Intimazione Di Pagamento Agenzia Delle Entrate Entro 5 Giorni

Hai ricevuto una intimazione di pagamento dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione, con l’ordine di pagare entro 5 giorni?
Ti spaventa la possibilità di pignoramenti, fermi auto o ipoteche se non riesci a rispettare i tempi imposti?

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e tutela del contribuente – ti spiega in modo semplice e concreto cosa significa ricevere un’intimazione entro 5 giorni, quali rischi comporta e come puoi difenderti legalmente, anche se non puoi pagare subito.

Scoprirai:

  • Cos’è un’intimazione di pagamento: un atto formale che ti impone di pagare debiti già iscritti a ruolo (cartelle non pagate), prima che partano azioni forzate;
  • Quando scatta l’intimazione: dopo una cartella esattoriale ignorata, oppure anche senza cartella se il debito deriva da accertamenti immediatamente esecutivi;
  • Cosa succede se non paghi entro 5 giorni: la riscossione può procedere con pignoramento di conti, stipendi, pensioni, fermo dell’auto, ipoteca su beni;
  • Come puoi bloccare l’esecuzione immediata:
    – con una richiesta di rateizzazione
    – con una istanza di sospensione
    – con un ricorso legale se l’atto è viziato o il debito è contestabile
  • In quali casi l’intimazione è irregolare o nulla: notifica sbagliata, prescrizione, doppio addebito, cartella mai ricevuta;
  • Come agire subito e con metodo per evitare errori: tempi stretti, forma corretta delle opposizioni, tutela del patrimonio personale o aziendale.

Con il supporto di un legale esperto puoi guadagnare tempo, bloccare le azioni esecutive e rientrare nella legalità senza farti travolgere da una procedura fiscale aggressiva.

Alla fine della guida potrai richiedere una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo, per esaminare l’intimazione ricevuta, verificare la tua posizione e decidere subito la strategia migliore per fermare o dilazionare il pagamento in modo legale, sicuro e sostenibile.

Introduzione

L’intimazione di pagamento (detta anche avviso di intimazione) è un atto formale emesso dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ex Equitalia) con cui si intima al contribuente il pagamento di somme dovute entro un termine tassativo di 5 giorni. Si tratta di un provvedimento tipico del sistema di riscossione coattiva italiano, regolato dal DPR 29 settembre 1973 n. 602, art. 50, comma 2. In parole semplici, è l’ultimo avviso che il Fisco invia prima di procedere con misure esecutive come pignoramenti, ipoteche o fermi amministrativi, quando una cartella di pagamento o altro atto esattivo è rimasto insoluto.

Pur avendo un tenore imperativo, l’intimazione di pagamento deve essere redatta con chiarezza e contenere gli elementi essenziali previsti dalla legge. Essa è indirizzata a imprenditori, professionisti o società che abbiano debiti tributari (o contributivi) non pagati nei termini, e adotta un linguaggio giuridico formale. In questa guida avanzata – aggiornata a maggio 2025 – verrà analizzata dettagliatamente la disciplina dell’intimazione di pagamento, con particolare riguardo alla normativa vigente, alla giurisprudenza più rilevante (Cassazione e corti di merito), alle possibili strategie difensive e agli strumenti di tutela del contribuente. L’obiettivo è fornire uno strumento utile sia ai professionisti legali sia agli imprenditori esperti, con un taglio tecnico ma comprensibile.

Cosa troverai in questa guida:

  • Un esame della normativa italiana aggiornata (DPR 602/1973, L. 212/2000 – Statuto del Contribuente, Codice di Procedura Civile e D.Lgs. 74/2000 in materia penale tributaria);
  • Un’analisi del procedimento di riscossione, dal ruolo e cartella esattoriale fino all’intimazione e alle azioni esecutive successive;
  • Rassegna delle sentenze più recenti (fino al 2025) della Corte di Cassazione e delle corti di merito in materia di intimazioni di pagamento, evidenziando gli orientamenti consolidati e quelli contrastanti;
  • Approfondimenti su contenzioso tributario: impugnabilità dell’intimazione, limiti (vizi propri vs. merito), tempi e modalità di ricorso;
  • Suggerimenti su strategie difensive: istanze di autotutela, sospensione, opposizioni, ricorsi tributari, interpello (ove applicabile) e altre azioni a disposizione del contribuente;
  • Considerazioni su eventuali profili di rilevanza penale in caso di mancato pagamento (es. omesso versamento di imposte con soglie penalmente rilevanti, sottrazione fraudolenta al pagamento ex D.Lgs. 74/2000);
  • Sezioni dedicate a diverse tipologie di contribuenti (società di capitali, professionisti, ditte individuali), con particolarità sulla responsabilità patrimoniale e obblighi;
  • Tabelle riepilogative di termini, scadenze, strumenti di tutela e autorità competenti, per una rapida consultazione;
  • Simulazioni pratiche (casi di esempio di notifica di intimazione, conteggio dei termini, gestione di notifiche irregolari);
  • Una sezione finale di Domande e Risposte (FAQ) su casi frequenti, per chiarire i dubbi più comuni;
  • Un elenco completo delle fonti normative, giurisprudenziali e dottrinali citate, a supporto di quanto esposto.

Nota: La guida utilizza un registro formale e giuridico, mantenendo però uno stile chiaro e accessibile. I concetti complessi sono spiegati con linguaggio comprensibile, così che un imprenditore esperto senza specifica formazione giuridica possa seguire il discorso. Vengono preservati i riferimenti a leggi e sentenze (con apposite citazioni) per chi necessita di riscontri puntuali.

Procediamo dunque a delineare il quadro normativo di riferimento.

Quadro normativo di riferimento (aggiornato al 2025)

Per comprendere l’istituto dell’intimazione di pagamento, è fondamentale richiamare le norme chiave che lo disciplinano, nonché i principi generali applicabili. Di seguito esaminiamo la normativa rilevante:

  • DPR 29 settembre 1973, n. 602Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito: è il testo normativo principale che regola la riscossione coattiva dei tributi. L’art. 50 DPR 602/1973 prevede espressamente l’intimazione ad adempiere entro 5 giorni, come condizione per iniziare l’esecuzione forzata se è trascorso oltre un anno dalla notifica della cartella di pagamento. In particolare:
    • Art. 50, co.1: il concessionario della riscossione (oggi Agenzia Entrate-Riscossione) può avviare l’esecuzione forzata solo dopo che siano decorsi inutilmente 60 giorni dalla notifica della cartella di pagamento al debitore (salvo che nel frattempo il debitore abbia ottenuto una dilazione o una sospensione).
    • Art. 50, co.2: se l’esecuzione non è iniziata entro un anno dalla notifica della cartella, allora prima di procedere occorre notificare un avviso contenente l’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal ruolo entro 5 giorni. Questo avviso è appunto l’intimazione di pagamento (erede dell’abrogato “avviso di mora”).
    • Art. 50, co.3: l’avviso di intimazione è redatto secondo il modello ministeriale approvato e perde efficacia trascorso un anno dalla notifica. Ciò significa che l’intimazione vale per un anno: se entro un anno dalla sua notifica l’Agente della riscossione non avvia il pignoramento o altra esecuzione, l’atto “scade” e per procedere sarà necessaria una nuova intimazione. (Da rilevare che fino al 16 luglio 2020 la legge prevedeva un’efficacia di 180 giorni – sei mesi – poi estesa a 12 mesi uniformandola a quella delle cartelle).
  • Legge 27 luglio 2000, n. 212Statuto dei diritti del contribuente: pur non dettando disposizioni specifiche sull’intimazione, questa legge fondamentale impone principi di trasparenza, correttezza e garanzia nella relazione Fisco-contribuente. Ad esempio, l’art. 7 L.212/2000 richiede che ogni atto dell’amministrazione finanziaria sia motivado e contenga l’indicazione dell’autorità giurisdizionale competente e dei termini per eventuali ricorsi. In ottemperanza a ciò, l’intimazione di pagamento indica in modo chiaro: gli estremi delle cartelle/atti a cui si riferisce (con importi e date notifica), le istruzioni per il pagamento (anche tramite bollettini allegati), le eventuali cause di cessazione (se l’importo è già stato pagato) e le modalità di impugnazione (quali vizi si possono far valere e presso quale organo giurisdizionale). Tali indicazioni non sono mere formalità, ma costituiscono garanzie per il contribuente, la cui violazione può talora viziare l’atto (ad esempio una motivazione carente o l’assenza delle indicazioni di legge può essere motivo di nullità dell’intimazione, secondo giurisprudenza sullo Statuto del contribuente).
  • D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546Norme sul processo tributario: disciplina il contenzioso tributario dinanzi alle Commissioni (ora Corti) Tributarie. L’art. 19 D.Lgs. 546/1992 elenca gli atti impugnabili davanti al giudice tributario. In tale elenco, al comma 1 lett. e) era originariamente indicato l’“avviso di mora” (atto un tempo notificato sempre prima dell’esecuzione forzata). L’avviso di mora è stato poi abolito nel 1999, sostituito appunto dall’intimazione di pagamento (da notificare solo nei casi previsti dall’art. 50 DPR 602). Pur non essendo espressamente nominata in elenco, l’intimazione viene oggi considerata atto impugnabile in via autonoma, proprio in virtù della sua equivalenza funzionale all’avviso di mora. Su questo punto però, come vedremo, la giurisprudenza non è sempre stata uniforme: in passato si discuteva se il ricorso contro l’intimazione fosse una facoltà o un onere per il contribuente. Le ultime pronunce (anche a Sezioni Unite nel 2024) chiariscono che l’intimazione rientra a pieno titolo tra gli atti impugnabili, e dunque va impugnata per contestarne la legittimità o far valere determinate eccezioni (come la prescrizione), pena la “cristallizzazione” definitiva della pretesa. Approfondiremo diffusamente questo aspetto giurisprudenziale nei paragrafi dedicati al contenzioso.
  • Codice di Procedura Civile (C.p.c.): il processo di esecuzione forzata, pur con molte regole speciali in ambito tributario, si innesta sulle norme codicistiche. L’intimazione di pagamento assolve una funzione analoga all’atto di precetto del processo civile. Nel processo civile ordinario, il precetto (art. 480 c.p.c.) è l’atto con cui il creditore intima al debitore di adempiere entro almeno 10 giorni, trascorsi i quali potrà procedere al pignoramento; ha validità 90 giorni se non viene iniziata l’esecuzione. Analogamente, l’intimazione tributaria è un “precetto rinnovato” in ambito fiscale, che concede 5 giorni di tempo prima dell’esecuzione e ha efficacia un anno (salvo rinnovo). Inoltre, alcune tutele del codice civile/civile si applicano anche alla riscossione tributi: ad esempio, la possibilità di proporre opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.) o opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.) contro vizi formali o sostanziali della procedura di pignoramento. Come vedremo, tuttavia, la linea di confine tra ricorso tributario e opposizione ordinaria è delicata: per questioni attinenti alla legittimità sostanziale del credito tributario (prescrizione, pagamento già avvenuto, difetti di notifica degli atti presupposti) la competenza spetta al giudice tributario, anche se sollevate in fase esecutiva, mentre per vizi propri dell’atto esecutivo (ad esempio un pignoramento effettuato senza rispettare forme o limiti di legge) si ricorre al giudice ordinario. In ogni caso, il Codice di procedura civile rimane sullo sfondo per quanto concerne le forme esecutive (pignoramento mobiliare, immobiliare, presso terzi, ecc.) che possono conseguire all’intimazione non ottemperata.
  • Leggi penali tributarie (D.Lgs. 74/2000 e Codice Penale): l’intimazione di pagamento di per sé non comporta sanzioni penali se ignorata (non esiste un reato specifico di “mancata ottemperanza a intimazione fiscale”). Tuttavia, il contesto di reiterato mancato pagamento di imposte può sfociare in condotte penalmente rilevanti in certe circostanze. Ad esempio:
    • Omesso versamento di ritenute dovute o certificate (art. 10-bis D.Lgs. 74/2000): è un reato tributario che si concretizza quando un sostituto d’imposta (tipicamente un datore di lavoro) non versa entro la scadenza annuale (di regola il 31 ottobre dell’anno successivo) le ritenute fiscali operate su stipendi o compensi, per un ammontare superiore a 150.000 €. Se il contribuente ha debiti da ritenute non versate di tale entità, potrebbe già essere incorso in questo reato a prescindere dall’intimazione (che arriva molto dopo, nella fase di riscossione). Da notare: se non è stata presentata la dichiarazione annuale del sostituto d’imposta (modello 770), la soglia si riduce a 50.000 €.
    • Omesso versamento IVA (art. 10-ter D.Lgs. 74/2000): analogo al precedente, punisce chi non versa l’IVA dovuta annualmente risultante dalla dichiarazione, per un importo superiore a 250.000 €. La verifica di questo reato avviene dopo la scadenza per il versamento dell’acconto IVA dell’anno successivo (termino spostato al 31 dicembre dell’anno successivo dalla riforma del 2024). Anche in questo caso, l’esistenza di un’intimazione presuppone che il debito IVA non sia stato pagato e sia confluito in una cartella; se l’importo supera la soglia e non era in corso una valida rateizzazione “preventiva” entro certi termini, può essersi consumato il reato.
    • Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11 D.Lgs. 74/2000): questo è un reato che può coinvolgere l’imprenditore o gli amministratori di società quando compiono atti fraudolenti per rendere inefficace la riscossione coattiva. Ad esempio, simulare la vendita di beni, oppure occultarli, trasferire fondi all’estero, costituire trust o societa fittizie, con lo scopo di evitare che il Fisco possa pignorare il patrimonio. La soglia di punibilità per questo reato è generalmente fissata a circa 50.000 € di imposte sottratte; se l’ammontare delle imposte evase supera 200.000 €, le pene sono aggravate. Dunque, ignorare un’intimazione di pagamento e parallelamente “svuotare” l’azienda o il proprio patrimonio per frustrare il pignoramento può configurare questo illecito penale grave.
    • Occultamento o distruzione di documenti contabili (art. 10 D.Lgs. 74/2000): rilevante se l’imprenditore, “a fine di evadere le imposte o di permettere a terzi di evadere”, sottrae o distrugge la contabilità. Questo può indirettamente riguardare situazioni in cui l’intimazione segue un’attività evasiva pregressa. L’articolo viene citato perché, in alcuni casi, il tentativo di eludere il pagamento dei debiti fiscali porta anche a far sparire le scritture contabili. Ad esempio, la Cassazione ha chiarito che la mancata esibizione o consegna dei documenti richiesti non integra di per sé questo reato, se non vi è la prova di una volontaria occultazione a fini di evasione.
    Oltre a queste fattispecie specifiche del D.Lgs. 74/2000, va ricordato che il Codice Penale prevede reati generali come l’intralcio alla giustizia o la resistenza a pubblico ufficiale, che potrebbero ipoteticamente configurarsi in fase di esecuzione (ad esempio, opporsi fisicamente a un ufficiale giudiziario). Si tratta però di situazioni estreme e non direttamente collegate all’intimazione in sé. Più significativo, nel nostro contesto, è sottolineare che l’inadempimento cronico di obblighi tributari può sfociare in conseguenze penali, specie per gli amministratori di società che omettono versamenti dovuti o tentano manovre elusive per non pagare. Nella sezione dedicata ai profili penali vedremo in dettaglio le soglie, le recenti riforme e le strategie lecite per evitare di incorrere in responsabilità penali (ad esempio, l’adesione a piani di rateazione può ora costituire causa di non punibilità per gli omessi versamenti, se il debito è in corso di estinzione).

Riassumendo il quadro normativo: l’intimazione di pagamento è uno strumento previsto dalla legge per garantire il rispetto delle sequenze procedimentali nella riscossione (avviso bonario → accertamento → cartella → intimazione → esecuzione), rispettando i diritti del contribuente (informazione, motivazione, tempi congrui per agire) ma anche per assicurare che lo Stato possa procedere all’incasso forzoso quando tutti i termini sono decorsi. Nei prossimi capitoli analizzeremo operativamente come funziona l’intimazione, cosa deve contenere, come contestarla e quali tutele si hanno in concreto.

Dal ruolo alla riscossione coattiva: la procedura e il ruolo dell’intimazione

In questa sezione ricostruiremo il percorso procedurale che porta all’emissione di un’intimazione di pagamento e agli sviluppi successivi, per capire in quale fase del contenzioso fiscale ci si trova e quali sono i diritti/doveri del contribuente. Verranno descritti i passaggi chiave con riferimenti temporali (termini) e normativi, dalla formazione del ruolo fino all’eventuale pignoramento.

1. Iscrizione a ruolo e notifica della cartella di pagamento

Tutto inizia con un ruolo formato dall’ente creditore (Agenzia delle Entrate, INPS, Comune, etc.) che contiene l’elenco dei debiti del contribuente da riscuotere coattivamente. Il ruolo viene consegnato all’Agente della riscossione (Agenzia Entrate-Riscossione) che emette la cartella di pagamento.

Cartella di pagamento: è un atto formale, stampato su modello ministeriale, che intima al contribuente di pagare entro 60 giorni dalla notifica le somme ivi indicate, derivanti dal ruolo (imposte, sanzioni, interessi, aggi esattoriali, spese). La cartella svolge una duplice funzione: da un lato notifica il titolo esecutivo (il debito divenuto esigibile), dall’altro costituisce già un primo atto di intimazione al pagamento. In effetti, come riconosciuto anche dalla Cassazione, la cartella di pagamento “assolve la duplice funzione di notificazione del titolo esecutivo e di intimazione di pagamento”. Ciò significa che se l’agente della riscossione inizia l’esecuzione entro 1 anno dalla notifica della cartella, può farlo senza bisogno di ulteriori avvisi (la cartella stessa vale come precetto iniziale).

  • Termine di pagamento: 60 giorni dalla notifica (ai sensi dell’art. 25 DPR 602/73). Entro questo termine il contribuente può pagare integralmente quanto richiesto oppure attivarsi per una dilazione (rateizzazione) se ne ha i requisiti. In alternativa può decidere di impugnare la cartella davanti al giudice tributario (entro gli stessi 60 giorni).
  • Decorsi 60 giorni senza pagamento né ricorso: la cartella diviene esecutiva e l’Agente della riscossione può intraprendere misure cautelari o esecutive. In questa finestra, comunque, il concessionario non può pignorare i beni del debitore prima che siano trascorsi i 60 giorni (salvo casi eccezionali di pericolo per la riscossione, che però richiedono provvedimenti ad hoc).

2. Attesa e misure cautelari (fermi, ipoteche)

Una volta che la cartella è scaduta, l’Agenzia Entrate-Riscossione valuta le azioni da intraprendere. Non sempre procede immediatamente col pignoramento; spesso, soprattutto per crediti di una certa entità, può attuare misure intermedie:

  • Fermo amministrativo di beni mobili registrati (es. autoveicoli): consiste nel blocco del veicolo nel Pubblico Registro, impedendone la circolazione. È una misura cautelare che l’agente può applicare per crediti sopra una soglia minima (in passato 500€, ora 1.000€) previo preavviso di fermo di 30 giorni.
  • Ipoteca su beni immobili: l’iscrizione ipotecaria è un’altra misura cautelare (o preliminare all’espropriazione immobiliare) che tutela il credito su eventuali immobili del debitore. Per legge non si può iscrivere ipoteca per debiti tributari sotto 20.000 €; inoltre vige il divieto di espropriare l’unico immobile di residenza del debitore se non di lusso e a certe condizioni (vedi oltre). L’ipoteca però può essere iscritta come garanzia. Anche qui è previsto un preavviso (comunicazione al contribuente che se non paga entro 30 giorni verrà iscritta ipoteca).
  • Solleciti e comunicazioni varie: talvolta, prima ancora di un’intimazione formale ex art.50 DPR 602, l’Agente invia solleciti di pagamento o “comunicazioni bonarie” per ricordare il debito. Questi non sono atti formali impugnabili, ma semplici richiami.

