Cosa Prevede Un Accordo Di Composizione Della Crisi Con I Creditori?

La tua impresa, attività o posizione personale è in difficoltà economica? Hai debiti con banche, fornitori, Agenzia delle Entrate o INPS che non riesci più a sostenere?

L’accordo di composizione della crisi è uno strumento legale previsto dal Codice della Crisi che ti permette di negoziare con i creditori, bloccare le azioni esecutive e ripagare i debiti in modo sostenibile, parziale o dilazionato, evitando fallimenti o liquidazioni forzate.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto della crisi, sovraindebitamento e ristrutturazione dei debiti – ti spiega in modo chiaro cosa prevede un accordo di composizione della crisi, chi può richiederlo e quali vantaggi concreti offre a imprese, professionisti e privati in difficoltà.

Scoprirai:

  • Chi può accedere all’accordo:
    – Persone fisiche sovraindebitate
    – Piccoli imprenditori e imprese non fallibili
    – Professionisti, lavoratori autonomi, start-up
    – Ex imprenditori e garanti
  • Cosa contiene l’accordo con i creditori:
    – Una proposta di pagamento sostenibile (in forma rateizzata o con saldo a stralcio)
    – L’indicazione chiara dei creditori coinvolti e dei debiti trattati
    – La durata del piano e le modalità di attuazione
    – L’eventuale cessione di beni, quote o diritti a copertura del debito
    – Clausole di salvaguardia e monitoraggio dell’esecuzione
  • Come funziona la procedura:
    – Nomina di un Gestore della Crisi da parte dell’OCC (Organismo di Composizione della Crisi)
    – Predisposizione della proposta con l’assistenza legale
    – Raccolta del consenso dai creditori (serve l’approvazione della maggioranza)
    – Omologazione del tribunale
    – Sospensione automatica di pignoramenti e azioni esecutive
  • Cosa succede dopo l’accordo:
    – Il piano diventa vincolante per i creditori aderenti
    – Se il debitore rispetta le condizioni, può ottenere la cancellazione definitiva dei debiti residui
    – Tutta la procedura si svolge sotto la tutela del giudice e del Gestore, in modo trasparente e controllato
  • Vantaggi concreti dell’accordo:
    – Blocco delle azioni legali
    – Nessun fallimento o perdita automatica dei beni
    – Protezione del patrimonio minimo vitale
    – Rientro nel circuito economico e bancario
    – Recupero di serenità e reputazione

Con l’aiuto di un avvocato esperto puoi valutare la tua situazione, costruire una proposta credibile e sostenibile, dialogare con i creditori e uscire legalmente dal sovraindebitamento.

Alla fine della guida potrai richiedere una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo, per analizzare la tua posizione, preparare l’accordo più adatto e iniziare un percorso di risanamento concreto e tutelato dalla legge.

Introduzione

Un accordo di composizione della crisi con i creditori è uno strumento giuridico attraverso il quale un’impresa in difficoltà negozia con i propri creditori soluzioni per superare la crisi ed evitare la liquidazione giudiziale (il “vecchio fallimento”). Il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.lgs. 14/2019, CCII), entrato in vigore a pieno regime nel luglio 2022, incoraggia fortemente queste soluzioni negoziali. Il Codice – anche in attuazione della Direttiva (UE) 2019/1023 sui quadri di ristrutturazione preventiva – ha introdotto istituti innovativi che mirano a favorire l’emersione tempestiva della crisi e il risanamento dell’impresa, valorizzando l’autonomia privata e limitando l’intervento giudiziario. In questa guida esamineremo in dettaglio i principali strumenti previsti, con un linguaggio rigoroso ma accessibile, rivolgendoci sia ad avvocati che ad imprenditori interessati a gestire situazioni di crisi.

Tra le novità più rilevanti del Codice vi sono la composizione negoziata della crisi, il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO) e il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio. Questi strumenti si affiancano ai meccanismi tradizionali (come il concordato preventivo ordinario e gli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis L.F. ora trasfusi nel CCII) e rappresentano soluzioni mirate per diverse tipologie di situazione. Nel prosieguo analizzeremo ciascuno di essi in modo interpretativo (norme di legge e prassi applicative) e operativo (modalità pratiche di utilizzo, requisiti, procedure passo-passo e modelli).

Anticipiamo che l’approccio del Codice privilegia la continuità aziendale e il risanamento rispetto alla liquidazione, prevedendo anche misure premiali per l’imprenditore che si attiva per tempo. Inoltre, faremo il punto sulla giurisprudenza aggiornata a maggio 2025 – sia di legittimità (Corte di Cassazione) che di merito (Tribunali e Corti d’Appello) – che ha interpretato questi istituti, enucleando i principi chiave emersi.

Il quadro normativo: dal fallimento alla composizione negoziata

Il D.lgs. 14/2019 (Codice della crisi e dell’insolvenza) ha riformato integralmente la disciplina delle procedure concorsuali, sostituendo la vecchia Legge Fallimentare (R.D. 267/1942) con un sistema organico improntato alla prevenzione e gestione anticipata della crisi. Il legislatore ha introdotto strumenti di allerta “soft” e procedure negoziali per favorire soluzioni concordate. Dopo alcuni rinvii, il Codice è entrato in vigore definitivamente il 15 luglio 2022, integrato dalle modifiche del D.lgs. 83/2022 (di attuazione della direttiva UE) e successivamente dal D.lgs. 136/2024 (correttivo).

I nuovi strumenti di composizione della crisi possono essere suddivisi in due categorie principali:

  • Strumenti negoziali e stragiudiziali: in cui la gestione resta in mano all’imprenditore e si privilegia l’accordo volontario con i creditori. Ne è esempio la composizione negoziata della crisi, procedura preventiva e riservata finalizzata al risanamento aziendale con l’assistenza di un esperto indipendente. Vi rientrano anche gli accordi di ristrutturazione dei debiti, compreso il nuovo piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO), che pur richiedendo l’intervento omologatorio del tribunale, si basano essenzialmente sull’accordo tra debitore e creditori (con differenti maggioranze richieste).
  • Procedure concorsuali giudiziali: attivate con l’ausilio del tribunale, come il concordato preventivo (nelle forme in continuità aziendale o liquidatorio) e, in via residuale, la liquidazione giudiziale (nuova denominazione del fallimento). In quest’ambito il Codice ha inserito il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, una procedura concorsuale speciale e semplificata attivabile solo dopo il tentativo di composizione negoziata.

Questa guida si concentra sugli strumenti negoziali/ibridi introdotti più di recente (composizione negoziata, PRO) e sul concordato semplificato, evidenziandone le caratteristiche e differenze. Prima di addentrarci nello specifico, è bene tenere a mente che l’obiettivo comune di tali strumenti è evitare la dispersione del valore aziendale attraverso soluzioni concordate che garantiscano ai creditori un soddisfacimento almeno pari (se non superiore) a quello ottenibile con una liquidazione fallimentare. Il Codice manifesta infatti un favor verso gli esiti concordati della crisi, nella convinzione che essi possano preservare meglio la continuità aziendale o, quantomeno, consentire una liquidazione più efficiente e rapida.

Di seguito analizziamo in dettaglio ciascuno strumento.

La composizione negoziata della crisi d’impresa

La composizione negoziata della crisi è una procedura volontaria e stragiudiziale, introdotta nel 2021 (D.L. 118/2021, convertito con mod. in L. 147/2021) e ora disciplinata dal Titolo II, Capo I del Codice della crisi (artt. 12–25-quinquies CCII). Essa consente all’imprenditore in difficoltà di avviare trattative riservate con i creditori con l’aiuto di un esperto indipendente, al fine di individuare una soluzione per il superamento della crisi (che sia un accordo stragiudiziale, un piano attestato, un accordo di ristrutturazione o un concordato) senza ricorrere subito a una procedura concorsuale vera e propria. Di seguito ne esaminiamo i presupposti, la procedura e gli strumenti operativi, sia dal punto di vista normativo che pratico.

Presupposti e requisiti di accesso

Possono accedere alla composizione negoziata tutti gli imprenditori, commerciali o agricoli, di qualsiasi dimensione, che si trovino in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario tali da rendere probabile la crisi o l’insolvenza, purché risulti ragionevolmente perseguibile il risanamento dell’impresa. La norma dunque non richiede che l’impresa sia già formalmente insolvente: è sufficiente uno stato di difficoltà (es. tensioni di liquidità, perdite, calo di fatturato) che potrebbe evolvere in crisi, a patto che vi siano concrete possibilità di recupero. Anche un’impresa già insolvente può accedervi, se esistono prospettive di ristrutturazione (ad esempio attraverso la rinegoziazione del debito o nuovi apporti di capitale).

Non esistono soglie minime o massime di indebitamento per l’accesso; l’istituto è aperto sia alle PMI che alle imprese più grandi. Tuttavia, il Codice distingue le imprese cosiddette “sotto-soglia” – quelle di minori dimensioni, definite dalla legge come quelle che non superano congiuntamente tre parametri: attivo di €300.000, ricavi di €200.000 e debiti di €500.000 – dalle imprese sopra soglia, ai fini delle modalità di nomina dell’esperto (come vedremo a breve). Importante: la composizione negoziata non è accessibile al consumatore né ai debitori civili non imprenditori, i quali dispongono di altri strumenti (piani del consumatore, ristrutturazione dei debiti del consumatore, concordato minore per sovraindebitati ex L. 3/2012 ora nel CCII). Il focus qui resta sulle imprese.

Ulteriore requisito implicito è la volontarietà: l’iniziativa spetta esclusivamente all’imprenditore. Non può essere avviata d’ufficio né su istanza dei creditori. È quindi uno strumento negoziale e volontario, che presuppone la volontà dell’imprenditore di affrontare la crisi attivamente e in buona fede.

Procedura: piattaforma, nomina dell’esperto e svolgimento delle trattative

Accesso e piattaforma telematica: L’imprenditore che intende avvalersi della composizione negoziata deve presentare un’istanza tramite la piattaforma telematica nazionale gestita dalle Camere di Commercio. La piattaforma (accessibile con SPID/CNS) è concepita come strumento centrale della procedura: contiene una lista di controllo (check-list) e un test pratico che aiutano l’imprenditore e i suoi consulenti a valutare la ragionevole perseguibilità del risanamento e a preparare un piano di risanamento. In pratica, prima di inviare l’istanza è possibile (e raccomandato) effettuare un self-assessment: la lista di controllo fornisce indicazioni operative per redigere un primo piano o progetto di risanamento, mentre il test verifica alcuni indicatori di equilibrio finanziario. Questi strumenti operativi, previsti dall’art. 13 CCII, guidano l’imprenditore a raccogliere la documentazione necessaria e a ponderare la decisione di avviare la procedura.

All’istanza telematica vanno allegati i documenti richiesti dalla legge (art. 17, co.3 CCII). Tipicamente si tratta di informazioni economico-patrimoniali aggiornate: ultimi bilanci approvati o situazione finanziaria recente, elenco dei creditori e debiti, una relazione sulle cause della crisi e sulle strategie di risanamento prospettate, eventuali dati industriali e di mercato. Il recente D.lgs. 136/2024 ha ampliato la flessibilità in merito ai documenti: ad esempio, se il bilancio non è stato approvato, è sufficiente allegare il progetto di bilancio o una situazione aggiornata degli affari. Inoltre, è richiesta una dichiarazione sull’assenza di cause ostative (es. l’imprenditore non deve aver commesso atti di frode ai creditori).

Nomina dell’esperto indipendente: Entro pochi giorni dalla presentazione dell’istanza, viene nominato un esperto indipendente incaricato di affiancare l’imprenditore nelle trattative. La nomina segue due percorsi alternativi: per le imprese sopra-soglia è effettuata da una Commissione regionale costituita presso la Camera di Commercio del capoluogo di regione (composta da un magistrato, un rappresentante camerale e uno della Prefettura); per le imprese sotto-soglia, la nomina è fatta direttamente dal Segretario Generale della Camera di Commercio competente. L’esperto viene scelto da appositi elenchi regionali di professionisti qualificati (commercialisti, avvocati, consulenti del lavoro con specifica esperienza in ristrutturazioni e concordati). Ciò garantisce indipendenza e competenza: l’esperto deve essere terzo rispetto alle parti (debitore e creditori) e non può avere conflitti di interesse.

Ruolo e funzioni dell’esperto: L’esperto non ha poteri gestori sull’impresa – la gestione rimane in capo all’imprenditore – ma funge da facilitatore e supervisore del processo. Egli: (a) studia la situazione economico-finanziaria dell’azienda; (b) identifica, insieme all’imprenditore, le possibili strategie di risanamento (es. ristrutturazione del debito, ricerca di nuova finanza, cessione di rami d’azienda, riduzione dei costi, ecc.); (c) prende contatto con i principali creditori e conduce o coordina le trattative, cercando di trovare un consenso sulle soluzioni proposte. L’esperto agisce secondo principi di correttezza, buona fede, riservatezza, e deve garantire la parità di trattamento informativo tra i creditori. Importante: l’esperto non sostituisce i consulenti dell’impresa né svolge direttamente attività di amministrazione, ma affianca l’imprenditore fornendo professionalità e competenze utili a superare la crisi.

In base all’art. 16 CCII, l’esperto convoca subito l’imprenditore per un primo incontro in cui valuta lo stato di crisi e le prospettive di risanamento. Se riscontra subito l’assenza di prospettive di risanamento, può concludere anticipatamente la procedura (in sostanza “fallisce” la composizione negoziata ab initio). Altrimenti, predispone un agenda di incontri con i creditori ritenuti rilevanti, cercando di ottenere la loro adesione a un progetto di soluzione.

Durata delle trattative: La composizione negoziata ha una durata variabile ma comunque circoscritta. Il Codice prevede un termine iniziale di 6 mesi, prorogabile fino a massimo 12 mesi su richiesta motivata dell’imprenditore (previo parere dell’esperto). Le trattative devono svolgersi in modo celere: l’obiettivo è evitare che l’impresa si deteriori ulteriormente. Se entro i termini non si perviene ad alcuna soluzione, l’esperto redigerà la relazione finale negativa e la procedura verrà archiviata. Sono possibili cause di proroga della durata: ad esempio, la pendenza di misure protettive o la necessità di completare atti autorizzati dal tribunale (v. infra) può giustificare un prolungamento oltre i 6 mesi standard.

Durante la composizione negoziata l’imprenditore conserva la gestione ordinaria e straordinaria dell’impresa. Ciò significa che può proseguire l’attività corrente. Tuttavia, per gli atti di straordinaria amministrazione che non siano coerenti con le trattative in corso, è previsto l’obbligo di informare preventivamente l’esperto (art. 20 CCII) e in alcuni casi potrebbe essere necessaria l’autorizzazione del tribunale, per evitare pregiudizio ai creditori. Questa è una misura di salvaguardia: si vuole evitare che durante le trattative il debitore compia atti lesivi (es. vendite sottoprezzo, pagamento preferenziale di alcuni creditori, ecc.).

Misure protettive e cautelari: Uno degli aspetti cruciali è la possibilità per l’imprenditore di chiedere al tribunale l’applicazione di misure protettive sul proprio patrimonio, a tutela del buon esito delle trattative. In pratica, dal momento in cui l’esperto accetta l’incarico, l’imprenditore può depositare un’istanza al tribunale competente per ottenere una moratoria temporanea delle azioni esecutive e cautelari dei creditori (art. 18 CCII). Se il tribunale accoglie la richiesta, viene emanato un decreto che vieta ai creditori di iniziare o proseguire azioni esecutive (pignoramenti) o ipotecarie sul patrimonio dell’impresa e sospende le prescrizioni. Tali misure protettive possono coprire singoli creditori indicati oppure, più spesso, tutti i creditori chirografari e anche privilegiati (inclusi gli istituti bancari, come chiarito dalla riforma 2024). La pubblicazione dell’istanza di misure protettive avviene nel registro delle imprese entro 2 giorni, rendendo noto ai terzi lo status dell’azienda.

