Come Si Impugna Un’Intimazione Di Pagamento: Guida All’Impugnazione

Hai ricevuto un’intimazione di pagamento dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione con l’ordine di saldare entro 5 giorni?
Temi il rischio concreto di pignoramenti, fermi amministrativi o ipoteche se non agisci subito?

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in contenzioso tributario, esecuzioni e difesa del contribuente – ti spiega in modo chiaro come impugnare un’intimazione di pagamento, quando è possibile farlo e quali strumenti legali puoi attivare per bloccare l’azione esecutiva.

Scoprirai:

  • Cos’è un’intimazione di pagamento e quando viene notificata: si tratta di un atto esecutivo che precede l’avvio del pignoramento;
  • Quando è possibile impugnarla: ad esempio, se non ti è mai stata notificata la cartella, se il debito è prescritto o se ci sono errori o vizi formali;
  • Quali sono i termini per fare ricorso: in alcuni casi solo 60 giorni, in altri anche 20 giorni (dipende dalla natura del debito e dall’atto precedente);
  • Dove si presenta il ricorso: Commissione Tributaria (ora “Giudice Tributario”) per tributi, oppure Tribunale ordinario per altri tipi di crediti;
  • Come si costruisce la difesa: documenti da raccogliere, profili di illegittimità da valutare, eventuali richieste di sospensione cautelare per bloccare l’esecuzione immediata;
  • Cosa fare in alternativa al ricorso: puoi valutare rateizzazione, saldo e stralcio, o una procedura di sovraindebitamento per gestire il debito nel lungo periodo.

Con il supporto di un avvocato esperto puoi impugnare l’intimazione in modo corretto e nei tempi giusti, evitando danni patrimoniali e azioni forzate difficili da fermare dopo l’avvio.

Alla fine della guida potrai richiedere una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo, esaminare l’intimazione ricevuta, verificare se puoi contestarla e costruire una strategia di difesa personalizzata per proteggere i tuoi beni e la tua serenità.

Introduzione

Ricevere un’intimazione di pagamento può generare notevole preoccupazione, soprattutto per chi non ha familiarità con i meccanismi giuridici. Si tratta di un atto con cui un creditore – spesso un ente pubblico o un’autorità – intima formalmente il pagamento di una somma dovuta, generalmente come passo preliminare prima di avviare procedure esecutive (pignoramenti, ipoteche, fermi, ecc.). In Italia esistono diverse tipologie di intimazioni di pagamento, a seconda della natura del debito e dell’ente che richiede il pagamento: cartelle esattoriali dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione (AdER), avvisi dell’INPS per contributi previdenziali, atti giudiziari come decreti ingiuntivi e atti di precetto, solleciti stragiudiziali inviati da creditori privati, e così via. Ognuno di questi atti ha regole specifiche su come e quando può essere contestato (impugnato) e davanti a quale autorità.

Questa guida – aggiornata a maggio 2025 – offre un quadro completo su come si impugna un’intimazione di pagamento nelle varie situazioni. Adotteremo un linguaggio chiaro e accessibile, pur mantenendo la precisione giuridica, in modo che anche imprenditori e professionisti non avvocati possano orientarsi. Verranno affrontate tutte le principali tipologie di intimazioni di pagamento in Italia, spiegando per ciascuna: i termini entro cui fare ricorso, il giudice competente, le forme da rispettare e gli effetti dell’impugnazione. Saranno evidenziate le differenze tra ricorsi in sede giudiziale (davanti a un giudice) e in sede amministrativa (davanti a un organo amministrativo o tramite rimedi interni). Dedicheremo inoltre un focus a specifiche categorie di soggetti – imprenditori individuali, società di capitali (S.r.l., S.p.A.), professionisti, persone fisiche – per evidenziare eventuali particolarità o strategie differenti.

Nel corso della guida troverete tabelle riepilogative che schematizzano, per ogni tipo di atto impugnabile, l’autorità che lo emette, il termine per impugnarlo, il giudice competente e lo strumento processuale da utilizzare. Abbiamo inserito anche una sezione di Domande Frequenti (FAQ) di livello avanzato, per chiarire i dubbi più comuni (e meno intuitivi) che sorgono in pratica. Inoltre, due casi pratici completi – uno riferito a un’impresa e uno a un privato – mostrano passo dopo passo come procedere nell’impugnazione, con esempi concreti e simulazioni realistiche.

Chiudiamo con un’ampia sezione di Fonti Normative e Giurisprudenziali, elencando tutte le leggi, i regolamenti e le sentenze citate o utilizzate nella guida, con riferimenti precisi. In questo modo potrete, se lo desiderate, approfondire ulteriormente ogni aspetto consultando direttamente i testi ufficiali.

Nota terminologica: useremo talvolta il termine generico “ricorso” per indicare l’atto di impugnazione, pur sapendo che tecnicamente, a seconda dei casi, può trattarsi di un ricorso (in ambito tributario o amministrativo) oppure di un atto di citazione in opposizione (in ambito civile). Allo stesso modo, diremo “fare opposizione” o “impugnare” un’atto come sinonimi di proporre il rimedio legale appropriato contro quell’atto. Inoltre, chiameremo l’ente pubblico di riscossione Agenzia delle Entrate-Riscossione (AdER), consapevoli che prima del 1° luglio 2017 tale ruolo era svolto da Equitalia: le procedure però sono analoghe. Infine, parleremo di “cartella esattoriale” o “cartella di pagamento” riferendoci allo stesso tipo di atto, ossia la richiesta di pagamento emessa dall’agente della riscossione a seguito di un’iscrizione a ruolo.

