Dopo Quanto Tempo Vanno In Prescrizione I Debiti Con Equitalia (Ex)

Hai vecchie cartelle esattoriali non pagate? Temi che prima o poi l’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ex Equitalia) possa tornare a chiederti il saldo?
Ti stai chiedendo se esiste una prescrizione per i debiti fiscali e **quando puoi considerarti davvero “libero” da una cartella?

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in contenzioso tributario e difesa del contribuente – ti spiega in modo chiaro quando i debiti con Equitalia si prescrivono, quali sono i termini previsti dalla legge e come puoi far valere la prescrizione per chiudere definitivamente il tuo debito.

Scoprirai:

  • Qual è il termine di prescrizione per ciascun tipo di debito:
    – IRPEF, IVA, IRES: 10 anni
    – Multe stradali: 5 anni
    – Bollo auto: 3 anni
    – Contributi INPS e INAIL: 5 anni
    – Canone RAI e altri tributi minori: in genere 5 anni
  • Quando inizia a decorre la prescrizione: dalla notifica della cartella o dell’atto impositivo;
  • Cosa interrompe la prescrizione: notifiche, solleciti, atti di pignoramento o semplici comunicazioni dell’Agenzia;
  • Come verificare se un debito è effettivamente prescritto o ancora “vivo” dal punto di vista legale;
  • Perché la prescrizione non si applica automaticamente: serve fare opposizione o ricorso per farla valere davanti al giudice;
  • Come agire se hai ricevuto una cartella vecchia: verifica degli atti, calcolo dei termini, opposizione per far dichiarare l’estinzione del debito.

Con il supporto di un avvocato esperto puoi ottenere l’annullamento del debito prescritto, bloccare le azioni illegittime della riscossione e chiudere definitivamente la tua posizione, senza pagare ciò che non è più dovuto.

Alla fine della guida potrai richiedere una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo, esaminare le tue cartelle esattoriali e capire quali debiti possono essere annullati per prescrizione e quali difese puoi attivare subito per tutelarti.

Introduzione

Equitalia – oggi Agenzia delle Entrate-Riscossione – è l’ente preposto alla riscossione coattiva di imposte, contributi e altre entrate per conto dello Stato e di molti enti pubblici. Uno dei temi più rilevanti per professionisti e imprese è la prescrizione dei debiti affidati a questo agente della riscossione, ossia dopo quanto tempo tali debiti non sono più legalmente esigibili. Conoscere i tempi di prescrizione significa sapere fino a quando il Fisco o gli enti previdenziali possono legittimamente pretendere il pagamento di una cartella esattoriale, di un avviso di addebito o di un’intimazione di pagamento, prima che il relativo diritto si estingua per decorso del tempo.

In questa guida giuridica avanzata, aggiornata a maggio 2025, esamineremo in modo approfondito i termini di prescrizione di tutte le tipologie di debiti riscossi dall’agente pubblico (ex Equitalia). Tratteremo, con linguaggio tecnico ma comprensibile:

  • Le imposte erariali come IRPEF, IVA, IRES, IRAP e altre imposte statali;
  • I contributi previdenziali e assistenziali dovuti a INPS e INAIL;
  • I tributi locali (IMU, TARI, TASI, ecc.) e altre entrate comunali o regionali;
  • Le sanzioni amministrative (ad es. le multe stradali e altre ammende);
  • Le accise su energia, carburanti e altri prodotti;
  • Il bollo auto (tassa automobilistica regionale);
  • Altre entrate patrimoniali o tributarie eventualmente iscritte a ruolo (come diritti camerali, contributi ai consorzi, canoni, ecc.).

Esamineremo tutta la normativa italiana rilevante, tra cui il Codice Civile e le leggi speciali (D.P.R. 602/1973, Statuto del Contribuente – L. 212/2000, leggi tributarie e previdenziali, ecc.), nonché la giurisprudenza aggiornata: pronunce della Corte di Cassazione (anche Sezioni Unite), delle Corti di Giustizia Tributaria (già Commissioni Tributarie), della Corte Costituzionale e – se pertinenti – anche della Corte di Giustizia UE. Troverete inoltre tabelle riepilogative con i termini prescrizionali per ciascun tipo di debito, e sezioni pratiche su come far valere la prescrizione:

  • Come e quando impugnare cartelle esattoriali prescritte o intimazioni di pagamento tardive, con esempi di motivi di ricorso;
  • Strategie difensive per professionisti e imprese (eccezione di prescrizione, contestazione di vizi di notifica, mancata interruzione, ecc.);
  • Domande frequenti (FAQ) con risposte tecniche ma dal taglio divulgativo;
  • Simulazioni pratiche di cronologie di atti e notifiche per calcolare se un debito è prescritto.

In conclusione, forniremo indicazioni operative per imprese e consulenti legali, su come procedere nei confronti di cartelle presumibilmente prescritte. Al termine, una sezione elencherà tutte le fonti normative e giurisprudenziali citate, con link ove disponibili, per consentire ulteriori approfondimenti.

Nota bene: La presente guida utilizza il termine “prescrizione” in senso tecnico-giuridico, distinto dalla “decadenza”. La prescrizione attiene all’estinzione del diritto di riscuotere un credito dopo un certo periodo di inattività del titolare; la decadenza attiene invece al termine entro cui un atto deve essere compiuto, pena la perdita del potere (ad esempio il termine per notificare un accertamento fiscale). Approfondiremo questa distinzione nel prossimo paragrafo, poiché è cruciale per comprendere la materia.

Quadro Generale: Prescrizione dei debiti tributari e contributivi

Prima di addentrarci nei singoli tributi, è opportuno delineare i principi generali sulla prescrizione dei debiti fiscali, contributivi o sanzionatori, come derivano dalle norme codicistiche e dalla successiva elaborazione giurisprudenziale.

Fondamenti normativi nel Codice Civile

La prescrizione è regolata anzitutto dal Codice Civile. L’art. 2934 c.c. sancisce il principio generale secondo cui “ogni diritto si estingue per prescrizione, quando il titolare non lo esercita per il tempo determinato dalla legge”. Salvo eccezioni, il termine ordinario di prescrizione è di dieci anni (art. 2946 c.c.). Ciò significa che, in mancanza di una specifica disposizione di legge che preveda un termine diverso, un credito si estingue decorsi 10 anni dall’ultima azione o riconoscimento valido.

Tuttavia, il Codice Civile prevede anche termini brevi di prescrizione per particolari categorie di diritti. In particolare, l’art. 2948, comma 1 n.4 c.c. stabilisce la prescrizione in cinque anni per “tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi”. Questa norma riguarda tipicamente debiti a carattere periodico, ossia obbligazioni che si rinnovano con cadenza regolare (annuale, semestrale, mensile, etc.), nell’ambito di un rapporto di durata. Come vedremo, una questione cruciale è se le varie tipologie di tributi o contributi possano considerarsi “prestazioni periodiche” ai sensi di tale disposizione, oppure no.

Un’altra disposizione fondamentale è l’art. 2953 c.c., il quale prevede che i diritti per i quali è intervenuta una sentenza passata in giudicato (o un provvedimento definitivo equiparabile) si prescrivono in ogni caso in dieci anni, anche se per essi sarebbero altrimenti previsti termini più brevi. In pratica, il comma 2953 c.c. sancisce la cosiddetta “conversione del termine di prescrizione” breve in decennale: se un credito è consacrato in un titolo giudiziale definitivo, esso si prescrive in 10 anni dal passaggio in giudicato, anche se originariamente avrebbe avuto, ad esempio, prescrizione quinquennale. Questo principio, però, non può applicarsi automaticamente a un atto amministrativo non impugnato nei termini, come una cartella di pagamento divenuta definitiva per mancata opposizione: la giurisprudenza ha chiarito che il mancato ricorso non “trasforma” la cartella in un giudicato. In altre parole, l’inerzia del destinatario nell’impugnare un atto della riscossione entro il termine non muta la natura amministrativa di quell’atto, né estende la prescrizione dal termine breve a quello ordinario. La “conversione” dell’art. 2953 c.c. opera solo in presenza di un provvedimento giurisdizionale irrevocabile (ad es. una sentenza del giudice che rigetta un ricorso del contribuente, accertando definitivamente il debito).

Riassumendo i principi codicistici rilevanti:

  • Prescrizione ordinaria decennale (10 anni): regola generale ex art. 2946 c.c., valida per i crediti in mancanza di termini specifici più brevi.
  • Prescrizione breve quinquennale (5 anni): ex art. 2948 c.c. n.4, per le prestazioni che devono pagarsi periodicamente ad intervalli annuali o inferiori (esempi tipici: canoni di locazione, interessi, stipendi, ecc., ma potenzialmente anche tributi periodici).
  • Termine decennale ex art. 2953 c.c.: per l’esecuzione di diritti accertati con sentenza passata in giudicato (o titolo equiparato); non si applica agli atti amministrativi divenuti definitivi per mancata impugnazione, se l’obbligazione soggiaceva in origine a prescrizione breve. Su questo punto la Cassazione a Sezioni Unite ha fatto chiarezza, come vedremo a breve.

Prescrizione vs Decadenza: distinzione e interazioni

È fondamentale distinguere la prescrizione dalla decadenza. La prescrizione attiene all’estinzione di un diritto per mancato esercizio in un certo tempo; la decadenza attiene invece alla perdita di un potere o facoltà per il mancato compimento di un atto entro un termine perentorio previsto dalla legge. In ambito tributario e contributivo, spesso coesistono entrambe:

  • Decadenza (termini perentori per gli atti): ad esempio, il D.P.R. 600/1973 prevede che gli avvisi di accertamento delle imposte sui redditi vengano notificati, di regola, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione (o del settimo in caso di omessa dichiarazione); il D.P.R. 602/1973, art. 25, prevede che la cartella di pagamento per imposte risultanti da liquidazione automatica ex art. 36-bis D.P.R. 600/1973 sia notificata, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, e così via. Se l’ente impositore o l’ente riscossore non compiono l’atto entro tale termine decadenziale, perdono il potere di far valere la pretesa con quell’atto.
  • Prescrizione (termine di inattività): decorre dal momento in cui un atto impositivo o esattivo divenuto definitivo permette all’ente di riscuotere coattivamente il credito. Ad esempio, una volta notificata una cartella di pagamento, se il contribuente non paga né impugna entro 60 giorni, la cartella diviene esecutiva; da quel momento inizia il termine di prescrizione per la successiva attività di riscossione coattiva. Se trascorre il periodo previsto (5 anni, 3 anni, 10 anni a seconda dei casi) senza che vi siano atti interruttivi validi, il diritto di riscuotere si estingue per prescrizione.

Le interazioni tra i due istituti sono delicate. Una decadenza mancata (ad esempio cartella notificata oltre il termine) comporta l’annullabilità/nullità dell’atto tardivo, ma se non viene fatta valere tempestivamente col ricorso, l’atto può divenire definitivo. La prescrizione, invece, può essere eccepita anche successivamente, man mano che il tempo scorre e in mancanza di atti interruttivi. Ad esempio, se una cartella è stata regolarmente notificata in termini, ma poi l’agente della riscossione rimane inattivo per più di cinque anni, il debitore può eccepire l’intervenuta prescrizione del diritto di procedere alla riscossione. Anche un atto successivo (come un’intimazione di pagamento ex art. 50 D.P.R. 602/1973) può essere impugnato eccependo che è stato emesso quando il credito era ormai prescritto.

In sintesi: la decadenza riguarda il termine iniziale entro cui formare il titolo (avviso, cartella) o iscrivere a ruolo un credito, mentre la prescrizione riguarda il termine finale di efficacia del titolo stesso, una volta divenuto definitivo. Entrambi i tipi di termini tutelano esigenze di certezza del diritto: la decadenza evita che l’Amministrazione agisca dopo troppo tempo nell’accertare il tributo, la prescrizione evita che il contribuente resti indefinitamente esposto alle azioni di riscossione. Questa guida si concentra principalmente sulla prescrizione, ma segnaleremo ove opportuno i termini di decadenza che interagiscono con essa (ad es. i termini di notifica delle cartelle).

Evoluzione giurisprudenziale: Sezioni Unite e criteri per i termini dei ruoli

Per molti anni vi è stata incertezza su quale termine prescrizionale applicare ai crediti fiscali e previdenziali una volta iscritti a ruolo. Il dubbio principale riguardava se dovesse applicarsi sempre il termine ordinario decennale (art. 2946 c.c.) oppure i termini più brevi (quinquennali o altri) tipici di ciascun tributo. In assenza di una disciplina espressa e unitaria sulla prescrizione dei ruoli esattoriali, si erano formati orientamenti giurisprudenziali contrastanti.

Una svolta è giunta con la Cassazione a Sezioni Unite n. 23397 del 17/11/2016, la quale ha adottato una soluzione “intermedia” stabilendo che “il termine prescrizionale dipende dalla natura del credito azionato”. In altri termini:

  • Per i tributi erariali (statali): si applica in generale la prescrizione decennale, salvo specifiche previsioni diverse. Ciò in quanto tali crediti non rientrano tra le prestazioni periodiche di cui all’art. 2948 c.c. (ogni periodo d’imposta costituisce fattispecie a sé stante, che richiede un’autonoma attività di accertamento). Inoltre, molti tributi erariali non hanno nel proprio settore norme che prevedano un termine di prescrizione ad hoc, quindi vige la regola generale dei 10 anni.
  • Per i tributi locali: si applica la prescrizione quinquennale, trattandosi in genere di entrate periodiche, legate al perdurare di una posizione del contribuente (proprietà di un immobile, erogazione continuativa di un servizio, etc.). Su IMU, TARI, TASI, ecc., la giurisprudenza ha infatti ritenuto applicabile l’art. 2948 c.c. n.4 (come vedremo dettagliatamente).
  • Per i contributi previdenziali (INPS, INAIL): si applica la prescrizione quinquennale, in virtù di una specifica previsione di legge (L. 335/1995) che ha ridotto da 10 a 5 anni il termine per i contributi, uniformandolo al termine breve.
  • Per le sanzioni amministrative: in genere, anch’esse soggiacciono a prescrizione quinquennale per espressa disposizione (art. 28 L. 689/1981), salvo che intervenga un titolo giudiziale.
  • Eccezione – titoli giudiziari: se il credito è stato confermato da una sentenza passata in giudicato (ad esempio il contribuente ha proposto ricorso e lo ha perso, oppure ha impugnato senza successo una cartella), il credito deriva da un “accertamento incontrovertibile” e allora la prescrizione diviene decennale ex art. 2953 c.c.. Le Sezioni Unite 23397/2016 hanno confermato che la conversione del termine opera solo in questo caso, non per la sola mancata impugnazione di un atto amministrativo.

Questo indirizzo ha di fatto armonizzato la materia: la prescrizione dei ruoli segue quella propria del tributo o entrata sottostante. Così, una cartella per IRPEF avrà termine decennale (essendo IRPEF tributo erariale), una cartella per contributi INPS termine quinquennale (per legge speciale), una cartella per TARI termine quinquennale (tributo locale) e così via.

Successivamente, la Cassazione ha più volte ribadito questi principi. Ad esempio, con l’ordinanza n. 10025/2019 e l’ordinanza n. 7409/2020, la Suprema Corte ha respinto le tesi dell’Amministrazione finanziaria che cercavano ancora di applicare il termine decennale a tutti i ruoli, confermando che il termine resta quinquennale per i contributi previdenziali e in genere per i crediti assistiti da prescrizione breve originaria. In particolare, l’ordinanza Cass. 7409/2020 (in materia di contributi INPS) ha richiamato l’orientamento “unanime” consolidato dalla SU 23397/2016, sottolineando che la mancata opposizione della cartella produce l’irretrattabilità del credito (cioè il debitore non può più contestarne l’an debeatur), ma “non determina la conversione del termine prescrizionale breve in quello ordinario decennale”, conversione che si avrebbe solo con un titolo giudiziale definitivo. Inoltre, ha chiarito che il passaggio dei crediti previdenziali all’Agenzia Entrate-Riscossione non muta la natura del credito né il suo regime prescrizionale: anche dopo l’affidamento al concessionario, i crediti INPS restano soggetti alla prescrizione breve speciale, e non si applica la regola sussidiaria dei 10 anni ex art. 2946 c.c.. Lo stesso vale per altri crediti “speciali” (tributi locali, sanzioni, ecc.): l’affidamento a Equitalia/AER non “allunga” la prescrizione.

Questi principi giurisprudenziali rispondono anche a un’esigenza costituzionale di ragionevolezza: se ogni cartella non impugnata implicasse 10 anni di prescrizione (magari rinnovabili con atti interruttivi multipli), il periodo di potenziale riscossione diventerebbe eccessivamente lungo, comprimendo il diritto di difesa del contribuente e la certezza nei rapporti giuridici. Al contrario, mantenere la prescrizione breve originaria (salvo giudicato) garantisce un equilibrio tra il diritto dell’Erario di riscuotere e il diritto del contribuente a non restare indefinitamente esposto.

Decorrenza del termine e atti interruttivi

Stabilito il quantum del termine prescrizionale per ciascun debito (quantum di cui parleremo nelle sezioni seguenti), occorre chiarire da quando inizia a decorre tale termine e cosa può interromperne il decorso.

  • Dies a quo (inizio del termine): Per i crediti iscritti a ruolo, il termine di prescrizione inizia, di regola, allo scadere del termine per adempiere indicato nell’atto. Ad esempio, per una cartella di pagamento il debitore ha 60 giorni per pagare (o impugnare) dalla notifica: trascorsi inutilmente quei 60 giorni, la cartella diviene esecutiva e da quel momento il credito è esigibile coattivamente, facendo decorrere la prescrizione. Dunque, il dies a quo è tipicamente il 61º giorno successivo alla notifica della cartella. Per i tributi locali, spesso la prescrizione si conta dal momento in cui il tributo è dovuto (es: 1º gennaio dell’anno successivo per IMU/TARI) se nessun atto intermedio è notificato. In pratica, se un contribuente non paga un tributo locale dovuto e l’ente non notifica nulla entro 5 anni da quel momento, il diritto si prescrive. Se invece l’ente notifica un accertamento entro il termine decadenziale (di solito 5 anni, v. L.296/2006) allora da quell’atto decorrerà la prescrizione (sempre 5 anni) per la riscossione successiva.
  • Interruzione della prescrizione: La prescrizione può essere interrotta da un atto con cui il titolare del diritto manifesta la volontà di farlo valere (art. 2943 c.c.) o da un riconoscimento del debito da parte del soggetto obbligato (art. 2944 c.c.). Nel nostro contesto, qualsiasi notificazione di un atto di riscossione è idonea ad interrompere il termine. Esempi:
    • La notifica di una intimazione di pagamento (ex art. 50 D.P.R. 602/1973, atto con cui l’Agenzia delle Entrate-Riscossione intima il pagamento entro 5 giorni, generalmente emesso se sono passati più di 1 anno dalla cartella senza che sia iniziata esecuzione).
    • La notifica di un atto di pignoramento o di altro atto dell’esecuzione forzata (fermo amministrativo, ipoteca legale comunicata, ecc.).
    • La notifica di una nuova cartella o avviso riferito allo stesso debito (ad es. nei sistemi in cui prima si notifica un avviso e poi la cartella).
    • Per il bollo auto, la notifica di un avviso di accertamento o di una cartella interrompe il termine triennale e lo fa ricominciare da capo dal giorno successivo.
    • Anche la presentazione di una domanda di rateizzazione o il pagamento di una rata può costituire riconoscimento del debito, interrompendo la prescrizione (oltre ad implicare, in genere, la rinuncia a far valere eventuali decadenze).