È importante evidenziare che queste misure cautelari non sospendono il decorso dei termini di legge relativi all’esecuzione forzata. In particolare, resta fermo il limite dell’anno per iniziare l’esecuzione senza intimazione: se l’agente iscrive un’ipoteca 8 mesi dopo la cartella e poi vuole pignorare trascorso più di un anno dalla cartella, dovrà comunque notificare un’intimazione prima del pignoramento. Allo stesso modo, il fermo auto non è equivalente a un atto esecutivo iniziale.

3. Necessità dell’intimazione di pagamento (oltre 1 anno dalla cartella)

Arriviamo così al punto centrale: quando serve l’intimazione di pagamento? Come già accennato, secondo la legge (art. 50 DPR 602/73) serve se e solo se è passato più di un anno dalla notifica della cartella senza che sia iniziata l’esecuzione. Vediamo le casistiche:

  • Esecuzione avviata entro l’anno: ad esempio l’agente, dopo 6 mesi dalla cartella, effettua un pignoramento (mobiliare, immobiliare o presso terzi). In tal caso non c’è bisogno di intimazione. La cartella era ancora “valida” come precetto. L’esecuzione poteva legittimamente iniziare. (Va detto che un pignoramento immediato entro l’anno non è frequente in pratica, a meno di importi elevati o situazioni particolari. Tuttavia, avviare un pignoramento entro l’anno congela la necessità di intimazione).
  • Nessuna esecuzione entro l’anno: caso più comune. Se trascorrono 12 mesi dalla data in cui la cartella fu notificata e il contribuente non ha pagato né subìto pignoramenti, allora prima di procedere a qualsiasi esecuzione forzata l’agente deve inviargli una intimazione di pagamento. Questo atto (di cui stiamo trattando) rinnova l’intimazione originaria contenuta nella cartella, dando un ultimo termine di 5 giorni.

Contenuto dell’intimazione: l’intimazione di pagamento elenca tipicamente tutte le cartelle esattoriali (o avvisi assimilati) rimaste insolute a carico del contribuente che rientrano in quella circostanza. Spesso, infatti, il concessionario ne approfitta per raggruppare in un unico atto più partite a ruolo pendenti. Nell’intimazione troviamo quindi una tabella riepilogativa con:

  • tipo e numero di atto (cartella o avviso esecutivo),
  • data di notifica originaria,
  • importo residuo dovuto (aggiornato ad una certa data, con interessi maturati),
  • eventuali spese di procedura aggiuntive.

Subito dopo, il testo dell’atto intima formalmente il pagamento: ad esempio “La invitiamo a effettuare il pagamento entro 5 giorni dalla notifica di questo avviso. Trascorso inutilmente questo termine procederemo, come previsto dalla legge, ad esecuzione forzata.”. Questa frase, generalmente standard, sancisce che allo scadere dei 5 giorni l’agente potrà legittimamente procedere con pignoramenti senza ulteriore preavviso.

Inoltre l’intimazione ricorda al destinatario che, ove avesse già pagato, può esibire i documenti comprovanti il pagamento per evitare l’azione esecutiva (talora errori accadono e l’intimazione può includere importi già pagati: in tal caso bisogna attivarsi prontamente in autotutela, come vedremo).

Validità temporale: come già spiegato, l’intimazione rimane efficace per 12 mesi dalla sua notifica. Entro tale periodo, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione dovrà iniziare le procedure esecutive; in caso contrario, l’intimazione “scade” e sarà necessario notificarne un’altra prima di procedere oltre. Ad esempio, se un’intimazione viene notificata il 1° marzo 2024, l’agente avrà tempo fino al 1° marzo 2025 per avviare un pignoramento; se non lo fa, dal 2 marzo 2025 in poi non potrà pignorare sulla base di quell’intimazione ormai inefficace, ma dovrà emetterne una nuova (aggiornando presumibilmente gli importi e interrompendo nuovamente i termini di prescrizione).

È importante comprendere che la finalità dell’intimazione è duplice:

  1. Sollecitare per l’ultima volta il pagamento spontaneo, evitando se possibile l’esecuzione (da qui il termine perentorio di 5 giorni che però è un ultimatum);
  2. Riattivare il procedimento esecutivo, servendo come nuovo precetto quando quello originario (la cartella) è divenuto inefficace col tempo. Inoltre, la notifica dell’intimazione interrompe la prescrizione delle somme dovute, facendo decorrere un nuovo periodo di prescrizione dal giorno della sua notifica (su questo aspetto torneremo, perché è rilevante per contestare eventuali prescrizioni maturate prima).

Esempio pratico: un contribuente riceve una cartella di pagamento il 10 gennaio 2022 per €50.000 (IRPEF), non paga né fa ricorso. L’agente non compie atti esecutivi entro il 10 gennaio 2023. A febbraio 2023 notifica quindi un’intimazione di pagamento che riepiloga quella cartella (più eventuali altre). Il debitore ha 5 giorni per pagare (diciamo fino al 20 febbraio). Egli ancora non paga. A questo punto l’agente potrebbe procedere con esecuzione forzata in qualsiasi momento dal 21 febbraio 2023 al 20 febbraio 2024. Se entro quella data non fa nulla, l’intimazione scade. Supponiamo che l’agente l’abbia lasciata scadere. Nel giugno 2024 l’agente decide di fare un pignoramento: non può farlo direttamente, prima deve notificare una nuova intimazione (magari aggiungendo interessi maturati nel frattempo) dando nuovamente 5 giorni. Solo se anche questa nuova intimazione rimane inevasa, potrà procedere, e così via. Non c’è un limite al numero di intimazioni rinnovabili, salvo il limite della prescrizione del debito (se il debito nel frattempo non è decaduto/prescritto e le intimazioni ne interrompono il termine, il ciclo potrebbe ripetersi finché la somma non viene riscossa o dichiarata inesigibile).

Nota: prima del 2020, l’intimazione aveva efficacia semestrale (180 giorni). Ciò generava prassi di notificare intimazioni a cadenza anche annuale per mantenere interrotta la prescrizione. Dal 2020, con l’estensione a un anno, la frequenza di rinnovo potenzialmente si è ridotta. In dottrina si è discusso se notifiche ripetute di intimazioni a distanza di anni possano “aggirare” l’inerzia del concessionario; la Cassazione ha chiarito che ciascuna intimazione non impugnata non “cristallizza” definitivamente la pretesa, ma perde efficacia dopo un anno, per cui è legittimo notificarne un’altra e così proseguire la riscossione. Non esiste quindi un divieto di inviare più intimazioni sullo stesso debito a distanza di tempo, anzi esse servono proprio a evitare decadenze e prescrizioni.

4. Dopo l’intimazione: l’esecuzione forzata (pignoramenti)

Trascorsi i 5 giorni dall’intimazione senza che il contribuente abbia pagato o raggiunto un accordo (rateazione, sospensione giudiziale, etc.), l’Agente della riscossione è legittimato ad avviare la fase esecutiva vera e propria. Questa può manifestarsi in diversi modi, a seconda della situazione patrimoniale del debitore:

  • Pignoramento presso terzi (art. 72-bis DPR 602/73): è il metodo spesso più rapido. L’agente può ordinare direttamente al terzo debitore del contribuente (es. la banca dove questi ha un conto, o il datore di lavoro) di versare le somme disponibili fino a concorrenza del debito. Il pignoramento dei crediti verso terzi in ambito fiscale ha regole semplificate rispetto al c.p.c. (ad esempio non richiede l’udienza di convalida in Tribunale se il terzo non fa opposizione). Tipicamente, conto corrente e stipendio/pensione sono bersagli: l’agente può pignorare in banca le somme presenti (nei limiti di 1/5 per stipendi/pensioni accreditati e oltre una certa soglia per saldi di conto), oppure notificare al datore di lavoro un atto di pignoramento di una quota dello stipendio (di solito max 1/5, in base alle fasce).
  • Pignoramento mobiliare: ufficiali della riscossione (o ufficiali giudiziari delegati) possono presentarsi presso la sede dell’azienda o dell’abitazione del contribuente e pignorare beni mobili (macchinari, merci, arredi, automezzi non soggetti a fermo, etc.). Questo metodo è meno usato se non per importi rilevanti o in mancanza di conti/entrate da aggredire, anche perché logisticamente oneroso.
  • Pignoramento immobiliare: se il debitore possiede immobili, l’agente può iscrivere ipoteca (se non già fatta) e successivamente procedere a pignorare e vendere l’immobile all’asta. Attenzione: la legge oggi vieta di espropriare la prima casa del debitore se ricorrono tutte queste condizioni: l’immobile è l’unico di proprietà, è adibito a uso abitativo e residenza anagrafica del debitore, e non è di lusso (categorie catastali escluse A/8, A/9). In ogni caso, per procedere al pignoramento immobiliare il debito iscritto a ruolo deve superare €120.000 e deve essere decorsi 30 giorni dal preavviso di ipoteca. Quindi, se l’unico immobile è la prima casa non di lusso, l’agente può al massimo tenerci un’ipoteca (per cautela del credito), ma non far scattare la vendita all’asta.
  • Pignoramento di quote societarie o altro: in rari casi si possono pignorare quote di società di persone o s.r.l. appartenenti al debitore, crediti particolari, o altri cespiti.

Una volta iniziata l’esecuzione, il contribuente può tentare di bloccarla solo attraverso strumenti processuali: ad esempio presentando istanza di sospensione al giudice (tributario o civile, secondo i casi) oppure accordandosi per un pagamento immediato delle somme (anche in extremis l’Agente può sospendere il procedimento esecutivo se il debitore paga l’intero dovuto più spese). La conciliazione in fase esecutiva non è formalizzata come in sede civile (dove esiste la conversione del pignoramento rateizzata ex art. 495 c.p.c.), ma di fatto Agenzia Entrate-Riscossione sospende i pignoramenti se si perfeziona una rateizzazione del debito: tuttavia, va notato che una volta notificato un atto di pignoramento, la possibilità di rateizzare quel debito è generalmente preclusa (le norme interne di AER prevedono che la dilazione è ammessa solo prima che intervengano atti esecutivi, salvo eccezioni). Dunque, bisogna muoversi prima.

5. Chiusura della procedura: pagamento, definizione, inesigibilità

La procedura coattiva può concludersi in vari modi:

  • Pagamento integrale: il contribuente paga tutto (magari perché spinto dall’intimazione o dal primo atto esecutivo), comprensivo di interessi di mora e spese di esecuzione maturate. La partita si chiude, eventualmente con la restituzione dei beni pignorati (se il pagamento avviene dopo il pignoramento ma prima della vendita).
  • Rateizzazione in corso: se concessa in tempo utile, interrompe le azioni esecutive fintantoché il contribuente rispetta le rate. È uno strumento di chiusura graduale.
  • Definizioni agevolate / sanatorie: negli ultimi anni ci sono stati provvedimenti di “rottamazione delle cartelle” o stralcio di debiti minori. Se il debitore aderisce e versa quanto dovuto secondo le condizioni di legge, il debito si considera definito e AER non procederà oltre. Ad esempio, la “Rottamazione-quater” del 2023 ha permesso di pagare le somme senza sanzioni e interessi di mora, spalmando in 18 rate fino al 2027. L’adesione a tali sanatorie sospende le azioni di recupero.
  • Cancellazione per inesigibilità: se non si riesce a riscuotere (ad esempio il debitore è nullatenente, fallito, irreperibile, deceduto senza eredi, etc.), dopo vari tentativi l’Agente può proporre la quota a perdita. Periodicamente lo Stato “stralcia” i crediti definitivamente inesigibili. Questo scenario è la c.d. inesigibilità: formalmente i debiti restano, ma non verranno più attivamente riscossi e, decorso il tempo, possono essere cancellati (ad esempio, con legge di bilancio 2023 sono stati automaticamente annullati i ruoli fino a €1.000 relativi agli anni fino al 2015).

Con ciò abbiamo delineato l’intera filiera. L’intimazione di pagamento è dunque uno snodo cruciale: un passaggio intermedio che separa la fase amministrativa (cartella) dalla fase giudiziale di esecuzione (pignoramento). È il punto di non ritorno in cui al contribuente è concessa un’ultima chance di regolarizzare spontaneamente, pena subire la coercizione sui propri beni.

Nei prossimi paragrafi ci concentreremo sulle tutele e reazioni del contribuente di fronte a un’intimazione: possibilità di ricorso, motivi contestabili, giurisprudenza in merito e come modulare la difesa a seconda della posizione (persona fisica, società, ecc.).

Impugnabilità dell’intimazione di pagamento: ricorso tributario e limiti

Uno degli aspetti più delicati riguarda la possibilità di impugnare (fare ricorso contro) l’intimazione di pagamento. Come già accennato nel quadro normativo, l’intimazione ex art. 50 DPR 602/73 non era esplicitamente menzionata tra gli atti impugnabili in Commissione Tributaria (ora denominata Corte di Giustizia Tributaria) secondo l’elenco di cui all’art. 19 D.Lgs. 546/1992. Ciò ha dato adito in passato a questioni interpretative: il contribuente deve opporsi all’intimazione se ritiene il credito non dovuto, o può ignorarla e contestare eventualmente solo i successivi atti esecutivi? Inoltre, quali motivi può far valere nel ricorso contro l’intimazione?

Vediamo l’evoluzione giurisprudenziale e la situazione attuale (aggiornata al 2025):

Impugnabilità: da orientamento facoltativo a obbligo di ricorso

Nei primi anni 2000 la giurisprudenza di merito e una parte di quella di legittimità tendevano ad ammettere l’impugnabilità dell’intimazione come atto autonomo, equiparandolo all’avviso di mora (espressamente indicato in art. 19). L’idea era che, avendo la stessa funzione del vecchio avviso di mora, l’intimazione dovesse poter essere impugnata per analogia. Tuttavia, altre pronunce sottolineavano come, non essendo nella lista di art. 19, l’intimazione potesse rientrare tra gli atti “non tipizzati”, la cui impugnazione è possibile ma non obbligatoria.

La differenza non è sottile: se l’impugnazione è meramente facoltativa, il contribuente potrebbe anche scegliere di non fare ricorso contro l’intimazione (ad esempio perché confida di risolvere diversamente o aspetta la mossa successiva) senza con ciò pregiudicare le proprie eccezioni sul merito del debito. Se invece l’impugnazione è considerata un onere necessario, la mancata proposizione del ricorso nei termini renderebbe “definitiva” la pretesa per le questioni deducibili in quella sede (ad esempio la prescrizione).

La Cassazione Sezioni Unite n. 19704/2015 (e altre, come Cass. 1230/2020) hanno affermato un principio generale: per gli atti non elencati in art. 19, esiste una facoltà (non un onere) di impugnazione; mentre per quelli elencati c’è l’onere, pena decadenza. L’intimazione, non essendo nominata, parrebbe rientrare nel primo caso. Infatti Cass. 2616/2015, 26129/2017, 1230/2020 hanno tutte ribadito che l’intimazione non figura tra gli atti tipici ex art.19, dunque il contribuente può impugnarla ma non è obbligato a farlo. Conseguentemente, il mancato ricorso contro una intimazione non precluderebbe di far valere in seguito (ad esempio in sede di successivo atto esecutivo) eventuali vizi del credito, salvo che l’intimazione stessa non sia l’unica fonte di conoscenza del debito.

Tuttavia, nel 2023-2024 si è assistito a un’evoluzione: alcune pronunce hanno ampliato i confini dell’impugnabilità dell’intimazione, sostenendo che sia più corretto considerarla un atto autonomamente impugnabile al pari dell’avviso di mora, quindi soggetto a impugnazione necessaria. Ad esempio:

  • Cassazione Sez. Trib. 22108/2024: ha affermato che l’intimazione al pagamento è atto assimilabile all’avviso di mora ex art. 50, comma 2 DPR 602/73 e che non ci si può basare solo sul testo di art.19 ma occorre guardare alla funzione dell’atto. Di conseguenza, la mancata impugnazione cristallizza l’obbligazione tributaria, nel senso che non potranno più farsi valere eventi estintivi anteriori a tale intimazione.
  • Cassazione 27093/2022: si era già mossa in questa direzione (richiamata anche da FiscoOggi).
  • Soprattutto, la Cassazione a Sezioni Unite n. 26817/2024 è intervenuta sul tema (sebbene in un caso di tasse automobilistiche, quindi tributo locale) stabilendo che un “sollecito di pagamento” notificato al contribuente prima dell’esecuzione «può essere assimilato, al di là del nome diverso, all’avviso previsto dall’art.50 co.2 DPR 602/73… la cui impugnabilità innanzi alle commissioni tributarie è espressamente prevista dall’art.19, co.1». Le Sezioni Unite dunque qualificano l’intimazione come atto rientrante nella categoria di quelli impugnabili ex art.19, confermando che deve essere impugnata se si vuole contestarne la legittimità o il perdurare del credito.
  • Infine, la Cassazione Sez. Trib. n. 6436 dell’11 marzo 2025 ha esplicitato chiaramente il concetto: “in tema di contenzioso tributario, l’intimazione di pagamento di cui all’art. 50 DPR 602/1973, in quanto atto equiparabile all’avviso di mora, è impugnabile autonomamente (art. 19, comma 1, lett. e) D.Lgs. 546/1992). Di conseguenza, la sua impugnazione non è meramente facoltativa, ma necessaria, pena la cristallizzazione dell’obbligazione.”.

Questo pronunciamento del 2025 segna un punto fermo: oggi l’intimazione di pagamento è considerata atto autonomamente impugnabile e il contribuente ha l’onere di proporre ricorso se intende contestare aspetti del debito (in particolare la prescrizione) maturati prima o relativi alla notifica degli atti presupposti. In pratica, se ricevo un’intimazione e ritengo che le cartelle indicate siano prescritte, devo impugnare subito l’intimazione per far valere quella prescrizione; se non lo faccio e l’intimazione diviene definitiva, non potrò poi eccepire la prescrizione maturata pre-intimazione in sede di opposizione al pignoramento. Lo stesso vale se nell’intimazione trovo una cartella mai notificata: devo contestarlo immediatamente in quel giudizio, altrimenti rischio di sanare la situazione.

Da questa evoluzione emergono due principi complementari:

  1. Facoltà di impugnazione ex art.19, co.3 D.Lgs. 546/92: rimane vero che se un atto non è stato notificato, il contribuente può impugnarlo unitamente all’atto successivo. Ad esempio, se una cartella non fu mai notificata e la scopro tramite l’intimazione, posso impugnare l’intimazione deducendo la nullità della cartella per difetto di notifica (fatto “a monte” che ho conosciuto solo ora). Questa è una facoltà espressamente data dall’ultimo periodo del comma 3: la mancata notificazione di atti autonomamente impugnabili adottati precedentemente consente l’impugnazione unitamente all’atto successivo notificato. Ciò giustifica l’impugnazione dell’intimazione per far valere vizi di notifica delle cartelle, anche se tali cartelle da sole sarebbero atti a sé stanti.
  2. Onere di impugnazione per contestare prescrizione o altri vizi sopravvenuti: se invece l’atto precedente è stato notificato (magari non impugnato a suo tempo) e si sono verificati eventi estintivi (prescrizione, decadenza, pagamento) prima della notifica dell’intimazione, questi eventi devono essere eccepiti impugnando l’intimazione stessa. Non c’è la possibilità di attendere il pignoramento per sollevarli, perché l’intimazione stessa è atto impugnabile e se lo si lascia decorrere senza ricorso, il credito si consolida per quegli aspetti.