La durata delle misure protettive è inizialmente di max 120 giorni (4 mesi), prorogabili di ulteriori 120 giorni su autorizzazione del tribunale, senza mai superare i 240 giorni totali. Il tribunale, nel concedere o confermare le misure protettive, verifica che vi siano concrete trattative in corso e che non arrechino un pregiudizio ingiusto ai creditori (ad es., può rifiutare la protezione se la posizione finanziaria del debitore rischia di aggravarsi a danno dei creditori stessi). È importante evidenziare che le misure protettive non determinano l’incapacità dell’impresa di pagare i debiti né impediscono pagamenti volontari: l’imprenditore può continuare a pagare fornitori strategici o dipendenti per mantenere in vita l’azienda, purché sia funzionale al risanamento.

Un aspetto delicato riguarda la relazione tra misure protettive e procedure concorsuali: la pendenza di una composizione negoziata con misure protettive attive non impedisce, di per sé, la dichiarazione di fallimento (liquidazione giudiziale) su istanza di creditori non cooperativi. La Corte di Cassazione ha chiarito nel 2025 che il giudice non è obbligato a rinviare l’udienza prefallimentare solo perché è in corso la composizione negoziata. In altre parole, se le trattative appaiono chiaramente infruttuose o dilatorie, il tribunale può comunque dichiarare la liquidazione giudiziale. Questa interpretazione, sebbene severa, mira a evitare che l’ombrello protettivo sia usato strumentalmente per ritardare un fallimento inevitabile. Starà dunque all’imprenditore fornire elementi concreti sul progresso delle trattative per convincere il giudice a differire ogni decisione definitiva.

Oltre alle misure protettive, l’imprenditore può chiedere provvedimenti autorizzativi al tribunale nell’ambito della composizione negoziata. Ad esempio: (a) autorizzazione a contrarre finanziamenti prededucibili (art. 22, co.1 CCII) – ossia nuovi finanziamenti che, se la procedura dovesse poi sfociare in un concordato o liquidazione, verrebbero rimborsati con priorità (prededuzione); (b) autorizzazione a trasferire l’azienda o rami d’azienda senza gli ordinari vincoli (il tribunale verifica che la cessione non leda i creditori); (c) sospensione o scioglimento di contratti onerosi in corso (art. 20, co. 3 e 4 CCII) – provvedimento utile ad esempio per liberarsi da un contratto di fornitura troppo costoso: il tribunale può autorizzare la sospensione per massimo 90 giorni o la cessazione definitiva di tali contratti, sentito l’esperto, purché ciò sia funzionale al risanamento. Tali misure cautelari o autorizzative servono a creare le condizioni favorevoli per un accordo (ad es. evitando che un creditore pignori beni vitali o permettendo di ottenere liquidità fresca per proseguire l’attività durante le trattative).

Esito della composizione negoziata: accordi e soluzioni possibili

La composizione negoziata si conclude con una relazione finale dell’esperto. Entro il termine della procedura (6 mesi o proroga), l’esperto redige una relazione che sintetizza le attività svolte e indica le possibili soluzioni emerse nel corso delle trattative per il superamento della crisi. Possiamo avere diverse situazioni:

  • Relazione finale positiva (o interlocutoria): raggiunto un accordo – Se le trattative hanno successo, l’esperto attesterà che le parti hanno individuato una soluzione concordata. In tal caso, la procedura negoziata si chiude positivamente con la firma di uno o più accordi. A seconda dei casi, l’esito potrà essere:
    • un accordo stragiudiziale privato sottoscritto da tutti o gran parte dei creditori (ad esempio un accordo di moratoria, un riscadenzamento dei debiti, una remissione parziale del debito da parte di alcuni creditori, ecc.). Questo accordo non richiede omologazione se tutti i creditori coinvolti aderiscono volontariamente, ma ovviamente vincola solo i firmatari.
    • un piano attestato di risanamento ex art. 56 CCII (già art. 67 L.Fall.): è un piano di risanamento con attestazione di un professionista indipendente, pubblicato nel registro delle imprese, efficace per escludere revocatorie fallimentari. Non comporta il coinvolgimento del tribunale se non per la nomina dell’attestatore.
    • un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ex art. 57 CCII (già art. 182-bis L.Fall.): qualora l’accordo coinvolga almeno il 60% dei crediti, l’imprenditore può decidere di chiederne l’omologazione al tribunale per renderlo vincolante anche per eventuali creditori dissenzienti o non aderenti. L’omologazione richiede la verifica che i creditori estranei siano pagati almeno per il valore integrale o comunque non subiscano un pregiudizio.
    • un piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO) ex art. 64-bis CCII: se nell’accordo raggiunto si intende derogare alla normale graduazione dei crediti (priorità di pagamento) – ad esempio prevedendo che alcuni creditori chirografari vengano soddisfatti prima di altri creditori privilegiati con il consenso di questi ultimi – è necessario utilizzare questo nuovo strumento previsto dal Codice. Il PRO richiede l’adesione unanime delle classi di creditori (vedi sezione dedicata infra) ma consente di distribuire l’attivo in deroga alle regole ordinarie.
    • un concordato preventivo in continuità: se la soluzione concordata prevede il mantenimento dell’attività imprenditoriale ma necessita di essere resa vincolante erga omnes (ad esempio perché non tutti i creditori sono d’accordo, o per usufruire di effetti protettivi più ampi), l’imprenditore può depositare un ricorso per concordato preventivo “in continuità aziendale” sulla base del piano elaborato nelle trattative. In questo caso la composizione negoziata sfocia in una procedura concorsuale classica, ma con il vantaggio di aver già costruito il piano e ottenuto il supporto informale di molti creditori, aumentando le chance di omologazione.
    In caso di accordo raggiunto, l’esperto spesso svolgerà un ultimo ruolo di certificazione: può attestare il carattere equilibrato e attuabile dell’accordo (specie se è un accordo di ristrutturazione ex art. 57 o un PRO, dove serve un’attestazione formale di veridicità dei dati e fattibilità del piano). Va sottolineato che la composizione negoziata in sé si chiude con l’accordo: da quel momento, se l’accordo è stragiudiziale, saranno le parti a doversi adoperare per la sua esecuzione; se invece prevede un passaggio giudiziale (omologazione), si apre la relativa fase dinanzi al tribunale.
  • Relazione finale negativa: nessun accordo – Se le trattative falliscono e non si individua alcuna soluzione condivisa, l’esperto ne darà atto nella relazione finale, dichiarando che “le trattative si sono svolte correttamente ma senza esito positivo”. In tal caso la procedura viene archiviata. Questo esito non è auspicabile, ma accade quando uno o più creditori chiave rifiutano qualsiasi proposta e non è possibile trovare un compromesso. L’imprenditore, a questo punto, non beneficia più della protezione delle misure protettive (che cessano con l’archiviazione) e dovrà valutare soluzioni alternative immediate per evitare azioni esecutive: ad esempio potrebbe presentare istanza di concordato preventivo (anche in bianco, cioè con riserva di presentare un piano entro 60-120 giorni) o, come extrema ratio, subire la richiesta di liquidazione giudiziale da parte dei creditori. Tuttavia, il Codice offre un’ultima chance all’imprenditore che abbia tentato la composizione negoziata senza successo: la possibilità di accedere al concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio (art. 25-sexies CCII). Di questo strumento “residuale” ci occuperemo dettagliatamente più avanti; qui basti anticipare che si tratta di una procedura concorsuale rapida per liquidare i beni dell’impresa sotto il controllo del tribunale, senza voto dei creditori, disponibile solo per chi abbia prima esperito la composizione negoziata.
  • Interruzione della procedura per altre cause: In rari casi, la composizione negoziata potrebbe interrompersi anticipatamente per motivi diversi dal raggiungimento o meno dell’accordo. Ad esempio, se durante le trattative emergesse che l’imprenditore ha occultato informazioni o ha aggravato dolosamente la posizione dei creditori, l’esperto potrebbe ritirarsi e riferire l’esito negativo (violazione del dovere di buona fede). Oppure l’imprenditore stesso potrebbe rinunciare, se capisce che non vi sono soluzioni sostenibili. Inoltre, se interviene la dichiarazione di liquidazione giudiziale (fallimento) da parte di un tribunale – eventualità possibile, come visto, se i creditori lo chiedono e il tribunale non ritiene opportuno attendere – la composizione negoziata si chiude anticipatamente in quanto sostituita dalla procedura concorsuale.

Vantaggi e incentivi (“misure premiali”) per l’imprenditore

La composizione negoziata offre diversi vantaggi rispetto al ricorso immediato a procedure concorsuali tradizionali:

  • Tempestività e conservazione del valore: intervenendo in fase precoce di crisi, si ha più chance di salvare l’azienda o parte di essa. L’azienda può continuare a operare durante le trattative, evitando lo stigma e le rigidità di un fallimento. Anche in caso di esito liquidatorio, la vendita degli asset concordata privatamente può realizzare valori migliori che in un fallimento forzoso.
  • Riservatezza: a differenza del concordato, la composizione negoziata non comporta un’apertura formale di procedura concorsuale né la nomina di organi ufficiali come il commissario. Questo limita il danno reputazionale. Le informazioni sono gestite in modo confidenziale: solo se si chiedono misure protettive c’è pubblicità nel registro imprese, ma ciò segnala una situazione in gestione più che un default conclamato.
  • Flessibilità nelle soluzioni: non essendo incasellata in un percorso procedurale rigido, la composizione negoziata consente di cucire soluzioni su misura (ad es. rinegoziare singoli contratti, vendere asset non strategici per fare cassa, ottenere nuova finanza, ecc.) con il consenso diretto dei creditori interessati.
  • Costi contenuti: il processo è relativamente economico. L’imprenditore deve pagare un contributo iniziale modesto (circa €268 tra diritti di segreteria e marca da bollo) e sostenere il compenso dell’esperto, che è predeterminato dalla legge in percentuale sull’attivo aziendale, con incrementi in base al numero di creditori e al raggiungimento di un accordo. Ad esempio, più creditori partecipano e più la trattativa va a buon fine (accordo o piano attestato), maggiore potrà essere il compenso, così da incentivare l’esperto all’impegno. In ogni caso, il compenso dell’esperto – pur a carico dell’imprenditore – è generalmente inferiore ai costi di un lungo concordato o di un fallimento (dove intervengono più organi e professionisti).
  • Conservazione della gestione: l’imprenditore non perde il controllo dell’azienda, a differenza di quanto avviene in fallimento (dove subentra il curatore) o in certi casi di concordato (concordato con cessione dei beni). Questo permette a chi conosce meglio l’impresa di proseguire l’attività, motivato dall’obiettivo del risanamento.
  • Misure premiali legali: Il Codice prevede specifici incentivi di natura legale e fiscale per chi utilizza la composizione negoziata. In particolare, sono state introdotte alcune agevolazioni fiscali: se dalle trattative scaturisce un accordo di ristrutturazione o un concordato, l’imprenditore può beneficiare di riduzioni delle sanzioni e degli interessi sui debiti tributari, nonché della rateizzazione dei tributi scaduti. Ad esempio, l’Agenzia delle Entrate può accordare nel piano la riduzione delle sanzioni fiscali e degli interessi di mora, prevedendo un pagamento dilazionato dell’imposta dovuta. Inoltre, durante le trattative, alcune norme sospendono l’obbligo di ricapitalizzazione in caso di perdite rilevanti previsto dal codice civile: l’art. 20, co.8 CCII esonera temporaneamente gli amministratori dall’alienare l’azienda o dall’operare la riduzione del capitale per perdite ex artt. 2446 e 2447 c.c., evitando che la società debba sciogliersi mentre cerca un accordo. Anche sul fronte penale, l’imprenditore che ricorre tempestivamente agli strumenti di composizione potrebbe godere di attenuanti in caso di successive contestazioni (ad es. in materia di bancarotta preferenziale, dimostrare di aver agito per tentare il risanamento può essere visto con favore).
  • Salvaguardia dai reati di bancarotta: se l’imprenditore segue le indicazioni dell’esperto e tratta in buona fede, difficilmente incorrerà in accuse di aggravamento doloso del dissesto. Anzi, l’attivazione tempestiva della composizione negoziata è considerata indice di corretta gestione della crisi, potenzialmente esimente da responsabilità per il ritardo nella richiesta di fallimento.
  • Benefici sociali ed economici: come evidenziato dai dati di Unioncamere, questo strumento sta contribuendo a salvare posti di lavoro e imprese. Al novembre 2024 risultavano quasi 2.000 istanze presentate dall’avvio della riforma, con 926 istanze in più rispetto all’anno precedente, e 210 imprese avviate a risanamento (contro 83 dell’anno prima). Ciò si traduce in oltre 10.000 lavoratori che hanno evitato il licenziamento grazie agli esiti positivi delle negoziazioni. L’85% delle imprese che accedono alla composizione negoziata sono società di capitali, mediamente con 64 dipendenti e ~13 milioni di euro di produzione: dunque non solo micro-imprese, ma anche realtà medio-grandi che grazie a questo percorso hanno potuto evitare il tracollo. Questo contesto evidenzia l’efficacia crescente dell’istituto e il “favor” del sistema verso soluzioni privatistiche e consensuali della crisi d’impresa.

In sintesi, la composizione negoziata rappresenta oggi un passaggio quasi obbligato per qualsiasi imprenditore in crisi che voglia tentare il salvataggio della propria attività. La flessibilità, la riservatezza e gli incentivi offerti ne fanno uno strumento prezioso. Tuttavia, non sempre il negoziato va a buon fine: permangono casi in cui la rigidità o conflittualità di taluni creditori, o l’oggettiva insostenibilità dell’impresa, impediscono di raggiungere un accordo. In tali frangenti, come già anticipato, il legislatore ha previsto due strumenti successivi: il piano di ristrutturazione omologato (per le ipotesi di accordo con tutti i creditori organizzati per classi) e il concordato semplificato (per le ipotesi di fallimento delle trattative e necessità di liquidare l’azienda). Passiamo ad analizzare il primo di essi.

Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO)

Tra le novità introdotte in recepimento della direttiva europea sui quadri di ristrutturazione preventiva, spicca il Piano di Ristrutturazione soggetto ad Omologazione (PRO), disciplinato dagli artt. 64-bis – 64-sexies CCII. Si tratta di un particolare tipo di accordo di ristrutturazione dei debiti che, pur richiedendo l’intervento del tribunale per la sua omologazione, mantiene un carattere eminentemente negoziale: esso infatti presuppone l’adesione dei creditori organizzati in classi. La peculiarità del PRO è che consente di derogare alle ordinarie regole di distribuzione del valore tra i creditori (ordine delle prelazioni, par condicio) a condizione che vi sia il consenso unanime di tutte le classi di creditori votanti. In altre parole, se tutti i creditori coinvolti accettano il piano, questo potrà essere omologato dal tribunale anche se prevede trattamenti non strettamente rispettosi delle cause di prelazione (fermo restando il pagamento integrale dei lavoratori entro 30 giorni dall’omologazione, come tutela inderogabile).

Vediamo in dettaglio come funziona questo strumento, quando si applica e in cosa differisce dagli altri accordi di ristrutturazione e dal concordato.