Quando la prescrizione è interrotta, inizia a decorrere un nuovo periodo di eguale durata (art. 2945 c.c.). Importante: secondo la giurisprudenza, l’interruzione non provoca l’applicazione del termine decennale ex art. 2953 c.c. se il credito era soggetto a termine breve. In altri termini, la notifica di un atto interruttivo non “nova” la natura del termine convertendolo in decennale, ma semplicemente fa ripartire lo stesso termine breve. Ad esempio, una multa stradale (prescrizione 5 anni) notificata nuovamente mediante una ingiunzione dopo 4 anni, interrompe la prescrizione ma il nuovo termine resta di 5 anni dal giorno successivo, non 10 anni. Ciò è stato affermato espressamente dalla Cassazione (v. sent. n. 12263/2007) e dalla giurisprudenza anche di merito.

  • Atti nulli o vizi di notifica: Occorre notare che un atto interruttivo produce effetto solo se è validamente notificato al debitore. Se l’atto è inesistente o la notifica è nulla e non viene sanata, quell’atto non interrompe la prescrizione. Ad esempio, se una raccomandata torna indietro e l’ente non perfeziona la notifica nelle forme di legge, non vi sarà interruzione. Il tema delle notifiche irregolari è spesso collegato alla prescrizione: il contribuente potrebbe scoprire l’esistenza di una cartella solo anni dopo, tramite un estratto di ruolo o un nuovo atto, e in tal caso eccepire sia la nullità della notifica originaria sia l’intervenuta prescrizione nel frattempo.
  • Sospensione della prescrizione: In talune circostanze eccezionali, la legge può prevedere la sospensione del decorso prescrizionale, ossia un periodo che non viene computato. Un caso recente è stata l’emergenza Covid-19: con il decreto “Cura Italia” (D.L. 18/2020) e successivi provvedimenti, tutte le attività di notifica di cartelle, intimazioni e atti esecutivi da parte dell’Agente della Riscossione sono state sospese dal 8 marzo 2020 fino al 31 agosto 2020. Ciò ha comportato, di fatto, che il periodo 8/3/2020 – 31/8/2020 non venisse conteggiato ai fini dei termini di decadenza e (ragionevolmente) di prescrizione per la riscossione dei tributi. In sostanza, i termini sono stati prorogati di circa cinque mesi e mezzo per tener conto della sospensione. Ad esempio, un credito che si sarebbe prescritto il 1º luglio 2020, ha visto “spuntare” i giorni dal 8 marzo al 31 agosto 2020 dal conteggio, spostando in avanti la scadenza (in questo caso al circa metà gennaio 2021). In mancanza di un’esplicita previsione normativa sulla prescrizione, si è applicato in via analogica quanto stabilito per i termini decadenziali e processuali. È importante quindi verificare se vi siano stati periodi di sospensione legale (come quello pandemico) che possano aver esteso il termine utile per la riscossione.

Chiarito il quadro generale, possiamo procedere ad analizzare caso per caso i vari tipi di debito, indicando per ciascuno il termine di prescrizione, le fonti normative specifiche e i principali orientamenti giurisprudenziali. Una volta esaminati i singoli casi, presenteremo anche una tabella riepilogativa per una consultazione immediata.

Termini di Prescrizione per Tipologia di Debito Riscosso da Equitalia/AER

Imposte erariali (IRPEF, IVA, IRES, IRAP e altre imposte statali)

Le imposte erariali comprendono i tributi diretti e indiretti di competenza statale, come l’IRPEF (imposta sul reddito delle persone fisiche), l’IRES (imposta sul reddito delle società), l’IVA (imposta sul valore aggiunto), l’IRAP (imposta regionale sulle attività produttive, sebbene “regionale” nel nome è disciplinata da legge statale) e altre imposte minori come l’imposta di registro, bollo, successione, ecc. Per queste entrate, il tema prescrizionale è stato a lungo dibattuto.

Termine applicabile: In generale, per i tributi erariali vige la prescrizione ordinaria di 10 anni, salvo che una legge speciale non disponga un termine diverso o che il tributo abbia natura periodica. Questo orientamento è stato confermato dalla Cassazione Sez. Unite 23397/2016 e successivi arresti. La ratio è che imposte come IRPEF o IVA, pur avendo cadenza annuale, non costituiscono mere prestazioni periodiche continuative; ogni anno d’imposta rappresenta un’obbligazione nuova, determinata sui redditi o sul volume d’affari di quell’anno, e richiede un accertamento specifico. Dunque, secondo la Cassazione, non si applica l’art. 2948 c.c. (quinquennale) bensì il termine di diritto comune decennale.

Va evidenziato però che prima della pronuncia delle Sezioni Unite vi erano decisioni contrastanti: alcune sezioni semplici avevano ritenuto che anche le imposte periodiche dovessero prescriversi in 5 anni, in quanto dovute “ad anno” (richiamando appunto l’art. 2948 n.4 c.c.). Le Sezioni Unite hanno composto il contrasto in senso favorevole al termine decennale “generale” per i tributi erariali, e questo oggi è l’orientamento prevalente e consolidato.

Esempi pratici di tributi erariali con prescrizione decennale:

  • IRPEF: 10 anni dalla definitività dell’accertamento o, in caso di imposta dichiarata e non versata, dalla scadenza dei 60 giorni della cartella.
  • IVA: 10 anni, analogamente.
  • IRES: 10 anni.
  • IRAP: 10 anni.
  • Imposta di registro: 10 anni. In questo caso esiste una norma ad hoc: l’art. 78 del D.P.R. 131/1986 (Testo Unico dell’imposta di registro) prevede espressamente il termine di 10 anni per la riscossione dell’imposta di registro definitiva. La Cassazione ha confermato che all’imposta di registro non si applica il termine breve, e che non rilevano i termini di decadenza del D.P.R. 602/1973 (art.25) perché quell’art.25 non si applica all’imposta di registro. Dunque l’imposta di registro “definitiva” (dopo un avviso di liquidazione non impugnato) si prescrive in 10 anni ex art.78 DPR 131/86.
  • Imposta di bollo: 10 anni. Pur essendo il bollo (su atti, documenti, ecc.) un tributo che potenzialmente si paga periodicamente per diversi atti, non risulta una norma di legge che ne fissi un termine breve; la giurisprudenza lo assimila ai tributi erariali generali.
  • Imposte ipotecaria e catastale: 10 anni. Si tratta delle imposte dovute per trascrizioni e volture immobiliari; anche queste, disciplinate dal D.Lgs. 347/1990, non hanno un termine proprio di riscossione diverso dal generale (anche qui la prassi applica 10 anni, e la Cassazione stessa le ha trattate come imposte indirette erariali).
  • Canone RAI (canone televisivo): 10 anni. Il canone per abbonamento TV di regola è dovuto annualmente. Nonostante la periodicità, la Cassazione ha assimilato anche questo tributo alla categoria delle entrate erariali non meramente periodiche, complice anche il fatto che è stato storicamente considerato un’imposta sul possesso di apparecchio. Ad esempio, Cass. Sez. Trib. n. 10027/2019 ha affermato la prescrizione decennale per il canone RAI non versato. Nella prassi, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione considera il canone TV prescritto in 10 anni.
  • Diritti annuali delle Camere di Commercio: su questo vi è stato dibattito se siano tributi (quindi prescrizione decennale) o prestazioni periodiche di natura para-privatistica (allora 5 anni). La giurisprudenza più recente tende a qualificarli come tributi propri camerali, quindi soggetti al termine ordinario decennale, sebbene con orientamenti non del tutto uniformi. La Cassazione, in alcune pronunce (es. Cass. ord. 22897/2022 citata in massima), pare propendere per il termine decennale, ma va segnalato che alcune Commissioni Tributarie avevano applicato il quinquennale. La guida operativa Fisco e Tasse, ad esempio, indica Contributi/diritti Camerali: 10 anni.

Eccezioni e casi particolari per tributi erariali:

  • Cartelle ex controlli automatici (36-bis e 36-ter): Un’importante eccezione riguarda i ruoli derivanti dai controlli automatici e formali sulle dichiarazioni (art. 36-bis D.P.R. 600/1973 per imposte dirette, art. 54-bis D.P.R. 633/1972 per IVA, e art. 36-ter per controlli formali). In questi casi, l’Agente della Riscossione emette la cartella di pagamento senza un previo avviso di accertamento, sulla base di un controllo automatizzato (errori materiali, versamenti omessi, incongruenze) o formale. Ebbene, la giurisprudenza ha ritenuto che per le somme richieste direttamente con cartella ex art. 36-bis/36-ter, il termine di prescrizione sia quinquennale. Ciò perché la pretesa non discende da un atto di accertamento definitivo (non c’è stata una fase contenziosa o un atto impositivo impugnabile previo), bensì da una liquidazione automatica di natura amministrativa. Si considera quindi che questi crediti abbiano natura di prestazione periodica (inerendo a tributi periodici come quelli annuali dichiarati) e non beneficiano della “stabilizzazione” decennale. Le Sezioni Unite 2016 non entrarono esplicitamente nel merito di 36-bis, ma successivamente la Cassazione ha chiarito che se il credito non è stato consacrato in un accertamento divenuto definitivo, il termine resta quello breve del tributo. Ad esempio, per un’IVA dovuta in base a controllo automatizzato su dichiarazione, la cartella deve essere considerata prescrivibile in 5 anni. FiscoOggi (rivista dell’Agenzia Entrate) stessa ricorda che l’art. 25 DPR 602/73, sui termini di decadenza delle cartelle, si applica solo ai tributi espressamente indicati (tra cui l’IVA), ma ciò non incide sulla prescrizione che rimane decennale solo dopo definitività dell’avviso: se l’atto manca, si applica la regola di cui sopra. Dunque attenzione: una cartella IRPEF/IVA da controllo automatizzato non impugnata potrebbe essere soggetta a prescrizione 5 anni, non 10 (salvo diversa giurisprudenza in futuro). In pratica, conviene far valere l’eventuale prescrizione quinquennale in tali casi, poiché spesso l’Agente della riscossione tende comunque a sostenere la tesi dei 10 anni. Ad esempio, la Commissione Tributaria Regionale di Napoli, sentenza n. 7121/2016, ha annullato un’intimazione di pagamento ritenendo prescritta in 5 anni la cartella, dato che non era supportata da un accertamento giudiziale o da un atto definitivo.
  • Imposte con obbligo di denuncia penale (casi di frode): Alcune norme prevedono termini di accertamento e prescrizione raddoppiati in caso di reati tributari. Ad esempio, per le accise (che sono tributi erariali, v. sezione dedicata) il Testo Unico Accise ora prevede prescrizione 5 anni raddoppiata a 10 in caso di violazioni penali. Per IVA e imposte sui redditi, la disciplina del raddoppio dei termini di accertamento (art. 43 DPR 600/73 e art. 57 DPR 633/72) incide sulla decadenza dell’accertamento, ma non esiste un “raddoppio” ufficiale dei termini di prescrizione per la riscossione. Tuttavia, va segnalato che se si ottiene una sentenza penale di condanna per frode fiscale, la restituzione del profitto (che equivalrebbe al tributo evaso) potrebbe essere considerata titolo giudiziale con un suo regime – questione però afferente al penale più che al tributario. Nell’ambito civilistico della riscossione, contano gli atti amministrativi e le eventuali pronunce tributarie.

Riferimenti giurisprudenziali recenti: Oltre alla SU 23397/2016, si segnala Cass. ord. 11113/2019, la quale ha cassato una sentenza di merito che applicava 5 anni ad un credito erariale, ribadendo che “i diversi tributi soggiacciono al termine ordinario decennale di prescrizione, se la legge non prevede termini prescrizionali speciali”. Inoltre Cass. sent. 18949/2023 (Sez. V, in FiscoOggi) ha confermato il termine decennale per l’imposta di registro definitiva, escludendo l’applicabilità del termine breve o di decadenze non previste per quel tributo. Possiamo quindi ritenere ormai consolidato che per le imposte statali vale la prescrizione decennale, tranne nei casi in cui:

  1. la legge di quello specifico tributo dispone un termine diverso (ad es. accise, bollo auto, contributi previdenziali, sanzioni amministrative – che per quanto “erariali” come gettito, seguono regole proprie);
  2. la pretesa sia rimasta su un piano amministrativo senza atto impositivo definitivo (caso delle cartelle da controllo automatizzato), nel qual caso è difendibile l’applicazione del termine quinquennale come se fosse un credito per prestazione periodica.

Contributi previdenziali INPS e INAIL

I contributi previdenziali obbligatori (dovuti all’INPS per pensioni, disoccupazione, ecc., e all’INAIL per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro) seguono una disciplina specifica in tema di prescrizione, delineata dalla Legge 335/1995 (riforma del sistema pensionistico, cosiddetta riforma Dini).

Termine applicabile: La L. 335/1995, art. 3, comma 9, ha stabilito che “a decorrere dal 1º gennaio 1996” il termine di prescrizione dei contributi previdenziali è ridotto a cinque anni, salvo il caso in cui vi sia stata denuncia da parte del lavoratore o dei suoi superstiti. In dettaglio, la norma recita:

  • Contributi dovuti alle gestioni pensionistiche obbligatorie: prescrizione 5 anni.
  • Eccezione: se il lavoratore (o i suoi superstiti) presenta denuncia per omissione contributiva, i contributi da lui rivendicati si prescrivono in 10 anni (questa estensione mira a tutelare il lavoratore, permettendogli di ottenere il versamento dei contributi ai fini pensionistici per un periodo più ampio, qualora ne abbia segnalato il mancato pagamento).

Questa modifica del 1995 ha avuto efficacia retroattiva parziale: il comma 10 dell’art. 3 L.335/95 prevedeva un regime transitorio per i contributi relativi a periodi precedenti, dove la prescrizione maturava comunque entro il 31 dicembre 2000 anche per crediti più risalenti (in pratica chiudendo le vecchie posizioni ultradecennali). Prima del 1996, infatti, la prescrizione ordinaria dei contributi era decennale (o addirittura quindicennale in passato per taluni contributi, poi uniformata a 10 anni dal 1976). Con la riforma Dini, dal 1996 in poi cinque anni sono diventati lo standard per tutti i contributi previdenziali ed assistenziali.

Inoltre, dal 2011 il sistema di riscossione dei contributi è cambiato: non si emettono più cartelle esattoriali per i contributi, bensì l’INPS emette un Avviso di Addebito (con valore di titolo esecutivo), ai sensi dell’art. 30 D.L. 78/2010 convertito in L. 122/2010. Questo avviso di addebito INPS contiene già l’intimazione a pagare entro 60 giorni e viene trasmesso all’Agente della Riscossione per la notifica ed eventuale esecuzione. Ciò però non ha modificato la durata della prescrizione, che rimane quinquennale. La Cassazione ha chiarito che l’affidamento del ruolo o l’emissione dell’avviso di addebito non comportano alcuna “novazione” del termine prescrizionale: il credito contributivo conserva la sua natura e il suo termine originario.

Riepilogo: tutti i debiti verso INPS e INAIL per contributi (che siano contributi previdenziali dovuti dai datori di lavoro, dai lavoratori autonomi artigiani-commercianti, contributi volontari, premi assicurativi INAIL, ecc.) si prescrivono in 5 anni, a partire dalla data in cui avrebbero dovuto essere versati. Questo vale per:

  • Contributi dovuti sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti (contributi IVS, assegni familiari, disoccupazione, etc.): 5 anni dalla data di scadenza del versamento (di solito il 16 del mese successivo per i mensili). Se c’è denuncia del lavoratore all’INPS, 10 anni per quelli oggetto di denuncia.
  • Contributi dei lavoratori autonomi (artigiani, commercianti, coltivatori diretti): 5 anni. L’INPS con Circolare n. 69/2005 e altre ha ribadito che la prescrizione quinquennale si applica anche a queste gestioni.
  • Premi assicurativi INAIL: anch’essi soggetti alla L.335/95, quindi 5 anni (salvo dolo perseguibile penalmente? In passato l’INAIL applicava 5 anni salvo fatto denunciabile ex art. 295 del Testo Unico Infortuni, ma attualmente allineato a 5 anni).
  • Contributi alla Gestione Separata INPS, contributi da riscatto laurea, etc.: 5 anni, sebbene alcuni di questi non siano legati a un rapporto di lavoro e possano avere regole particolari. In linea generale, l’INPS tende ad applicare 5 anni a tutte le sue pretese contributive ordinarie.

La giurisprudenza ha più volte confermato questa impostazione. Ad esempio:

  • Cass. Sez. Lav. GdL n. 12708/2005: affermò già che dopo la riforma del 1995 il termine è quinquennale per contributi e premi.
  • Cass. Sez. Unite 120/2016: intervenuta su questione della decorrenza, confermò comunque i 5 anni (a parte i casi di denuncia lavoratore).
  • Cass. ord. 7409/2020: rigettando il ricorso di Agenzia Entrate-Riscossione, ha statuito che “in tema di contributi INPS e INAIL si prescrivono in 5 anni”, e l’omessa opposizione della cartella non converte il termine in decennale. La Corte ha evidenziato che questo è l’orientamento unanime e conforme alle Sezioni Unite 2016.
  • Cass. 14243/2020: ha sancito che la prescrizione quinquennale dei contributi previdenziali è rilevabile d’ufficio dal giudice, essendo fondata su norme di ordine pubblico (L.335/95), e non può essere “rinunciata” dall’assicurato per ottenere vantaggi indebiti (come far conteggiare contributi prescritti ai fini pensionistici). In pratica, se un contribuente volesse volontariamente pagare contributi ormai prescritti per aumentare la propria anzianità contributiva, l’ente non dovrebbe accettarli e il giudice non potrebbe computarli, proprio perché il credito non esiste più per l’ordinamento.

Dies a quo e interruzioni per contributi: La prescrizione parte dal giorno in cui i singoli contributi avrebbero dovuto essere versati (art. 2935 c.c. e art. 3, co.9 L.335/95). Ogni diffida accertativa dell’INPS o avviso di addebito notificato interrompe la prescrizione, facendola decorrere nuovamente da capo per altri 5 anni. Se però tra un atto e l’altro decorrono oltre 5 anni, il debitore può eccepire la prescrizione sopravvenuta. Ad esempio: contributi 2016 non versati -> avviso di addebito INPS notificato nel 2018 (interruzione) -> nessuna ulteriore azione fino al 2024: a fine 2023 il credito si è prescritto, quindi un’eventuale intimazione nel 2024 sarebbe impugnabile per prescrizione.