In sintesi, a maggio 2025 la giurisprudenza consolidata (anche delle Sezioni Unite) afferma che l’intimazione di pagamento va impugnata dal contribuente che intenda far valere:

  • la prescrizione dei crediti maturata tra la data di notifica delle cartelle e la data di notifica dell’intimazione;
  • la mancata notifica di una o più cartelle sottostanti (ossia eccepire che la pretesa non è esigibile perché il titolo esecutivo non gli fu mai correttamente notificato);
  • qualsiasi altro vizio proprio dell’intimazione (errori nella sua notifica, nella sua intestazione, mancanza di requisiti formali) o vizi attinenti alla pretesa che però non siano già divenuti definitivi per mancata impugnazione dell’atto presupposto. Ad esempio, se l’intimazione richiede importi già pagati o sgravati, va impugnata per far valere ciò.

All’opposto, non è ammissibile utilizzare l’impugnazione dell’intimazione per rimettere in discussione nel merito il contenuto delle cartelle o degli accertamenti divenuti definitivi. La Cassazione lo dice chiaramente: l’intimazione “non integra un nuovo ed autonomo atto impositivo”, quindi eventuali vizi sostanziali del tributo andavano dedotti contro l’atto impositivo originario se quello era noto; con l’impugnazione dell’intimazione si possono far valere solo i vizi propri e non questioni attinenti all’atto impositivo da cui è sorto il debito, a meno che il contribuente non sia venuto a conoscenza della pretesa tributaria solo con l’intimazione. Quest’ultima parte è cruciale: se il contribuente dichiara di aver scoperto l’esistenza del debito solo tramite l’intimazione (caso tipico: cartella mai notificata, come già detto), allora in sede di ricorso contro l’intimazione potrà contestare anche il merito di quel debito (per esempio l’inesistenza del presupposto d’imposta, l’errore di calcolo, etc.), perché prima non ne aveva avuto occasione.

Vizi propri dell’intimazione e motivi di ricorso

Chiarito il se e quando impugnare, esaminiamo cosa si può far valere con un ricorso avverso intimazione di pagamento. I principali motivi di ricorso (da adattare al caso concreto) sono:

  1. Vizi di notifica degli atti presupposti: come già detto, se una cartella o un avviso da cui origina il debito non è mai stato notificato regolarmente, l’intimazione è illegittima perché “salta” un passaggio necessario. Ad esempio, cartella notificata a indirizzo errato o a soggetto privo di legittimazione, o notifica nulla/inesistente. In tali casi il ricorrente chiede l’annullamento dell’intimazione e in via derivata della cartella, poiché l’intimazione non può reggersi senza un valido titolo notificato. La giurisprudenza di merito (Tribunali civili, sezioni esecuzioni) è ferma nel ritenere che senza notifica della cartella non si può procedere ad esecuzione. Quindi la censura di mancata notifica del titolo è uno dei motivi più forti.
  2. Prescrizione del credito tributario: ossia il decorso del tempo oltre i termini di legge per la riscossione. Qui occorre individuare la natura del tributo e il periodo di prescrizione applicabile (vedi tabella sotto). In generale, molte imposte erariali definitivamente accertate si prescrivono in 10 anni, mentre tributi locali o contributi previdenziali spesso in 5 anni, salvo atti interruttivi. Il contribuente può eccepire che, tra la data di notifica della cartella e la data di notifica dell’intimazione, sia decorso un periodo superiore al termine di prescrizione, senza atti interruttivi validi nel mezzo. Oppure anche che il credito fosse già prescritto prima della cartella (se magari la cartella stessa fu emessa tardivamente). Su quest’ultimo punto, la Cassazione ha precisato: la prescrizione maturata prima della notifica della cartella doveva essere eccepita impugnando la cartella stessa, non lo si può fare al momento dell’intimazione. Invece la prescrizione maturata dopo la cartella e prima dell’intimazione può essere eccepita ora, a patto che l’intimazione sia stata impugnata come visto (Cass. ord. 16743/2024). In ricorso andrà indicato esattamente il periodo trascorso e l’assenza di atti interruttivi (l’onere della prova di eventuali notifiche spetta poi all’Agente della riscossione: se ad esempio questi esibisce copie di raccomandate di solleciti intervenuti, potrebbero aver interrotto il termine). Un caso tipico: cartella 2010, poi nessuna intimazione fino al 2022 – il credito tributario (mettiamo IRPEF) si prescriveva in 10 anni, quindi nel 2020; un’intimazione arrivata nel 2022 non può resuscitare un credito già prescritto, e se viene impugnata in tempo, il giudice potrà dichiarare la prescrizione.
  3. Decadenza o inesigibilità del credito: distinto dalla prescrizione, riguarda termini entro cui l’ente doveva formare il ruolo o notificare la cartella. Ad esempio, per IRPEF l’avviso di accertamento deve essere notificato entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di imposta; una volta divenuto definitivo, l’iscrizione a ruolo deve avvenire entro fine anno successivo, etc. Questi termini di decadenza di solito vengono contestati impugnando l’atto impositivo o la cartella, non l’intimazione. Tuttavia, se emergesse da documenti che la cartella stessa è stata emessa oltre i termini di decadenza, il contribuente potrebbe sollevare la questione in sede di intimazione (specie se non ha avuto modo prima). Ad esempio, cartella per IVA 2014 emessa nel 2022 (oltre termini prorogati): in ricorso contro intimazione si potrebbe eccepire che l’atto presupposto era decaduto.
  4. Avvenuto pagamento o sgravio: se il contribuente ha già pagato integralmente o parzialmente i debiti riportati nell’intimazione, o ha ottenuto uno sgravio dall’ente impositore, allora l’intimazione è almeno in parte illegittima. In ricorso si chiede l’annullamento per la parte non dovuta, allegando le ricevute dei pagamenti effettuati o il provvedimento di sgravio. Questo caso spesso si risolve anche in autotutela, presentando i documenti all’Agente della riscossione (che può sospendere l’intimazione e poi annullarla se effettivamente il debito era già estinto).
  5. Vizi formali dell’intimazione: pur meno frequenti, possono verificarsi. Esempi: la mancata indicazione del responsabile del procedimento (obbligatoria per Statuto contribuente art.7 L.212/2000, come si vede anche nei modelli), la carenza di motivazione (però normalmente l’intimazione è a contenuto vincolato: se cita le cartelle e l’importo, è ritenuto sufficiente motivazione per relationem), errori sull’identità del destinatario, omessa indicazione delle modalità di impugnazione, etc. I vizi formali, per portare all’annullamento, devono essere essenziali e aver leso il diritto di difesa. Ad esempio, se nell’intimazione non fossero indicati gli estremi delle cartelle o gli importi dettagliati, il contribuente potrebbe lamentare l’indeterminatezza dell’atto.
  6. Intimazione emessa nonostante sospensione in atto: se il debito era oggetto di una sospensione amministrativa o giudiziale (es: dilazione concessa e rispettata, oppure sentenza di Commissione che sospendeva la riscossione in attesa di giudizio), l’emissione dell’intimazione viola il divieto di procedere in pendenza di sospensione. In tal caso il contribuente ricorre chiedendo l’annullamento perché l’atto è stato emesso contra legem mentre la riscossione doveva essere fermata.
  7. Intimazione emessa prima del termine di legge o reiterata anzitempo: benché in genere l’intimazione venga dopo un anno, potrebbe accadere che sia stata inviata prima del decorso dell’anno (non strettamente vietato dalla norma, ma atipico) oppure che ne sia stata inviata una seconda mentre la prima era ancora valida (entro l’anno). In linea di massima ciò non causa nullità (una intimazione anticipata si può considerare atto ad efficacia differita, e una duplicazione di intimazione mentre la precedente è valida non danneggia il contribuente se non negli eventuali costi, ma rafforza semmai la posizione dell’agente in termini di prescrizione). Tuttavia, se due intimazioni richiedono in modo difforme le somme o creano confusione, si potrebbe eccepire un abuso o difetto di coordinamento. La difesa in questi casi è complessa; la giurisprudenza recente ha però chiarito che l’intimazione non impugnata non rende illegittime le successive: ogni intimazione “scaduta” può esserne seguita da un’altra.

Va notato che nel corpo dell’intimazione l’Agente stesso di solito specifica: “Lei può presentare ricorso solo in relazione a vizi propri di questo avviso, poiché per gli atti che lo precedono è prevista autonoma impugnabilità”. Questa frase – presente nel modello di intimazione – riflette il principio tradizionale: non si discutono il merito delle cartelle non impugnate (definitive), ma solo questioni proprie dell’atto o sopravvenute. In pratica, cosa sono i “vizi propri”? Sono quelli elencati nei punti 4, 5, 6, 7 di cui sopra, mentre i punti 1, 2, 3 riguardano “vicende del debito” (notifica nulla, prescrizione, decadenza) che però possono essere fatte valere sull’intimazione in virtù dell’art.19, comma 3 del processo tributario. Quindi, il confine è sottile: l’intimazione non riapre la discussione su quanto dovuto o se dovuto (questioni proprie dell’accertamento/cartella) ma consente di discutere se il diritto alla riscossione è ancora esercitabile (prescrizione), se i passaggi procedurali sono stati rispettati (notifiche regolari, atti dovuti) e se l’atto è formalmente regolare.

Giudice competente e termini del ricorso

Il ricorso contro l’intimazione di pagamento si presenta presso la Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (già Commissione Tributaria Provinciale) territorialmente competente, che è quella del luogo di domicilio fiscale del contribuente. Questo vale quando le somme intimatedo sono tributi di natura erariale o locale, soggetti alla giurisdizione tributaria. Eccezione: se l’intimazione riguardasse crediti NON tributari affidati ad Agenzia Riscossione (ad esempio sanzioni amministrative, contributi previdenziali, multe stradali), la competenza potrebbe essere del giudice ordinario (e l’impugnazione assumerebbe la forma di opposizione all’esecuzione ex art.615 c.p.c.). In genere, però, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione distingue tali partite e nel modello indica eventualmente l’autorità diversa (ad es. per contributi INPS l’autorità competente è il Tribunale – sezione lavoro). Nel caso standard di imposte statali, regionale o comunali, è il giudice tributario.

Il termine per proporre ricorso è di 60 giorni dalla data di notifica dell’intimazione, ai sensi dell’art. 21 D.Lgs. 546/92 (termine ordinario per gli atti impugnabili). Attenzione: se l’atto viene notificato per posta, i 60 giorni decorrono dal giorno in cui il contribuente riceve l’atto (o dalla compiuta giacenza in posta se non ritira). Se via PEC, dal momento in cui è recapitato alla casella PEC. Si applica la sospensione feriale (1-31 agosto) se il termine cade in quel periodo.

È fondamentale rispettare il termine di 60 giorni: trascorso inutilmente, l’intimazione diviene definitiva e non più contestabile, salvo rari casi di rimessione in termini (come un vizio di notifica dell’intimazione stessa che l’abbia resa conoscibile tardivamente).

Effetti del ricorso: sospensione o no?

Diversamente da un ricorso contro un avviso di accertamento (che spesso sospende la riscossione oltre 1/3), il ricorso contro l’intimazione non sospende automaticamente la procedura esecutiva. Ciò significa che l’Agenzia Entrate-Riscossione, malgrado il ricorso pendente, potrebbe procedere al pignoramento dopo i 5 giorni, se ritiene che il ricorso non abbia effetti sospensivi. Per evitare l’esecuzione, il contribuente deve attivarsi per ottenere una sospensione giudiziale. In sede di ricorso tributario, ai sensi dell’art. 47 D.Lgs. 546/92, si può presentare un’istanza cautelare al presidente della sezione o alla Commissione per sospendere l’esecuzione dell’atto impugnato. Occorre provare il fumus boni iuris (che il ricorso abbia fondamento serio) e il periculum in mora (il rischio di danno grave e irreparabile se l’esecuzione prosegue). Ad esempio, se dall’intimazione conseguirebbe il blocco dei conti aziendali mettendo in crisi l’attività, si ha un buon argomento di periculum.

Le Commissioni decidono sulle istanze cautelari abbastanza rapidamente (entro 30 giorni dalla richiesta, in camera di consiglio). In presenza di motivi validi (ad es. cartella mai notificata, o evidente prescrizione) spesso concedono la sospensione. Una volta notificata all’Agente, la sospensione inibisce i pignoramenti fino alla decisione di merito. Se invece non si ottiene la sospensiva, l’Agente potrebbe portare avanti l’esecuzione anche durante il processo (il che complica poi la situazione perché bisognerà eventualmente fare opposizioni collaterali per fermare i pignoramenti in attesa della sentenza tributaria).

Riepilogo: il ricorso tributario è lo strumento principale di tutela contro l’intimazione. Esso:

  • È ammissibile e competente in materia di tributi (contributi e sanzioni amministrative seguono altre vie).
  • Va presentato entro 60 giorni dalla notifica.
  • Può contenere vari motivi (visti sopra) ma non può contestare il merito dell’obbligazione fiscale già accertata, se non nei limiti concessi (vizi di notifica o conoscenza tardiva).
  • Non blocca automaticamente il pignoramento, quindi va quasi sempre accompagnato da una richiesta di sospensione.

Nel prossimo capitolo vedremo le strategie difensive complessive, che includono non solo il ricorso ma anche altri strumenti (dall’autotutela alla rateizzazione, fino alle opposizioni post-pignoramento se necessarie).

Strategie difensive e strumenti di tutela del contribuente

Affrontare un’intimazione di pagamento richiede una valutazione rapida e attenta delle opzioni a disposizione. Elenchiamo qui le strategie difensive principali, che spesso possono anche essere cumulate tra loro, a seconda delle circostanze:

  1. Pagamento integrale entro 5 giorni: È la soluzione più semplice, se il contribuente riconosce il debito e ha la liquidità per adempiere. Pagando entro i 5 giorni, si evita qualunque azione esecutiva. L’intimazione di solito allega i bollettini RAV per il pagamento e indica gli sportelli o IBAN per bonifico. Se si paga, è importante conservare prova e comunicarlo subito all’Agente per assicurarsi che sospenda eventuali procedure avviate in automatico.
  2. Richiesta di rateizzazione (dilazione): Se non si può pagare in un’unica soluzione, è possibile chiedere una rateizzazione del debito all’Agenzia Entrate-Riscossione. La domanda di dilazione non sospende di per sé le azioni esecutive già possibili, ma l’Agente tende a non procedere se vede che il debitore avvia la rateazione e paga la prima rata. Attualmente (dopo le modifiche del 2022) si possono ottenere piani fino a 72 rate mensili (6 anni) o persino 120 rate (10 anni) in casi di grave e comprovata difficoltà economica. Importante: per debiti fino a €120.000 non occorre fornire documentazione sul reddito per ottenere fino a 72 rate (concessione automatica su richiesta). Oltre tale soglia, o per piani più lunghi, serve dimostrare la situazione di crisi di liquidità. Nel 2023-2024 sono state introdotte alcune agevolazioni: ad esempio la possibilità di ottenere fino a 120 rate per importi ≤ 120.000 € presentando domanda tra il 2025 e 2026 (in base alla Legge di Bilancio 2023 e successivi provvedimenti). Una volta concessa la rateazione, decade il rischio immediato di pignoramento (l’Agente sospende le azioni esecutive a patto che si rispettino le rate). Nota: se prima era stato notificato un pignoramento, non si poteva rateizzare quel carico; ma sull’intimazione, se ancora non c’è pignoramento, la rateazione è percorribile. Spesso la strategia migliore è combinare: chiedere subito la rateazione ed eventualmente fare ricorso per contestare le parti non dovute. Così, pagando le rate sul resto, si dimostra buona fede e si evita il grosso del pignoramento, riservandosi di ottenere in giudizio l’annullamento di ciò che non è dovuto.
  3. Autotutela presso l’Agente della riscossione: L’autotutela è un istituto che permette di chiedere all’ente emanante di annullare o correggere spontaneamente l’atto per errori evidenti o ragioni di legittimità. Nel caso di intimazione, l’autotutela va rivolta all’Agenzia delle Entrate-Riscossione (che l’ha emessa). Quando usarla? Se il contribuente rileva errori palesi (ad esempio importi già pagati, cartella sgravata, persona deceduta prima dell’atto, scambio di persona, doppia imposizione, etc.), può presentare un’istanza di autotutela allegando le prove. L’Agente verificherà e, se d’accordo, sospende e annulla in via amministrativa l’intimazione (o la quota di essa errata). Questa via è amichevole e va intrapresa immediatamente quando c’è un elemento risolutivo a favore del contribuente, perché spesso consente di risolvere in pochi giorni senza processi. Ad esempio: Tizio riceve intimazione per una cartella che aveva pagato due anni prima – allega la quietanza e chiede annullamento: AER verifica e annulla l’atto o almeno sospende la riscossione. Va però sottolineato: l’autotutela non sospende i termini di ricorso! Quindi, se mancano molti giorni ai 60 del ricorso, si può tentare l’autotutela prima; ma se i giorni stringono, conviene comunque presentare ricorso per non rischiare decadenze, menzionando magari che è stata chiesta autotutela.
  4. Ricorso alla Corte Tributaria (con eventuale istanza di sospensione): Di cui abbiamo già parlato estensivamente sopra. È la strada principale se si contesta legalmente la legittimità dell’intimazione o del debito in essa contenuto. Richiede l’assistenza di un avvocato tributarista (o dottore commercialista abilitato) se il valore supera €3.000; per importi minori si potrebbe anche agire da soli, ma è sempre consigliabile farsi assistere dato il tecnicismo. Il ricorso va notificato all’AER e all’ente creditore (se coinvolto) e depositato in giudizio. Spesso è opportuno abbinarlo alla richiesta di sospensiva cautelare per bloccare sul nascere i pignoramenti (soprattutto se l’AER ha già iscritto fermi o ipoteche, segnale che potrebbe procedere rapidamente). Il buon esito del ricorso può portare all’annullamento parziale o totale dell’intimazione (ad esempio il giudice dichiara prescritti alcuni ruoli e valida altri, quindi l’intimazione regge solo per le somme non prescritte).
  5. Opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi (giudice ordinario): È un rimedio di natura civilistica, da utilizzare con cautela e solo in situazioni specifiche. Interviene tipicamente dopo che l’esecuzione forzata è iniziata (ad esempio dopo un atto di pignoramento) e serve per contestare il diritto di procedere ad esecuzione o la regolarità formale degli atti esecutivi. Nel contesto tributario:
    • L’opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.) davanti al giudice ordinario può essere proposta se si contesta l’esistenza del titolo esecutivo o l’inesigibilità del credito. Tuttavia, quando parliamo di tributi, la contestazione del credito in sé è materia tributaria, quindi se si tratta di eccepire ad esempio la prescrizione del tributo, la giurisprudenza è altalenante: alcuni ritengono si possa fare anche davanti al giudice dell’esecuzione se il contribuente non ha avuto modo di farlo prima; altri invece esigono che fosse fatto in Commissione Tributaria. In generale, se si è ricevuta un’intimazione e non la si è impugnata, provare poi a sollevare quelle questioni in sede di pignoramento (al tribunale civile) è rischioso perché il giudice ordinario potrebbe dichiararsi incompetente. Diverso sarebbe se emergono questioni sopravvenute all’intimazione: ad esempio un atto di pignoramento eseguito su beni impignorabili (stipendio oltre i limiti, prima casa, ecc.) – in tal caso l’opposizione all’esecuzione mira a far dichiarare inammissibile quell’esecuzione su quei beni.
    • L’opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.) ha termini brevi (20 giorni dalla notifica dell’atto viziato) e serve a censurare vizi di forma, di notifica o di procedura del singolo atto esecutivo (pignoramento, atto di precetto se ce ne fosse uno anomalo, avvisi di vendita, ecc.). Ad esempio, l’atto di pignoramento presso terzi non contiene l’indicazione richiesta per legge, oppure è stato notificato senza rispettare i termini dell’intimazione (meno di 5 giorni). In questi casi il giudice ordinario può annullare quell’atto per vizio formale, ma l’Agente potrà correggerlo e riprocedere se il debito sussiste. L’opposizione ex 617 non tocca il merito del credito.
    In sintesi, i rimedi ordinari servono principalmente in fase di pignoramento e in via residuale. L’ideale è non arrivare a quel punto: ecco perché è cruciale utilizzare l’intimazione stessa (ricorso tributario) per bloccare sul nascere i motivi di illegittimità. Se però un contribuente non ha impugnato in tempo l’intimazione e si vede pignorare, potrà tentare l’opposizione in tribunale, magari sostenendo che la notifica della cartella era nulla e che lo ha scoperto solo ora (cercando di rientrare nel disposto dell’art.19, co.3 ultima parte: impugnazione con l’ultimo atto). Ci sono state sentenze difformi su se il giudice ordinario possa valutare tali eccezioni: alcune Corti di merito lo hanno fatto (sospendendo pignoramenti per cartelle mai notificate), altre hanno ritenuto che la competenza rimaneva tributaria. In certe situazioni, per sicurezza, si finisce col dover attivare entrambe le vie: ad esempio, pignoramento in corso, il contribuente fa una opposizione in tribunale per far sospendere immediatamente l’esecuzione e contestualmente fa un ricorso “tardivo” in Commissione chiedendo rimessione in termini perché non aveva avuto notizia prima. Sono casi estremi, evitabili se ci si muove per tempo sull’intimazione.
  6. Interpello all’Amministrazione finanziaria: L’interpello ex art. 11 L.212/2000 è uno strumento preventivo con cui il contribuente può chiedere chiarimenti sulla norma da applicare a un caso concreto. Francamente, nel contesto di un’intimazione già ricevuta, l’interpello non è di grande utilità: non si può chiedere “devo pagare o no?” perché l’atto è vincolato. L’interpello avrebbe senso, semmai, prima di trovarsi nella situazione, su questioni interpretative (es. “questa fattispecie di tributo secondo voi è prescritta in 5 o 10 anni?”). Ma l’interpello non sospende nulla e l’Agenzia delle Entrate risponderebbe con un parere non vincolante per la riscossione (che è competenza di AER). Quindi lo citiamo per completezza, ma non è uno strumento di difesa efficace contro l’intimazione di pagamento in sé.
  7. Accordi transattivi o definizioni stragiudiziali: A differenza di altre controversie civili, nel tributario non c’è esattamente un negozio “privato” tra contribuente e Fisco per ridurre l’importo dovuto (se non nelle forme di legge come definizioni agevolate). Tuttavia, nelle liti fiscali è prevista la conciliazione giudiziale: ad esempio, in appello si può trovare un accordo con l’ente creditore per pagare una percentuale. Ciò è fattibile più che altro su accertamenti in corso di giudizio, mentre sull’intimazione (che riguarda somme ormai definitive) lo spazio di trattativa è minimo. L’Agenzia Entrate-Riscossione non ha facoltà di ridurre discrezionalmente il debito (se non appunto aderendo a rottamazioni previste per legge). Una cosa possibile: se vi è un contenzioso in corso sul tributo (ad esempio cartella impugnata e vinta in primo grado, pendente appello), AER a volte sospende spontaneamente la riscossione in attesa dell’esito o su richiesta. Inoltre, se la situazione economica del debitore è compromessa, si potrebbe prospettare un piano di rientro concordatario (fuori dal sistema standard) o, per imprenditori in crisi, ricorrere a strumenti di sovraindebitamento / concordato preventivo che includano anche i debiti fiscali. In tali sedi, si potrebbe ottenere un pagamento parziale a saldo e stralcio con l’accordo di Agenzia Entrate (ma è un percorso complesso, giudiziale).
  8. Sfruttare le normative di favore (sanatorie, stralci): Nel 2023 e 2024 ci sono state opportunità come la Definizione agevolata delle cartelle (c.d. rottamazione) e lo stralcio automatico dei mini-debiti. Se il contribuente ha fatto domanda di rottamazione per quei ruoli, l’intimazione eventualmente notificata nel frattempo non doveva essere inviata, o comunque l’AER deve tenerne conto. In pratica, se un intimazione riguarda cartelle poi rientrate in rottamazione, il contribuente può segnalare la cosa e l’intimazione viene sospesa in attesa dei pagamenti dovuti per la rottamazione. Oppure, se il debito è di piccola entità ed è stato oggetto di stralcio (esempio: ruoli fino 1.000 € ante 2015 annullati), qualsiasi intimazione inerente a quelli è nulla perché il debito è stato cancellato per legge.