Finalità e ambito di applicazione

Il PRO è concepito per situazioni in cui l’imprenditore, pur trovandosi in stato di crisi o insolvenza, riesce a ottenere il consenso di tutti (o quasi) i suoi creditori su un piano di ristrutturazione, ma tale piano richiede qualche strappo alle regole ordinarie, tale da necessitare comunque l’intervento del tribunale per essere reso efficace. Un esempio tipico: l’impresa vuole proseguire l’attività e propone ai creditori un piano in cui i creditori privilegiati accettano di non essere soddisfatti integralmente (magari di ricevere il 80% del loro credito) per permettere anche ai chirografari di avere una percentuale (es. 20%) – cosa normalmente vietata dalle priorità legali, ma che qui avviene con il consenso di quegli stessi privilegiati. Oppure, il piano potrebbe prevedere la cessione di beni su cui insiste un’ipoteca, destinando parte del ricavato anche a creditori chirografari: ciò è fattibile solo se il creditore ipotecario acconsente. Il PRO fornisce la cornice giuridica per rendere vincolante un simile accordo, evitando contestazioni future, tramite l’omologazione giudiziale.

In pratica, il PRO è un’alternativa al concordato preventivo quando c’è unanimità o consenso larghissimo dei creditori. Rispetto a un concordato, il PRO evita la fase di voto e ammette deroghe alle prelazioni; rispetto a un accordo di ristrutturazione “semplice” ex art. 57 CCII, il PRO richiede consenso più ampio (nel 57 basta il 60% dei crediti), ma in cambio consente maggior libertà di contenuti (perché l’accordo ex art. 57 vincola solo i creditori aderenti e comunque non può alterare le cause legittime di prelazione dei non aderenti, salvo specifiche eccezioni). Dunque il PRO si applica tipicamente quando tutti i creditori rilevanti sono d’accordo sul piano di ristrutturazione e si vuole ottenere un’omologazione per blindare l’intesa e avere alcuni benefici (es. esenzione da revocatoria, efficacia anche verso eventuali creditori restanti, riconoscimento ufficiale dell’accordo).

Va sottolineato che il PRO non è limitato a imprese di una certa dimensione: qualunque imprenditore commerciale o agricolo in crisi/insolvenza vi può ricorrere, purché sia in grado di presentare un piano con classi di creditori. In teoria, anche un piccolo imprenditore potrebbe tentare un PRO, ma nella prassi questo strumento sarà utilizzato soprattutto da aziende con molti creditori e strutture di debito complesse, dove può avere senso la suddivisione in classi.

Caratteristiche e requisiti del piano

Il cuore del PRO è il piano di ristrutturazione proposto dal debitore. Esso deve contenere: la descrizione dettagliata della situazione aziendale, le cause della crisi, le strategie di ristrutturazione (sia sul versante industriale che finanziario), e soprattutto la suddivisione dei creditori in classi omogenee per posizione giuridica e interesse economico. La formazione delle classi segue criteri simili a quelli previsti per il concordato preventivo: vanno posti in classi diverse i creditori con differente grado di privilegio o con posizioni economiche non comparabili. Ad esempio, è usuale creare: una classe di banche finanziatrici, una classe di fornitori chirografari, una classe di creditori privilegiati ipotecari, ecc., se tali creditori vengono trattati diversamente dal piano.

Un requisito fondamentale è che tutte le classi votino a favore all’unanimità. Ciò significa che il piano deve essere accettato da tutti i creditori appartenenti a ciascuna classe (non basta la maggioranza di classe, serve il 100% dei voti per classe). In realtà, la legge fa riferimento all’“unanimità delle classi”, per indicare che ogni singola classe ha approvato all’unanimità. Va precisato che eventuali creditori non interessati o non pregiudicati dal piano possono essere esclusi dal voto: ad esempio, un creditore che verrà pagato integralmente a scadenza non è parte attiva del piano (è uninfluenced e non deve votare). Questo consente di raggiungere l’unanimità concentrandosi sui creditori che subiscono una ristrutturazione del loro credito. In pratica, quindi, il debitore può decidere di pagare integralmente i piccoli creditori o i dissenzienti per toglierli di mezzo come classe separata, e ottenere l’accordo unanime solo tra quelli con cui ha rinegoziato realmente (questo è un meccanismo previsto per facilitare l’unanimità sostanziale).

Il piano PRO può prevedere deroghe alla par condicio come detto: ad esempio può contemplare che un creditore ipotecario riceva meno del suo credito pur rinunciando a parte della prelazione, oppure che creditori di pari grado vengano soddisfatti in percentuale diversa (solo se separati in classi distinte e consenzienti). L’unico limite inderogabile è la tutela dei lavoratori: l’art. 64-bis CCII stabilisce che i crediti di lavoro devono essere pagati integralmente entro 30 giorni dall’omologazione, anche in un PRO. Inoltre, se il piano prevede l’intervento di nuovi finanziamenti o soci, deve comunque rispettare le regole societarie e di legge (ad esempio, se c’è conversione di crediti in equity serve il consenso individuale di quei creditori, ecc.).

Dal punto di vista documentale, il debitore deve allegare al ricorso per omologazione del PRO anche l’attestazione di un esperto indipendente sulla veridicità dei dati aziendali e sulla fattibilità del piano (come richiesto anche nei concordati e accordi di ristrutturazione). In sostanza, serve il visto buono di un professionista terzo che certifichi che il piano è realistico e che i creditori hanno prospettiva di soddisfacimento almeno pari all’alternativa liquidatoria.

Procedura di omologazione e effetti

Per attivare un PRO, l’imprenditore deposita presso il tribunale un ricorso per omologazione ai sensi dell’art. 64-bis CCII, allegando il piano, la documentazione contabile e l’attestazione di fattibilità. Poiché si presume che i creditori abbiano già manifestato il loro consenso (magari sottoscrivendo accordi o protocolli di adesione al piano), il ricorso includerà anche le dichiarazioni di voto favorevole di tutte le classi.

Il tribunale fissa un’udienza per l’omologazione, di cui viene data comunicazione ai creditori. Non essendo prevista una votazione in sede giudiziale (perché questa è avvenuta anteriormente su base volontaria), i creditori hanno facoltà di presentare eventuali opposizioni solo se contestano la regolarità della procedura o l’esistenza effettiva dell’unanimità. Ad esempio, se un creditore lamenta di non essere stato correttamente collocato in classe o di non aver avuto le informazioni dovute. In assenza di opposizioni rilevanti, o dopo averle rigettate, il tribunale procede all’omologazione verificando i presupposti di legge: unanimità delle classi, rispetto dei diritti dei lavoratori, fattibilità del piano, e assenza di violazioni di norme imperative.

Con la sentenza (o decreto) di omologazione, il piano acquista efficacia vincolante verso tutti i creditori interessati. Ciò significa che anche l’eventuale esiguo numero di creditori che non avessero formalmente aderito (poniamo un creditore che non abbia risposto alla proposta ma era inserito in una classe comunque approvata all’unanimità dagli altri membri, o un creditore che non ha partecipato perché escluso in quanto soddisfatto integralmente) si vedono applicare le disposizioni del piano. L’omologazione comporta inoltre alcuni effetti tipici analoghi a quelli di un concordato o accordo ex art. 57 omologato: in particolare, i creditori per titolo o causa anteriore non possono iniziare o proseguire azioni esecutive individuali, né acquisire cause di prelazione se non consentite dal piano (c.d. automatic stay a seguito dell’omologa). Inoltre, il debitore riacquista la piena disponibilità dell’impresa secondo i termini del piano.

Un vantaggio notevole del PRO è che, essendo equiparato a una procedura di regolazione della crisi, il debitore beneficerà delle esenzioni da azioni revocatorie: i pagamenti e le garanzie concesse in esecuzione del PRO omologato non potranno essere revocati in un eventuale successivo fallimento, ex art. 67, co.3, lett. e) L.F. (ora trasfuso nel CCII). Ciò dà certezza ai terzi e ai creditori che le operazioni compiute in attuazione del piano (ad es. vendite di beni, pagamenti parziali, ecc.) sono definitivamente protette.

Mancata omologazione e conversione in concordato: Se il tribunale non omologa il piano – ad esempio perché scopre che non c’era l’unanimità dichiarata, o perché ritiene il piano non fattibile – cosa succede? Il Codice prevede una norma di salvaguardia (art. 64-quater CCII) secondo cui, su richiesta del debitore, il procedimento può proseguire come concordato preventivo. In pratica l’istanza di omologazione del PRO viene “convertita” in una domanda di concordato preventivo “in continuità” o “liquidatorio” (a seconda dei contenuti del piano). Questo per evitare un vuoto: l’imprenditore può giocarsi la carta del PRO sapendo che, se qualcosa va storto, ha ancora la possibilità di sottoporre il piano al voto dei creditori secondo le regole ordinarie del concordato. Ad esempio, se non si raggiunge l’unanimità ma comunque una larga maggioranza, il piano potrebbe essere riproposto come concordato preventivo suddividendo i creditori in classi e chiedendo il voto con maggioranze del 50% o 66% per classe (secondo le regole del concordato). Ovviamente la conversione richiederà gli adempimenti opportuni (nomina del commissario giudiziale, eventuale modifica del piano per rispettare le regole di trattamento dei dissenzienti, ecc.).

Differenze rispetto al concordato preventivo ordinario: Riassumendo, le principali differenze del PRO rispetto a un concordato sono:

  • Necessità di adesione unanime per classi (PRO) versus maggioranza qualificata (concordato preventivo, in cui basta il 50% dei crediti votanti, calcolati eventualmente per classi in caso di cram-down interclassi).
  • Nel PRO niente voto formale in procedura: tutto avviene prima su base negoziale; nel concordato c’è il voto dei creditori dinanzi al commissario.
  • Derogabilità della graduazione dei crediti nel PRO (col consenso di tutti), mentre nel concordato preventivo le regole di priorità devono essere rispettate salvo consenso specifico dei creditori pregiudicati o applicazione di cram-down (che però richiede condizioni, ad es. che ai dissenzienti sia assicurato almeno quanto otterrebbero in liquidazione).
  • Il PRO è tendenzialmente più rapido e snello: non c’è fase di ammissione né adunanza dei creditori, si va direttamente all’omologazione. Ciò richiede però un enorme lavoro a monte di costruzione del consenso.
  • Nel PRO non c’è il commissario giudiziale (figura che invece è presente nel concordato preventivo per vigilare durante la procedura e redigere la relazione ai creditori).
  • In compenso, il PRO è fragile: basta l’opposizione di un solo creditore per far mancare l’unanimità e quindi dover ripiegare su altro. Il concordato invece può assorbire dissensi entro certe soglie.

Va osservato che il PRO è un istituto nuovo e, almeno fino a maggio 2025, poco sperimentato nella prassi, proprio per l’alto grado di consenso richiesto. Molte ristrutturazioni negoziate finiscono per tradursi in un accordo ex art. 57 (se si ha il 60% e non si derogano prelazioni) oppure in un concordato preventivo (se non c’è sufficiente consenso). Il PRO rappresenta un’ottima soluzione teorica quando c’è piena concordia tra debitore e creditori: in tal caso l’omologa è praticamente assicurata e offre il suggello di legge al loro accordo.

La giurisprudenza sul PRO per ora è scarsa. La Relazione Illustrativa al D.lgs. 83/2022 chiariva la ratio dell’istituto come attuazione dell’art. 11, par.1, della Direttiva UE 2019/1023, ovvero prevedere un quadro di ristrutturazione approvato da tutte le parti interessate in ciascuna classe. I primi provvedimenti dei tribunali in materia hanno riguardato aspetti procedurali, ad esempio la possibilità di cram down fiscale: il correttivo 2024 ha espressamente introdotto la transazione fiscale nel PRO (art. 63 CCII come modif.) stabilendo che durante le trattative il debitore può trattare con l’Erario una proposta di soddisfacimento parziale e, se il Fisco aderisce, questa viene recepita nel piano. Se invece l’Erario non aderisce, nel PRO (che richiede unanimità) la procedura non è percorribile – a differenza del concordato dove si può superare il dissenso dell’Erario se la proposta è conveniente. Dunque il PRO necessita anche dell’accordo con il fisco e gli enti previdenziali, ove vi siano debiti tributari o contributivi rilevanti.

In conclusione, il PRO è uno strumento di nicchia ma di grande utilità per formalizzare accordi di ristrutturazione pienamente consensuali, assicurando flessibilità massima nei contenuti e tempi rapidi. Quando tale livello di consenso non è raggiungibile, l’imprenditore dovrà ricorrere ad altri mezzi – quale, ad esempio, il concordato preventivo ordinario se comunque c’è una maggioranza disponibile, oppure, in caso di esito negativo del negoziato e mancanza di risanabilità, al concordato semplificato che vediamo di seguito.

Il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio

Il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio (per brevità anche “CLS” – concordato liquidatorio semplificato) è una procedura concorsuale giudiziale introdotta in via definitiva nel Codice della crisi dall’art. 25-sexies CCII. Nasce come strumento residuale e di chiusura nel percorso di gestione della crisi delineato dal legislatore del 2021: esso può essere attivato solo dall’imprenditore che abbia tentato senza successo la composizione negoziata. In altri termini, il concordato semplificato non è accessibile direttamente (non è una procedura autonoma bensì “mediata” dalla composizione negoziata) – requisito confermato espressamente dal Codice. Vediamo le caratteristiche di questo istituto, che consente di evitare il fallimento attraverso una liquidazione concordata ma senza il complesso iter del concordato preventivo ordinario.

Natura e presupposti di accesso

Natura residuale: Il concordato semplificato ha una natura spiccatamente residuale e straordinaria. Esso interviene come ultimo approdo quando le trattative nella composizione negoziata non hanno condotto a un accordo con i creditori e l’impresa versa comunque in stato di crisi o insolvenza. Lo scopo dichiarato è di “favorire un rapido accordo con i creditori per evitare il fallimento, garantendo al contempo una distribuzione equa dell’attivo”. Di fatto, il CLS offre all’imprenditore onesto ma sfortunato un’ulteriore possibilità: presentare una proposta unilaterale di concordato finalizzata alla cessione integrale dei propri beni ai creditori, ottenendo l’omologazione da parte del tribunale anche in assenza di approvazione dei creditori. Questa è la grande differenza rispetto al concordato preventivo: qui i creditori non votano. Il controllo del tribunale supplisce alla mancanza di voto, verificando che la proposta sia per i creditori almeno pari (in termini di risultato) a quella di una liquidazione fallimentare.

Presupposto fondamentale: aver svolto la composizione negoziata. L’art. 25-sexies CCII richiede che l’imprenditore abbia esperito la composizione negoziata e che l’esperto, nella relazione finale, dichiari che “le trattative si sono svolte in modo corretto e in buona fede, ma senza trovare soluzione”. Inoltre, l’esperto nella relazione deve dar conto se vi fossero o meno concrete prospettive di risanamento. In pratica, serve un “lasciapassare” dell’esperto: solo se l’esperto conclude che la composizione negoziata è stata tentata seriamente e non ha prodotto un accordo, allora l’imprenditore può accedere al concordato semplificato. Non basta quindi aver presentato l’istanza di nomina dell’esperto: occorre aver effettivamente avviato le trattative con i creditori e averle condotte fino a constatarne l’impraticabilità. Ad esempio, se l’imprenditore abbandona la negoziazione troppo presto, rischia che non vi siano i presupposti per il semplificato.

Possono accedere al concordato semplificato sia gli imprenditori commerciali (anche sopra soglia, quindi normalmente soggetti a fallimento) sia gli imprenditori agricoli e quelli sotto soglia. Questi ultimi, prima della riforma, erano estranei al fallimento e disponevano solo degli strumenti di sovraindebitamento: ora, se tentano la composizione negoziata, possono usare anche loro il concordato semplificato. In tal senso la procedura è universale per chiunque abbia seguito il percorso negoziale.

