Chi Può Accedere Alla Legge 3 (Ex)

Hai debiti che non riesci più a pagare? Sei travolto da rate, cartelle, mutui, prestiti o vecchie garanzie e ti stai chiedendo se puoi azzerare tutto legalmente?

La risposta è sì: puoi farlo attraverso gli strumenti previsti dalla Legge 3/2012 (oggi confluita nel Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza), pensati per chi non può fallire ma ha bisogno di una via d’uscita dai debiti.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto del sovraindebitamento e tutela del debitore – ti spiega chi può accedere alle procedure, quali sono i requisiti e quali soluzioni puoi utilizzare per liberarti dai debiti e ripartire.

Scoprirai:

Chi può accedere alle procedure per il sovraindebitamento:

  • Privati cittadini (dipendenti, pensionati, disoccupati) sommersi da finanziamenti, bollette, cartelle, carte di credito, ecc.
  • Lavoratori autonomi e professionisti con debiti accumulati ma senza una vera impresa strutturata
  • Piccoli imprenditori, artigiani e ditte individuali che non superano le soglie di fallibilità previste dalla legge
  • Ex imprenditori e soci di società fallite
  • Consumatori che hanno fatto da garanti o coobbligati per altri debiti
  • Famiglie in difficoltà economica con reddito insufficiente a sostenere le passività
  • Debitori incapienti, cioè senza reddito né patrimonio, che possono accedere all’esdebitazione “secca”

🛠️ Quali sono le procedure disponibili:

  • Piano del consumatore: approvato dal giudice, anche senza consenso dei creditori
  • Accordo di ristrutturazione dei debiti: da negoziare con i creditori, con approvazione della maggioranza
  • Liquidazione controllata del patrimonio: per chi non ha alternative, con cancellazione dei debiti residui
  • Esdebitazione del debitore incapiente: per chi è davvero in condizione di povertà e senza possibilità di pagamento

🔐 Quali vantaggi offre la procedura:

  • Sospensione immediata di pignoramenti, fermi, interessi e azioni dei creditori
  • Cancellazione dei debiti residui una volta concluso il piano
  • Protezione della casa (in molti casi), dello stipendio minimo vitale e del reddito per vivere
  • Uscita legale, dignitosa e definitiva da una situazione insostenibile

Con il supporto di un avvocato esperto puoi attivare la procedura giusta per il tuo profilo, fermare le aggressioni dei creditori e liberarti dai debiti nel rispetto della legge, senza rischiare truffe o soluzioni improvvisate.

Alla fine della guida potrai richiedere una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo, per verificare se rientri tra i soggetti ammessi e costruire un piano concreto per azzerare i debiti e ricominciare davvero da zero.

Introduzione

La cosiddetta “legge 3/2012” – formalmente Legge 27 gennaio 2012, n. 3 – ha introdotto in Italia una disciplina organica per la composizione delle situazioni di sovraindebitamento. Questa normativa, nota anche come legge “salva-suicidi” per le finalità sociali di dare una via d’uscita ai debitori sommersi dai debiti, ha offerto per la prima volta strumenti legali per liberarsi dai debiti residui a soggetti esclusi dalle tradizionali procedure concorsuali (in primis i privati cittadini e i piccoli imprenditori non fallibili).

Dalla sua entrata in vigore, la legge 3/2012 ha subito varie modifiche e aggiornamenti. In particolare, con la riforma organica del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019, in attuazione della delega della L. 155/2017) – pienamente efficace dal 15 luglio 2022 – le norme della legge 3/2012 sono state incorporate nel nuovo Codice. Il Codice della Crisi (spesso abbreviato in CCII) ha sostituito sia la legge fallimentare del 1942 sia la legge sul sovraindebitamento del 2012, riorganizzando le procedure e introducendo alcune importanti novità. Successivamente, ulteriori interventi normativi – da ultimo il D.Lgs. 13 settembre 2024, n. 136 (cosiddetto “Correttivo-ter”) entrato in vigore nell’ottobre 2024 – hanno integrato e corretto la disciplina, in particolare proprio sulle procedure da sovraindebitamento, rendendo l’accesso a queste procedure più ampio e flessibile.

Questa guida intende fornire un’analisi approfondita e aggiornata a maggio 2025 su chi può accedere alle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento (ex legge 3/2012), alla luce del Codice della Crisi e delle sue successive modifiche. Il testo è rivolto ad un pubblico di avvocati, professionisti e piccoli imprenditori, con un linguaggio tecnico-giuridico ma dal taglio divulgativo, e contiene sia riferimenti normativi puntuali sia esempi pratici e orientamenti giurisprudenziali rilevanti.

Come è strutturata la guida: nelle sezioni che seguono verranno anzitutto richiamate le basi normative e l’evoluzione della legge 3/2012, per poi identificare tutte le categorie di soggetti che possono accedere alle procedure previste (dai consumatori ai professionisti, dagli imprenditori “sotto soglia” ai soci di società, incluse fattispecie particolari come le start-up innovative). Verranno inoltre descritte le procedure disponibili – il piano di ristrutturazione del consumatore, il concordato minore e la liquidazione controllata – evidenziandone i requisiti e le condizioni di ammissibilità, comprese le novità normative (ad esempio la procedura familiare unificata per nuclei familiari indebitati, l’esdebitazione del debitore incapiente, ecc.). Troverete anche tabelle riepilogative per una consultazione immediata, una sezione di domande frequenti (FAQ) per chiarire i dubbi più comuni, nonché alcune simulazioni numeriche pratiche che mostrano come queste procedure operano concretamente. In conclusione è fornito un elenco completo delle fonti normative, giurisprudenziali e dottrinali utilizzate e citate, per eventuali approfondimenti.

Evoluzione normativa: dalla legge 3/2012 al Codice della Crisi d’Impresa

Per contestualizzare chi possa accedere oggi a queste procedure, è utile ripercorrere brevemente l’evoluzione normativa in materia di sovraindebitamento:

  • Legge 3/2012 – Introdusse per la prima volta tre strumenti specifici per il debitore sovraindebitato: (1) l’accordo di composizione della crisi (accordo di ristrutturazione dei debiti con il consenso dei creditori), (2) il piano del consumatore (un piano di rientro presentato dal debitore persona fisica “consumatore”, senza necessità di approvazione da parte dei creditori) e (3) la liquidazione del patrimonio (procedura concorsuale liquidatoria dei beni del debitore, con eventuale esdebitazione finale). La legge istituì anche gli Organismi di Composizione della Crisi (OCC) per assistere il debitore nelle procedure. Inizialmente l’accesso era ristretto ai debitori non fallibili (persone fisiche, imprenditori “minori”, enti non commerciali, ecc.), con alcune condizioni di meritevolezza e fattibilità piuttosto stringenti. Negli anni successivi, varie modifiche (D.L. 179/2012 conv. L. 221/2012, D.L. 83/2015 conv. L. 132/2015, ecc.) hanno ampliato l’efficacia della legge 3/2012, rendendo le procedure più accessibili. Un intervento fondamentale è stato il D.L. 137/2020 (Decreto Ristori) conv. L. 176/2020, che – anticipando alcune parti della riforma organica – ha introdotto importanti novità: ad esempio, la possibilità di un’unica procedura familiare per l’intero nucleo, la cosiddetta esdebitazione “a zero” per il debitore incapiente, e la possibilità di cram-down fiscale (omologazione del piano o accordo anche in mancanza di adesione del Fisco, a certe condizioni).
  • Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) – Emanato con D.Lgs. 14/2019, rappresenta una riforma organica dell’intera disciplina concorsuale. Pur approvato nel 2019, la sua entrata in vigore è stata rinviata più volte (da agosto 2020 a settembre 2021, infine al 15 luglio 2022) anche per adattamenti dovuti alla pandemia e alla nuova direttiva UE 2019/1023 sull’insolvenza. Dal luglio 2022 la legge fallimentare del 1942 e la legge 3/2012 sono state abrogate o comunque sostituite dalle corrispondenti norme del Codice. La disciplina del sovraindebitamento è ora contenuta nella Parte III del CCII (artt. 65–83 per le procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento, artt. 268–277 per la liquidazione controllata, e art. 282-283 per l’esdebitazione). Il Codice ha rinominato le procedure: l’accordo di composizione è diventato “concordato minore”, il piano del consumatore è divenuto “piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore”, e la liquidazione del patrimonio si chiama ora “liquidazione controllata del sovraindebitato”. Inoltre, ha confermato l’istituto dell’esdebitazione del debitore incapiente introdotto nel 2020, inserendolo stabilmente (art. 283 CCII). Il principio ispiratore dell’intera disciplina resta il favor debitoris, ossia favorire il risanamento e il “fresh start” del debitore meritevole, evitando interpretazioni restrittive o formalismi eccessivi che ne ostacolino l’accesso.
  • Modifiche successive al CCII – Il Codice della Crisi è stato oggetto di interventi correttivi: un primo D.Lgs. 147/2020 (cosiddetto “correttivo bis”) ha apportato aggiustamenti tecnici ancora prima dell’entrata in vigore; poi il D.Lgs. 83/2022 (pubblicato il 1° luglio 2022) ha introdotto disposizioni integrative e correttive importanti prima del “via” del 15 luglio 2022. Da ultimo, dopo un anno di applicazione, è stato emanato il D.Lgs. 136/2024 (entrato in vigore il 28 settembre 2024), noto come “Correttivo-ter”, che ha inciso in modo significativo proprio sulle procedure da sovraindebitamento. In sintesi, con quest’ultimo intervento il legislatore ha ampliato le possibilità di accesso e risolto alcuni dubbi interpretativi: ad esempio, ha precisato la definizione di consumatore (includendo esplicitamente il caso di consumatore socio di società), ha chiarito la gestione dei debiti misti (in parte personali, in parte d’impresa), il ruolo dei fideiussori, il trattamento degli ex imprenditori cessati, ha eliminato l’istituto della “domanda in bianco” nelle procedure da sovraindebitamento, e ha potenziato strumenti come le procedure familiari. Il fine dichiarato di queste modifiche è rendere il sistema ancora più inclusivo e funzionale, garantendo una tutela equilibrata di debitori e creditori e favorendo il ritorno del debitore nell’economia legale attiva.

Transitorio: Va segnalato che le procedure avviate prima del 15 luglio 2022 continuano ad essere regolate dalla legge previgente (legge 3/2012 o legge fallimentare, a seconda dei casi). Tuttavia, ai fini di questa guida ci concentreremo sulla normativa vigente post-riforma, considerando che ormai tutte le nuove domande dal secondo semestre 2022 in poi ricadono sotto il CCII. I riferimenti alla “legge 3” saranno dunque da intendersi in senso storico, mentre per l’accesso attuale occorre far riferimento alle corrispondenti procedure del Codice (spesso denominate “procedure ex legge 3/2012” in dottrina, proprio per evidenziarne la continuità).

Soggetti ammessi alle procedure di sovraindebitamento (chi può accedere)

Vediamo ora quali soggetti possono accedere alle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento (ex legge 3). In generale, la caratteristica comune è che si tratta di debitori non assoggettabili alle ordinarie procedure concorsuali maggiori (fallimento/liquidazione giudiziale, concordato preventivo, liquidazione coatta, ecc.). In altre parole, le procedure ex legge 3 sono riservate a chi non può essere dichiarato fallito (o sottoposto a liquidazione giudiziale) secondo la normativa vigente.

L’art. 2, comma 1, lett. c) CCII, come modificato dal correttivo 2024, definisce infatti il “sovraindebitamento” come lo stato di crisi o insolvenza che riguarda il consumatore, il professionista, l’imprenditore minore, l’imprenditore agricolo, le start-up innovative di cui al D.L. 179/2012 … e ogni altro debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale o ad altre procedure liquidatorie previste dalla legge. Questa definizione elenca espressamente le categorie soggettive ammesse: le approfondiamo singolarmente nei paragrafi seguenti.

Va premesso che l’accesso alle procedure avviene volontariamente su istanza del debitore (tranne la liquidazione controllata che, come vedremo, può in taluni casi essere aperta anche su richiesta dei creditori o d’ufficio). Il presupposto oggettivo è lo stato di “crisi o insolvenza” del soggetto, inteso come incapacità di adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni (concetto analogo all’insolvenza fallimentare, ma declinato per i soggetti non fallibili). Inoltre, la legge richiede l’assenza di specifiche cause ostative: ad esempio assenza di dolo o colpa grave da parte del debitore nella genesi del sovraindebitamento (specialmente per il consumatore, v. infra), e assenza di abusi di sistema (non aver già beneficiato di esdebitazione negli ultimi 5 anni, oppure non più di due volte in totale). Esamineremo questi requisiti nelle sezioni dedicate a ciascuna procedura.

Di seguito elenchiamo i soggetti che possono accedere, con la relativa qualifica e peculiarità:

Il Consumatore

Definizione: è la persona fisica che ha contratto obbligazioni per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta. Il CCII (art. 2, co.1 lett. e) ha ripreso la definizione dal Codice del Consumo, precisando però che rientra nella nozione di consumatore anche colui che sia socio di una società di persone o di capitali, purché i debiti per cui si attiva la procedura siano di natura personale e non attinenti all’attività imprenditoriale. In altre parole, l’aver partecipato a un’attività economica (es. essere stato socio di società, o aver esercitato un’attività in passato) non impedisce di qualificarsi consumatore, se ora il debitore agisce al di fuori di un’impresa e i debiti che intende ristrutturare sono riconducibili alla sfera privata. Saranno dunque considerati “consumeristici” i debiti per acquisti personali, esigenze familiari, finanziamenti al consumo, spese di vita, ecc., mentre restano esclusi dal perimetro del piano del consumatore i debiti originati da attività d’impresa o professionali (in tal caso si ricadrà nella procedura del concordato minore, come spiegato oltre).

Chi rientra in questa categoria: tutti i privati cittadini indebitati per ragioni non professionali. Esempi tipici: il lavoratore dipendente o pensionato con debiti per prestiti personali, mutui e carte di credito; il disoccupato oberato da debiti; la casalinga o lo studente garante di un finanziamento; anche un ex imprenditore che, cessata l’attività, sia rimasto con soli debiti personali (es. debiti familiari, garanzie escusse) potrebbe qualificare la propria posizione come “consumatore” se i suoi debiti residui non sono di natura imprenditoriale. La giurisprudenza ha dibattuto su casi “misti” (es. persona fisica con parte dei debiti derivanti da una passata attività): si veda più avanti il paragrafo su debiti promiscui. In linea generale, però, vige un criterio di prevalenza/qualificazione principale del debitore: o è consumatore oppure no (“o bianco o nero, tertium non datur” come efficacemente sintetizzato da un autore). Se si configura come consumatore, utilizzerà la procedura ad hoc; se ha debiti professionali/imprenditoriali, dovrà utilizzare le altre procedure.

Procedura accessibile: il consumatore può accedere esclusivamente alla procedura di ristrutturazione dei debiti del consumatore (quella che nella legge 3/2012 era chiamata piano del consumatore). Non è ammesso al concordato minore, che infatti “esclude il consumatore” tra i legittimati. Resta naturalmente accessibile anche la liquidazione controllata come soluzione residuale (ad es. se il piano non è praticabile o non viene omologato). Il consumatore persona fisica, inoltre, potrà beneficiare – ricorrendone i presupposti – dell’esdebitazione del debitore incapiente (art. 283 CCII), su cui diremo oltre.

Condizioni e limiti: per il consumatore la legge richiede un controllo di “meritevolezza”. In passato la legge 3/2012 demandava al giudice una valutazione ampia sull’indebitamento colposo o sproporzionato. Oggi la valutazione è più focalizzata: l’art. 69 CCII prevede che “il consumatore non può accedere alla procedura […] se ha determinato la situazione di sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode”. Dunque vengono esclusi gli istanti che abbiano provocato intenzionalmente o con grave leggerezza il proprio dissesto (ad esempio, accumulando debiti con comportamento doloso, o contraendo finanziamenti in modo manifestamente irresponsabile senza prospettiva di restituzione). Questa preclusione – introdotta già dalla L.176/2020 – ha eliminato i più vaghi criteri precedenti (come l’aver assunto obbligazioni senza ragionevole prospettiva di adempimento) concentrandosi su condotte gravemente colpose o dolose. La giurisprudenza sta affinando l’interpretazione di “colpa grave” del consumatore: in generale, l’eccesso di indebitamento rispetto alle proprie capacità reddituali può rilevare come indice di colpa grave, ma vanno considerati caso per caso i motivi dell’indebitamento, i tentativi di adempiere, gli eventi sopravvenuti, ecc.. In ogni caso, il difetto di meritevolezza preclude solo il piano del consumatore, ma non priva il debitore della possibilità di liberarsi dei debiti: egli potrà sempre ripiegare sulla liquidazione controllata ed ottenere l’esdebitazione al termine di quella (salvo ipotesi di frode).