Come usare questa guida: se avete già ricevuto un’intimazione di pagamento, individuate innanzitutto di che tipo di atto si tratta (troverete indicazioni nel titolo o nell’oggetto dell’atto, ad es. “Intimazione di pagamento ai sensi dell’art. 50 DPR 602/73”, “Cartella di pagamento”, “Atto di precetto”, “Decreto Ingiuntivo”, “Avviso di Addebito INPS”, ecc.). Potete quindi consultare la sezione dedicata a quella tipologia per capire come muovervi. Se invece volete un quadro generale, vi consigliamo di leggere prima i capitoli introduttivi sulla normativa e sulle differenze tra le varie procedure, e poi approfondire i capitoli specifici di interesse.

Normativa di Riferimento

In questa sezione illustriamo le principali fonti normative – codici, leggi e decreti – che regolano la materia delle intimazioni di pagamento e la loro impugnazione. Conoscere il quadro normativo di base aiuta a comprendere sia i diritti del destinatario (ad esempio termini e modalità per difendersi) sia i poteri e i vincoli del creditore (cosa deve contenere l’atto, entro quando può agire, ecc.). Suddivideremo la normativa per ambiti: tributario (riscossione coattiva dei tributi, competenza delle Commissioni/ Corti tributarie), previdenziale (contributi INPS, INAIL), amministrativo (sanzioni amministrative, multe e ingiunzioni di enti pubblici) e civile (procedura di esecuzione forzata ordinaria).

Normativa in Ambito Tributario (riscossione coattiva fiscale)

  • D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito. È la fonte principale sulla riscossione coattiva dei tributi erariali (es. IRPEF, IRES, IVA). Diverse disposizioni di questo DPR sono fondamentali per le intimazioni di pagamento: l’art. 25 regola la cartella di pagamento (forma, notificazione, tempi per il pagamento); l’art. 50 regola l’intimazione ad adempiere: in sintesi, prevede che “se l’espropriazione non è iniziata entro un anno dalla notifica della cartella di pagamento, l’esecuzione deve essere preceduta dalla notifica di un avviso contenente l’intimazione ad adempiere”. Ciò significa che l’Agente della Riscossione (AdER) deve notificare un’apposita intimazione di pagamento se intende procedere al pignoramento oltre 12 mesi dopo la notifica della cartella precedente. Questo articolo, quindi, disciplina sia quando viene emessa l’intimazione sia la sua funzione giuridica (costituire un ultimo avviso prima dell’esecuzione). Lo stesso art. 50 DPR 602/73 specifica che l’intimazione mantiene validità di 180 giorni dalla notifica (se l’esecuzione inizia entro tale termine non serve altro avviso; trascorsi 180 giorni senza azioni esecutive, servirà un nuovo avviso). Inoltre, il comma 2 dell’art. 50 è stato interpretato dalla giurisprudenza come base per ritenere l’intimazione un atto impugnabile autonomamente dal contribuente (equiparabile al vecchio “avviso di mora”). La Cassazione ha infatti chiarito che l’intimazione ex art. 50 è impugnabile e che la sua impugnazione è necessaria per far valere eccezioni come la prescrizione sopravvenuta; diversamente, il debito si “cristallizza” e non si potranno più opporre quei vizi successivamente. L’art. 57 del DPR 602/73 è un’altra norma chiave: elenca le limitazioni alle opposizioni in materia di riscossione esattoriale. In particolare, prima di una pronuncia della Corte Costituzionale (v. oltre), l’art. 57 co.1 lett. a) escludeva la possibilità per il debitore di fare opposizione all’esecuzione (ex art. 615 c.p.c.) dopo la notifica della cartella o dell’intimazione, consentendo solo le opposizioni per vizi formali degli atti esecutivi (ex art. 617 c.p.c.). Tale limitazione è stata parzialmente rimossa dalla Corte Cost. n. 114/2018 (vedi Normativa civile, infra), ampliando le tutele del debitore in fase esecutiva. Infine, ricordiamo il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546Disposizioni sul processo tributario: l’art. 19 di questo decreto elenca in modo tassativo gli atti impugnabili davanti al giudice tributario (avvisi di accertamento, cartelle di pagamento, provvedimenti di iscrizione ipotecaria o fermo, ecc.). L’intimazione di pagamento non è espressamente menzionata, ma come detto si è affermato per via giurisprudenziale che rientra tra gli atti impugnabili in quanto atto con cui si comunica una ben individuata pretesa tributaria. Lo stesso decreto regola i termini di ricorso (art. 21: 60 giorni dalla notifica dell’atto per presentare ricorso), le forme di notifica del ricorso e controdeduzioni, e le fasi di mediazione/reclamo oggi obbligatorie per controversie fino a €50.000 (art. 17-bis, introdotto dal 2012). Da segnalare anche la recente Legge 31 agosto 2022, n. 130 (riforma della giustizia tributaria) che tra le varie cose ha modificato la denominazione delle Commissioni Tributarie in Corti di Giustizia Tributaria (di primo e secondo grado) e introdotto nuovi magistrati tributari professionali: questa riforma però non ha cambiato i termini o gli atti impugnabili, ma è bene sapere che dal 2023 sentirete parlare di “Corte di giustizia tributaria” al posto di “Commissione tributaria”.