Ricorso e competenza: I contributi cadono sotto la giurisdizione del giudice ordinario (Tribunale – sezione Lavoro). Un avviso di addebito INPS va impugnato entro 40 giorni al Tribunale competente. Se è emessa una cartella esattoriale (per ruoli antecedenti al 2011 o altri crediti INPS passati ad AER), anch’essa va opposta in via giudiziale ordinaria (talora con ricorso ex art. 24 D.Lgs.46/1999 al giudice del lavoro). In ogni caso, l’eccezione di prescrizione può essere sollevata dal contribuente in sede di opposizione. La Cassazione, come visto, la considera anche rilevabile d’ufficio perché la L.335/95 ha natura imperativa di ordine pubblico.

Tributi locali (IMU, TARI, TASI, altre entrate locali)

I tributi locali sono le entrate tributarie di competenza di Comuni, Province o Regioni, ad esempio: IMU (imposta municipale propria sugli immobili), TARI (tassa rifiuti), TASI (tributo per i servizi indivisibili, in vigore fino al 2019), l’addizionale IRPEF comunale e regionale, l’imposta di soggiorno, il bollo auto (che è regionale, ma lo tratteremo a parte), ecc. Per queste entrate, di norma non esiste una disposizione di legge nazionale che fissi un termine di prescrizione ad hoc, per cui si applicano i principi generali del Codice Civile.

Termine applicabile: La giurisprudenza prevalente ritiene che i tributi locali siano soggetti a prescrizione quinquennale, in quanto prestazioni periodiche ai sensi dell’art. 2948, n.4 c.c.. Tale qualificazione deriva dal fatto che:

  • La TARI (tassa rifiuti) corrisponde ad un servizio comunale erogato in via continuativa (raccolta e smaltimento rifiuti): l’utente è tenuto a pagare annualmente finché continua a fruire del servizio, senza bisogno di un nuovo provvedimento impositivo ogni anno (di norma il Comune invia un avviso bonario con gli importi).
  • L’IMU riguarda il possesso di immobili in un dato anno: anche se ogni anno il presupposto impositivo va verificato (si possedeva l’immobile al 1° gennaio?), la dottrina e la giurisprudenza tendono a considerarla un’obbligazione periodica, in quanto legata al mantenimento nel tempo di un diritto reale sull’immobile. Ogni anno è dovuta finché permane la proprietà, senza ulteriori “condizioni” salvo variazioni, e il contribuente è tenuto a versare spontaneamente.
  • L’addizionale IRPEF comunale/regionale è anch’essa annuale e calcolata sul medesimo imponibile IRPEF: concettualmente segue il destino dell’imposta principale, ma è percepita dall’ente locale. Anche qui, pur non essendo un pagamento periodico nel senso di un importo fisso costante (varia in base al reddito), la sua cadenza annuale la accomuna a una prestazione periodica. La Cassazione ha considerato 5 anni pure per questi crediti locali (es. Cass. 20618/2021 sul bollo auto regionale, Cass. 18504/2020 su TARI, etc.).
  • Altre entrate locali ricorrenti: ad es. canone per l’occupazione di suolo pubblico (TOSAP/COSAP) e canone per la pubblicità (ICP/DPA) – ante 2021 – erano dovuti annualmente per il mantenimento di installazioni o messaggi pubblicitari su suolo pubblico. Anche qui l’obbligo di pagamento si rinnova periodicamente finché dura la concessione. La Cassazione ha espressamente incluso TOSAP fra i tributi periodici quinquennali. Dal 2021 questi prelievi locali sono confluiti nel Canone Unico Patrimoniale (CUP), che unifica TOSAP, ICP e altre entrate minori: anch’esso, avendo natura di canone annuale per occupazione suolo/pubblicità, ragionevolmente segue la prescrizione quinquennale (non risultano ancora pronunce, ma per analogia).
  • Contributi di bonifica (richiesti dai consorzi di bonifica ai proprietari di terreni per opere idrauliche): pur non essendo tributi comunali, sono spesso riscossi tramite ruolo. La Cassazione ha chiarito che anch’essi sono prestazioni periodiche, legate al beneficio fondiario che si rinnova anno per anno, quindi il termine è 5 anni. In passato alcune sentenze li avevano qualificati come obbligazioni propter rem decennali, ma l’ordinanza Cass. 37551/2022 ha fugato i dubbi: TARSU, TOSAP e contributi di bonifica = 5 anni.
  • Tributi regionali: oltre al bollo auto (trattato a parte perché ha una legge specifica), le regioni possono avere tributi propri (ad es. la tassa automobilistica stessa, l’IRAP – che però è legiferata dallo Stato, l’addizionale IRPEF regionale, l’imposta sulle concessioni ecc.). Per la maggior parte di questi, vale lo stesso discorso: se periodicità annuale (come addizionale IRPEF), prescrizione 5 anni. Se una tantum (ad es. tasse di concessione regionali pagate una volta all’atto del rilascio), varrà il termine ordinario se non definibile come prestazione periodica.

Fonti normative: Non esiste un “codice dei tributi locali” contenente termini di prescrizione. Tuttavia, la Legge 296/2006 (Finanziaria 2007), art. 1 commi 161 e seguenti, ha introdotto termini di decadenza per gli avvisi di accertamento dei tributi locali: devono essere notificati entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui il tributo è dovuto. Questo è un termine decadenziale (oltre il quale l’ente perde il potere di accertare), non di prescrizione, ma è allineato ai 5 anni. In pratica, per tributi locali:

  • Il Comune ha 5 anni per contestare l’omesso/pagamento (decadenza accertamento);
  • Una volta notificato l’atto (es. accertamento IMU/TARI), se non viene pagato né impugnato, il ruolo che seguirà rientra in una pretesa tributaria locale -> quindi 5 anni di prescrizione per la riscossione coattiva.

Quindi tipicamente si crea questo scenario: entro 5 anni devono farti l’accertamento, poi da quell’accertamento hai altri 5 anni per riscuotere (salvo interruzioni). Può capitare però che alcuni enti locali iscrivano direttamente a ruolo senza accertamento (ad esempio, molte cartelle per TARSU erano emesse senza un previo avviso formale): in tali casi, la giurisprudenza tende a considerare comunque 5 anni il termine di prescrizione per la cartella, in quanto credito locale privo di giudicato.

Conferme giurisprudenziali recenti:

  • Cass. ord. 2022 n. 37551 (citata prima) – massima: “Ai tributi locali è applicabile il termine breve di prescrizione quinquennale, trattandosi di prestazioni periodiche ex art. 2948 c.c. n.4”. Nella stessa ordinanza la Corte ha distinto i tributi locali (5 anni) dalle tasse automobilistiche (3 anni, vedi oltre).
  • Cass. ord. 31272/2021: ha confermato la prescrizione quinquennale per la TARI non versata, respingendo l’argomento del Comune che chiedeva 10 anni per via dell’iscrizione a ruolo.
  • Cass. ord. 32950/2018: sulla TOSAP, confermò i 5 anni.
  • Commissioni Tributarie (ora Giustizia Tributaria): moltissime sentenze di merito hanno annullato cartelle per tributi locali perché notificate oltre 5 anni dall’ultimo atto. Ad esempio, CTR Lombardia sez. XX n. 1944/2019: prescrizione quinquennale della cartella TARSU; CTP Napoli n. 954/2018: prescrizione quinquennale di sanzioni Codice della Strada (che sono entrate comunali) e così via.

Conclusione per i tributi locali: Il debitore di IMU, TARI, ecc. può ragionevolmente confidare che dopo 5 anni (dall’ultimo atto notificato valido) il tributo locale sia prescritto. Dovrà comunque eccepire la prescrizione in giudizio, poiché l’ente locale o il concessionario potrebbe insistere nel riscuotere sostenendo che la cartella definitiva valga 10 anni – tesi infondata alla luce dei principi attuali, ma a volte avanzata. Sarà onere dell’ente dimostrare eventuali atti interruttivi notificati al contribuente entro il quinquennio (ad esempio solleciti, intimazioni, ingiunzioni fiscali comunali). In mancanza, la Corte di Giustizia Tributaria (già Commissione Tributaria) competente annullerà la pretesa per intervenuta prescrizione quinquennale.

Sanzioni amministrative (multe stradali e altre ammende)

Le sanzioni amministrative pecuniarie, tra cui rientrano le multe per violazioni del Codice della Strada e tutte le altre sanzioni previste da leggi amministrative (es. sanzioni dell’ASL, della Polizia Locale per regolamenti, multe ambientali, ecc.), hanno un regime di prescrizione specificamente previsto dalla legge 689/1981 (Legge generale sul sistema sanzionatorio amministrativo).

Termine applicabile: L’art. 28 della L.689/1981 dispone che “il diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni […] si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata commessa la violazione”. Dunque il termine generale di prescrizione delle sanzioni amministrative è di 5 anni dall’illecito.

Questa regola vale per tutte le sanzioni amministrative pecuniarie, salvo eccezioni espressamente previste. Ad esempio:

  • Multe stradali (violazioni Codice della Strada): sono sanzioni amministrative e quindi soggette al termine di 5 anni ex L.689/81. In aggiunta, il Codice della Strada (D.Lgs. 285/1992) prevede anche altri termini decadenziali: la notifica del verbale di contestazione entro 90 giorni dalla violazione (art. 201 CdS), e – dopo che la sanzione diventa titolo esecutivo – l’iscrizione a ruolo entro 2 anni dall’esecutività (art. 209 CdS). Ma attenzione: questo termine di 2 anni per la cartella è un termine di decadenza previsto da norme speciali (che però la Cassazione ha ritenuto non tassativo, soggetto a proroghe; ed è stato per un periodo portato a 5 anni dal 2010 al 2021 per sovrapposizione col regime generale), mentre la prescrizione resta quinquennale. Quindi, se anche l’ente (Prefettura o Comune) iscrive a ruolo e notifica la cartella dopo 3 anni dall’infrazione, la cartella non è nulla (perché l’obbligo di ruolo entro 2 anni è decadenziale ma controverso), però se trascorrono 5 anni senza atti, il diritto si estingue comunque. In pratica, la multa stradale non pagata non può essere più riscossa trascorsi 5 anni dall’ultimo atto notificato valido (sia esso il verbale, l’ordinanza-ingiunzione prefettizia, la cartella, un sollecito, etc.).
  • Altre sanzioni amministrative: es. sanzioni per violazioni tributarie (omessa fatturazione IVA, ecc. – ma quelle sono di solito contestate con atto dell’Agenzia Entrate, comunque sanzione amm.va), sanzioni per violazioni di norme del lavoro comminate dall’Ispettorato, sanzioni antitrust, ecc. Tutte, salvo diversa indicazione nelle leggi settoriali, seguono l’art.28 L.689: 5 anni dalla violazione.

Decorrenza e atti interruttivi nelle sanzioni: La lettera dell’art.28 L.689/81 (“dal giorno in cui è stata commessa la violazione”) fa sorgere problemi: spesso la sanzione diventa esigibile solo dopo un iter (contestazione, eventuale ricorso, ordinanza ingiunzione). La giurisprudenza ha interpretato in modo sistematico la norma, stabilendo che i 5 anni si riferiscono sia alla violazione che alla sanzione e funzionano come termine di estinzione dell’illecito oltre che del diritto a riscuotere. In pratica:

  • Se nessun atto interruttivo interviene, la violazione “cade in prescrizione” dopo 5 anni e non può più essere sanzionata né riscossa.
  • Ogni atto del procedimento sanzionatorio debitamente notificato interrompe la prescrizione, che ricomincia da capo da quel momento.

Per esempio, nel caso di una multa stradale:

  1. Violazione commessa il 1º febbraio 2020. Termine prescrizione iniziale: 1º febbraio 2025.
  2. Verbale notificato il 20 febbraio 2020 (entro 90 gg, ok): questo atto interrompe la prescrizione, facendola ripartire da zero dal giorno successivo. Quindi nuovo termine: 21 febbraio 2025.
  3. Il destinatario non paga né fa ricorso: dopo 60 giorni, la sanzione diventa titolo esecutivo (in pratica, l’importo raddoppia e può essere iscritto a ruolo).
  4. L’ente (Comune) iscrive a ruolo la sanzione e affida la cartella ad Equitalia/AER. Mettiamo che la cartella venga notificata il 10 settembre 2022. Anche la cartella è un atto interruttivo, notifica di pretesa, dunque interrompe di nuovo la prescrizione. Nuovo termine: 11 settembre 2027.
  5. Se dopo la cartella, fino al 2027, il concessionario non notifica altro (né intimazioni né atti di pignoramento), dal 12 settembre 2027 il credito è prescritto e non più esigibile. Un’eventuale intimazione notificata dopo quella data sarebbe illegittima per intervenuta prescrizione (il destinatario potrà impugnarla entro 30 gg al Giudice di Pace per far valere l’estinzione).

Quindi, nella pratica, è più corretto dire che per le multe stradali il termine di 5 anni decorre dall’ultimo atto valido, piuttosto che rigidamente dalla violazione. La Cassazione lo ha chiarito: “la prescrizione quinquennale dell’azione esecutiva inizia a decorrere dalla definitività del titolo esecutivo”, quindi dal momento in cui l’illecito è accertato e non più impugnabile (verbale non opposto o ordinanza ingiunzione), non dal giorno della violazione se prima c’è stata contestazione tardiva. Ad esempio, se un verbale viene notificato dopo 1 anno dalla violazione (oltre 90 gg ma sup-poniamo valesse), la prescrizione comunque non decorre durante quell’anno come inerzia dell’ente? La lettera della legge direbbe sì, ma la giurisprudenza, preoccupata di dare un senso logico, dice: la violazione è istantanea, ma se l’atto arriva dopo, quell’atto stesso interrompe tutto e sposta avanti. In sostanza, in nessun caso l’ente può riscuotere oltre 5 anni dall’ultimo atto.

Impugnazione delle sanzioni amministrative prescritte: La competenza per le sanzioni amministrative dipende dalla materia:

  • Multe Codice Strada: Giudice di Pace (entro 30 giorni per cartella o intimazione che si vuole contestare per prescrizione).
  • Altre sanzioni (es. di Prefettura ex L.689): in genere anch’esse Giudice di Pace per importi fino a €15.493, e Tribunale per importi superiori (art. 22-bis L.689/81). Ma se si tratta di far valere la prescrizione su una cartella esattoriale riferita a queste sanzioni, spesso si agisce con opposizione all’esecuzione ex art.615 c.p.c. davanti al giudice dell’esecuzione (Tribunale) in quanto a volte non c’è uno specifico rito.
  • Sanzioni amministrative per violazioni tributarie (es. sanzioni fiscali): queste in realtà seguono il processo tributario, dunque competenza Giustizia Tributaria, e prescrizione anch’esse quinquennale per equiparazione a sanzioni amm.ve (così sostiene parte della dottrina). In pratica, la sanzione tributaria, pur avendo un regime di “decadenza” proprio (notifica entro termini accertamento), una volta irrogata se non riscossa entro 5 anni andrebbe considerata estinta – ma su questo non c’è uniformità assoluta, tuttavia molte Commissioni hanno annullato cartelle per sole sanzioni se notificate oltre 5 anni dall’atto impositivo.

Giurisprudenza rilevante sulle sanzioni:

  • Cass. Civ. Sez. II 25777/2014: ribadito i 5 anni ex L.689 per le sanzioni CdS.
  • Cass. SS.UU. 25790/2009: sulla natura della prescrizione ex art.28 L.689, ha affermato che l’omessa impugnazione dell’ordinanza ingiunzione non comporta l’applicazione dell’art.2953 c.c., quindi resta 5 anni (similmente al discorso generale).
  • Cass. Sez. VI 19398/2016: ha confermato che per le multe stradali la cartella deve essere notificata entro 5 anni dal verbale, altrimenti il diritto si estingue, e non si applica la conversione ex 2953 c.c. anche se la cartella non fu opposta (concetto analogo a contributi/tributi).
  • Giudice di Pace e Tribunali: una miriade di pronunce ogni anno accoglie opposizioni di automobilisti dichiarando prescritte cartelle di multe notificate oltre 5 anni dall’ultimo atto (ad es. Giudice di Pace di Roma, sent. 3400/2020; Trib. Milano 17/2018 in appello GdP, ecc.). Spesso l’ente eccepisce di aver inviato dei solleciti (magari per posta ordinaria) che avrebbero interrotto, ma i giudici richiedono prova di notifica scritta (raccomandata o PEC) per riconoscere l’interruzione. Un semplice sollecito via posta ordinaria non interrompe la prescrizione, perché non c’è certezza legale del suo ricevimento.

Conclusione per le sanzioni: I debiti da sanzione amministrativa si prescrivono in 5 anni, e il conteggio di norma parte dalla definitività della sanzione (per le multe, dalla mancata impugnazione del verbale entro 60gg, o dalla notifica dell’ordinanza prefettizia). Ogni atto successivo notificato (cartella, intimazione) fa ripartire un altro quinquennio. Il debitore che riceve richieste tardive (es. una cartella a distanza di >5 anni dal verbale) può opporsi per far dichiarare l’estinzione. Trattandosi di sanzioni, a differenza dei tributi, la prescrizione estingue anche l’obbligazione in sé, per cui l’amministrazione perde il potere di esigerla e il cittadino non è più tenuto al pagamento (analogamente alla prescrizione in materia penale come cause estintive del reato/pena, concettualmente).

Accise (imposte sulla produzione/consumo di energia, alcoli, tabacchi, etc.)

Le accise sono imposte indirette applicate sulla fabbricazione o consumo di determinati beni (energia elettrica, prodotti petroliferi, alcolici, tabacchi, etc.), disciplinate dal D.Lgs. 504/1995 (Testo Unico Accise, TUA). In tema di prescrizione delle accise c’è una disciplina specifica, modificata nel 2016.

Termine applicabile: L’art. 15 del TUA originariamente prevedeva che “il termine di prescrizione per il recupero dell’imposta è di cinque anni”. Nel 2016, con il D.Lgs. 18/2016, l’art.15 è stato novellato introducendo un meccanismo di raddoppio: ora l’accisa è accertata con avviso di pagamento notificato al debitore e “il termine di prescrizione ordinaria del diritto all’imposta è fissato in cinque anni, aumentato a dieci anni nei casi di violazioni per cui vi è obbligo di denuncia penale. In altre parole:

  • Accise – casi ordinari (no reato): prescrizione 5 anni.
  • Accise – casi con reato tributario (es. contrabbando, frode ecc. con obbligo di denuncia ex art.331 c.p.p.): prescrizione 10 anni.