Infine, il consumatore non può aver abusato delle procedure: non è ammesso chi abbia già ottenuto l’esdebitazione in un precedente sovraindebitamento nei 5 anni precedenti, o chi sia già stato esdebitato più di due volte in totale. Questo per evitare usi reiterati dello strumento di “fresh start”.

Il Professionista (lavoratore autonomo, libero professionista)

Con professionista si intende qui la persona fisica che esercita una professione intellettuale o un’attività di lavoro autonomo, non inquadrabile come impresa commerciale. Tipicamente: avvocati, medici, ingegneri, commercialisti, consulenti, artisti, ecc. Questi soggetti non sono assoggettabili al fallimento in quanto non rivestono la qualifica di imprenditore commerciale (lo escludeva già la legge fallimentare del 1942, riservata agli imprenditori, e così anche il CCII). Tuttavia, possono trovarsi in condizioni di insolvenza (si pensi a uno studio professionale sommerso dai debiti tributari e con fornitori non pagati).

Il professionista rientra espressamente tra i debitori sovraindebitati contemplati dal Codice. Dunque può accedere alle procedure di composizione ex legge 3. Non essendo un “consumatore” (per definizione svolge un’attività professionale), la procedura a sua disposizione sarà il concordato minore oppure, se preferisce o se la situazione lo richiede, la liquidazione controllata.

Esempi: un avvocato con debiti per spese dello studio e mutuo, che non riesce più a sostenere; un commercialista con cartelle esattoriali e scoperti bancari; un architetto che ha garantito obbligazioni legate alla sua attività. Tutti costoro, essendo “debitori non fallibili”, possono proporre un concordato minore per ristrutturare i debiti (magari dilazionandoli secondo il flusso di reddito futuro) oppure liquidare il proprio patrimonio sotto controllo dell’OCC ottenendo l’esdebitazione.

Non vi sono particolari requisiti di meritevolezza specifici per il professionista (il controllo di buona fede/frode si applica soprattutto al consumatore). Si applicano però le stesse cause ostative generali: ad esempio, anche il professionista non può aver già beneficiato di esdebitazione di recente, non deve aver aggravato la propria situazione con dolo, e così via.

Nel concordato minore il professionista è equiparato agli altri debitori “non fallibili” (imprenditori minori, ecc.). Ciò significa che, ad esempio, un avvocato sovraindebitato potrà presentare un piano ai creditori e farlo votare in concordato minore, cosa preclusa invece al consumatore.

Nota: per alcuni professionisti esistono anche procedure specifiche di gestione della crisi (si pensi agli enti professionali come studi associati, o ai soci di studi associati). In linea di massima, se l’attività è esercitata in forma individuale rientra in sovraindebitamento; se vi è una struttura societaria (es. STP – società tra professionisti), bisognerà valutare se tale ente abbia natura commerciale o meno. Una STP costituita in forma di società di persone potrebbe accedere anch’essa a queste procedure in quanto “ente non commerciale” (v. oltre).

L’Imprenditore minore (imprenditore “sotto soglia” non fallibile)

La categoria centrale per le procedure ex legge 3 è da sempre quella del piccolo imprenditore commerciale che, per dimensioni ridotte, non è assoggettabile a fallimento. Nel vecchio sistema si parlava di “imprenditore sotto soglia” o “piccolo imprenditore” ai sensi dell’art. 1, comma 2, legge fallimentare. Il Codice della Crisi ha ripreso questa nozione definendo all’art. 2, co.1 lett. d) l’“impresa minore” come quell’impresa che presenta congiuntamente i seguenti requisiti dimensionali nei tre esercizi antecedenti (o dall’inizio attività se meno di tre anni): attivo patrimoniale annuo ≤ €300.000, ricavi lordi annui ≤ €200.000, debiti totali ≤ €500.000. Se l’impresa rientra in tutti e tre i parametri, è considerata imprenditore minore e conseguentemente non assoggettabile alla liquidazione giudiziale (art. 49 CCII).

Rientrano qui sia le imprese individuali commerciali di piccole dimensioni (ad es. un artigiano o commerciante con volume d’affari limitato), sia le società commerciali di modesta entità che non superano le soglie (ad es. una S.r.l. con bilanci molto piccoli). Tradizionalmente anche l’imprenditore agricolo era escluso dal fallimento indipendentemente dalle dimensioni – e infatti il CCII lo cita separatamente; ne parliamo a parte nel prossimo paragrafo.

L’imprenditore minore sotto soglia può accedere a tutte le procedure di sovraindebitamento: in particolare al concordato minore (pensato proprio per i debitori diversi dal consumatore) e alla liquidazione controllata. Se l’imprenditore minore è una persona fisica, non qualificandosi come “consumatore” (poiché ha un’attività d’impresa), non può utilizzare il piano del consumatore ma deve usare il concordato minore per eventuali proposte di ristrutturazione. Se invece l’imprenditore minore è un soggetto collettivo (es. una società a responsabilità limitata molto piccola), potrà anch’essa accedere al concordato minore o liquidazione controllata: il CCII non esclude che enti collettivi non fallibili utilizzino queste procedure. Del resto, l’art. 2 lett. c) include “ogni altro debitore non assoggettabile a liquidazione giudiziale […] o ad altre procedure liquidatorie”, il che ricomprende anche società o enti non fallibili.

Esempi di imprenditori minori: un falegname con ditta individuale, 4 dipendenti e 400.000 € di debiti – se rientra nelle soglie (attivo e ricavi sotto 300/200k) – può proporre un concordato minore per evitare la chiusura e pagare i creditori parzialmente. Oppure una Srl familiare con 250.000 € di attivo e 450.000 € di debiti: pur essendo società di capitale, se non ha superato le soglie congiunte di cui sopra, non è soggetta a fallimento e potrebbe accedere a un concordato minore o liquidazione controllata come “impresa minore”.

Una peculiarità della disciplina post-riforma è la finalità di conservazione dell’attività: il concordato minore, in particolare, è pensato (quando possibile) per consentire al piccolo imprenditore di proseguire l’attività durante e dopo la procedura, assicurando ai creditori una soddisfazione migliore di quella che avrebbero dalla chiusura dell’azienda. Non c’è obbligo di continuare (è ammesso anche un concordato minore liquidatorio, ossia volto solo a liquidare i beni, se non vi sono prospettive di prosecuzione), ma la legge incoraggia la soluzione concordataria come alternativa preferibile alla liquidazione, specie se esistono possibilità di risanamento.

Anche per l’imprenditore minore valgono alcune restrizioni generali: ad esempio, non deve aver già fatto ricorso a queste procedure in modo reiterato e non deve aver commesso frodi ai danni dei creditori (nel qual caso verrebbe meno la buona fede necessaria all’omologazione). Tuttavia, non è richiesta la “meritevolezza” in senso morale come per il consumatore; piuttosto si guarda alla fattibilità e convenienza del piano per i creditori. Se il piano di concordato minore non offre ai creditori almeno quanto otterrebbero dalla liquidazione, non potrà essere omologato (principio del best interest test).

L’Imprenditore agricolo

Gli imprenditori agricoli (coltivatori diretti, aziende agricole, allevatori, cooperative agricole, ecc.) sono tradizionalmente esclusi dal fallimento per espressa previsione di legge sin dal 1942. Il CCII conferma tale esclusione (art. 1, co.2, lett. a, CCII) e li menziona esplicitamente come destinatari delle procedure di sovraindebitamento. Dunque l’imprenditore agricolo insolvente può accedere al concordato minore o alla liquidazione controllata del sovraindebitato.

Questa previsione colma una lacuna del passato: prima del 2012, l’agricoltore indebitato non falliva ma non aveva neppure strumenti concorsuali di esdebitazione, salvo gli accordi privatistici. Con la legge 3 prima e il CCII poi, anche il settore agricolo ha accesso alle procedure di composizione.

Esempio: un’azienda agricola familiare con debiti verso fornitori e banche può proporre un concordato minore, magari cedendo una parte dei terreni o dei raccolti futuri ai creditori, mantenendo però l’azienda in funzione. Oppure, se la situazione è irreversibile, può avviarsi una liquidazione controllata vendendo i beni agricoli sotto la supervisione del tribunale e poi liberando i debitori residui.

Una particolarità: l’imprenditore agricolo a volte gode di regimi speciali (si pensi alle crisi agricole dovute a calamità, per cui esistono fondi di solidarietà, ecc.), ma ciò non incide sulla possibilità di usare queste procedure. In sede di concordato minore, però, bisognerà considerare gli eventuali privilegi agrari (ad es. crediti assistiti da privilegio sui prodotti o sull’azienda agricola) e trattarli correttamente. Nella liquidazione, i beni agricoli seguiranno le regole generali di realizzo con possibile continuità dell’attività se funzionale.

Le Start-up innovative

Le start-up innovative (definite dal D.L. 179/2012, art. 25 e segg., conv. in L. 221/2012) costituiscono un caso particolare: la legge ne incentiva la costituzione e crescita e, per favorirne lo sviluppo, ha previsto che per i primi anni di vita non siano soggette alle ordinarie procedure concorsuali. In particolare, fino al 2021 era previsto che la start-up innovativa non potesse essere dichiarata fallita (né assoggettata a procedure analoghe) per i primi 5 anni dall’iscrizione nella sezione speciale del Registro Imprese. Questo regime “no bankruptcy” per le start-up innovative le rende, nei fatti, “debitori non fallibili” temporanei.

Il Codice della Crisi ha tenuto conto di ciò includendo esplicitamente le “start-up innovative di cui al decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, conv. con mod. in l. 221/2012” tra i soggetti del sovraindebitamento. Ciò significa che una start-up innovativa in difficoltà può accedere ad esempio a un concordato minore. In mancanza della possibilità di fallimento, questa strada consente di gestire la crisi in modo ordinato, con l’assistenza dell’OCC e l’omologazione del tribunale, evitando semplicemente la cancellazione pura e semplice con perdite per i creditori.

Va notato che, essendo la start-up di solito costituita in forma societaria (s.r.l. o s.p.a.), la procedura la coinvolge come soggetto collettivo. Nel concordato minore, ad esempio, la società start-up predisporrà un piano da sottoporre ai creditori (magari prevedendo l’ingresso di nuovi investitori, o la cessione di asset intangibili come brevetti, ecc. per pagare i debiti). Se il piano non è praticabile, si potrebbe ricorrere alla liquidazione controllata della start-up, liquidandone i beni residui. Al termine, essendo persona giuridica, la società verrebbe cancellata e i crediti insoddisfatti estinti (senza necessità di “esdebitazione” personale, che riguarda solo le persone fisiche).

Un limite temporale: decorso il quinquennio di “protezione”, la start-up innovativa diventa un’impresa ordinaria e quindi assoggettabile a liquidazione giudiziale se insolvente. In tal caso, se un fallimento/liquidazione giudiziale viene aperto, le procedure da sovraindebitamento non sono più percorribili. Se invece la crisi insorge e viene gestita entro i 5 anni (o se comunque non interviene una dichiarazione di insolvenza ordinaria), la start-up può utilizzare queste procedure.

Gli Enti non commerciali (associazioni, fondazioni, ONLUS, condomìni, ecc.)

Un’altra categoria di debitori esclusi dal fallimento sono gli enti non profit o comunque non esercenti attività d’impresa in forma prevalente. Ad esempio: associazioni culturali o sportive dilettantistiche, fondazioni, comitati, enti religiosi per attività non commerciali, condomìni (che non sono persone giuridiche ma possono essere debitori collettivi), ecc. Questi soggetti, se oberati dai debiti, non hanno accesso al fallimento. La legge 3/2012 prima, e il Codice poi, consentono anche a loro di accedere alle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento.

Si consideri un’associazione riconosciuta (dotata di personalità giuridica) che gestiva un’attività culturale e ha accumulato debiti con fornitori e banche: potrà presentare un concordato minore come qualsiasi altro debitore non fallibile, proponendo ad esempio ai creditori di pagare una percentuale con le risorse disponibili o mediante donazioni di sostenitori. Oppure, se non vi sono prospettive, l’associazione potrebbe essere posta in liquidazione controllata, liquidando i beni (es. una sede di proprietà, attrezzature) sotto il controllo del tribunale e poi venendo estinta, con liberazione dai debiti residui.

Lo stesso dicasi per un condominio indebitato (anche se qui la giurisprudenza dibatte se il condominio, ente di gestione privo di personalità, possa essere soggetto attivo – tendenzialmente no, si agisce piuttosto sui singoli condomini). Invece un “comitato” (ente non riconosciuto di natura associativa) potrebbe accedere, così come una fondazione non commerciale (es. fondazione benefica in dissesto).

In generale, qualunque soggetto collettivo non imprenditore commerciale rientra nella formula residuale di “ogni altro debitore non assoggettabile a liquidazione giudiziale”. L’assenza di scopo di lucro o la natura non commerciale non sono ostacoli: la ratio è che se hai debiti e non puoi fallire, puoi usare la legge 3/CCI.

Dal punto di vista procedurale, trattandosi spesso di entità collettive, sarà il legale rappresentante dell’ente a proporre la domanda (es. il presidente dell’associazione). La presenza di eventuali garanti o soci finanziatori dell’ente non commerciale potrà essere gestita attraverso accordi (un tema connesso: se un’associazione ha dei garanti persone fisiche, questi garanti potrebbero a loro volta accedere come debitori – si veda paragrafo successivo).

L’Imprenditore cessato (ex imprenditore individuale non più in attività)

Una figura che ha creato qualche incertezza interpretativa è quella dell’ex imprenditore individuale, cioè colui che ha esercitato un’attività d’impresa in passato, ma che ha cessato l’attività e si è cancellato dal Registro delle Imprese. Spesso capita che un piccolo imprenditore, di fronte alle difficoltà, chiuda l’attività (ditta individuale) sperando di lasciarsi i debiti alle spalle; tuttavia i debiti personali restano e potrebbero ancora essere oggetto di procedure concorsuali. In base alla normativa fallimentare (art. 10 l.fall. previgente, ripreso dall’art. 33 CCII), un imprenditore rimane assoggettabile a fallimento (oggi liquidazione giudiziale) fino ad 1 anno dopo la cessazione dell’attività, purché l’insolvenza si sia manifestata anteriormente o entro tale termine. Trascorso l’anno dalla cancellazione, non è più possibile iniziare una procedura fallimentare a suo carico.

Dunque l’ex imprenditore individuale, dopo un anno dalla cessazione, diviene a tutti gli effetti un debitore “non fallibile”. Questo significa che può accedere alle procedure di sovraindebitamento. Il CCII lo include implicitamente nella categoria di “ogni altro debitore non assoggettabile” e varie pronunce avevano già ritenuto ammissibili le sue domande. Un dubbio era sorto se potesse accedere subito dopo la cessazione, oppure solo decorso l’anno (nel timore di interferire con l’eventuale dichiarazione di liquidazione giudiziale). Alcuni Tribunali hanno adottato un approccio estensivo, ammettendo al concordato minore anche l’imprenditore cessato da meno di un anno, sul presupposto che se ancora nessuno ha chiesto il fallimento e la sua impresa era “minore” potrebbe comunque usufruire dello strumento. Ad esempio, il Tribunale di Napoli Nord (decr. 3 gennaio 2023) e il Tribunale di Ancona (decr. 11 gennaio 2023) hanno entrambi ritenuto che l’imprenditore individuale cessato possa proporre concordato minore, evidenziando che, pur avendo dismesso l’attività, resta un debitore non fallibile (se era sopra-soglia, comunque dopo la cancellazione non si apre d’ufficio il fallimento in mancanza di istanze). Tali pronunce – motivate con interpretazioni leggermente diverse – miravano a evitare un vuoto di tutela per l’ex imprenditore, permettendogli di definire i debiti residui con un accordo invece di attendere solo la liquidazione.

Di avviso più restrittivo è però la Corte di Cassazione, che si è pronunciata sulla questione con l’ordinanza Cass. 26 luglio 2023, n. 22699 (Prima Presidenza). La Cassazione ha richiamato la propria giurisprudenza formatasi sotto la legge fallimentare (es. Cass. 4329/2020 e Cass. 21286/2015) secondo cui un imprenditore che ha cessato l’attività non può accedere a procedure concorsuali concordatarie finalizzate al risanamento, poiché la cessazione implica che “non vi è più un’impresa da risanare” e la scelta di chiudere l’attività è incompatibile con l’uso di strumenti negoziali di ristrutturazione. Nel caso specifico, la Cassazione ha ritenuto che l’art. 33, comma 4, CCII (nella versione ante-correttivo) precludesse all’imprenditore cessato l’accesso al concordato minore liquidatorio, in continuità con i principi preesistenti. Ciò non significa però negargli tutela: il debitore in questione può comunque accedere alla liquidazione controllata, che è procedura liquidativa più coerente con l’assenza di attività da proseguire, ed ottenere così l’esdebitazione dei debiti residui. In altri termini, l’ex imprenditore può essere aiutato ma non attraverso un concordato (che presuppone un piano e magari un’attività da ristrutturare), bensì attraverso la liquidazione del patrimonio residuo.