Stato di crisi o insolvenza: Al momento di proporre il concordato semplificato, l’impresa sarà quasi certamente in stato di insolvenza (poiché il tentativo di risanamento è fallito). Tuttavia, formalmente, il presupposto oggettivo è analogo a quello del concordato preventivo: lo stato di crisi o insolvenza dell’imprenditore. Quindi anche chi è solo “in crisi” (insolvenza non ancora conclamata) potrebbe teoricamente proporre il semplificato, ma è una casistica rara perché se c’erano margini di risanamento forse l’accordo si sarebbe trovato. Nella pratica, il semplificato è destinato ai casi di insolvenza irreversibile dove l’unica cosa da fare è liquidare in fretta i beni evitando il fallimento.

Procedura: dalla domanda di omologazione alla liquidazione dei beni

Presentazione della domanda: Diversamente dal concordato preventivo ordinario, il debitore non deve chiedere l’ammissione alla procedura, ma propone direttamente il concordato semplificato al tribunale, chiedendone l’omologazione. Si deposita cioè un ricorso che funge contemporaneamente da domanda di concordato e da istanza di omologazione (come previsto dall’art. 25-sexies, co. 2 CCII). Questa domanda va presentata entro 60 giorni dal deposito della relazione finale dell’esperto (termine previsto dal DL 118/2021) – termine che richiede tempestività, per evitare che l’imprenditore indugi troppo tenendo in sospeso i creditori.

Alla domanda devono essere allegati una serie di documenti analoghi a quelli del concordato preventivo:

  • La relazione finale dell’esperto della composizione negoziata (a riprova del presupposto di accesso).
  • La proposta di concordato semplificato contenente l’impegno a liquidare il patrimonio e le modalità di distribuzione ai creditori.
  • Il piano di liquidazione dei beni, ossia un documento che elenca dettagliatamente tutti i cespiti dell’impresa e le modalità con cui si intende convertirli in denaro (vendita in blocco, vendita analitica di singoli beni, cessione dell’azienda, ecc.), con una stima dei tempi e dei valori di realizzo.
  • Le liste nominative di creditori e titolari di diritti reali o personali sui beni (come in ogni procedura concorsuale).
  • I bilanci degli ultimi esercizi e una situazione patrimoniale aggiornata, l’elenco degli atti di straordinaria amministrazione compiuti di recente, e una relazione riepilogativa sulla situazione economica.

Essendo un concordato liquidatorio, la proposta normalmente prevede che tutto il patrimonio dell’impresa venga ceduto o liquidato a beneficio dei creditori. Può includere offerte di acquisto già individuate (es. un soggetto interessato a comprare l’intera azienda o alcuni beni) oppure prefigurare l’affidamento a un liquidatore che procederà alle vendite in un certo modo. Può anche prevedere la cosiddetta “assunzione” del concordato da parte di un terzo, ossia che un soggetto esterno si impegna a versare una somma (o altre utilità) per pagare i creditori in cambio di rilevare l’azienda libera da debiti. Questo scenario, se disponibile, ovviamente aumenta le chance di soddisfacimento dei creditori.

Trattamento dei creditori e mancanza di voto: Come già evidenziato, nel concordato semplificato i creditori non sono chiamati a votare l’approvazione. Questa è una differenza sostanziale rispetto al concordato preventivo tradizionale. I creditori tuttavia devono essere sentiti: ricevono comunicazione della proposta depositata e dell’udienza di omologazione fissata dal tribunale (con un anticipo di almeno 45 giorni). Entro un termine perentorio (10 giorni prima dell’udienza) possono depositare opposizioni o osservazioni. In pratica, il loro ruolo è simile a quello di creditori dissenzienti in sede di omologa di un concordato preventivo: possono contestare la convenienza o la legittimità della proposta.

Valutazione del Tribunale e omologazione: Il tribunale esamina la proposta in camera di consiglio, tenendo conto delle eventuali opposizioni. Cosa verifica? Principalmente due cose: (1) la fattibilità del piano di liquidazione e (2) la convenienza della proposta rispetto alla liquidazione giudiziale. Il criterio della convenienza comparativa è stato sottolineato in più pronunce: il giudice deve assicurarsi che i creditori, con il concordato semplificato, ottengano una soddisfazione non inferiore a quella che otterrebbero in caso di fallimento (liquidazione giudiziale). Non è necessario che ottengano di più – a differenza di un concordato preventivo liquidatorio ordinario, dove la legge richiede un apporto esterno o un quid pluris del 10% rispetto al fallimento (art. 84 CCII) – ma almeno uguale risultato. Questo perché si ritiene che il concordato semplificato offra comunque ai creditori un vantaggio qualitativo: tempi più rapidi e distribuzione più celere dell’attivo. Dunque, se un fallimento farebbe prevedere un soddisfacimento, poniamo, del 20% per i chirografari in tre anni, un concordato semplificato potrà essere omologato anche se prevede il 20% in due anni – essendo più rapido, è comunque preferibile, fermo restando che non deve scendere sotto al 20%. Se invece la proposta garantisse solo il 5% mentre in fallimento i periti stimano che si potrebbe ricavare il 20%, il giudice non potrà omologarla perché pregiudizievole per i creditori.

Altro profilo: fattibilità. Il tribunale valuta se il piano di liquidazione è concretamente realizzabile e sufficientemente definito. Ad esempio, se i beni sono gravati da incertezze (proprietà dubbia, contenziosi in corso) o se l’attivo è presentato in modo aleatorio (crediti di difficile esigibilità, beni sopravvalutati, ecc.), l’omologa può essere negata. Un caso concreto: il Tribunale di Lecce (18 febbraio 2025) ha rigettato l’omologa di un concordato semplificato perché il piano presentava incertezza sull’attivo disponibile, insufficienza di garanzie e scarsa chiarezza sul passivo. In quel caso, la società debitrice proponeva di soddisfare i creditori con crediti fiscali da bonus edilizi non ancora monetizzati, affitti futuri e liquidazione di beni, ma il giudice ha ritenuto tali poste troppo incerte e aleatorie (ad esempio un credito di €624.000 era litigioso e privo di esigibilità immediata). Ciò ha portato a concludere che la proposta non offriva sufficiente garanzia ai creditori e quindi andava respinta. Questo esempio chiarisce che, sebbene i creditori non votino, il tribunale esercita un filtro molto rigoroso a tutela dei loro interessi.

Se il tribunale ritiene soddisfatte le condizioni, emette il decreto di omologazione del concordato semplificato. Con l’omologazione, diventano efficaci le misure previste dalla proposta: l’azienda o i beni vengono posti in liquidazione secondo il piano. Il tribunale nomina un liquidatore giudiziale (tipicamente un professionista indipendente), il quale avrà il compito di gestire la cessione dei beni e la distribuzione del ricavato ai creditori. Il liquidatore opera in modo analogo a un curatore fallimentare, ma sotto le direttive stabilite nel piano e nel decreto di omologa. A lui si applicano, per quanto compatibili, le disposizioni sul curatore e sulle operazioni di liquidazione previste nel CCII. Non è prevista invece la costituzione di un comitato dei creditori, data la semplicità e la brevità della procedura.

Effetti per i creditori: Una volta omologato il concordato semplificato, i creditori sono vincolati ad esso: non possono iniziare né proseguire azioni esecutive individuali sul patrimonio del debitore (le eventuali cause esecutive pendenti diventano improcedibili e vengono estinte definitivamente). Si instaura quindi una tutela collettiva analoga al fallimento, ma sotto l’egida del concordato omologato: i creditori dovranno attendere le ripartizioni effettuate dal liquidatore. In pratica, l’omologazione del concordato semplificato produce un effetto esdebitativo indiretto: al termine, una volta distribuito tutto l’attivo, l’imprenditore viene liberato dai debiti residui non soddisfatti (equiparandosi a un fallimento chiuso per riparto finale, in cui le società si estinguono e l’imprenditore individuale può chiedere l’esdebitazione).

Confronto con il fallimento: Il concordato semplificato, seppur liquidatorio, offre vantaggi rispetto alla liquidazione giudiziale tradizionale: tempi e costi minori, perché si salta tutta la fase di accertamento del passivo (non c’è stato bisogno di verificare ogni credito uno per uno prima della liquidazione – la proposta del debitore contiene già l’elenco dei crediti, su cui eventualmente si pronuncia il tribunale in caso di contestazioni) e non c’è un procedimento che può protrarsi per molti anni. Inoltre, come sottolineato dalla giurisprudenza, la rapidità e la concentrazione di attività garantiscono ai creditori una soddisfazione più tempestiva. Anche i costi per i creditori tendono a essere minori: nel fallimento ogni creditore deve insinuarsi, potenzialmente con spese legali, mentre nel concordato semplificato il loro intervento è più passivo e non è richiesta un’insinuazione formale (ci si basa sull’elenco dei creditori fornito dal debitore, eventualmente rettificato dal tribunale).

Aspetti giurisprudenziali: Essendo un istituto nuovo (in vigore da fine 2021), il concordato semplificato ha generato un certo interesse nei tribunali. La Cassazione ha avuto modo di pronunciarsi sul punto di diritto della competenza territoriale, stabilendo che il concordato semplificato è a tutti gli effetti una procedura concorsuale: pertanto, per individuare il tribunale competente territorialmente va applicata in via analogica la regola generale (art. 9 L.F., ora art. 27 CCII) basata sulla sede principale dell’impresa. Questa pronuncia (Cass. Sez. I, 12/04/2023 n. 9730) ha evidenziato la “continuità” normativa tra il D.L. 118/2021 e il Codice, riconoscendo che il semplificato introdotto dal decreto transitorio è proseguito senza soluzione nel CCII. Sul merito, diversi tribunali (Pescara, Lecce, ecc.) si sono espressi, come visto, su criteri di omologazione: Tribunale di Pescara 20/12/2023 ha affermato chiaramente che “Non è necessario che il concordato semplificato comporti un quid pluris a favore dei creditori, ma solo che ad essi sia garantito un livello di soddisfazione non inferiore a quello ricavabile dalla liquidazione giudiziale”, evidenziando il favor legis per una soluzione concordataria anche solo equivalente al fallimento, data la maggiore celerità. Tribunale di Lecce 18/02/2025, come visto, ha negato l’omologa in un caso di attivo incerto e passivo non chiaro, ribadendo che la proposta deve essere sufficientemente garantita e dettagliata per poter procedere. In sintesi, i giudici sono vigili nel bilanciare la necessità di dare seguito all’iniziativa del debitore meritevole con la tutela minima dei creditori.

Esiti successivi: Se il concordato semplificato viene omologato e completato (liquidati i beni e ripartito il ricavato), l’impresa debitore – se società – di norma viene cancellata dal registro imprese ed estinta; se imprenditore individuale, potrà chiedere al tribunale l’esdebitazione (liberazione dai debiti residui) secondo le norme generali. Se invece, ipotesi rara, il tribunale rifiuta l’omologa del semplificato, non rimane che la strada della liquidazione giudiziale (fallimento): di solito, nello stesso provvedimento di diniego il tribunale, su istanza di un creditore o del PM, dichiara l’insolvenza e apre la liquidazione giudiziale.

Il concordato semplificato, dunque, è un’ancora di salvezza per chi – pur avendo agito tempestivamente – non è riuscito a trovare un accordo. Consente di evitare le lungaggini del fallimento e di chiudere dignitosamente la crisi. D’altro canto, dal punto di vista dei creditori, rappresenta un’imposizione giudiziale: essi subiscono un piano deciso unilateralmente dal debitore. Questo è giustificato solo perché, se il debitore è passato attraverso la composizione negoziata, significa che i creditori hanno già avuto la chance di negoziare e l’hanno (attivamente o passivamente) rifiutata; pertanto, si può ritenere che un’alternativa di mercato non sarebbe comunque emersa e che la liquidazione giudiziale sarebbe stata l’esito certo – a quel punto, tanto vale seguire la via semplificata, purché equa.

Differenze tra gli strumenti di composizione della crisi

Abbiamo analizzato singolarmente i vari strumenti offerti dall’ordinamento per la gestione della crisi d’impresa tramite accordi con i creditori. È utile ora riassumerne le differenze chiave in termini di presupposti, natura, procedura, ruolo dei creditori, effetti, tempistiche e costi. Di seguito presentiamo alcune tabelle riepilogative che mettono a confronto la Composizione negoziata, gli Accordi di ristrutturazione dei debiti / PRO, il Concordato preventivo (per contestualizzare) e il Concordato semplificato.

Requisiti di accesso e natura dello strumento

StrumentoSoggetti ammessiStato del debitoreNatura della proceduraFinalità principale
Composizione negoziataImprenditori (commerciali e agricoli) di ogni dimensione (no consumatori)Squilibrio patrimoniale/finanziario che rende probabile la crisi o insolvenza; prospettiva di risanamentoStragiudiziale, volontaria e riservata (assistita da esperto)Risanamento dell’impresa (continuità aziendale) tramite accordo volontario con i creditori
Accordo di ristrutturazione (ex art. 57 CCII)Imprenditori in crisi o insolvenza (tutti, incluse piccole imprese)Crisi o insolvenza in atto (necessaria situazione di difficoltà conclamata)Stragiudiziale con omologazione giudiziale (procedura di volontaria giurisdizione)Risanamento tramite accordo con creditori che rappresentino ≥60% dei crediti (vincola solo aderenti, salvo cram-down su estranei se previsto dalla legge)
Piano di ristrutturazione omologato (PRO)Imprenditori in crisi o insolvenza con creditori organizzati in classiCrisi o insolvenza; richiesta unanimità tra le classi di creditori interessatiIbrido: negoziale (richiede consenso unanime classi) con omologazione giudizialeRisanamento con ampie possibili deroghe a regole concorsuali (priorità) grazie al consenso universale dei creditori
Concordato preventivoImprenditori commerciali fallibili (incl. sopra-soglia) + imprenditori sotto-soglia e agricoli (concordato “minore”)Crisi o insolvenza (attuale o prospettica)Giudiziale concorsuale (ammissione, voto dei creditori, omologazione)Risanamento (concordato in continuità) o liquidazione concordata (concordato liquidatorio) con necessaria convenienza migliorativa rispetto al fallimento (≥10% ai chirografari se liquidatorio)
Concordato semplificatoImprenditori che hanno svolto composizione negoziata senza accordo (commerciali, agricoli, sotto-soglia)Crisi o insolvenza conclamata (impresa normalmente decotta)Giudiziale concorsuale semplificata (no voto creditori, solo omologazione tribunale)Liquidazione integrale del patrimonio sotto controllo del tribunale, in via più rapida e semplificata rispetto al fallimento

Note: Il concordato minore per i debitori sotto-soglia ha regole analoghe al concordato preventivo ma semplificate (es. nomina dell’OCC – Organismo di Composizione della Crisi – invece del commissario). Non è stato trattato diffusamente in questa guida poiché affine al concordato preventivo e destinato a piccole imprese/non fallibili.

