Fatture False: Come Difendersi Legalmente

Hai ricevuto un accertamento fiscale per presunte fatture false? Sei un imprenditore, un professionista o un amministratore e ti contestano operazioni inesistenti, fatture per prestazioni mai avvenute o documentazione irregolare?

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario, penale-tributario e difesa in contenziosi con l’Agenzia delle Entrate – ti spiega in modo chiaro cosa si intende per fattura falsa, quando le contestazioni sono fondate, e quali sono le difese legali che puoi attivare subito per proteggerti da gravi conseguenze.

Scoprirai:

  • La differenza tra fatture soggettivamente false (intestatario fittizio) e fatture oggettivamente false (operazione mai avvenuta);
  • Quali sono le conseguenze fiscali e penali:
    – Recupero dell’IVA e dei costi dedotti
    – Sanzioni amministrative pesanti
    – Rischio di denuncia per dichiarazione fraudolenta o utilizzo di documenti falsi (reati penali gravi);
  • Quando le contestazioni sono ingiuste o sproporzionate: errori formali, operazioni effettive mal documentate, responsabilità di fornitori o consulenti;
  • Come difenderti:
    Prova della reale esistenza dell’operazione (pagamenti tracciati, consegne, contratti)
    – Ricorsi contro gli avvisi di accertamento
    Difesa tecnica in sede penale, con strategie mirate per escludere dolo e responsabilità personali;
  • Cosa fare se sei solo un utilizzatore in buona fede: è fondamentale dimostrare che non eri a conoscenza della falsità e che hai agito in modo corretto;
  • Quali strumenti puoi usare per ridurre i danni: ravvedimento, definizione agevolata, accordi transattivi con l’Agenzia.

Con l’assistenza di un avvocato esperto puoi bloccare l’accertamento, evitare sanzioni ingiuste o procedimenti penali, e rimettere in ordine la tua posizione fiscale con una strategia costruita caso per caso.

Alla fine della guida potrai richiedere una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo, analizzare l’accertamento ricevuto e valutare la difesa migliore per proteggere te, la tua attività e il tuo futuro da accuse di frode fiscale.

Introduzione

Le fatture false – tecnicamente, fatture per operazioni inesistenti – rappresentano uno degli strumenti più insidiosi di frode fiscale nel panorama imprenditoriale italiano. Si tratta di documenti contabili emessi o utilizzati per attestare operazioni commerciali mai avvenute (in tutto o in parte) oppure avvenute con caratteristiche diverse dalla realtà, al solo scopo di ottenere indebiti vantaggi fiscali. In pratica, attraverso fatture “fantasma” un’impresa può ridurre artificiosamente il reddito imponibile (creando costi fittizi deducibili) o generare crediti IVA inesistenti, con grave danno per l’Erario. Al contempo, soggetti compiacenti (le cosiddette società cartiere) emettono tali fatture in cambio di benefici economici illeciti, alimentando un circuito fraudolento.

Questa guida, aggiornata a maggio 2025, fornisce un quadro approfondito e operativo su come difendersi legalmente dalle contestazioni relative a fatture false. È rivolta in primis ad avvocati e consulenti legali, nonché a imprenditori che vogliono comprendere rischi e tutele, con un linguaggio tecnico-giuridico ma dal taglio divulgativo. Verranno esaminati tutti i profili giuridici del fenomeno: penali, tributari e civili, senza trascurare gli aspetti processuali, le strategie difensive e gli orientamenti della giurisprudenza più recente (Corte di Cassazione e Corte Costituzionale) aggiornati al 2025. Saranno inoltre affrontati i risvolti della responsabilità amministrativa degli enti ai sensi del D.Lgs. 231/2001, introdotta di recente per i reati tributari collegati a fatture inesistenti.

La guida offrirà esempi pratici e simulazioni nei settori economici più esposti al rischio di falsa fatturazione – dall’edilizia ai servizi di consulenza, dai trasporti al commercio – evidenziando per ciascuno casi tipici, scenari di rischio e possibili difese. Saranno proposte tabelle riepilogative di rapida consultazione, che sintetizzano i reati e il relativo trattamento sanzionatorio, gli oneri probatori e le strategie difensive disponibili. Infine, una sezione di Domande e Risposte affronterà i quesiti più frequenti e le controversie ricorrenti in materia (ad es. cosa accade se l’imprenditore era in buona fede, come incide il pagamento del debito tributario, quali sono i termini di prescrizione, ecc.), fornendo chiarimenti pratici.

Il fenomeno delle fatture false, specie con riferimento alle frodi IVA (frode “carosello” e altre strutture fraudolente), è oggetto di continui interventi normativi e di un atteggiamento repressivo sempre più rigoroso da parte sia dell’amministrazione finanziaria che dell’autorità giudiziaria. Dal 2019 in poi il legislatore ha inasprito le pene per questi reati e ampliato le possibilità di perseguire non solo le persone fisiche coinvolte ma anche le società a vantaggio delle quali sia stato commesso l’illecito. Parallelamente, la giurisprudenza di legittimità ha affinato i principi in tema di onere della prova e di individuazione delle condotte penalmente rilevanti, chiarendo che qualsiasi divergenza tra realtà commerciale e rappresentazione fiscale può integrare il reato. In questo contesto, risulta fondamentale conoscere come difendersi legalmente: comprendere le fattispecie incriminatrici, i diritti e doveri del contribuente durante gli accertamenti, i mezzi processuali a disposizione e le possibili strategie per evitare o mitigare sanzioni penali, tributarie e civili.

Di seguito, la guida è suddivisa nelle seguenti parti principali per una consultazione più agevole:

  • Profili penalistici: analisi dei reati di utilizzo ed emissione di fatture false (artt. 2 e 8 D.Lgs. 74/2000), elementi costitutivi, sanzioni penali, aspetti processuali, strategie difensive e orientamenti giurisprudenziali recenti.
  • Profili tributari: effetti in sede fiscale delle fatture inesistenti (accertamenti dell’Agenzia Entrate/Guardia di Finanza, rettifiche IVA e imposte dirette, sanzioni amministrative, termini di decadenza), con attenzione all’onere della prova in contenzioso tributario e alle possibilità di definizione o ravvedimento.
  • Profili civili: conseguenze civilistiche di fatture false nei rapporti tra privati (nullità dei contratti con causa illecita, indebiti e risarcimenti), nonché interazioni fra giudizio penale, tributario e civile (ad es. valore probatorio delle sentenze penali nel giudizio tributario).
  • Responsabilità ex D.Lgs. 231/2001: estensione della responsabilità amministrativa degli enti ai reati tributari di falsa fatturazione, con sanzioni pecuniarie e interdittive a carico delle società e necessità di adottare modelli organizzativi per prevenire il rischio.
  • Esempi pratici per settore: descrizione di casi tipici di utilizzo/emissione di fatture false nei principali settori economici (edilizia, consulenza, trasporti, commercio, intermediazione, ICT), con simulazione delle possibili contestazioni e linee difensive.
  • Domande e Risposte: sezione FAQ con soluzioni ai dubbi più comuni e ai casi controversi in materia di fatture false.
  • Fonti normative e giurisprudenziali: elenco completo delle leggi, sentenze, circolari e riferimenti dottrinali citati nella guida, per consentire ulteriori approfondimenti.

Con questa struttura, il lettore potrà individuare rapidamente le informazioni di interesse e ottenere un quadro completo su come difendersi legalmente in caso di contestazione di fatture false, utilizzando al meglio gli strumenti offerti dall’ordinamento a tutela sia dell’impresa che della corretta amministrazione fiscale.


Profili penalistici: reati di fatture false e difesa nel processo penale

Dal punto di vista penalistico, l’utilizzo o l’emissione di fatture false integra specifiche fattispecie di reato previste dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 (la principale normativa in materia di reati tributari). In particolare, sono due i delitti cardine oggetto di trattazione:

  • Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2 D.Lgs. 74/2000) – il reato commesso da chi utilizza fatture false, inserendole nella propria contabilità e nelle dichiarazioni fiscali, al fine di evadere le imposte.
  • Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 8 D.Lgs. 74/2000) – il reato speculare posto in essere da chi emette o pone a disposizione fatture false (senza reali operazioni sottostanti), consentendo ad altri di evadere le imposte.

Accanto a queste, esistono reati tributari affini (come la dichiarazione fraudolenta con altri artifici ex art. 3 D.Lgs. 74/2000, la dichiarazione infedele ex art. 4, l’omessa dichiarazione ex art. 5, ecc.), ma la guida si concentra sulle ipotesi specifiche legate alle fatture per operazioni inesistenti. Di seguito analizziamo nel dettaglio gli elementi costitutivi di art. 2 e 8, le soglie di punibilità e le sanzioni previste, per poi esaminare le strategie difensive e questioni processuali comuni a tali reati.

Reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture false (Art. 2 D.Lgs. 74/2000)

Definizione della condotta. L’art. 2 punisce chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto (IVA), indica nella dichiarazione annuale elementi passivi fittizi avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti. In altre parole, il contribuente che presenta una dichiarazione dei redditi/IVA fraudolenta, inserendovi costi falsi documentati da fatture false, commette questo delitto. La condotta si considera perfezionata non solo quando le fatture false sono effettivamente utilizzate nella dichiarazione, ma già quando esse sono registrate in contabilità o anche solo detenute a fini di prova verso il Fisco. Ciò significa che preparare e conservare fatture inesistenti, allo scopo di poterle esibire in caso di controlli a supporto di una dichiarazione infedele, è sufficiente a integrare l’elemento oggettivo del reato. L’intento fraudolento viene infatti anticipato e sanzionato sin dalla fase di predisposizione della documentazione falsa.

Operazioni inesistenti: oggettive, soggettive e parziali. La nozione di “fatture o altri documenti per operazioni inesistenti” è definita dalla legge stessa (art. 1, co. 1, lett. a, D.Lgs. 74/2000) e include tre tipologie di falsità documentale:

  • Operazioni oggettivamente inesistenti: fatture emesse per operazioni mai avvenute nella realtà (beni mai ceduti o servizi mai resi), totalmente fittizie.
  • Operazioni soggettivamente inesistenti: fatture che documentano operazioni reali nella loro essenza economica, ma intercorse tra soggetti diversi da quelli indicati in fattura. Ad esempio, la fattura viene intestata a una società diversa da quella che ha effettivamente eseguito la prestazione. In questi casi la transazione è avvenuta, ma c’è un diverso soggetto effettivo, spesso una cartiera, che si interpone fittiziamente.
  • Sovrafatturazione (parziale inesistenza): documenti in cui l’operazione è solo parzialmente inesistente, poiché i corrispettivi o l’IVA indicati sono maggiori del reale. Si pensi a fatture gonfiate nell’importo oppure riguardanti quantità maggiori rispetto a quelle realmente scambiate. La parte eccedente costituisce un’operazione fittizia.

Tutte queste ipotesi – divergenza totale, soggettiva o quantitativa tra realtà e documento – rientrano nell’ambito punitivo dell’art. 2. La giurisprudenza di Cassazione è costante nel ritenere che qualsiasi divergenza tra realtà effettiva e rappresentazione fiscale, indipendentemente dal tipo di falsità, integra l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti. Ne consegue che, ad esempio, emettere fattura per una prestazione diversa da quella effettiva (come un contratto di appalto che maschera un’intermediazione di manodopera illecita) equivale a operazione inesistente sotto il profilo giuridico.

Elemento psicologico. Il reato richiede il dolo specifico di evasione fiscale. L’agente deve agire con lo scopo preciso di evadere le imposte, traendo vantaggio dai costi fittizi o dall’IVA indebita. Non è sufficiente la mera consapevolezza che le fatture siano irregolari o false: occorre la volontà di ottenere un risparmio d’imposta ingiusto, utilizzando quei documenti falsi. In altre parole, vi deve essere un fine fraudolento concreto. Questa precisazione assume rilievo in alcune strategie difensive: ad esempio, l’imprenditore potrebbe sostenere di aver contabilizzato determinate fatture ritenendole genuine, senza la volontà di frodare il Fisco. Se riuscisse a dimostrare l’assenza di intento evasivo (ad es. perché convinto della legittimità delle operazioni), verrebbe a mancare il dolo specifico richiesto dalla norma. Tuttavia, nei casi di false fatturazioni la prova di una totale buona fede è piuttosto rigorosa, dovendo emergere che il contribuente ignorava la natura fittizia dell’operazione e non mirava ad alcun vantaggio fiscale indebito.

Soglie di punibilità e consumazione del reato. Per configurare il delitto di cui all’art. 2 è necessario che la dichiarazione fraudolenta superi determinate soglie quantitative previste dalla legge (analoghe a quelle della “dichiarazione infedele”):

  • Imposta evasa > €30.000: il vantaggio fiscale indebito (sommando le imposte sui redditi e/o l’IVA evasa) deve eccedere tale importo, per anno d’imposta.
  • Elementi falsi significativi: l’ammontare dei componenti attivi sottratti a tassazione (anche mediante fatture false) deve superare il 5% del totale degli elementi attivi dichiarati, oppure superare comunque €1 milione.

Queste condizioni – introdotte con la riforma del 2015 – delimitano l’area penalmente rilevante alle frodi più consistenti, escludendo la punibilità penale per scostamenti di lieve entità (che restano illeciti solo amministrativi). In pratica, se un contribuente utilizza fatture false ma l’evasione d’imposta risulta inferiore a €30.000, non scatta il reato ex art. 2 (ferme restando le sanzioni tributarie). Allo stesso modo, una piccola fattura falsa che incide in misura trascurabile sul reddito (meno del 5% del volume d’affari) difficilmente integrerà la soglia penale. Va precisato che tali soglie vanno riferite alla dichiarazione annuale: il reato si consuma al momento della presentazione della dichiarazione fraudolenta (di regola, la dichiarazione dei redditi o IVA annuale) contenente i dati falsi. Ogni dichiarazione infedele costituisce un reato a sé stante. Dunque, l’utilizzo di più fatture false in un medesimo periodo d’imposta dà luogo a un unico reato (fatto unitario di dichiarazione fraudolenta), mentre l’utilizzo continuativo su più annualità configura reati distinti per ciascun anno fiscale.

Pena prevista. Il quadro sanzionatorio dell’art. 2 è stato notevolmente irrigidito negli ultimi anni. Attualmente la pena base è la reclusione da 4 a 8 anni nei casi più gravi, mentre per i casi di minore entità si applica la fascia da 1 anno e 6 mesi a 6 anni. In particolare, in seguito alla riforma operata dal D.L. 124/2019 (conv. L. 157/2019):

  • Se l’ammontare degli elementi fittizi (costi inesistenti) è superiore a €100.000, la pena è aggravata: reclusione da 4 a 8 anni.
  • Negli altri casi (frode sotto la soglia di €100.000 di costi fittizi, ma comunque sopra i limiti minimi di punibilità), resta applicabile la pena originaria: reclusione da 1 anno e 6 mesi a 6 anni.

L’innalzamento dei massimi edittali ha reso il reato di dichiarazione fraudolenta uno dei più severamente puniti in ambito tributario. Basti pensare che prima del 2019 il massimo era 6 anni anche per le frodi più rilevanti, mentre ora si arriva a 8 anni di carcere. Inoltre, con pena massima superiore a 5 anni, è astrattamente possibile applicare misure cautelari personali (es. custodia in carcere) in caso di esigenze cautelari gravi, e si allungano i termini di prescrizione. Va ricordato che il tentativo non è punibile: lo stesso D.Lgs. 74/2000 esclude la punibilità del tentativo per i reati tributari dichiarativi. Ciò significa, ad esempio, che se la frode non giunge a compimento – magari perché la dichiarazione non viene presentata o viene corretta prima – non vi sarà responsabilità penale (restano però le eventuali sanzioni amministrative).

Esempio: un imprenditore inserisce in dichiarazione annuale 2024 fatture false per €200.000 + IVA, abbattendo il reddito e riducendo l’IVA a debito. L’imposta evasa ammonta a €50.000. In questo caso sono superate sia la soglia di €30.000 di imposta evasa che i limiti percentuali, dunque è integrato il reato ex art. 2. Poiché i costi fittizi superano €100.000, si applica la fascia di pena più alta (4-8 anni). Se invece le fatture false fossero ammontate a €20.000 con un’evasione di €5.000, il fatto sarebbe penalmente non punibile (sotto soglia), comportando però un accertamento fiscale e una sanzione amministrativa pecuniaria.