Alla luce di questo orientamento, il Correttivo-ter 2024 è intervenuto modificando proprio l’art. 33, comma 4, CCII per chiarire la posizione degli imprenditori cessati. In base alla nuova formulazione, “l’imprenditore cessato può accedere alla liquidazione controllata anche oltre il termine annuale dalla cancellazione”. Si è quindi risolta l’incertezza: l’ex imprenditore ha sempre diritto alla procedura di liquidazione sotto il CCII, anche molti anni dopo la chiusura dell’attività, per chiudere definitivamente le pendenze. Implicitamente, viene confermato che il concordato minore resta invece non praticabile a seguito della cessazione (coerentemente con quanto espresso da Cassazione). Infatti, la norma specifica il rimedio della liquidazione ma non menziona la possibilità di concordato post-cessazione. D’ora in poi, dunque, un imprenditore che ha chiuso bottega risolverà i debiti con la liquidazione controllata (salvo casi eccezionali in cui vi sia immediata ripresa dell’attività, scenario diverso).

Un esempio concreto: Mario, artigiano falegname, ha chiuso la sua ditta individuale nel 2023 lasciando €200.000 di debiti. Nessuno ha chiesto il suo fallimento entro un anno. Nel 2025 Mario può rivolgersi all’OCC e presentare ricorso per liquidazione controllata dei suoi beni residui (es. un capannone), e dopo la liquidazione ottenere l’esdebitazione. Non potrebbe invece proporre un concordato minore, a meno che – ipotesi accademica – riattivi l’attività e ci siano motivi per ritenere ancora in essere un’impresa da riorganizzare.

I Soci di società e coobbligati (ex soci illimitatamente responsabili, fideiussori, membri della famiglia)

Un ulteriore profilo riguarda i soci di società di persone (S.n.c., S.a.s.) e più in generale i coobbligati personali di debiti che fanno capo a soggetti fallibili. Nella legge fallimentare vigeva il principio per cui, se una società di persone viene dichiarata fallita, anche i soci illimitatamente responsabili falliscono (fallimento in estensione). Ne derivava che tali soci non potevano accedere separatamente alle procedure di sovraindebitamento per i debiti sociali, essendo coinvolti nel fallimento. Se però la società di persone non veniva dichiarata fallita (ad es. perché sotto soglia, o perché nessuno ne ha richiesto il fallimento), i soci rimasti esposti con il loro patrimonio personale si trovavano in una sorta di limbo: debitori di debiti commerciali ma tecnicamente persone fisiche potenzialmente non fallibili.

La legge 3/2012, specie dopo le modifiche del 2020, ha aperto la porta anche a queste situazioni. Si parlava di “sovraindebitamento familiare e aperto ai soci” in dottrina. Oggi il CCII, all’art. 66, regola la procedura unitaria familiare (v. infra), prevedendo espressamente che possano aderirvi anche più debitori coobbligati. Inoltre, la definizione di consumatore come visto include il caso di socio di capitale che abbia prestato garanzie (purché i debiti siano personali). E il correttivo-ter 2024 ha espressamente menzionato i “soci di società di persone” come destinatari ora di maggiori tutele.

In pratica, le seguenti situazioni sono oggi gestibili:

  • Socio illimitatamente responsabile di società insolvente: se la società di persone (es. SNC) è fallibile e viene aperta una liquidazione giudiziale, il socio sarà trascinato in quella procedura, dunque non potrà (né gli serve) attivare una procedura ex legge 3 separata. Viceversa, se la società non è soggetta a fallimento (ad es. SNC sotto soglia) o comunque non è stata oggetto di istanza di fallimento, allora i debiti sociali ricadono per legge sui soci. Ciascun socio illimitatamente responsabile diventa un debitore “non fallibile” (perché persona fisica e per giunta la società non fallisce) e può accedere a sovraindebitamento. Il caso tipico: piccola SNC familiare con debiti, nessun fallimento attivato – i soci possono congiuntamente presentare un concordato minore familiare includendo i debiti sociali comuni. In tale procedura unitaria, si risolve sia la posizione della società sia quella dei soci in un colpo solo (si potrebbe anche presentare la domanda come procedura familiare includendo la società e i soci come coobbligati, ma generalmente si preferisce farla figurare in capo ai soci persone fisiche). La normativa aggiornata conferma la percorribilità di questa strada, avendo eliminato ostacoli interpretativi: per es., prima si discuteva se i soci illimitati fossero esclusi in quanto “imprenditori”; ora è chiaro che sono debitori non assoggettabili a liquidazione giudiziale (perché la società non lo è) e pertanto rientrano nei soggetti legittimati.
  • Socio di capitale garante di debiti sociali: si pensi a un socio di S.r.l. o S.p.A. che abbia prestato fideiussione per un mutuo sociale o abbia personalmente dei debiti collegati all’attività sociale. Se la società è insolvente e fallisce, quel socio rimane obbligato verso la banca come fideiussore (il creditore potrà escuterlo). Tale socio, essendo persona fisica estranea al fallimento (i soci di capitale non falliscono), può utilizzare le procedure di sovraindebitamento per gestire la propria esposizione. Attenzione: i suoi debiti derivano in parte da un’attività imprenditoriale (anche se altrui, comunque da lui garantita). La legge (art. 2 lett. e CCII) dice che è consumatore la persona che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale anche se è socio di società, ma aggiunge che solo i debiti non legati all’attività imprenditoriale rientrano nel piano del consumatore. Quindi il socio fideiussore non potrà mettere il debito da garanzia in un piano del consumatore; dovrà semmai ricorrere al concordato minore per trattare quel debito “professionale”. Ad esempio, Tizio è socio al 50% di Alfa Srl fallita, ed è garante per un finanziamento bancario di Alfa: Tizio come persona fisica ha quel debito verso la banca. Se ha anche debiti personali (carta di credito, ecc.), ha un mix di debiti. In base ai principi attuali, Tizio opterà per un concordato minore, trattando unitariamente sia il debito da garanzia sia gli altri, perché il concordato minore “è stato reso applicabile ai debiti misti”. In tal modo non deve separare le posizioni. La Cassazione 22699/2023 ha proprio confermato che in presenza di una debitoria promiscua (parte consumeristica e parte no) la procedura corretta non è il piano del consumatore ma il concordato minore. Il correttivo-ter ha tradotto questo principio in norma.
  • Coobbligati in genere e familiari: un caso frequente è quello di coniugi o parenti garanti l’uno dell’altro. Ad esempio marito e moglie che hanno firmato entrambi un mutuo o finanziamento. Entrambi sono debitori verso la banca; se la banca agisce, non essendo essi imprenditori, possono accedere a sovraindebitamento. Anziché presentare due procedure separate, possono (grazie alla riforma 2020) accedere a un’unica procedura familiare. Questa opzione è trattata nel prossimo paragrafo, ma anticipiamo che “più membri della stessa famiglia, conviventi o co-obbligati, possono presentare un unico procedimento di sovraindebitamento qualora abbiano debiti in comune o posizioni debitorie collegate”. Ciò vale anche se uno dei due, poniamo, ha la qualifica di imprenditore minore e l’altro è consumatore: in tal caso faranno insieme un concordato minore familiare (estendendo la qualifica del primo a tutti i partecipanti). Se invece entrambi sono consumatori, sarà un piano del consumatore familiare unitario.

Tabella riepilogativa – Soggetti ammessi e relative procedure:

Categoria di debitoreProcedure accessibiliNote (stato non fallibile e caratteristiche)
Consumatore (persona fisica non esercente attività d’impresa o professionale)– Ristrutturazione dei debiti del consumatore (piano del consumatore)– Liquidazione controllata (se necessario)Escluso da procedure concorsuali maggiori perché non imprenditore.Debiti ammissibili: solo quelli personali estranei ad attività d’impresa.Requisito soggettivo: meritevolezza (no frode o colpa grave nell’indebitarsi) ex art. 69 CCII.
Imprenditore “minore” (imprenditore commerciale sotto soglia di fallibilità)– Concordato minore (anche in continuità aziendale)– Liquidazione controllataSoglia non fallibilità: attivo ≤ €300k, ricavi ≤ €200k, debiti ≤ €500k (tre esercizi precedenti).Include ditte individuali e anche società commerciali piccole.Finalità preferenziale di continuazione dell’attività ove possibile.
Imprenditore agricolo– Concordato minore– Liquidazione controllataSempre escluso da fallimento (art. 1 l.f. e art. 1 CCII). Debitore non fallibile a prescindere da dimensioni.Esempi: azienda agricola, coltivatore diretto.
Libero professionista (lavoratore autonomo)– Concordato minore– Liquidazione controllataNon imprenditore, quindi non fallibile.Esempi: avvocato, medico, artista indebitato.Debiti anche di natura professionale (onorari, fiscali) trattabili nel concordato minore.
Start-up innovativa (società)– Concordato minore– Liquidazione controllataStart-up ex D.L. 179/2012 art. 25, nei primi 5 anni non soggetta a fallimento.Debitore non fallibile temporaneamente, ammesso a procedure ex legge 3.Trascorsi 5 anni diventa ordinario (fallibile).
Ente non commerciale (associazione, fondazione, ecc.)– Concordato minore– Liquidazione controllataNon imprenditore commerciale, dunque non fallibile.Esempi: associazione culturale indebitata, fondazione, ONLUS.Può accedere tramite i rappresentanti legali.
Imprenditore cessato (ex imprenditore individuale)– Liquidazione controllata (sempre ammessa)(– Concordato minore: di regola NO dopo cessazione)Dopo 1 anno dalla cancellazione non è fallibile, dunque ammesso ex art. 33 co.4 CCII.Concordato minore precluso se attività cessata (orientamento Cass. 22699/2023).Possibile soluzione: liquidazione controllata anche oltre l’anno.
Soci illimitatamente responsabili (di società di persone non fallita)– Concordato minore (anche con procedura familiare congiunta)– Liquidazione controllataSe la società non è assoggettabile o non viene dichiarata fallita, i soci restano debitori non fallibili.Possono agire insieme in procedura unica se debiti comuni.Se società fallisce, soci coinvolti nel fallimento (niente legge 3 separata).
Coobbligati e garanti (persone fisiche)– Concordato minore (se debiti di natura mista)– Piano del consumatore (se debiti tutti personali)– Liquidazione controllataGaranti di debiti altrui: se obbligazione originata da contesto imprenditoriale (es. fideiussione socio per debito societario), debito non consumeristico → procedura da non consumatore.Possibile procedura familiare se coobbligati familiari.

Nota: La tabella sopra riassume i principali soggetti ammessi. Tutti costoro, in quanto sovraindebitati, possono accedere alle procedure di composizione previa verifica dello stato di crisi/insolvenza e in assenza di cause ostative specifiche (ad es. procedure già utilizzate di recente, frodi, etc., come già illustrato).

Di seguito, dopo aver descritto i singoli soggetti, esamineremo nel dettaglio quali procedure essi possono utilizzare e con quali modalità.

Le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento

Le procedure previste dall’ordinamento per risolvere il sovraindebitamento – attualmente disciplinate dal Codice della Crisi (D.Lgs. 14/2019 e s.m.) – sono essenzialmente tre, come già anticipato:

  1. La ristrutturazione dei debiti del consumatore – una procedura negoziale-giudiziale riservata esclusivamente ai debitori consumatori, consistente in un piano di pagamento dei debiti sotto il controllo e con l’omologazione del Tribunale, senza necessità di voto da parte dei creditori.
  2. Il concordato minore – una procedura simile, destinata però ai debitori non consumatori (imprenditori minori, professionisti, enti non fallibili, ecc.), basata su una proposta di accordo ai creditori che deve essere accettata a maggioranza e omologata dal Tribunale. È l’equivalente dell’ex “accordo di composizione” della legge 3/2012, con alcuni adattamenti.
  3. La liquidazione controllata del sovraindebitato – una procedura concorsuale liquidatoria in cui il patrimonio del debitore viene gestito e liquidato da un liquidatore nominato dal Tribunale (analoga alla vecchia “liquidazione del patrimonio”), al termine della quale il debitore persona fisica può ottenere la liberazione dai debiti residui (esdebitazione).

A queste si aggiungono due istituti speciali introdotti di recente: la procedura familiare (che in realtà è una variante delle prime due, applicata congiuntamente a più soggetti legati in famiglia o coobbligati) e l’esdebitazione del debitore incapiente (un provvedimento di cancellazione dei debiti per chi non ha assolutamente risorse né redditi, senza una vera procedura concorsuale, previsto dall’art. 283 CCII). Approfondiremo anch’essi più avanti.

Analizziamo ora singolarmente le tre procedure principali, evidenziandone le condizioni di accesso, il funzionamento e le differenze.

Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (ex piano del consumatore)

Il piano del consumatore è la procedura dedicata esclusivamente al debitore civile (persona fisica non fallibile) che abbia debiti di natura principalmente personale/consumeristica. Si tratta di una ristrutturazione unilaterale controllata: il consumatore propone un piano di pagamento parziale o dilazionato dei propri debiti, sulla base delle sue capacità economiche, e ne chiede l’omologazione al Tribunale. Non è richiesto il consenso dei creditori: questi vengono comunque informati e possono presentare opposizioni, ma la decisione finale spetta al giudice, che valuta la fattibilità e soprattutto la meritevolezza del debitore.

Chi può accedere: come visto, solo il consumatore in senso tecnico-legale. Ciò significa che se un soggetto ha anche solo in parte debiti da attività d’impresa o professionale, dovrà usare un’altra procedura. Il confine è netto (specie dopo il correttivo 2024): “solo i debiti non correlati a un’attività imprenditoriale rientrano nel piano del consumatore”. In caso di dubbi, la tendenza ora è: se c’è promiscuità, niente piano consumatore. Quindi accesso ristretto a chi ha debiti “da privato”. È ammessa però la procedura familiare di più consumatori insieme (es. marito e moglie consumatori con debiti comuni, v. oltre).

Condizioni: il consumatore deve essere in stato di “sovraindebitamento” (crisi o insolvenza) e, come già sottolineato, deve risultare meritevole, ossia non avere causato il proprio dissesto con dolo o colpa grave. In pratica, quando si deposita il ricorso, l’OCC asseveratore e poi il giudice verificheranno che, ad esempio, il debitore non abbia fatto spese voluttuarie eccessive sproporzionate al reddito, o contratto debiti in modo fraudolento (magari tacendo situazioni ai finanziatori), o dissipato il patrimonio a danno dei creditori. Piccole leggerezze o scelte finanziarie imprudenti possono essere tollerate, ma condotte gravemente imprudenti no. La legge attuale lo concentra in “colpa grave, malafede o frode” (art. 69 CCII). Se c’è, il piano non è ammissibile.

Inoltre, il consumatore non deve aver già beneficiato di un’esdebitazione da sovraindebitamento da meno di 5 anni, né aver fatto più di due procedure in totale (criterio anti-abuso).

Contenuto del piano: il piano può prevedere qualsiasi forma di ristrutturazione dei debiti, anche parziale, purché il debitore offra ai creditori tutte le utilità realisticamente ottenibili dalle sue risorse. Tipicamente, si tratta di proporre il pagamento di una percentuale dei debiti, in misura compatibile col reddito familiare del consumatore, magari vendendo qualche bene non essenziale o coinvolgendo terzi. Ad esempio, può proporre di pagare una certa somma mensile per un certo numero di anni, ripartita tra i creditori chirografari in percentuale ai rispettivi crediti, mentre ai creditori con garanzie (es. mutuo casa) può riservare un trattamento differenziato (continuare a pagare le rate se sostenibili, oppure vendere l’immobile e destinarne il ricavato al creditore ipotecario). Non è necessario pagare tutti integralmente – anzi, di norma il senso del piano è pagare parzialmente il debito – ma il piano deve assicurare ai creditori almeno quanto otterrebbero nella peggiore delle ipotesi alternative (cioè una liquidazione del patrimonio). Il cosiddetto “test di convenienza” viene valutato dal giudice: se, ad esempio, il patrimonio del debitore venduto darebbe 10.000 € ai creditori, il piano non può offrire di pagare solo 5.000 € dilazionati (perché conviene la liquidazione); dovrà offrire almeno quei 10.000 €, magari in forma rateale. Se invece il debitore non ha alcun patrimonio liquidabile ma solo un reddito modesto, può proporre di destinare una quota di reddito (ciò che eccede le esigenze di mantenimento dignitoso) ai creditori per un periodo ragionevole, anche se coprirà solo una piccola percentuale dei debiti – sarà comunque di più di quel che i creditori otterrebbero in mancanza di piano (zero, perché se il debitore non ha beni non potrebbero soddisfarsi affatto).