Ruolo dei creditori e decisione sull’accordo

StrumentoCoinvolgimento dei creditoriApprovazione richiestaIntervento del Tribunale
Composizione negoziataPartecipazione volontaria alle trattative. Creditori contattati dall’esperto e debitore; possono formulare proposte alternative, concedere moratorie, ecc.Consenso stragiudiziale volontario: nessun quorum legale, l’accordo vincola solo chi firma. L’esperto cerca il massimo consenso, ma anche accordi parziali possono aiutare (es. accordo con banche, mentre altri creditori saranno poi soddisfatti con altri strumenti).Tribunale coinvolto solo se richieste misure protettive/cautelari (sospensione azioni esecutive, autorizzazioni atti). Nessuna omologazione finale se l’accordo è totalmente extragiudiziale.
Accordo di ristrutturazione (art.57)Adesione formale tramite firma dell’accordo da parte dei creditori che rappresentino ≥60% del totale crediti. Creditori estranei non partecipano alla negoziazione se non volontariamente.60% di crediti (minimo) devono sottoscrivere l’accordo. Non serve unanimità. I creditori non firmatari restano estranei ma possono essere soddisfatti integralmente fuori accordo o in base a transazione fiscale per Erario/Enti.Richiesta di omologazione al tribunale: controllo di legalità e che i creditori estranei non siano pregiudicati (devono ricevere pagamento integrale o trattamento non deteriore). Possibile omologa anche in caso di opposizioni, se il tribunale ritiene rispettati i requisiti.
Piano di ristrutturazione (PRO)Voto espresso su base negoziale, suddiviso per classi di creditori omogenee. I creditori discutono il piano e manifestano consenso scritto.Unanimità per classi: ogni classe di creditori deve approvare al 100%. Basta il dissenso di un creditore in una classe per far venir meno l’unanimità (eventualmente il debitore può escludere quel creditore soddisfacendolo integralmente per toglierlo dal voto).Omologazione necessaria: il tribunale omologa se tutte le classi hanno aderito all’unanimità e il piano rispetta requisiti di legge (lavoratori pagati, fattibilità, ecc.). I creditori possono opporsi solo per vizi di procedura o mancanza effettiva di consenso unanime. In assenza di unanimità, possibile conversione in concordato preventivo.
Concordato preventivoI creditori sono suddivisi in classi (se eterogenei) e chiamati a votare in adunanza o tramite modalità telematiche. Hanno diritto di voto i chirografari e i privilegiati degradati o parzialmente soddisfatti.Maggioranza richiesta: >50% dei crediti ammessi al voto (nel calcolo contano anche i non votanti come assenso tacito). Se classi, serve maggioranza in ogni classe; possibile cram-down se almeno una classe approva e le altre non ottengono vantaggio inferiore a piano alternativo (art. 112 CCII).Controllo del tribunale: ammissione iniziale (con nomina commissario), omologazione finale subordinata a voto favorevole e verifica di legittimità e convenienza (se creditori dissenzienti eccepita). Creditori e terzi possono proporre opposizione all’omologa, deciderà la Corte d’Appello.
Concordato semplificatoCreditori non votano la proposta. Possono soltanto presentare opposizioni/osservazioni al tribunale prima dell’udienza di omologa.Nessuna approvazione dei creditori richiesta (presupposto è il fallimento delle trattative, quindi si prescinde dal loro consenso). Il “consenso” è sostituito dal controllo giudiziale.Ruolo centrale del tribunale: valuta fattibilità e convenienza rispetto a fallimento; se ok, omologa nonostante il dissenso dei creditori. I creditori possono opporsi e il tribunale decide sulle opposizioni in sede di omologa. Dopo omologa, nominato liquidatore e tribunale supervisiona l’esecuzione.

Effetti, tempi e costi indicativi

StrumentoEffetti principaliTempistiche tipicheCosti indicativi
Composizione negoziata– Sospensione delle azioni esecutive solo se concesse misure protettive (max 240 giorni).– Conservazione amministrazione in capo al debitore.– Accordi finali volontari: se omologati (accordo 57 o PRO) producono esenzioni revocatorie e vincolo erga omnes; altrimenti se stragiudiziali restano contratti privati.– In caso di esito negativo, possibile concordato semplificato (con protezione aggiuntiva).– Procedura negoziale: durata 6 mesi estensibile fino a 12.– Se accordo raggiunto: tempi variabili per formalizzazione (piano attestato immediato; accordo 57 circa 2-3 mesi per omologa; PRO simile).– Se fallisce: immediato ricorso a semplificato (entro 60gg) o altre proc.Costi procedurali bassi: diritti segreteria €252 + bolli.– Compenso esperto: % su attivo (es. per attivo €1 mln, forfait indicativo qualche migliaio di euro, aumentabile se accordo concluso).– Consulenze varie a carico debitore (es. attestatore se serve, avvocati).– Benefici fiscali: esenzioni da bolli su atti autorizzati, riduzione sanzioni/interessi tributari se accordo concluso.
Accordo ristrutturazione– Effetto esdebitativo verso creditori aderenti dopo omologa (vincolo contrattuale prima dell’omologa). Verso estranei: solo effetti previsti (es. se transazione fiscale approvata, vincola Fisco).– Moratoria procedure esecutive: ottenibile chiedendo misure protettive al tribunale all’atto del deposito accordo (fino a 4+4 mesi).– Esenzione da revocatoria per atti esecutivi dell’accordo omologato (art. 166 CCII).– Negoziazione: durata variabile (può svolgersi anche durante comp. negoziata).– Omologazione: ~30-60 giorni se non vi sono opposizioni (con opposizioni anche 3-6 mesi).– Costo notarile per accordo (se previsto), compenso attestatore (può essere qualche decina di migliaia € per imprese medio-grandi), spese legali moderate (procedura di volontaria giurisdizione).– Imposta registro esenzione (atto omologazione esente).
PRO– Idem accordo, ma con efficacia vincolante universale (tutti creditori delle classi coinvolte).– Possibile deroga par condicio: creditori consenzienti rinunciano a parte di prelazione.– Dopo omologa: atti previsti dal piano vincolanti, esdebitazione eventuale dopo esecuzione integrale piano.– Se non omologato, convertibile in concordato preventivo.– Negoziazione con creditori: solitamente contestuale a comp. negoziata, durata mesi.– Procedimento omologa: rapido (30-60 gg) se tutto regolare, perché senza voto formale.– Simile ad accordo: compenso attestatore, spese legali per ricorso omologa.– Vantaggio: niente costi commissario o adunanza.– Eventuali costi per nuove garanzie offerte ai creditori per convincerli (commissioni).
Concordato preventivo– Automatic stay: dal deposito domanda (se in bianco, dal provvedimento di ammissione) blocco azioni esecutive individuali e accrual interessi chirografari.– Vincolo per tutti i creditori anteriori all’omologa: crediti stralciati o ristrutturati come da piano, salvo falcidie non consentite su privilegi senza transazione fiscale.– Esdebitazione della società de facto (liquidazione beni e chiusura) o dell’imprenditore individuale tramite esdebitazione post-concordato.– Atti in esecuzione del concordato omologato esenti da revocatoria.– Procedura lunga: 6-9 mesi in media dall’ammissione all’omologa (tempi maggiori se piano complesso).– Possibile fase prenotativa (“in bianco”) di 60-120 gg per presentare piano.– Fase esecutiva post-omologa: liquidazione beni o attuazione piano, da pochi mesi a vari anni a seconda del caso.Costi elevati: contributo unificato (€ to €), compenso commissario giudiziale (stabilito dal tribunale a carico debitore, proporzionale all’attivo/passivo, spesso decine di migliaia €), eventuale compenso liquidatore se piano liquidatorio, spese legali significative, eventuali costi assemblee creditori.– Professionisti vari (attestatore, consulenti) anch’essi a carico debitore.
Concordato semplificato– Automatic stay di fatto una volta presentata la proposta (il tribunale in genere emette provvedimenti di protezione analoghi al concordato; comunque all’omologa scatta la protezione totale).– Creditori vincolati dal decreto di omologa: non possono agire individualmente e ricevono distribuzioni secondo il piano.– Nomina di un liquidatore da parte del tribunale che assume amministrazione dei beni ceduti.– Atti di liquidazione esenti da revocatoria (essendo procedura concorsuale).– Esdebitazione finale per il debitore (come in fallimento).– Procedura molto rapida: deposito proposta -> udienza in ~45 giorni -> omologa (se concessa) immediata.– Esecuzione: vendita beni e riparti a cura liquidatore, potenzialmente pochi mesi se beni facilmente liquidabili, qualche anno se beni immobili di difficile realizzo (ma comunque tendenzialmente più veloce di un fallimento medio).Costi moderati: contributo unificato (minimo concorsuale), no commissario (quindi risparmio), solo compenso liquidatore (dopo omologa, simile a quello di un curatore ma su tempi più brevi).– Spese legali per assistenza debitore, ma fase giudiziale unica (omologa).– Minor formalità riducono anche costi di pubblicità legale, notifiche, ecc.

(Le voci di costo e durata sono indicative e possono variare secondo la complessità del caso specifico.)

Giurisprudenza recente in materia di composizione della crisi (aggiornata a Maggio 2025)

In questi primi anni di applicazione del nuovo Codice, la giurisprudenza – di legittimità e di merito – ha iniziato a delineare principi importanti sugli istituti di composizione della crisi. Di seguito sintetizziamo le pronunce più significative fino a maggio 2025, con i relativi principi di diritto espressi:

  • Cassazione Civile, Sez. I, 12 febbraio 2025, n. 3634: ha stabilito che “la pendenza di misure protettive o di una procedura di composizione negoziata della crisi d’impresa non obbliga il giudice a rinviare l’udienza per la dichiarazione di fallimento”. In altre parole, la Suprema Corte ha chiarito che l’attivazione della composizione negoziata – e persino la concessione di misure protettive ex art. 18 CCII – non impone al tribunale fallimentare di sospendere o differire la decisione sull’eventuale istanza di liquidazione giudiziale pendente. Questo principio tutela i creditori istanti e previene eventuali abusi da parte del debitore, ma al contempo richiama i giudici di merito a valutare caso per caso se la prosecuzione delle trattative giustifichi un rinvio (nel caso deciso, evidentemente, le trattative non davano prospettive concrete di risanamento). La decisione evidenzia la necessità per il debitore di fornire elementi convincenti sullo stato avanzato e sulle probabilità di successo della negoziazione se vuole ottenere un differimento della dichiarazione di fallimento.
  • Cassazione Civile, Sez. I, 12 aprile 2023, n. 9730: in questa pronuncia la Corte ha affrontato per la prima volta la natura del concordato semplificato ex D.L. 118/2021 (ora art. 25-sexies CCII), affermando che esso “ha natura di procedura concorsuale” e che, ai fini della competenza territoriale, si applica in via analogica l’art. 161, co.1 L.Fall. (ora art. 27 CCII). Ciò significa che la competenza a omologare il concordato semplificato spetta al tribunale del luogo dove l’impresa debitrice ha il centro degli interessi principali (COMI), analogamente a quanto avviene per concordato preventivo e fallimento. La Cassazione ha dunque evidenziato continuità normativa e concettuale tra la disciplina transitoria del 2021 e quella attuale, ribadendo che il concordato semplificato deve sottostare ai principi generali delle procedure concorsuali. Questo orientamento garantisce certezza sul piano della competenza e conferma che il semplificato non è un accordo privatistico ma una procedura concorsuale a tutti gli effetti, seppur semplificata.
  • Cassazione Sezioni Unite, 27 marzo 2023, n. 8557: sebbene questa decisione delle Sezioni Unite riguardi principalmente i criteri di riparto dell’attivo nel fallimento (trattava del diritto dei creditori garantiti da pegno/ipoteca su beni di terzi, estranei al fallimento), merita menzione per un principio generale: la Corte ha affermato che vi è una chiara intenzione del legislatore della riforma di favorire le soluzioni concordate della crisi anche nella disciplina della liquidazione giudiziale. Infatti, in obiter dictum, le SU richiamano l’introduzione degli strumenti di regolazione della crisi nel CCII (composizione negoziata, concordati, accordi) come espressione di un nuovo approccio sistematico. Pur non direttamente attinente al nostro tema, questa pronuncia sottolinea il contesto generale in cui si collocano gli istituti negoziali: un ordinamento orientato a promuovere accordi e piani di ristrutturazione, relegando la soluzione giudiziale autoritativa (liquidazione fallimentare) all’extrema ratio.
  • Tribunale di Pescara, sez. fall., 20 dicembre 2023 (Pres. Bongrazio, Est. Capezzera): sentenza storica in materia di concordato semplificato, poiché ha fissato il criterio di comparazione con il fallimento. Il Tribunale ha affermato che nel concordato semplificato “Non è necessario […] un quid pluris a favore dei creditori, ma solo che ad essi sia garantito un livello di soddisfazione non inferiore a quello ricavabile dalla liquidazione giudiziale”. Questo principio – già anticipato dalla lettera della norma (art. 25-sexies CCII) – chiarisce ogni dubbio: a differenza del concordato preventivo liquidatorio, nel semplificato non serve offrire ai chirografari un aumento percentuale minimo, è sufficiente la parità di trattamento con lo scenario fallimentare. Nella motivazione, il Tribunale sottolinea il favor concordatario persino in ipotesi di equivalenza dei risultati, giustificato dai vantaggi qualitativi (velocità, minori costi) del concordato semplificato. Questa pronuncia costituisce un importante precedente utilizzato poi da altri tribunali.
  • Tribunale di Lecce, sez. III civ., 18 febbraio 2025 (decreto di rigetto omologa concordato semplificato): caso già esaminato in precedenza, in cui il giudice leccese ha negato l’omologazione di un concordato semplificato ritenendo la proposta non sufficientemente garantita per i creditori. In particolare, ha riscontrato tre criticità: (a) incertezza sull’attivo (crediti fiscali di dubbia esigibilità, incassi futuri incerti); (b) insufficienza delle garanzie offerte; (c) mancata chiarezza su alcune poste di passivo. Il decreto – oltre a ribadire la necessità di comparazione con il fallimento – ha sottolineato che il piano liquidatorio deve essere concreto e dettagliato, pena il diniego. Questo provvedimento fornisce una guida pratica: chi propone un semplificato deve predisporre un piano molto solido, magari corredato da perizie di stima e documenti che comprovino l’effettiva realizzabilità dei valori indicati. Qualora l’attivo sia troppo aleatorio, il tribunale non può “scommettere” sull’esito futuro a discapito delle ragione dei creditori.
  • Tribunale di Milano, sez. fall., varie pronunce 2022-2024: i giudici milanesi sono intervenuti su aspetti organizzativi della composizione negoziata. Ad esempio, con decreto del 7 aprile 2022, il Tribunale di Milano ha precisato che la pubblicazione della domanda di misure protettive nel registro imprese comporta la sospensione anche delle azioni esecutive bancarie (pignoramenti di conti, ecc.), stante la dizione ampia dell’art. 18 CCII, fugando dubbi interpretativi iniziali. Inoltre, Trib. Milano 15 luglio 2022 ha evidenziato che l’esperto nella composizione negoziata, pur non avendo poteri autoritativi, può invitare i creditori finanziari ad astenersi dall’escutere garanzie personali durante le trattative, in ossequio al principio di buona fede: un eventuale rifiuto ingiustificato di collaborare del creditore potrà poi essere valutato in sede di concessione o revoca delle misure protettive.
  • Corte di Appello di Venezia, decreto 8 novembre 2022: in tema di accordi di ristrutturazione dei debiti omologati, ha confermato l’omologa di un accordo con transazione fiscale nonostante il voto negativo dell’Erario, applicando la normativa emergenziale Covid (DL 118/2021) che consentiva il cram-down fiscale. Questo è rilevante perché anticipa il principio poi in parte recepito nel CCII: oggi, nel concordato preventivo, è possibile omologare anche senza adesione del fisco se la proposta è conveniente; mentre nel PRO serve unanimità. Le corti di merito stanno quindi tracciando un equilibrio tra l’interesse pubblico erariale e la riuscita dei piani di risanamento.

