mario magari preferisce pagare quel 22% per “fare la sua parte” e avere anche pace morale con i fornitori amici, ecc.

Commento: Questo caso mostra la funzione sociale delle procedure di sovraindebitamento. Un imprenditore individuale che altrimenti rimarrebbe schiacciato dai debiti per tutta la vita, grazie al concordato minore ottiene una riduzione drastica del debito e soprattutto una tempistica definita per uscirne (5 anni di sforzo contro decenni di stenti senza procedura). I creditori accettano un sacrificio perché sanno che comunque la situazione era compromessa (meglio il 22% che il nulla del fallimento personal). Lo Stato ne trae giovamento perché Mario rimane economicamente attivo e non nell’economia sommersa.

Giova evidenziare come la giurisprudenza ha sostenuto soluzioni favorevoli al debitore meritevole: la Cassazione del 2023 (ord. 22699) ha appunto aperto il concordato minore anche agli ex imprenditori come Mario, mentre la Corte Costituzionale ha tolto alcuni vincoli (ora Mario può falcidiare l’IVA, cosa che prima del 2022 non era possibile). Così pure l’esdebitazione automatica dopo 3 anni è un incentivo a intraprendere la liquidazione controllata senza timore di restare per sempre debitore.


Questi esempi coprono alcune situazioni tipiche (la PMI indebitata generalista, la grande azienda con banche, il piccolo ex imprenditore). Naturalmente ogni caso reale ha peculiarità che richiedono di adattare lo strumento: a volte una semplice trattativa informale può bastare, altre volte serve passare per il tribunale. L’importante messaggio è che oggi esistono strumenti legali per risolvere quasi ogni crisi di debiti, purché ci sia la volontà di affrontarla in modo ordinato e trasparente, possibilmente prima che sia troppo tardi.

Di seguito, chiariremo alcuni dubbi comuni in forma di FAQ, e infine elencheremo le principali fonti normative e giurisprudenziali citate.