In base alla situazione individuale, il contribuente spesso adotta più di una strategia in parallelo: ad esempio, presenta ricorso per contestare una parte, intanto rateizza la parte restante per diluire l’esborso e bloccare i pignoramenti, e chiede la sospensione sia in giudizio che all’AER (che la concede in autotutela magari per verifica).

Di fondamentale importanza è agire tempestivamente: l’intimazione non va ignorata sperando scompaia. Molti imprenditori sottovalutano l’intimazione, credendo sia un sollecito qualsiasi. Invece è l’anticamera del pignoramento e richiede una reazione immediata entro giorni (per il pagamento) o poche settimane (per organizzare ricorso o dilazione).

Nei paragrafi seguenti, esamineremo alcune situazioni particolari legate ai diversi tipi di contribuente (società di capitali, ditte individuali, professionisti), perché l’approccio difensivo può variare, così come le conseguenze dell’inadempimento.

Profili specifici per diverse categorie di contribuenti

La posizione del contribuente destinatario di intimazione può differire a seconda della forma giuridica e del regime patrimoniale. Esaminiamo le tre macro-categorie menzionate: società di capitali, professionisti e imprese individuali (ditte individuali), aggiungendo cenni su altre figure correlate.

Società di capitali (S.p.A., S.r.l., S.a.p.a.)

Le società di capitali sono entità giuridiche distinte dalle persone dei soci e degli amministratori. Ciò comporta che:

  • L’intimazione di pagamento viene notificata alla società (presso la sede legale, in mano al legale rappresentante pro-tempore). Il debitore in questi casi è la società stessa.
  • Il patrimonio aggredibile è quello sociale: beni aziendali, conti correnti intestati alla società, crediti della società verso terzi, immobili intestati alla società, ecc. I soci, di regola, non rispondono con il loro patrimonio personale dei debiti sociali (principio della responsabilità limitata) e dunque l’Agenzia delle Entrate-Riscossione non può pignorare direttamente beni dei soci per debiti tributari sociali, salvo situazioni eccezionali (vedi dopo).
  • Gli amministratori neppure sono obbligati personalmente per le imposte della società (a meno che abbiano commesso violazioni sanzionabili in proprio o reati tributari).

Tuttavia, ci sono alcune eccezioni e considerazioni:

  • Responsabilità dei liquidatori (art. 36 DPR 602/1973): se la società si trova in liquidazione e vengono ripartiti attivi tra i soci senza aver prima soddisfatto le imposte dovute, il liquidatore può essere chiamato a rispondere nei limiti delle somme distribuite. L’art. 36 DPR 602/73 stabilisce una responsabilità personale e sussidiaria dei liquidatori per il pagamento delle imposte qualora abbiano ripartito beni ai soci pretermettendo il Fisco. La responsabilità è limitata alle imposte dovute che si sarebbero potute pagare con le attività destinate ai soci. Inoltre, lo stesso articolo estende tale responsabilità agli amministratori che nei due anni precedenti la liquidazione hanno compiuto operazioni di riduzione patrimoniale (ad es. distribuendo utili o riserve) che hanno pregiudicato il soddisfacimento delle imposte. Dunque, se una S.r.l. viene chiusa e i soci prendono tutto l’attivo lasciando cartelle non pagate, l’Agenzia può rivalersi sul liquidatore e sugli amministratori colpevoli.
  • Reati tributari dei rappresentanti: se i vertici societari commettono reati come omesso versamento IVA/ritenute o frodi fiscali, essi ne rispondono penalmente in proprio. Ciò esula dall’intimazione, ma è un rischio concreto: ad esempio, l’amministratore unico che non versa l’IVA della S.r.l. per €300.000 commette reato (art.10-ter) e potrà essere perseguito indipendentemente dalla riscossione coattiva che colpirà la società.
  • Società estinte o fallite:
    • Se la società è stata cancellata dal Registro Imprese (estinzione), i debiti tributari residui si trasmettono ai soci, ma solo entro certi limiti. In generale, per le società di capitali, la Cassazione (SS.UU. n.6070/2013) ha affermato che i creditori insoddisfatti possono far valere le loro pretese sui soci pro quota, nei limiti di quanto questi hanno incassato in sede di bilancio finale di liquidazione. In pratica, se dopo aver pagato i creditori noti rimaneva un attivo distribuito ai soci, il Fisco potrà richiedere a ciascun socio fino a concorrenza di ciò che ha avuto. Se i soci non hanno ricevuto nulla (perché la società si è estinta insolvente), il Fisco ha scarsa possibilità di recupero (può solo tentare di dimostrare che i soci hanno incassato beni in modo occulto, impresa ardua). Da notare che un’intimazione può essere notificata anche dopo l’estinzione, direttamente ai soci ex soci, ma su questo la giurisprudenza è oscillante. Più tipicamente, si provvede prima della cancellazione con iscrizioni a ruolo in capo alla società e poi AER si rivale sui soci con un nuovo avviso di addebito.
    • Se la società è in fallimento (o altra procedura concorsuale come liquidazione giudiziale), la riscossione è sospesa e i crediti fiscali vanno insinuati al passivo fallimentare. Non si deve notificare un’intimazione alla società fallita, perché c’è un divieto di azioni esecutive individuali. Se appare un’intimazione in tale contesto, è nulla e deve essere segnalata al curatore. Diverso il caso in cui il fallimento sia chiuso senza soddisfare il Fisco: allora valgono le considerazioni su liquidatori e soci di cui sopra.
  • Patrimoni destinati e responsabilità separate: le società di capitali possono talvolta costituire patrimoni destinati o avere operazioni straordinarie (fusioni, scissioni). Le leggi prevedono casi di responsabilità della società risultante o beneficiaria per i debiti fiscali. Ad esempio, nella scissione, ogni beneficiaria risponde in solido delle imposte dovute dalla scissa nei limiti del patrimonio ricevuto. Ciò potrebbe implicare che un’intimazione per cartelle ante-scissione venga notificata a più soggetti. Sono casi specialistici: per semplicità, ricordiamo che l’Agenzia Entrate in questi casi solitamente notifica un avviso di accertamento per responsabilità solidale ai sensi dell’art.173 c.c. o art.15 DPR 472/97 (per sanzioni). Un’intimazione in tali contesti potrebbe essere rivolta a tutte le società obbligate in solido.

Strategie per le società: Le società di capitali, avendo personalità giuridica, spesso seguono un approccio più business oriented:

  • Possono decidere di pagare o rateizzare per evitare aggressioni a beni aziendali chiave (conto corrente, macchinari essenziali).
  • Se c’è materia del contendere (es: prescrizione), presentano ricorso tributario come visto, magari tentando soluzioni transattive col Fisco in fase di processo (conciliazione per ridurre sanzioni).
  • In caso di crisi, possono valutare di accedere a un concordato preventivo o altre procedure di ristrutturazione del debito che coinvolgano anche il Fisco: ad esempio, il “concordato in continuità” può prevedere il pagamento parziale dei debiti fiscali col voto dell’Erario.
  • I soci e amministratori faranno bene a evitare distrazioni di asset prima di saldare il Fisco, perché oltre ai rischi di responsabilità di cui sopra, potrebbero incappare nel reato di sottrazione fraudolenta (se occultano beni per non pagare le imposte).

Professionisti e lavoratori autonomi

Con “professionisti” intendiamo persone fisiche che esercitano arti o professioni (avvocati, medici, ingegneri, consulenti, ecc.) con partita IVA, non in forma societaria. La loro situazione rispetto ai debiti tributari è peculiare:

  • Responsabilità illimitata: il professionista risponde con tutto il suo patrimonio personale dei debiti fiscali derivanti dalla sua attività. Non c’è distinzione tra patrimonio “professionale” e “privato” (salvo aver adottato forme come la SRL unipersonale, ma allora non è un professionista in senso proprio, diventa società di capitali). Quindi, l’intimazione a un avvocato per IRPEF o IVA non pagata potrà portare a pignorare il suo conto personale, la sua auto, ecc., senza limiti specifici (se non quelli generali sui beni impignorabili).
  • Beni parzialmente protetti: la legge prevede alcune tutele generali:
    • La prima casa (abitazione principale) del professionista, se questi non ha altre case e vi risiede, è impignorabile dal Fisco, come già menzionato, purché non di lusso. Quindi l’Agenzia non potrà portargli via la casa dove vive (potrà però ipotecarla se il debito supera 20.000 €, conservando un vincolo).
    • Strumenti di lavoro: in teoria, il codice civile rende impignorabili gli strumenti indispensabili per l’esercizio della professione, a meno che il pignoramento avvenga per crediti dello stesso ambito (art. 515 c.p.c. – ad esempio i libri di un avvocato non si pignorano per un debito fiscale? In verità, la riscossione coattiva su mobili è rara e spesso evita di toccare attrezzi di lavoro, ma va ricordato che tali limiti esistono).
    • Conto corrente con pensione/stipendio: molti professionisti non hanno stipendi fissi, ma se avessero per esempio pensione o altre rendite assimilabili, varrebbero i limiti di pignoramento (1/5). Su conti correnti, se vi affluisce il reddito da lavoro autonomo, non ci sono protezioni specifiche come per lo stipendio (es: su conto di un professionista, la prassi attuale non distingue la giacenza derivante dal suo onorario e può pignorare tutto quel che c’è al momento fino a coprire il debito).
  • Regimi fiscali particolari: alcuni professionisti hanno debiti con casse previdenziali autonome (es. Cassa Forense, Cassa Geometri). Le ingiunzioni di pagamento di tali casse, se non onorate, possono anch’esse finire in cartelle esattoriali. L’intimazione potrebbe includerle. Le casse spesso hanno convenzioni con AER per la riscossione. Il professionista deve stare attento perché i contributi professionali hanno anch’essi prescrizioni (5 anni generalmente) e strumenti impugnatori (commissione o tribunale a seconda). Una complicazione è che i crediti di casse professionali a volte passano dal giudice ordinario e non tributario.
  • Tutela dell’attività: un pignoramento contro un professionista può paralizzare la sua attività se colpisce il conto con cui paga le spese, i collaboratori, etc. Perciò, difendersi con efficacia per un professionista significa:
    • Usare le leve come la rateizzazione per diluire impatto.
    • Chiedere al giudice tributario sospensioni evidenziando che un pignoramento comprometterebbe l’attività professionale, quindi anche la capacità di guadagno (che è il periculum).
    • Valutare soluzioni come tenere separate le finanze personali e professionali (anche se giuridicamente non impedisce il pignoramento, operativamente può diversificare conti correnti).
    • Se il debito è ingestibile, un professionista non fallisce (il fallimento riguarda imprenditori commerciali) ma può accedere alle procedure di sovraindebitamento (legge 3/2012, ora Codice della Crisi – “ristrutturazione dei debiti del consumatore/professionista”). In tale sede potrebbe proporre un piano che include anche il Fisco, magari con falcidia parziale dei debiti tributari (cosa possibile con l’accordo dell’ente o in certi limiti per IVA/ritenute).
  • Reati fiscali: anche il professionista è soggetto alle norme penali tributarie. Quindi omessi versamenti IVA > 250k, omessi versamenti ritenute > 150k (pensiamo a uno studio associato con dipendenti) lo espongono a procedimenti penali.

In conclusione, il professionista tende a vivere l’intimazione in modo molto “personale” perché tocca direttamente il suo portafoglio. A volte la soglia di tolleranza al pignoramento è bassa: può preferire un accordo (rateazione) anche oneroso pur di evitare di trovarsi il conto bloccato. Diversamente dalle società, un professionista non può “chiudere la partita IVA e far perdere le tracce” senza conseguenze – rimarrebbe comunque debitore come persona fisica.

Ditte individuali e imprese familiari

Le ditte individuali sono imprese commerciali o artigiane intestate a persone fisiche (che magari hanno un nome di fantasia, ma giuridicamente sono persona fisica). La situazione delle ditte individuali è simile a quella dei professionisti sotto il profilo giuridico:

  • Non c’è distinzione tra patrimonio dell’impresa e personale: l’imprenditore individuale risponde illimitatamente con tutti i beni presenti e futuri.
  • Eccezione: se l’imprenditore ha dichiarato un patrimonio destinato (molto raro in imprese individuali) o ha operato sotto forma di impresa familiare o fondo patrimoniale. Ad esempio, il fondo patrimoniale (artt.167 c.c. e seguenti) vincola alcuni beni a bisogni familiari e può limitare l’aggressione per debiti che non siano stati contratti per necessità dell’impresa o della famiglia. Il Fisco può comunque iscrivere ipoteca su beni in fondo patrimoniale per debiti tributari, ma la vendita forzata potrebbe essere contestata se il debito non era per esigenze familiari. Questo tema è complesso e la Cassazione ha prodotto molte sentenze; in sintesi, il fondo patrimoniale offre una difesa debole contro i debiti fiscali, specie se l’obbligazione tributaria deriva da attività d’impresa (che è considerata estranea ai bisogni familiari: quindi imposte su reddito d’impresa non rientrerebbero e i beni del fondo sarebbero attaccabili, secondo un certo orientamento).
  • Le ditte individuali possono fallire (a differenza dei professionisti puri): se i debiti sono ingenti e l’impresa insolvente, può intervenire il fallimento. In tal caso, come per le società, si blocca la riscossione individuale e il Fisco si insinua al passivo. Quindi una strategia possibile per l’imprenditore individuale oberato di debiti è valutare l’accesso a procedure concorsuali (fallimento, concordato minore, liquidazione controllata). Questo ferma le intimazioni e i pignoramenti, ma naturalmente ha altre conseguenze (perdita disponibilità beni, ecc.).
  • Beni strumentali: un artigiano (ditta individuale) può vedersi pignorare i macchinari. Come per i professionisti, i beni essenziali per il lavoro sono parzialmente protetti (non pignorabili nei limiti del necessario per la professione, art.515 c.p.c.). Tuttavia il confine è interpretativo e in alcuni casi Equitalia in passato pignorò perfino macchinari, costringendo poi a concordare soluzioni.
  • Coniugi dell’imprenditore: se l’imprenditore è in comunione dei beni col coniuge, attenzione: i debiti fiscali suoi gravano anche sulla comunione? In linea di massima, i debiti contratti per l’attività d’impresa non ricadono nella comunione legale (che esclude gli obblighi anteriori al matrimonio e quelli relativi all’attività imprenditoriale di uno dei coniugi, art.177 lett. d) c.c.). Quindi il Fisco non dovrebbe aggredire i beni che sono esclusivamente del coniuge non debitore o della comunione se non vi è contitolarità con il debitore. In pratica: se casa e conto sono cointestati in comunione, metà teoricamente sarebbe del coniuge. Ci sono casi in cui il Fisco ha pignorato l’intero bene cointestato poi riconoscendo al coniuge la metà. Questo per dire che le implicazioni familiari non proteggono il 100%, ma possono complicare l’esecuzione (il coniuge potrà opporsi limitatamente alla sua quota).