In generale, la giurisprudenza di merito mostra, salvo eccezioni, un atteggiamento collaborativo nel dare attuazione allo spirito della riforma: molte pronunce evidenziano il favore verso soluzioni concordate rapide e l’impegno a interpretare le norme in modo da rimuovere ostacoli e incertezze applicative. Allo stesso tempo, i giudici non rinunciano al loro ruolo di garanzia: se un piano appare poco serio o squilibrato, come visto, non esitano a bocciarlo. Questo bilanciamento è cruciale per il buon funzionamento del sistema.

FAQ – Domande frequenti sulla composizione della crisi e accordi con i creditori

D1: Chi può accedere alla composizione negoziata della crisi?
R: Può accedervi qualsiasi imprenditore commerciale o agricolo, di piccola o grande dimensione, che si trovi in situazione di squilibrio patrimoniale o finanziario tale da far prevedere la crisi o l’insolvenza. Non è necessario essere già insolventi; anzi, è preferibile muoversi ai primi segnali di crisi. Sono inclusi gli imprenditori “sotto soglia” (piccolissime imprese) e gli imprenditori agricoli, categorie che prima della riforma non potevano accedere alle procedure concorsuali ordinarie. Sono invece esclusi i soggetti non fallibili non iscritti come imprenditori (consumatori privati, professionisti, enti non profit non imprenditoriali): per costoro restano gli strumenti di sovraindebitamento (piani del consumatore, ristrutturazione dei debiti del consumatore). In pratica, la composizione negoziata è pensata per salvare aziende, non per gestire debiti personali del consumatore.

D2: Come si avvia in concreto la composizione negoziata?
R: Si avvia online, tramite la piattaforma telematica nazionale predisposta dalle Camere di Commercio. L’imprenditore (o un professionista delegato) accede con SPID/CNS, compila l’istanza di nomina dell’esperto e carica i documenti richiesti (bilanci, elenco creditori, piano aziendale abbozzato, ecc.). La piattaforma offre anche un test di autodiagnosi e una check-list per prepararsi. Una volta inviata l’istanza, entro qualche giorno viene nominato l’esperto indipendente (da una Commissione regionale o dal Segretario CCIAA se piccola impresa). L’esperto contatterà l’imprenditore per iniziare le operazioni. Quindi, in concreto: 1) registrarsi sulla piattaforma, 2) compilare e allegare documenti, 3) inviare istanza e pagare i diritti (€252), 4) attendere nomina esperto e poi incontrarlo per dare il via alle trattative.

D3: L’impresa conserva la gestione durante la composizione negoziata?
R: Sì. Non c’è spossessamento né nomina di un commissario. L’imprenditore resta pienamente alla guida della sua azienda, sia per gli atti di ordinaria che di straordinaria amministrazione. Deve però gestire in buona fede e nell’ottica del risanamento: operazioni straordinarie incoerenti con le trattative devono essere evitate o almeno concordate con l’esperto (che potrebbe segnalarle come pregiudizievoli). In casi dubbi, l’imprenditore può chiedere al tribunale un’autorizzazione specifica (es. per vendere un bene importante, o per contrarre un nuovo finanziamento garantito). Ma non c’è alcun sostituto nella gestione: l’esperto affianca ma non amministra. Questo è un elemento centrale: la composizione negoziata è uno strumento “di parte”, attivato e condotto dal debitore, con un controllo esterno (esperto) leggero.

D4: Cosa sono le misure protettive e come si ottengono?
R: Le misure protettive sono provvedimenti del tribunale che sospendono temporaneamente le azioni esecutive individuali dei creditori (pignoramenti, sequestri) e impediscono di acquisire nuove garanzie sul patrimonio del debitore. Si ottengono presentando un’istanza al tribunale (spesso contestuale o subito successiva alla nomina dell’esperto) ai sensi dell’art. 18 CCII. Il tribunale, se ricorrono i presupposti, emette un decreto di concessione delle misure, che viene pubblicato nel registro imprese e comunicato ai creditori. Da quel momento, nessun creditore può iniziare o proseguire azioni di recupero sul debitore per i crediti antecedenti. La durata iniziale è fino a 120 giorni, prorogabile per altri 120 max. Per ottenere le misure, il debitore deve convincere il giudice che sta trattando con i creditori in buona fede e che la protezione è funzionale al buon esito delle trattative (ad es. serve per evitare che un creditore “aggressivo” faccia saltare il tavolo). Se i presupposti vengono meno – ad es. il debitore tergiversa senza trattare – il tribunale può revocare le misure. Nota: le misure protettive non congelano l’azienda (il debitore può continuare a pagare chi vuole volontariamente, e i contratti proseguono), sospendono solo le azioni coattive dei creditori. Inoltre, come detto sopra, la Cassazione ha chiarito che le misure protettive non bloccano l’eventuale dichiarazione di fallimento su istanza di creditori, se il tribunale ritiene di procedere. Quindi sono uno scudo, ma non l’immunità totale.

D5: I creditori sono obbligati a partecipare alle trattative nella composizione negoziata?
R: No, la partecipazione dei creditori è volontaria. Nessuna norma impone al creditore di sedersi al tavolo. Tuttavia, vi sono incentivi e qualche “moral suasion” perché partecipino: il procedimento è riservato e veloce, e se il creditore collabora può magari ottenere una soluzione migliore rispetto a un fallimento (in cui spesso i tempi sono lunghi e i recuperi magri). Inoltre, se il debitore chiede misure protettive, il creditore comunque subirà il blocco dei pignoramenti: tanto vale negoziare. Un creditore può anche decidere di ignorare gli inviti dell’esperto; ciò non comporta sanzioni dirette, ma potrebbe ritorcersi contro se si arriva a concordato semplificato o fallimento, dove non avrà trattato prima. Alcune categorie di creditori istituzionali (es. banche) si sono date linee guida interne per aderire in modo costruttivo alle composizioni negoziate, anche per ragioni di reputazione e perché spesso conviene loro evitare svalutazioni creditizie pesanti.

D6: Cosa succede se un accordo viene effettivamente raggiunto con i creditori?
R: Dipende dal tipo di accordo:

  • Se è un accordo extragiudiziale privato (tutti i creditori chiave firmano una convenzione), allora semplicemente si esegue quell’accordo: la composizione negoziata si chiude e non serve omologazione. Il contenuto può essere una moratoria dei pagamenti, una dilazione, una rinuncia parziale al credito, ecc., a seconda di cosa si è pattuito.
  • Se è un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 57 CCII (almeno 60% dei crediti hanno aderito formalmente), allora conviene presentarlo al tribunale per l’omologazione. In tal caso, dopo la firma, l’imprenditore deposita il ricorso per omologazione: il tribunale verifica legalità e assenza di pregiudizio per i non aderenti, e se tutto ok omologa rendendo l’accordo efficace erga omnes. I creditori non firmatari, per legge, restano fuori ma in pratica vengono pagati come previsto dall’accordo (spesso integralmente o con le dilazioni concesse).
  • Se è un piano di ristrutturazione soggetto a omologa (PRO), cioè se si è raggiunta l’adesione unanime per classi, il debitore chiede direttamente l’omologa ex art. 64-bis CCII. Il tribunale omologa e da quel momento il piano è vincolante per tutti i creditori delle classi.
  • Se è un piano che si vuole trasformare in concordato preventivo, il debitore deposita un ricorso di concordato con quel piano: a quel punto seguirà l’iter ordinario (ammissione, voto dei creditori in senso formale, omologa). Tuttavia, avendo già l’accordo informale, di solito i creditori voteranno a favore, quindi è più una formalità.
  • In sintesi: raggiunto un accordo, la composizione negoziata termina (l’esperto scrive relazione positiva) e l’imprenditore e creditori passano alla fase di implementazione: o eseguono privatamente, o portano in tribunale l’esito per consolidarlo (omologa). L’esperto esaurisce il suo compito con la relazione finale.

D7: Se invece non si riesce a trovare alcun accordo, l’impresa è destinata al fallimento?
R: Non necessariamente immediatamente. Se la composizione negoziata fallisce, è vero che i creditori riacquisiscono piena libertà di azione (decadono misure protettive) e possono chiedere il fallimento. Ma il legislatore ha previsto l’opportunità per il debitore di prendere l’iniziativa e proporre entro 60 giorni un concordato semplificato per la liquidazione. Questo gli consente di evitare il fallimento, liquidando lui stesso il patrimonio in modo più rapido e controllato, con l’aiuto del tribunale ma senza passare per il voto dei creditori. Se il debitore non fa nulla e la sua insolvenza è grave, allora sì, molto probabilmente qualche creditore (o d’ufficio la Procura) chiederà la liquidazione giudiziale e il tribunale la dichiarerà. Quindi, fallita la negoziazione, il debitore ha pochissimo tempo per scegliere: o un concordato preventivo ordinario (se intravede comunque una possibilità di soluzione concordata con maggioranza creditori) o, se la situazione è compromessa, il concordato semplificato per chiudere dignitosamente. In assenza di questi, si va verso il fallimento.

D8: Quali sono le differenze tra un accordo di ristrutturazione dei debiti e un concordato preventivo?
R: Pur essendo entrambi strumenti per ristrutturare l’impresa con il coinvolgimento del tribunale, presentano notevoli differenze:

  • L’accordo di ristrutturazione dei debiti (art. 57 CCII) è essenzialmente negoziale: richiede la firma di creditori che rappresentino almeno il 60% dei crediti. Non c’è voto in senso tecnico ma un’adesione contrattuale. Ha il vantaggio della riservatezza (viene omologato in camera di consiglio senza passare da un’assemblea di creditori) ed è flessibile: i creditori non devono essere trattati per forza in modo paritario (puoi accordarti con alcuni per sconti e pagarne altri integralmente). Lo svantaggio è che i creditori non aderenti restano di regola estranei: devi prevedere di soddisfarli integralmente o comunque di non pregiudicarli, altrimenti l’omologa non passa. Inoltre l’accordo non consente di alterare le prelazioni senza consenso dei titolari (tranne specifiche norme su banche e fisco). È uno strumento usato quando c’è ampio consenso tra i principali creditori ma non necessariamente unanimità.
  • Il concordato preventivo invece è una procedura concorsuale a tutti gli effetti: comporta l’apertura di un procedimento pubblico, la nomina di un commissario, il coinvolgimento di tutti i creditori noti, il voto a maggioranza e l’omologazione con eventuale cram-down dei dissenzienti. È più “pesante” in termini di formalità e tempi, ma ha il vantaggio di poter imporre il piano anche alle minoranze contrarie, se si raggiungono le maggioranze di legge e il piano è equo. Inoltre consente più facilmente di incidere sui diritti dei creditori privilegiati (ad esempio riducendo i loro crediti con la transazione fiscale per fisco/INPS, o degradando la parte incapiente a chirografo) nell’ambito delle regole concorsuali. In sintesi: accordo = velocità, riservatezza, flessibilità ma efficacia limitata agli aderenti; concordato = lentezza, pubblicità, rigidità ma efficacia universale vincolante su tutti. Spesso si tenta prima la via dell’accordo; se manca qualche adesione si ripiega sul concordato.

D9: Il nuovo “piano di ristrutturazione omologato (PRO)” in cosa differisce dal vecchio accordo di ristrutturazione?
R: Il PRO (art. 64-bis CCII) può essere visto come un’evoluzione dell’accordo di ristrutturazione per i casi di consenso integrale. La differenza fondamentale sta nella suddivisione in classi e nell’unanimità richiesta. Nel vecchio accordo ex 182-bis L.Fall bastava il 60% e non c’era concetto di classi (anche se poi per transazione fiscale e accordi con intermediari finanziari si sono introdotte eccezioni e soglie diverse). Nel PRO il debitore mette i creditori in classi omogenee e deve ottenere l’adesione del 100% per ogni classe. Se ci riesce, l’omologazione giudiziale permetterà di dare esecuzione a un piano che può anche non rispettare le priorità legali (es. stralciare ipoteche col consenso del ipotecario, pagare percentuali diverse a chirografari se così hanno accettato, ecc.). In pratica, il PRO deroga alla par condicio mentre l’accordo ex art. 57 la deve rispettare verso i non aderenti. Possiamo dire:

  • Accordo 57: ≥60% adesioni, vincola solo aderenti (estranei fuori), niente deroghe prelazioni (salvo adesioni individuali o norme speciali).
  • PRO: 100% adesioni per classi (quindi tutti i creditori coinvolti), vincola tutti, possibili trattamenti non proporzionali purché tutti d’accordo.
    Inoltre, tecnicamente, il PRO è figlio della direttiva UE e vuole incentivare i piani super-concordati, dove tutti si trovano d’accordo e il giudice fa solo da “notaio” dell’accordo (salvo controllo di legalità). Il PRO è quindi più difficile da ottenere (perché serve consenso universale) ma più potente come effetti.

D10: Se un’impresa accede al concordato semplificato, i creditori possono fare qualcosa per opporsi?
R: I creditori, nel concordato semplificato, non hanno diritto di voto, ma possono presentare opposizione all’omologazione entro i termini fissati (tipicamente fino a 10 giorni prima dell’udienza). Nell’opposizione possono far valere, ad esempio, che la proposta non conviene (perché in un fallimento prenderebbero di più), oppure che il debitore ha compiuto atti in frode, o contestare la stima dei beni, etc. Il tribunale valuterà queste opposizioni durante l’udienza di omologa. Se ritiene che siano fondate – ad esempio verificando che effettivamente il piano darebbe il 10% ai creditori ma in fallimento essi potrebbero avere il 30% – rigetterà l’omologazione. Quindi i creditori hanno questa tutela giurisdizionale. Non possono invece “impedire” al debitore di presentare la domanda: se il debitore ha i requisiti (composizione negoziata svolta) ha il diritto di proporre il concordato semplificato. Inoltre, se un creditore è convinto che la proposta sia in malafede o che il debitore stia solo cercando di guadagnare tempo, potrà evidenziarlo nell’opposizione e il giudice terrà conto. In ultima analisi, se il tribunale omologa, i creditori non hanno appello (possono solo proporre reclamo in Corte d’Appello contro il decreto di omologa, analogamente alle opposizioni in concordato preventivo, ma i motivi di reclamo sono limitati).

D11: I debiti fiscali e previdenziali possono essere inclusi e ridotti in questi accordi?
R: Sì, ma con alcune particolarità. Negli strumenti di composizione della crisi non giudiziali (accordi di ristrutturazione, composizione negoziata) il trattamento dei debiti erariali e previdenziali richiede la cosiddetta transazione fiscale e contributiva (artt. 63 e 88 CCII). Significa che occorre proporre all’Agenzia delle Entrate e agli enti previdenziali un accordo specifico, ad esempio rateizzare o stralciare sanzioni e interessi e parte del capitale. Se tali enti aderiscono, l’accordo è valido; se non aderiscono, in un accordo di ristrutturazione non si può imporre nulla (e spesso l’accordo salta). Nel concordato preventivo, invece, il tribunale può omologare anche senza il voto favorevole del Fisco/INPS purché la proposta preveda per loro un soddisfacimento non inferiore a quello ottenibile in liquidazione e, per il solo fisco, almeno il 20% del credito chirografo salvo casi eccezionali (questa è una novità introdotta recependo la direttiva UE). Quindi, in concordato i debiti fiscali possono essere falcidiati anche se l’Erario dice no, purché si rispettino certe condizioni (cram-down fiscale). Nel concordato semplificato, analogamente, se il piano offre al Fisco il massimo possibile (o comunque il rispetto del trattamento fallimentare), il giudice può omologare anche col loro dissenso, perché non c’è voto formale. Infine, ricordiamo che durante la composizione negoziata il D.lgs. 136/2024 consente di avviare la transazione fiscale: l’art. 23 CCII ora permette che, nel corso delle trattative, il debitore richieda all’Erario di accettare una certa proposta (ad es. stralcio sanzioni e interessi). Se l’Erario dà disponibilità, l’accordo risultante la includerà; se rifiuta, il debitore dovrà prevedere di pagarlo integralmente o valutare alternative (come il concordato). In sintesi: sì, i debiti fiscali/previdenziali possono essere inclusi nei piani e ridotti, ma serve il rispetto delle procedure di legge (adesione dell’ente o cram-down giudiziale a certe condizioni).