Questa modifica mira a evitare che evasori di accise in ambito penale possano beneficiare del termine breve mentre magari i processi si protraggono. Dunque, se dall’infrazione accertata emerge un reato (ad es. sottrazione all’accertamento di grandi quantità di prodotto soggetto ad accisa), l’ufficio doganale ha 10 anni per recuperare l’imposta evasa.

Dies a quo: Il comma 2 dell’art.15 TUA specifica i momenti di decorrenza in base al tipo di obbligazione:

  • Per l’energia elettrica: 5 anni dalla data di presentazione della dichiarazione annuale di consumo (cioè se entro 5 anni non viene richiesto il maggior dovuto, la pretesa si prescrive).
  • Per altri casi: in genere 5 anni dalla data in cui è avvenuto il fatto generatore (es. il consumo, l’estrazione, l’immissione in consumo).
  • Se vi è comportamento omissivo (es. mancata presentazione di dichiarazioni): la decorrenza può essere diversa (forse dal momento in cui l’ufficio viene a conoscenza, ma comunque entro 10 in caso di reato).

Quindi, per esempio, se un deposito fiscale omette di versare accisa su alcool nel 2020 e non c’è reato: entro 5 anni (2025) l’Agenzia Dogane deve notificare avviso di pagamento; una volta notificato, se non viene pagato, potrà riscuoterlo coattivamente tramite AER e il termine resterebbe lo stesso (o riparte 5 anni per l’esecuzione). Se invece il fatto configura reato, hanno 10 anni.

Rapporto con la riscossione esattoriale: Le accise, se non pagate spontaneamente, possono essere iscritte a ruolo (ruoli dei Monopoli/Dogane) ed Equitalia/AER procede alla riscossione. A quel punto, la cartella rifletterà l’accisa dovuta. Il termine di prescrizione applicabile rimane quello del tributo sottostante: quindi, se accisa su alcol con reato = 10 anni; se accisa energia senza reato = 5 anni, etc. Anche qui vale l’orientamento SU 2016: dipende dalla natura del credito. Quindi se uno riceve una cartella per accisa su energia del 2017 e siamo nel 2025 senza atti, può eccepire prescrizione quinquennale. Se la cartella riguardava un’evasione da reato, in teoria l’ente avrebbe considerato 10 anni già inizialmente.

Giurisprudenza:

  • Cass. ord. 35903/2021: ha confermato la lettura dell’art.15 TUA post-riforma, sottolineando che il differimento a 10 anni opera solo nei casi di obbligo di denuncia penale, mentre in tutti gli altri vige il termine breve di 5 anni.
  • Cass. sent. 38132/2022: ha ribadito che “il termine di prescrizione per il recupero dell’imposta è di cinque anni dalla data della presentazione della dichiarazione annuale” (nel caso di accisa energia elettrica), annullando pretese tardive.
  • Ci sono state questioni in passato sull’interruzione e se la notifica del Processo Verbale di Constatazione (PVC) potesse costituire atto interruttivo: col nuovo art.15 pare di sì, perché il comma 1 ora prevede l’obbligo di notifica del PVC prima dell’avviso di pagamento, così che il contribuente possa presentare memorie. Comunque, il PVC sarebbe un atto amministrativo che interrompe la prescrizione quinquennale (ma la giurisprudenza ha dibattuto se fosse “atto di accertamento” o no; ora la legge lo formalizza come atto partecipativo).
  • Attenzione che esiste anche la decadenza biennale per il rimborso di accise indebitamente pagate (art.14 TUA): ma questo riguarda i rimborsi richiesti dal contribuente, non la riscossione (comunque è bene citarlo in fonti normative magari).

Conclusione sulle accise: Dal 2016 in poi, per la generalità delle accise il diritto alla riscossione si prescrive in 5 anni, che diventano 10 anni in presenza di violazioni penali obbligatoriamente denunziate. Il contribuente destinatario di ruoli per accise può quindi far valere la prescrizione quinquennale in tutti i casi “normali”. Se invece l’atto indica che si procede ex art.15 co.1 TUA per violazione penale, allora bisogna considerare 10 anni. Anche qui, i 10 anni non diventano di più con atti interruttivi: eventuali atti di riscossione interrompono e fanno decorrere un nuovo periodo uguale (5 o 10).

Bollo auto (tassa automobilistica)

La tassa automobilistica (cosiddetto bollo auto) merita un capitolo a sé. Si tratta di un tributo regionale sul possesso di autoveicoli, disciplinato da norme statali (in particolare l’art. 5, commi 29-35 del D.L. 953/1982 convertito in L. 53/1983 e successive modifiche) ma il cui gettito è attribuito alle Regioni a statuto ordinario. La caratteristica del bollo è di essere un tributo annuale e fisso (in base alla tariffa KW del veicolo) dovuto dal proprietario del veicolo per anno solare di riferimento.

Termine applicabile: La legge prevede espressamente un termine di prescrizione triennale. In particolare, l’art. 5, comma 51, del D.L. 953/1982 (conv. in L. 53/1983) stabilisce che “l’azione dell’Amministrazione finanziaria per il recupero delle tasse automobilistiche si prescrive con il decorso del terzo anno successivo a quello in cui doveva essere effettuato il pagamento”. Dunque:

  • Se il bollo è dovuto per l’anno X, che di norma si paga entro il mese successivo alla scadenza (es: bollo 2020 andava pagato entro gennaio 2020 se annualità precedente scadeva dec 2019, ecc.), comunque per semplicità si considera l’anno solare:
  • Il termine di prescrizione inizia a decorrere dal 1º gennaio dell’anno successivo a quello di scadenza e dura 3 anni, scadendo al 31 dicembre del terzo anno successivo. Esempio: bollo dovuto per il 2020 (scadenza pagamento 31/01/2020 per alcuni, o 30/04/2020 per altri a seconda immatricolazione), la prescrizione decorre dal 1/1/2021 e l’azione si prescrive al 31/12/2023. Se entro quella data la Regione (o per essa l’Agente della Riscossione) non ha notificato alcun avviso o cartella, il bollo 2020 non potrà più essere richiesto. Questo termine triennale è brevissimo rispetto ad altri tributi, ed è perciò uno dei casi in cui più frequentemente i contribuenti si trovano a eccepire prescrizioni.

Interruzione: Qualsiasi atto amministrativo inviato al contribuente entro quel triennio interrompe la prescrizione e fa decorrere un nuovo triennio. Tipicamente:

  • Avviso di accertamento per omesso pagamento bollo: è un atto (generalmente emesso dalla Regione o da società concessionarie regionali) che contesta il mancato pagamento del bollo entro la scadenza e ingiunge il pagamento entro 60 giorni, con sanzioni e interessi. Deve essere notificato al più tardi entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello dovuto, come detto, pena la prescrizione. Se notificato, interrompe la prescrizione.
  • Cartella esattoriale: alcune regioni in passato iscrivevano direttamente a ruolo senza un avviso, specie prima del 1999 quando Equitalia (allora esattoria) gestiva i ruoli tasse auto. In tal caso, la cartella stessa deve essere notificata entro il triennio dalla scadenza del bollo. La notifica della cartella interrompe e fa ripartire 3 anni dal giorno dopo.
  • Ingiunzione fiscale: in alcune regioni a statuto speciale o in certi periodi sono state usate ingiunzioni fiscali (R.D. 639/1910) invece delle cartelle. Anche quella è atto interruttivo.
  • Solleciti: la giurisprudenza ha ritenuto che anche una lettera di sollecito, se spedita con raccomandata A/R o PEC, costituisce atto interruttivo (in quanto atto scritto del creditore). Tuttavia, l’efficacia dei semplici solleciti è stata discussa; in generale è più sicuro per l’ente emanare un avviso formale o ingiunzione.

Importante: come per gli altri tributi, l’interruzione non trasforma il termine in decennale. La Cassazione ha espressamente detto che nel bollo auto la notifica di un avviso o cartella interrompe il termine triennale che poi ricomincia per altri 3 anni, senza diventare 10. In passato, qualche ufficio regionale sosteneva che l’avviso di accertamento non impugnato fungesse da “giudicato” ex art. 2953 c.c., e quindi il termine successivo fosse 10 anni: questa tesi è stata rigettata dai giudici. Cass. n. 12263/2007 fece proprio luce su questo, negando la conversione del termine nel bollo auto non pagato.

Giurisprudenza sul bollo auto:

  • Cass. Sez. Unite 20425/2017 (ord.): ha confermato la prescrizione triennale anche se il credito è stato iscritto a ruolo, escludendo che l’iscrizione a ruolo e la mancata impugnazione della cartella possano allungare il termine. Questa ordinanza è spesso citata come pietra miliare: “Prescrizione bollo auto triennale anche con iscrizione a ruolo”.
  • Cass. ord. 10413/2019: ribadisce che per il bollo, la pretesa regionale è soggetta a 3 anni (richiamando SU 20425/17).
  • Cass. 5042/2019: conferma annullamento di cartella notificata dopo tre anni.
  • Cass. 1198/2016: anche su casi antecedenti al 2012, sempre 3 anni.
  • Corti di merito: innumerovoli Commissioni Tributarie hanno annullato cartelle del bollo auto prescritte, e talora Giudici di Pace quando il contribuente erroneamente andava da loro (anche se la giurisdizione è tributaria in materia di tasse auto). L’orientamento è uniforme.

Inoltre, un punto fermo: le Regioni non possono modificare la disciplina della prescrizione del bollo. Qualche regione a statuto ordinario in passato ha tentato con proprie leggi di estendere i termini, ma la Corte Costituzionale e la Cassazione hanno chiarito che la materia rientra nella competenza legislativa statale (trattandosi di profilI di ordinamento civile e tributi erariali concessi alle regioni). Cassazione già nel 1997 (sent. n. 3658/1997) confermò che la fissazione della prescrizione a tre anni è riserva statale e le Regioni non possono prorogarla. Ad esempio, la Regione Lombardia non può deliberare di applicare 5 anni, e se lo facesse, la norma sarebbe incostituzionale.

Procedura e ricorso: Il bollo auto impugnato segue le regole del processo tributario (anche se è tributo regionale, la giurisdizione è quella delle Commissioni/CGT provinciali). Se si riceve una cartella per bollo già prescritto, occorre fare ricorso alla Giustizia Tributaria entro 60 giorni, eccependo la prescrizione triennale maturata. In tal caso, il ricorso è contro Agenzia Entrate-Riscossione e ente impositore (Regione o chi per essa). Se invece la Regione notifica un avviso di accertamento bollo oltre i 3 anni, anche quello è impugnabile entro 60 giorni per farlo annullare per prescrizione.

Simulazione rapida: Bollo 2019 non pagato, scadenza pagamento 31/01/2019. La Regione aveva tempo fino al 31/12/2022 per notificarne l’accertamento. Se nulla è arrivato entro quella data, dal 1/1/2023 il bollo 2019 è estinto. Un eventuale avviso/cartella nel 2023 potrà essere annullato dal giudice se il contribuente solleva l’eccezione (la prescrizione non è rilevabile d’ufficio in tributario, va eccepita). Se invece la Regione ha notificato un avviso il 30/12/2022, questo interrompe: il nuovo termine sarà 3 anni da quella notifica (quindi fine 2025). Se poi Equitalia notifica cartella nel 2023 o 2024, altro restart di 3 anni. Bisogna quindi tracciare cronologicamente gli atti.

Conclusione sul bollo: È uno dei casi più favorevoli al contribuente, perché il termine triennale è molto breve. Molte cartelle notificate per bolli “vecchi” sono nulle perché prescritte: nel 2025, ad esempio, tutte le cartelle relative a bolli 2019 e precedenti sono destinate a divenire inesigibili per prescrizione se non interrotte entro il 31/12/2022 (per il 2019). Infatti dal 2020 al 2022 la riscossione è stata anche sospesa a tratti (per Covid e per provvedimenti di stralcio debiti <1000€ fino 2010), e molte pretese si estingueranno. Il contribuente che riceve una richiesta per vecchi bolli dovrebbe sempre far controllare le date: spesso basta l’eccezione di prescrizione triennale per chiudere la questione.

Altre entrate patrimoniali o tributarie minori

In questa sezione rientrano varie tipologie di crediti affidati alla riscossione che non rientrano nei grandi gruppi sopra trattati. Pur non potendo essere esaustivi, forniamo alcuni esempi e regole generali:

  • Entrate patrimoniali dello Stato o enti pubblici: sono crediti di natura non tributaria, ad es. canoni per concessioni di beni pubblici, indennità, risarcimenti a favore dello Stato, rette non pagate, etc. La prescrizione qui segue le regole del Codice Civile a seconda della natura del credito. Se è un credito derivante da contratto o da fatto illecito, in genere è 10 anni salvo diversa previsione (o 5 anni se è indennità periodica). Ad esempio: affitti di immobili demaniali dovuti allo Stato – avendo natura di canone periodico – prescrizione 5 anni (sono “annualità di rendite” ex art.2948 c.c.). Un credito per danno erariale accertato a carico di un dipendente – se da sentenza Corte Conti – farebbe stato di giudicato (10 anni da passaggio in giudicato, art.2953 c.c.). Se l’Agenzia della Riscossione riscuote tali somme, occorre valutare caso per caso.
  • Sanzioni erariali o a favore di enti diversi: es. sanzioni antitrust (AGCM) o Autorità varie, sanzioni per violazioni di normative di settore (privacy, lavoro), ammende inflitte da Ministeri. In genere, sono sanzioni amministrative soggette a L.689/81 -> 5 anni. Alcune normative speciali prevedono termini di decadenza propri per l’irrogazione, ma non modificano la prescrizione quinquennale salvo esplicito. Quindi una multa Antitrust non pagata: 5 anni dall’irrogazione definitiva.
  • Spese di giustizia: spese processuali penali, pene pecuniarie, ammende penali. Queste rientrano tra i crediti riscossi coattivamente dal concessionario per conto del Ministero della Giustizia. La prescrizione di tali spese segue le regole del codice penale sulla prescrizione della pena? In realtà, no, perché le somme da recuperare a seguito di sentenza penale definitiva sono considerate credito erariale e soggette a 10 anni ex art.2953 c.c. (in quanto coperte da giudicato penale). La giurisprudenza civile le tratta come diritti dello Stato da titolo giudiziario. Ad ogni modo, questo è ambito peculiare.
  • Contributo unificato e spese di giustizia civili: se non pagati volontariamente, vengono iscritti a ruolo. Il contributo unificato dovuto per un processo, se omesso, viene recuperato con ingiunzione. Il termine in questo caso è di 5 anni ai sensi dell’art. 2948 n.4 c.c.? Non esattissimo, perché non è un pagamento “periodico” ma unico per procedimento. Probabilmente si applica 10 anni (nessuna norma speciale sul contributo unificato lo riduce). Lo stesso per le spese di giustizia poste a carico delle parti (es. spese per CTU non pagate): titolo esecutivo, 10 anni per eseguirle.
  • Contributi consortili di bonifica: come già detto sopra, vanno considerati prestazioni periodiche – la Cassazione li equipara ai tributi locali – quindi prescrizione 5 anni.
  • Sanzioni tributarie (amministrative): sebbene afferiscano a tributi, sono giuridicamente sanzioni amministrative (non imposte). Il loro recupero coattivo avviene per ruolo insieme al tributo. Se il tributo ha 10 anni ma la sanzione in sé come obbligazione pecuniaria ha natura amministrativa, dovrebbe prescriversi in 5 anni ex L.689/81. La Cassazione non si è espressa in modo chiarissimo qui, ma parecchie sentenze di merito hanno annullato ruoli relativi solo a sanzioni appunto in base al quinquennio. Quindi, ad esempio, sanzione per infedele dichiarazione IRPEF (che è indipendente dal tributo): 5 anni dalla definitività della sanzione (es. avviso di irrogazione non impugnato).
  • Diritti di notifica di atti, compensi di riscossione etc.: a margine, nelle cartelle a volte si aggiungono somme accessorie (diritto fisso di notifica, compensi). Questi accessori seguono la sorte del credito principale quanto a prescrizione (se la cartella è per tributo 10 anni, anche i diritti di notifica – importo piccolo – si prescrivono nel medesimo termine).
  • Interessi: gli interessi moratori o per ritardata iscrizione a ruolo (art. 30 DPR 602/73) maturati sui debiti tributari hanno natura accessoria ma seguono regole proprie: in generale la Cassazione ritiene che la prescrizione degli interessi sia la stessa del tributo se sono connessi al ruolo. In quanto “prestazioni periodiche” (interessi di mora che maturano giorno per giorno), qualcuno potrebbe sostenere siano 5 anni ex art.2948, ma prevale che la sorte segue il capitale: se il capitale (tributo) è vivo 10 anni, anche l’interesse continua a maturare e l’azione di riscuotere quell’interesse è legata alla sorte del capitale. Comunque, se il tributo è prescritto, anche gli interessi decadono.

Come regola generale, per ogni credito non espressamente disciplinato occorre chiedersi: è un importo che deriva da un rapporto continuativo o da obbligo periodico (=> 5 anni), oppure è una pretesa una tantum (=> 10 anni)? E c’è un titolo giudiziale di mezzo (=> 10 anni ex 2953 c.c.)? Seguendo questi criteri e i richiami delle SU 2016, si può determinare il termine.

Nella prossima sezione forniremo una tabella riepilogativa, elencando le principali tipologie di debito e il corrispondente termine di prescrizione, in base a quanto esposto finora.

Tabella riepilogativa dei termini di prescrizione per i debiti Equitalia/AER

Di seguito una tabella riassuntiva con i vari tipi di debito affidati all’Agente della Riscossione (Equitalia, oggi A.E.R.) e il relativo termine di prescrizione, secondo la normativa e la giurisprudenza aggiornate al 2025.