  • Decreto-Legge 22 ottobre 2016, n. 193, conv. in L. 225/2016: ha disposto la soppressione di Equitalia e il passaggio delle funzioni all’Agenzia delle Entrate-Riscossione, mantenendo però invariato il quadro normativo della riscossione. Per i contribuenti, quindi, le procedure di impugnazione di cartelle e intimazioni sono rimaste le stesse, cambiando solo il nome dell’ente emittente.
  • D.L. 21 ottobre 2021, n. 146, conv. in L. 215/2021: intervento normativo recente che ha inciso su un tema dibattuto – l’impugnabilità del semplice estratto di ruolo. L’estratto di ruolo è il documento interno (rilasciato su richiesta) che elenca le cartelle a carico di un contribuente. In passato la Cassazione aveva talvolta ammesso che, in caso il contribuente venisse a conoscenza di una cartella mai notificata proprio tramite un estratto di ruolo, potesse impugnare direttamente l’estratto per far valere la mancata notifica. Con il DL 146/2021 il legislatore ha invece chiarito che l’estratto di ruolo non è di per sé impugnabile, se non nei casi in cui si contestino vizi di notifica dei singoli atti elencati. In altre parole, oggi il contribuente deve attendere la notifica di un atto della riscossione (ad es. una nuova intimazione di pagamento o un atto esecutivo vero e proprio) per poter far valere la mancata notifica della cartella o altri vizi; il solo estratto non legittima il ricorso. Questo per evitare impugnazioni “preventive” senza un atto formale. Dunque, se richiedendo un estratto scopriste l’esistenza di vecchi debiti, potrete presentare ricorso solo dopo aver ricevuto un’intimazione o un altro atto dall’AdER che rinnova la pretesa. Nel frattempo, potete eventualmente inviare un’istanza di autotutela all’ente creditore segnalando la situazione, ma attenzione a non far decorrere inutilmente i termini quando poi l’atto formale vi verrà notificato.
  • Codice civile (R.D. 16 marzo 1942, n. 262), disposizioni sulla prescrizione: il codice civile contiene norme generali sui termini di prescrizione dei diritti che sono spesso rilevanti nelle opposizioni a intimazioni di pagamento. L’art. 2934 c.c. e seguenti stabiliscono il meccanismo generale della prescrizione estintiva; l’art. 2946 c.c. fissa la prescrizione ordinaria in 10 anni, salvo che la legge preveda termini diversi. Molti crediti di natura tributaria o sanzionatoria hanno termini di prescrizione più brevi stabiliti da leggi speciali: ad esempio, i tributi locali (come IMU, TARI) e in generale le sanzioni amministrative si prescrivono in 5 anni, se non diversamente disposto; le sanzioni per violazioni del Codice della Strada si prescrivono in 5 anni (art. 209 CdS e art. 28 L.689/81); i contributi previdenziali dovuti agli enti come INPS si prescrivono in 5 anni (art. 3, comma 9, L. 335/1995, salvo il caso di contributi evasi accertati con dolo, in passato 10 anni, ma attualmente uniformati a 5); il bollo auto addirittura in 3 anni. Una norma importante è l’art. 2953 c.c., che prevede la conversione in prescrizione decennale dei termini brevi nel caso in cui intervenga una sentenza di condanna passata in giudicato (la cosiddetta “actio iudicati”). Attenzione: la Cassazione – a Sezioni Unite – ha chiarito che questa conversione non si applica se a divenire definitivo è un atto amministrativo, come un accertamento fiscale non impugnato o una cartella non impugnata. In altre parole, se il contribuente non ricorre contro un avviso di accertamento o una cartella entro i termini, il credito diventa definitivo (irretrattabile perché non più contestabile nel merito), ma la sua prescrizione rimane quella originaria prevista per quel tributo (es. 5 anni) e non diventa automaticamente di 10 anni. Solo un titolo giudiziario (es. una sentenza o un decreto ingiuntivo passati in giudicato) può far scattare la prescrizione decennale ex art. 2953 c.c.. Questo principio, stabilito dalla Cass. Sez. Unite n. 23397/2016, è molto rilevante: ad esempio, una cartella per contributi INPS non pagata si prescriverà comunque in 5 anni dall’ultima notifica o atto interruttivo utile, anche se non è stata impugnata (non diventa 10 anni solo per il mancato ricorso). Torneremo su questo punto quando parleremo delle eccezioni di prescrizione nei ricorsi.