D12: L’imprenditore che segue questi percorsi va esente da responsabilità penali o personali?
R: Non c’è un’esenzione penale automatica, ma il comportamento virtuoso dell’imprenditore in crisi è premiato dall’ordinamento in vari modi. Sul piano penale, la tempestiva attivazione per gestire la crisi può evitare che certi fatti integrino reati: ad esempio, se l’imprenditore evita di aggravare il dissesto grazie alla composizione negoziata, non incorrerà nel reato di bancarotta semplice per aggravamento. Inoltre, la legge prevede specifiche circostanze attenuanti: l’art. 324 CCII (richiamando la L. 3/2012) dice che nei reati di bancarotta, se il danno è lieve e l’imprenditore ha agito per tentare di salvare l’impresa collaborando con gli organi della procedura, la pena può essere diminuita. Sul piano civile, va ricordato che dal momento in cui si deposita l’istanza di composizione negoziata, sono sospesi gli obblighi di riduzione del capitale per perdite e di scioglimento della società per perdite (art. 20, co.8 CCII): questo mette al riparo gli amministratori da responsabilità per aver tardato nello scioglimento. Inoltre, se si arriva a un accordo omologato o a un concordato, gli amministratori che lo hanno promosso difficilmente saranno accusati di mala gestio, anzi avranno adempiuto al dovere di adottare strumenti idonei a superare la crisi (art. 3 Codice). Quindi, in generale, l’imprenditore che percorre le vie del risanamento negoziato è tutelato rispetto a chi rimane inerte: potrà beneficiare di esenzioni da revocatorie, attenuazione di responsabilità, e in caso di concordato omologato vedrà anche estinzione di eventuali reati minori (ad es. reati tributari entro certi limiti, se il concordato li prevede, vengono estinti ex art. 180 L.F., norma da verificare nel nuovo CCII ma tendenzialmente mantenuta per concordato preventivo). Insomma, seguire la strada giusta conviene anche in termini di rischio personale.

Caso pratico: simulazione di un accordo di composizione della crisi passo per passo

Per meglio comprendere l’applicazione concreta degli strumenti descritti, proponiamo ora una simulazione pratica ispirata a un caso reale (i nomi e dati sono di fantasia). Illustreremo il percorso di un’ipotetica azienda industriale, Alfa S.r.l., attraverso la crisi, evidenziando le decisioni prese, i documenti redatti e gli esiti ottenuti.

Profilo dell’azienda: Alfa S.r.l. è un’azienda manifatturiera nel settore tessile, con sede in Lombardia, 80 dipendenti e un fatturato pre-crisi di circa 15 milioni €/anno. Negli ultimi due esercizi ha subito perdite significative (5 milioni complessivi) a causa di contrazione degli ordini e aumento dei costi. A fine 2024 presenta uno squilibrio finanziario: banche esposte per 4 milioni (di cui 1 scaduto), fornitori non pagati per 2 milioni, debiti tributari per 500mila € (IVA e ritenute non versate), oltre ad altri oneri. Il patrimonio netto è quasi azzerato. Gli amministratori percepiscono che senza interventi Alfa non reggerà oltre pochi mesi, rischiando l’insolvenza conclamata.

Fase 1 – Attivazione tempestiva della composizione negoziata: Nel gennaio 2025, il CDA di Alfa S.r.l. decide di agire. Con l’assistenza del proprio legale e di un commercialista, compie un check-up dei requisiti e sceglie di avviare la composizione negoziata. Tramite la piattaforma telematica, compila l’istanza di nomina dell’esperto. Allegherà:

  • Un prospetto sulla situazione finanziaria aggiornata al 31/12/2024 (patrimonio netto quasi negativo, debiti scaduti).
  • Un’ipotesi di piano di risanamento: i consulenti di Alfa predispongono un documento di 10 pagine circa in cui propongono alcune linee d’azione (es.: dismissione di un impianto non strategico per ridurre i debiti bancari; riduzione costi del personale tramite contratto di solidarietà; richiesta ai fornitori di uno stralcio del 30% sui crediti; ricerca di un investitore interessato a ricapitalizzare).
  • L’elenco dei creditori principali con importi dovuti e eventuali garanzie (banche X e Y, fornitori elencati per nome, Erario, INPS, ecc.).
  • Un rapporto sulle cause della crisi (perdita di un grosso cliente estero, lockdown Covid pregresso, investimenti in macchinari non andati a regime).
  • Gli ultimi bilanci approvati (2022 e 2023) e situazione contabile al 31/12/2024.

L’istanza viene inviata e Alfa paga online i €268 dovuti.

Fase 2 – Nomina dell’esperto e analisi iniziale: Dopo circa 5 giorni, la Commissione regionale nomina l’Esperto, il dott. Beta, commercialista con esperienza di crisi. Il dott. Beta accetta l’incarico e viene fissato un primo incontro il 20 gennaio 2025. Nell’incontro, presso la Camera di Commercio locale, partecipano gli amministratori di Alfa e l’esperto. Si discute apertamente della situazione: Alfa è in stato di crisi grave, probabilmente insolvente (ha già saltato pagamenti rilevanti). Tuttavia, l’esperto vede alcuni elementi positivi: c’è un potenziale investitore (un concorrente straniero interessato a entrare nel capitale), c’è un portafoglio ordini che potrebbe risollevarsi se si supera il picco di debiti, e i principali creditori (banche) non hanno ancora revocato fidi. Si concorda di procedere con le trattative.

L’esperto redige una check-list di informazioni aggiuntive da raccogliere (es.: stima del valore dell’impianto da vendere; cash flow mensile per capire di quanta cassa necessita Alfa per continuare qualche mese; contatti già avuti con l’investitore). Inoltre, suggerisce ad Alfa di valutare la richiesta di misure protettive, dato che una banca ha minacciato di escutere un pegno su macchinari. Alfa concorda.

Fase 3 – Richiesta di misure protettive: Con l’aiuto dell’avvocato, Alfa presenta al Tribunale di Milano un ricorso per ottenere misure protettive ex art. 18 CCII. Nel ricorso spiega: “È in corso composizione negoziata, nominato esperto Beta, servono 4 mesi di respiro per condurre trattative serie. Si chiede pertanto di inibire ai creditori (in particolare Banca X e Y e i fornitori) di iniziare o proseguire esecuzioni”. Viene depositata l’accettazione dell’esperto e un suo primo parere che conferma la necessità di protezione. Il Tribunale, vista la pendenza della negoziazione, concede subito (entro pochi giorni) le misure protettive con decreto, fissando la durata in 3 mesi rinnovabili e l’udienza di conferma tra un mese. Il decreto viene iscritto al Registro delle Imprese, cosicché i creditori ne hanno notizia. Da questo momento, eventuali azioni esecutive partite (ad esempio un pignoramento da parte di un fornitore) si congelano, e le banche non possono compensare forzatamente i saldi di conto.

Fase 4 – Svolgimento delle trattative con i creditori: Forte della protezione (che evita emorragie immediate di cassa), Alfa con l’esperto convoca i creditori principali in riunioni separate:

  • Con Banca X (credito di €2 mln garantito da ipoteca su capannone): la banca è preoccupata ma aperta a soluzioni. Alfa propone: pagare regolarmente gli interessi e rientrare di €0,5 mln vendendo un impianto, mentre per il restante €1,5 mln chiede una conversione in strumento partecipativo (la banca diventerebbe quasi socia con uno strumento finanziario partecipativo, oppure accetterebbe rimborso a lungo termine con interessi ridotti). Banca X prende nota; condiziona l’accordo all’ingresso di un investitore nuovo che immetta capitale fresco (vuole vedere l’impegno del socio industriale).
  • Con Banca Y (€1,5 mln chirografario): qui Alfa chiede uno stralcio del 20% (pagare 1,2 mln in 5 anni, rinunciando a 300k). Banca Y è inizialmente contraria allo stralcio, ma disponibile a una moratoria di 12 mesi e rientro in 4 anni a interessi su base Euribor +1%. Trattativa in corso.
  • Con un pool di fornitori (complessivamente €2 mln di debiti): si organizza un incontro collettivo con i 5 fornitori più esposti (ciascuno con crediti tra 100k e 500k). L’esperto Beta media: propone che i fornitori accettino un pagamento parziale 30% a saldo dei loro crediti, magari in due tranche nell’anno successivo, garantito dall’eventuale ingresso del nuovo investitore; oppure, in alternativa, fornitura di servizi/forniture future scontate (dando loro continuità commerciale). I fornitori, timorosi di perdere tutto in un fallimento, si mostrano inclini ad accettare un taglio attorno al 30-40%, ma vogliono sapere se le banche rinunceranno a qualcosa e se l’azienda continuerà (per non perdere un cliente).
  • Con l’Agenzia delle Entrate Riscossione (per IVA e ritenute): si presenta una istanza di transazione fiscale proponendo: niente stralcio sul capitale (€300k IVA e ritenute) ma pagamento in 5 anni; stralcio totale delle sanzioni (€100k) e interessi (€50k). L’AdE si riserva (serve tempo, probabilmente aderirà se c’è un piano concordatario, altrimenti vuole garanzie). Questo avviene contestualmente, tramite la piattaforma si notifica la proposta all’Erario.

Parallelamente, l’esperto Beta segue i contatti con il potenziale investitore Gamma S.p.A. (azienda estera). Gamma è interessata ad acquisire il 60% di Alfa per espandersi in Italia, ma a condizione che i debiti finanziari siano ridotti. Gamma sarebbe disposta a versare €2 milioni in aumento di capitale, destinati a pagare i fornitori e parte delle banche, e inoltre porterebbe nuovi ordini. Tuttavia, Gamma richiede che Alfa esca “pulita” dal processo di crisi, preferibilmente con un accordo omologato o un concordato, per non ereditare cause di azioni revocatorie o sorprese.

Fase 5 – Strutturazione dell’accordo (bozza di “Accordo di Ristrutturazione”): Verso aprile 2025, emergono le linee di un possibile Accordo con i creditori:

  • Banca X: accetta di ristrutturare il debito di €2 mln: Alfa cederà il vecchio capannone (stimato €800k) e il ricavato andrà alla banca; per i residui €1,2 mln, la banca li convertirà in uno strumento partecipativo subordinato (cioè accetta di essere pagata dopo gli altri creditori, con legame ai risultati futuri). In pratica, Banca X fa un sacrificio differendo e subordinando il rimborso, ma evita di procedere con esecuzioni.
  • Banca Y: accetta una dilazione senza stralcio: rimborso integrale €1,5 mln in 6 anni, interessi ridotti al 1%. Non c’è taglio, ma l’allungamento e riduzione interessi equivalgono a un beneficio.
  • Fornitori (rappresentanti di ~70% del debito commerciale): accettano uno stralcio 30%: su €2 mln ne riceveranno €1,4 mln, pagati così: 10% entro 3 mesi dall’omologa dell’accordo (attingendo dall’aumento di capitale di Gamma), un altro 10% entro 12 mesi, ultimo 10% entro 24 mesi. Il restante 30% è rinunciato.
  • Agenzia Entrate: formalmente aderisce alla transazione fiscale approvando la dilazione 5 anni senza sanzioni.
  • Investitore Gamma: firma un “term sheet” in cui si impegna, condizionato all’omologa di un accordo ex art. 57 CCII, a versare €2 mln in Alfa S.r.l. tramite aumento di capitale riservato, ottenendo il 60% delle quote. Tale somma sarà destinata per €1 mln ai creditori (subito) e €1 mln per liquidità di circolante.
  • Alfa S.r.l.: si impegna a implementare un piano industriale di rilancio (diversificazione clientela, efficientamento costi) e a destinare tutti i flussi di cassa eccedenti ai pagamenti secondo accordo. Inoltre fornisce garanzie ulteriori: ad esempio i soci originari di Alfa offrono in garanzia ai creditori un’ipoteca su un immobile personale, come impegno collaterale.

Questi elementi confluiscono in una bozza di Accordo di ristrutturazione dei debiti, un documento contrattuale complesso. Ecco uno schema essenziale dell’accordo:

  • Parte I – Premesse:
    • Descrizione di Alfa S.r.l. e della situazione di crisi (riassunto cause e debiti).
    • Iter della composizione negoziata svolta (nomina esperto Beta, riunioni tenute…).
    • Obiettivo: evitare la liquidazione giudiziale mediante il presente accordo, nell’interesse comune delle parti.
  • Parte II – Definizioni: (es. “Banche” indica Banca X e Y; “Fornitori” i firmatari; “Investitore” Gamma S.p.A.; “Data di Efficacia” la data di omologazione, ecc.).
  • Parte III – Impegni dell’azienda (debitoriali):
    1. Piano industriale: Alfa allega l’executive summary del piano di rilancio, si impegna ad attuarlo e a fornire report trimestrali all’esperto (o a un monitor nominato dalle banche) sull’andamento.
    2. Aumento di capitale: Alfa convoca assemblea straordinaria per deliberare l’aumento di €2 mln riservato a Gamma entro X giorni dall’omologa.
    3. Cessione capannone: Alfa s’impegna a vendere entro 6 mesi dall’omologa il capannone sito in…, al valore minimo di €800k (o a consentire che Banca X lo venda in caso di inerzia).
    4. Pagamento creditori: Alfa si obbliga a pagare ai creditori le somme concordate alle scadenze convenute (dettagliate poi per ciascuno in allegato). Prevede che i fondi dell’investitore siano segregati su un conto vincolato per essere usati a tal fine.
    5. Clausola di destinazione: impegno a non distribuire utili né compiere atti eccedenti l’ordinario finché l’accordo non sia eseguito interamente (tutti i flussi extra vanno a creditori).
    6. Garanzie collaterali: i soci di Alfa offrono ipoteca di 2° grado su immobile sito in…, a beneficio pro-quota dei creditori chirografari, da escutere solo se Alfa non rispetta pagamenti > di 90 gg (clausola di default).
  • Parte IV – Impegni dei creditori:
    1. Banche: Banca X accetta la parziale remissione e conversione come da Termini A (allegato); Banca Y accetta moratoria e nuovo piano di ammortamento allegato. Le banche convengono di rinunciare ad azioni esecutive sui garanti personali (ad es. c’è un fideiussore) salvo in caso di inadempimento dell’accordo.
    2. Fornitori firmatari: accettano lo stralcio del 30% del loro credito e si impegnano a non agire per il recupero del residuo, considerandolo definitivamente rinunciato una volta ricevuti i pagamenti parziali promessi. Inoltre, promettono di continuare a fornire Alfa alle normali condizioni commerciali (clausola per mantenere rapporti).
    3. Erario/INPS: AdE accetta la transazione fiscale allegata (piano rate); INPS (se presente debito) idem con dilazione su contributi.
    4. Investitore Gamma: formalizza l’obbligo di sottoscrivere l’aumento di capitale di €2 mln immediatamente dopo l’omologa. In una sezione separata, Gamma chiede e ottiene garanzie come: nomina di suoi membri nel CdA di Alfa, patti parasociali ecc. (questo però è un accordo parallelo tra soci, non riguarda i creditori, se non per rassicurarli sulla governance futura).
  • Parte V – Condizioni di efficacia:
    • L’accordo è condizionato sospensivamente all’omologazione da parte del Tribunale ex art. 57 CCII. Le parti si impegnano a cooperare per il deposito tempestivo della domanda di omologa.
    • Impegno di Alfa a depositare ricorso per omologazione entro, ad es., 7 giorni dalla firma dell’accordo.
    • Se il tribunale non omologa entro (es.) 120 giorni o rigetta, l’accordo si intende privo di efficacia (salvo diversi accordi).
    • Fino all’omologa, restano ferme le misure protettive (che Alfa chiederà di prorogare), e i creditori si impegnano a non iniziare azioni (moratoria convenzionale).
  • Parte VI – Clausole finali:
    • Nomina di un “Monitor” (es. lo stesso Esperto Beta o altra figura) con il compito di sorvegliare l’esecuzione e relazionare periodicamente ai creditori sull’avanzamento dei pagamenti e del piano industriale.
    • Clausola risolutiva espressa: l’accordo si ritiene risolto di diritto se Alfa omette pagamenti oltre X giorni di tolleranza o se l’aumento di capitale non viene sottoscritto.
    • Foro competente (eventuali controversie sull’accordo soggette al tribunale dell’omologazione).
    • Spese: ciascuna parte sopporta le proprie (eccetto le spese di omologazione a carico di Alfa).
  • Allegati: Piano finanziario di Alfa 2025-2028; Term Sheet investitore; Elenco dettagliato creditori aderenti e somme dovute prima/dopo accordo; Relazione di attestazione redatta dal professionista Gamma (nominato attestatore) che assevera che i dati sono veritieri e che l’accordo è fattibile e i creditori estranei non sono danneggiati (obbligatoria per omologa).