Domande frequenti (FAQ) su crisi d’impresa e soluzioni di indebitamento

  • D: La mia azienda è in crisi, come scelgo tra un accordo stragiudiziale e un concordato?
    R: Dipende dalla gravità della crisi e dal grado di consenso che puoi ottenere dai creditori. In generale, tenta prima le vie stragiudiziali se pensi di poter convincere la maggior parte dei creditori: ad esempio un piano attestato o un accordo di ristrutturazione, che sono meno costosi e meno pubblici. Se però i creditori sono molti e disorganizzati, o alcuni minacciano azioni aggressive, può convenire sin da subito un concordato preventivo, che offre protezione immediata e può imporre la soluzione anche ai dissenzienti. Un buon approccio spesso è iniziare con la composizione negoziata, che ti dà protezione temporanea e un esperto, e poi valutare se vi è spazio per un accordo volontario o se serve passare al giudiziale. Tieni presente che strumenti come il PRO (piano soggetto a omologazione) e gli accordi di ristrutturazione agevolati colmano un po’ il gap: permettono di fare piani flessibili come un accordo, ma con il sigillo del tribunale per vincolare tutti.
  • D: Se avvio una procedura concorsuale (es. concordato preventivo), perdo la mia azienda?
    R: No, non necessariamente. Nel concordato preventivo in continuità rimani alla guida dell’azienda durante la procedura (sei solo sotto vigilanza del commissario) e, se il piano riesce, continui l’attività anche dopo. Il patrimonio non viene liquidato integralmente, solo gestito secondo il piano (possono esserci cessioni di beni non strategici, ecc.). Diverso è il caso di un concordato liquidatorio o della liquidazione giudiziale: lì sì, l’azienda viene venduta o cessata e tu perdi la proprietà/gestione. Ma quella è l’extrema ratio. L’obiettivo degli strumenti di risanamento è proprio evitare di perdere l’azienda e salvare la continuità dove possibile. Anche nella composizione negoziata, l’imprenditore mantiene la gestione. Quindi avviare la procedura non vuol dire cedere il controllo, salvo poi non rispettare le regole (ad esempio in concordato se fai atti senza autorizzazione rischi la revoca).
  • D: Quali debiti possono essere “tagliati” in un piano o concordato? Posso ridurre i debiti fiscali e contributivi?
    R: Sì, oggi praticamente tutti i tipi di debito possono essere ristrutturati. I debiti fiscali e previdenziali possono essere inclusi in piani e concordati con riduzione dell’importo (falcidia) e/o dilazioni, tramite lo strumento della transazione fiscale. Il Codice della Crisi prevede espressamente che anche l’IVA e le ritenute non versate possano essere parzialmente non pagate (prima c’era un divieto, caduto nel 2022). Chiaramente, bisogna offrire all’Erario almeno quanto otterrebbe liquidandoti forzatamente, altrimenti il tribunale non approverà. Anche i debiti con le banche possono essere ridotti (tipicamente convertendo parte del credito in azioni o stralciando quota capitale) – qui serve negoziazione o, se la banca non è d’accordo, una procedura come concordato dove subisce il cram-down. Debiti verso i fornitori certamente possono essere tagliati, sono i classici chirografari che spesso prendono percentuali (20%, 50%, dipende dal caso). Fai eccezione solo a eventuali debiti con patrimoni destinati o cose molto particolari. Ad esempio, se hai incassato somme come sostituto d’imposta (ritenute operate ai dipendenti) in teoria andrebbero riversate integralmente, ma anche quelle ormai rientrano nel calderone falcidiabile. Ricorda però: più tagli il debito, più devi convincere un giudice che non potevi davvero pagare di più. Se hai beni sufficienti a pagare un creditore privilegiato per intero, non puoi arbitrariamente tagliarlo. Devi rispettare le cause di prelazione a meno che quel creditore accetti o che un altro strumento (PRO con consenso unanime di classe) consenta l’eccezione.
  • D: Quanto dura una procedura concorsuale? I tempi sono importanti per me.
    R: Dipende dallo strumento e dalla complessità. Una composizione negoziata dura al massimo 6 mesi (prorogabili di altri 6), quindi entro un anno sai se concludi un accordo. Un accordo di ristrutturazione può essere negoziato in pochi mesi e, una volta depositato, l’omologa arriva in tempi brevi (3-4 mesi se non ci sono opposizioni). Un concordato preventivo è più lungo: tra deposito, voto e omologa possono volerci 6-12 mesi, a volte di più se la procedura è complicata. Dopo l’omologa, poi, c’è l’esecuzione del piano che può durare anni (il piano stesso definisce i tempi di pagamento: es. 5 anni per pagare i creditori). La liquidazione giudiziale (fallimento) invece può durare diversi anni (il Codice auspica 3 anni, ma se ci sono cause o beni difficili da vendere si va oltre). Le procedure minori (concordato minore, piano consumatore) di solito sono più rapide perché meno soggetti coinvolti – possono chiudersi in 4-6 mesi dall’istanza. Diciamo che, se vuoi una soluzione rapida, l’accordo stragiudiziale è il top (puoi anche in 2-3 mesi risolvere tutto se creditori collaborativi). Il concordato è più garantito ma paghi qualcosa in tempo. Nota bene: durante la procedura sei protetto dai creditori (in concordato c’è il automatic stay delle azioni, nell’accordo pure se chiedi misure protettive), quindi anche se la procedura dura 1 anno non subisci aggressioni in quel frattempo. Ciò spesso è già un sollievo.
  • D: Che ruolo ha l’Organismo di Composizione della Crisi (OCC)? Devo rivolgermi a loro?
    R: L’OCC è un ente (spesso presso le Camere di Commercio o Ordini professionali) che fornisce assistenza nelle procedure di sovraindebitamento e nella composizione negoziata. Se sei un piccolo imprenditore o consumatore sovraindebitato, sì, rivolgerti all’OCC del tuo territorio è il primo passo: loro nominano un esperto che ti aiuta a elaborare il piano e gestisce la procedura con il tribunale. Anche nel concordato minore e piano del consumatore è obbligatorio il coinvolgimento dell’OCC o di un professionista indipendente che assume funzioni simili al commissario. Invece, per un accordo di ristrutturazione o concordato preventivo di una grande impresa, l’OCC non è previsto (lì ti affidi ad advisor e legali di tua fiducia per la predisposizione del piano; il commissario/attestatore lo nomina il tribunale successivamente). Quindi OCC per crisi “piccole”, professionisti scelti dall’azienda per crisi medie/grandi. Va detto che con la composizione negoziata ormai anche le società maggiori passano comunque per la piattaforma CCIAA, che è collegata agli OCC per nominare l’esperto.