Reato di emissione di fatture false (Art. 8 D.Lgs. 74/2000)

Condotta incriminata. L’art. 8 del D.Lgs. 74/2000 punisce chi, al fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte, emette o rilascia fatture (o altri documenti fiscali) per operazioni inesistenti. In sostanza, questo delitto colpisce il fornitore compiacente – reale o fittizio – che crea documenti falsi affinché altri soggetti possano evadere. Classico è il caso della “società cartiera”, un soggetto privo di reale attività d’impresa (nessuna struttura, dipendenti o beni) il cui unico scopo è vendere fatture fasulle a società operative, permettendo a queste ultime di dedurre costi o detrarre IVA senza una corrispondente operazione economica. La condotta può consistere tanto nell’emettere la fattura fittizia quanto nel mettere a disposizione documenti falsi predisposti (anche se poi materialmente emessi da altri): la norma copre tutte le forme di concorso e intermediazione nel “mercato” delle fatture false. Si noti che l’emittente non necessita di presentare alcuna dichiarazione fiscale fraudolenta propria: il reato di art. 8 si perfeziona con la semplice emissione del documento falso, indipendentemente dal suo eventuale utilizzo in dichiarazione da parte di qualcuno (che costituirà, semmai, il reato ex art. 2 per l’utilizzatore). Proprio per questo, la legge stabilisce espressamente che chi emette le fatture e i suoi complici non rispondono del reato di dichiarazione fraudolenta (art. 2) in concorso con l’utilizzatore, ma solo del distinto reato di emissione (art. 8). In altre parole, emittente e utilizzatore sono puniti con due fattispecie autonome e complementari.

Elementi oggettivi. Anche per l’art. 8 valgono le considerazioni già viste sulle tipologie di operazioni inesistenti (oggettive, soggettive, parziali). L’emissione può riguardare fatture totalmente false (merci mai cedute), fatture intestate a soggetti diversi dall’effettivo fornitore, oppure fatture per importi maggiorati. Qualunque sia la modalità, chi rilascia una fattura che non corrisponde alla realtà economica commette il reato, se è presente lo scopo di far evadere le imposte a chi la userà. Il dolo specifico infatti è leggermente diverso da quello dell’utilizzatore: qui è richiesto l’intento di far conseguire a terzi un’evasione, ossia di favorire l’altrui frode fiscale. In pratica, il soggetto emittente sa che l’altro soggetto dedurrà quei costi o detrarrà quell’IVA e agisce per consentirglielo. Questo configura un fine di profitto condiviso (spesso l’emittente trattiene per sé una percentuale dell’IVA o dell’importo fatturato, restituendo il resto all’utilizzatore, così entrambi ottengono un beneficio: uno fiscale, l’altro monetario in nero).

Soglie e consumazione. Diversamente dall’art. 2, il reato di emissione non richiede soglie di importo per essere integrato. Anche la sola emissione di una fattura falsa, per quanto di modico valore, costituisce reato (in presenza dell’intento fraudolento). La scelta legislativa di non prevedere soglie di punibilità per l’emissione è stata ritenuta costituzionalmente legittima, in quanto questa condotta è considerata pericolosa di per sé: mettere in circolazione fatture false, anche di importo limitato, è un atto finalizzato a frodare il Fisco e dunque meritevole di sanzione penale indipendentemente dall’entità. La Corte Costituzionale ha confermato nel 2019 la razionalità di tale differenza di trattamento (reato di emissione punibile a prescindere dall’importo, reato di utilizzo punibile solo oltre certe soglie). Pertanto, l’emittente non può invocare l’esiguità della fattura come causa di non punibilità penale – ferma restando la possibilità di valutare la particolare tenuità del fatto caso per caso, se ne ricorrono i presupposti ex art. 131-bis c.p. (ma nelle frodi fiscali tale istituto è applicato con estrema cautela, data la natura lucrosa dell’illecito). Il reato si perfeziona al momento dell’emissione o consegna del documento falso al beneficiario. Se l’emissione è continuativa (es. decine di fatture false nell’ambito di un medesimo disegno criminoso), in dottrina si discute se configurare un unico reato continuato o più reati distinti; nella prassi, quando le fatture riguardano periodi diversi, si tende a contestare pluralità di episodi in continuazione.

Sanzioni penali. Analogamente al reato di utilizzo, anche per l’emissione l’impianto sanzionatorio è stato irrigidito dalla riforma del 2019. Oggi l’art. 8 prevede una pena base della reclusione da 4 a 8 anni, con una fattispecie attenuata a 1 anno e 6 mesi – 6 anni nei casi di lieve entità. Più precisamente:

  • Fatture false di importo elevato: se l’ammontare complessivo delle operazioni inesistenti supera €100.000 nel periodo d’imposta, si applica la reclusione da 4 a 8 anni.
  • Fatture di importo minore: negli altri casi (importi sotto €100.000), la pena rientra nella fascia 1 anno e 6 mesi – 6 anni, corrispondente alla previgente disciplina. Di fatto è stata introdotta una soglia quantitativa solo per distinguere il trattamento sanzionatorio, ma non per escludere il reato.

Questa scala di pene fa sì che emissioni seriali di fatture false, tipiche di organizzazioni criminali o società cartiere professionali, possano comportare condanne molto elevate in cumulo (si pensi a decine di fatture per importi milionari: il giudice doserà la pena tenendo conto del numero e del valore, potendo arrivare al massimo edittale aumentato per continuazione). Anche per l’emittente valgono le considerazioni sul tentativo: se, ad esempio, egli predispone le fatture ma viene fermato prima di consegnarle, il tentativo non è punibile ex lege. Inoltre, l’art. 8 non punisce chi emette per errore documenti inesatti: è sempre necessaria la finalità fraudolenta. Ad esempio, non commette questo reato il fornitore che emetta per sbaglio una doppia fattura per la stessa operazione (caso di duplicazione erronea): in tal caso mancando il dolo di evasione (e trattandosi di operazione effettivamente avvenuta) non si rientra nella fattispecie penale, ma solo in possibili sanzioni amministrative per irregolarità.

Rapporti con altri reati. L’emissione di fatture false spesso si collega ad altri illeciti: chi “vende” fatture può commettere anche riciclaggio/autoriciclaggio (se reinveste il denaro sporco derivante dalle provviste ottenute), associazione per delinquere (se opera in gruppo organizzato per frodi fiscali), o può costituire mezzo per reati fallimentari (ad esempio, emissione di fatture false per creare passività fittizie prima di un fallimento, integrando bancarotta fraudolenta documentale). Tuttavia, l’art. 8 assorbe il disvalore tipico della frode fiscale tramite false fatturazioni; eventuali reati ulteriori saranno contestati solo se emergono elementi specifici differenti (es. associazione se c’è un’organizzazione stabile, riciclaggio se il profitto viene ripulito altrove, ecc.). Da notare che il pagamento della fattura falsa, se effettivamente avvenuto, non esclude il reato: la Cassazione ha chiarito che anche se l’importo indicato in fattura è stato corrisposto, ciò non significa che l’operazione sia reale (poteva essere un trasferimento fittizio con successiva retrocessione del denaro), né fa venir meno l’intento evasivo. In sintesi, ciò che rileva è la mancanza di una reale causa economica sottostante al documento fiscale, non la movimentazione finanziaria in sé.

Esempio: la società Beta Srl in crisi di liquidità crea una società fittizia Gamma Srl (priva di struttura e amministrata da un prestanome) per emettere fatture di consulenza mai resa. Gamma emette 10 fatture da €50.000 ciascuna a favore di Beta, nel 2025, ricevendo i pagamenti e restituendo il 90% a Beta “in nero”. Beta deduce €500.000 di costi e detrae €110.000 di IVA, riducendo le imposte. In questo schema, Gamma Srl commette il reato di emissione di fatture false (art. 8) – importo totale €500.000, sopra soglia, pena 4-8 anni – mentre Beta Srl (o il suo legale rappresentante) commette il reato di dichiarazione fraudolenta (art. 2) – evasione rilevante, pena 4-8 anni. Entrambi risponderanno individualmente, senza concorso reciproco, ciascuno per il proprio reato. Inoltre, Beta subirà l’accertamento fiscale con recupero di imposte e Gamma sarà chiamata a versare l’IVA indicata nelle fatture (anche se poi non versata). Se Beta non avesse superato le soglie di punibilità (es. importo totale €20.000), il suo legale rappresentante non risponderebbe penalmente ex art.2, ma Gamma risponderebbe comunque ex art.8 per le fatture emesse (poiché art.8 non ha soglie di punibilità) – in tal caso però il giudice potrà valutare la tenuità per Gamma se l’importo è molto basso e il fatto occasionale.

Tabella riassuntiva dei reati (art. 2 e 8 D.Lgs. 74/2000)

ReatoCondottaSoglie di punibilitàPena base (reclusione)Fattispecie attenuata
Art. 2 D.Lgs. 74/2000 – Dichiarazione fraudolenta con fatture falseIndicare in dichiarazione annuale elementi passivi fittizi avvalendosi di fatture/documenti falsi (operazioni inesistenti).Imposta evasa > €30.000 e elementi attivi sottratti > 5% del dichiarato o > €1.000.000. (Sotto tali soglie il fatto non è reato)4 – 8 anni (se operazioni inesistenti > €100.000); altrimenti 1 anno 6 mesi – 6 anni.n.d. (la distinzione soglia < €100.000 incide su pena base come sopra)
Art. 8 D.Lgs. 74/2000Emissione di fatture falseEmettere o mettere a disposizione fatture o documenti per operazioni inesistenti, al fine di consentire a terzi l’evasione.Nessuna soglia di importo per la punibilità (ogni emissione fraudolenta è reato).4 – 8 anni (se importo operazioni > €100.000); altrimenti 1 anno 6 mesi – 6 anni.n.d. (come sopra, < €100.000 comporta già pena ridotta)

Note: Entrambi i reati richiedono il dolo specifico di evasione (scopo di evadere le imposte per sé o per terzi). Il tentativo non è punibile. L’emittente di fatture false non è punibile in concorso nell’eventuale reato ex art.2 commesso dall’utilizzatore, ma solo ai sensi dell’art.8. È prevista la confisca obbligatoria dei beni equivalenti al profitto dell’evasione/frode (es. somme corrispondenti alle imposte evase) e, dopo il 2019, anche la confisca “allargata” per i casi più gravi (quando l’evasione supera €100.000). Inoltre, la condanna comporta pene accessorie come l’interdizione temporanea dagli uffici direttivi di imprese o professioni (art. 12 D.Lgs. 74/2000).

Profili processuali penali e strategie difensive

Affrontare un’accusa di “false fatturazioni” in sede penale richiede di agire su due fronti: da un lato, contestare la sussistenza del fatto di reato (ove possibile, dimostrando che le operazioni contestate erano invece reali, o che difettano gli elementi oggettivi/soggettivi); dall’altro, valutare strumenti giuridici per attenuare o escludere la pena (come il pagamento del debito tributario, il patteggiamento, ecc.). In questa sezione esamineremo: onere della prova nel processo penale, peculiarità istruttorie, opzioni difensive (compreso il recente istituto della non punibilità per integrale pagamento) e i rapporti con il processo tributario parallelo.

Onere della prova e accertamento del fittizio. Nel processo penale vige la regola generale che spetta al Pubblico Ministero provare oltre ogni ragionevole dubbio la colpevolezza dell’imputato. Dunque, in un’accusa ex art. 2 o 8, sarà la Procura – spesso tramite le indagini della Guardia di Finanza – a dover dimostrare che le fatture contestate si riferiscono ad operazioni inesistenti e che l’imputato agiva con intento fraudolento. In concreto, l’accusa generalmente porta elementi indiziari quali: la mancanza di reale struttura aziendale del fornitore (es. sede inesistente, nessun dipendente né mezzi), movimenti finanziari anomali (pagamenti che ritornano al pagatore, prelievi in contanti immediatamente dopo l’accredito), incongruenze documentali (mancanza di DDT – documenti di trasporto – per merci asseritamente cedute, copia/incolla di testi identici su più fatture, ecc.), dichiarazioni testimoniali (ad esempio, l’amministratore della società emittente che confessa la natura fittizia delle operazioni, o i dipendenti che negano la prestazione). La giurisprudenza ha riconosciuto che la prova del fittizio può essere data anche tramite presunzioni e indizi, purché gravi, precisi e concordanti. Una volta che l’accusa ha fornito una solida base indiziaria della falsità, diventa difficile per la difesa limitarsi a negare: di norma, l’imputato (soprattutto se utilizzatore delle fatture) dovrà attivarsi per fornire una spiegazione alternativa credibile o quantomeno instillare il dubbio sulla effettiva inesistenza delle operazioni.

Difesa “di merito”: provare la genuinità delle operazioni o la buona fede. La prima linea di difesa consiste quindi nel contestare il fatto che le operazioni siano inesistenti. Se l’imprenditore sostiene che invece la merce è stata consegnata o il servizio prestato, dovrà produrre ogni riscontro utile: documenti di trasporto, contratti, email scambiate, relazioni tecniche, prove dell’ingresso di beni in magazzino, testimonianze di chi ha visto la prestazione, ecc. Spesso, però, nelle frodi strutturate queste prove mancano (proprio perché la transazione è simulata). In tali casi, una difesa alternativa è puntare sulla buona fede: l’imprenditore utilizzatore potrebbe argomentare di essere stato ingannato dal fornitore e di aver ritenuto le fatture del tutto legittime. Ad esempio, in frodi IVA complesse (come i caroselli internazionali), un soggetto a valle potrebbe dichiararsi inconsapevole del fatto che il suo fornitore era una cartiera coinvolta in un giro di fatture. La Cassazione ha stabilito che, in materia di IVA, l’assenza di consapevolezza e la massima diligenza dell’operatore economico possono escludere la responsabilità – concetto mutuato anche nel penale in tema di elemento soggettivo. Tuttavia, dimostrare la propria totale estraneità non è semplice: occorre provare di aver agito con la massima accortezza esigibile (ad esempio, verificando la solidità del fornitore, controllando che avesse struttura operativa, ecc.) e che non vi fossero segnali d’allarme. In pratica, si tratta di rovesciare la prospettiva accusatoria: non ero un evasore in combutta col fornitore fittizio, bensì una vittima inconsapevole di un raggiro. Questa linea difensiva può talora trovare accoglimento quando l’imputato riesce a portare elementi convincenti sulla genuinità del proprio operato (es. pagamento a valore di mercato, successiva scoperta della frode da parte sua, denuncia del fornitore). Ad ogni modo, va sottolineato che, in diritto penale, l’errore sul fatto (essere inconsapevole della falsità) può escludere il dolo solo se effettivamente inevitabile e scusabile: la soglia per la buona fede è quindi molto alta in casi di frodi organizzate.

Strumenti procedurali e scelte processuali: di fronte a prove schiaccianti raccolte dall’accusa (si pensi a intercettazioni, o a un incrocio di fatture false già accertato in sede tributaria), la difesa deve valutare pragmaticamente le opzioni migliori. Alcune strategie includono:

  • Ravvedimento operoso e pagamento del debito tributario: un’efficace strategia extra-processuale è sanare il debito fiscale prima possibile. L’art. 13 D.Lgs. 74/2000 prevede infatti una speciale causa di non punibilità se il contribuente paga integralmente le imposte evase (oltre sanzioni e interessi) prima che il giudice di primo grado dichiari aperto il dibattimento. In pratica, per i reati di dichiarazione fraudolenta (art. 2) – e analogamente per art. 3, 4, 5 – il pagamento totale del dovuto al Fisco, anche mediante le procedure conciliative o di adesione previste in ambito tributario, estingue il reato. Questa norma, introdotta e ampliata tra 2015 e 2019, incentiva il contribuente a riparare il danno erariale: se ad esempio, prima dell’inizio del processo, l’imputato versa tutte le imposte evase con le fatture false, non verrà punito penalmente. Attenzione: la causa di non punibilità non si applica al reato di emissione di fatture false (art. 8) – formalmente l’art.13 cita solo i reati degli artt. 2, 3, 4 e 5 – per cui l’emittente non può evitare la condanna semplicemente pagando (anche perché spesso l’emittente non ha un “debito tributario” da pagare, avendo solo favorito altri). Invece, per l’utilizzatore, pagare conviene enormemente: qualora possibile finanziariamente, estinguere il debito fiscale prima del dibattimento permette di uscire dal penale. Se il pagamento avviene dopo tale momento ma comunque prima della sentenza definitiva, potrà fungere da circostanza attenuante (sempre art.13) con riduzione di pena fino alla metà. Questa strategia è fondamentale nei casi gravi: molti imprenditori imputati preferiscono saldare il dovuto (magari ricorrendo a finanziamenti) pur di evitare il rischio del carcere. Va però valutato l’effetto domino in sede tributaria: il pagamento integrale include sanzioni amministrative salate, quindi la scelta va ponderata economicamente e processualmente.
  • Patteggiamento (applicazione pena su accordo): se le prove di colpevolezza sono solide e non vi sono cause estintive, la via del patteggiamento (art. 444 c.p.p.) consente di negoziare con il PM una pena ridotta di 1/3, spesso sospesa condizionalmente (se contenuta entro 2 anni) e senza iscrizione di condanna (se entro 2 anni e pena sospesa, si evita menzione). Nelle frodi fiscali di media entità, patteggiare ad esempio 2 anni (ridotti a 1 anno e 4 mesi per il rito) con sospensione può risolvere rapidamente il procedimento. Di solito il patteggiamento viene concesso se il contribuente ha almeno in parte risarcito il Fisco o se collabora. Occorre inoltre valutare che, con la recente riforma, patteggiare su reati tributari gravi comporta comunque le pene accessorie (che non possono essere eliminate), ma spesso queste vengono limitate nel tempo.
  • Sospensione del procedimento con messa alla prova: per i reati tributari non è generalmente applicabile, poiché la messa alla prova (art. 168-bis c.p.) è esclusa per reati con pena massima superiore a 4 anni. Nel nostro caso, art.2 e 8 hanno massimi di 6-8 anni, dunque non rientrano nell’istituto.
  • Dimostrare vizi procedurali o carenze probatorie: una difesa tecnica può puntare a escludere dall’istruttoria elementi raccolti in modo illegittimo (es. perquisizioni senza garanzie, intercettazioni inutilizzabili) oppure evidenziare falle nell’impianto accusatorio. Ad esempio, se l’accusa si fonda solo su presunzioni senza riscontri, la difesa insisterà sul principio in dubio pro reo. Oppure, nel caso di contestazioni di fatture soggettivamente false, potrebbe sostenere che l’imputato ignorava del tutto la frode a monte (specie quando la catena commerciale era lunga e il contribuente finale era lontano dall’emittente cartiera).
  • Ruolo del consulente fiscale: spesso gli imputati adducono di aver agito su suggerimento del commercialista o comunque di essersi affidati a professionisti per la tenuta contabilità. Questa linea (affidamento al terzo competente) può, in astratto, ridurre il grado di colpevolezza se l’imprenditore medio non era in grado di accorgersi della frode architettata dal consulente. Tuttavia, nei casi di fatture false, i giudici tendono a ritenere che l’amministratore dell’azienda non possa esimersi da responsabilità semplicemente scaricando tutto sul consulente, specie quando trae un vantaggio diretto dall’evasione. Può però essere utile per dimostrare l’assenza di dolo intenzionale qualora emerga che il professionista ha imbrogliato anche l’imprenditore.
  • Rapporti con il processo tributario: se parallelamente pende un giudizio innanzi alla Corte di Giustizia Tributaria (ex Commissione Tributaria) sull’accertamento fiscale, la difesa penale può valutare se attendere l’esito tributario o viceversa. In generale, i due giudizi sono indipendenti: l’eventuale vittoria del contribuente in sede tributaria (es. annullamento dell’accertamento) non vincola automaticamente il giudice penale, ma costituisce un elemento favorevole. Ad esempio, se la Commissione Tributaria accerta che certi costi non erano fittizi, tale valutazione di fatto potrebbe essere spesa come prova difensiva nel penale. Tuttavia, non essendovi sospensione automatica, spesso il processo penale giunge prima a sentenza. Laddove la questione di falsità documentale sia oggetto di querela di falso (strumento raro ma possibile se si contesta l’autenticità materiale di una fattura), il giudice penale normalmente attende l’esito di tale giudizio civile sulla genuinità del documento. In definitiva, la strategia va modulata caso per caso, considerando tempi e qualità delle prove nei due fora.
  • Ne bis in idem e duplicazione sanzioni: un tema processuale di rilievo è il possibile conflitto tra sanzioni penali e amministrative per il medesimo fatto (doppio binario sanzionatorio). La Corte di Cassazione e la Corte Costituzionale hanno affrontato più volte se il cumulo di un procedimento penale per fatture false e di una sanzione tributaria (es. multa del 100% dell’imposta evasa) violi il principio del ne bis in idem. Ad oggi, l’orientamento consolidato – anche recependo indicazioni della Corte EDU – è che non vi sia violazione di ne bis in idem in quanto le due sanzioni perseguono finalità diverse (repressione penale vs recupero fiscale) e sono tra loro proporzionate. In particolare, Cassazione 2021 (sent. n. 11959/2021) ha escluso il bis in idem per il cumulo tra condanna ex art.4 D.Lgs.74/2000 e sanzione tributaria, purché vi sia coordinamento e proporzionalità complessiva. Pertanto, non è possibile far decadere il penale sostenendo che si è già pagata la sanzione amministrativa tributaria. La difesa dovrà piuttosto puntare, in caso di doppia condanna, ad ottenere il riconoscimento in sede esecutiva di un eventuale scomputo o una considerazione della sanzione già pagata per modulare la pena (aspetti ancora in evoluzione).

Pene accessorie e conseguenze penali ulteriori: va ricordato che una condanna per reati di frode fiscale comporta oltre alla pena detentiva anche pene accessorie quali l’interdizione temporanea dagli uffici direttivi di imprese o società, l’incapacità a contrattare con la PA, la sospensione di eventuali licenze o concessioni, ecc., normalmente per la durata stabilita dal giudice (da 6 mesi fino a 3 anni dopo l’espiazione pena, ai sensi dell’art.12 D.Lgs. 74/2000). In caso di condanna superiore a 2 anni, l’interdizione dai pubblici uffici scatta automaticamente per cinque anni (art. 28 c.p.). Inoltre, le sentenze di condanna per questi reati vengono iscritte nel Casellario con effetti reputazionali notevoli: per un imprenditore, avere precedenti per frodi fiscali può comportare esclusione da appalti pubblici e perdita di onorabilità professionale. Dunque, anche qualora si opti per il patteggiamento, è importante prevedere strumenti per mitigare tali effetti (ad esempio, chiedere la non menzione della condanna se ne ricorrono i presupposti, o attivarsi successivamente per la riabilitazione).

Riepilogo difensivo: in sintesi, sul piano penale la difesa dall’accusa di fatture false può svilupparsi attraverso: contestazione nel merito (provare che le operazioni non erano fittizie, o che l’imputato non ne era consapevole), rimedi riparatori (pagamento integrale delle imposte per estinguere il reato ex art.13), strategie processuali (patteggiamento per ridurre la pena, valorizzazione di eventuali esiti favorevoli nel contenzioso tributario, ecc.), e questioni di diritto (invocare lacune probatorie, sollevare eccezioni procedurali, ecc.). La combinazione di queste linee deve essere valutata caso per caso, tenendo conto della gravità delle contestazioni e dell’atteggiamento dell’autorità procedente. Un avvocato specializzato in diritto penale-tributario saprà calibrare il giusto mix: ad esempio, puntare tutto sull’assoluzione se vi sono spiragli seri di prova contraria, oppure negoziare un esito premiale (patteggiamento) se la prova dell’accusa è schiacciante e non conviene rischiare una condanna piena in dibattimento.


Profili tributari: accertamenti fiscali, sanzioni e contenzioso

Sul versante tributario, l’utilizzo o l’emissione di fatture per operazioni inesistenti comporta una serie di conseguenze fiscali indipendenti (e aggiuntive) rispetto al procedimento penale. L’amministrazione finanziaria (Agenzia delle Entrate e Guardia di Finanza) dispone di poteri accertativi e sanzionatori propri per recuperare le imposte evase e punire amministrativamente i responsabili, anche in caso di archiviazione o proscioglimento penale (dato che, come visto, i due ambiti sono autonomi). In questa parte esamineremo: le modalità con cui il Fisco individua le false fatturazioni (accertamenti e verifica), il trattamento fiscale delle fatture false (indetraibilità IVA, indeducibilità dei costi), le sanzioni tributarie applicabili e gli oneri probatori in sede contenziosa tributaria. Saranno analizzati anche i rapporti tra accertamento tributario e procedimento penale (tempistica, raddoppio dei termini, coordinamento dei giudizi).

Accertamenti fiscali e scoperta delle fatture false

Modalità di controllo. Le fatture false emergono spesso nell’ambito di verifiche fiscali mirate. La Guardia di Finanza e l’Agenzia delle Entrate dispongono oggi di strumenti analitici e incroci di banche dati (fatturazione elettronica, spesometro, anagrafe tributaria) che permettono di individuare schemi anomali: ad esempio, fornitori con volume d’affari elevato ma senza dipendenti né costi (tipico di società cartiere), incongruenze tra acquisti dichiarati da una parte e vendite dall’altra, ecc. Indici di rischio sono: margini di guadagno irrealisticamente bassi, settori notoriamente colpiti da frodi IVA (commercio di rottami, carburanti, elettronica), utilizzo di società “filtro” in paradisi fiscali, ricorso frequente a consulenze generiche di importo ingente. Quando vengono riscontrate tali anomalie, l’Amministrazione può attivare accessi, ispezioni e verifiche presso l’azienda sospetta, esaminando contabilità, fatture, corrispondenza e interrogando i responsabili. Spesso la scoperta di fatture false avviene a catena: un fornitore X viene verificato e risulta emettere fatture sospette a più clienti; a quel punto scattano controlli a tappeto sui clienti di X per contestare l’indebita detrazione/deduzione. L’adesione italiana al sistema di cooperazione europea anti-frode IVA fa sì che i caroselli transnazionali siano monitorati con scambi di informazioni rapidi: se una società estera risulta “missing trader” (evasore), i suoi partner italiani vengono posti sotto esame.

Raddoppio dei termini di accertamento. In caso di utilizzo di fatture false, si configura una condotta penalmente rilevante (dichiarazione fraudolenta) e la legge consente il cosiddetto raddoppio dei termini di accertamento. Normalmente, il Fisco ha tempo fino al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione per notificare un avviso di accertamento (ovvero fino al settimo anno se la dichiarazione è omessa). Tuttavia, qualora sia riscontrato un reato tributario, i termini di decadenza raddoppiano (diventando 10 anni, o 8 nel caso di dichiarazione presentata). Ciò significa che le fatture false possono essere contestate anche a molta distanza di tempo. Ad esempio, un’IVA detratta indebitamente nel 2018 potrebbe essere recuperata fino al 2028 se c’è denuncia per frode fiscale. Questo allungamento serve a dare all’Erario più tempo per agire quando emergono illeciti penali gravi, che spesso vengono scoperti tardivamente. Per far scattare il raddoppio dei termini è necessario che la denuncia penale (ex art. 331 c.p.p.) relativa al reato tributario sia presentata entro i termini normali; in caso contrario, non si applica il beneficio al Fisco. Di solito, però, in presenza di fatture false la Guardia di Finanza denuncia tempestivamente, quindi l’ufficio ha i termini raddoppiati a disposizione.

Contestazioni tipiche in accertamento. Se il Fisco ritiene che talune fatture siano relative a operazioni inesistenti, nell’avviso di accertamento verranno disconosciuti i relativi effetti fiscali. In particolare si contesterà:

  • Indebita deduzione di costi: i costi documentati dalle fatture false vengono ripresi a tassazione (quindi aumenta il reddito imponibile ai fini delle imposte dirette, IRES/IRPEF). In motivazione, l’ufficio spiegherà perché quei costi sono considerati fittizi (es. fornitore inesistente, difetto di prova della prestazione).
  • Indebita detrazione IVA: la detrazione dell’IVA sugli acquisti relativa a fatture inesistenti è negata, con recupero dell’IVA detratta e addebito al contribuente. In pratica, quell’IVA diventa da versare integralmente perché non supportata da un’operazione reale.
  • Iva dovuta dall’emittente: specularmente, per il soggetto emittente di fatture false, l’Agenzia contesterà l’omesso versamento dell’IVA indicata in fattura. Infatti, per legge (art. 21, co.7 DPR 633/1972) chi emette fattura per operazioni inesistenti deve comunque l’IVA indicata sul documento. Quindi l’emittente si troverà un debito IVA pari all’imposta delle fatture emesse, spesso mai versata.
  • Altre imposte e effetti: a volte le false fatture incidono anche sull’IRAP (imposta regionale) e sul calcolo degli studi di settore/ISA. Tutti questi effetti vengono rettificati di conseguenza.

L’accertamento verrà normalmente notificato sia al contribuente utilizzatore sia (per la parte IVA) all’eventuale emittente, se soggetto passivo italiano. In molti casi, l’emittente è irreperibile (società fantasma) e quindi il recupero si concentra sull’utilizzatore, ritenuto beneficiario del vantaggio economico.

Presunzioni legali di inesistenza e onere della prova. Nella prassi, l’Agenzia delle Entrate utilizza indizi e presunzioni per motivare l’inesistenza delle operazioni. Ad esempio, se il fornitore è una cartiera conclamata (nessuna struttura, rappresentante prestanome, posizione IVA cessata d’ufficio), le sue fatture vengono presuntivamente considerate false. La Cassazione ha affermato che è onere del Fisco fornire un primo riscontro concreto dell’inesistenza delle operazioni (anche tramite presunzioni semplici) e, raggiunta tale prova indiziaria, spetta poi al contribuente dimostrare il contrario. In altri termini, si delinea uno spostamento dell’onere della prova: inizialmente il Fisco deve provare, almeno in via indiziaria, che l’operazione è fittizia; una volta fatto ciò, è il contribuente che deve “smontare” la prova, provando l’effettiva realizzazione dell’operazione o almeno la propria totale buona fede. Questo principio – consolidato in giurisprudenza – è stato di recente ribadito dalla Cassazione (sent. n. 33620 del 1° dicembre 2023). La sentenza in questione riguardava operazioni soggettivamente inesistenti: la Suprema Corte ha sancito che, provata dal Fisco la fittizietà soggettiva (es. catena di frode IVA), grava sulla società acquirente l’onere di dimostrare di aver agito senza consapevolezza e con la dovuta diligenza. In altre parole, il contribuente deve provare di essere in buona fede e di aver adottato tutte le cautele del caso.

Coordinamento con il penale: l’accertamento fiscale non attende l’esito del processo penale. Anzi, spesso l’iter è: la GdF esegue verifica, contesta false fatture -> notifica processo verbale di constatazione -> parte la denuncia penale -> l’Agenzia emette l’avviso di accertamento (magari utilizzando le medesime prove raccolte). Il contribuente, a questo punto, si trova doppio fronte: deve difendersi in Commissione Tributaria per evitare di pagare imposte e sanzioni, e in Tribunale penale per evitare condanna. Le strategie difensive possono divergere leggermente: in sede tributaria la soglia di convincimento è minore (basta il “più probabile che non”), perciò anche indizi forti possono bastare a confermare l’atto; in sede penale serve la prova oltre il dubbio ragionevole. Ciò significa che talvolta un contribuente potrebbe essere condannato in sede tributaria (dove non ha provato la reale esistenza delle operazioni) ma assolto in sede penale per insufficienza di prove certe. Oppure viceversa, se emergono prove robuste penalmente, saranno certamente utilizzate anche nel tributario. In linea generale, un esito definitivo in uno dei due procedimenti può influenzare l’altro: ad esempio, una sentenza penale irrevocabile che affermi la falsità delle fatture è un titolo forte per il Fisco in sede tributaria (se ancora pendente), e viceversa una sentenza penale di assoluzione perché “il fatto non sussiste” (quindi riconoscendo la genuinità delle operazioni) dovrebbe indurre il Fisco a rivedere l’accertamento. Ciò posto, formalmente l’autonomia dei giudizi consente al Fisco di mantenere ferma la propria pretesa anche in caso di assoluzione penale per insufficienza di prove (non essendo equiparabile all’accertamento positivo dell’esistenza delle operazioni, ma solo al dubbio).

Indetraibilità IVA e indeducibilità dei costi: trattamento fiscale delle operazioni inesistenti

La regola fondamentale in materia fiscale è che i costi derivanti da operazioni inesistenti non sono deducibili dal reddito d’impresa, né l’IVA relativa è detraibile. Questo principio deriva sia da norme specifiche sia da principi generali:

  • L’IVA: come già accennato, l’art. 21, comma 7, DPR 633/1972 prevede che se viene emessa fattura per operazioni inesistenti, l’IVA indicata in fattura è comunque dovuta per l’intero ammontare (a carico di chi emette). Specularmente, il cessionario/committente non può detrarre quell’IVA in quanto la detrazione spetta solo per imposte relative ad acquisti reali inerenti l’attività. L’Agenzia Entrate, con la Circolare 32/E del 3 agosto 2012, ha chiarito che i costi e le spese direttamente utilizzati per compiere atti illeciti (quali false fatturazioni) non danno diritto ad alcuna detrazione né deduzione. In caso di indebita detrazione, l’IVA va restituita integralmente, oltre interessi.
  • Le imposte dirette (IRES/IRPEF): già la normativa previgente (L. 537/1993, art. 14, co. 4 bis) sanciva l’indeducibilità dei costi relativi a fatti, atti o attività qualificabili come reato. Emendata più volte, tale disposizione – oggi integrata nel TUIR – stabilisce in sostanza che i costi da operazioni inesistenti sono privi dei requisiti di certezza e determinabilità e pertanto non deducibili. Inoltre, essendo operazioni inesistenti, manca il nesso di inerenza con l’attività (non c’è alcuna utilità economica reale per l’impresa). La Cassazione ha recentemente confermato che se un costo deriva da un contratto nullo per illiceità (come nell’ipotesi di fatture per finti appalti mirati a coprire manodopera illegale), quel costo è indeducibile perché non supportato da un valido titolo giuridico e contrasta con l’ordinamento. Dunque l’Ufficio recupera a tassazione tali importi.
  • L’IRAP: analogamente, i costi fittizi non riducono il valore della produzione netta ai fini IRAP, poiché non realmente sostenuti per attività produttive. L’accertamento li esclude dal conto economico deducibile.