Procedura: il consumatore deposita il ricorso con l’aiuto di un OCC, indicando il piano, l’elenco di tutti i debiti e creditori, l’inventario dei beni e redditi, le cause dell’indebitamento, e allegando la relazione dell’OCC che attesta la veridicità dei dati e valuta fattibilità e meritevolezza. Il Tribunale, verificati i requisiti iniziali, fissa un’udienza e ordina eventuali comunicazioni ai creditori. Non si forma un vero e proprio “voto”: i creditori possono semmai fare osservazioni o opposizioni (ad esempio, un creditore può contestare che il piano gli darebbe troppo poco, o eccepire che il debitore in realtà ha agito con mala fede). All’udienza, il giudice valuta il tutto e, se ritiene il piano sostenibile e il debitore meritevole, emette decreto di omologazione del piano. Da quel momento, il piano omologato è vincolante per tutti i creditori anteriori, anche dissenzienti o non partecipanti, e ne sospende/preclude azioni esecutive individuali. Il debitore quindi esegue il piano come stabilito (pagamenti, vendite di beni, ecc.). Durante la procedura, il giudice può concedere misure protettive (stay delle azioni) per evitare pignoramenti o altre iniziative dei creditori che pregiudicherebbero il piano.

Esdebitazione finale: se il debitore rispetta e porta a termine il piano omologato, egli otterrà la cancellazione di tutti i debiti residui rimasti insoddisfatti (art. 70 CCII). L’esdebitazione diventa effettiva su ricorso del debitore una volta eseguite le obbligazioni del piano, ed è dichiarata dal Tribunale. In pratica, il piano del consumatore consente al debitore di pagare ciò che realisticamente può (anche fosse, poniamo, il 20% del debito in 4 anni) e di liberarsi del restante 80% con la forza di legge. Questo è il cuore “fresh start” della procedura.

Se invece il piano non viene adempiuto (ad es. il debitore non riesce a pagare le rate promesse), il Tribunale può disporre la risoluzione del piano e – su istanza dei creditori – aprire una liquidazione controllata di tutti i beni per soddisfarli con ciò che c’è. Il debitore potrebbe comunque poi chiedere l’esdebitazione nella liquidazione, ma sarà un percorso più lungo e con eventuali penalizzazioni (ad es. sarà valutato se l’inadempimento sia dipeso da dolo o colpa grave del debitore, nel qual caso l’esdebitazione potrebbe essere negata).

Vantaggi del piano del consumatore: è uno strumento flessibile e calibrato sulla situazione familiare del debitore. Non richiede maggioranze, quindi è ideale quando i creditori (banche, finanziarie, Fisco) non siano disponibili spontaneamente a concordare riduzioni del credito. Il giudice svolge un ruolo di garanzia sia per il debitore (protegge dal caos delle pretese individuali e dall’intransigenza di qualche creditore) sia per i creditori (verifica che il piano offra il massimo possibile e che il debitore non nasconda asset). Per il consumatore onesto ma sfortunato rappresenta la possibilità di evitare il “perpetuo indebitamento” e ripartire.

Limiti: essendo unilaterale, se il giudice non è convinto della sincerità del debitore o della sostenibilità del piano, l’omologazione sarà rifiutata. Inoltre, il debitore rimane vincolato strettamente a quanto promesso: deve quindi costruire un piano realistico e prudente, per evitare risoluzioni. Da notare che, con le novità normative, anche i crediti fiscali e contributivi possono essere inclusi nel piano e ridotti senza l’accordo dell’ente (il cosiddetto cram down fiscale, possibile se il trattamento proposto non è inferiore a quello degli altri chirografari e se il diniego dell’Erario appare irragionevole). Ciò supera un vecchio ostacolo (un tempo, ad esempio, IVA e ritenute non potevano essere falcidiate nel piano; ora si possono ridurre, salvo una verifica più rigorosa dei presupposti, specie dopo il correttivo-ter che ha introdotto criteri stringenti per l’omologazione forzata in mancanza di adesione di Fisco/enti previdenziali).

Concordato minore (ex accordo di composizione della crisi)

Il concordato minore è la procedura di composizione rivolta ai debitori sovraindebitati diversi dal consumatore. Ha natura simil-concorsuale: è un accordo proposto dal debitore e sottoposto al voto dei creditori, che vincola tutti se approvato e omologato dal Tribunale. In sostanza, ricalca il vecchio accordo di composizione della legge 3/2012, ma con alcune differenze procedurali e terminologiche. Si chiama “concordato” proprio a evidenziare l’analogia con il concordato preventivo delle imprese maggiori (pur essendo, in questo caso, minore per dimensioni e semplificato).

Chi può accedere: tutti i debitori non fallibili non consumatori, quindi professionisti, imprenditori minori, imprenditori agricoli, start-up, enti non profit, ecc., come dettagliato nella sezione precedente. In sintesi, “possono accedere i debitori sovraindebitati non fallibili: piccoli imprenditori sotto soglia (ditte individuali, società minori), imprenditori agricoli, professionisti, start-up innovative, enti non commerciali indebitati”. È escluso il consumatore (che ha il suo piano dedicato), salvo il caso particolare della procedura familiare mista di cui diremo (dove un consumatore può partecipare al concordato minore familiare se unito ad un familiare imprenditore).

Sono ammessi al concordato minore anche i soggetti che in passato svolgevano attività d’impresa ma l’hanno cessata, purché attualmente non siano assoggettabili a liquidazione giudiziale. Su questo, come visto, c’è stata discussione giurisprudenziale: Tribunali come Napoli Nord e Ancona (2023) hanno ammesso l’imprenditore individuale cessato al concordato minore, mentre la Cassazione 22699/2023 ha ritenuto non utilizzabile il concordato per un ex imprenditore ormai privo di azienda, indicando la via della liquidazione. Il Correttivo 2024 ha di fatto confermato il divieto per il concordato post-cessazione, puntando tutto sulla liquidazione controllata per gli ex imprenditori. Quindi oggi, chiusa l’attività, se l’obiettivo è solo liberarsi dei debiti residui, si dovrà di norma andare in liquidazione controllata (salvo ipotesi particolari di accordi con creditori già raggiunti informalmente).

Requisiti soggettivi e oggettivi: il debitore dev’essere in stato di crisi o insolvenza (non basta uno “squilibrio” reversibile, serve un’incapacità conclamata o probabile di pagare i debiti). Non deve essere soggetto a liquidazione giudiziale né ad altre procedure concorsuali (ovviamente, perché altrimenti non sarebbe “minore”). Non deve aver commesso atti in frode ai creditori (es. distrazione di beni) – ciò, se scoperto, porterebbe all’inammissibilità o revoca dell’omologa. E anche qui valgono le cause ostative generali: niente accesso se già esdebitato in tempi recenti (5 anni) o troppe volte (max 2 volte vita). A differenza del piano consumatore, non c’è un filtro sulla “meritevolezza” generale: un imprenditore può essere anche responsabile di scelte imprudenti, ciò non lo esclude di per sé dal concordato (saranno i creditori semmai, col voto, a valutare se “merita” fiducia). Tuttavia, atti di frode o mala fede sostanziale restano ostativi perché violano i principi generali (esempio: aver occultato asset o falsificato documenti può portare a rigetto per mancanza di buona fede).

Contenuto della proposta di concordato minore: molto libero. L’art. 74 CCII afferma che la proposta “prevede il soddisfacimento, anche parziale, dei crediti, attraverso qualsiasi forma”, anche mediante cessione di beni, future utilità, garanzie, ecc.. Può quindi consistere in un piano di rientro dilazionato utilizzando i redditi futuri dell’impresa/professione (concordato in continuità), oppure nella liquidazione di alcuni o tutti i beni del debitore con distribuzione del ricavato (concordato liquidatorio), o in forme miste. È possibile coinvolgere un terzo che apporti finanza esterna (denaro nuovo da amici, parenti, investitori) per aumentare le somme destinate ai creditori: questo spesso migliora le chance di approvazione, poiché incrementa il dividendo senza ridurre il patrimonio del debitore (tali apporti possono essere destinati anche preferenzialmente a certi creditori, in quanto non facenti parte del patrimonio del debitore, se ciò non lede la parità di trattamento tra creditori della medesima classe). Ad esempio, “il Tribunale di Ancona, 29 luglio 2024, ha ammesso un concordato minore a scopo liquidatorio per un imprenditore cessato proprio perché c’era un apporto di terzi che garantiva un soddisfacimento apprezzabile dei creditori, altrimenti impossibile con i soli beni del debitore”. Senza quell’apporto, sarebbe stata inevitabile la liquidazione controllata.

La proposta può discriminare tra creditori tramite la formazione di classi separate, se vi sono posizioni giuridiche differenti (es. separare i creditori chirografari dalle banche con garanzie non completamente coperte, o separare i crediti fiscali, ecc.). La classificazione non è obbligatoria, ma opzionale per gestire meglio il voto e prevedere trattamenti differenziati di categorie di crediti omogenei.

Importantissimo: nella proposta occorre rispettare il trattamento dei crediti privilegiati. Un creditore garantito (p.e. ipotecario) o privilegiato (p.e. Fisco per IVA) può essere parzialmente non pagato (falcidiato) solo a certe condizioni. In generale, il CCII (art. 74 e 79) stabilisce che i privilegiati possono essere degradati a chirografo per la parte non coperta dal valore del bene su cui insiste la garanzia (come nel concordato preventivo), e che per l’approvazione serve che chi subisce una falcidia partecipi al voto come chirografario per la parte falcidiata. In pratica: se un creditore ha privilegio su un bene ma la proposta non lo paga integralmente, allora per la parte scoperta egli vota tra i chirografari. Se un privilegiato è pagato integralmente (anche se in forma dilazionata), non partecipa al voto perché la sua posizione non è alterata. Questo equilibrio serve a garantire che i privilegiati non vengano sacrificati senza consenso, salvo eccezioni per il fisco con cram-down.

Iter procedurale: il debitore (assistito dall’OCC) deposita un ricorso contenente la proposta, l’elenco dei creditori e l’eventuale piano, con la relazione dell’OCC che attesta fattibilità e assenza di atti in frode. Il Tribunale, verificati i requisiti minimi, ammette alla procedura e nomina un gestore (OCC) quale commissario. Si procede quindi a raccogliere il voto dei creditori sulla proposta. Il voto può essere effettuato in adunanza (un’udienza in cui i creditori votano di persona o per delega) oppure per via scritta / telematica entro un certo termine, secondo le modalità stabilite dal giudice.

La maggioranza richiesta è oggi la maggioranza semplice dei crediti ammessi al voto ( >50% in valore). Questa è una differenza rispetto alla legge 3/2012, che richiedeva il 60%. Il CCII ha abbassato la soglia al 50%+1 del valore dei crediti votanti, per facilitare l’approvazione. Se ci sono più classi, occorre la maggioranza in ogni classe o, in alternativa, un meccanismo simile a quello del concordato preventivo (maggioranza delle classi e certi quorum, ma nel minore la questione è meno complessa perché di solito le classi non sono obbligatorie). Importante: se vi sono creditori pubblici (Erario, enti previdenza) dissenzienti ma il resto dei creditori approva, il tribunale può ugualmente omologare imponendo il cram-down fiscale, purché la proposta verso il Fisco non sia inferiore al 10% (per IVA e ritenute) o al 5% (altri tributi) e vi sia la convenienza rispetto alla liquidazione (queste percentuali sono state elevate dal correttivo-ter per tutelare maggiormente l’Erario). Quindi la mancata adesione di Agenzia Entrate/Riscossione non blocca per forza il concordato, se il giudice ritiene soddisfatte le condizioni di legge.

Una volta raggiunta la maggioranza di voti favorevoli (verificata dal giudice relatore), il Tribunale fissa l’udienza di omologazione. In tale udienza, eventuali creditori contrari possono sollevare contestazioni (es. sostenere che il debitore abbia occultato qualcosa, o che il piano li tratti in modo non equo). Il giudice valuta: se la maggioranza c’è ed il piano rispetta la legge (parità di trattamento entro le classi, convenienza rispetto alla liquidazione per tutti i creditori, assenza di atti in frode), allora omologa il concordato minore, rendendolo vincolante per tutti i creditori anteriori. Da notare: se il voto non raggiunge la maggioranza richiesta, la procedura viene dichiarata inammissibile/chiusa e tipicamente si apre la strada alla liquidazione controllata (anche d’ufficio, il giudice contestualmente può aprire la liquidazione se il debitore lo ha chiesto in subordine o se un creditore la sollecita).

Effetti del concordato minore omologato: i creditori sono vincolati ai termini dell’accordo. Le azioni individuali esecutive o cautelari sono vietate (salvo eccezioni autorizzate per crediti estranei). Il debitore deve attenersi al piano e l’OCC/commissario vigila sull’esecuzione. Se il concordato prevede la continuazione dell’attività, il debitore rimane in possesso dei beni (con obbligo di informare e relazionare periodicamente l’OCC e il giudice). Se prevede la liquidazione di beni, può essere il debitore a effettuare le vendite sotto supervisione, oppure nominare liquidatori specifici. In generale, la procedura è meno “invasiva” di un fallimento: il debitore non perde automaticamente l’amministrazione se non nei limiti previsti dal piano stesso.

Inadempimento e conversione: se il debitore non adempie al concordato omologato, ciascun creditore può chiederne la risoluzione al Tribunale. Con la risoluzione, il concordato cessa e il Tribunale può aprire la liquidazione controllata (salvo che ritenga, magari, opportuno dare un termine per sanare l’inadempimento se lieve). La risoluzione non travolge gli atti già compiuti durante il concordato verso terzi in buona fede.

Esdebitazione: una volta eseguito integralmente il concordato minore (o anche solo la parte prevista a carico del debitore, se ad esempio c’era una percentuale e l’ha pagata tutta), il debitore ha diritto all’esdebitazione dei crediti residui non soddisfatti. Ciò funziona in modo analogo al piano del consumatore: il debitore chiede al giudice di essere liberato da ogni debito residuo antecedente non pagato nel concordato, e il giudice gliela concede, salvo revocarla se emergono poi frodi. In pratica, l’obiettivo finale – la discharge – viene conseguito anche qui, a patto di aver rispettato l’accordo. Se invece il concordato fallisce e si va in liquidazione, l’esdebitazione potrà arrivare tramite quella, con le regole proprie (vedi oltre).

Durata e flessibilità: il concordato minore non ha una durata fissa predeterminata dalla legge. Può essere relativamente breve (es. liquidatorio in cui si vendono subito beni e si paga in un anno) oppure lungo (es. in continuità l’imprenditore propone di pagare i creditori in 5 anni di attività futura). La prassi vede piani spesso tra i 3 e i 5 anni, ma possono essere ammessi piani più lunghi se ragionevoli. Il correttivo-ter ha esteso ad esempio la possibilità di prevedere moratorie fino a 2 anni per il pagamento dei creditori muniti di garanzia (similmente a quanto avviene nel concordato preventivo): ciò consente al debitore, ad esempio, di posticipare di 24 mesi l’inizio dei pagamenti ai creditori privilegiati, dedicando nel frattempo risorse a investimenti per rilanciare l’attività. È una novità che aumenta la flessibilità del concordato minore.

Concordato minore e finalità di continuazione dell’attività: la legge pone particolare enfasi sulla possibilità di utilizzare il concordato minore per evitare la cessazione delle attività economiche dei debitori minori. Come accennato, non è obbligatorio chiudere l’impresa: anzi, ove possibile, si incoraggia l’uso del concordato per riorganizzare e proseguire l’attività, liberando il debitore da parte dei debiti e permettendogli di restare sul mercato. In tal caso si parla di concordato in continuità aziendale. Ad esempio, un artigiano con laboratorio che ha avuto difficoltà può proporre ai creditori: “vi pago il 30% dei vostri crediti in 4 anni usando gli utili futuri dell’attività, anziché chiudere bottega dove prenderebbero forse 10% dai macchinari all’asta” – se i creditori comprendono la convenienza, approveranno e l’attività proseguirà. In altri casi, purtroppo, l’attività non è più sostenibile (es. l’imprenditore ha già cessato o il mercato non c’è più): allora il concordato minore può essere usato in forma liquidatoria, principalmente per vendere i beni in modo ordinato e con eventuali apporti esterni che migliorino il risultato per i creditori. Ad esempio, un ex commerciante che ha chiuso negozio ma possiede ancora un immobile: può proporre un concordato liquidatorio dove vende l’immobile e con l’aggiunta di un aiuto familiare paga i creditori al 40%, evitando magari le lungaggini di una liquidazione pura – la giurisprudenza ha confermato che “un imprenditore cessato può presentare un concordato minore liquidatorio dei debiti residui, specie con l’ausilio di finanza esterna, in alternativa alla liquidazione controllata”. Ma come visto, su questo punto delle imprese cessate c’è stato un ripensamento: formalmente possibile, ma a rischio di non omologa se l’orientamento rigido (niente concordato post-cessazione) si afferma. È un tema ancora in evoluzione; per ora, seguiremo la lettera della norma che appare scoraggiare il concordato dopo cessazione attività, salvo il caso di procedura familiare combinata.