  • D: Sono un socio di una s.n.c. fallita: dopo la chiusura del fallimento sarò ancora perseguitato dai debiti sociali non pagati?
    R: Se eri socio illimitatamente responsabile (s.n.c o accomandatario s.a.s.), i creditori sociali possono rivalersi su di te anche dopo la chiusura della procedura a carico della società, perché i debiti sociali diventano tuoi debiti personali. Tuttavia, il Codice prevede che tu possa sfruttare le procedure di sovraindebitamento personali per evitare di essere perseguitato indefinitamente. Ad esempio, potresti accedere a un concordato minore come persona fisica, oppure (se non hai nulla) chiedere l’esdebitazione del debitore incapiente per cancellare quei debiti. Inoltre, nota che l’esdebitazione di cui parlavamo vale anche per l’ex fallito persona fisica: se la tua società era una ditta individuale o se sei un socio fallito personalmente, decorsi 3 anni dall’apertura della liquidazione giudiziale puoi ottenere di diritto l’esdebitazione. Quindi la legge cerca di evitare “ergastoli” dei debiti. Certo, se la società è fallita e tu hai patrimonio, i creditori proveranno ancora ad escutere il tuo patrimonio personale, a meno che tu non attivi una di queste soluzioni.
  • D: Posso evitare il fallimento anche all’ultimo momento?
    R: Sì, spesso sino all’ultimo momento utile si può trovare una soluzione concordata. Ad esempio, se un creditore ha chiesto il tuo fallimento, tu puoi presentare fino all’udienza un ricorso per concordato preventivo (o accordo di ristrutturazione con prenotazione) e questo sospende la dichiarazione di fallimento perché la procedura concordataria prevale. Oppure, se sei in composizione negoziata e le trattative vanno bene, puoi chiedere al tribunale di posticipare la decisione sul fallimento per vedere se l’accordo va in porto. Quindi sì, c’è spazio fino alla fine: chiaramente però muoversi all’ultimo è rischioso, potresti non avere il tempo materiale di predisporre bene la domanda di concordato. È sempre consigliabile attivarsi appena si manifestano i primi segnali di insolvenza probabile (il Codice infatti impone all’imprenditore di attivarsi “tempestivamente” alla crisi incipiente). Oggi c’è meno stigma ad avviare per tempo una composizione negoziata o un accordo, rispetto al passato dove molti tergiversavano finendo dritti al fallimento. Meglio un concordato ben preparato oggi che un fallimento tra sei mesi.
  • D: Cosa succede se ho una crisi “di gruppo” con più società collegate indebitate?
    R: Il CCII prevede delle norme specifiche per la crisi di gruppo (artt. 284-292): è possibile presentare un unico progetto di concordato di gruppo o accordo di gruppo, con piani coordinati per tutte le società, nominare un unico tribunale competente e trattare la faccenda in modo unificato (pur rispettando l’autonomia delle masse dei creditori di ciascuna). Quindi, se hai ad esempio 3 società consociate tutte in difficoltà, puoi chiedere la procedura unitaria, nominano un coordinatore e si cerca una soluzione integrata (es. vendere alcuni asset di una per salvare l’altra, ecc.) con reciproche compensazioni approvate dai creditori. È un tema avanzato ma importante. Le regole, per inciso, vietano la confusione delle masse: ogni patrimonio resta separato, però si possono prevedere patti di riparto infragruppo se tutti i creditori coinvolti sono d’accordo. Anche in composizione negoziata si può fare un tavolo di gruppo.
  • D: Dopo un concordato o fallimento, posso tornare a fare l’imprenditore?
    R: Sì. Non esiste più l’istituto dell’interdizione dal commercio a vita. Durante la procedura fallimentare c’erano (sotto vecchia legge) alcune pene accessorie temporanee, ma il CCII mi risulta le abbia eliminate o ridotto. In ogni caso, una volta chiuso il fallimento o eseguito il concordato, sei libero di riprendere attività d’impresa. Attenzione: se hai ottenuto l’esdebitazione senza soddisfare i creditori (tipo quella del debitore incapiente con zero pagato), la legge ti consente il beneficio solo una volta ogni 5 anni o 8 anni a seconda dei casi, per evitare “furbetti seriali”. Ma nulla ti vieta di aprire una nuova società o startup. Certo, la credibilità sul mercato dipenderà dal perché sei fallito: se hai usato gli strumenti in modo corretto e trasparente, anzi spesso dimostri di essere un imprenditore che sa gestire anche la crisi. Oggi c’è un approccio più moderno: il fallimento non è una colpa morale, può capitare; l’importante è come ne esci. Con un concordato ben eseguito e l’esdebitazione, hai una fedina immacolata dal punto di vista economico, sei “ripulito” dai debiti e puoi ricominciare (magari imparando dagli errori passati).
  • D: Quali costi devo considerare per queste procedure?
    R: Ci sono costi professionali (esperto negoziato, attestatore, avvocato, eventuale commissario) e costi “giudiziali” (contributo unificato, marche). Nella composizione negoziata l’esperto ha compensi calmierati fissati dal decreto – spesso relativamente modesti rispetto al beneficio. Nel concordato preventivo, il commissario e l’attestatore vanno pagati (di solito prededucibili, cioè li puoi pagare col patrimonio dell’azienda prima di soddisfare i creditori). Idem nel fallimento il curatore viene pagato con i fondi ricavati. Quindi in sostanza, ti “costano” nel senso che riducono l’attivo destinato ai creditori, ma se i creditori approvano il piano significa che accettano anche quei costi. Percentualmente, i costi concorsuali possono variare dal 3-5% (in concordati grandi) fino al 10-15% dell’attivo (in procedure piccole, perché c’è un minimo di sforzo professionale anche se l’attivo è basso). Ma è il prezzo da pagare per la soluzione della crisi. L’importante è rivolgersi a professionisti competenti per evitare spese inutili: un piano fatto male e respinto è denaro buttato. Meglio spendere per un buon piano che fallire e dissipare tutto. Segnalo che per i consumatori e piccoli debitori spesso ci sono convenzioni con OCC e magari il patrocinio a spese dello Stato se i redditi sono bassi, quindi non spaventarsi a priori.