In definitiva, dal punto di vista fiscale sostanziale, le fatture false vengono “sterilizzate”: l’IVA diviene tutta a debito, e i componenti negativi di reddito vengono eliminati. Ciò comporta tipicamente un pesante debito tributario a carico del contribuente utilizzatore: non solo deve pagare le imposte evitate (IVA, IRES, etc.), ma anche sanzioni e interessi.

Sanzioni amministrative tributarie

Oltre al recupero delle imposte, l’Amministrazione finanziaria irroga sanzioni amministrative pecuniarie per le violazioni commesse. Le fatture false ricadono nelle sanzioni previste per dichiarazione infedele e registrazioni contabili fraudolente, spesso con aggravanti specifiche. Ecco le sanzioni principali:

  • Sanzione per dichiarazione infedele (imposte dirette e IVA): L’utilizzo di fatture false porta a dichiarare un reddito imponibile inferiore al dovuto e un’IVA a credito superiore al reale, integrando una dichiarazione infedele. La sanzione base prevista dal D.Lgs. 471/1997, art.1, è una pena pecuniaria dal 90% al 180% della maggiore imposta dovuta o della differenza di credito risultante. Tuttavia, quando l’infedeltà deriva da documentazione falsa o artifici fraudolenti, la sanzione è aumentata: la normativa prevede un incremento fino a un terzo. Ciò significa che, in caso di fatture per operazioni inesistenti, le sanzioni tendono verso la fascia alta (spesso il 135% dell’imposta evasa o più), data la natura fraudolenta. Ad esempio, se grazie a fatture false un’azienda non ha versato €50.000 di IRES, dovrà pagare quel tributo più una sanzione che può arrivare a €90.000 (180%) nei casi peggiori, normalmente attenuata a circa €67.500 (135%) se ci sono attenuanti.
  • Sanzione IVA per utilizzo di fatture false: Sul versante IVA, l’indebita detrazione è punita con una sanzione proporzionale. In passato il D.Lgs. 471/1997, art.6 prevedeva dal 100% al 200% dell’IVA non spettante. Riforme più recenti hanno calibrato la sanzione tra il 90% e il 180% dell’imposta relativa alle operazioni inesistenti. In pratica, se un soggetto ha detratto €10.000 di IVA su fatture false, ne restituirà €10.000 e pagherà una multa tra €9.000 e €18.000. La Legge di Bilancio 2023 ha ribadito questa forbice, introducendo semmai alcune sanzioni specifiche per frodi IVA con meccanismi particolari (es. reverse charge fittizio) quantificate anch’esse nel 90% dell’imponibile. Queste percentuali elevate riflettono la gravità del comportamento: praticamente il trasgressore paga un importo pari (o superiore) all’imposta sottratta, a titolo di sanzione.
  • Sanzione per emissione di fatture false: L’emittente, dal canto suo, compie un illecito che può essere inquadrato come violazione dell’obbligo di fatturazione veritiera. Non esiste una sanzione amministrativa “ad hoc” per emettere fatture inesistenti, poiché di norma l’emittente è punito penalmente e in via amministrativa subisce il recupero dell’IVA non versata. Tuttavia, se l’emittente ha omesso di registrare o dichiarare le fatture emesse (cosa frequente per le cartiere che spariscono), incorre nelle sanzioni per omessa fatturazione e dichiarazione: ad esempio, omessa fatturazione comporta il 90%–180% dell’IVA non documentata; l’omessa dichiarazione IVA (se sotto soglia penale) comporta una sanzione dal 120% al 240% dell’imposta dovuta, con minimo €250. Quindi l’emittente può vedersi contestate sanzioni cumulative per non aver versato/dichiarato l’IVA sulle fatture emesse.
  • Altre sanzioni accessorie: In presenza di utilizzo di fatture false, l’Agenzia può applicare misure accessorie amministrative: ad esempio, segnalazione all’Agenzia delle Entrate per la sospensione o revoca del numero di partita IVA (nei casi di società cartiere), iscrizione nella lista dei fornitori inaffidabili, ecc. Inoltre, se l’illecito fiscale è reiterato o particolarmente grave, l’amministrazione finanziaria può richiedere misure cautelari come il fermo amministrativo dei beni o l’ipoteca sui beni immobili dell’azienda/contribuente, a garanzia del credito erariale scaturente dall’accertamento.

Ravvedimento operoso e definizione agevolata: il contribuente che si accorge dell’irregolarità prima di subire il controllo può ricorrere al ravvedimento operoso (art.13 D.Lgs. 472/97) per attenuare le sanzioni. Ad esempio, può presentare una dichiarazione integrativa eliminando i costi fittizi, versare le imposte dovute con interessi e pagare una sanzione ridotta (il ravvedimento consente riduzioni percentuali delle sanzioni in base al tempo trascorso). Ovviamente, nelle frodi sistematiche raramente c’è un ravvedimento spontaneo; più facile è che si cerchi di aderire a qualche definizione agevolata post-contestazione. Negli ultimi anni vi sono state norme di pace fiscale (sanatorie) che consentivano di regolare le controversie tributarie con sconti su sanzioni e interessi. In presenza di un contenzioso su fatture false, ad esempio, il contribuente potrebbe trovare conveniente definire la lite pagando il solo tributo (senza sanzione) qualora la legge glielo consenta. Nel 2023, ad esempio, la legge di Bilancio ha previsto la definizione delle liti pendenti con stralcio delle sanzioni: un’opportunità per chi era alle prese con accertamenti per fatture inesistenti. Tuttavia, va valutato l’effetto sul penale: definire la parte tributaria non estingue automaticamente il reato (se ancora procedibile), anche se rappresenta un passo per la causa di non punibilità ex art.13 D.Lgs.74/2000.

Concorso tra sanzioni e principio di proporzionalità: come accennato, la coesistenza di una pesante sanzione amministrativa (fino al 180% dell’imposta) e di una condanna penale ha sollevato dubbi di bis in idem in passato. Al momento, l’orientamento è che il sistema è compatibile con i principi europei purché le due vie siano coordinate. In sede amministrativa, se il contribuente viene condannato penalmente, è prassi (talora su suggerimento della stessa Cassazione in sede tributaria) graduare la sanzione pecuniaria in misura contenuta, evitando duplicazioni punitive eccessive. Ad esempio, se un imprenditore è stato punito penalmente e ha pagato una parte del danno, l’Agenzia in sede di riscossione può valutare soluzioni transattive (specie se c’è rischio di insolvenza). Dal punto di vista formale, però, le sanzioni vanno applicate per legge: starà eventualmente al legislatore prevedere meccanismi di coordinamento (al 2025, non vi sono automatismi compensativi).

Esempio di calcolo: un contribuente Caio ha utilizzato fatture false per €100.000 + IVA 22% = €22.000. L’accertamento fiscale determina: maggior imponibile €100.000 tassato IRES al 24% = €24.000 di imposta evasa; IVA indebitamente detratta €22.000. Caio dovrà pagare €24.000 di IRES + €22.000 di IVA = €46.000 di imposte, oltre interessi (poniamo €5.000). Le sanzioni: per IRES, 135% di €24.000 = €32.400; per IVA, 120% di €22.000 = €26.400 (ipotizziamo una certa riduzione in adesione). Totale sanzioni ~€58.800. Dunque Caio si vede recapitare un avviso per circa €109.800 (46k imposte + 5k interessi + 58.8k sanzioni). Se impugna e perde, dovrà pagare questa somma. In parallelo, sul piano penale (ipotizzando superate le soglie) affronterà il processo con rischio di reclusione e dovrà pagare anche una multa penale in sede di condanna (in genere le pene pecuniarie penali per reati tributari non sono alte, p.es. poche migliaia di euro di multa, ma la vera sanzione è il carcere e la confisca). È evidente come la duplicità di sanzioni incida pesantemente: ecco perché la legge consente l’estinzione del reato pagando il dovuto – un incentivo fortissimo a evitare il cumulo.

Onere della prova e difesa nel contenzioso tributario

Quando il contribuente riceve un avviso di accertamento per fatture false, solitamente propone ricorso dinanzi alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (nuova denominazione delle Commissioni Tributarie Provinciali). In tale sede si apre un giudizio che è di natura giuridica ma con rito civile, ove valgono regole probatorie diverse dal penale. È importante capire come impostare la difesa e quali elementi probatori apportare:

Ripartizione dell’onere probatorio. In linea generale, spetta all’Ente impositore provare i fatti costitutivi della maggiore pretesa tributaria, mentre il contribuente deve provare eventuali fatti esimenti o contrari. La riforma del processo tributario del 2022 ha codificato questo principio (art. 7, co.5-bis D.Lgs. 546/92) chiarendo che l’onere della prova nel contenzioso tributario grava sull’amministrazione finanziaria per i fatti costitutivi della violazione contestata, e sul contribuente per i fatti che escludono la violazione. Nel caso di operazioni inesistenti, questo si traduce in: il Fisco deve provare che l’operazione è fittizia; il contribuente, una volta che l’ufficio ha fornito ragionevoli evidenze di falsità, deve dimostrare che l’operazione era reale o quantomeno di aver agito in buona fede. Come detto, la Cassazione conferma che l’ufficio può utilizzare presunzioni qualificate come prova iniziale. Ad esempio, un accertamento può essere basato sul fatto che il fornitore non aveva mezzi per effettuare la prestazione: ciò è un indizio forte di inesistenza. A quel punto, la palla passa al contribuente, che per vincere il ricorso dovrà convincere i giudici che, nonostante le apparenze, la prestazione c’è stata.

Difesa documentale e testimoniale: Nel processo tributario è ora ammessa la prova testimoniale (novità introdotta dal 2022), sia pure solo in forma scritta previa autorizzazione. Questo può aiutare la difesa in casi di fatture false: ad esempio, il contribuente può produrre dichiarazioni giurate di terzi che attestino che la merce fu effettivamente consegnata, o che i lavori furono eseguiti. Inoltre, può presentare la documentazione tecnica: progetti, corrispondenza commerciale, tabulati di telefonate, foto dei beni, ecc. Qualsiasi elemento che dia sostanza all’operazione contestata è utile: il giudice tributario valuta il complesso degli elementi secondo il principio del libero convincimento (non vige la prova oltre il dubbio ragionevole, ma la regola del “più probabile che non”). Quindi, anche se rimane qualche incertezza, se appare più verosimile che l’operazione fosse reale, il giudice può annullare l’accertamento. Ad esempio, se Caio riesce a provare che i servizi di consulenza fatturati furono effettivamente resi (presentando i report prodotti, email di istruzioni ricevute, ecc.), potrebbe spuntarla nonostante il fornitore fosse una ditta poco strutturata. Bisogna convincere il giudice della realtà economica sottostante alla fattura.

Buona fede nel diritto tributario: A differenza del penale, dove la buona fede totale esclude il dolo e quindi il reato, nel tributario la buona fede del contribuente non evita il recupero delle imposte (il tributo evaso va comunque pagato) ma può evitare le sanzioni amministrative. Infatti, D.Lgs. 472/1997 prevede che non è punibile chi dimostra di aver commesso il fatto senza colpa. Se l’imprenditore prova di aver adottato tutte le precauzioni ed essere stato ingannato, potrebbe ottenere l’annullamento delle sanzioni per carenza di elemento soggettivo (assenza di colpevolezza), pur dovendo versare le imposte. In pratica: “Ok, pago le tasse dovute perché l’operazione è risultata irregolare, ma non subisco la multa perché ho dimostrato che ero vittima inconsapevole”. Questa distinzione è importante: in alcune sentenze, il giudice tributario ha esonerato il contribuente dalle sanzioni riconoscendo che non aveva strumenti per accorgersi dell’inganno (ad es. frodi carosello complesse). Naturalmente, l’onere di provare l’assenza di colpa è in capo al contribuente, e la soglia è alta: deve emergere che ha fatto tutto il possibile (es. controlli sul fornitore, richiesta del DURC nei lavori, verifica dell’iscrizione Camera di commercio, etc.) e che la frode era congegnata in modo non identificabile. In caso contrario, prevale la presunzione di negligenza e le sanzioni restano.

Termini e decadenza: Una difesa possibile è eccepire la decadenza dei termini dell’accertamento se l’avviso è tardivo. Tuttavia, come visto, in presenza di reato scatta il raddoppio termini. Il contribuente potrebbe allora contestare formalmente l’inapplicabilità del raddoppio se la denuncia penale è stata presentata fuori tempo oppure se ritiene che il fatto non costituisse reato (ad esempio, se le soglie penali non erano superate). Se si dimostra che non v’era reato e l’atto è arrivato oltre il quinto anno, l’accertamento è nullo per decadenza. Questa eccezione va sollevata sin dal ricorso introduttivo.

Esiti del giudizio tributario: Se il contribuente vince in tutto o in parte il ricorso tributario, l’accertamento viene annullato o ridotto. Ciò comporta che non dovrà pagare quanto contestato (o pagherà importi minori). Inoltre, un esito favorevole può essere usato nel penale: una sentenza tributaria passata in giudicato che affermi la realtà di certe operazioni può costituire prova a discarico nel processo penale (pur non vincolando il giudice, ha un peso). Viceversa, se il contribuente perde il ricorso (anche in appello), si forma un giudicato che legittima la pretesa fiscale. Questo giudicato in teoria non vincola il giudice penale (principio di autonomia), ma nella pratica un contribuente già soccombente in Commissione avrà difficoltà a sostenere in dibattimento che le fatture erano buone, a meno che emergano elementi nuovi.

Conciliazione e mediazione: Dal 2023 è stata abolita la mediazione tributaria obbligatoria per importi fino a €50.000, ma resta la possibilità di conciliazione giudiziale: durante il processo, contribuente e ufficio possono accordarsi riducendo sanzioni e trovando un compromesso (es. riconoscere una parte dei costi come reali e una parte no). In cause su fatture false, spesso l’ufficio è poco incline a transigere, soprattutto se c’è un penale in corso (perché teme di indebolire l’accusa). Tuttavia, se il contribuente offre di pagare gran parte del dovuto subito, l’Agenzia può valutare una conciliazione riducendo le sanzioni al minimo (ad esempio al 90%). Ciò può convenire al contribuente per chiudere rapidamente la vicenda fiscale – e gli dà anche un punto a favore in sede penale dimostrando pentimento e pagamento.

Giurisdizioni parallele: Un ultimo profilo: se per stabilire la falsità di un documento privato sorgono dubbi sull’autenticità materiale (non la veridicità sostanziale, ma proprio se il documento è contraffatto), si dovrebbe promuovere una querela di falso presso il giudice civile. Questo però è raro nelle fatture false, dove normalmente i documenti sono genuini ma il contenuto è simulato (falso ideologico). La querela di falso serve se, ad esempio, il contribuente sostiene che la firma sulle fatture non è sua o che quei documenti gli sono stati attribuiti indebitamente. In tal caso il processo tributario può essere sospeso in attesa dell’esito della querela di falso in sede civile. Sono situazioni limite, perché di solito il contribuente ammette di aver ricevuto/emesso la fattura, ma ne contesta il significato economico.

In definitiva, la difesa nel contenzioso tributario verte sul convincere i giudici della sostanza economica delle operazioni (oppure, in subordine, della propria buona fede) attraverso tutti i mezzi probatori disponibili, e sul verificare il rispetto delle regole formali da parte del Fisco (tempistiche, motivazione dell’atto, ecc.). Dato l’elevato impatto economico delle controversie da fatture false, spesso si arriva fino in Cassazione. La Cassazione negli ultimi anni ha emanato principi chiave: ad esempio la sentenza n. 28268/2021 ha ribadito l’iter logico di valutazione della prova nelle operazioni inesistenti (prima onere al Fisco, poi onere al contribuente); la n. 33620/2023 (già citata) ha enfatizzato il ruolo della diligenza. Conoscere tali orientamenti è essenziale per impostare ricorsi efficaci e focalizzati sui punti realmente decisivi (es.: non basta dire “il fornitore ha pagato l’IVA” o “aveva la partita IVA attiva”, se poi non aveva mezzi per operare; occorre provare concretamente la prestazione).


Profili civili: nullità contrattuali, risarcimenti ed effetti tra privati

L’emissione o l’utilizzo di fatture false produce conseguenze anche sul piano civilistico, soprattutto nei rapporti tra i soggetti privati coinvolti e verso terzi (come creditori, soci, ecc.). In questa sezione analizziamo come il diritto civile qualifica gli accordi sottostanti alle false fatturazioni, quali rimedi hanno le parti (o i terzi) e come interagiscono eventuali giudizi civili con quelli penali e tributari.

Nullità dei contratti con causa illecita (operazioni simulate)

Quando due parti si accordano per emettere una fattura relativa ad un’operazione inesistente, normalmente dietro vi è un accordo illecito: spesso il patto è “tu mi emetti una fattura fittizia di €X, io te la pago, tu mi restituisci una percentuale e teniamo il resto come vantaggio fiscale”. Questo accordo è volto a realizzare un’evasione fiscale, dunque ha una causa illecita, in violazione di norme imperative (le leggi tributarie). Secondo il codice civile, i contratti con causa illecita sono nulli (artt. 1343 e 1418 c.c.). Ciò significa che l’accordo tra emittente e utilizzatore di fatture false non ha alcuna tutela giuridica: è come se non esistesse, e nessuna delle parti può chiedere all’autorità giudiziaria di farlo valere. Ad esempio, se Tizio (emittente) non restituisce a Caio (utilizzatore) la quota pattuita del denaro, Caio non può certo fare causa per ottenere la restituzione, poiché equivarrebbe a chiedere ai giudici di dare esecuzione ad un patto criminoso (emettere fatture false) – cosa inammissibile.