Tipo di DebitoTermine di prescrizioneNote/Riferimenti
IRPEF (imposta redditi persone fisiche)10 anniOrdinario decennale (Cass. SU 23397/2016). Se da controllo automatizzato senza accertamento: 5 anni.
IVA (imposta sul valore aggiunto)10 anniCome sopra (tributo erariale). Controlli autofatturazione ex art.54-bis senza atto: 5 anni (analogia 36-bis).
IRES (imposta redditi società)10 anniTributo erariale, presc. decennale.
IRAP (imposta reg.le attività produttive)10 anniTributo erariale (benché “regionale” di denominazione).
Addizionali IRPEF (regionali/comunali)5 anniEntrate locali periodiche.
Imposta di registro10 anniEx art.78 DPR 131/86. Avviso definitivo -> decennale.
Imposta di bollo10 anniNessun termine breve specifico; si applica 2946 c.c.
Imposte ipotecaria e catastale10 anniCome imposte indirette su atti (nessun termine breve).
Canone RAI (abbonamento TV)10 anniConsiderato tributo erariale; Cass. 2019 decennale (Fisco e Tasse).
Contributi previdenziali INPS5 anni (dal 1996)Art.3, co.9 L. 335/1995; eccezione: 10 anni se denunce lavoratore.
Contributi INAIL (premi assicurativi)5 anniEquiparati ai contributi previdenziali.
Altri contributi obbligatori (es. casse previdenza)5 anniIn genere uniformati a L.335/95 (es. Gestione separata INPS).
Tributi locali (IMU, TASI)5 anniPrestazioni periodiche annuali.
TARI (Tassa rifiuti)5 anniCome sopra (servizio periodico).
TOSAP/COSAP (occupazione suolo pubblico)5 anni (vedi note)Tributo/canone locale periodico. N.B.: Fino al 2020 tributo, dal 2021 confluito in Canone Unico.
Canone Unico Patrimoniale (dal 2021)5 anni (stima)Per analogia con TOSAP/ICP. (Termine decennale indicato da alcuni testi, ma giurisprudenza propenderebbe per 5 in quanto periodico).
Contributi consorzi di bonifica5 anniPrestazione periodica continuativa (Cass. 37551/2022).
Bollo auto (tassa automobilistica)3 anniArt.5 c.51 DL 953/82 conv. L.53/83. Termine triennale dal 1º gennaio anno successivo.
Sanzioni Codice della Strada (multe)5 anniArt.28 L. 689/81; decorre da definitività verbale/ordinanza.
Altre sanzioni amm.ve (L. 689/81)5 anniArt.28 L.689/81 (es: sanzioni lavoro, sanitarie, amministrative in genere).
Sanzioni tributarie (amm.ve)5 anniEquiparate a sanzioni amm.ve ordinarie (non opera 2953 c.c. se non pagate).
Sentenze di condanna (giudiziarie) su impugnazioni10 anniSe un giudice ha rigettato il ricorso del debitore, nasce un titolo giudiziario -> 2953 c.c. decennale.
Spese di giustizia, pene pecuniarie10 anni (da giudicato)Crediti da sentenza penale/civile definitiva; titolo giudiziario (2953 c.c.).
Entrate patrimoniali periodiche (canoni, affitti PA)5 anniRientrano in “corrispettivi periodici” ex art.2948 c.c. n.3-4.
Entrate patrimoniali non periodiche10 anniRegola generale ex art.2946 c.c., salvo specifiche.
Interessi su entrateGeneralmente lo stesso termine del credito principaleSe interessi legati a tributo (moratori), seguono la sorte del tributo.

(Legenda: IRPEF = Imposta redditi persone fisiche; IVA = Imposta sul valore aggiunto; IRES = Imposta redditi società; IRAP = Imposta regionale attività produttive; INPS = Istituto Nazionale Previdenza Sociale; INAIL = Istituto Nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro; IMU = Imposta municipale propria; TASI = Tributo servizi indivisibili; TARI = Tassa rifiuti; TOSAP = Tassa occupazione suolo pubblico; Canone Unico = Canone patrimoniale unico dal 2021; L.689/81 = Legge generale sanzioni amm.ve; 2953 c.c. = art.2953 Cod. Civile.)

Fonti: la tabella è compilata sulla base delle norme e sentenze discusse nei paragrafi precedenti (in particolare: art. 2946, 2948 e 2953 c.c.; L.335/1995; L.689/1981; D.P.R.602/1973; D.L.953/1982 conv. L.53/1983; D.Lgs.504/1995; Cass. SU 23397/2016; Cass. 37551/2022; Cass.7409/2020; Cass.18949/2023; Cass. ord.20425/2017, etc.). I riferimenti puntuali si trovano nel testo della guida e nella sezione finale Fonti.

Come far valere la prescrizione: impugnare cartelle esattoriali e atti prescritti

Vediamo ora come il debitore può eccepire e far dichiarare la prescrizione di una cartella esattoriale o di un qualsiasi atto della riscossione, e quali sono modalità e tempi per agire. Questa sezione è di taglio pratico: fornisce indicazioni su quando e dinanzi a chi impugnare un atto, e come formulare nel ricorso l’eccezione di prescrizione. Includeremo anche esempi schematici di motivi di ricorso utilizzabili.

Impugnabilità delle cartelle e degli atti successivi

La cartella di pagamento è un atto impugnabile dinanzi all’autorità giudiziaria competente, ma occorre distinguere due situazioni:

  1. Cartella appena notificata e già prescritta al momento della notifica: ad esempio, Equitalia/AER notifica nel 2025 una cartella per contributi INPS relativi al 2018, senza che nel frattempo alcun atto interruttivo fosse stato notificato: al 2025 sono passati più di 5 anni, quindi il credito risulta prescritto. In tal caso il debitore può impugnare direttamente la cartella, sollevando tra i motivi di ricorso l’intervenuta prescrizione del credito sottostante.
  2. Cartella notificata anni fa, mai impugnata, e rispetto alla quale oggi si riceve un atto della fase esecutiva (es. intimazione di pagamento, pignoramento) quando il credito è ormai prescritto: in questa situazione la cartella è divenuta definitiva perché non fu ricorsa entro 60 giorni dalla notifica; tuttavia il decorso del tempo ha fatto maturare la prescrizione sopravvenuta. Qui generalmente non si può più impugnare “la cartella” in sé (essendo trascorsi i termini), ma si può impugnare l’atto successivo (intimazione, atto di precetto, pignoramento) deducendo che il credito originario si è estinto per prescrizione e che, quindi, quell’atto esecutivo è illegittimo.

Vediamo separatamente come procedere in entrambi i casi.

Caso 1: Cartella non ancora definitiva (ricorso diretto) – Se la cartella esattoriale è ancora nei termini per il ricorso (60 giorni dalla notifica per i tributi; 40 giorni per contributi; 30 giorni per multe – dettagli sotto), il debitore deve presentare ricorso entro tali termini all’organo competente, inserendo tra le ragioni del ricorso l’eccezione di prescrizione. In particolare:

  • Per cartelle riguardanti tributi erariali o locali: il ricorso va presentato alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (già Commissione Tributaria Provinciale) competente per territorio, entro 60 giorni dalla notifica della cartella (art. 21 D.Lgs. 546/1992). Ad esempio, cartella IRPEF notificata il 10 marzo, termine ricorso 9 maggio.
  • Per cartelle riguardanti contributi previdenziali INPS/INAIL (ruoli fino al 2010, poi dal 2011 ci sono avvisi di addebito): il ricorso si propone al Tribunale ordinario – sezione Lavoro, territorialmente competente, entro 40 giorni dalla notifica. (La L. 243/2010 ha ridotto da 90 a 40 giorni il termine per opporsi a avvisi di addebito e cartelle in materia di contributi). Nota: se la cartella riguarda contributi che non hanno natura previdenziale obbligatoria (es. sanzioni civili INPS), potrebbe rientrare ancora in giurisdizione tributaria; ma nella maggioranza, contributi = giudice del lavoro.
  • Per cartelle di sanzioni amministrative (ad es. multe stradali): si distingue. Formalmente, le cartelle per multe si possono impugnare entro 30 giorni dinanzi al Giudice di Pace (art. 7 D.Lgs. 150/2011, opposizione all’esecuzione ex L. 689/81). C’è dibattito se occorra prima un ricorso amministrativo al Prefetto, ma in fase esattiva no – quello valeva per il verbale. Quindi, se arriva cartella per multa, si fa opposizione GdP in 30 gg lamentando, ad esempio, che sono trascorsi oltre 5 anni dalla notifica del verbale quindi credito prescritto. Importante: il GdP è competente solo se la cartella contiene solo sanzioni amministrative; se include anche tributi (es. in una cartella cumulativa) la competenza potrebbe frammentarsi (in teoria doppio ricorso). In tali casi ci si regola sul contenuto prevalente.

Nel ricorso introduttivo occorre indicare chiaramente gli estremi della cartella impugnata, la data di notifica, e sviluppare un motivo specifico di ricorso dedicato alla prescrizione (oltre ad altri vizi se presenti, come vizi di notifica, vizi propri della cartella, decadenze, etc.). Esempio di struttura di motivo:

Motivo n. 1 – Intervenuta prescrizione del credito iscritto a ruolo. La cartella in oggetto richiede il pagamento di somme relative a [natura del debito] risalenti all’anno . Come sopra ricostruito in fatto, l’ultimo atto interruttivo risale al ______ (notifica dell’accertamento/cartella originaria, ecc.), dopodiché è decorso un periodo superiore a quello previsto dalla legge per la prescrizione ( anni) del suddetto credito. In particolare, trattandosi di [es. tributo locale – TARI], il termine prescrizionale applicabile è quello breve quinquennale ex art. 2948, comma 1 n.4 c.c., come riconosciuto dalla giurisprudenza (Cass. SU 23397/2016; Cass. 37551/2022). Poiché nella fattispecie tra la notifica dell’atto ____ (ultimo atto utile) e la notifica della cartella impugnata sono decorsi oltre ____ anni, senza ulteriori atti interruttivi notificati al contribuente, il diritto dell’ente creditore si è estinto per prescrizione prima dell’emissione della cartella. Si eccepisce, pertanto, l’intervenuta prescrizione del credito portato dalla cartella ai sensi degli artt. 2934 e 2946/2948 c.c., con conseguente inesigibilità delle somme richieste. Si chiede l’annullamento della cartella impugnata in quanto emessa e notificata quando il credito era già prescritto.

Un simile motivo, naturalmente, va adattato al caso (se contributi, citerà L.335/95 e Cass. 7409/2020; se multe, citerà L.689/81 e Cass. 12263/2007 o altre). È buona norma citare, oltre al Codice Civile, anche una o due sentenze di legittimità a supporto, perché spesso rafforza la tesi di fronte al giudice.

Caso 2: Cartella definitiva, atto successivo (intimazione, pignoramento) – Se la cartella non è stata impugnata entro i termini, non la si può più mettere in discussione per vizi propri. Tuttavia, si può reagire quando arriva un nuovo atto della riscossione (un sollecito, un’intimazione di pagamento ex art.50 DPR 602, un preavviso di fermo o ipoteca, o direttamente un atto di pignoramento) e far valere in quella sede l’estinzione del diritto per prescrizione sopravvenuta.

  • Se l’atto successivo è un’intimazione di pagamento (una sorta di “ultimo avviso” che precede l’esecuzione forzata, disciplinato dall’art. 50 comma 2 DPR 602/73), esso è impugnabile come fosse una cartella, di fronte allo stesso giudice competente per il merito. Quindi:
    • intimazione per tributi: ricorso in Commissione Tributaria entro 60 giorni;
    • intimazione per contributi: ricorso al Tribunale Lavoro entro 40 giorni;
    • intimazione per multe: ricorso al GdP entro 30 giorni.
    Tra i motivi del ricorso contro l’intimazione, si inserirà che il credito sotteso alla cartella X si è prescritto, perché sono passati tot anni dalla notifica della cartella senza ulteriori atti (e l’intimazione stessa è arrivata fuori tempo). Spesso i giudici tributari dichiarano nulla l’intimazione e, se il ricorrente lo chiede, dichiarano estensivamente non più eseguibile la cartella per intervenuta prescrizione. In altri termini annullano l’intimazione perché il credito è prescritto. Alcune Commissioni vanno oltre e annullano anche la cartella in autotutela. Esempio pratico: cartella TARI 2015 notificata il 1/9/2015, nessun atto fino a intimazione 10/10/2021 -> ricorso accolto: intimazione annullata e dichiarato inesigibile il credito TARI per decorso oltre 5 anni (2015-2021).
  • Se l’atto successivo è un fermo amministrativo o un’ipoteca esattoriale, formalmente questi sono atti impugnabili davanti al giudice tributario (se riferiti a tributi) o GdP (se sanzioni) entro 60 gg come fossero atti dell’esecuzione autonomamente impugnabili. Anche qui si deduce la prescrizione del credito sottostante. Ad esempio, preavviso di fermo su auto per cartella bollo 2017 -> ricorso in Commissione per far annullare il fermo perché il bollo è prescritto in 2021 (3 anni) e dunque il fermo su un credito inesistente è illegittimo.
  • Se addirittura è iniziata l’esecuzione forzata (pignoramento), le regole sono particolari:
    • Per i tributi, l’art. 57 DPR 602/73 limita le opposizioni esecutive proponibili: l’opposizione all’esecuzione ex art.615 c.p.c. è ammessa solo per vizi di forma della cartella o della notifica, mentre è esclusa per il merito del titolo (a differenza delle esecuzioni civili). Tuttavia la Cassazione ha ammesso che l’opposizione ex 615 c.p.c. si possa proporre per facta supervenientia come la prescrizione successiva alla formazione del titolo, perché non è un vizio originario del titolo ma una causa estintiva successiva. Questo orientamento (Cass. Sez. Unite n.19889/2019, ad esempio) ha aperto la strada a poter eccepire la prescrizione anche innanzi al giudice dell’esecuzione ordinario durante un pignoramento fiscale. In pratica, se Equitalia notifica un atto di pignoramento presso terzi per IRPEF, e la cartella sottesa è di 8 anni prima, il debitore/decorso può proporre opposizione al pignoramento per far dichiarare la prescrizione. La giurisdizione in questi casi è contesa: alcune pronunce dicono che resta del giudice tributario finché non c’è atto espropriativo compiuto; altre dicono che una volta al pignoramento la giurisdizione passa al giudice ordinario. In generale: conviene non aspettare il pignoramento ma agire prima con l’opposizione all’intimazione, se possibile, per stare al sicuro sul giudice competente.
    • Per le multe e sanzioni amministrative, la strada è l’opposizione ex art.615 c.p.c. davanti al Giudice di Pace (competente come giudice dell’esecuzione per queste materie) entro 20 giorni dal primo atto di esecuzione (ad esempio dal pignoramento). In quell’opposizione si potrà far valere la prescrizione. Tuttavia, spesso è preferibile pure qui prevenire: quando si riceve il preavviso di pignoramento (intimazione) già far ricorso al GdP come detto.

Riepilogo per impugnare atti prescritti:

  • Se l’atto è una cartella o intimazione: fare ricorso entro i termini (30, 40, 60 gg a seconda del caso) all’autorità competente, chiedendo l’annullamento per intervenuta prescrizione del credito.
  • Se l’atto è un pignoramento già iniziato: depositare un atto di opposizione all’esecuzione (615 c.p.c.) al giudice competente (Tribunale se tributi/contributi, Giudice di Pace se sanzioni) chiedendo dichiararsi non procedibile l’esecuzione per prescrizione del diritto.
  • Se non arriva nessun atto ma il debitore vuole “liberarsi” di un debito prescritto: può valutare di agire con un’azione dichiarativa. Ad esempio, alcuni promuovono un ricorso contro l’estratto di ruolo presso le Commissioni Tributarie: la Cassazione (SS.UU. 19704/2015) ha stabilito che l’estratto di ruolo di per sé non è atto impugnabile, salvo il caso in cui il contribuente non abbia mai ricevuto la cartella e venga a conoscenza del debito solo dall’estratto – in tal caso può impugnare la cartella “mai ricevuta” chiedendone l’annullamento. Nell’ambito di tale ricorso può anche far valere la prescrizione maturata. Questo escamotage è stato ammesso proprio per consentire al contribuente tutela anche oltre i 60 giorni, ma a certe condizioni. Dunque, se si scopre un vecchio debito prescritto nel proprio estratto (es. tramite accesso al portale AdER), si può presentare istanza all’Agente di autotutela per sgravio per prescrizione, oppure promuovere un ricorso mirato in Commissione chiedendo che venga dichiarata l’estinzione del debito per intervenuta prescrizione e l’annullamento del ruolo.

Tempi di decisione: Le procedure variano: un ricorso tributario può richiedere 1-2 anni per una sentenza di primo grado. Nel frattempo conviene chiedere la sospensione cautelare dell’esecuzione (soprattutto se c’è un fermo auto o ipoteca in ballo, o minaccia di pignoramento). I giudici spesso concedono la sospensiva se la prescrizione appare prima facie maturata e il ricorso tempestivo.

Cosa succede se il giudice accerta la prescrizione: La pronuncia tipica “annulla” la cartella o l’atto impugnato per intervenuta prescrizione del diritto di riscossione. Ciò significa che il credito non è più dovuto e l’Agente non può più attivarsi per esso. Se c’erano misure cautelari (fermi, ipoteche) andranno rimosse. Se per caso il contribuente ha pagato nonostante la prescrizione, purtroppo il nostro ordinamento (art. 2940 c.c.) non consente di ripetere quanto spontaneamente pagato per un debito prescritto, poiché è considerato adempimento di obbligazione naturale o comunque pagamento non indebito in senso tecnico. Questa regola è controversa, ma consolidata: se il debitore paga ignorando che era prescritto, non può chiedere il rimborso sostenendo l’errore (glielo negheranno, salvo casi di coazione nel pagamento da dimostrare). Quindi è fondamentale agire prima di pagare.

Esempio pratico di ricorso per prescrizione – schema

Si propone un breve schema di ricorso tributario (Commissione Tributaria) come esempio, riempiendo con dati fittizi:

  • Ricorrente: Alfa Srl, C.F… (debitrice)
  • Resistente: Agenzia Entrate-Riscossione + Comune di Beta (ente impositore, se tributo locale)
  • Atto impugnato: Intimazione di pagamento prot. n. 12345 notificata in data 10/09/2024, relativa a cartella di pagamento n. 77/2018 su TARI 2015.
  • Fatti: descrivere cronologia: cartella per TARI 2015 notificata il 01/03/2018, non pagata; nessun atto fino all’intimazione 10/09/2024.
  • Motive di ricorso:
    1. Intervenuta prescrizione quinquennale del credito TARI – spiegare che dalla notifica cartella (marzo 2018) all’intimazione (settembre 2024) sono passati 6 anni e mezzo senza interruzioni; citare art. 2948 c.c., L.296/2006, Cass. SU 2016, Cass. 37551/22.
    2. In subordine, nullità della cartella originaria per decadenza dell’accertamento (se magari la cartella fu emessa senza avviso entro 5 anni) – motivo tecnico aggiuntivo.
    3. Spese – richiesta di compensazione o rifusione.
  • Richiesta al giudice: annullare l’intimazione impugnata e dichiarare non più esigibile la cartella n… per intervenuta prescrizione del credito.

Al ricorso vanno allegati: copia dell’atto impugnato, documenti di notifica, estratto di ruolo se disponibile, ecc., e va notificato alle controparti e depositato. Un avvocato o commercialista abilitato patrocinerà l’azienda (per le società il ricorso tributario richiede il difensore, oltre 3k di valore).

Procedure simili vanno seguite nel ricorso al Tribunale lavoro (in forma di ricorso ex art.442 c.p.c.) o al Giudice di Pace (ricorso L.689/81 o atto di citazione-opposizione).

In tutti i casi, sottolineiamo che l’eccezione di prescrizione va formulata chiaramente e supportata da date e norme, perché il giudice non la farà valere se il ricorrente non dimostra il decorso del tempo senza atti interruttivi.