Riassumendo in chiave comparativa, ecco una tabella sintetica dei punti chiave di piano del consumatore vs concordato minore vs liquidazione controllata:

CaratteristicaPiano del consumatore (solo consumatori)Concordato minore (debitori non consumatori)Liquidazione controllata (tutti i sovraindebitati)
Soggetti ammessiConsumatori (persone fisiche non imprenditori)Debitori non fallibili non consumatori (professionisti, imprenditori minori, ecc.)Qualsiasi debitore sovraindebitato non fallibile (inclusi consumatori, imprenditori minori, ecc.). Può essere richiesta anche dai creditori.
IniziativaRicorso del debitore (volontaria).Ricorso del debitore (volontaria).Ricorso del debitore o istanza di creditori/PM (anche involontaria).
Ruolo dei creditoriNessun voto: i creditori non approvano, possono solo fare osservazioni. Decisione rimessa al giudice (omologa).Voto richiesto: approvazione con >50% dei crediti votanti. Se approvato, segue omologazione giudiziale (possibile cram-down enti pubblici se requisiti).Nessun voto: i creditori partecipano al concorso presentando domande di ammissione al passivo, ma non approvano nulla.
Autorità coinvolteTribunale (o Giudice delegato) omologa il piano.OCC svolge funzione di ausilio e attestazione, può diventare liquidatore per taluni atti.Tribunale ammette, nomina OCC/commissario, poi omologa dopo voto.OCC/commissario supervisiona e riferisce, e può assumere compiti esecutivi secondo il piano.Tribunale (o Giudice) apre la procedura, nomina un liquidatore giudiziale (spesso un professionista diverso dall’OCC) che gestisce attivo e passivo.Si forma il comitato dei creditori come organo di controllo (se necessario).
Gestione patrimonioIl debitore rimane nel possesso dei beni, salvo ciò che è previsto dal piano (es. vendita di un bene specifico). Di regola continua ad amministrare il proprio patrimonio sotto vigilanza OCC e Giudice.Possesso normalmente resta al debitore, salvo diverso previsto (es. conferire beni a trust per liquidarli). Se in continuità, debitore gestisce l’impresa durante il concordato; se liquidatorio, può nominarsi un liquidatore speciale ma su accordo.Il liquidatore nominato dal Tribunale prende il controllo dei beni del debitore (persino quelli futuri entro certo limite) e li liquida secondo le regole concorsuali. Il debitore perde l’amministrazione del patrimonio.
ObiettivoSoddisfare parzialmente i creditori compatibilmente con le esigenze di vita del debitore e della sua famiglia, evitando misure esecutive e liberando dal debito residuo. Mantiene se possibile beni essenziali (es. prima casa, se il piano lo consente continuando a pagare mutuo grazie alla nuova norma che permette di mantenerlo con attestazione OCC).Superare la crisi del debitore minore, consentendo ove possibile la prosecuzione dell’attività (concordato in continuità) oppure realizzando il patrimonio in modo più vantaggioso per i creditori rispetto alla liquidazione pura. Al termine, liberare il debitore dai debiti residui e preservare il valore economico (se attività prosegue).Liquidare tutto il patrimonio disponibile per soddisfare i creditori in modo paritario secondo le cause di prelazione. Chiudere la posizione debitoria del soggetto liberandolo dai debiti insoddisfatti (fresh start) dopo la procedura. In pratica è analoga ad un fallimento ma riservata a piccoli soggetti.
Durata tipicaVariabile: spesso piani di 4–5 anni; può essere inferiore se il debitore dispone di liquidità immediata (es. saldo e stralcio). Il decreto di omologa può prevedere monitoraggi periodici.Variabile: se in continuità può durare diversi anni (il piano stabilisce il periodo di attuazione, es. 5 anni). Se liquidatorio con vendite immediate può chiudersi anche entro 1–2 anni. Il tribunale può concedere fino a 120 giorni per passare a concordato da richiesta creditori di liquidazione.Tendenzialmente ~3 anni: la legge prevede che la liquidazione deve durare almeno 3 anni dall’apertura per poter captare eventuali sopravvenienze di reddito (stipendi, ecc.); dopo 3 anni il debitore persona fisica può chiedere l’esdebitazione ex art. 282 CCII. Se i beni si liquidano prima, la procedura può chiudersi, ma resta l’attenzione alle sopravvenienze rilevanti nei 4 anni successivi all’esdebitazione (oltre 10% debiti iniziali vanno segnalate).
Esdebitazione – al termine dell’esecuzione del piano omologato, il debitore è liberato dai debiti residui (art. 70 CCII). – una volta eseguito l’accordo concordatario, il debitore ottiene l’esdebitazione per i debiti concorsuali rimasti (art. 81 CCII). – il debitore persona fisica ottiene l’esdebitazione di diritto dopo 3 anni dall’apertura (se ha cooperato e non ci sono cause ostative gravi), senza attendere la chiusura formale (art. 282 CCII). Previsto inoltre l’esdebitazione “incapiente” immediata ex art. 283 CCII, per chi non ha nulla da liquidare (vedi infra).
Cessazione proceduraCon decreto di omologa ed esecuzione completa del piano; oppure con provvedimento di revoca/cessazione se sopravvengono cause (es. scoperta frode) o se il piano non viene attuato (risoluzione) e conseguente conversione in liquidazione su istanza creditori.Con omologa ed esecuzione del piano concordatario; oppure con decreto di improcedibilità se manca l’approvazione dei creditori; oppure con risoluzione se inadempiuto e possibile conversione in liquidazione.Con decreto di chiusura della liquidazione controllata, una volta completata la ripartizione dell’attivo. Tuttavia, l’esdebitazione del debitore arriva anche prima (dopo 3 anni), pur continuando eventuali operazioni residuali di chiusura masse.

(La tabella sopra confronta i tre strumenti principali in sintesi.)

Liquidazione controllata del sovraindebitato

La liquidazione controllata (artt. 268-277 CCII) è, in sostanza, la procedura liquidatoria concorsuale applicabile ai debitori sovraindebitati. Prende il posto della “liquidazione del patrimonio” della legge 3/2012, mantenendone l’impianto di base. Lo scopo è di raccogliere e liquidare tutto il patrimonio del debitore, distribuirne il ricavato ai creditori secondo l’ordine delle cause di prelazione, e poi liberare il debitore persona fisica dai debiti residui. In pratica è analoga ad un fallimento semplificato per questi soggetti: tanto che il CCII, nel definire l’impresa minore, afferma esplicitamente che l’unica procedura applicabile ad essa in caso di insolvenza è la liquidazione controllata.

Chi può accedere/iniziativa: qualsiasi debitore sovraindebitato non fallibile può far domanda di liquidazione controllata. Diversamente dalle altre procedure, qui anche i creditori possono prendere l’iniziativa: se un creditore vede che il debitore non paga e non è fallibile, può chiedere al tribunale di aprire la liquidazione controllata (così come avverrebbe con un’istanza di fallimento per un imprenditore fallibile). È possibile anche l’apertura d’ufficio, su segnalazione ad esempio nel caso di conversione di un concordato minore non riuscito. Dunque la liquidazione controllata è la procedura “coattiva” in cui può incorrere il sovraindebitato indipendentemente dalla sua volontà (anche se spesso è il debitore stesso a chiederla volontariamente, quando prende atto di non poter offrire un piano sostenibile).

Presupposti: lo stato di insolvenza (incapacità di pagare regolarmente i debiti). Non occorre alcuna meritevolezza particolare – infatti anche un debitore colpevole può finire in liquidazione (otterrà forse poi negata l’esdebitazione se le sue colpe sono gravi). L’importante è che sia effettivamente insolvente o gravemente sovraindebitato. La domanda (o istanza del creditore) dev’essere corredata dai documenti elencati (elenco creditori, inventario beni, redditi, ecc.), similmente alle altre procedure.

Procedura: il Tribunale, verificati i requisiti, dichiara l’apertura della liquidazione controllata con apposito decreto (equivalente alla sentenza dichiarativa di fallimento). Con tale decreto nomina un giudice delegato e un liquidatore (che svolge il ruolo analogo al curatore fallimentare) e fissa termini per le domande di insinuazione dei creditori. Da quel momento:

  • Il patrimonio del debitore (presentE e anche quello che sopravverrà entro un certo periodo) diviene oggetto della procedura. Il debitore perde l’amministrazione e disponibilità dei suoi beni: sarà il liquidatore a gestirli e liquidarli, sotto la supervisione del giudice (ed eventualmente di un comitato creditori se nominato, di solito nelle piccole procedure spesso non vi è comitato per semplicità).
  • Si producono effetti come il divieto di azioni esecutive individuali (i creditori non possono iniziare o proseguire pignoramenti, devono portare le loro pretese nella liquidazione) e lo scioglimento di eventuali pignoramenti in corso (che confluiscono nella procedura). Anche i termini di prescrizione restano sospesi. In pratica la liquidazione produce effetti erga omnes analoghi al fallimento, ma senza lo stigma del termine “fallito” – terminologia appunto abrogata dal CCII per queste procedure minori, in coerenza con l’abolizione della parola “fallimento” per le imprese maggiori.
  • Il liquidatore entro 10 giorni deve attivarsi per inventariare i beni, redigere l’elenco dei creditori d’intesa con il debitore, esaminare le domande di ammissione dei crediti (che i creditori devono inviare di norma entro 30 giorni dall’apertura). Si forma quindi lo stato passivo dei crediti ammessi, con eventuale udienza di verifica innanzi al giudice delegato, similmente a quanto avviene nel fallimento. I creditori vengono classificati in privilegiati, chirografari, ecc.
  • Si procede poi alla liquidazione dei beni: il liquidatore potrà vendere all’asta o a trattativa privata gli immobili, i beni mobili di valore, incassare crediti, ecc., tutto con autorizzazione del GD quando serve. Il debitore è tenuto a collaborare, a fornire informazioni e documenti, a non ostacolare le operazioni (la mancata cooperazione può essere motivo di diniego dell’esdebitazione in seguito). Se il debitore è una persona fisica, deve anche mettere a disposizione le sue entrate future eccedenti il necessario per il mantenimento per i successivi 4 anni dall’apertura (prima erano 4 anni nella L.3, il correttivo-ter ha chiarito la questione dei beni sopravvenuti, armonizzando con l’art. 14-terdecies L.3/2012 come interpretato dalla Consulta sent. n. 6/2024: i redditi di lavoro maturati entro 3 anni vanno in liquidazione, per permettere la durata minima di 3 anni). Ciò significa che, ad esempio, parte dello stipendio del debitore (oltre una soglia di sussistenza) verrà decurtata periodicamente per confluire nell’attivo da distribuire ai creditori, per un periodo di 3 anni. Dopo 3 anni, queste trattenute terminano in quanto il debitore può ottenere l’esdebitazione (vedi sotto), ma attenzione: se entro 4 anni dall’esdebitazione il debitore riceve utilità rilevanti (un’eredità, una vincita, un reddito significativamente superiore al precedente), e tali utilità superano il 10% dell’ammontare dei debiti su cui era fondata l’esdebitazione, allora c’è un obbligo legale di segnalazione e i creditori potrebbero pretendere la ri-apertura per ripartire quella sopravvenienza. Questo meccanismo evita che un debitore fortunato poco dopo la liberazione sfugga ai creditori in caso di grossa entrata imprevista.
  • Ripartizione e chiusura: una volta liquidati i beni (o man mano che si liquidano) il liquidatore effettua dei piani di riparto delle somme ai creditori secondo l’ordine di prelazione: prima si pagano, se sufficienti i fondi, le spese della procedura e i creditori privilegiati nell’ordine delle cause; ciò che resta va ai chirografari in percentuale. Spesso, data la natura dei casi di sovraindebitamento, le percentuali finali ai chirografari possono essere modeste (anche 0% se il patrimonio basta appena a coprire i privilegiati e spese). Ma comunque tutti i creditori concorrono e ottengono pro-quota quanto ricavato. Terminata la liquidazione e distribuiti i fondi disponibili, il liquidatore presenta il conto finale e il piano di riparto finale. Il giudice approva e dichiara chiusa la procedura.
  • Esdebitazione: la vera “uscita” per il debitore persona fisica (imprese individuali o consumatori) è l’esdebitazione dai debiti residui non pagati nella liquidazione. Il CCII, novità rilevante, prevede che “decorso il termine di 3 anni dall’apertura della liquidazione controllata, il debitore persona fisica è esdebitato di diritto per i debiti residui” (art. 282). Quindi dopo 3 anni dall’inizio, il debitore onesto ottiene la cancellazione dei debiti automaticamente, senza dover attendere la fine formale della liquidazione. Questo è un grande miglioramento: in passato il debitore doveva aspettare la chiusura, che magari arrivava dopo 5-6 anni, ora invece già a 3 anni ottiene il beneficio, anche se qualche attività di liquidazione è ancora in corso (es. cause legali da finire, ecc.). L’esdebitazione può essere negata solo in casi specifici: se il debitore ha sottratto attivo fraudolentemente, o non ha cooperato, o ha violato obblighi informativi, o ha falsificato documenti, oppure se è stato condannato per bancarotta o reati finanziari (art. 280 CCII). Ma questi casi sono infrequenti per piccoli debitori. Per la maggior parte, il debitore avrà il fresh start trascorsi 3 anni. Inoltre c’è la già citata esdebitazione “a zero” (art. 283 CCII): se il debitore persona fisica non ha alcun patrimonio né capacità di offrire utilità ai creditori nemmeno in futuro, può chiedere subito al tribunale l’esdebitazione di tutti i suoi debiti senza passare per una liquidazione vera e propria. Questo istituto, introdotto nel 2020 e confermato, è riservato a situazioni di indigenza totale: occorre dimostrare di non possedere beni né redditi pignorabili, di non aver abusivamente depauperato il patrimonio e di non poter soddisfare i creditori in alcun modo. Il tribunale può accogliere e cancellare i debiti immediatamente, dandogli una seconda chance. C’è però una “condizionale”: se entro 4 anni dal decreto di esdebitazione incapiente il debitore ottiene utilità rilevanti (≥10% dei debiti originari), allora deve comunicarlo e i creditori possono chiedere la revoca parziale del beneficio per ricevere quel surplus. In pratica, se la fortuna bussa, una parte va ai vecchi creditori, fino a concorrenza di quanto avrebbero avuto in una liquidazione standard.

Quando conviene la liquidazione controllata: talvolta il debitore stesso la preferisce, specie se non ha molto da perdere (patrimonio esiguo) e vuole solo liberarsi dei debiti il prima possibile. Ad esempio, un consumatore indebitato che non possiede immobili né beni di valore e non ha reddito disponibile potrebbe optare direttamente per la liquidazione e poi ottenere l’esdebitazione dopo 3 anni, oppure addirittura chiedere l’esdebitazione incapiente immediata. Anche un imprenditore minore la sceglie se non vede prospettive di continuazione e i creditori non sarebbero comunque soddisfatti da un concordato.

Dal lato dei creditori, la liquidazione controllata è meno favorevole rispetto a un eventuale accordo solo se quell’accordo offriva loro più di quanto la liquidazione darebbe. Spesso però, se il patrimonio è limitato, la liquidazione è l’unico modo e conviene anche a loro evitare di attendere un piano incerto. Ecco perché, qualora il debitore proponga un concordato di scarsa convenienza, i creditori potrebbero votare contro e chiedere la liquidazione.

Procedura familiare e liquidazione: un cenno qui alla possibilità di fare una liquidazione controllata “familiare”: se più membri della stessa famiglia sono insolventi assieme, potrebbero richiedere congiuntamente una liquidazione unica dei patrimoni combinati. La legge 3/2012 già lo consentiva e il CCII (art. 66) pure. In tal caso il tribunale disporrà un’unica liquidazione, con un unico liquidatore, riguardante tutti i beni dei debitori familiari, e poi la ripartizione sarà fatta tenendo conto delle masse attive/passive eventualmente distinte o comuni. Questo capita se, ad esempio, marito e moglie hanno beni in comunione o debiti solidali: unendo le procedure si evita duplicazione di costi. Il tribunale di Venezia nel 2022, ad esempio, ha trattato liquidazioni familiari con benefici in termini di economia procedurale.

La procedura familiare (nucleo familiare sovraindebitato)

Novità di rilievo portata dalla L. 176/2020 e ora stabilizzata nel CCII, la procedura familiare (art. 66 CCII) consente a più membri della stessa famiglia, che versino tutti in condizione di sovraindebitamento, di presentare un’unica procedura congiunta. Il fine è di gestire unitariamente situazioni intrecciate (es. debiti comuni a coniugi, garanzie reciproche, ecc.) e di ridurre costi e contraddizioni potenziali di procedure separate.

Chi può accedere e quando: “i membri della stessa famiglia, conviventi o coobbligati, possono presentare un’unica procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento quando hanno debiti in comune o quando le rispettive posizioni debitorie sono comunque collegate da un vincolo determinato dalle relazioni familiari”. Questa formulazione comprende i familiari conviventi (ad es. marito, moglie e figli che vivono insieme) oppure anche familiari non conviventi ma coobbligati sugli stessi debiti (ad es. fratelli che abbiano garantito insieme qualcosa, o genitore e figlio co-firmatari di un mutuo). In sostanza, se c’è convenienza a trattare insieme i loro casi, lo possono fare. La famiglia in questione non è definita in dettaglio nella legge, ma si intende in senso ampio: coniuge, parti dell’unione civile, conviventi di fatto, parenti fino al 4° grado e affini fino al 2° grado conviventi (questa era la definizione inserita nella L.3/2012 art. 7, co.1-bis, richiamata per analogia).