Fonti normative e giurisprudenziali (aggiornate a maggio 2025)

Di seguito elenchiamo le principali fonti normative citate o rilevanti per la materia, nonché alcune pronunce giurisprudenziali di riferimento fino al 2025:

Normativa primaria:

  • R.D. 16 marzo 1942, n. 267 – Vecchia Legge Fallimentare (abrogata dal 15/7/2022, restano vigenti solo alcune parti per procedure pendenti).
  • Legge 27 gennaio 2012, n. 3 – Composizione delle crisi da sovraindebitamento (abrogata dal 2022, integrata nel CCII).
  • D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), entrato in vigore il 15 luglio 2022. Testo base della riforma organica della crisi.
  • D.Lgs. 26 ottobre 2020, n. 147 – Decreto correttivo al CCII (primo correttivo).
  • D.L. 24 agosto 2021, n. 118 convertito in L. 147/2021 – Misure urgenti in materia di crisi d’impresa: ha introdotto Composizione Negoziata e concordato semplificato prima dell’entrata in vigore del CCII.
  • D.L. 6 novembre 2021, n. 152 convertito in L. 233/2021 – (Decreto PNRR) ulteriori modifiche transitorie in materia di crisi (es. disposizioni su sovraindebitamento).
  • D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83 – Secondo decreto correttivo al CCII, attuativo della Direttiva (UE) 2019/1023. Ha introdotto tra l’altro il “PRO” e le nuove norme su concordato e accordi.
  • Direttiva (UE) 2019/1023 del 20 giugno 2019 – Insolvency Directive su ristrutturazione preventiva ed esdebitazione, recepita in Italia con D.Lgs. 83/2022.
  • D.L. 24 febbraio 2023, n. 13 convertito in L. 41/2023 – Disposizioni urgenti (Decreto PNRR 2) che hanno introdotto misure premiali fiscali per chi ricorre a composizione negoziata (es. 120 rate per debiti fiscali, variazione IVA).
  • D.Lgs. 28 settembre 2023, n. 136 – Terzo decreto correttivo al CCII, in vigore dal ottobre 2024. Ha chiarito molti aspetti applicativi e incentivato la composizione negoziata (es. miglior definizione del cram-down, snellimenti procedurali, ecc.).
  • Codice Civile – Rimangono rilevanti alcune norme del c.c. richiamate: es. art. 2447 cc su riduzione capitale per perdite (collegato alle misure protettive ex art. 20 CCII che sospendono cause di scioglimento), artt. 2740-2741 cc (principio di responsabilità patrimoniale e par condicio, derogati nei piani soggetti a omologa).
  • Leggi speciali su grandi imprese insolventi: D.Lgs. 270/1999 (amministrazione straordinaria grandi imprese, c.d. Prodi bis) e D.L. 347/2003 conv. L.39/2004 (c.d. Marzano) – ancora in vigore per casi di insolvenze di rilevante interesse economico (Alitalia, ILVA, etc.), parallele al CCII.