Normativa in Ambito Previdenziale (contributi INPS, INAIL, ecc.)

  • D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46Riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo. Questo decreto legislativo disciplina, tra le altre cose, la riscossione tramite ruolo delle entrate degli enti previdenziali (come INPS e INAIL). L’art. 24 del D.Lgs. 46/1999 è particolarmente importante: prevede che per i contributi previdenziali non versati l’ente possa iscrivere a ruolo gli importi dovuti e affidare la riscossione all’agente (AdER). In caso di notifica di una cartella relativa a contributi INPS, il debitore può fare opposizione in sede giudiziaria entro 40 giorni dalla notifica, ma attenzione: la giurisprudenza ha chiarito che dipende dall’oggetto del ricorso. Se si contestano il merito della pretesa contributiva (es. l’inesistenza del debito, l’avvenuto pagamento, errori di calcolo, illegittimità sostanziale), allora si tratta di un’opposizione all’iscrizione a ruolo ai sensi proprio dell’art. 24 D.Lgs. 46/99, con termine di 40 giorni e che va proposta al Tribunale in funzione di giudice del lavoro competente. Se invece si contestano vizi formali della cartella o della notifica (es. la cartella non è stata notificata regolarmente, o contiene errori formali), allora non si sta mettendo in discussione il credito in sé ma la regolarità degli atti esecutivi: in tal caso, l’azione appropriata è l’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c., che va proposta entro 20 giorni dalla notifica dell’atto viziato. La Cassazione (sent. n. 2647/2016) ha ribadito questo doppio binario: 40 giorni per i motivi di merito sulla pretesa contributiva, 20 giorni per i vizi formali o di notifica. In entrambi i casi, la competenza è del giudice ordinario – sezione lavoro – perché i contributi previdenziali non rientrano nella giurisdizione tributaria. È bene sottolineare che dal 2011 gli enti come l’INPS non emettono quasi più cartelle tramite ruolo, ma utilizzano l’avviso di addebito.
  • Art. 30 D.L. 31 maggio 2010, n. 78, conv. in L. 122/2010: ha introdotto l’Avviso di Addebito con valore di titolo esecutivo per i contributi INPS. Dal 1° gennaio 2011, l’INPS notifica direttamente ai contribuenti morosi un “avviso di addebito” che contiene l’intimazione a pagare i contributi dovuti, con funzione analoga alla cartella (infatti l’avviso di addebito è immediatamente esecutivo e viene trasmesso all’Agente della Riscossione per le successive azioni). In pratica, per i debiti contributivi dal 2011 in poi, l’Avviso di Addebito INPS ha sostituito la cartella esattoriale. La sua impugnazione segue gli stessi criteri visti sopra: il termine è 40 giorni (sempre davanti al Tribunale del Lavoro) se si contestano i contributi nel merito, oppure 20 giorni se si fa valere un vizio formale come omessa notifica (in tal caso come opposizione ex art. 617 c.p.c.). Da notare che, come per le cartelle, la Cassazione ha confermato che anche per l’avviso di addebito non impugnato vale la prescrizione propria del credito (quinquennale per i contributi) e non si applica l’art. 2953 c.c. (Sez. Lav. n. 23397/2016 cit.). Inoltre, Cass. Sez. Lav. n. 7514/2022 ha ribadito che l’estratto di ruolo per crediti INPS non è autonomamente impugnabile, allineandosi alla norma del 2021 di cui sopra.
  • L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 3 commi 9-10: fissa come detto il termine di prescrizione quinquennale per i contributi previdenziali obbligatori. Ciò significa che, se non vi sono atti interruttivi, il diritto dell’ente a riscuotere contributi si estingue dopo 5 anni. Ogni atto di intimazione o di esecuzione notificato al debitore interrompe la prescrizione, facendola decorrere di nuovo da capo. Tuttavia, se un contribuente ritiene che sia trascorso il quinquennio senza atti validi, può eccepire la prescrizione nel ricorso (si pensi a un’azienda che riceve nel 2025 un’intimazione per contributi 2015 mai sollecitati prima: potrebbe far valere la prescrizione quinquennale maturata).
  • Codice di Procedura Civile (per la parte di competenza del giudice del lavoro): il processo davanti al Tribunale in materia di previdenza segue in gran parte le norme del codice di procedura civile, con alcune deroghe (ad es. l’opposizione a avviso di addebito si propone con ricorso depositato in tribunale entro 40 giorni, citando l’INPS, e non con atto di citazione; il giudice può poi concedere la provvisoria esecuzione dei crediti non contestati, ecc.). In questa guida, senza addentrarci troppo nelle tecnicalità, basterà ricordare di rispettare il termine perentorio di 40 giorni e di rivolgersi a un legale giuslavorista, data la complessità di queste controversie.

Normativa in Ambito Amministrativo (sanzioni amministrative e ingiunzioni di enti pubblici)