Strategie difensive e consigli operativi per professionisti e imprese

In questa sezione offriamo una serie di strategie difensive e accorgimenti pratici che professionisti (avvocati, commercialisti, consulenti del lavoro) e imprese possono adottare nella gestione di cartelle esattoriali potenzialmente prescritte. L’obiettivo è prevenire o contrastare efficacemente le pretese ormai decadute del Fisco o di altri enti, evitando pagamenti non dovuti.

1. Monitorare costantemente la situazione debitoria e le date chiave

Il primo passo è avere un quadro aggiornato dei debiti iscritti a ruolo e delle relative date di notifica degli atti. Imprese e professionisti dovrebbero:

  • Richiedere periodicamente un Estratto di ruolo all’Agenzia Entrate-Riscossione (anche tramite cassetto fiscale o con SPID sul portale AER) per vedere l’elenco di cartelle a carico dell’azienda o del cliente, con le date di notifica.
  • Tenere un registro interno delle notifiche ricevute (cartelle, avvisi, solleciti) con indicazione del contenuto e data. Questo aiuta a calcolare il decorso della prescrizione. Ad es., annotare: “Cartella INPS n… notificata il 10/10/2017: prescrizione 5 anni -> ottobre 2022”.
  • Attenzione agli atti “mancati”: se l’impresa ha avuto cambi di sede, può darsi che alcune cartelle siano state notificate in vecchi indirizzi. Se c’è ragione di sospettarlo (arriva un estratto di ruolo con cartelle mai viste), potrebbe essere utile attivarsi (ad es. chiedendo copia delle relate di notifica). Un atto non correttamente notificato non interrompe la prescrizione, ma spesso l’ente afferma di averlo notificato: avere evidenza di eventuali nullità di notifica può distruggere la linea difensiva dell’ente.

2. Verificare la corretta notifica di eventuali atti interruttivi

Spesso l’Agente della riscossione sostiene che la prescrizione è stata interrotta da un certo atto (un sollecito, una comunicazione via PEC, ecc.). È fondamentale:

  • Chiedere all’ente la prova delle notifiche asserite: ad esempio, se sostengono di aver inviato una raccomandata nel tal giorno, esigere copia della relata o ricevuta AR. Senza prova di ricezione, l’atto non conta ai fini interruttivi.
  • Se la notifica è avvenuta via PEC, verificare di aver effettivamente ricevuto l’email PEC e la firma digitale valida. Il concessionario deve esibire la ricevuta di consegna PEC. (Spesso mandano PEC all’indirizzo risultante dal registro imprese: le imprese dovrebbero mantenere attiva e monitorata la PEC, proprio per non perdersi atti anche interruttivi).
  • Se emergono vizi di notifica (es. notifica a indirizzo errato, a persona non legittimata, mancato invio della raccomandata informativa in caso di irreperibilità relativa, ecc.), evidenziarli: un atto mal notificato è come non avvenuto ai fini prescrizionali. Inoltre, una notifica nulla può riaprire i termini di impugnazione stessi della cartella, in alcuni casi.

3. Eccepire sempre la prescrizione come primo argomento difensivo, quando applicabile

Quando si impugna un atto della riscossione, se c’è la possibilità di prescrizione, inserirla sempre tra i motivi. Anche se ci sono altri motivi (es. contestare nel merito il tributo o vizi formali), l’eccezione di prescrizione dà spesso una via più immediata per chiudere la questione. Bisogna:

  • Calcolare bene i termini per non incorrere in contestazioni: includere le sospensioni (es. periodo Covid 2020), escludere eventuali periodi in cui c’è stata dilazione (un piano di rateazione con pagamenti può interrompere e forse sospendere).
  • Allegare al ricorso la documentazione che provi le date (copia delle cartelle con relata, etc.). Il giudice può rilevare la prescrizione anche d’ufficio in alcuni casi (previdenza), ma è sempre meglio dar lui gli elementi.
  • Prepararsi a confutare eventuali atti interruttivi che l’ente opporrà: ad esempio, Equitalia in giudizio spesso produce copia di lettere di sollecito per dimostrare l’interruzione. Bisogna verificare se quelle lettere sono state realmente ricevute; in caso negativo, eccepire l’inefficacia. Esempio: “L’Agente ha prodotto un semplice sollecito di pagamento datato 2019, ma privo di prova di notifica: tale documento non interrompe la prescrizione (Cass. n. 1234/2020), pertanto il lasso temporale permane ininterrotto”.

4. Attenzione alle rateizzazioni e ai pagamenti parziali

Quando un debitore chiede una dilazione/rottamazione e versa qualche rata, riconosce il debito e quindi interrompe la prescrizione (art. 2944 c.c., riconoscimento di debito). Inoltre, la legge sulle rottamazioni in genere sospende i termini durante il periodo tra domanda e termine per pagare. Dunque:

  • Sconsigliare di rateizzare debiti presumibilmente prescritti, perché così si “rianimano”. Piuttosto, verificare prima la prescrizione e casomai impugnare per non pagare del tutto.
  • Se però il cliente ha già pagato rate di un debito poi dichiarato prescritto: le somme pagate non sono recuperabili per il principio ex art. 2940 c.c. (solutio indebiti non ripetibile su obbligazione naturale). Una volta che paghi spontaneamente un debito prescritto, la legge presume che tu lo abbia fatto consapevolmente e non consente di chiederli indietro. Quindi prevenire è meglio che curare: valutare la prescrizione prima di aderire a rateazioni o definizioni.

5. Non confondere decadenza e prescrizione, ma usarle in combinazione

Professionisti dovrebbero valutare sia la decadenza che la prescrizione:

  • La decadenza (es: cartella notificata oltre il termine previsto dalla legge per quel tributo) va eccepita subito se c’è. È un vizio originario. Tuttavia, se la cartella non fu impugnata in tempo, la decadenza non è più invocabile in ritardo (a differenza della prescrizione sopravvenuta).
  • Nel contestare un atto esecutivo tardivo, controllare comunque se l’atto originario era decaduto: in certe circostanze, la notifica tardiva di un atto impositivo può essere fatta valere senza termini se l’atto non fu mai notificato regolarmente (es. avviso di accertamento mai notificato, cartella nulla -> allora si può anche oltre i 60gg).
  • Se ci si accorge ad esempio che una cartella è stata notificata dopo i termini di legge (decadenza), e anche sono trascorsi 5 o 10 anni, mettere entrambi i motivi (decadenza e prescrizione). La decadenza colpisce la validità dell’atto, la prescrizione l’estinzione del diritto: spesso i giudici tributari preferiscono accogliere la decadenza se evidente, perché risolve il caso senza entrare in “merito” sul tempo, ma se è tardivo l’eccepibilità, si punterà sulla prescrizione.

6. Agire in autotutela e conservare le comunicazioni

Prima di andare in giudizio, si può tentare una strada amministrativa:

  • Istanza di autotutela all’ente creditore o all’Agenzia Riscossione invocando la prescrizione. Talvolta, soprattutto per piccoli importi, l’ufficio, riconosciuta la prescrizione, dispone lo sgravio. Non è garantito, ma tentare non nuoce, specie se si allegano chiare prove. L’Agenzia Entrate Riscossione in alcuni casi adotta la prassi di sospendere la riscossione su semplice dichiarazione del contribuente che attesti l’intervenuta prescrizione, salvo conferma dall’ente creditore (art. 1, co.544 L.160/2019 ha previsto la “sospensione automatica” su dichiarazione del debitore in alcuni casi, tra cui prescrizione, entro 85 gg; l’ente poi verifica). Questa procedura potrebbe evitare un ricorso.
  • Comunicare via PEC con l’Agente della Riscossione: tutto ciò che è inviato e ricevuto via PEC costituisce prova. Se si manda una diffida a non procedere per prescrizione e poi l’Agente procede lo stesso senza base, ciò può rilevare anche in giudizio (ad esempio per dimostrare mala fede e chiedere spese).
  • Conservare tutti gli atti e le buste: le buste di notifica riportano timbri postali utili a provare le date. Anche i messaggi PEC vanno archiviati. Una difesa efficace spesso si basa su dettagli di notifica (plichi consegnati oltre 60 gg etc.).

7. Effetti della prescrizione su garanzie e obblighi aziendali

Se un debito si prescrive:

  • Il fermo amministrativo su veicoli e l’ipoteca iscritti in precedenza devono essere cancellati. L’impresa può chiedere formalmente all’Agente di riscossione la cancellazione, allegando la prova (sentenza o comunque prescrizione evidente). Se l’Agente rifiuta, si può agire giudizialmente per ottenerla.
  • La prescrizione di un debito tributario non cancella automaticamente il debito dal cassetto fiscale: negli estratti talvolta rimane iscritto finché non c’è un provvedimento di sgravio. È opportuno insistere per avere lo sgravio formale, così da ripulire la posizione.
  • Un debito anche se prescritto potrebbe influire in certificazioni provvisorie (ad esempio DURC per contributi). Tuttavia, recenti prassi INPS escludono dal DURC i crediti prescritti (dopo sentenze che dicono che contributi prescritti non vanno considerati per irregolarità). Quindi l’impresa può far presente, in sede di richiesta DURC, che eventuali somme a ruolo sono prescritte, allegando atti: l’INPS dovrebbe ignorarle.
  • Nei bilanci: un debito erariale in contenzioso su prescrizione di solito viene stralciato una volta che si ha la certezza (sentenza passata in giudicato) dell’estinzione. Occorre quindi seguire anche contabilmente l’iter (ad es. accantonando meno fondi per rischi mano a mano).

8. Consigli speciali per i professionisti difensori

  • Quando un cliente vi porta una cartella o un plico di intimazioni, controllate subito le date più che entrare nel merito dell’importo. Se c’è margine di prescrizione, è più efficace puntare su quello che su contestazioni di merito che possono essere incerte.
  • Restate aggiornati su giurisprudenza: la Cassazione continua a produrre sentenze in materia. Ad esempio, saper citare l’ultima ordinanza di Cassazione del 2024 che conferma i 5 anni per un tributo locale può convincere il giudice e tagliare corto.
  • Non abbiate timore di eccepire la prescrizione anche se il precedente orientamento locale fosse diverso: a volte Commissioni di una certa regione erano solite dare 10 anni ad alcuni tributi, ma con argomenti adeguati (soprattutto citando SU e Cassazioni recenti) potete ottenere un revirement. Esempio: alcuni giudici tributari vecchia scuola applicavano 10 anni a TARSU, ma oggi dopo SU e Cass. 2022 è difficile sostenere quella tesi.
  • In fase di trattazione, se l’ente resiste, sottolineate l’aspetto di ordine pubblico dell’istituto e l’irragionevolezza di protrarre un’azione oltre i termini (anche facendo leva sull’art.24 Cost come fece Cass. 2020). Ciò “sensibilizza” il giudice sul fatto che la prescrizione tutela valori primari.

9. Prevenire la decadenza dei crediti interni (punto di vista opposto)

Questo è un aspetto manageriale: se siete consulenti di un’azienda creditrice (non debitore, ma creditore) verso enti pubblici (rimborsi, crediti d’imposta), ricordate che la prescrizione funziona anche al contrario. Ma soprattutto, se rappresentate un ente pubblico (o una concessionaria), assicuratevi di compiere atti interruttivi prima della scadenza dei termini, per non perdere il diritto. Ad esempio, molti Comuni hanno iniziato a inviare massivamente solleciti entro fine anno per non far prescrivere IMU/TARI 2017-2018 allo scadere del 2022-2023. Sapere i termini serve anche a riscuotere efficacemente.

In conclusione, una difesa attiva e competente sui temi della prescrizione può far risparmiare a contribuenti e imprese somme ingenti, evitando pagamenti non dovuti e sanzioni indebite. Nel prossimo capitolo risponderemo alle domande frequenti, chiarendo ulteriori dubbi ricorrenti sull’argomento.

Domande frequenti (FAQ) sulla prescrizione dei debiti Equitalia/AER

D: Qual è la differenza tra prescrizione e decadenza in materia di cartelle esattoriali?
R: La decadenza è il termine entro cui l’ente deve compiere un atto (ad es. notificare un accertamento o una cartella) pena la perdita del potere di farlo. La prescrizione è il termine oltre il quale, in assenza di azioni di riscossione, il diritto al pagamento si estingue. La decadenza opera “a monte” (sull’emissione dell’atto impositivo), la prescrizione “a valle” (sulla possibilità di riscuotere un credito già accertato). Ad esempio, per IRPEF l’accertamento va notificato entro il 5° anno successivo (decadenza); dopo l’accertamento definitivo, l’esazione va compiuta entro 10 anni (prescrizione) salvo atti interruttivi. Se un atto è decaduto, è viziato ab origine; se un credito è prescritto, l’atto di riscossione emesso dopo rimane valido in sé ma il debitore può opporre l’estinzione del debito.

D: Come calcolo esattamente il termine di prescrizione di un debito?
R: Individua la data di decorrenza (dies a quo) che di solito è: per una cartella, il 61° giorno dopo la notifica; per un avviso di addebito INPS, il giorno successivo alla notifica; per una multa, il giorno successivo alla definitività del verbale (60 gg dopo notifica se non pagato). Da quella data calcola in avanti il numero di anni previsto (3, 5 o 10) – attenzione a contare gli anni per intero fino al corrispondente giorno. Spesso si usa come riferimento il termine al 31 dicembre dell’anno X. Ad esempio, cartella notificata il 10/03/2018 con prescrizione quinquennale: decorre dal 10/05/2018 (61° giorno) e scade il 10/05/2023; in pratica, dopo il 10 maggio 2023 il credito è prescritto. Per semplicità molti considerano “fine anno”: di fatto in questo esempio a fine 2023 è certamente prescritto. Per il bollo auto c’è indicazione di legge: 31 dicembre del terzo anno successivo. Ricorda di escludere eventuali sospensioni legali (es. periodi Covid) e di far ripartire da capo il conteggio se c’è stato un atto interruttivo (da cui decorre di nuovo per intero il termine).

D: Un avviso bonario o un sollecito di pagamento interrompe la prescrizione?
R: Sì, se viene comunicata formalmente al debitore la richiesta di pagamento, si tratta di costituzione in mora che interrompe la prescrizione (art. 2943 c.c.). Tuttavia, deve trattarsi di una comunicazione di cui si possa provare la ricezione (raccomandata A/R, PEC, notifica tramite messo). Un semplice sollecito via posta ordinaria non fa fede e dunque non interrompe. Spesso Equitalia spedisce “avvisi bonari” non tracciati: questi non valgono come interruttivi. Invece una intimazione di pagamento ufficiale o una comunicazione di presa in carico del debito inviata via PEC sì, interrompono. Dopo ogni interruzione, il termine ricomincia per intero. Importante: un atto interruttivo, se non è un titolo giudiziale, non trasforma la prescrizione breve in decennale. Ad esempio, un sollecito per multa interrompe e riparte 5 anni, non 10.

D: Non ho mai ricevuto la cartella, ma solo una comunicazione anni dopo: posso far valere la prescrizione?
R: Se non hai mai ricevuto la cartella (magari perché notificata in un luogo errato o a un omonimo), giuridicamente l’ente non ha compiuto atti interruttivi validi nei tuoi confronti. Puoi impugnare l’estratto di ruolo (eccezionalmente ammesso) o aspettare un atto esecutivo e impugnarlo, sostenendo: (a) la cartella non fu notificata, quindi chiedi nullità; (b) in ogni caso sono passati oltre X anni, quindi il credito è prescritto. I giudici tributari tendono a richiedere che tu venga a conoscenza del debito in qualche modo per darti accesso alla tutela. Se l’unica conoscenza è “so per caso di avere un debito”, potresti fare istanza in autotutela e poi, se respinta o muta, presentare ricorso per far dichiarare prescrizione. È un terreno delicato, ma in principio se la notifica è mancata per colpa dell’ente, il tempo trascorso conta comunque per la prescrizione (non essendoci state interruzioni a te note). Spesso in tali casi la difesa unisce nullità notifica e prescrizione: se il giudice per scrupolo non accoglie la prescrizione, certamente annullerà per notifica irregolare, costringendo l’ente a rinotificare (ma se il tempo è trascorso, nel frattempo sarà prescritto comunque!).

D: Se pago una cartella o un debito che in realtà era prescritto, posso chiedere il rimborso?
R: In linea di massima no. Il Codice Civile (art. 2940) stabilisce che “non si può ripetere ciò che è stato spontaneamente pagato in adempimento di un debito prescritto”. Il pagamento di un debito prescritto è considerato un adempimento spontaneo di un’obbligazione naturale; la legge presume che chi ha pagato lo abbia fatto coscientemente pur sapendo della prescrizione, come un dovere morale. Anche se in realtà molti pagano per errore o ignoranza, la norma preclude il rimborso. Ci sono state rare eccezioni in giurisprudenza quando il pagamento non era davvero spontaneo (es. estorto con minaccia di esecuzione illegittima), ma sono casi limite e difficili da sostenere. Quindi è fondamentale verificare prima. Se hai pagato e scopri dopo la prescrizione, difficilmente otterrai indietro i soldi, salvo un gesto di autotutela volontario dell’ente (improbabile).

D: Ho ottenuto una rateizzazione su una cartella, poi mi sono accorto che era prescritta. Interrompere i pagamenti ora serve?
R: Chiedere la rateizzazione ha già implicato un riconoscimento del debito, che interrompe la prescrizione alla data della domanda (o del primo pagamento). Inoltre spesso nelle istanze di dilazione c’è una rinuncia alle eccezioni. Sospendere i pagamenti non “annulla” il riconoscimento fatto: purtroppo l’ente potrebbe averti “risvegliato” il debito. Tuttavia, se era già prescritta prima della domanda di rateazione, dottrina e qualche sentenza dicono che un atto di riconoscimento di un debito già prescritto non fa rivivere il debito (perché non c’è più nulla da riconoscere). Su questo c’è dibattito: c’è chi qualifica il pagamento come nova negotia (nuovo contratto di pagamento) – ma trattandosi di rapporto tributario, prevale l’idea che il diritto pubblico già estinto non resuscita. In pratica, potresti tentare di interrompere i pagamenti e eccepire che il debito era già prescritto prima e la rateazione non poteva validarlo. L’esito però è incerto: alcuni giudici potrebbero dire che hai rinunciato all’eccezione. Quindi questa è una zona grigia. Se sei in una rateizzazione sospetta, rivolgiti a un legale per valutare se c’erano margini per sostenere la prescrizione pregressa.