Similmente, se il “cliente” utilizzatore non paga il corrispettivo fittizio all’emittente come convenuto, quest’ultimo non può rivolgersi al tribunale per ottenere il pagamento della fattura: dovrebbe confessare che era una fattura falsa, e comunque il giudice civile dichiarerebbe nullo il contratto sottostante e negherebbe qualunque azione. È il classico principio “nemo auditur propriam turpitudinem allegans”: nessuno può invocare a proprio vantaggio una situazione illegale da lui stesso posta in essere.

La nullità si estende a ogni negozio giuridico collegato all’operazione fittizia. Ad esempio, se viene simulato un contratto di appalto per giustificare fatture false (come nel caso esaminato da Cassazione n. 45114/2022), quel contratto di appalto è nullo perché in realtà maschera una finalità illecita (somministrazione fraudolenta di manodopera ed evasione contributiva/fiscale). La nullità comporta che gli importi eventualmente pagati in esecuzione del contratto illecito non sono dovuti. Tuttavia, la legge (art. 2033 c.c. e seguenti) stabilisce che in caso di nullità, chi ha eseguito prestazioni ha diritto a ripetere ciò che ha dato, salvo che entrambe le parti fossero consapevoli dell’illiceità (in pari turpitudine). Nelle false fatturazioni, di solito entrambe le parti sono consapevoli e complici, quindi opera il principio: in pari causa turpitudinis, melior est condicio possidentis (se entrambe le parti sono nell’illecito, il giudice non muove un dito: chi ha pagato non può richiedere indietro, chi ha incassato può tenersi i soldi). Ad esempio, Caio paga €10.000 a Tizio per una fattura falsa; poi Caio si pente e vorrebbe indietro i soldi: non potrà ottenerli giudizialmente, perché li ha versati sapendo del patto illecito, e Tizio, pur senza titolo valido, ne è possessore in base a un accordo turpe, quindi “melior est condicio possidentis”. Questo per scoraggiare cause tra complici di reato.

Un limite: se una delle due parti era meno colpevole (ad esempio agiva sotto minaccia, o era indotta in errore sulla liceità), allora si potrebbe valutare una restituzione. Ma nelle frodi fiscali solitamente c’è comune accordo doloso.

Effetti tra privati diretti: In concreto, l’utilizzatore delle fatture false (che ha pagato per costi mai ricevuti) subisce un danno economico – ha sborsato soldi senza contropartita reale – ma non può chiedere risarcimento contrattuale all’emittente perché il contratto era nullo. L’emittente, d’altra parte, se non riceve pagamento, non può esigerlo legalmente. Rimane però una possibilità: se il pagamento è avvenuto ma poi, per esempio, l’utilizzatore viene scoperto e costretto a pagare tasse e multe, potrebbe tentare un’azione di risarcimento del danno contro l’emittente sostenendo che quest’ultimo lo ha coinvolto nella frode causando il danno. Questa via è però impervia: il danno deriverebbe da un fatto illecito comune, e la vittima è co-responsabile (avendo volontariamente partecipato). La giurisprudenza in genere non accorda tutela risarcitoria a chi volontariamente aderisce a un patto illecito poi rivelatosi sconveniente. Diverso il caso in cui l’utilizzatore fosse stato ingannato dall’emittente circa la genuinità dell’operazione: ad esempio, un imprenditore crede di aver acquistato davvero merce, poi scopre che era tutto falso (il fornitore gli ha venduto aria). Qui l’utilizzatore è più vittima che complice, e potrebbe agire per truffa in sede penale e risarcimento danni in sede civile, chiedendo indietro ciò che ha pagato perché non ha avuto la merce/servizio promesso. In tal caso non c’è causa illecita da parte sua (l’accordo era lecito per lui, credeva legittimo l’affare; è l’altro ad averlo ingannato). Questo scenario però, nell’ambito fatture false, è raro: più tipico di truffe commerciali in cui un fornitore finge di vendere qualcosa e sparisce con i soldi (ma allora emette fatture false senza volontà del cliente di evadere; il cliente al contrario voleva la merce). Qui siamo oltre l’ambito puramente fiscale, è un illecito civile e penale comune (truffa contrattuale) dove certamente il truffato può agire per annullare il contratto per dolo e chiedere il risarcimento.

Risarcimento del danno e altre azioni civili correlate

Danni erariali e responsabilità verso terzi: Oltre alle parti stesse della frode, altri soggetti possono subire pregiudizi dalle false fatturazioni. Ad esempio, gli soci o creditori di una società potrebbero risentire di manovre di fatture false utilizzate dagli amministratori per coprire distrazioni di denaro. Si pensi a una società che paga ingenti fatture fittizie a una società terza, sottraendo liquidità e magari portandola al dissesto: i creditori sociali (e i soci di minoranza) sono indirettamente danneggiati. In tali casi, in sede di fallimento, il curatore fallimentare può agire contro gli amministratori (azione di responsabilità) per i danni causati alla società e ai creditori dalla gestione fraudolenta (includendo le false fatture come elemento di bancarotta fraudolenta, ad esempio). L’emittente esterno, se colluso, potrebbe essere chiamato a restituire le somme indebitamente ricevute dalla società fallita in via di azione revocatoria (se i pagamenti erano senza causa, il curatore li recupera come distrazioni patrimoniali). Dunque, civilmente parlando, gli atti di pagamento su fatture inesistenti possono essere considerati atti privi di causa onerosa, suscettibili di revoca fallimentare o azione di arricchimento senza causa.

Ad esempio, in un fallimento, se emergono pagamenti a una cartiera per servizi mai resi, il curatore invocherà la nullità di quei pagamenti (per causa illecita) e chiederà la restituzione delle somme all’emittente, a vantaggio della massa dei creditori. L’emittente in difesa non potrà opporre un valido titolo (la fattura era finta, il contratto nullo). In questi casi, a differenza della situazione “paritariamente illecita” tra le due società, si considera che far restare quei soldi al terzo cartiera aggraverebbe il danno ai creditori estranei all’illecito, quindi i giudici tendenzialmente ne dispongono la restituzione.

Interazione con reati fallimentari: Sovente, le false fatturazioni emergono nel contesto di procedure concorsuali: gli amministratori talora usano fatture false per creare passività fittizie e giustificare ammanchi (bancarotta semplice o fraudolenta documentale). In sede civile fallimentare, la bancarotta comporta l’inefficacia ex lege di taluni atti e la possibilità di azioni recuperatorie come detto. Anche i soci possono, in teoria, agire contro amministratori infedeli per avere deliberatamente danneggiato la società con pratiche illegali (azione di responsabilità ex art. 2393 c.c.); qui le false fatture sarebbero la prova di mala gestio dolosa.

Circolazione di fatture false e affidamento dei terzi: Un altro aspetto civilistico: se una fattura (benché falsa) viene ceduta a un factor o portata a sconto in banca come credito, il terzo cessionario può trovarsi con un credito inesistente. Ad esempio, Tizio emette fattura falsa a Caio, poi cede la fattura (credito) a una società di factoring. Il factor cercherà di escutere Caio, ma Caio dirà “non ti pago perché quell’operazione non esiste e la fattura era fraudolenta”. In tal caso, il factor, se in buona fede, ha un titolo di credito astrattamente ma privo di causa reale. Dovrebbe rivalersi su Tizio (cedente) per garanzia d’incasso mancato. Questi casi invitano i cessionari di crediti commerciali a fare due diligence, perché se il credito sotteso è inesistente, la cessione è nulla per mancanza di causa e il debitore ceduto (Caio) può rifiutare il pagamento. Dunque, c’è un riflesso su eventuali terzi finanziatori.

Querela di falso in sede civile: Come già detto, se una parte volesse contestare l’autenticità di una fattura prodotta in giudizio (ad es. “questa fattura è un falso materiale, io non l’ho mai emessa né ricevuta”), dovrebbe proporre querela di falso. Ciò perché, in mancanza, la fattura fa piena prova contro chi l’ha formata. Ma questo scenario di solito non si verifica tra complici (nessuno querela di falso un documento che ha egli stesso creato). Può avvenire invece se un soggetto disconosce una firma su fattura prodotta contro di lui (es: “questa firma di ricevuta non è mia”). La querela di falso è un procedimento incidentale in sede civile piuttosto raro.

Caso particolare – Fattura falsa come titolo in giudizio: se qualcuno tentasse furbescamente di usare una fattura per operazione inesistente come prova in una causa (ad esempio, un soggetto chiede decreto ingiuntivo ad altri esibendo fatture sapendo che la prestazione non fu resa, confidando che l’altro non si opponga), commetterebbe un illecito processuale e sostanziale. In caso di opposizione, il convenuto farebbe valere la nullità della causa sottostante e il giudice rigetterebbe la domanda ingiuntiva. Inoltre, chi ha azzardato la pretesa potrebbe incorrere in sanzioni per lite temeraria e, in ipotesi estreme, rischiare imputazioni penali (tentata truffa processuale, se l’intento era far condannare qualcuno sapendo di non aver diritto).

Sintesi degli effetti civili:

  • Gli accordi sottostanti alle fatture false sono nulli per illiceità della causa.
  • Nessuna delle parti colluse può pretendere prestazioni dall’altra in forza di tali accordi (nullità insanabile ex art. 1418 c.c.).
  • I pagamenti eseguiti in base a tali accordi non sono ripetibili se entrambe le parti erano consapevoli dell’illecito (in pari delicto).
  • Se invece una parte era incolpevole (ingannata), può agire per annullare l’eventuale contratto per dolo e chiedere restituzioni/risarcimenti.
  • In contesti di dissesto, i pagamenti su fatture false possono essere recuperati dal curatore fallimentare a beneficio dei creditori, sia invocando la nullità (causa illecita) sia come atti di distrazione.
  • Gli amministratori che abbiano causato danno alla società mediante false fatture rispondono civilmente verso la società/creditori (azioni di responsabilità).
  • I terzi estranei coinvolti loro malgrado (es. cessionari di crediti) hanno azioni di rivalsa verso i cedenti se il credito era inesistente.
  • Le pronunce penali e tributarie, pur non vincolanti nel civile, possono costituire elementi di prova. Ad esempio, una sentenza penale definitiva che accerta un accordo illecito è utilizzabile nel giudizio civile come prova della nullità del contratto (efficacia di giudicato ex art. 654 c.p.p., limitatamente all’accertamento dei fatti costituenti reato).

In definitiva, il diritto civile tolera il meno possibile situazioni scaturite da attività illecite come le false fatturazioni: la risposta tipica è la nullità ex tunc di tutti i negozi giuridici coinvolti e la protezione dei terzi estranei (soci, creditori) attraverso strumenti restitutori.


Responsabilità amministrativa degli enti ex D.Lgs. 231/2001

Un aspetto di grande rilevanza introdotto in epoca relativamente recente (fine 2019) è la possibilità che le società e gli enti collettivi rispondano in proprio per i reati di fatture false commessi nel loro interesse. Il D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231 ha istituito la responsabilità “amministrativa” (ma sostanzialmente para-penale) degli enti per alcuni reati commessi da amministratori o dipendenti nell’interesse o a vantaggio dell’ente stesso. Inizialmente i reati tributari erano esclusi, ma con il D.L. 124/2019 (conv. L.157/2019) il legislatore ha inserito anche diversi reati fiscali tra i reati-presupposto della responsabilità 231. Tra questi, in particolare, figurano proprio:

  • Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture false (art. 2 D.Lgs. 74/2000) – art. 25-quinquiesdecies, comma 1, lett. a) D.Lgs. 231/2001.
  • Emissione di fatture false (art. 8 D.Lgs. 74/2000) – art. 25-quinquiesdecies, comma 1, lett. d) D.Lgs. 231/2001.

In buona sostanza, se un dirigente o un dipendente di una società commette uno di questi reati nell’interesse o a vantaggio della società, anche la società stessa potrà essere chiamata a rispondere dinanzi al giudice penale, nel parallelo procedimento a suo carico previsto dal D.Lgs. 231/2001.

Presupposti della responsabilità ente: Servono due condizioni fondamentali: (1) che un soggetto apicale (es. amministratore, direttore finanziario) o comunque sottoposto alla direzione dell’ente commetta il reato fiscale; (2) che il reato sia stato commesso “nell’interesse o vantaggio” dell’ente. Nel caso di false fatturazioni, è frequente che entrambe le condizioni ricorrano: ad esempio, l’amministratore evade le imposte usando fatture false, ottenendo un risparmio di imposta per la società (vantaggio patrimoniale diretto). La società in tal caso beneficia del reato (meno tasse pagate), quindi risponde anch’essa. Se invece l’operazione fosse avvenuta solo a vantaggio personale del soggetto (ipotesi rara, perché di solito l’evasione giova almeno in parte anche alla società), allora l’ente potrebbe evitare la responsabilità.

Sanzioni per la società: Le sanzioni a carico dell’ente, in caso di accertata responsabilità, sono principalmente pecuniarie ma possono comprendere anche misure interdittive. Per i reati di cui agli artt. 2 e 8, il D.Lgs. 231/2001 (art. 25-quinquiesdecies, come modificato) prevede una sanzione pecuniaria fino a 500 quote per le ipotesi più gravi. Il sistema 231 funziona a “quote”: il giudice determina un numero di quote (max 500) in base alla gravità del fatto, e assegna a ciascuna quota un valore in € (da un minimo di circa €258 fino a €1.549, secondo la capacità economica dell’ente). Così, 500 quote al massimo valore darebbero circa €774.500 di multa. Queste sono le cifre in gioco per i reati di fraudolenta con fatture false (art.2) ed emissione (art.8) in forma aggravata. Per le forme attenuate (importi minori, commi 2-bis), sono previste sanzioni leggermente inferiori (fino a 400 quote).

Oltre alla sanzione pecuniaria, possono scattare sanzioni interdittive se il reato è particolarmente grave o sistematico: ad esempio, l’interdizione dall’esercizio dell’attività (temporanea), la sospensione o revoca di autorizzazioni e licenze, il divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione, l’esclusione da finanziamenti e contributi pubblici. Nel caso di frodi fiscali seriali a vantaggio dell’azienda, un tribunale potrebbe applicare (anche in via cautelare) misure come il divieto di esercitare l’attività per 6 mesi o 1 anno, o la proibizione di partecipare a gare pubbliche per un certo periodo, soprattutto se l’azienda è coinvolta in frodi carosello a livello internazionale (dove l’UE esige rigore).

Esempio: Alfa S.p.A., azienda di costruzioni, tramite i suoi dirigenti ha utilizzato fatture false per ridurre gli utili e non pagare imposte per €2 milioni. Il PM contesta il reato all’amministratore delegato per dichiarazione fraudolenta (art.2). Poiché il fatto ha portato un vantaggio ad Alfa (risparmio d’imposta, quindi utili maggiori distribuibili ai soci), viene aperto procedimento anche a carico di Alfa S.p.A. ex D.Lgs.231/2001. Il giudice, se riconosce la responsabilità dell’ente, potrebbe infliggere ad Alfa una sanzione pecuniaria – ad esempio 300 quote dal valore di €1.000 ciascuna, pari a €300.000 – e, considerata la gravità, anche un’interdizione temporanea da attività di gare pubbliche per 1 anno. Alfa, per attenuare il proprio destino, potrebbe aver adottato un modello organizzativo 231 prima del fatto o quantomeno successivamente collaborare, cercando di escludere la propria colpa organizzativa.

Modelli organizzativi e esonero di responsabilità: Infatti, il D.Lgs. 231 esenta l’ente da responsabilità se prova che: a) prima della commissione del reato aveva adottato ed efficacemente attuato un Modello di organizzazione, gestione e controllo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi; b) aveva affidato a un Organismo di Vigilanza il compito di vigilare sul modello; c) le persone hanno eluso fraudolentemente il modello; d) non vi è stata omessa vigilanza da parte dell’OdV. Tradotto: l’azienda deve dimostrare di aver fatto di tutto per prevenire le frodi fiscali al proprio interno. Dato che i reati tributari sono stati inseriti nel catalogo solo di recente, molte imprese dal 2020 in poi hanno aggiornato i loro modelli 231 includendo protocolli di controllo in area fiscale (doppie firme su certe operazioni, procedure di selezione fornitori, audit sui costi anomali, etc.). Se l’ente riesce a convincere il giudice di aver adottato un modello adeguato e che il manager disonesto lo ha aggirato a tradimento, può andare esente da sanzioni. Altrimenti, la colpa organizzativa ricade sull’ente.