  • Legge 24 novembre 1981, n. 689Modifiche al sistema penale: è la legge generale che disciplina le sanzioni amministrative (quelle derivanti, ad esempio, da violazioni del Codice della Strada, sanzioni comminate da Prefetto o altre autorità amministrative). Pur non essendo una norma “procedurale” in senso stretto, è fondamentale perché prevede come opporsi a queste sanzioni. In particolare l’art. 22 della L. 689/1981 stabilisce che contro la ordinanza-ingiunzione emessa dall’autorità amministrativa (il provvedimento che determina in via definitiva la sanzione, ad esempio l’ordinanza del Prefetto che decide su un ricorso contro un verbale di multa) l’interessato può proporre opposizione davanti al giudice ordinario (generalmente il Giudice di Pace, salvo materie di competenza del Tribunale) entro 30 giorni dalla notifica dell’ordinanza. Questo termine è ripreso e confermato dall’art. 6 del D.Lgs. 150/2011 (vedi oltre). Nel contesto dell’intimazione di pagamento, ciò significa che se una multa o altra sanzione amministrativa diventa definitiva (perché non è stata impugnata nei 30 giorni o perché il ricorso al Prefetto è stato respinto con ordinanza), l’ente creditore può procedere a riscossione coattiva tramite cartella esattoriale o ingiunzione fiscale. In tali casi, un’eventuale intimazione di pagamento successiva sarà considerata un atto meramente esecutivo, che non riapre i termini per contestare il merito della sanzione. Se il destinatario non aveva presentato opposizione nei 30 giorni contro l’ordinanza originaria, non potrà più farlo successivamente: potrà contestare solo eventuali vizi formali residui negli atti esecutivi. La L. 689/81 contiene inoltre norme sulle notifiche dei verbali (richiamando il Codice di Proc. Civile) e all’art. 28 fissa la già citata prescrizione quinquennale delle sanzioni amministrative. Questo vuol dire che il diritto dell’amministrazione a riscuotere la multa si prescrive in 5 anni dal momento in cui la violazione è divenuta definitiva, salvo atti interruttivi (come appunto una cartella, un intimazione, un pignoramento). Anche qui però bisogna distinguere: se la multa non fu mai notificata regolarmente e il cittadino ne viene a conoscenza solo con la cartella, si può chiedere al giudice, in sede di opposizione, di essere rimesso in termini per impugnare tardivamente anche la multa (vedi oltre art. 6 D.Lgs.150/2011). Viceversa, se la multa fu regolarmente notificata ma semplicemente non pagata né opposta, dopo 5 anni non riscuotono più (prescrizione), ma bisogna eccepirla nella sede opportuna; e se prima dei 5 anni interviene una cartella o intimazione, quella atto interrompe e fa ripartire il termine.
  • D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150“Riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione”. Questo decreto ha razionalizzato vari procedimenti speciali. Di nostro interesse, ha ricondotto le opposizioni a sanzioni e a ingiunzioni fiscali a determinati “riti” semplificati:
    • Art. 6 D.Lgs. 150/2011: disciplina l’opposizione all’ordinanza-ingiunzione (tipicamente l’opposizione a una multa con ordinanza prefettizia). Conferma il termine di 30 giorni per proporre ricorso al giudice ordinario (Giudice di Pace per le multe stradali) dalla notifica dell’ordinanza. Prevede inoltre che il giudice dell’opposizione possa sospendere l’efficacia esecutiva dell’atto impugnato (la sanzione) se ci sono gravi motivi, su istanza dell’opponente. Importante: stabilisce che in questi giudizi le parti possono stare in giudizio personalmente, senza bisogno di avvocato (è facoltà, non obbligo: nulla vieta di farsi assistere da un legale, ma non è imposto per legge, data la materia spesso di modesto valore). L’art. 6, comma 5, ribadisce che se il ricorso è tardivo (oltre i 30 giorni), il giudice lo dichiara inammissibile. Dunque, l’impugnazione della sanzione nei termini è decisiva. Tuttavia, l’art. 6, comma 6 introduce la possibilità di essere rimessi in termini in caso di mancata conoscenza del provvedimento per causa non imputabile all’interessato: in altre parole, se l’interessato prova di non aver mai ricevuto la contestazione o l’ordinanza per irregolarità di notifica, può proporre opposizione tardiva (oltre i 30 giorni) dalla data in cui ha avuto conoscenza effettiva dell’atto, tipicamente dalla cartella esattoriale. Le Sezioni Unite della Cassazione, con sentenza n. 22080/2017, hanno chiarito che questa opposizione “recuperatoria” va proposta entro 30 giorni dalla notifica della cartella che per prima ha reso noto il provvedimento mai notificato. In pratica, se ricevete una cartella per una multa mai vista prima, avrete 30 giorni da quella cartella per fare ricorso al Giudice di Pace, chiedendo l’annullamento della multa originaria per mancata notifica (oltre ad altri eventuali motivi di merito). Se anche questo termine decorre, la nullità della notifica iniziale si considera sanata e non sarà più opponibile. Quindi attenzione: non basta eccepire “non ho mai ricevuto la multa” in qualunque momento – va fatto entro 30 giorni dalla cartella che ve l’ha rivelata.