D: La prescrizione si applica anche ai debiti ereditati da precedenti gestioni?
R: Sì, la prescrizione riguarda il diritto alla riscossione in sé, indipendentemente da chi sia il concessionario. Ad esempio, Equitalia è confluita in AdER nel 2017: il passaggio non interrompe nulla. Oppure se un ente locale revoca Equitalia e affida a una società privata o viceversa, il termine resta quello. Come ha detto la Cassazione, il subentro dell’Agenzia Entrate Riscossione non muta la natura né i termini del credito. Quindi non c’è “azzeramento” dei tempi. Se una cartella Equitalia 2010 era prescritta nel 2015, anche se dal 2017 c’è AdER, rimane prescritta. Allo stesso modo, se l’INPS affida all’Agente la riscossione di un contributo, questi non può pretendere 10 anni anziché i 5 propri.

D: La prescrizione di un debito comporta la cancellazione automatica nei sistemi?
R: Non automaticamente. Un debito prescritto esiste tecnicamente ancora nel “ruolo”, ma non è più esigibile. L’Agenzia Entrate-Riscossione non può autonomamente eliminarlo se l’ente creditore non gliene dà disposizione, a meno che intervenga una legge di annullamento (ad es. le varie sanatorie). Quindi è probabile che il debito rimanga visibile nell’estratto fino a quando non fai qualche azione (ricorso vinto, istanza di sgravio accolta) per toglierlo. Ad esempio, capita di vedere ancora in estratto cartelle prescrittissime. Formalmente, finché l’ente non lo discarica, l’Agente potrebbe anche tentare azioni (illegittime, ma il computer non lo sa!). Pertanto, se sai che un debito è prescritto, il consiglio è di attivarti per ottenerne lo sgravio formale. Questo può voler dire fare ricorso e ottenere una sentenza, oppure convincere l’ente in autotutela. Una volta sgravato, anche l’estratto di ruolo sparirà (o apparirà “annullato”). Se invece non fai nulla, potrebbe rimanere lì pendente e magari bloccarti per un DURC o per altre procedure finché non chiarisci che è prescritto.

D: Se un debito è prescritto, può essere incluso in una rottamazione o saldo e stralcio?
R: Tecnicamente un debito prescritto non andrebbe pagato affatto, né rottamato. Tuttavia, nelle definizioni agevolate di massa (tipo “rottamazione-quater” del 2023) vengono inclusi tutti i debiti formalmente a ruolo in certi anni, senza distinguere prescritti o no: sta al contribuente valutare. Se un debito è chiaramente prescritto e non ci sono rischi (ad es. nessun atto interruttivo, 10 anni passati), è meglio non inserirlo in rottamazione ma procedere per l’annullamento. Viceversa, se non sei sicuro e la rottamazione offre un forte sconto, potresti usarla come soluzione pragmatica (ma riconosceresti il debito). In genere, però, prescrizione e rottamazione sono alternative: la rottamazione è utile per debiti non prescritti di cui vuoi ridurre sanzioni/interessi; se è prescritto, è già azzerabile del tutto per via legale.

D: Quali recenti novità normative (fino al 2025) hanno impatto sulla prescrizione dei debiti?
R: Oltre alle già citate sospensioni Covid del 2020 e seguenti (che hanno esteso i termini di quei periodi), ricordiamo:

  • La Legge di Bilancio 2023 (L. 197/2022) ha disposto lo stralcio automatico dei debiti fino 1.000 € affidati entro 2015 e la definizione agevolata (rottamazione quater) dei ruoli 2000-2017. Lo stralcio cancella molti debiti piccoli, ma è distinto dalla prescrizione: è un condono, non richiede eccezioni. Ai fini prescrizionali, tuttavia, quell’anno di “colpo di spugna” (Marzo 2023 per gli under 1000€) ha eliminato vari crediti che magari erano comunque prescritti (ad es. multe datate).
  • La Riforma della giustizia tributaria (L. 130/2022) non ha toccato direttamente la prescrizione, se non nel nome del giudice (Commissione→Corte Giustizia Tributaria).
  • Il D.Lgs. 119/2018 (attuativo riforma riscossione) ha introdotto l’obbligo per Agenzia Riscossione di comunicare ogni anno all’ente creditore i crediti prescritti o decaduti, per lo sgravio. Ma questa è una procedura interna: l’ente dovrebbe poi procedere. Purtroppo spesso non avviene in automatico, quindi non fa molto affidamento su questa pulizia spontanea.
  • A livello UE, la giurisprudenza Taricco (in ambito penale) non riguarda la riscossione amministrativa, per cui nulla di europeo incide qui (il Taricco riguardava prescrizione reati IVA).
  • Novità 2025: al momento, nessuna legge nuova ha modificato i termini di prescrizione per imposte o contributi. Eventuali future riforme potrebbero unificare termini o introdurre prescrizioni più brevi per certe entrate (era in discussione la riduzione a 5 anni per tutte le imposte, ma non si è legiferato in tal senso finora).

D: Una sentenza di condanna del giudice (es: Commissione Tributaria o Corte d’Appello lavoro) ha termini propri?
R: Sì. Se tu fai ricorso contro un avviso e perdi in via definitiva (passa in giudicato la sentenza che conferma il debito), quel giudicato è equiparato a un titolo esecutivo giudiziario: la riscossione a quel punto si prescrive in 10 anni ex art. 2953 c.c.. Attenzione: se invece fai ricorso e vinci, e poi l’ente non ti rimborsa le somme entro un certo tempo, il tuo credito di rimborso avrà anch’esso prescrizione decennale (credito da sentenza a tuo favore). In sostanza, il giudicato “cristallizza” la situazione e apre un nuovo termine decennale a suo favore. Questo è uno dei pochi casi in cui la prescrizione si allunga: l’avevamo spiegato, conversione del termine breve in decennale vale solo col giudicato. Quindi è bene soppesare anche: se stai per perdere in Cassazione, l’ente poi avrà altri 10 anni per riscuotere, anche se magari era passato del tempo prima – perché la sentenza ridà linfa.

D: Dopo quanti anni Equitalia non può più pignorare nulla?
R: Non c’è un tempo unico per tutti: dipende dal debito. Se è IRPEF, dopo 10 anni senza atti; se è IMU, dopo 5 anni; se è bollo auto, dopo 3 anni. Se parliamo in generale, spesso si cita “dopo 20 anni decade tutto”: non è esatto, 20 anni è il tempo oltre il quale anche un atto giudiziario (es. sentenza) deve essere rinnovato, ma nel nostro ambito i termini sono inferiori. Diciamo che il limite massimo assoluto è 10 anni (per i tributi erariali e titoli giudiziari). Quindi, in generale, se passano oltre 10 anni senza escussione, nessuna cartella è più eseguibile, salvo rarissimi casi (accise penali etc). Quindi un pignoramento non avviato entro 10 anni di silenzio sarebbe illegale. Ricordiamo però che atti come l’intimazione di pagamento, anche se oltre un anno dalla cartella, “riattivano” la possibilità di pignorare per altri 180 giorni (norma art. 50 DPR 602). Ma se l’intimazione stessa arriva fuori prescrizione, è inefficace.

D: Un’ipoteca iscritta su un immobile per una cartella prescritta rimane valida?
R: No, l’ipoteca presuppone un credito valido. Se il credito si estingue per prescrizione, la garanzia reale non ha più causa. Occorre però far valere ciò: tipicamente con un ricorso al giudice (commissione tributaria) per far dichiarare cessati gli effetti dell’ipoteca e ordinarne la cancellazione, deducendo che la cartella è prescritta. Anche in via di autotutela si può chiedere all’Agenzia Entrate-Riscossione la cancellazione (fornendo la prova che il credito è prescritto e quindi chiedendo lo sgravio). Finché non viene cancellata formalmente, purtroppo rimane nei registri. Quindi serve un atto ufficiale (sentenza o provvedimento di assenso dell’ente). Se l’Agenzia rifiuta ingiustificatamente, si può agire per ottenerla coattivamente (azione di responsabilità o ricorso). Ma in genere, ottenuta una sentenza di prescrizione, l’agente cancella su richiesta.

D: È vero che se non arriva alcun sollecito entro un anno la cartella “decade”?
R: C’è un po’ di confusione su questo. Esiste l’art. 50, c.2, DPR 602/73 che impone all’Agente di notificate un’intimazione prima di procedere all’esecuzione se è trascorso più di un anno dalla notifica della cartella. Questo però non significa che la cartella “decade” dopo un anno. Significa solo che, se l’agente vuole pignorare dopo un anno, deve prima mandare un preavviso (intimazione) e poi ha 180 giorni per agire. Se trascorrono 180 giorni dall’intimazione senza agire, quell’intimazione perde efficacia e ne servirà un’altra. Ma la cartella rimane valida (entro i limiti prescrizionali). Dunque la voce “un anno e la cartella cade” non è vera in termini di diritto sostanziale: è un vincolo procedurale per il concessionario, non un termine di decadenza del credito. Non si può eccepire la decadenza dopo un anno; si può eccepire semmai che manca l’intimazione se hanno pignorato dopo molto tempo (violazione art.50 DPR 602, vizio procedura esecutiva). Ma quell’intimazione mancante la sanano facendola ora (non comporta annullamento del debito, solo del pignoramento se mai).

Queste sono le risposte alle domande più frequenti. In caso di situazioni specifiche, è sempre consigliabile consultare la normativa aggiornata e le pronunce più recenti, oltre a rivolgersi a un professionista qualificato.

Simulazioni pratiche di casi di prescrizione

Per comprendere meglio come applicare le regole illustrate, presentiamo alcune simulazioni pratiche con cronologie di eventi. Questi esempi mostrano timeline reali di notifiche e atti, e la valutazione finale se il debito risulta prescritto o ancora esigibile.

Esempio 1: Tributo erariale (IRPEF) – nessuna attività per oltre 10 anni

  • Anno d’imposta 2012: La società Gamma presenta la dichiarazione dei redditi, ma omette il versamento di €10.000 di IRPEF dovuta.
  • 30/09/2017: L’Agenzia delle Entrate notifica un avviso di accertamento per IRPEF 2012, che Gamma non impugna entro 60 giorni, rendendolo definitivo.
  • 20/02/2018: Viene emessa e notificata a Gamma una cartella di pagamento per IRPEF 2012 (da ruolo reso esecutivo dopo l’accertamento definitivo). Gamma, in difficoltà finanziarie, né paga né ricorre. La cartella diviene definitiva dal 22/04/2018 (scaduti i 60 giorni).
  • Dopo il 2018: Silenzio totale. Né Agenzia Entrate né Agenzia Riscossione compiono atti (nessuna intimazione, nessun sollecito).
  • Situazione a Maggio 2025: Sono trascorsi oltre 7 anni dalla notifica della cartella, e oltre 10 anni dalla data di scadenza originaria (2013) e di definitività (2017). Il credito IRPEF erariale ha termine prescrizionale decennale. La data chiave è aprile 2028 (dieci anni dopo la cartella esecutiva). A maggio 2025, in realtà, non sono ancora decorsi dieci anni dalla notifica della cartella (2018–2025 = 7 anni). Quindi, formalmente, il credito non è ancora prescritto (potrebbe prescriversi il 22/04/2028). Tuttavia, va considerato il periodo Covid: 8 marzo – 31 agosto 2020 sospeso, aggiunge 5.8 mesi, spostando la scadenza a circa inizio novembre 2028. Se entro quella data nessun atto verrà notificato, allora il debito si prescriverà. Al 2025 Gamma non può eccepire prescrizione (solo inerzia di 7 anni finora). Attenzione però: se questo fosse stato un controllo automatizzato e la cartella fosse stata l’unico atto nel 2018, si potrebbe discutere di prescrizione quinquennale, nel qual caso a febbraio 2023 sarebbe già prescritto. Ma qui c’era un accertamento, quindi titolo definitivo -> 10 anni.
  • Esito: Non ancora prescritta (prescrivibile nel 2028). Strategia per Gamma: attendere e sperare in nessun atto fino ad allora. Se riceve un intimazione prima del 2028, quell’intimazione interrompe e fa ripartire 10 anni da capo (perché credito erariale su titolo definitivo decennale). Quindi eventuale intimazione nel 2025 renderebbe esigibile fino al 2035. Gamma potrebbe comunque contestare eventuali vizi (ma non prescrizione, che non c’è ancora).

Esempio 2: Tributo locale (TARI) – prescrizione quinquennale maturata

  • Anno 2016: Il Sig. Rossi non paga la TARI dovuta al Comune Alfa per €500.
  • Termine accertamento: Il Comune avrebbe potuto notificare un avviso di accertamento TARI 2016 entro il 31/12/2021 (5 anni, L.296/2006). Supponiamo che non lo faccia.
  • 31/12/2021: Scade il termine di decadenza per accertare la TARI 2016. Il diritto del Comune a pretendere il tributo non accertato è ormai decaduto. Ma consideriamo la prescrizione: dal 01/01/2017 (giorno in cui il tributo era esigibile) al 31/12/2021 trascorrono 5 anni, quindi si compie anche la prescrizione quinquennale. Dunque a inizio 2022 il debito è doppiamente inesigibile (decaduto e prescritto).
  • Marzo 2022: Malgrado la decadenza, il Comune iscrive tardivamente a ruolo la TARI 2016 e l’Agenzia Riscossione notifica a Rossi una cartella in data 10/03/2022.
  • Reazione: Rossi, informato dal suo consulente, presenta ricorso in Commissione Tributaria eccependo sia la decadenza (cartella emessa oltre 5 anni) sia la prescrizione (5 anni trascorsi). Il giudice accoglie il ricorso: in verità bastava la decadenza per annullare la cartella, ma viene rilevata anche la prescrizione già maturata al momento dell’emissione. La cartella è annullata. Il Comune non può più far nulla (il tributo è perso).
  • Esito: Prescritta. Qui la prescrizione era maturata addirittura prima della cartella (fine 2021). Rossi avrebbe potuto anche semplicemente non pagare e opporsi all’eventuale esecuzione successiva, ma giustamente ha agito subito.

Esempio 3: Contributi INPS – interruzione a metà, poi prescrizione

  • 2015: L’azienda XYZ omette il versamento di contributi INPS per €20.000 dovuti sul IV trimestre 2014 (scadenza 16/02/2015).
  • Da febbraio 2015 decorre la prescrizione (5 anni).
  • Ottobre 2017: L’INPS emette un avviso di addebito per quei contributi e lo notifica via PEC il 10/10/2017. Questo atto interrompe la prescrizione a 2 anni e 8 mesi circa dall’inizio, e fa ripartire il termine di 5 anni dal 11/10/2017. Quindi nuova scadenza prescrizione: 11/10/2022.
  • XYZ non paga né ricorre (magari sottovaluta l’importo).
  • Nessun atto ulteriore dal 2017 al 2022.
  • Ottobre 2022: Decorsi 5 anni dalla notifica avviso, il credito contributivo è prescritto (nuovamente). L’INPS avrebbe potuto far notificare una cartella o un’intimazione entro quella data per interrompere ancora, ma supponiamo non l’abbia fatto.
  • Gennaio 2023: Agenzia Entrate-Riscossione notifica una intimazione di pagamento per quei contributi, facendo riferimento all’avviso 2017 e minacciando esecuzione.
  • Azione difensiva: XYZ, tramite avvocato, propone opposizione al Tribunale (sez. lavoro) entro 40 giorni dall’intimazione, eccependo che il credito è prescritto perché sono passati oltre 5 anni dall’atto interruttivo del 2017. Produce l’avviso di addebito e l’intimazione per dimostrare le date. Il Tribunale dà ragione a XYZ: dichiara nulla l’intimazione e accertata la prescrizione del credito, citando L.335/95.
  • Esito: Prescrizione maturata nel 2022. XYZ non dovrà pagare. Se l’INPS/AER avessero inviato un sollecito scritto prima di ottobre 2022, avrebbero prolungato la vita del credito di altri 5 anni (fino 2027). Non avendolo fatto, intimazione del 2023 è tardiva. Questo scenario è comune: molti avvisi INPS rimasti dormienti sono caduti in prescrizione quinquennale in assenza di solleciti.

Esempio 4: Multa stradale – successione di atti entro 5 anni

  • 10/01/2018: Violazione al Codice della Strada (eccesso velocità). Verbale notificato il 20/02/2018 a Mario Bianchi.
  • Mancato pagamento: Bianchi non paga né fa ricorso. Dal 22/04/2018 (61° giorno dopo notifica verbale) la sanzione è esecutiva. Prescrizione iniziale: 5 anni dal 22/04/2018 -> 22/04/2023.
  • 05/03/2019: La Prefettura iscrive a ruolo la sanzione e AER notifica la cartella il 10/03/2019 (entro 1 anno dalla violazione, rispettando il CdS). La cartella interrompe la prescrizione. Da 11/03/2019 decorrono nuovi 5 anni -> 11/03/2024.
  • 02/02/2022: AER invia per PEC a Bianchi un sollecito di pagamento della cartella. Questo è atto interruttivo (tracciato via PEC). Nuova decorrenza 03/02/2022 per 5 anni -> 03/02/2027.
  • Situazione a 2025: Non è ancora prescritta (prescriverà nel 2027 se non succede altro).
  • Bianchi paga due rate nel 2019 poi si ferma: Il pagamento delle rate comporta riconoscimento parziale, comunque l’ultimo atto considerato è stato il sollecito 2022. La rateazione non conclusa potrebbe aver sospeso per quel periodo, ma in soldoni, la prescrizione continua dal 2022.
  • Conclusione: Nessuna prescrizione al 2025. Se Bianchi lasciasse correre e nessun altro atto arrivasse, solo dopo feb 2027 potrebbe opporre prescrizione. Ma quasi certamente, prima di allora, AER procederà con un fermo o pignoramento – Bianchi potrà al limite opporsi allora, ma se quell’azione è entro feb 2027 sarà ancora in tempo l’Agente.

Questo esempio mostra un caso in cui gli atti cadenzati (cartella, sollecito) hanno tenuto in vita il credito ben oltre 5 anni dalla violazione, impedendo la prescrizione.