Procedura unitaria: i familiari depositano un ricorso congiunto. Verrà nominato un unico OCC/gestore. Si presenterà un unico piano/proposta che copre tutti i debiti del nucleo. In sede di omologazione o voto, si considera la massa unificata (salvo forse distinguere classi di creditori riferite ai singoli se necessario). Ad esempio, marito e moglie con debiti cointestati e anche debiti individuali: faranno un solo piano dove mettono a disposizione le entrate di entrambi e prevedono come soddisfare i creditori comuni e quelli particolari. Questo evita duplicazioni e consente una visione d’insieme.

Quale procedura applicare: dipende dalla natura dei membri. La regola è: se tutti i membri sono consumatori, l’intera procedura sarà un piano del consumatore familiare (un solo procedimento in cui si sommano le situazioni, senza voto). Se invece anche uno solo dei membri non è consumatore (es. il padre è un piccolo imprenditore, la madre è casalinga consumatrice), allora l’intera famiglia accederà tramite il concordato minore. In tal caso, la presenza dell’imprenditore “estende la qualifica soggettiva a tutti i partecipanti”, permettendo di includere anche i debiti consumeristici dei familiari all’interno della proposta di concordato minore familiare. Per capirci: marito ex artigiano e moglie dipendente presentano un concordato minore congiunto; i debiti personali della moglie (consumatrice) vengono inclusi e trattati in quel concordato e lei ne sarà liberata anche se di per sé non avrebbe potuto fare un concordato, ma poiché è procedura familiare con il marito imprenditore ciò è consentito. Viceversa, se tutti fossero consumatori, non si può scegliere il concordato, andrà come piano consumer familiare.

La giurisprudenza ha applicato questo principio ad esempio in caso di famiglia con debiti misti: Tribunale di Bergamo, sent. 20 luglio 2024, ha omologato un piano familiare del consumatore includendo moglie consumatrice e marito ex imprenditore solo perché quell’imprenditore era ormai esente da fallimento da oltre un anno e privo di debiti d’impresa attuali, quindi è stato considerato “consumatore di fatto” (caso borderline). Ma più frequentemente, se il marito avesse ancora debiti d’impresa attivi, avrebbero dovuto fare concordato minore familiare.

Benefici pratici: 1) Riduzione dei costi: un OCC unico, un’unica procedura in tribunale, quindi meno compensi e spese. 2) Coerenza delle soluzioni: evitando che, ad es., in due procedure diverse uno preveda di vendere la casa e l’altro di tenerla. In procedura unica, la casa di famiglia viene gestita una volta sola. 3) Gestione dei debiti comuni: un debito cointestato ai coniugi viene affrontato una volta sola con un’unica percentuale di pagamento, invece che rischiare disparità (nella legge 3/2012 prima della modifica 2020 capitava che marito e moglie facessero due piani separati offrendo percentuali diverse allo stesso creditore in modo scoordinato).

Esempio: marito e moglie conviventi, entrambi consumatori, debiti totali €100.000 (di cui €70.000 mutuo cointestato casa e €30.000 tra carte di credito personali). Reddito familiare €2.000/mese. Invece di due piani separati, fanno un piano familiare in cui mettono a disposizione, ad esempio, €600 al mese per 5 anni (il loro surplus al netto del necessario per mantenere 2 figli). Il piano unico da €36.000 complessivi ripartirà i pagamenti in quota ai creditori (sia mutuo che finanziarie) e alla fine libererà entrambi dai residui. La casa magari la tengono continuando a pagare il mutuo se sostenibile; l’OCC attesta che riescono a pagarne le rate correnti e il giudice può autorizzare che il mutuo ipotecario sulla prima casa prosegua regolarmente durante e dopo il piano. La presenza di questa norma (introdotta dal correttivo-ter) consente di proteggere l’abitazione principale: prima c’era timore che il piano comportasse la decadenza dal beneficio del termine sul mutuo, ora è chiarito che possono continuare a pagarlo con l’attestazione OCC senza incorrere in pretese di risoluzione da parte della banca. Ciò chiaramente è un vantaggio enorme per le famiglie indebitate, evitando che perdano la casa se sono in grado di sostenere la rata regolarmente.

Procedura familiare in liquidazione: è possibile anche che la famiglia decida per la liquidazione congiunta (es. famiglia proprietaria di un immobile in comproprietà, decidono di liquidare tutto). L’art. 66 CCII non lo impedisce. In tal caso il tribunale nominerà un unico liquidatore per tutte le masse, probabilmente predisponendo un piano di riparto che distingue le quote di ciascuno. Una pronuncia (Tribunale di Como, 2022) ha evidenziato la necessità di chiarire bene le masse attive e passive dei singoli anche in procedura familiare, per poi applicare correttamente le prelazioni (es. se un bene è cointestato al 50%, solo metà ricavato va ai creditori di ciascuno, salvo i debiti comuni dove il ricavato può andare congiuntamente).

In sintesi, la procedura familiare è uno strumento prezioso per affrontare il sovraindebitamento quando coinvolge l’intero nucleo familiare. Evita duplicazioni, riduce conflitti (es. se due coniugi entrambi indebitati presentano procedure separate e uno si vede respingere il piano per colpa dell’altro, ecc.). Le statistiche recenti mostrano un aumento delle domande familiari, segno che molte famiglie italiane sovraindebitate trovano in questa soluzione un’ancora di salvezza unitamente.

Domande frequenti (FAQ)

Di seguito rispondiamo ad alcune domande comuni in materia di accesso alle procedure ex legge 3/2012, per chiarire i dubbi più ricorrenti:

  • D: Ho molti debiti personali (carte di credito, prestiti) ma anche una vecchia partita IVA con debiti verso fornitori: posso fare il piano del consumatore o no?
    R: No, in presenza di debiti professionali o d’impresa la legge non consente il piano del consumatore puro. Se la maggior parte dei debiti deriva dalla sfera personale e quelli di impresa sono marginali, alcuni giudici in passato hanno chiuso un occhio, ma ad oggi la regola è o consumatore o non consumatore. Meglio optare per un concordato minore, includendo tutti i debiti (personali e d’impresa) in un’unica procedura. Il concordato minore, infatti, è stato pensato proprio per gestire i debiti misti e evitare di dover escludere qualcuno – il giudice vigilerà che non vi siano abusi (es. non “mascherare” da consumeristico ciò che non lo è).
  • D: Sono un ex imprenditore commerciale. Ho chiuso l’attività un anno fa, ma ho ancora debiti di fornitori e banche. Posso accedere al concordato minore?
    R: Dipende. In linea teorica, finché non sei più assoggettabile a fallimento (dopo l’anno dalla cancellazione) sei un debitore non fallibile e quindi legittimato. Alcuni tribunali hanno ammesso concordati minori di imprenditori cessati. Tuttavia la Cassazione e il legislatore (Correttivo-ter) suggeriscono che dopo la cessazione l’unica via appropriata sia la liquidazione controllata. In pratica: sì alla procedura di sovraindebitamento, ma il giudice potrebbe indirizzarti verso la liquidazione invece che un concordato, specie se l’attività è cessata senza prospettive di ripresa. Per sicurezza, spesso si deposita il ricorso di concordato minore in subordine istanza di liquidazione: così, se il giudice rifiuta il concordato, apre direttamente la liquidazione senza farti ripresentare tutto.
  • D: Ho già fatto una procedura di sovraindebitamento 3 anni fa e ottenuto l’esdebitazione. Purtroppo mi sono indebitato di nuovo, posso rifarla?
    R: La legge lo limita fortemente. Bisogna attendere almeno 5 anni da una precedente esdebitazione per poterne ottenere un’altra. Inoltre, non si può ottenere il beneficio più di due volte nella vita. Quindi se l’hai fatto 3 anni fa, devi aspettare almeno 2 anni ancora prima di ripresentare. E se l’hai già fatto due volte in passato, una terza non è concessa. Questo per evitare un uso seriale che danneggerebbe i creditori.
  • D: Ho debiti verso l’Erario (Agenzia Entrate e Riscossione) per tasse non pagate. Posso includerli nel piano o accordo? Posso prevedere di non pagarli integralmente?
    R: Sì, assolutamente puoi includerli. Dal 2021 in poi è possibile anche stralciare parzialmente i debiti fiscali nelle procedure di sovraindebitamento (compresa IVA e ritenute, che prima erano intoccabili). Tuttavia, ci sono cautele: nel piano del consumatore, il giudice omologa anche senza adesione del Fisco se il trattamento proposto non è deteriore rispetto agli altri chirografari (c.d. cram-down fiscale). Nel concordato minore, se il Fisco vota contro ma i creditori privati approvano la proposta, il giudice può ugualmente omologare se ritiene che la mancata adesione dell’Erario sia irragionevole e la proposta soddisfa certi requisiti minimi (il Correttivo-ter ha stabilito ad es. che l’Erario abbia almeno il 20% sul chirografo se dissente, o il 10% per IVA). Quindi puoi prevedere di pagare meno del 100% di tasse e cartelle, a patto di rispettare queste soglie e dimostrare che è il massimo possibile. Attenzione che nelle procedure minori (piano consumatore, concordato minore) non si applica la transazione fiscale ex art. 63 CCII – quella è prevista solo per concordati preventivi grandi – ma di fatto la procedura stessa funge da transazione globale.
  • D: Ho una casa di abitazione su cui grava un mutuo ipotecario. Mi conviene fare la procedura o rischio di perdere la casa?
    R: Dipende dalla sostenibilità del mutuo e dal tipo di procedura. Se fai un piano del consumatore o un concordato minore in continuità, puoi mantenere la casa purché tu riesca a continuare a pagare le rate del mutuo. La legge ora agevola ciò: il correttivo-ter ha espressamente previsto che, con l’attestazione positiva dell’OCC, il debitore in procedura possa continuare a pagare le rate del mutuo sulla prima casa e conservarla, evitando che la banca possa risolvere il mutuo per il solo fatto dell’apertura della procedura. Questo offre una protezione ulteriore dell’abitazione principale del debitore. In pratica, se la tua crisi riguarda altri debiti (carte, prestiti) ma riesci a sostenere la rata mutuo, nel piano potrai indicare che terrai la casa e pagherai regolarmente la banca (magari spostando le rate in coda se serve accordo, o giovandoti di eventuali moratorie fino a 2 anni con l’ok del giudice). Attenzione però: se la rata mutuo è essa stessa causa di insolvenza perché troppo alta e non riesci a pagarla, allora in procedura dovresti prevedere diversamente – ad esempio vendere la casa e soddisfare la banca col ricavato (magari evitandole aste ribassate). Nella liquidazione controllata, invece, la casa verrebbe di norma liquidata (venduta) dal liquidatore per pagare i creditori, a meno che sia di valore trascurabile o i creditori acconsentano a lasciarla. Dunque, se il tuo obiettivo principale è salvare la casa ed è fattibile pagare il mutuo, allora meglio un piano/accordo. Se invece sai già che la casa non potrai comunque tenerla, la liquidazione vende in modo ordinato e ti liberi del mutuo residuo con l’esdebitazione.
  • D: Quanto costa accedere a queste procedure? Devo pagare in anticipo l’OCC o il tribunale?
    R: Le procedure hanno dei costi, ma in parte sono dilazionati e proporzionati. Bisogna considerare: l’OCC ha diritto a un compenso determinato secondo tariffari ministeriali (variabile a seconda della complessità e dell’attivo) – spesso chiede un anticipo all’inizio (generalmente qualche centinaio di euro almeno) e poi il resto viene pagato nel corso della procedura con le somme destinate a procedure (nel piano del consumatore, ad es., il piano deve prevedere anche il pagamento del compenso OCC). In molti casi sono previste anche esenzioni o patrocini: chi è in condizioni di non poter pagare ha la possibilità di chiedere il gratuito patrocinio a spese dello Stato per l’assistenza legale (diversi tribunali hanno riconosciuto l’accesso al patrocinio per i ricorsi di sovraindebitamento) e talvolta gli OCC convenzionati applicano tariffe minime o rateizzazioni. Inoltre, non ci sono contributi unificati elevati: il contributo unificato per questi ricorsi è normalmente di poche decine di euro (salvo casi di conversione fallimentare). Quindi, l’esborso iniziale è contenuto (principalmente l’acconto all’OCC e marche da bollo). I costi finali (compensi OCC, eventuale liquidatore, spese procedura) vengono pagati con i fondi raccolti nella procedura stessa, in prededuzione rispetto ai crediti – in parole povere, una parte di ciò che versi nel piano o ricavi dalle vendite servirà a pagare questi costi prima di ripartire il resto ai creditori. Se la procedura non ha attivo sufficiente, alcuni compensi potrebbero anche essere ridotti.
  • D: Quanto tempo ci vuole per essere libero dai debiti con queste procedure?
    R: Non esiste un termine unico, dipende dal percorso scelto e dalla situazione. Indicativamente: con un piano del consumatore, se tutto fila liscio, l’omologazione arriva spesso in pochi mesi (4-6 mesi) e poi l’esecuzione del piano dura gli anni previsti (di solito 4-5 anni). Al termine ottieni l’esdebitazione. Quindi un orizzonte potrebbe essere 5 anni. Con un concordato minore, tempi simili: magari 6-8 mesi per la fase di voto e omologa, e poi altri 3-5 anni di esecuzione piano. Con la liquidazione controllata, la legge fissa in 3 anni la durata minima per l’esdebitazione: quindi in 3 anni dal decreto di apertura, il debitore onesto può già essere libero dei debiti (anche se la procedura di realizzo attivo magari continua un po’ di più finché non vendono tutti i beni, ma ciò non ti impedisce di ricominciare attività perché i debiti vecchi li hai scaricati). Dunque potremmo dire: circa 3-5 anni nella maggior parte dei casi dal momento in cui entri in procedura al momento in cui sei pulito. Va però evidenziato che già dall’omologazione o apertura della procedura, i creditori devono cessare le azioni esecutive: quindi fin da subito ottieni una protezione e un sollievo dalla pressione dei debiti, anche se l’esdebitazione formale arriverà a fine percorso.
  • D: Cosa succede se durante la procedura perdo il lavoro o comunque non riesco più a rispettare il piano?
    R: Se sei in un piano del consumatore o concordato minore in corso di esecuzione e ti capita un imprevisto grave (es. perdita lavoro, malattia) che ti impedisce temporaneamente di adempiere, è fondamentale avvisare subito l’OCC e il tribunale. La legge consente alcune modifiche o sospensioni: ad esempio, il debitore può chiedere una modifica delle condizioni del piano (nel concordato preventivo esiste la possibilità di modifiche in omologa, il CCII correttivo-ter ha introdotto anche per concordato minore uno schema di modifica post-omologa in casi eccezionali, simile all’art. 118-bis per i concordati preventivi). Se l’incidente è transitorio, il giudice può concedere di prorogare i termini di adempimento o rinegoziare le scadenze. Tuttavia, se diventa impossibile proseguire, il creditore o il commissario potrebbe chiedere la risoluzione della procedura per inadempimento. In tal caso, come detto, si rischia la conversione in liquidazione controllata: quindi perderesti i benefici concordatari ma potresti comunque puntare all’esdebitazione via liquidazione. In generale, dunque, se vedi che non riesci a stare dietro al piano, non aspettare di accumulare ritardi enormi: contatta l’OCC e valuta se proporre ai creditori una modifica (es. estensione della durata, intervento di un terzo, ecc.). La legge incoraggia la negoziazione diretta col creditore anche attraverso l’OCC: ad esempio, con le nuove norme, l’OCC può aiutarti a contattare i creditori per rinegoziare condizioni e trovare soluzioni alternative. Insomma, c’è flessibilità, ma la parola d’ordine è trasparenza e tempestività.
  • D: Se faccio una di queste procedure, finirò in qualche registro? Avrò difficoltà a ottenere crediti in futuro?
    R: Durante la procedura, i provvedimenti di apertura e di omologa sono pubblici (vengono annotati nel registro delle procedure di sovraindebitamento e, se sei imprenditore, anche nel Registro delle Imprese). Inoltre i dati possono essere accessibili nei sistemi delle banche (centrali rischi private potrebbero segnalare “procedura in corso”). Dopo l’esdebitazione, però, la tua posizione è riabilitata legalmente: la legge considera l’esdebitato come affidabile (tanto che, ad esempio, non rileva come pregiudizio penale l’aver avuto debiti, e se fallisce di nuovo in futuro i debiti esdebitati non risorgono). Tuttavia, a livello pratico, almeno per qualche anno potresti trovare prudenza dagli istituti di credito nel concederti nuovi finanziamenti. Non esiste un divieto formale di ottenere credito dopo l’esdebitazione – non c’è l’equivalente di un casellario per debitori – ma banche e finanziarie fanno controlli e se risultano dati (per esempio dalla Centrale Rischi o da segnalazioni pregresse) di una tua insolvenza passata, potrebbero richiedere garanzie aggiuntive o applicare prudenza. Col tempo, queste segnalazioni decadono. Non appena ricostruisci uno storico positivo (stipendio, pagamenti regolari delle utenze, ecc.), potrai riacquistare fiducia. Un aspetto importante: non potrai accedere a una nuova esdebitazione per 5 anni, ma puoi certamente contrarre nuovi debiti in futuro (si spera con più cautela). L’importante è che l’esdebitazione ti dà la possibilità di ripartire da zero: sta poi al debitore utilizzarla con responsabilità.
  • D: In concreto, quali sono le sentenze o i casi più importanti che hanno riguardato questi accessi?
    R: Ci sono state molte pronunce. Ne citiamo alcune: la Cassazione n. 1869/2016 fu una delle prime a chiarire che anche l’ex imprenditore fallito (dopo chiusura fallimento) poteva accedere a legge 3 per debiti personali rimasti; la Cass. 302/2019 ha ammesso l’imprenditore agricolo alla legge 3 confermando che non conta il volume d’affari; la Cass. 8463/2020 ha stabilito che nel piano del consumatore post-2020 il giudice deve verificare solo colpa grave e non più prospettiva d’adempimento (recependo la novella); la Cass. 24414/2021 ha affrontato il tema del fideiussore socio di società poi fallita, definendo la sua posizione non consumeristica; più di recente, la Cass. 26 luglio 2023, n. 22699 ha risposto a questioni poste dalla Corte d’Appello di Firenze sulla qualifica di ex imprenditore in concordato minore (affermando la continuità col principio per cui l’ex imprenditore non accede a concordato) e sui debiti promiscui (sposando l’idea che vadano trattati col concordato minore e non col piano). A livello di merito, ci sono decine di decisioni creative: Tribunale di Milano, 24 ottobre 2023 ha concesso l’omologa di un piano del consumatore con debiti in parte professionali ritenendo il debitore ormai consumatore al momento; Tribunale di Udine, 30 marzo 2023 ha omologato un concordato minore familiare con socio illimitatamente responsabile e consorte consumatrice insieme; Tribunale di Napoli Nord, 3 gennaio 2023 e Tribunale di Ancona, 11 gennaio 2023 (già citati) hanno innovato sul concordato per imprenditore cessato; Tribunale di Pistoia, 5 maggio 2022 ha negato l’omologa di un piano familiare ritenendo che uno dei coniugi non fosse meritevole, ecc. Ci sarebbe un lungo elenco: per chi è interessato, nella sezione conclusiva indichiamo alcuni riferimenti giurisprudenziali chiave.
  • D: Cos’è questa esdebitazione dell’incapiente? Chi può ottenerla e come?
    R: L’esdebitazione del debitore incapiente (art. 283 CCII) è una misura introdotta per i casi umanamente più critici: se una persona si trova senza beni e senza reddito, in una condizione tale da non poter offrire nulla ai creditori, può chiedere al tribunale di essere esdebitata subito, senza attivare una procedura concorsuale. In pratica, è un fresh start “gratuito” per chi è davvero nullatenente. Per ottenerla, devi: essere persona fisica, aver agito con meritevolezza (cioè non esserti indebitato con frode o colpa grave – requisito comunque richiesto), dimostrare di non poter dare nessuna utilità né adesso né prevedibilmente nei prossimi anni (nemmeno parziale). Devi allegare tutta la tua situazione patrimoniale, l’OCC o altro professionista attestano che davvero non c’è margine (nessun bene, stipendio minimo intoccabile, etc.). Se il giudice accoglie, cancella i tuoi debiti. Però come dicevamo, c’è una “condizionale” di 4 anni: se entro 4 anni ti arriva una fortuna insperata (eredità, vincita, aumento di reddito consistente), e questa fortuna vale almeno il 10% dei debiti che ti erano stati cancellati, dovrai pagarla (in tutto o parte) ai vecchi creditori. Questa forma di esdebitazione è pensata come extrema ratio: va usata solo quando la liquidazione controllata risulterebbe inutile (perché non c’è nulla da liquidare). Non a caso il legislatore l’ha definita un “istituto premiale” per il debitore onesto ma sfortunato. Un esempio: Tizio è disoccupato, vive in affitto, non ha beni né auto, percepisce solo reddito di cittadinanza, e ha 50.000 € di debiti con finanziarie. Qui una liquidazione non ricaverebbe nulla; Tizio può chiedere esdebitazione incapiente. Se però Tizio ha anche solo un’auto vendibile o un piccolo risparmio, il giudice di solito rigetta l’istanza di esdebitazione a zero e gli indica la via della liquidazione (per dare qualcosa ai creditori). Dalle prime applicazioni, sembra che i tribunali concedano questo beneficio con parsimonia, ma diversi casi positivi si registrano (Trib. Foggia 2021, Trib. Trapani 2022 hanno emesso decreti di esdebitazione totale per soggetti effettivamente nullatenenti).
  • D: Le procedure ex legge 3/2012 sono alternative al fallimento. Ma se un mio creditore prova a farmi fallire (liquidazione giudiziale) e io sono borderline sotto/ sopra soglia, posso oppormi dicendo che devo andare in sovraindebitamento?
    R: Questa è una situazione a cavallo. Se effettivamente non superi le soglie di fallibilità (o sei un professionista, o altro soggetto escluso), il tribunale non ti dichiarerà mai fallito: in quel caso il creditore ha sbagliato procedura e la richiesta di fallimento sarà respinta perché sei non soggetto. Tu potrai a quel punto attivare la procedura di sovraindebitamento giusta. Se invece il creditore prova che sfori le soglie e sei fallibile, allora il tribunale può aprire la liquidazione giudiziale. Tuttavia, c’è una finestra: prima che venga emessa la sentenza di apertura liquidazione giudiziale, tu puoi depositare istanza di composizione negoziata o procedure minori se sei comunque idoneo. Ma, attenzione, non esiste un diritto assoluto a preferire il sovraindebitamento al fallimento se le condizioni di fallibilità ci sono. In pratica: se sei un imprenditore sopra soglia in insolvenza, il tuo destino normale è la liquidazione giudiziale, non puoi “scegliere” la via della legge 3 perché non ne hai i requisiti soggettivi. Viceversa se sei sotto soglia, il creditore nemmeno può chiedere il fallimento. A volte capita dubbio su soglie: lì conteranno le prove fornite – se c’è incertezza e tu nel frattempo presenti domanda di concordato minore, il tribunale potrebbe sospendere per valutare. Ci sono pronunce (es. Trib. Mantova 2017) che in casi dubbi hanno preferito dare corso alla procedura di sovraindebitamento ritenendo il debitore “minore”, ma ogni situazione è a sé. Un consiglio pratico: se temi istanze di fallimento ma pensi di essere non fallibile, muoviti tu per primo e presenta il ricorso ex legge 3: bloccherai sul nascere eventuali iniziative, perché dal deposito il tribunale potrà soprassedere su richieste di fallimento in attesa dell’esito della tua procedura (c’è un principio di coordinamento, e comunque starai dimostrando che credi di non essere soggetto a fallimento).
  • D: Ho saputo che nel 2023-2024 sono cambiate diverse regole. Queste nuove norme si applicano anche alle procedure pendenti o solo a quelle nuove?
    R: Il D.Lgs. 136/2024 (Correttivo-ter) entrato in vigore il 28/09/2024 si applica in generale alle procedure introdotte successivamente. Alcune disposizioni interpretative possono influire anche su pendenti (es. definizione di consumatore precisata – è più una chiarificazione che cambia poco nella sostanza, salvo per i soci di società ora ammessi espressamente). Se hai depositato un ricorso prima, in teoria seguirebbe le norme dell’epoca, ma essendo una materia procedurale spesso il giudice applica immediatamente le norme sopravvenute più favorevoli. Ad esempio, se stavi aspettando omologa di un concordato minore e ora la maggioranza è stata abbassata a 50%, il giudice userà 50% anche se quando hai depositato era 60% (questo perché è norma processuale di immediata applicazione). Quindi di fatto i miglioramenti ti giovano subito, salvo rarità. Invece regole sull’esdebitazione (3 anni) già erano nel CCII dal 2022, per cui valgono per tutti i procedimenti aperti dopo quella data. Insomma, oggi nel 2025 possiamo dire che tutta la disciplina consolidata dal correttivo è vigente e applicata alla generalità dei casi in corso.
  • D: Posso scegliere quale procedura fare o decide l’OCC/giudice?
    R: In prima battuta, decidi tu quale procedura attivare, in base alla tua categoria e strategia. L’OCC ti consiglierà sul percorso più adatto e preparerà la domanda relativa. Il giudice poi valuta l’ammissibilità: potrebbe succedere che tu chiedi un piano del consumatore ma il giudice ritenga che in realtà sei un imprenditore (magari “di fatto”) e quindi non consumatore – in tal caso rigetterà quella richiesta. Oppure chiedi un concordato minore ma il giudice rileva che hai compiuto atti in frode e dunque nega l’ammissione; a quel punto potresti convertire in liquidazione controllata. In genere comunque, se i requisiti formali ci sono, la scelta spetta al debitore: concordato minore e piano consumatore non sono imposti, sono volontari. La liquidazione controllata invece può anche essere imposta (su istanza creditori, come detto). Quindi la miglior cosa è farsi assistere e valutare realisticamente pro e contro di ogni procedura nel tuo caso, poi fare domanda mirata. Il tribunale difficilmente “trasformerà” d’ufficio una procedura in un’altra diversa (fa eccezione la conversione in liquidazione come conseguenza di fallimento di un piano/accordo). Ad esempio non esiste che presenti concordato e il giudice dica “no, ti faccio d’ufficio un piano del consumatore” – semmai dichiarerà inammissibile e starà a te presentare un nuovo ricorso appropriato.