    • Art. 7 D.Lgs. 150/2011: disciplina l’opposizione al verbale di accertamento per violazioni del Codice della Strada quando non è stata emessa ordinanza-ingiunzione (cioè il ricorso diretto al Giudice di Pace contro il verbale, entro 30 giorni). Nel nostro contesto conta meno, perché si riferisce alla fase precedente la riscossione coattiva; ma va citato per completezza.
    • Art. 32 D.Lgs. 150/2011: disciplina l’opposizione all’ingiunzione per il pagamento di entrate degli enti pubblici. Si tratta del procedimento di opposizione alla cosiddetta ingiunzione fiscale prevista dal R.D. 14 aprile 1910, n. 639. Molti enti pubblici (Comuni, Regioni, enti locali in genere) per riscuotere coattivamente le proprie entrate – tributi locali, sanzioni amministrative locali, o altre entrate patrimoniali – possono, in alternativa al ruolo tramite AdER, emettere una ingiunzione di pagamento ai sensi di quella norma del 1910. L’ingiunzione fiscale è a tutti gli effetti un titolo esecutivo come la cartella, con la differenza che l’ente locale procede autonomamente (o tramite società di riscossione iscritte all’albo) senza passare da AdER. Ebbene, prima del 2011 vi era incertezza se l’opposizione a tali ingiunzioni dovesse seguire i 30 giorni delle sanzioni o altri termini. L’art. 32 ora prevede che le controversie in materia di opposizione a ingiunzioni fiscali seguono il rito ordinario di cognizione. Questo implica due cose importanti:
      1. L’opposizione va proposta con atto di citazione davanti al Tribunale ordinario competente per territorio (di solito il tribunale del luogo in cui ha sede l’ufficio che ha emesso l’ingiunzione). Non va quindi proposta al Giudice di Pace, a meno che la materia specifica non rientri per valore o materia nella competenza del Giudice di Pace (ma in genere, trattandosi di entrate patrimoniali o tributi locali, la competenza è del Tribunale).
      2. Non si applica il termine breve di 30 giorni. Si applica il termine generale di impugnazione, che di fatto coincide col termine di prescrizione del credito sotteso. In altre parole, se un Comune vi notifica un’ingiunzione fiscale per tari o multa non pagata, non siete strettamente vincolati a 30 giorni per fare opposizione; potreste opporre anche dopo, purché entro il termine di prescrizione (che spesso è 5 anni). Attenzione però: ciò non significa che si debba aspettare la prescrizione! Dal punto di vista pratico è altamente consigliabile agire tempestivamente, idealmente entro 30 o 60 giorni: l’ente, infatti, una volta notificata l’ingiunzione, potrebbe procedere dopo breve tempo con atti esecutivi (pignoramento) e a quel punto dovreste comunque intervenire d’urgenza. Dunque la norma dà più flessibilità (non c’è decadenza in 30 giorni), ma conviene comunque muoversi subito. L’opposizione all’ingiunzione fiscale può contenere sia motivi di merito (es. contestare la fondatezza del debito, eccepire la prescrizione già maturata, ecc.) sia motivi formali (vizi di notifica, difetti dell’atto). Trattandosi di rito ordinario, il Tribunale potrà adottare provvedimenti cautelari (sospensione) se necessario, applicando l’art. 624 c.p.c. o i poteri di sospensione dell’esecuzione analoghi, come vedremo nel prossimo paragrafo. Riassumendo: l’ingiunzione fiscale è un caso particolare di “intimazione di pagamento” emessa da un ente pubblico non statale; la sua impugnazione va in Tribunale con atto di citazione, senza termini di decadenza brevi se non quelli della prescrizione del credito.
  • Codice del Processo Amministrativo (D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104), art. 29: in alcuni casi rari, l’intimazione di pagamento può assumere la forma di un provvedimento amministrativo autonomo, contro cui è ammesso il ricorso al giudice amministrativo (TAR). Ciò avviene quando l’ente esercita un potere autoritativo di autotutela o simili nell’ingiungere un pagamento. Un esempio potrebbe essere una Regione che invia a un’impresa un’intimazione a restituire un finanziamento pubblico considerato indebito: qui l’atto di intimazione è esso stesso il provvedimento amministrativo principale (non c’è un titolo esecutivo giudiziario né una cartella, l’ente agisce in via amministrativa). In tali situazioni – non frequenti – il destinatario può presentare ricorso al TAR competente entro 60 giorni dalla notifica, ai sensi dell’art. 29 c.p.a., per vizi di legittimità del provvedimento (violazione di legge, eccesso di potere, ecc.). In questa guida tratteremo marginalmente questi casi, focalizzandoci sulle situazioni più comuni (cartelle, avvisi di AdER, multe, precetti); tuttavia è utile ricordare che ove l’intimazione di pagamento sia essa stessa un atto amministrativo principale, il ricorso andrà presentato in sede amministrativa (TAR) e non davanti al giudice ordinario.