Sintesi per ditte individuali: Hanno bisogno di tutelare il patrimonio personale perché coincide con quello d’impresa. Un imprenditore individuale farà bene ad usare ogni strumento deflattivo (dilazioni, definizioni) perché un pignoramento su conti aziendali o magazzino può far cessare l’attività. Allo stesso modo, egli potrebbe pensare a evoluzioni come trasformare la ditta in una società (S.r.l.) per isolare il rischio futuro: tuttavia, la trasformazione non fa sparire i debiti pregressi (che restano personali a meno di conferimenti d’azienda molto strutturati con liberazione dai debiti, ma servono accordi coi creditori).

Altre figure: società di persone, enti non commerciali

Anche se non richieste esplicitamente, spendiamo poche righe su:

  • Società di persone (S.n.c., S.a.s.): qui i soci illimitatamente responsabili (tutti i soci nella S.n.c., accomandatari nelle S.a.s.) rispondono con il loro patrimonio dei debiti sociali. L’Agenzia Riscossione può ottenere un titolo (anche la cartella stessa è titolo) e aggredire i soci se la società non paga. In pratica, notifica cartella e intimazione alla società; se questa non paga, può notificare una intimazione anche al socio (a rigore dovrebbe essere preceduta da un atto di accertamento del debito del socio, ma la Cassazione dice che la responsabilità è ex lege e la cartella alla società vale anche per il socio, previa escussione del patrimonio sociale). La materia è intricata; comunque il socio di S.n.c. in debito fiscale può trovarsi lui stesso esposto. Quindi per i soci di società di persone non c’è lo “schermo” societario. Devono difendersi sia come società che personalmente. La prescrizione, ad esempio, decorre in parallelo.
  • Enti non commerciali (associazioni, fondazioni): se dotati di personalità giuridica, rispondono solo con il proprio patrimonio (simile alle S.p.a.). Se non dotati di personalità, i legali rappresentanti o associati possono avere responsabilità (di solito no, a meno che siano obbligati in proprio per tributi). Ad esempio un’associazione non riconosciuta ha patrimonio limitato, i creditori potrebbero rifarsi sui fondatori se hanno agito in nome e per conto? Non entriamo nel dettaglio, ma in genere l’intimazione viene all’ente e i rappresentanti non pagano di tasca propria salvo abbiano commesso irregolarità (es. utilizzato l’ente per evadere imposte personali).

Conclusione di questa sezione: La forma giuridica del contribuente incide su:

  • Chi riceve l’atto (società vs persona fisica);
  • Su quali beni incide la riscossione (solo patrimonio sociale o anche personale);
  • Possibilità di procedure concorsuali (società/ditta possono fallire, professionista no);
  • Rischi penali indiretti (amministratori di società con deleghe possono risponderne o no a seconda dei casi, il titolare di ditta sempre su di sé).

Ogni soggetto dovrà modulare la difesa di conseguenza: ad esempio, una società potrebbe decidere di non impugnare un’intimazione di modesta entità per evitare spese legali, preferendo pagare; mentre un individuo potrebbe impugnare anche per sospendere e guadagnare tempo. Oppure un socio di SNC deve stare attento ai termini suoi oltre a quelli della società.

Nel dubbio, è bene che tanto le società quanto gli imprenditori individuali e i professionisti si facciano assistere da consulenti (avvocati tributaristi o commercialisti) non appena ricevono l’intimazione, per scegliere la strategia ottimale e non incorrere in errori (come perdere una chance di ricorso o una rateizzazione vantaggiosa).

Profili di responsabilità penale in caso di inadempimento

Come anticipato nel quadro normativo, il mero inadempimento di un’intimazione (cioè il mancato pagamento entro 5 giorni e il successivo subire l’esecuzione) non costituisce di per sé reato. Non esiste nel nostro ordinamento un reato specifico per “aver ignorato l’ordine dell’Agente della riscossione” – differentemente, ad esempio, dall’ordine di un giudice (la cui violazione potrebbe integrare il reato di cui all’art. 388 c.p., in altri contesti).

Tuttavia, bisogna considerare due macro-aree di rischio penale connesse alla situazione di un contribuente che arriva all’intimazione di pagamento:

  1. Reati di omesso versamento di imposte dovute: se il contribuente ha lasciato insolute imposte di certe tipologie e oltre certe soglie, è possibile che abbia già integrato fattispecie penalmente sanzionate ancor prima dell’intimazione. In particolare:
    • Omesso versamento di ritenute certificate (art. 10-bis D.Lgs. 74/2000): punisce chi, in qualità di sostituto d’imposta, non versa entro il termine previsto (oggi 30 settembre dell’anno successivo, modificato al 31 dicembre dal 2024) le ritenute risultanti dalla dichiarazione annuale (Certificazione Unica e modello 770). La soglia di punibilità è di €150.000 di ritenute non versate. Se, ad esempio, un datore di lavoro ha trattenuto dalle buste paga dei dipendenti 200.000 € di IRPEF e non l’ha mai versata all’Erario, commette reato. L’intimazione di pagamento magari arriverà qualche anno dopo (sommando sanzioni e interessi), ma intanto la Procura potrebbe procedere per il reato. Va aggiunto che se il modello 770 non è stato presentato, la soglia scende a €50.000.
    • Omesso versamento IVA (art. 10-ter D.Lgs. 74/2000): punisce il mancato versamento dell’IVA dovuta in base alla dichiarazione annuale entro il termine (che, dopo la riforma del 2024, è fissato anch’esso al 31 dicembre dell’anno successivo alla dichiarazione, uniformando il termine a fine anno). Soglia di punibilità: €250.000 di IVA non versata. Esempio: un imprenditore dichiara IVA a debito di €300.000 per l’anno 2023 e non la versa, entro il 31.12.2024 scatta il reato. Nel 2025 forse riceverà la cartella per quell’IVA, poi l’intimazione nel 2026; ma intanto il reato è consumato e potrà essere chiamato a risponderne.
    • Omesso versamento di altre imposte: in realtà, solo ritenute e IVA hanno fattispecie penale specifiche. L’omesso versamento di IRPEF, IRES, IRAP ecc. non è di per sé reato (a meno di rientrare nel caso di sottrazione fraudolenta di cui ora diremo). Dunque, se un contribuente non paga la cartella per redditi o Irap, per quanto elevata, non commette reato di omesso versamento (sarà soggetto a sanzioni amministrative, interessi, ecc. ma non penali). Questa disparità deriva dalla considerazione del legislatore che ritenute e IVA sono denaro di terzi o pubblico che il contribuente ha incassato e indebitamente trattenuto. Non così per le imposte personali.
    • Causa di non punibilità (o sospensione) per pagamento: va menzionato che le ultime modifiche legislative (D.Lgs. 14/07/2020 n.75 e D.Lgs. 75/2020 attuativi direttive UE, nonché D.Lgs. 87/2024) hanno introdotto meccanismi premiali: ad esempio, se il debito viene integralmene pagato (nelle ipotesi di omessi versamenti) prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, il reato si estingue (causa di non punibilità); inoltre, come visto, dal 2024 è previsto che se il debito è in corso di rateizzazione ai sensi di alcune norme (es. art.3-bis D.Lgs. 462/97, rateazioni “definizione acquiescenza”), la condotta non è punibile. Però attenzione: queste norme si riferiscono ai piani di rateizzo su avvisi bonari (non alle rateizzazioni con Agenzia Riscossione dopo la cartella). Se uno arriva all’intimazione, di solito ha perso il treno per evitare il reato; ma se contestualmente ottiene un pagamento integrale (anche tardivo) prima del dibattimento, può salvarsi dalla condanna. In pratica: se l’imprenditore, magari allarmato da un’indagine penale parallela, provvede a versare quel che deve, può beneficiare dell’esimente.
  2. Reati di sottrazione al pagamento e altri illeciti correlati:
    • Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11 D.Lgs. 74/2000): Ecco il reato strettamente connesso alla fase della riscossione. Si configura quando chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte o interessi/sanzioni relativi, compie atti fraudolenti sui propri o altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione. La condotta tipica può essere: simulare la vendita di beni a terzi (magari compiacenti) per far risultare che il debitore non possiede nulla; distrarre beni dell’azienda; formare ipoteche fittizie per pregiudicare il Fisco; trasferire disponibilità all’estero in paradisi fiscali; costituire trust fittizi, ecc. Non c’è un limite minimo di importo dell’imposta dovuta per integrare il reato – qualunque importo, se c’è frode, teoricamente rileva. In realtà però la norma prevede due fasce di pena: reclusione 6 mesi – 4 anni, aumentata a 1 – 6 anni se l’ammontare delle imposte cui si riferisce la condotta supera €200.000. Inoltre, la giurisprudenza ha interpretato la “soglia di punibilità” implicita come €50.000 di imposte evase quale parametro per valutare la rilevanza penale (questa soglia di 50k è discussa ma spesso richiamata in dottrina come criterio). In ogni caso, un imprenditore a cui viene notificata un’intimazione per una somma elevata e che subito dopo aliena tutti i suoi beni ai figli per donazione rischia fortemente l’incriminazione ex art. 11: la Cassazione considera reato anche la donazione di immobili al coniuge dopo la notifica di cartelle esattoriali, se fatta con intento di sottrarli alla riscossione.
    • Bancarotta fraudolenta: se il contribuente è un imprenditore fallito, certi atti di distrazione di patrimonio finalizzati a non pagare i creditori (tra cui il Fisco) possono incrociarsi col reato di bancarotta (che è penale fallimentare). Ad esempio, se una ditta individuale con debiti fiscali fallisce e il titolare aveva occultato beni prima, risponderà di bancarotta fraudolenta patrimoniale, che assorbe un po’ le condotte di sottrazione a danno anche del Fisco.
    • Riciclaggio/autoriciclaggio: in ipotesi estreme, se per non pagare tasse un soggetto sposta fondi neri e poi li reimpiega, può incorrere in reati finanziari. Ma rientriamo nel penale “generale” oltre l’ambito tributario stretto.
    • Occultamento o distruzione di documenti contabili (art. 10 D.Lgs. 74/2000): come già accennato, questo reato punisce l’imprenditore che nasconde o distrugge le scritture al fine di evadere le imposte o di consentire ad altri di evadere. Può emergere in combinazione con le situazioni di insolvenza tributaria: ad es., un amministratore sapendo di aver accumulato grossi debiti IVA, brucia i registri contabili per impedire ai verificatori di ricostruire la situazione. Reato punito con reclusione 3-7 anni. La Cassazione ha chiarito che serve il dolo specifico di evasione e che la sola mancata esibizione non basta. Questo reato non è legato alla fase dell’intimazione in sé, ma al comportamento antecedente: l’intimazione però potrebbe arrivare proprio perché non si è potuto accertare prima il dovuto per mancanza di scritture, e segnala che l’Amministrazione ha determinato un importo, preludio di denuncia se non già fatta.
    • Responsabilità amministrativa dell’ente (D.Lgs. 231/2001): se i reati fiscali (dichiarativi, di occultamento documenti, ecc.) sono commessi da manager nell’interesse della società, e l’illecito è successivo al 2018 (anno di introduzione dei reati tributari nel catalogo 231), la società può essere sanzionata con pesanti sanzioni pecuniarie. Quindi una società di capitali che ignora sistematicamente il pagamento di IVA, oltre all’intimazione e all’esecuzione, si troverà forse imputata ex D.Lgs. 231 con multe e interdittive.

Cosa deve fare il contribuente per evitare guai penali? Alcuni consigli pratici emergono:

  • Mantenersi sotto le soglie: se si accorge di avere debiti IVA/ritenute vicini alle soglie di punibilità, cercare di ridurli (anche mediante ravvedimenti, o pagamenti parziali mirati).
  • Pagare il dovuto spontaneamente appena possibile se ha già superato la soglia, per evitare la condanna (beneficiando della causa di non punibilità se versa prima del dibattimento).
  • Non intraprendere azioni palesemente fraudolente: la tentazione di “mettere in salvo” i beni di famiglia quando si è indebitati è forte, ma occorre farlo – se proprio – con strumenti legali trasparenti (es. trust col Fisco informato, accordi di ristrutturazione) e non con vendite simulate o donazioni all’ultimo minuto. Queste mosse, oltre a poter essere revocate civilmente, espongono penalmente.
  • Collaborare nelle procedure: se arriva un pignoramento, opporsi legalmente ma senza ostacolare fisicamente gli ufficiali (evitando reati di resistenza o oltraggio).
  • Tenere la contabilità in ordine: anche se la situazione è pessima, non nascondere libri o fatture, perché aggiungerebbe un reato grave al già esistente debito.

In definitiva, il profilo penale delinea un aggravio di rischi per chi non ottempera agli obblighi tributari. L’intimazione in sé è un atto “civile”, ma è spesso un segnale che i debiti sono diventati importanti: vale la pena, soprattutto per l’imprenditore, farsi un quadro anche delle possibili responsabilità penali e agire di conseguenza (ad esempio, concordando con un penalista se certe condotte attuate in passato possano costituire reato e come eventualmente porvi rimedio, o preparare una strategia difensiva).

Simulazioni pratiche

Per rendere più concreti i concetti, esaminiamo alcune simulazioni pratiche di situazioni che un contribuente potrebbe trovarsi ad affrontare riguardo all’intimazione di pagamento, con indicazione di come calcolare i termini e quali azioni intraprendere.

Caso 1: Intimazione legittima su cartelle notificate e non pagate

Scenario: La società Alpha S.r.l. riceve in data 10 aprile 2025 un’intimazione di pagamento da Agenzia Entrate-Riscossione. Nell’atto sono elencate 3 cartelle esattoriali:

  • Cartella n.001 notificata il 5/03/2022 – Importo residuo €30.000 (IVA anno 2018)
  • Cartella n.002 notificata il 10/09/2022 – Importo residuo €10.000 (IRAP anno 2019)
  • Cartella n.003 notificata il 20/11/2023 – Importo residuo €5.000 (Sanzione codice della strada del Comune X)

L’intimazione indica un totale di €45.000 (oltre spese) e intima il pagamento entro 5 giorni.

Analisi passo-passo:

  • Verifichiamo le date: l’ultima cartella (003) è del 20/11/2023, quindi non sono passati 12 mesi dalla sua notifica ad oggi (aprile 2025). Tuttavia, ci sono due cartelle del 2022 per cui oltre un anno è trascorso senza esecuzione. È legittimo che AER notifichi l’intimazione ora per poter eventualmente pignorare su tutte. Di fatto, l’intimazione riguarda tutte e 3 in blocco.
  • Calcolo dei 5 giorni: Ricevuta il 10/4/2025 (mettiamo con PEC), i 5 giorni si contano come giorni decorrenti dall’11/4. Non è specificato “lavorativi”, quindi includono weekend/festivi. Dunque:
    • Giorno 1: 11 aprile; 5° giorno: 15 aprile. L’intimazione dice “entro 5 giorni”, presumibilmente significa che fino al 15 aprile (incluso) si può pagare senza esecuzione. Dal 16 aprile l’Agente può procedere (se il 15 fosse stato festivo, si slitterebbe al 16).
  • La società non paga entro i 5 giorni. Cosa succede dal 16 aprile? L’Agente può attivarsi. Verosimilmente, essendo una società di capitali, potrebbe optare per un pignoramento presso terzi:
    • Controlla se la società ha conti correnti: supponiamo di sì, presso Banca XYZ.
    • Il 20 aprile 2025, AER invia un atto di pignoramento presso terzi a Banca XYZ e ne dà notifica alla società. La banca, ricevuto l’atto, blocca immediatamente sul conto di Alpha S.r.l. fino a €45.000 (ammesso ci siano).
    • Se sul conto ci fossero poniamo €30.000, la banca blocca quelli e deve dichiarare all’Agenzia e al tribunale l’importo. L’Agenzia a quel punto potrebbe pignorare altri beni per i restanti €15.000 (ad esempio, un secondo pignoramento su altro conto o sui crediti verso un cliente della società).
  • Difesa della società: Se Alpha S.r.l. non contesta il merito dei debiti (erano cartelle non impugnate, dunque definitive), potrebbe puntare a guadagnare tempo o evitare il blocco conti. In retrospettiva, cosa avrebbe potuto fare nei 5 giorni?
    • Presentare un’istanza di rateizzazione per €45.000. Poiché < 120k, ottenibile in 72 rate senza prove. Se l’avesse fatto entro il 15 aprile e avesse pagato la prima rata, probabilmente l’AER non avrebbe proceduto col pignoramento. Avrebbe così evitato il blocco e diluito il pagamento. Non avendolo fatto, ora la situazione è peggiorata.
    • Poteva anche fare ricorso? Su quali basi? Le cartelle erano tutte notificate regolarmente. L’unico appiglio forse: la cartella 2018 (IVA) era stata notificata a marzo 2022, quindi 4 anni dopo l’anno d’imposta. Se quella cartella fosse un estratto di ruolo di avviso bonario, ma supponiamo fosse un accertamento esecutivo notificato nel 2020 e poi iscritto a ruolo 2022… In assenza di evidenti vizi, un ricorso sull’intimazione avrebbe poche chance (i debiti tributari non sono prescritti: IVA 2018 – prescrizione 10 anni, quindi fino al 2032; IRAP idem; la multa stradale invece ha prescrizione 5 anni, notifica 2023 significa fino 2028. Quindi nessuna prescrizione).
    • Avrebbe potuto chiedere sospensione giudiziale sostenendo per esempio che la multa stradale era nulla per vizio (ma anche qui, se non impugnò la cartella della multa, è tardi).
  • Dopo il pignoramento: la società ora ha conto bloccato per €30.000. Probabilmente negozierà con AER il pagamento del resto in breve (o pignoreranno altro). Se entro 60 giorni dal pignoramento non paga il residuo, AER chiederà alla banca di versare i €30.000 bloccati e proseguirà per il resto. La società rischia seriamente la continuità se il conto era essenziale. È una situazione dove, con il senno di poi, sarebbe stato meglio reagire prima (rateizzare o trovare fondi per pagare).
  • Simulazione conclusa: evidenzia che l’intimazione su debiti non contestabili di solito porta a pignoramenti rapidi. La chiave era agire in quei 5 giorni (o poco più) per prevenire.

Caso 2: Intimazione e cartella mai notificata (vizio di notifica)

Scenario: Il sig. Rossi, professionista, scopre per caso recandosi in Agenzia Entrate-Riscossione che gli è stata notificata un’intimazione di pagamento il 1° febbraio 2025, presso un indirizzo in cui non risiede più. Infatti l’atto risulta “notificato per compiuta giacenza” al vecchio indirizzo. L’intimazione contiene una cartella per IRPEF 2015 di €20.000. Rossi afferma di non aver mai ricevuto né conosciuto questa cartella in passato. Ora, a marzo 2025, trova un estratto di ruolo che mostra: Cartella emessa il 10/01/2019, inviata a un indirizzo errato e mai da lui ritirata.

Problema: La notifica della cartella è nulla (indirizzo errato) e l’intimazione pure è stata spedita a indirizzo non aggiornato. Rossi però, avendolo scoperto tramite l’accesso ai dati, è ormai a conoscenza del debito e soprattutto vede che AER ha già iscritto fermo auto in data 15 marzo 2025 sul suo veicolo, a seguito dell’intimazione rimasta inevasa.