Esempi pratici e simulazioni

Per comprendere meglio il funzionamento delle soluzioni offerte dalla “legge 3” (oggi Codice della Crisi), presentiamo di seguito alcuni esempi numerici semplificati, ispirati a casi reali, di applicazione delle diverse procedure:

Esempio 1 – Piano del consumatore di un debitore con soli redditi:
Giulia è una consumatrice (impiegata statale) che ha accumulato debiti per €50.000 (tra carte di credito revolving e prestiti personali). Non possiede immobili né altri beni di valore; vive in appartamento in affitto. Il suo stipendio mensile è di circa €1.600, da cui – al netto delle spese essenziali di vita – riesce teoricamente a risparmiare €300 al mese. Nessuna banca le concede più consolidamenti e gli interessi corrono. Giulia si rivolge all’OCC e presenta un piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore proponendo di pagare ai creditori €300 al mese per 5 anni, pari a un totale di €18.000 (circa il 36% del debito iniziale). Questa somma, stima l’OCC, è superiore a quanto i creditori otterrebbero se pignorassero il quinto dello stipendio per lo stesso periodo (che sarebbe intorno a €12.000 netti) – dunque il piano è conveniente per loro. Il piano prevede la ripartizione proporzionale di quei €18.000 tra tutti i creditori chirografari (ognuno prende il 36% del proprio credito in 60 rate mensili). Gli interessi futuri vengono azzerati. Il giudice verifica che Giulia non ha colpe gravi (lei spiega che si è indebitata per fronteggiare spese mediche familiari e poi ha perso il secondo lavoro, ma non ha mai speso in lusso) e che il piano è fattibile. Omologa il piano senza opposizioni (le finanziarie non si presentano nemmeno in udienza). Giulia esegue regolarmente i pagamenti mensili per 5 anni, sotto la supervisione dell’OCC che ogni tanto relaziona al giudice sui versamenti effettuati. Al termine, avendo versato esattamente €18.000 e quindi soddisfatto il 36% di ogni credito, Giulia ottiene dal Tribunale un decreto di esdebitazione che la libera definitivamente dal restante 64% (cioè €32.000 vengono cancellati). I creditori non possono più avanzare pretese su di lei. Giulia ha così risolto la sua esposizione senza ricorrere a prestiti usurari o restare strozzata a vita. Durante i 5 anni ha vissuto con un budget ridotto ma sostenibile, evitando nuovi debiti.

(Variante: se durante l’esecuzione Giulia avesse perso il lavoro ad esempio al terzo anno, avrebbe potuto chiedere una sospensione o modifica del piano; se fosse riuscita a trovare altro impiego entro pochi mesi, magari il giudice avrebbe prorogato di qualche mese il piano; se invece non fosse più stata in grado, il piano poteva essere risolto e Giulia sarebbe passata a liquidazione controllata, dove il nulla da pignorare avrebbe portato comunque all’esdebitazione dopo 3 anni, forse non peggiorando di molto la situazione.)

Esempio 2 – Concordato minore in continuità per un piccolo imprenditore sotto soglia:
Mario è un imprenditore individuale nel settore della tipografia. Ha 5 dipendenti, ma a causa della crisi digitale il suo fatturato è calato. Ha debiti per €300.000, così composti: €100.000 con la banca Alfa (mutuo ipotecario sul capannone, su cui residuano €100k e l’immobile vale circa €150k), €50.000 con fornitori vari (chirografari), €50.000 con il fornitore di carta Beta (che però ha un pegno su un macchinario del valore di €20k), €60.000 con l’Agenzia Entrate Riscossione (di cui €30k IVA privilegiata e €30k altri tributi chirografari), €40.000 con dipendenti per TFR e stipendi arretrati (privilegiati). Il totale attivo di Mario consiste nel capannone (valore €150k) e nei macchinari (valore stimato €50k, ma uno è dato in garanzia a Beta). Inoltre Mario vorrebbe continuare l’attività, che al netto dei debiti genera un piccolo utile (prima degli oneri finanziari). Mario è sotto soglia (ricavi ~€200k, attivo ~€200k, debiti €300k, rientra) quindi non fallibile. Con l’aiuto dell’OCC, Mario elabora una proposta di concordato minore in continuità aziendale, per evitare di chiudere la tipografia. La proposta prevede: la banca Alfa (ipotecaria) sarà soddisfatta integralmente (100%) ma in forma dilazionata su 5 anni, così da mantenere il capannone a Mario; il fornitore Beta (pegno) sarà pagato 100% del valore del macchinario (€20k) subito, e il residuo €30k come chirografo; i dipendenti (privilegiati) saranno pagati 100% dei loro €40k, attingendo anche al TFR accantonato e integrando in 2 anni; l’Erario (privilegi IVA) avrà l’integrale pagamento di €30k IVA ma in 4 anni; i chirografari (fornitori e crediti erariali chirografari, incluso residuo Beta e tributi) riceveranno il 40% dei loro crediti, pari complessivamente a €52.000 (sommando: fornitori 50k + Beta residuo 30k + AE chirog. 30k = 110k, il 40% = 44k, più qualcosa per arrotondare a €52k totali considerando anche piccoli chirografi diversi). Dunque in totale Mario offre di pagare ai creditori circa €292.000 nell’arco di 5 anni (100k Alfa + 20k Beta pegno + 40k dip + 30k IVA + 52k chirog = 242k? Ricalcoliamo: forse manca qualcosa, rivediamo: la banca 100k, Beta 20k+12k (40% su residuo 30k), fornitori 20k (40% di 50k), Fisco: 30k IVA + 12k (40% di altri 30k), dip 40k; sommando: 100+20+12+20+30+12+40 = 234k. Forse l’apporto esterno di 10k è previsto? Aggiungiamo un apporto esterno di un familiare di €20.000 per dare più margine. Allora totale risorse 254k). Per ottenere queste somme, Mario conta su: il flusso di cassa dell’attività tipografica (che può generare ~€30k l’anno di utile, quindi 150k in 5 anni), più la vendita di un vecchio macchinario non più utilizzato (10k), più un prestito da un parente di 20k come finanza esterna, più l’incasso di alcuni crediti verso clienti (altri 20k stimati). Il piano è attestato dall’OCC come fattibile e offre ai creditori chirografari circa il 40%. Si stima che, se invece Mario chiudesse e si liquidasse tutto, il ricavato sarebbe: vendendo capannone 150k (banca Alfa prende 100k e restano 50k), vendendo macchinari 50k (Beta prende i primi 20k, restano 30k), incassando crediti 20k, totale circa 100k per chirografari; ma vanno pagati prima dipendenti 40k e IVA 30k, residuo per altri sarebbe 30k (circa 27% sui chirografari). Quindi il 40% proposto è meglio del 27% ipotetico di liquidazione. I creditori votano: banca Alfa è favorevole (preferisce continuare a ricevere interessi e 100% piuttosto che ipotecare e vendere), i fornitori votano sì (meglio 40% in 5 anni che il 0-20% incerto in fallimento), l’Erario – ipotizziamo – non risponde (silenzio = voto negativo di default, ma irrilevante se altri approvano). Si raggiunge magari il 60% di voti favorevoli (che supera il quorum richiesto del 50%). Il tribunale omologa. Mario continua la sua attività: paga i debiti secondo il piano, sotto la supervisione del commissario. Grazie al concordato, i creditori sono soddisfatti parzialmente ma più di quanto avrebbero ottenuto in caso di cessazione e vendita forzata (dove tra l’altro avrebbero perso il cliente – ora invece alcuni fornitori possono continuare a vendere carta a Mario mentre lui li paga per il pregresso). Dopo 5 anni Mario ha pagato tutto quanto concordato: il tribunale dichiara esdebitati i debiti residui rimasti (in pratica il 60% dei chirografari non pagato, pari a circa 66k euro, viene cancellato). L’azienda tipografica è salva (magari dimensionata per sopravvivere in digitale) e Mario non ha più debiti pregressi.