Normativa in Ambito Civile (procedura di esecuzione forzata ordinaria)

  • Codice di Procedura Civile (c.p.c.): questo è il riferimento fondamentale per tutte le opposizioni esecutive e per gli atti giudiziari di intimazione come il precetto. In particolare:
    • Art. 480 c.p.c.: disciplina l’atto di precetto, cioè l’intimazione di pagamento che il creditore deve notificare al debitore prima di iniziare un’esecuzione forzata civile (pignoramento) basata su un titolo esecutivo (es. sentenza, decreto ingiuntivo, cambiale, etc.). Il precetto deve contenere l’invito al pagamento entro almeno 10 giorni e l’avvertimento che, in mancanza, si procederà ad esecuzione forzata. Questo è l’atto più tipico di “intimazione di pagamento” in ambito civile.
    • Art. 615 c.p.c.: disciplina l’opposizione all’esecuzione. Consente al debitore di opporsi all’esecuzione forzata contestando il diritto del creditore di procedere (cioè l’esistenza o validità del titolo esecutivo o della pretesa di merito). In pratica, tramite l’opposizione ex art.615 il debitore può far valere motivi sostanziali: ad esempio che il debito è stato già pagato, che il titolo (es. decreto ingiuntivo) è caducato o invalido, che il credito si è prescritto dopo la formazione del titolo, o che manca una condizione di procedibilità. Se l’opposizione all’esecuzione è proposta prima che l’esecuzione inizi (cioè prima della notifica dell’atto di pignoramento), allora si propone con atto di citazione davanti al giudice competente per l’esecuzione (di solito il Tribunale del luogo dove dovrebbe avvenire l’esecuzione). In questa fase non c’è un termine perentorio specifico fissato dalla legge – l’opposizione pre-esecutiva andrebbe fatta entro i termini di prescrizione del diritto e comunque tempestivamente, possibilmente entro il termine di 10 giorni dato dal precetto, per poter chiedere subito la sospensione dell’esecuzione prima che inizi. Se l’opposizione all’esecuzione è proposta dopo l’inizio dell’esecuzione (ad esempio dopo la notifica di un pignoramento), allora va proposta con ricorso al giudice dell’esecuzione presso il tribunale dove pende la procedura esecutiva, prima che questa sia conclusa (cioè prima che i beni siano stati venduti o assegnati). È importante per il nostro tema perché l’opposizione ex art.615 c.p.c. è uno strumento con cui impugnare anche un atto di precetto: se il debitore ritiene che nulla sia dovuto (motivi sostanziali), può opporsi al precetto stesso (senza dover aspettare il pignoramento) con citazione in tribunale, chiedendo magari la sospensione. Nota: fino al 2018 l’art. 57 DPR 602/73 vietava di usare l’art.615 contro la riscossione esattoriale, ma la Corte Costituzionale ha eliminato questo divieto per i fatti successivi alla formazione del titolo (es. prescrizione sopravvenuta). Quindi oggi, ad esempio, se ricevete un pignoramento da AdER e ritenete che il debito fiscale si sia prescritto dopo la cartella, potete sollevare opposizione all’esecuzione innanzi al giudice civile, senza che il ricorso tributario sia più possibile (naturalmente limitatamente a fatti successivi, non per contestare un accertamento mai impugnato nel merito).
    • Art. 617 c.p.c.: disciplina l’opposizione agli atti esecutivi, ossia il rimedio per i vizi formali degli atti del processo esecutivo. Esempi tipici: errori di notifica, mancanza delle indicazioni obbligatorie in un atto, irregolarità procedurali. L’opposizione ex art.617 ha termini molto brevi e perentori: va proposta entro 20 giorni dalla notificazione dell’atto viziato (se si tratta di atti notificati come il precetto, l’atto di pignoramento, un avviso di vendita) oppure entro 20 giorni dal compimento dell’atto (se si tratta di atti non notificati, es. un errore commesso nel corso della vendita). Nel nostro contesto, se il precetto presenta un vizio formale (ad esempio omette elementi essenziali, o è stato notificato a persona sbagliata), il debitore ha 20 giorni dalla notifica del precetto per proporre opposizione agli atti esecutivi davanti al giudice competente. Se fa decorre tale termine, l’atto non potrà più essere contestato per quel vizio. Analogamente, anche un eventuale atto di pignoramento viziato deve essere opposto entro 20 giorni. Le opposizioni ex art.617 proposte prima che inizi l’esecuzione (ad esempio contro un precetto) vanno con atto di citazione al tribunale competente; quelle proposte dopo l’inizio dell’esecuzione (es. contro un pignoramento già depositato) vanno con ricorso al giudice dell’esecuzione entro la stessa procedura, sempre entro 20 giorni.
    • Art. 624 e 625 c.p.c.: riguardano la sospensione dell’esecuzione. L’art. 624 consente al giudice dell’esecuzione di sospendere, su istanza del debitore opponente, l’efficacia esecutiva dell’atto impugnato (precetto o pignoramento) se ci sono gravi motivi, in attesa della decisione finale. Ad esempio, se viene avviata un’opposizione e c’è il rischio che nel frattempo i beni vengano espropriati, il debitore chiede con un’istanza urgente la sospensione. Il giudice valuta sommariamente i motivi e il pericolo e può bloccare temporaneamente la procedura (spesso fissando una cauzione, ecc.). L’art. 625 regola il caso in cui un’esecuzione sia già terminata (provvedimenti post-esecuzione).
    • Art. 669 e segg. c.p.c.: misure cautelari. Durante un giudizio di opposizione (che è un giudizio di cognizione) il debitore può anche chiedere misure cautelari ex art. 700 c.p.c. o provvedimenti d’urgenza, se necessario, soprattutto prima che l’esecuzione inizi. Questo è un campo complesso, ma in sostanza se c’è estrema urgenza si può agire anche d’urgenza per bloccare atti.
    • Art. 474 e segg. c.p.c.: titoli esecutivi. Ricordiamo che un intimazione in ambito civile presuppone sempre un titolo esecutivo alla base: ad esempio, un decreto ingiuntivo non opposto diventa esecutivo; una sentenza di condanna passata in giudicato è titolo; una cambiale o assegno protestato è titolo; anche alcune ingiunzioni amministrative rese esecutive sono titoli.
    • Art. 543 c.p.c. e seguenti: pignoramento presso terzi, e art. 72-bis DPR 602/73 in ambito esattoriale. Questi sono citati perché, ad esempio, l’AdER per i crediti tributari può notificare un pignoramento presso terzi (es. blocco del conto corrente) senza passare dal giudice, ex art. 72-bis DPR 602/73. In tal caso, l’intimazione ex art.50 è considerata atto precedente obbligatorio. La Cassazione a Sezioni Unite (ord. n. 7822/2020) ha anche chiarito la ripartizione di giurisdizione: i pignoramenti esattoriali in sé (atti esecutivi puri) ricadono sotto il giudice ordinario, ma ad esempio atti come il preavviso di fermo o ipoteca (atti “para-esecutivi”) vanno al giudice tributario se riferiti a tributi. In generale, la regola definita è: fino all’intimazione di pagamento compresa, è competente il giudice tributario; per gli atti dell’esecuzione forzata successivi (pignoramenti, ecc.), la cognizione delle opposizioni spetta al giudice dell’esecuzione ordinario.
  • Codice Civile, per quanto riguarda obbligazioni e interessi: da menzionare che in caso di intimazioni relative a contratti (es. intimazione di pagamento inviata da un privato per una fattura), valgono le norme contrattuali. Ad esempio, l’art. 1219 c.c. prevede che il creditore possa costituire in mora il debitore con una intimazione scritta (messa in mora), che fa decorrere gli interessi di mora. Ma qui siamo più nel campo dei solleciti stragiudiziali (di cui diremo a parte).