Normativa secondaria e regolamenti:

  • D.M. 28 settembre 2021, n. 202 – Regolamento iscrizione esperti composizione negoziata (requisiti degli esperti).
  • Linee guida e check-list per l’esperto della composizione negoziata – adottate dalla Commissione istituita dal MISE (documenti non normativi ma di indirizzo).
  • Regolamenti interni dei tribunali – Molti tribunali hanno emanato protocolli per la gestione delle nuove procedure (es. linee guida Trib. Milano su concordati in continuità, protocolli OCC, ecc.).

Giurisprudenza di legittimità (Corte di Cassazione):

  • Cass., Sez. Unite civili, 27 marzo 2023, n. 8557 – Principio di diritto: nel fallimento ante CCII i creditori con pegno/ipoteca su bene del fallito per credito altrui non possono insinuarsi, mentre il CCII art. 201 innova prevedendo la loro partecipazione al riparto. Sentenza storica che confronta vecchio e nuovo regime, evidenziando l’avanzamento del CCII nel tutelare tali creditori.
  • Cass., Sez. Unite civili, 26 luglio 2023, n. 22699 (ord. interlocutoria) – Ha risolto questioni interpretative su procedure di sovraindebitamento: ha confermato la ammissibilità del concordato minore per l’imprenditore individuale cancellato dal registro imprese (art. 33 co.4 CCII vale solo per società); e ribadito che l’ex imprenditore con debiti misti non può usare il piano del consumatore se il debito deriva in prevalenza dall’attività cessata (nozione di “consumatore” restrittiva). Ha inoltre chiarito che i decreti di inammissibilità di tali piani sono reclamabili alla Corte d’Appello (risolvendo dubbi processuali).
  • Cass., Sez. I, 12 aprile 2023, n. 9730 – In tema di concordato preventivo: ha affrontato aspetti del procedimento di omologa, ad es. la notifica ai creditori non votanti (ha statuito che i creditori non votanti non vanno equiparati ai dissenzienti ai fini della notifica dell’udienza). Decisione tecnica che conferma come va gestita l’opposizione all’omologa.
  • Cass., Sez. Unite, 15 novembre 2021, n. 36376 – (precedente rilevante) Ha sancito l’ammissibilità del cram-down fiscale già sotto la legge fallimentare per concordati presentati dopo DL 125/2020, riconoscendo al giudice il potere di omologare nonostante il diniego erariale quando è irragionevole (anticipando il principio poi recepito nel CCII).
  • Cass., Sez. I, 7 luglio 2022, n. 21467 – Sulla transazione fiscale: ha confermato che anche nel sovraindebitamento pre-CCII era incostituzionale il divieto di falcidia IVA (richiamando Corte Cost. 245/2019 e poi 65/2022).
  • Cass., Sez. I, 24 giugno 2022, n. 20285 – Competenza per gruppo di imprese insolventi: ha affermato criterio del centro degli interessi principali unico per attrarre tutte le procedure (principio ora nel CCII).