(Nota: nell’arco di quei 5 anni, se Mario avesse incontrato difficoltà – poniamo un calo ulteriore di fatturato – avrebbe potuto chiedere di modificare il piano, ad esempio estendolo a 6-7 anni, ma assumendo di no per semplicità. Oppure se proprio non ce l’avesse fatta, il concordato si sarebbe risolto e Mario probabilmente sarebbe finito in liquidazione controllata, vendendo a quel punto il capannone e chiudendo l’attività. I creditori però avrebbero comunque già incassato delle somme durante il concordato, quindi paradossalmente sarebbero comunque spesso in una situazione non peggiore di se avessero liquidato subito.)

Esempio 3 – Liquidazione controllata di una famiglia sovraindebitata:
I coniugi Rossi, entrambi sui 50 anni, sono una famiglia indebitata: anni fa hanno avviato un piccolo ristorante (ditta individuale intestata al marito) che però ha chiuso in perdita. Hanno debiti complessivi per €250.000: mutuo residuo sulla casa €120.000 (banca ipotecaria), vari debiti con fornitori e banche €80.000 (in parte cointestati), debiti personali (bollette arretrate, un finanziamento auto) €20.000, cartelle esattoriali €30.000 (di cui €10k INPS dell’ex attività, €20k IRPEF personale). Hanno come attivo: la casa di abitazione del valore di circa €150.000 (su cui insiste l’ipoteca della banca per il mutuo), un’auto utilitaria dal valore modesto €5.000, arredi e beni personali. Entrambi oggi lavorano come dipendenti (reddito famigliare €2.000 mese) ma con quello riescono a malapena a vivere e pagare le spese correnti, senza poter onorare i debiti passati. Valutano le opzioni: un piano o accordo sarebbe difficile, perché per pagare qualcosa dovrebbero vendere la casa comunque (nessun reddito disponibile per rate significative dopo il mutuo di €600/mese). Decidono quindi di avviare una procedura familiare di liquidazione controllata. Presentano un ricorso congiunto: la moglie come coobbligata e consumatrice, il marito come imprenditore cessato (ma comunque non fallibile). Il tribunale apre la liquidazione unica per entrambi, nominando un liquidatore. Effetti: sospese le azioni (la banca già minacciava pignoramento casa, ora viene bloccata e dovrà partecipare in procedura). Il liquidatore verifica i beni: la casa verrà venduta all’asta (o sul mercato) e da lì si ricaveranno diciamo €140.000 netti. Con questi: prima si pagheranno le spese di procedura (€10k tra perito, liquidatore ecc.), poi il residuo andrà alla banca ipotecaria fino a €120.000 (per soddisfare il suo credito garantito; se la casa viene venduta a 140k netti, la banca prende 120k e viene saldata al 100%). Restano €10.000 da quella vendita da destinare ai creditori chirografari (fornitori, Fisco, etc.). Poi il liquidatore vende l’auto per €5.000, e recupera qualcosina (ad esempio €2.000 di un deposito cauzionale affitto che i coniugi avevano). Mette insieme altri €7.000. Totale attivo disponibile per i chirografari: circa €17.000. I debiti chirografari (dopo aver pagato banca e tenuto conto che il Fisco per €10k di INPS aveva privilegio generale – ipotizziamo che entri pure su quell’attivo) ammontavano a ~€130k. Quindi i creditori chirografari prenderanno una percentuale intorno al 13% dei loro crediti. Dopo due anni tutte le vendite sono fatte e i riparti eseguiti. Nel frattempo i coniugi, rimasti senza casa, si sono trasferiti in affitto ma almeno con i loro stipendi riescono a pagare l’affitto e vivere (prima avevano il mutuo e altri pignoramenti). Trascorsi 3 anni dall’apertura, i coniugi chiedono l’esdebitazione: avendo collaborato pienamente e non avendo nascosto nulla, il Tribunale gliela concede. Vengono così definitivamente cancellati tutti i debiti residui: restavano circa €130k (tutti i crediti chirografari insoddisfatti e parte di tributi) ed ora non sono più esigibili. I coniugi Rossi possono ripartire senza l’incubo dei debiti. La banca non ha perso nulla (ha avuto i suoi €120k), i creditori chirografari hanno avuto poco (13%), ma era inevitabile perché non c’erano più soldi – con la procedura concorsuale però hanno ricevuto tutto quello che c’era in modo equo, e ora non possono perseguitare oltre i debitori.

(Variante: se i coniugi fossero stati totalmente nullatenenti – immagina non avessero casa di proprietà – avrebbero potuto tentare l’esdebitazione incapiente ex art. 283 CCII. Ad esempio, se vivevano in affitto, niente beni, solo debiti 130k, il giudice avrebbe potuto esdebitare subito quei 130k. Essendo però coobbligati su alcuni debiti, la prassi suggerisce che sia comunque preferibile la procedura familiare di liquidazione, anche se c’è zero attivo: difatti alcuni tribunali (Es. Tribunale di Torino 2021) hanno rigettato esdebitazioni incapienti familiari con debiti comuni sostenendo che andasse fatta almeno la liquidazione per regolare il concorso sul nulla – questione dibattuta. In ogni caso, nel nostro esempio avevano la casa quindi andava liquidata.)

Conclusioni

La disciplina ex legge 3/2012 – oggi integrata nel Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza – costituisce uno strumento fondamentale per affrontare situazioni di sovraindebitamento civile e “minore”, offrendo ai debitori onesti ma sfortunati la possibilità di un fresh start e ai creditori una soddisfazione sia pur parziale ma ordinata e legale. Le recenti riforme hanno ampliato la platea di soggetti ammessi (includendo anche figure prima dubbie come i soci di società e i debitori con situazioni miste), e hanno reso le procedure più efficienti e rapide (esdebitazione automatica in 3 anni, maggioranze ridotte, procedure familiari, ecc.).

Per avvocati e imprenditori è cruciale conoscere queste opportunità, sia per consigliare al meglio i clienti indebitati (valutando quale percorso sia più adeguato: piano del consumatore se persona fisica, concordato minore se c’è un’attività da salvare, liquidazione controllata se non vi sono alternative) sia per aiutare i creditori a comprendere i meccanismi di tutela dei loro diritti in tali procedure. La giurisprudenza recente mostra un orientamento chiaro: applicare il principio del “favor debitoris” ma con equilibrio, evitando sia abusi del debitore (sanzionati negando l’accesso se c’è frode), sia interpretazioni eccessivamente restrittive che frustrerebbero la ratio sociale della norma. In definitiva, la ex legge 3/2012 – nella sua nuova veste di procedura concorsuale minore – si conferma come un moderno strumento di civil rescue, complementare alle grandi procedure, e con un impatto sociale potenzialmente molto positivo se ben utilizzato.

Di seguito si riportano tutte le principali fonti normative, giurisprudenziali e dottrinali citate nella guida, a supporto e riferimento per ulteriori approfondimenti.

Fonti normative

  • Legge 27 gennaio 2012, n. 3“Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento”. (Legge istitutiva delle procedure di sovraindebitamento, cosiddetta “legge 3/2012”, più volte modificata, da ultimo dalla L. 176/2020 prima dell’integrazione nel CCII)
  • Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII)D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, entrato in vigore il 15 luglio 2022. Particolarmente rilevanti: art. 2 (Definizioni, incl. “consumatore”, “imprenditore minore” etc.), art. 65–83 (Procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento: ristrutturazione debiti consumatore, concordato minore), art. 84–120 (concordato preventivo grandi imprese, per differenze), art. 268–277 (Liquidazione controllata del sovraindebitato), art. 278–283 (Esdebitazione del sovraindebitato, incl. art. 283 esdebitazione incapiente), art. 33 (persistenza assoggettabilità procedure concorsuali per imprenditore cessato, comma 4 come modificato).
  • Decreto-Legge 28 ottobre 2020, n. 137 “Ristori”, art. 4, conv. in Legge 18 dicembre 2020, n. 176 – ha introdotto importanti modifiche immediatamente vigenti alla legge 3/2012: procedura familiare (art. 7, co.1-bis L.3/2012), esdebitazione incapiente (art. 14-quaterdecies), abbassamento quorum accordo al 50%, falcidia IVA e ritenute, ecc. (Queste modifiche sono state poi in gran parte assorbite dal CCII).
  • D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83 – Decreto correttivo al Codice della Crisi (“Correttivo-bis”), pubblicato in G.U. 1 luglio 2022, in vigore dal 15 luglio 2022. Ha recepito, tra l’altro, la Direttiva UE 2019/1023 in alcuni punti, e apportato correzioni tecniche al CCII appena prima della sua entrata in vigore. Ad esempio, ha chiarito decorrenze, aggiunto art. 90 su concordato semplificato, ecc.
  • D.Lgs. 13 settembre 2024, n. 136 – Terzo decreto correttivo al CCII (“Correttivo-ter”), in vigore dal 28 settembre 2024. Ha introdotto modifiche significative alla disciplina del sovraindebitamento: nuova definizione di consumatore (art. 2 lett. e CCII), gestione debiti misti (art. 65, 66, 74 CCII modificati), chiarimenti per imprenditori cessati (modifica art. 33 co.4 CCII), abolizione domanda con riserva nel sovraindebitamento (mod. art. 65), poteri OCC di accesso banche dati (art. 68 co.4-bis), rafforzamento cram-down fiscale (art. 80 co.2 CCII), possibilità moratoria 2 anni privilegiati (art. 74 CCII), protezione abitazione principale in piani familiari (art. 67 CCII mod.), ecc.
  • Codice Civile, art. 2740–2742 (patrimonio del debitore e garanzia generica, par condicio), art. 2915–2929 (esecuzione forzata, conflitti con concorsuali), art. 2495 (cancellazione società di capitali e effetti sui creditori sociali). R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (vecchia legge fallimentare), art. 1 (soggetti fallibili, soglie), art. 10 (fallibilità entro un anno da cessazione) – rilevanti per interpretazione di nozioni “imprenditore minore” e “ex imprenditore”.
  • Decreto Legge 18 ottobre 2012, n. 179, art. 25–31, conv. in Legge 17 dicembre 2012, n. 221 – definizione di start-up innovativa e regime di non assoggettabilità a procedure concorsuali per 5 anni (ora implicitamente superato dal CCII, ma start-up rimaste escluse da fallimento e incluse in sovraindebitamento).
  • D.M. 24 settembre 2014, n. 202 – Regolamento ministeriale sugli Organismi di Composizione della Crisi da sovraindebitamento (OCC), con norme su requisiti e compensi; ancora rilevante per definizione parametri compenso OCC (poi confluiti in D.M. 28/2021 per gestori crisi).

Giurisprudenza rilevante

  • Cassazione Civile, Sezioni Unite, 15 gennaio 2015, n. 1521 – (Primo intervento di legittimità sulla legge 3/2012) Ha affermato che il piano del consumatore può prevedere moratorie anche per creditori privilegiati senza il loro consenso, purché non oltre un anno (in applicazione analogica della L.F.); inoltre ha sottolineato la natura non negoziale dell’omologazione del piano.
  • Cass. Civ., Sez. I, 21 novembre 2018, n. 29809 – Ha chiarito che anche l’ex socio illimitatamente responsabile di società fallita, dopo la chiusura del fallimento, può accedere alla legge 3/2012 per i debiti personali residui (apertura verso estensione soggettiva).
  • Cass. Civ., Sez. I, 20 febbraio 2020, n. 4329 – Ha stabilito che un imprenditore cessato non può accedere al concordato preventivo (principio poi esteso al concordato minore) perché la procedura di concordato presuppone la continuazione dell’impresa e la cessazione volontaria preclude l’accesso allo strumento di risanamento.
  • Cass. Civ., Sez. I, 7 ottobre 2020, n. 21620 – Sul concetto di meritevolezza nel piano del consumatore dopo la L.176/2020: ha ritenuto che la valutazione di colpa grave del debitore vada riferita alla condotta tenuta nell’indebitarsi, escludendo criteri come la ragionevole prospettiva (ormai abrogati) e dando atto del favor legis per soluzioni sostenibili.
  • Cass. Civ., Sez. I, 25 gennaio 2021, n. 1462 – Ha affrontato il caso dei debiti misti (una parte derivante da attività d’impresa cessata, una parte personali) ante CCII, affermando che se il debitore attualmente non svolge impresa, può accedere al piano del consumatore purché i debiti professionali siano stati contratti in passato ma non strettamente funzionali all’impresa (orientamento però superato dalle nuove norme più rigide).
  • Cass. Civ., Sez. I, 19 gennaio 2022, n. 1379 – Sulle procedure familiari (ancor prima del CCII): ha confermato la possibilità di presentazione congiunta da parte di coniugi con debiti comuni, specificando che l’omologazione può avvenire anche se uno dei due coniugi ha posizione di garante (debito derivante da relazione familiare).
  • Cass. Civ., Sez. I, 10 marzo 2022, n. 8240 – Ha ritenuto ammissibile il piano del consumatore proposto da soggetto che aveva in precedenza svolto attività di socio di società di persone, affermando che la qualifica soggettiva attuale di consumatore va valutata al momento della proposizione (precedente allineato poi a definizione art. 2 CCII).
  • Cass. Civ., Sez. I, 26 luglio 2023, n. 22699 – Pronuncia chiave su questioni di principio ex CCII:
    • Ha confermato che l’ex imprenditore individuale cancellato resta soggetto non fallibile e dunque teoricamente legittimato al concordato minore, ma che la scelta legislativa (anche col correttivo) è di precludergli l’accesso al concordato in continuità, riservandogli la sola liquidazione, in linea con la giurisprudenza sul concordato preventivo.
    • Ha avallato la tesi che in presenza di debiti “promiscui” (parte consumer, parte no) il debitore debba seguire una unica procedura, non divisibile, individuata nel concordato minore (poiché il piano consumatore può riguardare solo debiti al 100% personali).
    (Ordinanza emessa dal Primo Presidente su relazione, ex art. 363-bis c.p.c., su rinvio di Corte Appello Firenze).
  • Corte Costituzionale, 19 gennaio 2022, n. 65 – Ha dichiarato infondata la questione di legittimità sull’art. 8, co.1-bis L.3/2012 (introdotto da L.176/2020) circa la possibilità di falcidiare crediti IVA nel piano del consumatore, ritenendola compatibile con i principi UE e con l’art. 3 Cost. (importante sul tema fiscale).
  • Corte Costituzionale, 19 gennaio 2024, n. 6 – Ha affrontato il tema della durata minima della liquidazione controllata e dell’acquisizione beni sopravvenuti nei 4 anni (questione su art. 14-terdecies L.3/2012 analogo art. 282 CCII). Ha confermato che è razionale e non incostituzionale prevedere che la procedura resti aperta per almeno 3 anni per intercettare eventuali redditi sopravvenuti, bilanciando l’interesse dei creditori e del debitore.
  • Tribunale di Milano, Sez. Fall., 5 aprile 2019 – (Caso Vullo, molto citato) Ha ammesso una procedura di sovraindebitamento ad un soggetto che aveva anche debiti da attività di lavoro autonomo occasionale, chiarendo i confini di consumatore e interpretando estensivamente in favore dell’accesso al piano.
  • Tribunale di Napoli Nord, 3 gennaio 2023 – Decreto che ha omologato un concordato minore presentato da imprenditore cessato entro l’anno, ritenendo che sebbene avesse chiuso l’attività non era assoggettabile a liquidazione giudiziale e dunque rientrava tra i legittimati. (Decisione poi superata dalla Cassazione e correttivo, ma emblematico del dibattito di merito).
  • Tribunale di Ancona, 11 gennaio 2023 – Analogo al precedente: ha ammesso imprenditore cessato al concordato minore liquidatorio, con motivazione diversa (valorizzando art. 2 lett. c CCII “ogni altro debitore non assoggettabile”).
  • Tribunale di Bergamo, 20 luglio 2024 – Sentenza di omologa di un piano familiare di ristrutturazione dei debiti in cui uno dei due coniugi era ex imprenditore da oltre un anno. Ha applicato Cass. 22699/2023 riguardo ai debiti promiscui: ha qualificato entrambi come consumatori essendo l’attività cessata e i debiti d’impresa non prevalenti, permettendo il piano del consumatore familiare.

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Conclusione

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