Procedimento: La contestazione all’ente avviene nello stesso processo penale del reo, con garanzie analoghe (difensore, diritti, ecc.). Nel caso di patteggiamento del reo, l’ente può patteggiare a sua volta la sanzione. Sono già comparsi i primi casi giurisprudenziali: ad esempio, alcuni patteggiamenti 231 per frodi IVA transnazionali (dove l’ente ha concordato una multa e l’adozione di modelli organizzativi come condizione). Alla data del 2025 non risultano ancora numerosissime sentenze su art.25-quinquiesdecies, data la novità (in vigore da fine 2019), ma la prassi si sta formando.

Effetti pratici per le imprese: L’introduzione di questa responsabilità ha importanti risvolti: un’azienda che tollera o incentiva false fatturazioni ora rischia non solo gli accertamenti e i danni reputazionali, ma una condanna penale con pesanti sanzioni pecuniarie e possibili stop operativi. Questo spinge le società a dotarsi di sistemi di controllo interno per evitare che i propri dirigenti/employees generino o utilizzino fatture false. Ad esempio, implementare verifiche incrociate sui fornitori (verifica esistenza reale, white list), controlli contabili di coerenza tra merci movimentate e fatture, segnalazioni interne anonime (whistleblowing) se qualcuno sospetta fatturazioni fittizie, formazione del personale amministrativo sull’etica fiscale. Inoltre, in caso di procedimento 231, la società può attenuare la posizione se, dopo il fatto, collabora attivamente con l’autorità, elimina le carenze organizzative, risarcisce il danno (pagando le imposte evase). Queste condotte post-factum possono portare a riduzioni di pena o addirittura a evitare sanzioni interdittive.

Sintesi: la responsabilità ex D.Lgs. 231/2001 in materia di fatture false crea un ulteriore livello di deterrenza e di difesa legale. Dal lato difensivo, nel rappresentare un’azienda coinvolta, bisognerà verificare se l’azienda disponeva di un modello 231 adeguato e documentare tutte le misure di compliance adottate per prevenire la frode (o quelle intraprese subito dopo per mitigare). Ad esempio, se un direttore finanziario ha agito da solo a insaputa dei vertici, l’ente potrà difendersi mostrando procedure formalizzate che quell’individuo ha violato intenzionalmente. Diversamente, se la condotta era approvata dall’organo amministrativo, la via dell’esonero è preclusa: l’ente potrà solo puntare a un patteggiamento, magari offrendo un risarcimento allo Stato pari alle imposte evase (questo può convincere la Procura a sanzioni ridotte).

In conclusione, la “doppia punibilità” persona fisica + ente è oggi realtà per le false fatturazioni. Ciò rende ancora più pericoloso per un imprenditore disonesto cercare vantaggi tramite fatture inesistenti: non solo rischia personalmente la galera, ma espone la propria azienda a multe e interdizioni che possono comprometterne la sopravvivenza. D’altro canto, dal punto di vista di una società virtuosa, l’aver implementato efficaci misure di controllo può costituire un’importante difesa legale in caso che un dipendente deviante commetta frodi fiscali isolatamente, permettendo all’ente di evitare la stigmatizzazione penale e limitarsi alle conseguenze economiche in ambito tributario.


Esempi e simulazioni pratiche nei settori economici rappresentativi

Le dinamiche delle false fatturazioni possono variare a seconda del settore economico, adattandosi alle peculiarità di ciascun ambito. Di seguito presentiamo alcuni casi esemplificativi in settori particolarmente esposti al fenomeno – con la descrizione dello scenario tipico, le possibili contestazioni legali e gli elementi di difesa che potrebbero emergere in ciascun contesto.

Settore edilizia

Scenario tipico: L’impresa edile EdilBeta S.r.l. subisce forti costi e pressione competitiva. Per ridurre gli utili tassabili e generare liquidità “in nero”, l’amministratore concorda con un’altra società (spesso creata ad hoc) lo scambio di fatture false. In pratica, EdilBeta riceve fatture per opere mai eseguite o manodopera mai prestata – ad esempio finti noleggi di macchinari, consulenze di cantiere fantasma, subappalti mai avvenuti. Le società emittenti in questo settore sono talvolta imprese edili minori o ditte individuali intestate a prestanome, prive di attrezzature e di operai (le “cartiere”). EdilBeta paga le fatture (magari tramite bonifico), ottiene la detrazione IVA e la deduzione del costo, poi l’emittente restituisce clandestinamente l’80-90% dell’importo a EdilBeta (trattenendo una percentuale). Così EdilBeta ha trasformato costi fittizi in denaro contante da impiegare per pagare operai a nero o per arricchire i soci, mentre l’emittente intasca la commissione e non versa l’IVA.

Violazioni contestate: In questo scenario, EdilBeta commette il reato di dichiarazione fraudolenta (art.2) per l’utilizzo delle fatture false, e l’amministratore può essere perseguito penalmente. Fiscalmente, l’Agenzia Entrate recupererà l’IVA detratta sulle fatture di subappalto inesistenti e i costi indebitamente dedotti (tipicamente, costi per servizi mai resi). Verranno applicate sanzioni del 90-180% su IVA e IRES evase. L’impresa emittente (la cartiera) risponde del reato di emissione (art.8) e si vedrà reclamare l’IVA sulle fatture emesse (più sanzione 30% per omesso versamento, se ha omesso di pagare). Inoltre, se EdilBeta partecipava a gare pubbliche, potrebbe essere segnalata e esclusa da appalti per perdita dei requisiti morali.

Elementi di difesa possibili: Talvolta, in edilizia, può esservi margine per sostenere che qualche prestazione è stata eseguita davvero. Ad esempio, EdilBeta potrebbe provare che i lavori sono stati effettivamente svolti, solo che l’azienda fornitrice reale era diversa (inesistenza soggettiva). Se riesce a dimostrare che operai di altre ditte hanno realmente lavorato in cantiere (magari dipendenti di imprese non autorizzate), può ridimensionare l’accusa a irregolarità formale (illecita somministrazione di manodopera) invece che totale simulazione. Tuttavia, resta l’evasione contributiva e la nullità del subappalto fittizio. Un altro elemento difensivo potrebbe essere la buona fede dell’appaltatore qualora egli abbia subìto una frode: si pensi a un caso (meno comune) in cui la direzione lavori inserisce fatture di fornitori mai visti, ingannando l’amministratore. In quel caso, l’imprenditore potrebbe sostenere di non aver avuto consapevolezza (ma dovrebbe dimostrare di aver vigilato). Nel penale, una strategia comune è risarcire il danno erariale (pagare le imposte evase) prima possibile per evitare la condanna: nel mondo edilizio, questo a volte accade quando l’imprenditore vuole continuare ad accedere ad appalti e ripulire la posizione. Sul piano civile, eventuali committenti dei lavori (es: il cliente finale che ha subìto costi gonfiati caricati nel SAL) potrebbero agire contro l’impresa scoprendo di aver pagato lavori mai eseguiti (ma qui sconfiniamo nella truffa contrattuale). In generale, l’edilizia è un settore ad alto rischio di verifica: la difesa dovrà essere solida su prove documentali (si guarderanno quantità di materiali impiegati, confronto tra lavori dichiarati e maestranze effettivamente presenti, etc.).

Settore consulenza e servizi professionali

Scenario tipico: La società di consulenza Alpha Consulting S.r.l. ha generato utili consistenti. Per abbattere il reddito e prelevare utili occultamente per i soci, registra fatture per consulenze fittizie. Ad esempio, si fa emettere fatture da una ditta amica per “studi di mercato” o “consulenza aziendale” mai realizzati. Oppure, in ambito informatico, fatture per “sviluppo software” inesistenti. Spesso le prestazioni intangibili sono ideali per simulare (non lasciano tracce materiali). Anche professionisti individuali possono ricorrere a questo sistema: ad es., un avvocato crea una seconda società che gli fattura servizi inesistenti scaricando costi. In altri casi, le false fatture servono a costituire fondi neri per pagare tangenti o compensi extra: l’azienda versa a un consulente compiacente, il quale poi restituisce i soldi ai dirigenti (schema usato in corruzioni, dove la tangente viene mascherata da pagamento di finta consulenza).

Violazioni contestate: L’utilizzatore (Alpha Consulting) incorre nel reato di frode fiscale se supera le soglie, e comunque in sanzioni tributarie per dichiarazione infedele. L’emittente (il consulente fittizio) commette emissione di fatture false. Nel caso di tangenti, si aggiungerebbero reati di corruzione, ma limitiamoci al profilo fiscale. L’Agenzia delle Entrate, durante un controllo, nota che Alpha ha pagato €300.000 per “consulenza strategica” a una società (Omega) che ha un solo dipendente part-time e nessun curriculum: è un forte indizio di inesistenza. Verrà ripreso a tassazione l’importo, recuperata l’IVA detratta, e contestata la sanzione 90-180%. Se Omega non ha versato IVA, subirà a sua volta accertamento per omessa dichiarazione e la GdF inoltrerà denuncia.

Elementi di difesa possibili: Nel settore servizi, la difesa può tentare di dimostrare l’avvenuta prestazione in modo non tangibile: presentare elaborati, report, slide, deliverable digitali che possano giustificare almeno in parte il pagamento. Ad esempio, se contestano uno “studio di mercato”, il contribuente può esibire un documento di analisi (anche se magari lo ha redatto internamente, tenterà di farlo passare come prodotto dal consulente esterno). In mancanza, spesso la linea è sostenere che la consulenza fosse reale ma resa in forma informale (colloqui orali, consigli telefonici) – tuttavia, le Corti sono scettiche di fronte a prestazioni senza traccia né output. Sul piano soggettivo, l’azienda potrebbe sostenere di essere stata convinta da Omega di utilità del servizio senza rendersi conto dell’inconsistenza: per esempio, se Omega presentava una parvenza di società di consulenza, Alpha dirà di aver creduto genuinamente nel servizio, e che se Omega non l’ha svolto è colpa di quest’ultima. Questo per scaricare dolo su emittente. È una difesa di buona fede difficile, ma potrebbe attecchire in situazioni borderline (tipo un nuovo amministratore che eredita contratti sospetti fatti dal predecessore e li paga in buona fede). Nei casi di fatture usate per tangenti, la difesa è complicata perché emergono di solito evidenze (es. intercettazioni) che rivelano lo scopo illecito; in tali casi è frequente il patteggiamento concordato di tutti, magari restituendo il maltolto. Per i professionisti individuali, un argomento di difesa può essere l’errore di valutazione: “ritenevo deducibile X costo” o “era consulenza ma di valore sovrastimato, semmai infedele non fraudolenta” – un modo per cercare derubricazione in art.4 (dichiarazione infedele, contravvenzione meno grave) se l’uso di documenti falsi non è macroscopico. Ad esempio, se l’importo è piccolo e comunque un’attività minima c’è stata, l’avvocato potrebbe farsi ricondurre a infedele (imposta evasa < soglia) e uscirne penalmente. Tutto dipende dalle prove: in mancanza di evidenza diretta di accordo fraudolento, una minima parvenza di servizio svolto potrebbe instillare dubbio.

Settore trasporti e logistica

Scenario tipico: Nel commercio di beni (materie prime, elettronica, carburanti) a volte si creano catene di società “cartiere” che emettono fatture di vendita senza mai consegnare fisicamente la merce, per creare finti passaggi e frodare l’IVA (frodi carosello). Un’azienda di trasporti potrebbe essere coinvolta come emittente o utilizzatrice di fatture per trasporti mai effettuati: ad es., SpeedTruck Srl fattura a vari clienti trasporti inesistenti per permettere ai clienti di creare costi deducibili (magari in cambio i clienti assumono autisti di SpeedTruck in nero ecc., intrecciando favore). Oppure, nel settore carburanti, accade che distributori compiacenti emettano fatture di carburante mai erogato per far ottenere crediti di imposta (è successo con accise e IVA).

Violazioni contestate: Qui tipicamente c’è un filone di frode IVA; la GdF scopre che determinati viaggi o forniture dichiarati non risultano nei sistemi (cronotachigrafi, pedaggi autostradali, bolle di consegna assenti). Vengono contestate fatture per operazioni inesistenti come tali. Le aziende utilizzatrici (es. società industriali che si sono scaricate costi di trasporto finti) incorrono in art.2 e in sanzioni tributarie. L’azienda di trasporto emittente risponde di art.8. Se la frode è organizzata su scala internazionale (es. carosello di carburanti con un missing trader estero), scattano anche misure severe come sequestri preventivi elevati e cooperazione OLAF (in tal caso, trattandosi di frode IVA comunitaria >10 milioni, c’è l’aggravante PIF).

Elementi di difesa possibili: Nel trasporto merci, la difesa potrebbe consistere nel fornire tracce alternative dei servizi: ad esempio, presentare qualche bolla di accompagnamento, registro autisti, prove che in effetti i trasporti c’erano ma magari la documentazione era carente. Se la contestazione è che i trasporti non si potevano fare per mancanza di mezzi, l’azienda imputata potrebbe replicare di aver subappaltato i viaggi a terzi vettori (quindi esistevano ma li fecero altri): così trasformerebbe l’accusa in un’omissione formale (non indicazione sub-vettore) invece che operazione inesistente. Dovrebbe però indicare chi sarebbero questi sub-vettori e magari produrre fatture. Spesso però la realtà è che non c’è stato proprio movimento. Un’altra strategia è attaccare la prova: nel trasporto, l’assenza di tracce telematiche non è prova certa di inesistenza (es. un camion potrebbe circolare senza telepass o con apparecchio di altra ditta). La difesa può tentare di generare dubbio: “il trasporto può essere avvenuto su mezzi di ditte partner, ecco alcuni DDT mancanti…” Così da minare l’assoluta certezza dell’inesistenza. Sul piano del dolo, se l’imprenditore di SpeedTruck viene accusato di emissione seriale, potrebbe cercare di negoziare riduzioni di pena collaborando (es. indicando la filiera a monte – in frodi carosello spesso c’è collaborazione per risalire all’organizzazione). In ambito tributario, come sempre, fornire documenti di trasporto reali è la miglior difesa; se inesistenti, il contribuente in genere soccombe. Curioso il caso del carburante: le difese cercavano di sostenere perdite, cali tecnici, etc., ma se i volumi sono alti senza traccia fisica (benzina non erogata), c’è poco da fare.

Settore commercio e distribuzione

Scenario tipico: Nel commercio all’ingrosso, a volte si gonfiano i costi di acquisto con fatture false per ridurre gli utili. Ad esempio, FoodImport Srl importa meno merce di quanta ne fatturi in contabilità: alcune fatture di acquisto da società estere o cartiere nazionali coprono merce inesistente, generando costi fittizi e anche crediti IVA (se intracomunitario). Oppure, TechRetail Spa emette fatture di vendita a società fittizie per giustificare il calo di magazzino, poi quelle società spariscono (frode carosello, di nuovo). Nel commercio al dettaglio, scenario opposto: un esercente che fa vendite in nero potrebbe procurarsi fatture d’acquisto false per creare costi (anche se più comune è la sottofatturazione acquisti, non l’invenzione di costi). Un altro schema: sovrafatturazione delle merci importate – con complici all’estero che fatturano più del valore reale, generando costi deducibili extra trasferendo fondi all’estero (anche legato a evasione valutaria).

Violazioni contestate: Se un’azienda deduce costi su fatture di magazzino inesistenti, l’Agenzia incrocia i dati di carico/scarico e nota incongruenze (magazzino contabile vs fisico). Scatterà la contestazione di dichiarazione infedele fraudolenta. Lato emissione, se TechRetail ha emesso a clienti finti, la GdF noterà crediti IVA anomali e scoprirà che i clienti non hanno sede reale: accusa di emissione. Nel caso di sovrafatturazione da fornitori esteri (soggettivamente inesistenti, nel senso la merce c’è ma valore gonfiato), è più difficile da scoprire perché la merce entra; tuttavia, audit doganali e confronti con listini possono evidenziare il trucco. Anche qui possibile reato (se importatore consenziente).

Elementi di difesa possibili: Nel commercio spesso c’è un riscontro fisico. La difesa può utilizzare inventari, movimenti di magazzino per giustificare che le fatture erano relative a merce effettiva. Se l’accusa è che FoodImport ha fatture per 1000 kg di caffè mai arrivati, la difesa potrebbe mostrare che quei 1000 kg erano mescolati in lotti arrivati (facendo passare per reale qualcosa). Spesso la contabilità parallela (in nero) è tenuta segreta, quindi l’azienda in causa è restia a rivelare la verità (che vendite in nero hanno assorbito quell’eccedenza di fatture). Capita che in extremis, per salvarsi dal penale, l’imprenditore confessi parzialmente l’evaso: “Sì, quelle fatture coprivano merce rubata o perdite…” – cercando di spiegare la discrepanza con cause non fraudolente. È rischioso ma a volte tentato. Nel caso di vendite a clienti finti, la difesa può dire: “pensavo fossero clienti veri, mi hanno truffato non pagando e sparendo” – convertendo la situazione in frode subita e perdite su crediti. Però se quell’IVA l’hanno detratta in dichiarazione, contraddice il non incasso (non potevi detrarre l’IVA su mancato incasso se cliente finto, a meno di nota di credito). Quindi anche lì è debole. In sovrafatturazione estera, una difesa è sostenere che il prezzo più alto era giustificato da qualità o servizi accessori invisibili (ad es. un macchinario fatturato alto perché includeva licenza software, know-how). Bisogna supportare con valutazioni indipendenti se possibile. Altrimenti, se scoperti, spesso si patteggia o definisce pagando il dovuto. Un aspetto: nei settori import-export può essere coinvolta la dogana e profilarsi il reato di contrabbando se c’è evasione dazi. La difesa penale potrebbe puntare su eventuali lacune normative (in passato alcune dichiarazioni IVA infedeli non integravano reato se solo su operazioni intracomunitarie, ma la legge è stata chiarita in senso estensivo).