Cosa può fare Rossi a questo punto:

  • Anche se l’intimazione non gli è giunta regolarmente, ora ne ha avuta conoscenza informale il 20 marzo 2025 (giorno dell’accesso). Da quella data dovrebbe attivarsi subito. I 60 giorni per ricorrere, in teoria, decorrono dalla notifica formale (che non è avvenuta regolarmente). Potrebbe quindi sostenere che il termine non è mai decorso e che il suo ricorso contro l’intimazione è tempestivo poiché la notifica è nulla. Dovrà però presentarlo al più presto, senza aspettare troppo, per non incorrere in eccezioni di tardività.
  • Ricorso alla Corte tributaria: Rossi impugna l’intimazione (avendone copia dall’AER) deducendo:
    1. Nullità della notifica della cartella 2015: mai ricevuta, notifica inesistente (indirizzo sbagliato, nessuna compiuta giacenza valida perché non viveva più lì).
    2. Conseguente nullità dell’intimazione fondata su cartella mai notificata.
    3. Prescrizione del debito: IRPEF 2015, andava in ruolo entro fine 2018 e notificata entro 2019 (cosa fatta seppur nulla); da allora a febbraio 2025 sono passati 6 anni. L’IRPEF prescrive in 10 anni, ma se la notifica è inesistente, quel ruolo non è mai diventato atto conoscitivo. Ci sarebbe da discutere se la prescrizione sia decorsa interamente: 2015 imposta dovuta, iniziata a decorrere forse da fine 2018 atto definitivo? Questo aspetto è controverso. Comunque, se l’atto non fu notificato, la Cassazione dice che il termine per impugnarlo non decorre e la pretesa non si cristallizza. Potrebbe però essere eccepito che dal 2019 al 2025 > 5 anni: alcune commissioni applicano la prescrizione breve quinquennale delle cartelle se non notificate e senza atti interruttivi. Rossi dunque nel ricorso potrebbe aggiungere in subordine che comunque il credito è prescritto per decorso del termine breve (tesi difensiva da verificare, non garantita).
  • Istanza di sospensione: data la situazione, chiederà sospensione immediata perché c’è già un fermo auto e il rischio di pignoramento conto.
  • Possibile esito: Se dimostra che la cartella non fu notificata, il giudice tributario molto probabilmente gli darà ragione: annullerà l’intimazione per vizio radicale del procedimento. L’ente potrà sempre re-notificargli la cartella (se non prescritta) formalmente, ma a quel punto Rossi potrà impugnarla nel merito. Va notato però: IRPEF 2015, avviso d’accertamento sarà stato notificato a suo tempo? Forse quell’importo deriva da dichiarazione non pagata (ruolo per dichiarazione). Se la cartella resta nulla e ora siamo nel 2025, l’ufficio potrebbe emettere un nuovo atto recuperando quell’imposta (ma se era da dichiarazione, credo l’atto non impugnato e con ruolo a fine 2018, rifare ora la notifica di cartella 2019 fuori termine di decadenza?). Probabile che Rossi, se vince sul vizio di notifica, otterrà di non dover pagare per il momento. L’Agenzia potrebbe appellare o tentare opposizione in Cassazione, ma nell’immediato Rossi salva il suo veicolo (il giudice sospende il fermo).
  • In pratica: Questo esempio mostra l’importanza di contestare la notifica nulla appena scoperto: Rossi avrebbe potuto anche aspettare di subire il pignoramento e poi fare opposizione al giudice ordinario ex art.615 cpc, ma così facendo rischiava di incappare in questioni di competenza. Meglio andare subito in Commissione Tributaria con la scoperta dell’intimazione viziata.

Caso 3: Intimazione con debiti in parte prescritti

Scenario: La ditta individuale Bianchi Marco riceve intimazione il 5 gennaio 2024 per 4 cartelle relative a contributi previdenziali INPS degli anni 2009-2012 per un totale di €15.000. Bianchi ricorda di aver visto quelle cartelle anni fa ma di non aver pagato, e non ha mai avuto altre comunicazioni dal 2013 in poi.

Quindi:

  • Cartelle notificate tra 2010 e 2013, mai pagate;
  • Nessun atto fino all’intimazione 2024 (11+ anni dopo le prime cartelle).

I contributi INPS, per legge, si prescrivono in 5 anni (riforma del 2018 ha stabilito prescrizione quinquennale anche per ruoli INPS). Pertanto Bianchi sospetta che quei crediti fossero già prescritti da tempo.

Azione: Bianchi fa ricorso contro l’intimazione il 1° marzo 2024, eccependo la prescrizione: tra la notifica delle cartelle (diciamo l’ultima nel 2013) e l’intimazione del 2024 sono passati più di 5 anni senza atti. Richiama la giurisprudenza che conferma la prescrizione breve per contributi e tributi locali anche se in cartella.

Giurisprudenza di riferimento: Questo ricalca il caso deciso dall’ordinanza Cass. 16743/2024:

  • La CTR nel suo caso aveva detto: non puoi eccepire prescrizione maturata prima delle cartelle se non l’hai fatto all’epoca, e non puoi eccepire prescrizione dopo se non hai impugnato la prima intimazione. Ma Cassazione ha corretto: se la prescrizione è maturata tra cartella e intimazione, anche se non hai impugnato eventuali intimazioni precedenti, la puoi far valere impugnando quella successiva. Nel nostro scenario, Bianchi non aveva ricevuto intimazioni prima d’ora (forse nessuna, o magari una nel 2017 mai arrivata?), comunque lui la fa valere ora e Cassazione è dalla sua.
  • È fondamentale che la faccia valere adesso: se la ignorasse e aspettasse un pignoramento 2025, sarebbe tardi secondo Cass. 22108/2024 e 6436/2025 (onere di impugnazione immediata).

Risultato atteso: Il giudice tributario, accertato che dal 2013 al 2024 nessuna intimazione né atto interruttivo è passato, dovrebbe dichiarare prescritti i contributi, annullando l’intimazione. L’INPS/AER potrebbero opporsi citando il vecchio orientamento (cristallizzazione per mancata impugnazione cartelle in 2013, ergo 10 anni?), ma con le nuove sentenze Bianchi ha buone probabilità.

Dopo la vittoria: Bianchi non dovrà pagare, l’intimazione è nulla e il debito estinto per prescrizione. Fine della vicenda, salvo appello di controparte che però difficilmente avrà successo visti gli orientamenti unificati.

Caso 4: Intimazione e pagamento parziale – cosa succede?

Scenario: La srl Gamma riceve intimazione per €100.000. Decide di pagare parzialmente entro 5 giorni €20.000, e per i restanti €80.000 fa domanda di rateazione che però, per un disguido, viene rigettata (magari perché aveva già decadenze su precedenti piani).

Cosa accade: Pagando €20.000, quell’importo verrà decurtato dal debito. Tuttavia, se il resto rimane esigibile e non c’è piano accettato, l’Agente potrà comunque procedere per €80.000. L’intimazione non si “estingue” col pagamento parziale; semplicemente, se restano somme, l’esecuzione le colpirà. In genere AER, se vede un pagamento parziale e una richiesta, tende a contattare l’azienda per sollecitare il residuo o trovare una soluzione, ma non c’è garanzia. Gamma rischia pignoramenti per €80k. Dovrà magari cercare di negoziare un nuovo piano (forse presentare un’istanza con garanzie, o attendere qualche mese per ritentare se la norma glielo consente). In quell’intervallo, potrebbe subire un fermo su automezzi o un’ipoteca su immobili per cautela.

Conclusione: Pagare parzialmente non proroga i termini dell’intimazione: non è come il precetto civile dove un pagamento parziale imporrebbe di notificare nuovo precetto per il saldo (nel civile è discusso, ma in genere per la parte restante serve nuovo precetto). Nel DPR 602 non c’è scritto nulla di simile. AER di solito se l’intimazione è per €X e incassa €Y, considera l’intimazione valida per X-Y rimanente finché è entro l’anno. Dunque Gamma deve stare attenta: o paga tutto, o si accorda su tutto, altrimenti comunque quell’atto la espone.

Caso 5: Notifiche irregolari e mezzi di prova

Scenario: Il sig. Verdi riceve un’intimazione tramite PEC. Il file allegato però non è leggibile perché corrotto, oppure la PEC è arrivata in una casella aziendale non più in uso e se ne accorge tardi. Nel frattempo l’AER procede.

Analisi: La notifica via PEC è considerata valida se l’ente invia all’indirizzo digitale risultante dai pubblici elenchi. Se Verdi non consultava la PEC, sono affari suoi in linea di principio. Però se il file era illeggibile o mancavano allegati essenziali, la notifica potrebbe essere nulla per vizio (c’è giurisprudenza su atti via PEC incompleti). Verdi potrebbe opporre che non ha mai potuto prendere cognizione dell’atto per un vizio di forma.

Cosa fare: Appena scopre l’esistenza (magari perché arriva una raccomandata di pignoramento), deve agire in giudizio sostenendo la nullità della notifica PEC dell’intimazione e chiedendo remissione in termini per impugnarla. Se prova con perizia informatica che il file era corrotto all’origine, ha ottime chance di far ripetere la notifica.

Morale: Le notifiche PEC vanno curate e controllate. Il contribuente deve tenere attiva la propria PEC anche se cessa attività, perché atti fiscali potrebbero arrivare. Se l’ha abbandonata, peggiora la difesa (verrà considerata notifica perfezionata).


Questi esempi potrebbero continuare, ma quelli affrontati coprono i casi più frequenti: mancata notifica dei presupposti, prescrizione, comportamenti post-intimazione, questioni di notifica.

Passiamo ora a una sezione finale di Domande e Risposte (FAQ) che ricapitola in forma sintetica molte delle questioni trattate, dal punto di vista pratico dei contribuenti.

Domande frequenti (FAQ)

D1: Che cos’è esattamente un’intimazione di pagamento e in cosa differisce da una cartella esattoriale?
R: L’intimazione di pagamento è un atto di sollecito finale che l’Agente della riscossione (Agenzia Entrate-Riscossione) invia al contribuente intimandogli di pagare entro 5 giorni un certo importo dovuto, prima di passare a misure di esecuzione forzata. Si differenzia dalla cartella esattoriale perché non contiene di per sé un nuovo titolo di credito o una nuova pretesa fiscale: la cartella è l’atto con cui per la prima volta si chiede al contribuente di pagare un tributo iscritto a ruolo (ed è impugnabile per contestare il merito del tributo). L’intimazione, invece, arriva solo se la cartella (o altro atto esecutivo) è rimasta insoluta per oltre un anno. In pratica, la cartella è “l’atto impositivo-esecutivo” iniziale (con 60 giorni per pagare), mentre l’intimazione è un promemoria-coattivo successivo, analogo a un precetto, che riattiva la procedura di riscossione. Senza cartella (o avviso di accertamento esecutivo) valida a monte, non può esistere intimazione valida.

D2: Ho ricevuto un’intimazione dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione che mi dà 5 giorni per pagare: è un termine prorogabile? Posso ottenere una dilazione dei 5 giorni?
R: I 5 giorni indicati nell’intimazione sono un termine fisso e breve previsto dalla legge (art.50 DPR 602/73). Non è prorogabile né “sospendibile” discrezionalmente: allo scadere dei 5 giorni, l’Agente della riscossione ha facoltà di avviare immediatamente l’esecuzione forzata (pignoramenti, fermi, ipoteche). Quindi, di per sé, non esiste una dilazione specifica su quei 5 giorni. Tuttavia, il contribuente ha altre opzioni:

  • Può chiedere una rateizzazione del debito complessivo (se ne ricorrono le condizioni) prima che inizino le azioni esecutive. La presentazione dell’istanza di rateazione e il pagamento della prima rata di solito inducono l’AER a non procedere con pignoramenti pendente la richiesta, o quantomeno, se la dilazione viene accordata, le azioni esecutive vengono sospese al rispetto del piano. In pratica, la rateazione “sostituisce” il pagamento entro 5 giorni con un impegno più lungo, se approvata.
  • Può anche presentare, entro 60 giorni, un ricorso al giudice tributario con istanza di sospensione: se il giudice concede la sospensione, l’AER sarà temporaneamente bloccata dal procedere, e i 5 giorni in un certo senso vengono superati da questo provvedimento di tutela. Ma attenzione: la sospensiva va chiesta e ottenuta, non è automatica. Nei fatti, i 5 giorni decorrono comunque; l’Agenzia potrebbe iniziare un pignoramento dal sesto giorno, salvo poi sospenderlo se arriva la sospensione del giudice. È quindi opportuno eventualmente informare l’Agente di aver presentato ricorso e richiesta di sospensione, chiedendo in autotutela di attendere l’esito (spesso l’Agenzia accetta di attendere qualche settimana se c’è un’udienza cautelare imminente, per non incorrere in provvedimenti contrastanti).

In sintesi, i 5 giorni sono categorici per l’adempimento spontaneo. L’unico modo per ottenere più tempo senza subire pignoramenti è attivare subito o la procedura di rateazione o la tutela giudiziaria d’urgenza.

D3: Cosa succede se ignoro l’intimazione e non pago entro i 5 giorni?
R: Trascorsi i 5 giorni senza pagamento, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione può legittimamente procedere con le azioni di espropriazione forzata. In pratica, dal giorno successivo alla scadenza, ci si può aspettare:

  • Il possibile pignoramento del conto corrente: l’Agente può inviare alla banca l’ordine di blocco delle somme fino a concorrenza del debito (pignoramento presso terzi). Questo è spesso il primo passo, perché veloce e con esito immediato.
  • Fermo amministrativo su eventuali autoveicoli/motoveicoli di proprietà: se il debito supera €1.000, può scattare il fermo come misura cautelare. L’intimazione funge già da preavviso in tal senso (dato che invita a pagare per evitare esecuzioni anche sul veicolo). A volte però notificano un separato preavviso di fermo.
  • Ipoteca su immobili: per debiti oltre €20.000, l’Agenzia può iscrivere ipoteca su immobili del debitore. Ciò può avvenire subito dopo l’intimazione (a volte l’iscrizione ipotecaria viene fatta persino contestualmente al pignoramento presso terzi).
  • Pignoramento immobiliare: se sussistono i presupposti (debito > €120.000, immobili non “prima casa” protetta), l’Agenzia potrebbe notificare atto di pignoramento sull’immobile trascorsi i 5 giorni. In pratica però di solito prima iscrive ipoteca e solo dopo un po’ procede con l’esproprio vero e proprio, specie se il debitore continua a non attivarsi.
  • Pignoramento presso terzi su stipendio/pensione: se il debitore lavora come dipendente o ha pensione, AER può notificare al datore di lavoro/INPS un ordine di trattenuta di una parte (massimo 1/5) dello stipendio o pensione.

Insomma, ignorare l’intimazione significa aprire la porta a qualunque azione esecutiva. Quale in concreto dipende dalla situazione patrimoniale del debitore: l’Agenzia sceglierà il modo più efficace per recuperare. Inoltre, più tempo passa dopo l’intimazione, maggiori interessi di mora e spese di esecuzione si accumulano. Ad esempio, se si arriva a un’asta immobiliare o a un intervento di ufficiale giudiziario, i relativi costi vengono addebitati al debitore. In caso di pignoramenti infruttuosi, l’Agenzia può riprovare su altri beni finché l’intimazione è efficace (un anno). Se scade l’anno senza successo, probabilmente notificherà un’altra intimazione per riprovarci.

D4: Posso chiedere all’Agenzia Entrate-Riscossione di annullare o sospendere un’intimazione senza andare in giudizio?
R: Sì, attraverso lo strumento dell’autotutela o della sospensione per verifica. Se ritieni che l’intimazione sia errata (perché magari le somme erano già state pagate, o c’è un provvedimento di sgravio, o un evidente errore di persona/importo), puoi presentare all’Agenzia Riscossione un’istanza motivata allegando la documentazione probatoria (ricevute di pagamento, copia dello sgravio dell’ente creditore, etc.). L’Agenzia, ricevuta l’istanza:

  • In casi di errore palese (es: hai la quietanza che dimostra il versamento integrale della cartella), sospende immediatamente la riscossione di sua iniziativa e successivamente annulla l’intimazione per quella parte.
  • In altri casi, la sospensione può essere accordata in attesa di verifiche con l’ente creditore. Ad esempio, se affermi “questa cartella era oggetto di causa ed è stata annullata dal giudice”, AER chiederà conferma all’ente (Agenzia Entrate, INPS, etc.) e sospenderà nel frattempo l’esecuzione. Se l’ente conferma l’annullamento, l’intimazione viene revocata.

Dal 2013 esiste la procedura di sospensione amministrativa obbligatoria (Legge n.228/2012, art.1 commi 537-543) per cui l’Agente della riscossione su semplice richiesta motivata del contribuente è tenuto a sospendere la riscossione se nell’istanza vengono addotti documenti che comprovano l’irregolarità del credito (pagamento effettuato, sgravio, sentenza favorevole, prescrizione maturata, etc.). Entro 200 giorni l’ente creditore deve rispondere; se non risponde, il debito viene annullato di diritto. Questa norma è molto utile: dunque conviene sempre, se si è in possesso di prove liberatorie, invocarla subito. La richiesta va fatta entro 60 giorni dall’intimazione (coincide coi termini di ricorso) e sospende le azioni.

In sintesi: si può e deve chiedere all’AER di annullare in autotutela un’intimazione sbagliata. Ciò non preclude che, a scopo cautelativo, tu possa ugualmente presentare ricorso, ma anzi spesso conviene fare entrambe le cose: chiedi l’annullamento interno e, se la risposta tarda o è negativa, hai già avviato il percorso giudiziario.

D5: L’intimazione può essere impugnata (contestata) davanti a un giudice?
R: , l’intimazione di pagamento può essere impugnata davanti al giudice tributario (Corte di Giustizia Tributaria di primo grado, ex Commissione Tributaria), in quanto atto funzionalmente assimilabile all’avviso di mora previsto dall’art.19 D.Lgs.546/92. Negli anni passati si discuteva se fosse impugnabile autonomamente: la giurisprudenza attuale conferma di sì, è autonomamente impugnabile al pari di una cartella. Inoltre, è generalmente ritenuto un onere per il contribuente farlo, se intende contestare qualcosa: la Cassazione 2025 ha chiarito che la sua impugnazione non è facoltativa ma necessaria, pena la cristallizzazione del debito. Ciò significa che se hai motivi per opporti (prescrizione, vizi di notifica precedenti, ecc.), devi proporre ricorso entro 60 giorni dalla notifica dell’intimazione, altrimenti perderai la possibilità di far valere quelle contestazioni in seguito (non potrai, ad esempio, aspettare il pignoramento per lamentarti allora, perché il giudice potrebbe dirti che dovevi agire prima).

In concreto: per impugnare l’intimazione presenti ricorso alla Corte Tributaria competente, entro 60 giorni, indicando i motivi (errori dell’atto, prescrizione, pagamento avvenuto, ecc.). Sarà un giudizio vero e proprio. Durante il giudizio, come detto, puoi chiedere la sospensione delle azioni esecutive. Se vinci, l’intimazione viene annullata e con essa (di solito) decade il diritto di procedere per quelle somme, salvo che il giudice annulli solo per vizi formali sanabili.

D6: Quali sono i motivi validi per fare ricorso contro un’intimazione? Posso contestare il merito delle imposte dovute?
R: I motivi validi sono quelli relativi a vizi propri dell’intimazione o alla sopravvenuta inesigibilità del debito. Non puoi invece riaprire questioni di merito delle imposte se l’atto originario (accertamento/cartella) è definitivo e correttamente notificato. In particolare, puoi far ricorso per:

  • Prescrizione o decadenza del credito intervenuta prima dell’intimazione (es: il tributo si è prescritto perché sono passati tot anni senza atti).
  • Mancata notifica o nullità della cartella o dell’atto presupposto: se la cartella non ti è mai stata notificata validamente, l’intimazione è illegittima.
  • Intimazione emessa oltre i limiti di legge: ad esempio, intimazione notificata quando erano decorsi più di 180 gg/1 anno dall’ultima intimazione (quindi con efficacia scaduta); oppure intimazione notificata quando l’esecuzione era già iniziata (evento raro ma viziato).
  • Difetti formali: mancanza dell’indicazione della cartella di riferimento, errore sul soggetto destinatario, mancata indicazione delle modalità di impugnazione o del responsabile del procedimento (obbligatoria per legge).
  • Pendenze giudiziarie o provvedimenti sospensivi ignorati: se c’era una sospensione giudiziale della cartella o un ricorso pendente di cui l’AER doveva tener conto, l’intimazione non doveva essere emessa o avrebbe dovuto contenere un importo ridotto.
  • Importo non dovuto per avvenuto pagamento/sgravio: presentando prove che il debito indicato non esiste o è stato già pagato (in tutto o in parte).