Fase 6 – Omologazione in tribunale: Formalizzato e sottoscritto da Alfa e dalla gran parte dei creditori (diciamo l’85% dei crediti totali ha aderito), Alfa S.r.l. deposita a maggio 2025 il ricorso per omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti presso il Tribunale. Si allega la documentazione richiesta: testo dell’accordo con firme, attestazione del professionista, ultimi bilanci, elenco creditori estranei (nel caso di Alfa, qualche piccolo fornitore per 100k che non ha firmato perché era irreperibile, e un leasing di modesto importo non incluso). Il tribunale fissa l’udienza a luglio 2025. Nel frattempo proroga le misure protettive per coprire questo periodo.

All’udienza, si presenta l’Agenzia delle Entrate che dichiara di non opporsi (dato che ha avuto transazione soddisfacente). Si presenta un piccolo fornitore estraneo che lamenta di non essere stato interpellato: il tribunale verifica che costui è stato volutamente pagato al 100% in 6 mesi secondo l’accordo (Alfa infatti aveva deciso di soddisfare integralmente i creditori mini per evitare grane). Quindi nessun pregiudizio. Nessun altro fa opposizione (la procedura di accordo è più snella del concordato: se tutto fila, pochi si presentano). Il Tribunale di Milano omologa l’accordo rilevando che:

  • Sono soddisfatte le condizioni di legge (oltre 60% di crediti aderenti; attestazione positiva; creditori estranei non pregiudicati in quanto verranno pagati integralmente alle scadenze originarie come da impegno di Alfa).
  • L’accordo appare fattibile e migliorativo rispetto all’alternativa liquidatoria (nel fallimento stimato i chirografari avrebbero preso forse 20%, qui ne prendono 70%).
  • L’Aumento di capitale dell’investitore è condizione determinante e appare certo (Gamma ha già accantonato i fondi in escrow in Italia).

Il decreto di omologa viene pubblicato. A questo punto l’accordo diventa vincolante anche per i creditori che non hanno firmato (nel caso di Alfa, vale comunque solo per quell’esiguo fornitore estraneo, che tanto riceverà il pagamento integrale dovutogli e dunque non può lamentare nulla).

Fase 7 – Esecuzione e uscita dalla crisi: Dopo l’omologa, l’investitore Gamma versa €2 milioni nel capitale di Alfa S.r.l. (diventandone socio di maggioranza). Con questi fondi e con la liquidità generata dalla cessione del capannone (che entro 4 mesi Alfa è riuscita a vendere a €820k), Alfa inizia a pagare puntualmente le prime tranche ai creditori secondo accordo:

  • Ai fornitori aderenti versa il 10% immediatamente (per complessivi €200k, attingendo dal capitale fresco).
  • Alle banche: Banca X riceve la maggior parte del ricavato del capannone (€800k) riducendo fortemente la sua esposizione; Banca Y ha la moratoria per ora, quindi nulla immediato se non gli interessi simbolici.
  • All’Erario versa la prima rata del debito tributario come da piano.
  • Il monitor nominato (che potrebbe essere lo stesso Beta su designazione delle parti) verifica e comunica che Alfa sta rispettando i pagamenti.

Gli affari di Alfa cominciano a migliorare grazie all’apporto di Gamma S.p.A. e al ritrovato clima di fiducia: i fornitori continuano a concedere fidi, le banche dopo un anno sbloccano anche nuove linee di credito (vedendo che Alfa rispetta l’accordo), e l’azienda nel 2026 torna in utile. L’accordo di ristrutturazione viene eseguito fino all’ultima rata nel 2027. A quel punto Alfa S.r.l. è praticamente risanata: il debito bancario residuo è solo quello dilazionato e subordinato di Banca X (che sarà ripagato nel lungo termine se l’azienda produce utili, altrimenti verrà forse convertito in capitale), i fornitori sono stati saldati del loro 70% concordato, il fisco incassa tutto il dovuto (unico “sacrificio” sono state le sanzioni). I soci originari di Alfa, pur diluiti al 40%, vedono salva la loro impresa e mantenuta l’occupazione di 80 lavoratori.

Il ruolo dell’esperto Beta termina formalmente con la relazione finale positiva alla firma dell’accordo. Tuttavia, Beta potrebbe essere stato incaricato come monitor o come coadiutore nel concordato preventivo in caso l’accordo fosse saltato. In questa simulazione l’accordo è riuscito, quindi Beta non agisce oltre se non eventualmente come consulente su richiesta delle parti.

Scenario alternativo (fallimento delle trattative): Per completezza, immaginiamo cosa sarebbe accaduto se invece Alfa S.r.l. non fosse riuscita a ottenere consenso sufficiente. Ad esempio, supponiamo che le banche fossero rimaste rigide (nessun sacrificio) e l’investitore si fosse tirato indietro. In tal caso, Beta avrebbe redatto una relazione finale negativa (marzo 2025) e Alfa avrebbe potuto – in extremis – ricorrere al concordato semplificato:

  • Entro 60 giorni Alfa presenta al tribunale una proposta di concordato semplificato, offrendo di liquidare tutti i suoi beni: vendere impianti, collezionare i crediti, e distribuire il ricavato ai creditori, stimando un soddisfacimento del 25% ai chirografari.
  • Il tribunale verifica la correttezza formale (presenza relazione finale esperto, ecc.) e convoca udienza. I creditori possono opporsi: è probabile che le banche e alcuni fornitori contestino dicendo “meglio il fallimento”.
  • Tuttavia, se dal piano risulta che in fallimento prenderebbero solo il 20%, mentre il concordato offre 25% in tempi più brevi, il tribunale potrebbe omologare comunque (seguendo il principio non inferiore alla liquidazione giudiziale).
  • Dopo l’omologa, nominerebbe un liquidatore che in 1 anno vende tutti i macchinari e giacenze di Alfa, incassa crediti e distribuisce il 25% ai chirografari, chiudendo l’azienda.
  • I creditori privilegiati (es. dipendenti, fisco, banche su beni) verrebbero pagati per intero o per quanto coperto dai beni.
  • L’azienda Alfa cesserebbe di esistere ma il procedimento sarebbe stato più rapido del fallimento e con minori costi.

Questo scenario, sebbene negativo per la prosecuzione aziendale, avrebbe comunque fatto risparmiare tempo e forse dato leggermente più soldi ai creditori rispetto a un fallimento ordinario, confermando l’utilità del concordato semplificato come “piano B”.

Conclusione del caso: La storia di Alfa S.r.l. mostra l’intero percorso di un accordo di composizione della crisi: dall’allerta iniziale e la scelta della composizione negoziata, passando per il lavoro di mediazione dell’esperto e la costruzione di un piano condiviso, fino all’omologazione e all’esecuzione dell’accordo stesso. Evidenzia anche i punti critici: la necessità di coinvolgere un investitore per successo, il ruolo attivo dell’imprenditore nel convincere i creditori, l’importanza di numeri credibili (attestazione) per ottenere il placet del giudice. Non tutte le storie avranno esito positivo come Alfa, ma l’esempio rende evidente come gli strumenti previsti dal Codice possano concretamente evitare fallimenti ed anzi rilanciare imprese in difficoltà, se utilizzati correttamente e tempestivamente.


Fonti normative, dottrinali e giurisprudenziali

Fonti normative principali:

  • D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 – Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), in vigore dal 15 luglio 2022, artt. 12–25-quinquies (Composizione negoziata), artt. 25-sexies e 25-septies (Concordato semplificato), artt. 56–64 (Accordi di ristrutturazione e Piano di ristrutturazione soggetto a omologazione), artt. 84–120 (Concordato preventivo).
  • D.L. 24 agosto 2021, n. 118 (conv. L.147/2021) – Misure urgenti in materia di crisi d’impresa: introduttivo della composizione negoziata e del concordato semplificato, poi confluiti nel CCII.
  • D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83 – Correttivo al CCII di attuazione direttiva UE 2019/1023: ha inserito il Piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (art. 64-bis e ss. CCII).
  • D.Lgs. 15 luglio 2022, n. 85 – Ulteriori disposizioni integrative al CCII.
  • D.Lgs. 28 settembre 2023, n. 136 – Terzo correttivo al CCII: modifiche alla composizione negoziata (es. transazione fiscale durante trattative).
  • Legge 27 gennaio 2012, n. 3 (come modificata) – Composizione delle crisi da sovraindebitamento, rilevante per concordato minore e piani del consumatore (non trattati estensivamente qui).

Documenti e linee guida:

  • Decreto dirigenziale Min. Giustizia 28 settembre 2021: Regolamento sulla piattaforma telematica nazionale e check-list per composizione negoziata.
  • Protocollo di conduzione delle trattative: allegato al citato decreto (metodologia test pratico e lista controllo).
  • Decreto interministeriale 10 marzo 2022: Definizione diritti di segreteria per istanza composizione negoziata (€252).
  • Linee Guida del CNDCEC sulla composizione negoziata (Cons. Naz. Dottori Commercialisti, 2021): best practices per esperti.
  • Osservatorio Unioncamere sulla crisi d’impresa, dati 2024: statistiche sull’uso della composizione negoziata.

Giurisprudenza di legittimità:

  • Cass. civ., Sez. I, 12/04/2023, n. 9730 (Pres. Amendola) – Concordato semplificato: natura concorsuale e competenza territoriale.
  • Cass. civ., Sez. I, 27/05/2022, n. 16905 – (precedente pre-vigenza CCII) conferma che l’adesione dell’erario alla transazione fiscale è condizione per omologa accordo 182-bis (ora superato da normativa 2022 su cram-down).
  • Cass. civ., Sez. Un., 27/03/2023, n. 8557 – Principi generali su par condicio e valorizzazione strumenti concordatari nel CCII.
  • Cass. civ., Sez. I, 12/02/2025, n. 3634 (ord.) – Misure protettive in composizione negoziata non impediscono dichiarazione liquidazione giudiziale.

Giurisprudenza di merito:

  • Trib. Milano, decreto 07/04/2022 – Misure protettive estese ai conti bancari (conferma applicabilità art. 18 a banche).
  • Trib. Parma, 26/05/2024 – (citato in dottrina) conferma possibilità proroga incarico esperto fino a completamento atti autorizzati.
  • Trib. Roma, Sent. 14/07/2024 – Omologa di piano del consumatore (sovraindebitamento) con principi analoghi di meritevolezza (riferimento).
  • Trib. Pescara, decreto 20/12/2023 (Pres. Bongrazio) – Concordato semplificato: criterio di convenienza non inferiore al fallimento.
  • Trib. Lecce, decreto 18/02/2025 – Rigetto omologa concordato semplificato per incertezza attivo e passivo (importante per requisiti di fattibilità).
  • Corte App. Venezia, decreto 08/11/2022 – Omologa accordo ristrutturazione con cram-down fiscale in base a DL 118/21 (anticipa orientamento).
  • Tribunale di Torino, 07/01/2025 – Omologa piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore, con richiamo a dovere di verifica scrupolosa del giudice (per analogia sull’attenzione in omologhe).
  • Trib. Spoleto, 20/06/2023 (App. Perugia 2023) – Concordato minore: sentenza di omologa confermata in appello, utile per confronto con concordato semplificato differenze procedure “minori”.

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Cos’è l’Accordo di Composizione della Crisi

📄 È una procedura prevista dal Codice della Crisi rivolta a:

🔹 Imprenditori sotto soglia fallimentare
🔹 Liberi professionisti, ditte individuali e partite IVA
🔹 Privati con attività economiche non fallibili

✅ Permette di proporre ai creditori un piano di rientro parziale e rateizzato
✅ Blocca le azioni legali, i pignoramenti e gli interessi
✅ Protegge il patrimonio personale e aziendale

Cosa prevede concretamente

🔸 Pagamento parziale dei debiti (in base a quanto puoi offrire)
🔸 Rate sostenibili su più anni
🔸 Possibile stralcio di interessi, sanzioni e quote del capitale
🔸 Sospensione di fermi, ipoteche e pignoramenti
🔸 Liberazione definitiva dai debiti a fine piano (esdebitazione)

📌 Il piano viene approvato dal giudice, ma solo dopo che i creditori rappresentanti la maggioranza lo accettano.

Quando puoi richiederlo

✅ Hai più debiti che entrate
✅ Vuoi evitare la liquidazione o il fallimento
✅ Hai una fonte di reddito, un immobile o beni da valorizzare
✅ Hai sempre agito in buona fede e in modo trasparente

🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo

📂 Analizza la tua situazione economica e debitoria
📑 Predispone il piano di accordo da sottoporre ai creditori
📞 Si occupa della trattativa con banche, fisco e fornitori
⚖️ Ti rappresenta in ogni fase della procedura davanti all’OCC e al giudice
🔁 Ti accompagna fino all’approvazione dell’accordo e alla liberazione definitiva dai debiti

🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in diritto del sovraindebitamento e crisi d’impresa
✔️ Gestore della Crisi – iscritto al Ministero della Giustizia
✔️ Fiduciario di Organismi di Composizione della Crisi (OCC)
✔️ Consulente per imprenditori, professionisti e famiglie in difficoltà
✔️ Esperto in tutela patrimoniale e difesa da pignoramenti

Conclusione

L’accordo con i creditori è la via legale per chi vuole pagare il giusto, salvare i propri beni e ripartire.
Non è una scorciatoia: è una seconda possibilità, prevista dalla legge.

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Ristrutturare i debiti non è solo possibile. È il primo passo verso un nuovo inizio.

Leggi con attenzione: se in questo momento ti trovi in difficoltà con il Fisco ed hai la necessità di una veloce valutazione sulle tue cartelle esattoriali e sui debiti, non esitare a contattarci. Ti aiuteremo subito. Scrivici ora. Ti ricontattiamo immediatamente con un messaggio e ti aiutiamo subito.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
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