Settore intermediazione e agenzie

Scenario tipico: Nel mondo dell’intermediazione (agenti di commercio, mediatori immobiliari, broker vari) può succedere che si emettano fatture di provvigioni mai maturate. Ad esempio, StarMediations agenzia immobiliare, vuole creare costi: fa figurare provvigioni passive pagate a collaboratori fittizi per vendite di immobili. Oppure un agente plurimandatario scarica fatture da sub-agenti inesistenti. L’idea è abbassare il reddito imponibile giustificando che una parte delle commissioni è andata a terzi. In ambito finanziario, ricordiamo gli scandali di fatture false per consulenze finanziarie per coprire retrocessioni occulte. Anche qui i servizi immateriali fanno da veicolo.

Violazioni contestate: L’amministrazione finanziaria, in sede di controllo, guarderà la documentazione dei contratti mediati. Se StarMediations ha pagato €50k di provvigioni a “Mario Bianchi” per vendite, cercheranno evidenza che Mario Bianchi abbia effettivamente collaborato (nomina, accordo di co-agency, testimonianze clienti). Se nulla risulta, quell’importo è indeducibile e appare come manovra evasiva, con denuncia se sopra soglia. Simile per gli agenti: l’AdE confronterà la catena di sub-agenzia. Questo settore è meno “massivo” rispetto a costruzioni o commercio, ma i principi identici.

Elementi di difesa possibili: Una difesa è trovare qualcuno che testimoni di aver effettivamente ricevuto parte delle commissioni come procacciatore d’affari (magari in nero, ma poi gli si fa fare una dichiarazione retroattiva “sì ho collaborato senza contratto”). Attenzione però: se uno ammette di aver preso soldi in nero, si autodenuncia a INPS e Fisco. Spesso non c’è chi accetti. Un’altra difesa: l’intermediario può sostenere che il collaboratore ha lavorato “sotto traccia” (es. presentando cliente, etc.) e che la fattura era corretta, ma il Fisco non ne trova riscontro perché era rapporto fiduciario verbale. Questa è la classica affermazione non supportata: difficilmente convincerà. Nel penale, il mediatore imputato potrebbe cercare di cavarsela sostenendo l’assenza di dolo specifico (“pensavo di poter dedurre la spesa perché quell’informatore mi ha presentato clienti, se poi non avevamo formalizzato… era un errore, non volevo evadere”). Se le somme non sono esagerate, magari l’accusa può derubricare a infedele per errore interpretativo. D’altra parte, se di importi cospicui e magari periodici, il disegno fraudolento appare chiaro. Sul piano civile, in caso di litigio con soci o partner, questi potrebbero accusare l’amministratore di essersi intascato lui quelle provvigioni (e le fatture false servivano a mascherare appropriazioni). Avviene in alcune cause societarie: un socio di minoranza scopre spese per provvigioni a soggetti opachi e denuncia l’amministratore per distrazione (magari insinuando che l’incasso sia tornato all’amm.re stesso). In giudizio civile ciò può portare a condanna risarcitoria se provato. Nel penale, se emergesse appropriazione, oltre all’evasione ci sarebbe peculato (se società pubblica) o appropriazione indebita.

Settore informatica e servizi ICT

Scenario tipico: In ambito ICT, la materia prima è conoscenza, difficile da quantificare. Ciò offre terreno fertile per fatture false di servizi informatici: sviluppo software mai avvenuto, licenze fantasma, campagne SEO fittizie. Una software house potrebbe creare società satellite cui far fatturare parti di progetto inesistenti. Oppure, nelle startup tech, si gonfiano i costi di R&D fatturando servizi mai resi per ridurre utili o per aumentare spese ammissibili a contributi pubblici (talvolta per ottenere più fondi agevolati, generano fatture false di spese di ricerca).

Violazioni contestate: Uguale schema: l’AdE esaminerà i deliverable dei progetti. Se DigitalWorks Srl ha portato in detrazione €200k di fatture per “sviluppo app mobile esternalizzato” ma poi l’app l’hanno sviluppata i propri dipendenti, quelle fatture esterne sono simulate. Scatta accertamento per costi indeducibili e IVA indetraibile, con denuncia se rilevante. Nel caso di truffa a contributi (spese fittizie rendicontate a un ente pubblico), c’è anche reato di indebita percezione di fondi.

Elementi di difesa possibili: In informatica, è facile dire “abbiamo provato a sviluppare col fornitore esterno, poi quel lavoro era scadente e l’abbiamo rifatto internamente”: così si giustifica il perché non risultano output tangibili dal fornitore. Si tenta di far passare la spesa come reale ma con risultato buttato – non elimina l’indeducibilità (una spesa va comunque supportata da prestazione utile, se totalmente inutile può essere contestata come antieconomica), però sposterebbe il discorso su valutazioni aziendali errate più che frode. Servono però evidenze minime: e-mail col fornitore su revisioni di codice, contratti di sviluppo, ecc. Una difesa creativa può essere dire che il servizio è stato reso sotto forma di cessione di know-how o formazione informale che non lascia tracce. Ad esempio: “Il consulente IT ha trasferito competenze al nostro team attraverso sessioni non documentate”. È fragile, ma in assenza di controparti, il giudice tributario se scettico la boccia; penalmente potrebbe ridurre la colpa a errore (difficile). Altro stratagemma: il servizio parziale. L’azienda può ammettere “sì, la fattura era un po’ sovrastimata rispetto all’effettivo lavoro, ma non del tutto falsa”. Così tenta di evitare la sanzione penale (che richiede elementi passivi fittizi superiori al 5% o soglia) dicendo che la parte fittizia era piccola (sotto soglia). Se convincente, potrebbe ridurre la contestazione. Ovviamente serve quantificare la parte reale vs gonfiata, ed è tutto ex post – rischioso come linea. Sul fronte 231, se l’ICT company è strutturata e qualcuno ha fatto ciò per migliorar conti, l’ente risponde come visto. Ormai anche PMI tech implementano modelli anti-frode interna per evitare che CFO facciano questi giochini.


Domande e Risposte (FAQ) su casi pratici e controversie frequenti

Di seguito una serie di domande comuni riguardanti le fatture false e le relative risposte, per chiarire i dubbi più ricorrenti su aspetti pratici e giuridici.

D: Cosa si intende esattamente per “fattura falsa” o “fattura per operazioni inesistenti”?
R: Si tratta di una fattura (o altro documento fiscale equipollente) emessa a fronte di un’operazione che in realtà non è mai avvenuta o non è avvenuta nei termini indicati. Può essere completamente falsa (nessun bene ceduto/servizio reso) oppure parzialmente falsa (quantità o prezzo gonfiati, operazione tra soggetti diversi da quelli reali). In ogni caso, il documento non rispecchia la realtà economica ed è creato al solo scopo di fornire un’apparenza di legittimità a costi o crediti fittizi. Ad esempio, se emetto una fattura per una consulenza mai prestata, quella è una fattura falsa; se compro 10 unità di merce ma la fattura ne riporta 100, la parte eccedente è inesistente; se fatturo una vendita come se l’avesse fatta una società interposta anziché la mia, la fattura è soggettivamente falsa.

D: Quali sono le sanzioni penali per chi usa fatture false?
R: L’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti per evadere le imposte configura il reato di dichiarazione fraudolenta ex art. 2 D.Lgs. 74/2000. La pena, dopo le riforme recenti, è molto severa: reclusione da 4 a 8 anni nei casi più gravi (frode oltre €100.000 di importo fittizio) e da 1 anno e 6 mesi a 6 anni negli altri casi. Inoltre, la condanna comporta pene accessorie come l’interdizione dagli uffici direttivi di imprese e il divieto di contrattare con la PA per un periodo. Va aggiunto che, se l’azienda ne ha beneficiato, può essere chiamata a rispondere anch’essa con pesanti sanzioni pecuniarie fino a 500 quote ex D.Lgs. 231/2001. Quindi, chi “acquista” fatture false rischia il carcere per diversi anni (non sono reati coperti da indulto o depenalizzazione) e la società per cui lo fa rischia multe centinaia di migliaia di euro.

D: E per chi invece emette fatture false?
R: L’emittente commette il reato opposto, di cui all’art. 8 D.Lgs. 74/2000 (emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti). La pena è identica: reclusione 4-8 anni per i casi sopra €100.000, e 1 anno e 6 mesi – 6 anni per quelli minori. Dunque anche chi “vende” fatture false rischia seriamente la detenzione. Spesso, chi emette lo fa in modo seriale e organizzato: in tali casi i giudici tendono a applicare pene esemplari verso l’alto della forbice. Da notare che l’emittente non può difendersi dicendo “ma il cliente poi non l’ha usata in dichiarazione”: la mera emissione con intento fraudolento è reato consumato. Inoltre anche l’emittente può far incorrere la propria società (se agiva per conto di una società) nella responsabilità 231 con sanzioni analoghe a quelle dette.

D: Esiste una soglia di importo sotto la quale l’uso di fatture false non è reato?
R: Sì. Il reato di dichiarazione fraudolenta (art. 2) richiede che l’evasione di imposta superi €30.000 e che gli elementi sottratti > 5% del dichiarato o > €1 milione. Quindi, se uno usa una fattura falsa di piccolo importo con incidenza trascurabile, potremmo essere sotto soglia penale. In tal caso rimane l’illecito fiscale amministrativo (pagherà le imposte e la sanzione tributaria del 90-180%), ma non scatta il penale. Facciamo un esempio: fattura falsa da €5.000 di costo con IVA 22% = l’IVA indebitamente detratta è €1.100 e l’IRES evasa sui 5.000 è €1.200 – totale circa €2.300 di imposte evase. Siamo ben sotto €30.000, dunque non è reato (art. 2 non si configura). Attenzione però: se uno utilizza tante fatture piccole e complessivamente supera le soglie nell’anno, allora diventa reato (si guarda l’importo complessivo per periodo d’imposta). Inoltre, l’emissione (art. 8) non ha soglie: anche una sola fattura falsa di €1 può essere reato, sebbene nella pratica per importi irrisori si applichi l’art.131-bis c.p. (non punibilità per tenuità). In sintesi, dal lato utilizzatore c’è una “franchigia” per violazioni bagatellari, dal lato emittente no formale soglia (ma l’interesse penale per casi minimi è scarso, di solito).

D: Se emetto una fattura falsa ma poi la annullo con una nota di credito, evito il reato?
R: No, una volta emessa e consegnata la fattura falsa, il reato di emissione è già consumato. L’eventuale nota di credito emessa successivamente (magari dopo aver incassato e restituito il denaro) spesso è uno stratagemma usato per mettere a posto la contabilità, ma non cancella l’illecito originario. La giurisprudenza ha chiarito che l’emissione di fatture inesistenti anche se poi annullate configura comunque il reato; il tardivo ravvedimento non esclude la punibilità, semmai può incidere come attenuante generica. Dal punto di vista fiscale, la nota di credito potrebbe impedire la detrazione indebita se fatta nello stesso anno, ma se l’amministrazione scopre il giro, considererà la sequenza fattura-falsa/nota-credito come prova del tentato depistaggio. Quindi, non è una via per “pulirsi” penalmente. L’unica via per evitare il reato sarebbe che la fattura non venga proprio utilizzata in dichiarazione e che l’operazione venga totalmente stornata spontaneamente prima di eventuali verifiche: in tal caso l’utilizzatore potrebbe non presentare dichiarazione fraudolenta e l’emittente, se dimostra di aver annullato prima che il cliente la usasse, magari si salva dal dolo (ma è molto sottile come scusa). In pratica, annullare ex post non vi esonera, soprattutto se lo fate dopo che è iniziata una verifica (in tal caso è inutile ai fini penali).

D: Se un imprenditore utilizza fatture false all’insaputa (o contro la volontà) dell’amministratore delegato o della proprietà, chi ne risponde?
R: Penalmente, ne risponde la persona fisica che ha posto in essere la condotta fraudolenta con dolo. Bisogna vedere i casi: se è l’amministratore stesso a orchestrare il tutto, chiaramente risponde lui. Se invece un responsabile finanziario o contabile inserisce fatture false senza che l’AD lo sappia, teoricamente il responsabile finanziario commette il reato (magari come concorso con l’emittente). L’AD può andare esente se davvero estraneo. Tuttavia, in diritto penale societario l’amministratore firmatario delle dichiarazioni fiscali è spesso ritenuto garante della veridicità: se in sede processuale dichiara che il direttore finanziario ha fatto tutto di nascosto, potrebbe essere credibile ma dovrebbe provare di non aver avuto alcun segnale e di aver subito anch’egli un raggiro interno. Non è impossibile – specie in aziende grandi dove la dichiarazione la prepara l’ufficio fiscale. In tal caso il funzionario infedele potrebbe essere l’unico imputato. Resta la responsabilità amministrativa della società: l’ente risponderebbe comunque ex 231 se quel dipendente agiva per vantaggio dell’ente (risparmio tasse). L’ente potrebbe cercare esonero dimostrando di avere modelli organizzativi adeguati e che il dipendente li ha violati fraudolentemente, come detto. Ma se il modello non c’era o era carente, la società paga. Quindi, la proprietà o i soci in sé non hanno responsabilità penale (il reato è personale), però ne patiscono le conseguenze indirette (società sanzionata e patrimonio sociale intaccato, AD eventualmente coinvolto se non vigile). In sintesi: penalmente risponde l’autore materiale con dolo; per l’amministratore “ignaro” c’è uno spiraglio di difesa per difetto di dolo se dimostra di non sapere; la società rimane potenzialmente responsabile in sede 231 salvo prova di organizzazione preventiva efficace.

D: Aver pagato realmente la fattura falsa (cioè aver movimentato il denaro) cambia qualcosa?
R: Sul piano fiscale no – il costo rimane fittizio anche se l’hai effettivamente pagato, perché la controprestazione non esiste. Sul piano penale, qualcuno in passato ha cercato di sostenere che se c’è pagamento integrale allora l’operazione non sarebbe fittizia (tesi: “ho pagato davvero quindi la fattura non era falsa”); la Cassazione lo ha respinto: pagare un documento falso non lo rende vero, significa solo che hai sostenuto una spesa senza causa (o con causa illecita). Spesso però il pagamento reale serve per creare il fondo nero (ti tornano indietro i contanti). Quindi, il fatto che la somma sia uscita dal conto non evita nessuna sanzione. Anzi, fornisce evidenza finanziaria del fatto: se non avessi pagato, qualcuno avrebbe potuto dire che era un errore di registrazione. Pagando, hai manifestato compiutamente l’operazione simulata. In casi eccezionali, il pagamento può avere rilievo se uno vuole sostenere di essere stato truffato: “vedete, io ho pure pagato, credevo fosse tutto regolare” – ma se poi ti sei fatto restituire i soldi in contanti sottobanco, quel pagamento era solo schermo. Dunque, nel 99% dei casi pagare o non pagare non cambia la qualificazione di fattura inesistente. Nota: se non paghi la fattura fittizia, l’emittente di solito non te ne rilascia altre! Quindi nei rapporti tra complici c’è sempre un giro pagamenti (bonifici, assegni) per dare parvenza. Ma penalmente il tentativo di reato (ad es. fattura falsa registrata ma poi non pagata né usata in dichiarazione) non è punibile, mentre l’uso in dichiarazione sì. Il pagamento in sé non è un elemento costitutivo né per art.2 né per art.8.

D: Se il Fisco accerta che ho usato fatture inesistenti, devo pagare due volte le imposte evase (una volta all’Agenzia e una in sede penale)?
R: Non esattamente. Occorre distinguere: l’imposta evasa dovrà essere comunque versata all’erario, con gli interessi, tramite l’accertamento fiscale (o successiva riscossione coattiva). In sede penale non paghi l’imposta come tale, ma potresti essere condannato a una multa penale (che nei reati tributari, per la verità, spesso non viene applicata in aggiunta alla reclusione, o è di modesta entità) e soprattutto potresti subire la confisca dei profitti del reato. La confisca per equivalente normalmente colpisce proprio l’importo delle imposte non versate: quindi ti verranno sequestrati/confiscati beni per un valore pari all’evasione. Se però tu nel frattempo hai già pagato l’imposta all’Agenzia (magari a seguito di accertamento con adesione), questo fatto va segnalato al giudice penale: tendenzialmente, la confisca non può eccedere il profitto reale. Pagando il debito tributario, annulli il profitto del reato e quindi la confisca non dovrebbe essere più applicabile (o comunque verrà limitata a eventuali ulteriori vantaggi illeciti). In pratica, se regolarizzi col Fisco e versi tutto, eviti una doppia sottrazione patrimoniale. Resta la possibilità che il giudice penale imponga una sanzione pecuniaria amministrativa alla società (se coinvolta) e le spese processuali, etc. Ma non pagherai due volte la stessa imposta: paghi l’imposta una volta e semmai una multa amministrativa e/o una confisca equivalente se non avevi pagato. Inoltre, come detto, pagando prima del dibattimento ottieni proprio l’esonero penale per l’art.2. Quindi è altamente consigliabile pagare il dovuto: si chiude il debito col Fisco e si allontana lo spettro penale.