Non puoi invece usare l’intimazione per discutere, ad esempio, che l’accertamento fiscale era sbagliato nel merito (quello andava fatto impugnando l’accertamento stesso a suo tempo). L’unica eccezione è quando non eri a conoscenza dell’accertamento/cartella e ne vieni a conoscenza solo con l’intimazione: in tal caso, in sede di ricorso contro l’intimazione, puoi far valere anche i vizi sostanziali originari, perché ti è stata data notizia solo ora. Ad esempio, se scopri con l’intimazione di un avviso di accertamento mai notificato, puoi contestare sia la notifica sia il contenuto (imponibile, imposta) dell’avviso stesso in quell’occasione.

D7: Quanto tempo ho per presentare ricorso contro un’intimazione di pagamento?
R: 60 giorni dalla data di notifica dell’intimazione (lo stesso termine previsto per le cartelle e gli atti tributari in genere, ex art.21 D.Lgs.546/92). Se l’intimazione è notificata via PEC, il termine decorre dalla data in cui risulta consegnata la PEC nella tua casella (attenzione: fa fede la ricevuta di avvenuta consegna, anche se tu apri la PEC dopo giorni). Se notificata a mezzo posta, dal giorno di ricezione (o compiuta giacenza). Eventuali vizi di notifica potrebbero allungare i tempi – ad esempio se non l’hai mai ricevuta potresti ricorrere appena ne vieni a conoscenza. Ma per sicurezza: conta 60 giorni e attivati. Durante il periodo dal 1° al 31 agosto i termini sono sospesi (ferie tribunali tributari). Dunque, se ricevi l’atto a ridosso di agosto, quel mese non conta nel computo.

Ricorda: se fai ricorso, devi notificare l’atto di ricorso all’Agenzia Entrate-Riscossione (e all’ente impositore se il debito è suo) entro i 60 giorni, e poi depositarlo al giudice entro 30 giorni dalla notifica. Sono regole tecniche che il tuo legale conoscerà.

D8: Se presento ricorso, l’Agenzia Entrate-Riscossione sospende le azioni esecutive automaticamente?
R: No, il ricorso di per sé non sospende la riscossione. Senza un provvedimento ad hoc, l’Agenzia potrebbe comunque proseguire coi pignoramenti dopo i 5 giorni. Per evitare ciò, quando depositi ricorso devi contestualmente proporre un’istanza di sospensione all’autorità giudicante (art.47 D.Lgs.546/92). Il giudice valuterà entro breve tempo (in genere entro 1-3 mesi) se sussistono i presupposti per sospendere l’efficacia dell’intimazione fino alla decisione finale. Nel frattempo, l’Agenzia ha facoltà di agire; tuttavia, spesso, se informata dell’istanza di sospensione, di prassi attende l’esito (per evitare di dover eventualmente revocare atti fatti). Ma non è garantito: quindi, se temi un pignoramento imminente, puoi anche chiedere al giudice una sospensione provvisoria d’urgenza (in alcuni casi il presidente può darla inaudita altera parte nei casi gravissimi, ma è rara in tributario).

In sintesi: senza ordine del giudice, l’Agenzia non è obbligata a fermarsi per il solo deposito del ricorso. Devi ottenere la sospensione giudiziale (o persuadere l’Agenzia in autotutela a sospendere temporaneamente in attesa della camera di consiglio).

D9: Ho già un piano di rateizzazione in corso per le cartelle indicate, ma ho ricevuto ugualmente un’intimazione. Perché?
R: Può succedere in alcune situazioni:

  • Forse hai decaduto dal piano di rateizzazione precedente: se non hai pagato alcune rate e sei decaduto, il beneficio della dilazione è perso. L’Agenzia può allora procedere con intimazione per riscuotere il residuo immediatamente.
  • Oppure l’intimazione potrebbe riferirsi a cartelle diverse da quelle che stai rateizzando. Magari hai un piano per taluni debiti ma ce ne sono altri esclusi (ad esempio, il piano riguardava cartelle fino al 2018 e l’intimazione contiene anche ruoli 2019 non dilazionati).
  • Ci sono stati casi in cui, per errore amministrativo, partono intimazioni nonostante la rateazione attiva. In tali casi, segnala subito all’Agenzia la cosa: se il piano è valido e sei in regola con i pagamenti, l’intimazione è impropria e verrà annullata in autotutela. Infatti lo Statuto del contribuente prevede la non esigibilità in pendenza di dilazione.

In sostanza, se hai una dilazione valida e ricevi intimazione sugli stessi debiti, è probabilmente un errore: recati prontamente agli sportelli o via PEC inviando copia del piano e dei pagamenti effettuati, chiedendo la sospensione. Se invece la dilazione era decaduta o parziale, l’intimazione è legittima sul resto non coperto.

D10: Cosa si intende per “vizi propri” dell’intimazione di pagamento?
R: I “vizi propri” sono i difetti intrinseci dell’atto in sé, non dipendenti dagli atti precedenti. Ad esempio:

  • L’intimazione manca di elementi essenziali (importo, elenco atti, firma, indicazione responsabile procedimento).
  • È stata notificata a soggetto sbagliato (es: intestata a persona diversa).
  • È stata notificata in maniera non conforme (es: via PEC a indirizzo non risultante dagli elenchi).
  • Contiene richieste relative a debiti per cui non era prevista (ad esempio, ti intimasse pagare importi di cartelle notificate da meno di un anno – anticipo inutile, ma difficilmente invalidante).

Questi sono vizi propri. Al contrario, questioni come la prescrizione del tributo, la nullità della cartella, l’errata determinazione del tributo, non riguardano l’atto in sé ma il rapporto sottostante o atti a monte. Nel ricorso contro l’intimazione puoi far valere sia vizi propri, sia (per prassi giurisprudenziale) alcuni vizi non propri, purché attengano a fatti successivi all’emissione della cartella oppure alla sua notifica. Esempio: “l’intimazione è nulla per vizio proprio X e, comunque, il credito è prescritto e la cartella mai notificata” – qui mescoli vizi propri e non, ed è ammesso. Non puoi invece dire “l’intimazione è nulla perché l’accertamento era infondato”, perché quello attiene al merito del tributo e dovevi contestarlo prima.

D11: Dopo aver ricevuto l’intimazione ho scoperto che una delle cartelle riportate era già prescritta prima: se non ho impugnato quella cartella a suo tempo, posso far valere ora la prescrizione?
R: Sì, puoi. Occorre però distinguere quando la prescrizione sarebbe maturata:

  • Se la prescrizione è maturata dopo la notifica della cartella, tra cartella e intimazione, puoi e devi eccepirla impugnando l’intimazione. Ad esempio, cartella 2015 non pagata, nessun atto fino intimazione 2025: se il tributo aveva 5 anni di prescrizione, era già prescritto nel 2020; impugni l’intimazione 2025 e il giudice riconosce la prescrizione.
  • Se la prescrizione era già maturata prima della notifica della cartella, avresti dovuto contestarla impugnando la cartella stessa (motivo di ricorso: “il credito era prescritto quando mi avete notificato la cartella”). Se non l’hai fatto, quell’eccezione è preclusa, perché la cartella è divenuta definitiva. Questo ha chiarito Cass. 16743/2024: non puoi usare l’intimazione per far valere che già al momento della cartella il credito era prescritto – andava fatto allora. Unica eccezione: se la cartella non ti fu notificata regolarmente, allora non hai colpa, e puoi farlo ora (ma in tal caso rientri nel caso di cartella nulla e quindi quell’obbligo non si è mai cristallizzato).

In sintesi, la prescrizione sopravvenuta (post-cartella) può essere eccepita all’intimazione (e secondo la Cassazione 2025 è un onere farlo allora); la prescrizione antecedente la cartella no, andava eccepita a suo tempo (salvo cartella ignota).

D12: Ho saputo che se non impugno l’intimazione, il debito si “cristallizza”. Cosa significa?
R: Significa che la legge e la giurisprudenza considerano l’intimazione un atto impugnabile a cui si collega un onere di contestazione. Se lasci decorrere il termine di ricorso contro l’intimazione senza far nulla, non potrai più contestare determinati vizi del debito in seguito. In particolare, la Cassazione dice che se non impugni l’intimazione, non potrai poi far valere cause estintive (prescrizione) o vizi notificatori precedenti. In pratica, il debito diviene “cristallizzato”, cioè definitivamente certo e non più attaccabile, e potrai solo pagarlo o subire l’esecuzione.

Esempio: intimazione 2024 su cartella 2010. Se non fai ricorso ora per dire “è prescritta”, quando ti pignoreranno non potrai sollevare la prescrizione davanti al giudice dell’esecuzione, perché ti risponderanno che dovevi farlo impugnando l’intimazione. Quindi, cristallizzazione vuol dire che il debito viene consolidato e “confermato” tacitamente dalla tua inerzia di fronte all’intimazione. Per evitarlo, se hai motivi di opposizione, devi farli valere nei 60 giorni.

D13: Ricevere un’intimazione di pagamento comporta iscrizioni di ipoteche o segnalazioni al fisco di altro tipo (tipo al bilancio, Centrale rischi, ecc.)?
R: L’intimazione in sé no – è un atto verso di te e non pubblico. Tuttavia, le azioni che possono seguire sì:

  • L’iscrizione di ipoteca su un tuo immobile (se il debito > €20.000) comporta una formalità nei registri immobiliari, visibile a tutti (e potenzialmente pregiudizievole per la reputazione creditizia).
  • Un fermo amministrativo sul veicolo appare nel PRA (Pubblico registro automobilistico).
  • Agenzia Entrate-Riscossione non comunica i debiti alla Centrale Rischi bancaria o simili. Però, se viene iscritta ipoteca, le banche lo vedrebbero in un’istruttoria ipotecaria. Inoltre esiste un registro denominato “Registro dei debitori inadempienti” tenuto da AER (non pubblico, ma accessibile ad alcuni enti).
  • La stessa notifica dell’intimazione non viene comunicata ad uffici diversi, ma se per esempio il debito riguarda IVA o imposte erariali rilevanti, l’Agenzia delle Entrate (ente creditore) ne è consapevole e potrebbe ostacolarti certificazioni (Durc, certificati regolarità fiscale, ecc.). Ad esempio, con cartelle/ruoli non pagati può scattare il blocco dei pagamenti della PA se ti devono pagare crediti (compensazione forzata sopra 5.000 €).

In breve: l’intimazione segna che sei in fase critica. Non è pubblica, ma gli atti esecutivi successivi possono diventarlo.

D14: Un’intimazione può includere debiti non tributari? Ad esempio, multe stradali o contributi previdenziali?
R: Sì. L’Agenzia Entrate-Riscossione raccoglie tutte le somme iscritte a ruolo (o affidate) dagli enti creditori. Quindi nella stessa intimazione potresti trovare:

  • Tributi erariali (imposte statali come IRPEF, IVA, ecc.).
  • Tributi locali (IMU, TARI, bollo auto).
  • Contributi previdenziali (INPS, casse professionali che si avvalgono del ruolo).
  • Sanzioni amministrative (multe stradali, sanzioni Autorità, ecc.).

L’articolazione della difesa poi dipende: ad esempio, per una multa stradale le regole di prescrizione sono diverse (5 anni) e l’autorità competente per eventuali ricorsi è il giudice ordinario se contestavi la multa; ma quando arrivi all’intimazione, il giudice competente diventa la Corte Tributaria per l’insieme dell’intimazione, anche se contiene multe. C’è un po’ di discussione su questo: formalmente le multe non sono “tributarie”, ma la Cassazione (SS.UU. n.26283/2016) ha stabilito che l’impugnazione delle cartelle di multe va fatta al giudice ordinario. Nel caso di intimazione mista, normalmente si spacchetta per competenza: la parte tributaria al giudice tributario, la parte multe al giudice ordinario. In pratica però AER di solito separa, e manda intimazioni distinte per carichi tributari e per carichi non tributari.

D15: Se l’importo è molto elevato e non posso proprio pagare, nemmeno a rate, l’intimazione cosa comporta?
R: Comporterà comunque le azioni esecutive, come detto. Se l’importo è enorme e oltre le tue capacità, devi valutare soluzioni concorsuali:

  • Se sei una società o ditta, potresti considerare un concordato preventivo o una liquidazione giudiziale (fallimento). Queste procedure bloccano le azioni esecutive (c’è il divieto di proseguire i pignoramenti) e permettono di trattare i debiti in massa. Nel concordato potresti offrire al Fisco una certa percentuale. È un passo drastico ma a volte inevitabile se il debito fiscale è insostenibile.
  • Se sei una persona fisica non fallibile (consumatore, professionista), c’è la legge sul sovraindebitamento (ora Codice della Crisi: piano del consumatore o ristrutturazione dei debiti). Puoi proporre al giudice un piano di pagamento parziale dei debiti. L’ammissione a queste procedure pure blocca le azioni individuali.

Queste sono vie legali per affrontare situazioni disperate. Altra ipotesi: attendere eventuali sanatorie legislative (condoni, rottamazioni) – ma non c’è garanzia e intanto potresti subire danni.

Riassumendo: se proprio non puoi pagare, puoi solo provare a proteggere il patrimonio essenziale con strumenti giuridici (concordato, ecc.) o confidare in futuri provvedimenti normativi di sollievo. L’intimazione in sé non ti offre vie d’uscita, è un ultimatum.

D16: L’intimazione interrompe la prescrizione dei debiti?
R: Sì, l’intimazione di pagamento è atto idoneo a interrompere la prescrizione dei crediti tributari e contributivi in essa indicati. Da quel momento, decorre un nuovo periodo di prescrizione. Ad esempio, se per un tributo vige prescrizione 5 anni e l’ultimo atto risale a 6 anni fa, quel credito era forse già prescritto (come discusso prima). Ma se non lo era ancora, l’intimazione riporta il contatore a zero: dopo la notifica dell’intimazione, dovranno passare altri 5 anni senza atti per poter eccepire di nuovo la prescrizione. Anche se l’intimazione perde efficacia dopo 1 anno per l’esecuzione, la sua capacità interruttiva rimane acquisita (come riconosciuto dalla giurisprudenza).

Quindi, paradossalmente, anche se l’Agente non pignora nulla e lascia scadere l’intimazione, ha comunque guadagnato tempo interrompendo i termini. Questo spiega perché a volte notificano intimazioni “a pioggia” su vecchi ruoli: servono a evitare che vadano in prescrizione imminente.

D17: Quanto dura la prescrizione per i vari debiti inclusi nell’intimazione?
R: Dipende dalla natura del debito:

  • Imposte erariali (IRPEF, IRES, IVA, IRAP, ecc.): 10 anni dalla definitività (prescrizione ordinaria decennale, salvo previsioni speciali). La Cassazione a Sezioni Unite nel 2016 ha stabilito che, se non c’è un termine breve specifico, si applica quello ordinario decennale. Dunque cartelle su queste imposte si prescrivono in 10 anni.
  • Contributi INPS: oggi 5 anni (Legge 335/1995 e successive interpretazioni). Dal 2018 l’INPS considera 5 anni anche per ruoli (prima c’era contenzioso se fossero 5 o 10 a seconda del titolo).
  • Tributi locali: in genere 5 anni, perché considerati pagamenti periodici o perché espressamente previsto (es: bollo auto 3 anni per legge specifica, IMU/TASI 5 anni, TARI 5).
  • Sanzioni amministrative (multe): 5 anni dal momento in cui la sanzione è divenuta esecutiva (o dall’ultima notifica utile).
  • Diritti camerali, canone RAI, ecc.: spesso 5 anni, salvo eccezioni (il canone RAI ad esempio Cass. SSUU ha detto 10 anni, ma c’è discussione).

Nell’intimazione multi-debito, ogni voce ha la sua prescrizione. Un legale saprà individuare per ciascuna il termine giusto. È fondamentale perché, come visto, eccepire la prescrizione può far annullare l’intimazione in tutto o in parte.

D18: Posso pagare solo una parte dell’importo intimato?
R: Puoi certamente versare anche solo una parte, ma ciò non evita le azioni esecutive per la parte residua. Non esiste un “beneficio di escussione parziale”: l’intimazione copre l’intero importo dovuto. Se paghi una parte entro i 5 giorni, l’agente procederà dopo per il restante. Quindi, se non riesci a coprire tutto, è preferibile chiedere la rateazione sul totale. Pagare qualcosa riduce il debito e di conseguenza le misure (ad esempio, se dimezzi il debito, magari eviti un pignoramento immobiliare perché scendi sotto soglia), ma non ferma la procedura sul resto.

Caso concreto: intimato €50k, paghi subito €10k. Rimane €40k. Trascorsi 5 giorni, l’Agenzia può pignorare per €40k. Non è tenuta a rinotificare una nuova intimazione per i €40k rimasti. Quindi, paga parziale solo se il residuo pensi di gestirlo in altro modo (es. transazione, ricorso su quella parte).

D19: L’intimazione può essere notificata più volte per lo stesso debito?
R: Sì. Se, ad esempio, dopo la prima intimazione non si è riusciti a riscuotere e trascorre più di un anno senza esecuzione, l’Agente può notificarne una seconda (e così via, anche terza, quarta…). Ogni intimazione ulteriore “rinnova” il precetto, ed è necessaria perché la precedente è scaduta dopo 12 mesi. Non c’è un limite al numero di intimazioni che possono essere fatte, finché il credito non si prescrive. Ci sono stati casi di contribuenti che ricevevano intimazioni a distanza di molti anni: ogni volta, se non impugnate, interrompevano la prescrizione e tenevano vivo il debito.

Attenzione però: la Cassazione 2023 ha escluso che la mancata impugnazione di una prima intimazione impedisca di contestare qualcosa su una seconda. Ad esempio, se dopo la prima intimazione del 2015 il debitore non fece nulla, e poi ne arriva una seconda nel 2020, può eccepire prescrizioni maturate nel frattempo. In sostanza, ogni nuova intimazione è autonomamente impugnabile (anche se sarebbe stato meglio agire già prima).

D20: Che differenza c’è tra intimazione di pagamento e ingiunzione fiscale (ingiunzione di pagamento)?
R: L’ingiunzione fiscale è un atto utilizzato dagli enti locali (Comuni, ecc.) in alternativa alla cartella esattoriale, sulla base del R.D. 639/1910. Funziona come una “cartella fai-da-te” dell’ente locale, spesso gestita da concessionari privati. L’ingiunzione contiene già l’intimazione a pagare entro 30 giorni e ha efficacia di titolo esecutivo. Nel procedimento ingiuntivo locale, prima del pignoramento si applica il Codice di procedura civile: quindi serve un atto di precetto (non proprio un’intimazione ex DPR 602). Invece l’intimazione di pagamento di cui parliamo è propria del ruolo esattoriale nazionale, gestito da AER. Se hai debiti con il Comune, potresti ricevere un’ingiunzione (se il Comune non usa Equitalia/AER) oppure una cartella e poi intimazione (se usa AER). Sono due sistemi paralleli. Questo per chiarire che se leggi “intimazione di pagamento” nel contesto di un Comune che usa ingiunzione, potrebbe riferirsi al precetto ex art. 480 c.p.c. dopo l’ingiunzione.