Giurisprudenza costituzionale:

  • Corte Costituzionale, sentenza 17 marzo 2022, n. 65 – Ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 8 co.1-bis L.3/2012, nella parte in cui vietava la falcidia dell’IVA nel piano del consumatore, per contrasto col principio di ragionevolezza e parità di trattamento (aprendo la strada alla falcidia IVA poi ammessa nel CCII).
  • Corte Costituzionale, sentenza 13 luglio 2022, n. 123 – Ha affrontato questioni transitorie sulla proroga dell’entrata in vigore del CCII, ritenendole non fondate (concordando che il rinvio al 2022 era giustificato da necessità di recepire direttiva).

Giurisprudenza di merito (Tribunali): (una selezione di pronunce innovative)

  • Tribunale di Milano, decreto 11 aprile 2024 – Ha omologato un concordato in continuità applicando per la prima volta il cram-down interclassi del nuovo art. 112 CCII, definendo “classe dissenziente rilevante” quella non integralmente soddisfatta e individuando i requisiti a), b), c), d) per l’omologa forzata. Ha confermato che se almeno una classe impaired approva e le altre non sono pregiudicate rispetto a scenario alternativo, si può omologare nonostante il voto contrario di un’altra classe.
  • Tribunale di Verona, decreto 7 giugno 2024 – Esempio citato di cram-down fiscale in concordato minore: ha omologato il concordato minore di un imprenditore nonostante il voto negativo di Agenzia Entrate e INPS, giudicando il loro dissenso abusivo perché il piano offriva loro un pagamento migliore del fallimento. Ha applicato l’art. 80 CCII (concordato minore) nella prassi.
  • Tribunale di Vicenza, decreto 7 novembre 2023 – Ha omologato il primo Piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (PRO) in Italia. Nel caso di un’azienda vicentina, tutte le classi avevano approvato all’unanimità il piano che derogava alla priority rule, e il tribunale ha confermato la fattibilità, segnando un precedente per l’uso del PRO.
  • Tribunale di Napoli, sezione imprese, decreto 28 luglio 2023 – Ha omologato un accordo di ristrutturazione agevolato ex art. 60 CCII con solo il 35% di adesioni, ritenendo soddisfatte le condizioni (pagamento integrale estranei entro 120 gg, nessuna domanda di concordato in bianco precedente). Importante per convalidare l’utilizzo pratico di questa forma di accordo.
  • Tribunale di Torino, decreto 4 ottobre 2022 – In tema di sovraindebitamento, ha ammesso la procedura familiare unitaria ex art. 66 CCII per una coppia con debiti comuni, omologando un unico piano di ristrutturazione congiunto. Applica la novità introdotta di trattare insieme i membri della stessa famiglia in crisi.
  • Tribunale di Udine, decreto 8 novembre 2022 – Ha concesso la prima esdebitazione del debitore incapiente ex art. 283 CCII, cancellando i debiti residui di un soggetto completamente privo di beni, subito dopo l’apertura della liquidazione controllata. Segnala l’applicazione del fresh start “a costo zero” per i meritevoli senza patrimonio.

Prassi e linee guida settoriali:

  • Linee-guida del CNDCEC 2022 – in materia di attestazione dei piani e di conduzione delle composizioni negoziate (documenti elaborati dal Consiglio Nazionale Dottori Commercialisti).
  • Osservatorio Unioncamere sulla composizione negoziata – report periodici (es. novembre 2023) con statistiche: 1003 istanze presentate entro ott. 2023, percentuali di esiti (circa 35% archiviazioni per insuccesso, 16% accordi conclusi, ecc.). Tali dati confermano un aumento graduale di utilizzo e un bisogno di migliorare l’efficacia (le riforme 2023-24 mirano a questo).
  • Circolare Ministero della Giustizia 24 ottobre 2023 – Istruzioni alle corti sulla disciplina delle impugnazioni nel CCII (artt. 206-207) e coordinamento con la Cassazione, per uniformare prassi sulle competenze (es. reclami vs decreti).
  • Massimari delle Corti d’Appello – Molte Corti hanno iniziato a raccogliere le massime sulle nuove norme, ad es. CA Roma su classi nel concordato, CA Firenze su trattamento del consumatore ex imprenditore (tema di Cass. 22699/23).

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