D: La Guardia di Finanza può contestarmi le fatture false senza prove “certe” (ad esempio senza confessioni o documenti che dicano esplicitamente che erano false)?
R: Sì, possono basarsi su indizi gravi e concordanti. Ad esempio, se la GdF rileva che il tuo presunto fornitore non ha struttura per fornire il servizio fatturato (es: fatture per pulizie ma il fornitore non ha dipendenti né attrezzature), questo è un indizio forte di operazione inesistente. Non serve la “pistola fumante”. La Cassazione tributaria ha affermato più volte che l’inesistenza dell’operazione può essere provata anche in via indiziaria/presuntiva, dopodiché spetta a te contribuente fornire prova contraria. Nel penale vale la regola del “oltre ogni ragionevole dubbio”: se vi è una pluralità di indizi coerenti (fornitore inesistente, bonifici restituiti in contanti, ecc.), possono portare a condanna anche senza una confessione o un documento scritto di accordo. Naturalmente, più gli indizi sono forti, più è probabile la condanna. Se ci fosse solo un piccolo sospetto (es: fornitore esistente ma un po’ anomalo), allora no – lì il dubbio ragionevole può salvarti. Ma in genere la GdF raccoglie un pacchetto robusto di elementi: verbali di constatazione, analisi dei conti, interrogatori, telefonate, etc. Non è necessario il “documento che dice che è falsa” – quasi mai ci sarà un’appunto così – la prova è logica e deduttiva. Importante: in sede tributaria il livello di prova richiesto è inferiore che nel penale, quindi l’Agenzia può contestarti la deduzione con base anche a semplici presunzioni (che in tribunale penale magari da sole non basterebbero, ma in Commissione Tributaria sì, spostando onere su di te). Insomma, , possono contestarti e sanzionarti anche senza “prova filmata” dello scambio di denaro nero, se riescono a dimostrare che oggettivamente quell’operazione non poteva esistere.

D: Cosa posso fare se scopro di aver ricevuto una fattura falsa da un fornitore senza saperlo?
R: Situazione: tu azienda completamente in buona fede, il fornitore ti ha fatturato qualcosa, tu l’hai pagato e detratto, poi salta fuori (magari anni dopo, in un controllo) che quel fornitore era una cartiera e la prestazione non c’è mai stata come dichiarata. Se sei davvero inconsapevole, hai qualche rimedio. Innanzitutto, in sede penale, potrai cercare di dimostrare la tua buona fede per evitare la condanna: devi provare di non aver saputo né potuto sapere che era un fornitore fittizio e di aver adottato la diligenza richiesta (ad esempio, avevi controllato la sua partita IVA, aveva referenze apparenti, etc.). Se ci riesci, non c’è dolo da parte tua e dovresti essere assolto. In sede tributaria, purtroppo, dovrai comunque restituire l’IVA e le imposte detratte indebitamente – la buona fede non ti esime dal pagare le tasse dovute, ma può farti annullare le sanzioni amministrative (perché l’illecito è senza colpa). Dovrai magari proporre ricorso sostenendo che tu sei stato vittima e mostrando la documentazione che hai per provare la tua diligenza. Spesso il Fisco è restio a riconoscere buona fede, ma i giudici tributari talora annullano le sanzioni se il contribuente dimostra di essere stato ingannato in modo incolpevole. Un passo importante: presentare denuncia/querela contro il fornitore una volta scoperto l’inganno. Se tu denunci il fornitore per truffa o falso, ciò rafforza la credibilità della tua buona fede (perché uno colluso non denuncia il complice). In più, la legge dice che il processo tributario può essere sospeso in attesa dell’esito del giudizio penale sull’eventuale reato di falso. Quindi, conviene attivarsi legalmente contro il fornitore non appena capisci di esser vittima. Infine, potresti rivalerti civilmente sul fornitore per i danni (imposte e sanzioni pagate), assumendo di avere evidenze per ottenere qualcosa – se però è una cartiera magari non recuperi nulla. In sintesi: agisci subito, documenta la tua estraneità, collabora con gli inquirenti (questo aiuta anche in sede penale – magari il PM nemmeno ti accusa se vede che sei parte offesa in realtà).

D: Un cliente mi chiede di “fargli una fattura” per gonfiare i suoi costi, promettendomi una percentuale. Che rischi corro se accetto?
R: Rischi altissimi, sia come visto penali (fino a 8 anni di carcere) sia fiscali (ti faranno pagare l’IVA e multe salate) più eventuale responsabilità 231 se sei in ambito societario. In pratica diverresti il “cartiere” per il cliente: quando queste frodi vengono scoperte (e succede spesso, prima o poi), l’emittente viene investito dalle conseguenze: processi per emissione di fatture false e, se la cosa è sistematica, magari anche per associazione a delinquere fiscale, con misure cautelari pesanti (gente finita in custodia cautelare per giri di false fatture). Inoltre, la percentuale che guadagni nel breve termine potrebbe svanire: il Fisco ti chiederà comunque di versare l’IVA di quelle fatture (che magari tu hai incassato e poi restituito gran parte in nero al cliente), trovandoti a pagare importi che non hai più. In più, la tua reputazione d’affari andrà distrutta: verrai segnalato nelle banche dati come emittente di fatture false, e difficilmente altre aziende serie vorranno lavorare con te in futuro. Quindi, la proposta del cliente è una sorta di “pactum sceleris” che conviene rifiutare. Meglio perdere un cliente (disonesto) che rischiare di perdere la libertà e l’azienda. In sintesi: i giochi di fatture false non convengono. La normativa attuale è severissima e le autorità hanno affinato le tecniche di scoperta. Le percentuali facili di guadagno illecito oggi si pagano poi con interessi ben maggiori (sanzioni, condanne). – Risposta breve: non farlo! Il “nero” può sembrare allettante, ma se scoperto (probabile) ti rovini finanziariamente e penalmente.

D: Qual è la prescrizione per i reati di emissione/utilizzo di fatture false?
R: La prescrizione di base dipende dalla pena massima: per entrambe le fattispecie è 8 anni (massimo edittale). Dopo la riforma recente (Cartabia 2022), la prescrizione penale matura fino alla sentenza di primo grado e poi si blocca, sostituita dai termini di improcedibilità in appello. In pratica, per art.2 e 8, il termine ordinario è 8 anni che possono diventare 8+2 (aumento di un quarto per atti interruttivi) = 10 anni dalla commissione (che, per il reato di utilizzo, è la data di presentazione della dichiarazione fraudolenta, e per l’emissione la data fattura). Dunque circa 10 anni in totale. Se entro 10 anni non c’è sentenza di primo grado, scatta la prescrizione (nell’attuale regime). Ma attenzione: spesso i processi partono tardi, ma vengono comunque conclusi in tempi (relativamente) rapidi perché questi reati sono una priorità di contrasto. Inoltre, dal 2020, per i reati più gravi (frode oltre €100k) è stata introdotta la confisca allargata e considerati reati di “grave allarme sociale”, il che rende i giudici meno propensi a farli prescrivere facilmente. In ogni caso, il fatto che maturi la prescrizione penale non cancella il debito fiscale: quello, se l’accertamento arriva nei termini (raddoppiati in caso di reato fiscale), ti rimane da pagare. Anzi, spesso l’Agenzia spinge per chiudere l’accertamento prima che il penale si prescriva, così almeno incassa. Quindi contare sulla prescrizione non è una strategia affidabile – 10 anni sono lunghi, ma si rischia di subire sequestri nel frattempo, e comunque le cause tributarie vanno avanti indipendentemente.

D: Una volta scoperto, come posso difendermi al meglio da un’accusa di false fatturazioni?
R: Riassumendo le linee emerse:

  • Collaborare e sanare: se sai di essere nel torto, la mossa più efficace è spesso pagare il dovuto al Fisco (ravvedimento o adesione) prima che si arrivi in giudizio penale. Pagando, eviti il carcere (art.13 D.Lgs.74/2000) e dimostri ravvedimento. In parallelo, fornisci al PM tutte le informazioni utili (es. su chi ti ha fornito le false fatture, se vuoi ottenere attenuanti per collaborazione).
  • Difesa tecnica sul fatto: raccogli tutte le prove possibili che le operazioni contestate erano reali o parzialmente reali. Testimonianze, documenti, perizie tecniche che possano contraddire l’assunto “tutto falso”. L’onere inizia a spostarsi su di te, quindi meglio presentare troppe prove che troppo poche.
  • Buona fede: se c’è spazio per argomentarlo (ad esempio in soggettiva inesistenza), prepara documentazione che attesti la tua diligenza (controlli eseguiti sul fornitore, corrispondenza dove tu solleciti adempimenti, etc.). Mostra che hai agito come farebbe un imprenditore prudente e che sei stato frodato anche tu.
  • Procedurale: verifica se l’accertamento fiscale è stato notificato nei termini di legge (se c’è qualche vizio formale, un buon tributarista potrebbe far annullare l’atto in commissione indipendentemente dal merito). Nel penale, verifica se le prove sono state ottenute legalmente (es. sequestro documenti con autorizzazioni corrette, intercettazioni pertinenti, ecc.). Qualche volta, vizi procedurali possono portare all’esclusione di elementi chiave.
  • Patteggiamento: considera di negoziare un patteggiamento col PM se la prova è schiacciante. Col patteggiamento ottieni sconto di 1/3 sulla pena e spesso eviti il clamore di un processo lungo. Magari puoi patteggiare a 2 anni (sospesi) invece di rischiare 4 anni in dibattimento.
  • Modello 231 (se sei società): attiva un audit interno e adotta subito misure correttive (licenzia responsabili, implementa modello 231, etc.). In questo modo, al processo potrai dire: “la società ha reagito e prevenuto futuri illeciti” – questo può evitare interdittive e ridurre la sanzione.
  • Professionisti: affida il caso a un avvocato penalista esperto in reati tributari e a un tributarista: servirà muoversi su entrambi i fronti coordinando la strategia (ciò che fai nel tributario può avere riflessi nel penale e viceversa).
  • Silenzio o dichiarazioni? Se sei evidentemente coinvolto, un atteggiamento collaborativo (ammissione, se non totale almeno parziale, e spiegazione) spesso ottiene più clemenza che un negare l’evidenza. Soprattutto con il giudice: mostrare di aver capito l’errore e risarcito il danno predispone a sanzioni minori (anche in un eventuale patteggiamento o sospensione condizionale).
    In sintesi, la migliore difesa è la combinazione di rimedi risarcitori (pagare il Fisco), dimostrazione di eventuali parti veritiere (limitare l’ambito del “falso”) e strategie procedurali ad hoc. Ogni caso è diverso, perciò va analizzato specificamente, ma questi principi generali valgono un po’ per tutti.

Fonti normative, giurisprudenziali e dottrinali citate

Normativa:

  • Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, artt. 1 (definizioni, lett. a), 2, 3, 4, 5, 8, 10, 11, 13. (Reati in materia di imposte sui redditi e IVA).
  • Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231, art. 25-quinquiesdecies. (Responsabilità amministrativa degli enti – Reati tributari).
  • DPR 26 ottobre 1972, n. 633, art. 21, comma 7. (IVA – Emissione di fattura per operazioni inesistenti, imposta dovuta per l’intero).
  • Legge 19 dicembre 2019, n. 157 (conversione DL 124/2019). (Inasprimento pene reati tributari e introduzione reati tributari nel catalogo 231).
  • Decreto Legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, art. 1, 2 e 6. (Sanzioni amministrative tributarie per dichiarazione infedele, omessa, utilizzo documentazione falsa).
  • Codice Civile, artt. 1343, 1418, 2033. (Causa illecita e nullità contratti; ripetizione di indebito in pari turpitudine).

Giurisprudenza (Corte di Cassazione):

  • Cass. Penale, Sez. III, 1 dicembre 2023, n. 33620. (Operazioni soggettivamente inesistenti – onere della prova: prova indiziaria dell’AF, buona fede contribuente accorto).
  • Cass. Penale, Sez. III, 22 marzo 2024, n. 29347. (False fatture – definizione di operazioni inesistenti, divergenza tra realtà economica e documento – conferma tipologie oggettiva/soggettiva/parziale).
  • Cass. Penale, Sez. III, 28 novembre 2022, n. 45114. (Contratto illecito mascherato – fatture per contratto nullo, indeducibilità costi, divergenza natura prestazione – settore somministrazione manodopera).
  • Cass. Penale, Sez. III, 7 febbraio 2021, n. 4035 (richiamata da Cass. SS.UU. 2021). (Ne bis in idem tributario – cumulo sanzioni penali e amministrative in materia fiscale, nessuna violazione se proporzionato).
  • Cass. Penale, Sez. III, 5 luglio 2017, n. 30159. (Pagamento delle fatture false – irrilevanza ai fini dell’esclusione del reato di emissione; annullamento successivo irrilevante).
  • Cass. Penale, Sez. III, 11 aprile 2019, n. 15869 (Corte Cost. ord.95/2019 cit.). (Legittimità costituzionale art.8 – assenza di soglie di punibilità per emissione fatture false – questione infondata).
  • Cass. Tributaria, Sez. V, 1 ottobre 2021, n. 28268. (Operazioni oggettivamente inesistenti – onere della prova; art.7 co.5-bis D.Lgs.546/92 non retroattivo, conferma principi consolidati).
  • Cass. Tributaria, Sez. V, 24 luglio 2018, n. 19110. (Fatture soggettivamente inesistenti – prova indiziaria robusta del Fisco, onere al contribuente di dimostrare buona fede e reale esecuzione).
  • Cass. Tributaria, Sez. V, 5 ottobre 2018, n. 24316. (Dichiarazione fraudolenta – rilevanza penale di operazioni soggettivamente inesistenti; cooperazione colposa del cessionario inconsapevole, esimente sanzioni).
  • Corte Costituzionale, 7 maggio 2019, n. 95. (Dichiarata non fondata la q.l.c. su art.8 D.Lgs.74/2000 nella parte in cui non prevede soglie di punibilità analoghe a art.2 – differenza di trattamento giustificata dalla diversa natura delle condotte).

Fatture False: Come Difendersi Legalmente Con Studio Monardo

Hai ricevuto un avviso di accertamento per utilizzo o emissione di fatture false?
L’Agenzia delle Entrate ti accusa di operazioni inesistenti, ma tu non hai fatto nulla in mala fede?

⚠️ Le contestazioni legate a fatture false sono tra le più gravi in ambito tributario e penale.
Ma non tutto è perduto: ci sono strumenti legali per difendersi e dimostrare la propria estraneità.

Cosa si intende per “fatture false” o “inesistenti”

🧾 Le fatture false possono essere:

🔹 Oggettivamente false: l’operazione non è mai avvenuta
🔹 Soggettivamente false: l’operazione c’è stata, ma con un soggetto diverso da quello indicato
🔹 Sovrafatturate: gonfiate per abbassare indebitamente l’imponibile

📌 In tutti i casi, l’Agenzia delle Entrate può contestare:

  • Indebita detrazione IVA
  • Evasione d’imposta
  • Reato di dichiarazione fraudolenta (D.Lgs. 74/2000)
  • Utilizzo di documenti per operazioni inesistenti (anche inconsapevole)

Le conseguenze per chi riceve l’accertamento

💣 Sanzioni fino al 240% dell’IVA contestata
⚖️ Denuncia penale per frode fiscale o dichiarazione infedele
🔒 Pignoramenti, sequestri, interdizione dai pubblici appalti
📉 Perdita della credibilità fiscale e bancabile dell’impresa

Come difendersi legalmente

✅ Dimostrare la buona fede: hai fatto controlli? Conosci il fornitore? Hai prove reali della prestazione?
✅ Contestare la mancanza di prova dell’inesistenza dell’operazione
✅ Eccepire vizi formali dell’accertamento
✅ Dimostrare che le fatture non erano soggette a tua approvazione o controllo diretto
✅ In alcuni casi, accedere a forme di definizione agevolata o ravvedimento

📍 Ogni caso va valutato sulla base di documenti, rapporti reali e comportamento aziendale.

🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo

📂 Analizza gli atti ricevuti e la documentazione contabile
📑 Redige il ricorso tributario o la memoria difensiva
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🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in diritto tributario e penale-tributario
✔️ Gestore della Crisi – iscritto al Ministero della Giustizia
✔️ Consulente per imprese, professionisti e amministratori coinvolti in accertamenti
✔️ Fiduciario OCC per soluzioni in casi di crisi debitoria da sanzioni fiscali

Conclusione

Se sei accusato di aver usato o emesso fatture false, non restare fermo.
Con il supporto giusto puoi difenderti legalmente, evitare il peggio e tutelare la tua attività.

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