Le differenze pratiche: nell’ingiunzione, il precetto concede 10 giorni ed è atto a parte; nell’esattoriale, l’intimazione concede 5 giorni ed è interna alla procedura speciale. Entrambi preludono al pignoramento.


Queste FAQ coprono molte preoccupazioni comuni. Se la tua domanda specifica non è qui, può darsi che la risposta sia sparsa nelle sezioni precedenti – la guida è ampia proprio per affrontare dettagliatamente varie sfaccettature.

Tabelle riepilogative

Di seguito forniamo alcune tabelle sintetiche per un riferimento rapido a termini, norme e rimedi.

Tabella 1 – Principali termini e azioni nella procedura di riscossione

Fase/AttoDescrizioneTermine per il contribuenteNormativa
Notifica Cartella di pagamentoRichiesta di pagamento entro 60 gg dalla notifica.60 gg per pagare o proporre ricorso tributario (Commissione Tributaria). In assenza, la cartella diviene esecutiva.DPR 602/1973 art.25 (cartella); D.Lgs.546/92 art.19 (ricorso); L.212/2000 art.7 (motivazione atti).
Attesa prima di esecuzionePeriodo minimo prima di avviare pignoramento.60 gg dalla cartella: nessuna esecuzione in questo lasso (salvo casi eccezionali).DPR 602/1973 art.50 co.1.
Dilazione (rateazione) cartellaIstanza di pagamento rateale.Fino a richiesta di preavviso esecuzione (preferibilmente entro 60 gg per bloccare azioni). Decadenza se 5 rate non pagate.DPR 602/1973 art.19; soglie modificate da DL 26/2022 (soglia automatica 120k).
Intimazione di pagamentoAtto notificato se >1 anno da cartella senza esecuzione; dà 5 gg per pagare.5 gg per pagare o attivarsi (richiesta rateazione, ricorso, sospensione). 60 gg per ricorso in Commissione Tributaria (ora Corte Giust. Trib.).DPR 602/1973 art.50 co.2 e 3 (termine 5 gg, efficacia 1 anno). D.Lgs.546/92 art.19 co.1 lett. e (avviso mora) est. all’intimazione. Cass. SS.UU. 26817/2024.
Efficacia intimazionePeriodo in cui può iniziare esecuzione senza altro avviso.1 anno dalla notifica (prima del 2020 era 180 giorni). Se esecuzione non avviata in tempo, serve nuova intimazione.DPR 602/1973 art.50 co.3; DL 34/2019 conv. L.58/2019 (estensione 1 anno in vigore dal 16/7/2020).
Azioni esecutive post-intimazionePignoramento, fermo, ipoteca, ecc., trascorsi i 5 gg.Nessun termine ulteriore fissato dalla legge: possibile dal 6° giorno. (Precetto civile è 10 gg, ma qui ne bastano 5).DPR 602/1973 art.50; (CPC art.480 precetto per confronto).
Opposizione a esecuzione/attiImpugnazione vizi di pignoramento o inesistenza titolo avanti al Giudice ordinario.20 gg dall’atto per opposizione atti (617 cpc); Opposizione esecuzione (615 cpc) entro primo atto o durante esecuzione, variabile. NB: Solo per questioni non da giudice trib. (es. vizi formali pignoramento, beni impignorabili).CPC art.615, 617. Cass. SS.UU. 258/2021 su riparto giurisdizione: giudice trib. per merito del credito, giudice ord. per vizi esecuzione.
Prescrizione del creditoEstinzione per decorso tempo senza atti interruttivi.Varia a seconda del tipo di entrata (vedi Tabella 2). L’intimazione interrompe e fa decorrere nuovo termine.Codice Civile art.2946 (10 anni) e art.2948 (5 anni) + leggi speciali tributi. Cass. SS.UU. 23397/2016 (criterio decennale in mancanza di termine breve).

Tabella 2 – Termini di prescrizione dei principali debiti esattoriali

Tipologia di debitoTermine di prescrizioneRiferimenti / Note
Imposte erariali (IRPEF, IRES, IVA, IRAP, Addizionali)10 anni (salvo atto giudiziale con giudicato, comunque 10)Termini specifici di decadenza per accertamento, ma una volta definitivi, i crediti erariali si prescrivono in via ordinaria decennale. Cass. SS.UU. 23397/2016.
Contributi previdenziali (INPS)5 anniL.335/1995 art.3 comma 9. Dal 2018 INPS applica 5 anni anche a cartelle. (Prima, ruoli INPS erano decennali per contrib. lavorativi, ma innovazioni legislative e Cass. SS.UU. 23397/16 hanno unificato a 5).
Tributi locali (IMU, TARI, TASI)5 anniConsiderati entrate periodiche (ex art.2948 c.c.) o comunque previsti da norme (ad es. vecchia ICI aveva 5). Confermato da giurisprudenza costante (Cass. SS.UU. 25790/2009 per Tarsu, Cass. 2020 n.12083 per IMU).
Tassa auto (bollo auto)3 anniPrevisto da legge statale (art.5 D.L.953/1982 conv. L.53/1983). Regione creditrice, ma termine triennale. Cass. SS.UU. 23397/16: 3 anni.
Sanzioni amministrative (multe CdS)5 anniArt.28 L.689/81 (sanzioni amm.ve in genere). Per multe Codice della Strada, art.209 CdS richiama L.689. Decorrono dalla data esecutività (90 gg dopo notifica verbale se non pagato/r. corso).
Interessi e sanzioni tributarieStesso termine del tributo principaleCass. SS.UU. 23397/2016 estende a interessi e sanzioni accessorie lo stesso regime prescrizionale del tributo cui afferiscono.
Canone RAI10 anni (annuale, ma assimilato a imposta)Cass. SS.UU. 23397/2016 ha incluso canone RAI tra crediti erariali decennali (anche se periodico).
Altre entrate esattoriali (es: sanzioni Agenzia Entrate, contributi unificati)Variabile: se non previsto, 10 anni.Regola generale: se legge non dispone termine breve, si applica ordinario 10 anni.

Tabella 3 – Strumenti di tutela del contribuente di fronte all’intimazione

Situazione del contribuenteStrumento di tutelaAutorità competenteTermine
Debito effettivamente dovuto ma si vuole più tempo per pagareRateizzazione (dilazione) del caricoAgenzia Entrate-Riscossione (istanza amministrativa)Prima possibile, meglio entro i 5 gg dall’intimazione per fermare esecuzione. Se presentata dopo l’avvio del pignoramento, di regola non sospende quel pignoramento in corso.
Errore palese (già pagato, doppio addebito, sgravio emesso, persona sbagliata)Istanza di autotutela / sospensione per verificaAgenzia Entrate-Riscossione (che eventualmente consulta l’ente creditore)Entro 60 gg dall’intimazione (per fruire sospensione obbligatoria L.228/12). In ogni caso, prima dell’esecuzione imminente (quindi subito!).
Vizio di notifica della cartella o prescrizione del debito, o altri motivi di contestazione legaleRicorso tributario contro intimazione + richiesta sospensivaCorte Giustizia Tributaria (giudice tributario)60 gg dalla notifica intimazione per il ricorso. Istanza di sospensione può essere contestuale al ricorso o successiva (viene decisa in ~30 gg).
Intimazione relativa a multe stradali o contributi previdenziali (partite non tributarie)Opposizione a intimazione come atto di pignoramento (in certe giurisdizioni) oppure ricorso al giudice ordinarioTribunale civile (oppure giudice di pace se sanzioni <€20k) – ma casi particolari.30 gg (in alcune interpretazioni) oppure 60 gg come ricorso ordinario se assimilata a precetto. Questa voce è complicata: spesso si unifica col ricorso tributario per materia mista.
Esecuzione forzata iniziata (pignoramento, fermo) e vizi dell’azione esecutiva (ad es. pignoramento su bene impignorabile, errore nell’atto di pignoramento)Opposizione all’esecuzione (contestare diritto a eseguire) o agli atti esecutivi (contestare forma atto)Giudice dell’esecuzione (Tribunale)Opp. esecuzione: prima che l’esecuzione sia conclusa (meglio subito dopo atto). Opp. atti esec.: 20 gg dalla notifica dell’atto viziato (es. atto pignoramento).
Sovraindebitamento grave, impossibilità oggettiva di pagareProcedure concorsuali: Concordato preventivo, Ristrutturazione debiti, Liquidazione del patrimonio (per persone)Tribunale fallimentare o OCC (Organismo composizione crisi)Variano – vanno avviate appena chiaro che non si può adempiere, preferibilmente prima che i creditori procedano aggressivamente. (Beneficio: sospendono azioni esecutive al provvedimento di ammissione).
Provvedimenti legislativi di definizione agevolata (rottamazione, saldo e stralcio)Adesione alla definizione agevolata (domanda)Agenzia Entrate-Riscossione (procedura regolata dalla legge specifica)Previsti da leggi occasionali. Ad esempio, Rottamazione 2023: domanda entro 30/06/23, pagamenti da 31/07/23 in più rate. Durante pendenza adesione, sospese nuove intimazioni/azioni.

Queste tabelle vogliono essere un aiuto di orientamento rapido. Ovviamente, ogni caso concreto va approfondito oltre lo schema.

Fonti normative, giurisprudenziali e dottrinali utilizzate

Di seguito si elencano in modo organizzato le principali fonti citate o richiamate nella guida, suddivise per categoria (norme di legge, sentenze, prassi amministrative e contributi dottrinali).

Normativa primaria:

  • D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602: artt. 25 (cartella di pagamento), 26 (notifica cartella), 50 (termine per iniziare esecuzione e intimazione entro 5 giorni).
  • Legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto del contribuente): art. 7 (motivazione degli atti e indicazione autorità competente); art. 6 e 6, c.5 (tutela affidamento e sospensione termini ferragosto); art. 8 (tutela integrità patrimoniale – divieto ipoteche/pignoramenti sproporzionati).
  • D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546: art. 19 (atti impugnabili dinanzi alle Commissioni Tributarie – lett. e avviso di mora, applicato estensivamente all’intimazione); art. 19, co.3 (impugnabilità atti precedenti non notificati unitamente all’ultimo); art. 21 (termine 60 gg per ricorso); art. 47 (sospensione giudiziale).
  • Codice di Procedura Civile: artt. 480 (atto di precetto – termini e contenuto), 615 (opposizione a esecuzione), 617 (opposizione atti esecutivi).
  • D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472: art. 14 (responsabilità solidale di liquidatori e soci per sanzioni tributarie – in caso di distribuzione patrimonio sociale).
  • R.D. 14 aprile 1910, n. 639: (Testo Unico della riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato) – disciplina dell’ingiunzione fiscale.
  • Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14): procedure di sovraindebitamento (piani di ristrutturazione dei debiti del consumatore/professionista).
  • D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74: art. 10 (occultamento o distruzione di documenti contabili); art. 10-bis (omesso versamento ritenute certificate – soglia €150k); art. 10-ter (omesso versamento IVA – soglia €250k); art. 11 (sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte).
  • Codice Penale: artt. 388 (mancata esecuzione dolosa di provvedimento del giudice – pertinente in caso di violazione di eventuali ordini del giudice dell’esecuzione), 416-bis (associazione mafiosa – citato solo per confisca nel caso Cass. su art.10 D.Lgs.74/00, irrilevante qui).
  • Leggi di bilancio/Decreti recenti in materia fiscale: es. art.4 D.L. 119/2018 conv. L.136/2018 (prescrizione 5 anni contributi); art.3 D.L. 119/2018 (rottamazione-ter); Legge 197/2022 (stralcio mini ruoli 2015 e rottamazione-quater 2023).

Normativa secondaria e prassi:

  • Provv. Direttore AE-R 6/8/2021: nuovo modello di avviso di intimazione (aggiornamento diciture Commissioni→Corti).
  • Circolare Agenzia Entrate n.16/E del 16/06/2024: (menzionata per chiarimenti compensazione ruoli >100k, non direttamente sull’intimazione).
  • Linee guida Equitalia/AER su rateazioni: (soglie 60k→120k, ecc., es. D.L. 26/2022).
  • Circ. INPS 140/2016: prescrizione contributi dopo Cass. SS.UU. 23397/16.

Giurisprudenza – Corte di Cassazione (sentenze e ordinanze):

  • Sezioni Unite, sent. n. 23397 del 17/11/2016: Principio sulla prescrizione decennale dei crediti tributari in mancanza di termini speciali; estensione ad interessi/sanzioni.
  • Sezioni Unite, sent. n. 19704/2015: Principio generale su atti non elencati art.19 come impugnabili facoltativamente.
  • Sezioni Unite, sent. n. 26817 del 15/09/2024: Assimilazione del “sollecito di pagamento” all’avviso di mora ex art.50, intimazione impugnabile ex art.19 co.1 lett.e.
  • Sezioni Unite, sent. n. 26283/2016: (Non citata sopra, ma inerente giurisdizione: cartelle per sanzioni CdS impugnabili GdP).
  • Cass. civ. Sez. Trib., ord. n. 5546 del 24/02/2023: Nature intimazione: atto non costitutivo di titolo, funzione di precetto rinnovato.
  • Cass. civ. Sez. Trib., ord. n. 21658 del 19/07/2023: Conferma necessità nuova intimazione se esecuzione non iniziata entro efficacia della precedente; no cristallizzazione del debito per mancata impugnazione prima intimazione.
  • Cass. civ. Sez. Trib., ord. n. 16743 del 17/06/2024: (Caso di più intimazioni) – afferma: omessa impugnazione prima intimazione non preclude eccepire prescrizione maturata tra cartella e seconda intimazione; intimazione interrompe prescrizione.
  • Cass. civ. Sez. Trib., sent. n. 22108 del 20/07/2024: Ribadisce assimilazione a avviso di mora, onere di impugnare l’intimazione per eccepire prescrizione; mancata impugnazione consolida il debito.
  • Cass. civ. Sez. Trib., sent. n. 10736/2024: (Citata in FiscoOggi) – in linea con 22108/24 sulla cristallizzazione.
  • Cass. civ. Sez. Trib., sent. n. 6436 dell’11/03/2025: Chiarisce che l’intimazione è impugnabile autonomamente ex art.19 co.1 lett.e e deve essere impugnata a pena cristallizzazione.
  • Cass. civ. Sez. Trib., ord. n. 5637 del 04/03/2024: (Risultato di ricerca [17]) – Probabilmente su natura cartella e intimazione (non citata direttamente, possibile dicta).
  • Cass. civ. Sez. VI, ord. n. 3005/2020: (citata in Comm. Telematico) – presumibilmente su conoscenza debito con intimazione fa eccezione a regola vizi propri.
  • Cass. civ. Sez. Trib., sent. n. 1230/2020: (citata in Ratio) – intimazione facoltativa da impugnare (orientamento previgente).
  • Cass. civ. Sez. Trib., sent. n. 2616/2015: intimazione impugnazione facoltativa.
  • Cass. civ. Sez. Trib., sent. n. 26129/2017: idem sopra.
  • Cass. civ. Sez. Trib., sent. n. 16641/2011 e 8704/2013: (citate in Comm. Telem.) – sul fatto che intimazione non è nuovo atto impositivo, vizi sottostanti non deducibili salvo sia prima conoscenza.
  • Cass. civ. Sez. Lav., sent. n. 1118/2019 (Trib. Bari) e Trib. Parma 1294/2022: (citate in Comm. Telem.) – atti di merito: notifica cartella presupposto necessario, se manca notifica cartella intimazione nulla.
  • Cass. civ. Sez. III, sent. n. 25790/2009: prescrizione TARSU 5 anni.
  • Cass. civ. Sez. Trib., sent. n. 12083/2020: prescrizione IMU 5 anni.
  • Cass. pen. Sez. III, sent. n. 40266/2022: su art.10 D.Lgs.74/00 occultamento documenti (dolo specifico, ecc.).
  • Cass. pen. Sez. Unite, sent. n. 34474/2016: sull’omesso versamento contributi previdenziali e soglia (non citata ma rilevante).
  • Cass. pen. Sez. III, sent. n. 18812/2019: su art.11 D.Lgs.74/00 soglia 50k (citata in fonte Il Sole24Ore).
  • Cass. pen. Sez. III, sent. n. 3580/2019: donazione immobili a coniuge integra art.11.
  • Cass. civ. SS.UU. 6070/2013: responsabilità ex soci di società cancellata per debiti tributari pro quota.

Giurisprudenza – Commissioni Tributarie / Corti merito:

  • CTP Siracusa n.182/2020: illegittimo avviso di mora senza cartella.
  • CTP Treviso n.310/2022: caso di intimazioni multiple, erronea tesi vizi non deducibili dopo prima (poi smentita da Cass).
  • CGT I grado Milano (ex CTP) sent. 2023: su validità intimazione senza allegati (citata in lentepubblica.it result [6]).

Intimazione di Pagamento Agenzia delle Entrate: Hai Solo 5 Giorni? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Hai ricevuto un’intimazione di pagamento con termine perentorio di 5 giorni?
Temi pignoramenti, fermi o blocchi sul conto se non paghi subito?

⚠️ L’intimazione di pagamento è un atto molto serio.
Spesso arriva dopo una cartella esattoriale non pagata e dà il via ad azioni esecutive immediate.

Ma non tutto è perduto: esistono strumenti legali per bloccare tutto in tempo.

Cos’è l’Intimazione di Pagamento

📩 È un atto formale dell’Agenzia delle Entrate Riscossione che intima di pagare entro 5 giorni somme già iscritte a ruolo.
Se non paghi entro quel termine, possono avviarti:

❌ Pignoramenti (conto, stipendio, pensione)
❌ Fermi amministrativi su veicoli
❌ Ipoteche sui beni immobili
❌ Azioni cautelari e giudiziarie

📍 Spesso chi riceve quest’atto non sa che ci sono alternative al pagamento immediato.

Quando è possibile bloccare l’intimazione

✅ Se l’intimazione è arrivata senza valida notifica della cartella
✅ Se l’importo richiesto è prescritto, duplicato o errato
✅ Se hai difficoltà economiche che ti impediscono il pagamento
✅ Se puoi accedere a una rateizzazione o a una procedura di sovraindebitamento

🛑 Il tempo però è pochissimo. Bisogna agire subito.

🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo

🔍 Verifica la legittimità dell’intimazione ricevuta
📑 Impugna l’atto se ci sono vizi formali o sostanziali
✋ Blocca fermi, pignoramenti e ipoteche in tempi rapidi
🔄 Avvia una rateizzazione o una procedura legale per ridurre o sospendere il debito
📨 Ti rappresenta davanti alla Commissione Tributaria o al Giudice competente


🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monard✔️ Avvocato esperto in diritto tributario e riscossione esattoriale
✔️ Gestore della Crisi – iscritto al Ministero della Giustizia
✔️ Fiduciario di Organismi di Composizione della Crisi (OCC)
✔️ Consulente per privati, autonomi, professionisti e imprese in difficoltà


Conclusione

Hai ricevuto un’intimazione? Agire entro 5 giorni fa la differenza tra salvarti o subire.
Con il supporto legale giusto puoi bloccare le azioni esecutive, proteggere i tuoi beni e trovare una soluzione sostenibile.

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Leggi con attenzione: Se stai affrontando difficoltà con il Fisco e hai bisogno di una rapida valutazione delle tue cartelle esattoriali e dei debiti, non esitare a contattarci. Siamo pronti ad aiutarti immediatamente! Scrivici su WhatsApp al numero 351.3169721 oppure inviaci un’e-mail all’indirizzo info@fattirimborsare.com. Ti ricontatteremo entro un’ora per offrirti supporto immediato.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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