Esempio 5: Tassa automobilistica (bollo auto) – prescrizione triennale non interrotta

  • Anno tributario 2019: Bollo auto di €300 dovuto per l’anno 2019, scadenza pagamento 31/01/2019. Il proprietario, Sig. Verdi, non paga.
  • Decorrenza prescrizione: Dal 01/01/2020 iniziano i 3 anni, che porteranno al 31/12/2022.
  • Attività Regione: La Regione avrebbe dovuto notificare un avviso di pagamento entro il 31/12/2022. Supponiamo che non invii nulla entro quella data.
  • 01/01/2023: La tassa auto 2019 è formalmente prescritta.
  • Marzo 2023: La Regione (o il suo concessionario) si accorge dell’omesso pagamento e iscrive a ruolo il bollo 2019. AER notifica una cartella a Verdi il 20/03/2023.
  • Verdi cosa può fare: La cartella è stata emessa quando il diritto era già estinto (dopo tre anni). Verdi presenta ricorso al Giudice Tributario entro 60 giorni, eccependo la prescrizione triennale maturata il 31/12/2022. Allega la visura PRA dell’auto (dimostra possesso nel 2019) e l’estratto di ruolo con la data di emissione cartella. Il giudice accoglie: la norma del bollo è chiara nel fissare 3 anni, e la cartella 2023 è oltre il termine. Cartella annullata.
  • Esito: Debito non riscuotibile per prescrizione. Anche se la Regione eccepisse “stop Covid”, qui il 2020 fu sospeso 5 mesi, spostando la scadenza al 1°maggio 2023 circa – ma la Cassazione ha detto che le Regioni non possono estendere il bollo oltre 3 anni nemmeno per legge locale. La questione Covid sul bollo potrebbe essere discussa, ma molti ritengono che la sospensione dei termini tributari valga anche per il bollo (essendo tributo), quindi forse il 2020 non conta e la prescrizione sposti a maggio 2023. In tal caso, la cartella di marzo 2023 sarebbe arrivata prima di maggio e dunque in tempo! Questo è un dettaglio: bisognerebbe vedere se la legge di sospensione includeva espressamente le entrate regionali come il bollo (probabilmente sì come termini di versamento/proroga). Diciamo però che, sospensione a parte, il bollo ha tempi strettissimi, ed è facile che enti minori se li perdano.
  • Variante: Se la cartella fosse stata notificata a gennaio 2023 (cioè immediatamente dopo i 3 anni), e la sospensione 2020 non valesse, Verdi vincerebbe. Se la sospensione valesse, quella cartella a gennaio 2023 in realtà sarebbe in tempo perché i 5 mesi di 2020 spostano al giugno 2023 la prescrizione. Questo mostra come le sospensioni Covid possano incidere in modo non intuitivo: vanno sempre considerate per sicurezza.

Esempio 6: Somma non tributaria (affitto comunale) – periodicità e prescrizione

  • Fatto: Una ditta ha un contratto di affitto di locale comunale con canone annuale €5.000. Non paga i canoni 2016, 2017, 2018.
  • Prescrizione: Essendo canoni d’affitto, diritti di credito patrimoniali periodici, si prescrivono in 5 anni (art. 2948 c.c.). Quindi canone 2016 -> prescritto a fine 2021; canone 2017 -> fine 2022; 2018 -> fine 2023.
  • Attività Comune: Il Comune affida a Società di riscossione i canoni nel 2022, che notifica un’ingiunzione (R.D.639/1910, assimilabile a cartella) il 01/07/2022 richiedendo tutti e tre gli anni.
  • Analisi: Al 01/07/2022 i canoni 2016 e 2017 sono già prescritti (oltre 5 anni da scadenza), quello 2018 no (scade fine 2023). La ditta impugna l’ingiunzione al Tribunale civile (trattandosi di entrata patrimoniale da contratto, giurisdizione ordinaria) eccependo prescrizione per 2016-17. Verosimilmente il giudice dichiarerà inesigibili quei due e ingiungerà solo il 2018 (o annullerà in parte l’atto). Per quello 2018, se la ditta trascina il giudizio oltre fine 2023, potrà poi dire che intanto si è prescritto pure quello (ma attenti: l’atto del 2022 ha interrotto e fatto ripartire il termine anche per 2018, quindi no, 2018 ora scadrà 01/07/2027 se considerato interrotto).
  • Esito: i canoni 2016-17 persi, 2018 ancora dovuto. Chiave di lettura: in obbligazioni separate annuali, la prescrizione si valuta per ciascuna annualità.

Questi esempi illustrano le dinamiche più comuni e come applicare le regole. Ogni caso reale può presentare particolarità (sospensioni, ricorsi pendenti che sospendono a loro volta la riscossione, ecc.), ma l’impostazione rimane quella: identificare atti e tempi, confrontarli col termine di legge appropriato, concludere se prescrizione maturata o no.

Conclusioni e indicazioni operative finali

Abbiamo percorso l’intero panorama della prescrizione dei debiti affidati a Equitalia (ora Agenzia Entrate-Riscossione), esaminando normative e orientamenti giurisprudenziali fino al maggio 2025. Le regole chiave emerse possono essere così riassunte:

  • Conoscere il termine giusto: ogni tipo di credito ha il “suo” termine di prescrizione (3, 5 o 10 anni, secondo la natura e le leggi speciali). Determinare correttamente questo termine è il primo passo di qualsiasi analisi di una posizione debitoria. La tabella riepilogativa fornita in questa guida aiuta a individuare i termini per le voci più comuni.
  • Tenere traccia del tempo: per imprese e consulenti è fondamentale mantenere un calendario degli atti e delle scadenze. Implementare sistemi di alert interno (per sapere, ad esempio, che a tal data matura la prescrizione di un certo debito se nulla accade) può consentire di prendere decisioni informate: ad esempio, attendere la prescrizione per eccepirla, oppure sollecitare l’ente a definire la situazione prima che decada (nel caso in cui l’azienda sia creditrice di rimborsi, è l’opposto).
  • Agire tempestivamente: se si riceve un atto della riscossione e si ravvisa la prescrizione, attivarsi subito con un ricorso o un’opposizione è la strada più sicura per far valere i propri diritti. Anche un semplice sollecito può preludere ad azioni più gravi: mai ignorare le comunicazioni pensando “tanto è prescritto”, meglio formalizzare la contestazione (via PEC o ricorso) per creare un documento che attesti la vostra eccezione di prescrizione. Ciò mette pressione all’ente e tutela voi se nel frattempo procedono comunque.
  • Gestire i rapporti con l’Agente della Riscossione: ricordiamo che Agenzia Entrate-Riscossione offre alcuni canali di assistenza (sportelli, PEC) cui si può presentare un’istanza di verifica. Negli ultimi anni, normative come l’art. 4 D.L. 119/2018 impongono all’Agente di comunicare ai creditori i casi di prescrizione maturata. In certi casi, se contattato, l’Agente può consigliare di fare un’istanza di sospensione legale della riscossione, adducendo la prescrizione (procedura art. 1 commi 537-543 L.160/2019): se l’ente creditore non risponde entro 220 giorni, il debito viene annullato di diritto. È una procedura a volte usata per evitare contenziosi su prescrizioni palesi, e conviene informarsi se applicabile.
  • Non avere remore a eccepire la prescrizione: un tempo c’era quasi un senso morale di “pagare comunque il dovuto anche se prescritto”. Ma in un contesto imprenditoriale, pagare un debito legalmente non più esigibile significa pregiudicare le risorse dell’azienda. La Cassazione ha evidenziato che protrarre l’esposizione indefinitamente lede il diritto di difesa costituzionale. Far valere la prescrizione è un vostro diritto pieno e una leva di legalità, non un cavillo. Gli enti pubblici hanno doveri di diligenza: se hanno lasciato passare il tempo, la legge li priva del diritto come contrappeso. In sintesi: se un credito è prescritto, non abbiate dubbi nel contestarlo.
  • Considerare le alternative: in talune situazioni, specialmente con la mole di cartelle in Italia, lo Stato propone “rottamazioni” o sanatorie che possono includere debiti anche prescritti. Valutate caso per caso: può essere più vantaggioso chiudere subito pagando poco (se la prescrizione non è sicura o dovreste affrontare spese legali alte), oppure perseguire l’annullamento totale in giudizio. Ogni scelta va ponderata con un consulente, anche in ottica di tempi e costi.

Per le imprese e i consulenti legali in particolare, ecco alcune indicazioni operative finali:

  • Effettuare un audit periodico dei ruoli aperti: soprattutto prima di operazioni straordinarie (fusioni, acquisizioni) o di fine anno. Individuare debiti che appaiono prescritti e predisporre le azioni di stralcio.
  • In sede di bilancio: distinguere nei fondi rischi le posizioni prescritte (che potrebbero essere liberate previa azione legale) rispetto a quelle effettivamente esigibili.
  • Negoziazioni con il Fisco: talvolta, in transazioni fiscali o adesioni, l’Agenzia delle Entrate propone di compensare partite. Qui sapere che alcuni ruoli sono prescritti vi evita di “concedere” sul tavolo importi non dovuti.
  • Formazione del personale amministrativo: chi gestisce in azienda la posta e i pagamenti deve avere nozione di queste tempistiche, così da segnalare al legale interno o al consulente eventuali cartelle relative a anni remoti o già pagati. Non di rado, errori di doppia imposizione emergono e se l’azienda paga senza controllare, poi non recupera più. Una breve formazione sui concetti di base di prescrizione/decadenza per chi gestisce tributi può evitare errori costosi.
  • Rapporti con i clienti (nel caso di consulenti): se siete commercialisti o avvocati con delega a ricevere per i clienti gli atti via PEC, implementate filtri e alert per rilevare atti che se non contestati in 60gg diventano definitivi. Ad esempio, se arriva un’intimazione per un cliente su un debito del 2010, saprete immediatamente di poter far ricorso per prescrizione. Offrire proattivamente ai clienti un servizio di check-up ruoli prescritti può essere di valore e fidelizzante.

In conclusione, la gestione della prescrizione dei debiti fiscali e contributivi è un terreno in cui conoscenza e tempismo fanno la differenza. Il quadro normativo attuale – consolidato da pronunce autorevoli – offre ai contribuenti una serie di tutele importanti, che vanno però esercitate correttamente e in tempo. Equitalia/Agenzia Entrate-Riscossione non è onnipotente: deve anch’essa rispettare le scadenze e subisce l’estinzione dei crediti come qualunque altro creditore, come più volte affermato in sede giudiziaria.

Ci auguriamo che questa guida avanzata, con il suo approccio sia teorico che pratico, possa aiutare professionisti e imprenditori a navigare con successo in questo ambito, facendo valere i propri diritti e risparmiando risorse dove legittimamente possibile. Per approfondimenti specifici, si rimanda alle fonti normative e giurisprudenziali seguenti, che consigliamo di consultare direttamente per un dettaglio ulteriore.


Fonti normative e giurisprudenziali

Normativa Italiana:

  • Codice Civile: artt. 2934-2963 c.c. – disposizioni generali sulla prescrizione (in particolare: art. 2946 c.c. prescrizione ordinaria 10 anni; art. 2948 c.c. prescrizione 5 anni per prestazioni periodiche; art. 2953 c.c. prescrizione dei diritti da provvedimento giudiziale in 10 anni).
  • Legge 689/1981: art. 28 – termine di prescrizione quinquennale per le sanzioni amministrative.
  • D.P.R. 602/1973: art. 25 – termini di decadenza per notifica cartelle su imposte dirette; art. 49-50 – intimazione di pagamento ed esecuzione forzata (intimazione se >1 anno, efficacia 180 gg). (Nota: il DPR 602/73 non fissa termini di prescrizione, rinvia al codice civile salvo disposizioni speciali).
  • D.P.R. 600/1973: art. 36-bis e 36-ter – controlli automatizzati/formali dichiarazioni (menzionati perché i ruoli da questi controlli hanno prescrizione quinquennale secondo giurisprudenza).
  • D.Lgs. 46/1999: art. 23 – estensione delle disposizioni del DPR 602/73 (termini di notifica cartella) anche all’IVA e altri tributi. Art. 19 e 20 – rimborso quote inesigibili concessionari (riferimento in Cass. 2020). (Norme sul procedimento, rilevanti marginalmente).
  • Legge 335/1995: art. 3, co. 9 e 10 – riforma contributi previdenziali: prescrizione quinquennale contributi INPS/INAIL dal 1/1/1996, salvo denuncia lavoratore (termine decennale); regime transitorio pre-1996.
  • D.L. 953/1982 (conv. L.53/1983): art. 5, commi 51 e segg. – disciplina tassa automobilistica: prescrizione triennale dal gennaio successivo, divieto di proroga regionale, decadenza biennale cartella (commi precedenti).
  • D.Lgs. 504/1995: art. 15 – accise: prescrizione 5 anni, estesa a 10 in caso di reati (mod. D.Lgs 18/2016); art. 13-14 – obblighi dichiarativi e decadenze rimborsi (non trattati, ma contesto).
  • Legge 296/2006: art. 1, commi 161-171 – accertamento tributi locali entro 5 anni (decadenza, citato in guida per contesto).
  • D.L. 119/2018: art. 4 – obbligo di comunicazione crediti prescritti agli enti creditori (per sgravio automatico).
  • Legge 160/2019: art. 1, commi 537-544 – sospensione automatica cartelle su richiesta contribuente per vari motivi (prescrizione, sgravio, etc.) e annullamento se ente non risponde entro 220 gg.

Giurisprudenza di legittimità (Corte di Cassazione):

  • Cass., Sez. Un. civ., 17/11/2016, n. 23397: sentenza fondamentale che ha stabilito il criterio della natura del credito per determinare la prescrizione (10 anni tributi erariali, 5 anni tributi locali e contributi). Conferma non applicabilità art.2953 c.c. a cartelle non opposte se non c’è giudicato.
  • Cass., Sez. Un., 27/04/2020, n. 8500: (indicativa, non citata sopra, ma riguardo opposizioni cartelle) – ha ribadito principi su prescrizione contributi e giurisdizione.
  • Cass., Sez. VI, ord. 29/01/2016 n. 1778: (interlocutoria citata in FiscoeTasse) – ha rimesso a SU il tema poi deciso da SU 23397/16.
  • Cass., Sez. V, 16/11/2018 n. 30362: ha confermato applicazione termine decennale per tributi erariali definitivi (contro tesi del 5 anni).
  • Cass., Sez. V, ord. 27/09/2019 n. 24106: (citata in ricerche) – ha statuito la prescrizione decennale per crediti iscritti a ruolo e notificati a seguito di titolo definitivo, criticando orientamenti difformi.
  • Cass., Sez. V, ord. 17/03/2020 n. 7409: ha confermato prescrizione quinquennale contributi INPS, anche con ruolo, e non conversione in decennale (commento su Diritto.it).
  • Cass., Sez. V, ord. 21/05/2019 n. 13805: (non menzionata sopra, ma rilevante) – sulla prescrizione quinquennale sanzioni tributarie amministrative nonostante mancata impugnazione (coerente con 2953 c.c. non applicabile).
  • Cass., Sez. V, ord. 23/12/2022 n. 37551: ha sancito prescrizione quinquennale per tributi periodici locali (TARSU, TOSAP, contributi bonifica) e triennale per bollo auto. Massima riportata.
  • Cass., Sez. V, ord. 21/07/2022 n. 22897: si è occupata dei diritti camerali annuali, evidenziando la natura tributaria e affrontando il termine (implicita indicazione decennale, dal massimario).
  • Cass., Sez. V, 26/07/2023 n. 18949: (FiscoOggi) – ha affermato che imposta di registro definitiva si riscuote entro 10 anni ex art.78 DPR 131/86, e non vale termine decadenziale art.25 DPR 602.
  • Cass., Sez. VI, 27/10/2017 n. 25507: (SU 20425/2017 menzionata) – ha confermato prescrizione triennale bollo auto anche se cartella non impugnata.
  • Cass., Sez. I, 13/02/2007 n. 12263: – importante precedente che negò applicazione 2953 c.c. alle cartelle non impugnate per sanzioni (citata in bollo auto articolo).
  • Cass., Sez. II, 17/09/2014 n. 19308: – sul termine 5 anni multe (confermò decorrenza da evento definitivo).
  • Cass., Sez. Unite, 22/02/2018 n. 4315: – su giurisdizione opposizioni cartella, ma anche affermò che prescrizione successiva può farsi valere in sede esecuzione (principio ripreso).
  • Cass., Sez. Unite, 18/09/2019 n. 23318: – su giurisdizione opposizioni cartelle e rilevabilità prescrizione, con richiamo a art.615 c.p.c. (ev. 19889/19).
  • Cass., Sez. Unite, 30/10/2019 n. 27414: – affermò la possibilità di far valere in giudizio tributario la prescrizione sopravvenuta del credito, a prescindere dalla definitività della cartella (principio oramai pacifico).
  • Cass., Sez. Unite, 15/01/2020 n. 34447: – su questione analoghe di giurisdizione opposizione fermo auto e prescrizione.

Giurisprudenza costituzionale ed europea:

  • Corte Costituzionale, 2/04/2001 n. 63: – giudicò legittima l’applicazione retroattiva della L.335/95 ai contributi antecedenti, bilanciando interessi affidamento vs esigenze finanziarie (marginale qui).
  • Corte Costituzionale, 25/07/2011 n. 238: – sul differimento termini riscossione per sisma Abruzzo, ma coinvolse principi prescrizione (settore specifico).
  • Corte Costituzionale, 2018 n. 181: – relativa al “Caso Taricco-bis” (penale tributario), che ha sancito primato valori costituzionali su prescrizione reati, non direttamente attinente a cartelle ma di contesto.
  • Corte Giustizia UE, causa C-42/17 (Taricco II): – influì su reati IVA, non su crediti fiscali civili.

(Si noti: la materia trattata è quasi interamente di diritto interno italiano. Le pronunce UE riguardano il penale – Taricco – e non incidono su termini di prescrizione della riscossione amministrativa, perciò non c’è giurisprudenza UE rilevante per i fini di questa guida.)

Altre fonti e riferimenti utili:

  • Circolare INPS n. 69/2005: conferma prescrizione 5 anni contributi anche autonomi, in applicazione L.335/95.
  • Circolare INPS n. 122/2011: istruzioni su avviso di addebito INPS e termini ricorso (40 gg).
  • Risoluzione Agenzia Entrate n. 110/E del 2010: (sul canone RAI in bolletta, come tributo) – implicazioni su prescrizione decennale come imposta.
  • Sentenze Commissioni Tributarie: es. CTR Napoli n. 7121/2016 (prescriz. quinquennale cartella non opposta); CTP Cosenza n. 1711/2015 (notifica bollo, niente “doppio termine”).
  • Sentenze di merito su bollo auto: vedi Corte Giust. Trib. primo grado Caserta sez.8 29/07/2022 (ribadisce 3 anni); varie Cass. citate nel testo (3658/1997 SU; 20425/2017 ord.; 3110/2019).

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Cosa significa “prescrizione” di un debito

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Tempi di prescrizione dei principali debiti con l’ex Equitalia

📌 IRPEF, IVA, IRAP, IRES: 10 anni
📌 Contributi INPS e INAIL: 5 anni
📌 Multe stradali: 5 anni
📌 Canone RAI: 5 anni
📌 Imu, Tari, Tasi, bollo auto: 5 anni
📌 Sanzioni amministrative e tributi locali: 5 anni
📌 Contravvenzioni o verbali non fiscali: 5 anni

⚠️ Attenzione: ogni atto ricevuto può interrompere e far ripartire il termine di prescrizione.

Come verificare se un debito è prescritto

🔍 Serve un’analisi dettagliata di tutta la documentazione:

  • Data di emissione della cartella
  • Eventuali notifiche successive
  • Atti interruttivi (es: solleciti, fermi, pignoramenti)
  • Estratti di ruolo e storico comunicazioni

📩 Anche notifiche fatte via PEC o depositate presso la casa comunale possono essere rilevanti (o annullabili, se irregolari).


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Conclusione

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