Abbiamo così delineato lo scenario normativo di riferimento. Nelle sezioni successive vedremo, per ciascun tipo di intimazione di pagamento, come applicare queste norme in pratica: come riconoscere il tipo di atto, quali sono i termini esatti per impugnarlo, qual è l’autorità giudiziaria (o amministrativa) competente e quali motivi si possono far valere. Per comodità del lettore, presentiamo ora una tabella riepilogativa dei principali atti impugnabili con le loro caratteristiche.

Tipologie di Intimazioni di Pagamento e Riepilogo Termini

Esistono diverse categorie di atti che possiamo definire “intimazioni di pagamento”, ciascuna con proprie peculiarità. Prima di analizzarle una per una, consultiamo questa Tabella Riepilogativa che elenca le principali tipologie, indicando per ognuna chi emette l’atto, il termine per l’impugnazione, il giudice competente e lo strumento processuale richiesto:

Tabella 1 – Principali Tipi di Atti di Intimazione di Pagamento e Modalità di Impugnazione

Tipo di AttoEmittente/AutoritàTermine per ImpugnareGiudice CompetenteStrumento di Impugnazione
Cartella di pagamento (ruoli tributari)Agenzia Entrate-Riscossione (ex Equitalia), su iscrizione a ruolo di Agenzia Entrate o ente creditore60 giorni dalla notificaGiudice tributario (Corte Giustizia Tributaria di 1º grado)Ricorso tributario (art. 19 D.Lgs.546/92)
Cartella di pagamento (sanzioni amm.ve es. multe)Agenzia Entrate-Riscossione, su ingiunzione Prefetto o altro ente30 giorni dalla notifica (se si deduce mancata notifica del verbale/origine)Giudice ordinario – Giudice di Pace (opposizione L.689/81)Ricorso in opposizione (art. 6 D.Lgs.150/2011)
Cartella di pagamento (contributi previdenziali)Agenzia Entrate-Riscossione, su ruoli INPS/INAIL (prima del 2011)40 giorni (merito) o 20 giorni (vizi formali)Giudice ordinario – Tribunale sezione LavoroOpposizione a cartella (art. 24 D.Lgs.46/99) o Opposizione atti esecutivi (art. 617 c.p.c.)
Intimazione di pagamento ex art. 50 DPR 602/73Agenzia Entrate-Riscossione (per tributi, contributi, multe già in cartella)60 giorni (tributi); 40 gg (contributi INPS, se su vizi di merito); 30 gg (multe, se dedotta mancata notifica originaria) – v. noteGiudice tributario se tributi; Tribunale Lavoro se contributi; G.d.Pace se sanzione amministrativaRicorso tributario o Opposizione giudiziaria (in base alla natura del debito)
Avviso di addebito INPS (titolo esecutivo contributi)INPS (trasmesso ad AdER per riscossione)40 giorni (merito) o 20 giorni (vizi formali)Giudice ordinario – Tribunale LavoroRicorso in opposizione (ex art. 24 D.Lgs.46/99, trattato come sopra)
Atto di precetto (titolo giudiziale o stragiudiziale)Creditore privato o pubblico, tramite ufficiale giudiziarioNessun termine fisso per opposizione all’esecuzione, ma 20 giorni per opposizione a vizi formali (consigliato agire entro 20 gg)Giudice ordinario – Tribunale (giudice dell’esecuzione)Opposizione all’esecuzione (art.615 c.p.c.) o Opposizione atti esecutivi (art.617 c.p.c.)
Decreto ingiuntivo (ingiunzione di pagamento giudiziale)Giudice civile (Tribunale o Giudice di Pace) su ricorso del creditore40 giorni dalla notifica (termine ordinario per opposizione)Giudice che ha emesso il decreto (si introduce un giudizio ordinario)Atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo (artt. 643-647 c.p.c.)
Ingiunzione fiscale (R.D. 639/1910)Enti pubblici (Comuni, Regioni, ecc.) o concessionari localiNessun termine di decadenza breve (comunque entro prescrizione del credito, es. 5 anni)Giudice ordinario – Tribunale civileAtto di citazione in opposizione all’ingiunzione (art. 32 D.Lgs.150/2011)
Ordinanza-ingiunzione sanzionePrefetto o altra Autorità amministrativa (es. Ministeri, AgCom, Antitrust)30 giorni dalla notifica (60 gg se estero)Giudice ordinario – G.d.P. (o Tribunale se competenza per materia)Ricorso in opposizione (L.689/81 art.22, D.Lgs.150/2011 art.6)
Verbale di multa (CdS) – ricorso direttoOrgano accertatore (Polizia, Vigili, ecc.)30 giorni dalla contestazione/notifica (se ricorso diretto al GdP)Giudice ordinario – Giudice di PaceRicorso (opposizione ex art. 7 D.Lgs.150/2011)
Sollecito di pagamento stragiudizialeCreditore privato (es. fornitore, banca, condominio) o società di recupero creditiN/A (non è atto impugnabile in sé)N/A (nessun giudice, si tratta di diffida bonaria)— (Possibile rispondere con lettera di contestazione, o attendere eventuale azione legale per poi difendersi)

Note alla Tabella:

  • I termini indicati decorrono, di regola, dalla data di notifica dell’atto al destinatario (e non dalla data sull’atto). Fanno eccezione casi particolari come il ricorso al Prefetto contro un verbale CdS (60 giorni) o la decorrenza da conoscenza effettiva se una notifica era nulla. In questa guida tratteremo caso per caso.
  • Quando per un atto è indicato “40 o 20 giorni” o “60/40/30 giorni”, significa che il termine dipende dalla natura della contestazione: occorre inquadrare correttamente il tipo di ricorso (merito vs vizi formali) e seguire il termine relativo. Se si è in dubbio, è prudente rispettare il termine più breve per sicurezza, oppure proporre due tipi di azione in via gradata (es. opposizione esecuzione e agli atti insieme).
  • Il giudice competente è spesso determinato dalla natura del debito: tributi → giudice tributario; contributi → giudice del lavoro; sanzioni → giudice ordinario in funzione di giudice delle sanzioni (GdP); credito privato → giudice civile ordinario. Attenzione però a casi di sovrapposizione: ad esempio una cartella può contenere sia tributi sia sanzioni; un’intimazione AdER potrebbe riferirsi a più cartelle di natura diversa. In tali ipotesi, è necessario scindere le impugnazioni per le parti di rispettiva giurisdizione (il che complica la faccenda – si consiglia assistenza legale per evitare errori).
  • Lo strumento di impugnazione va inteso come la tipologia di atto da presentare. Ad esempio, “ricorso tributario” significa redigere un ricorso come previsto dal D.Lgs.546/92; “atto di citazione in opposizione” significa scrivere un atto di citazione ai sensi del c.p.c. Nei capitoli seguenti spiegheremo in dettaglio ognuno.
  • Sollecito stragiudiziale: come si vede, la lettera di sollecito inviata da un creditore privato non ha un rimedio processuale diretto. Non essendo un provvedimento esecutivo, non “obbliga” formalmente: costituisce però una diffida legale. Si potrà rispondere contestando il debito o chiedendo chiarimenti, ma non c’è un “ricorso al giudice” contro la lettera stessa. Se il creditore vorrà procedere, dovrà attivare una procedura legale (ingiunzione, citazione); sarà in quella sede che il debitore potrà difendersi.

Nei prossimi capitoli affronteremo uno ad uno i tipi di intimazione, fornendo per ciascuno una descrizione e le istruzioni dettagliate su come impugnare.

Impugnare una Cartella Esattoriale (Cartella di Pagamento)

Una delle intimazioni più comuni è la cartella di pagamento, comunemente chiamata cartella esattoriale. La cartella è spesso il primo atto con cui l’agente della riscossione (AdER) chiede al contribuente il pagamento di somme dovute a vario titolo: imposte, contributi previdenziali (per ruoli ante-2011), sanzioni amministrative non pagate, ecc. In realtà, tecnicamente la cartella non è solo un sollecito: è un atto amministrativo che contiene un titolo esecutivo (il ruolo) e che, se non pagato entro 60 giorni, legittima l’esecuzione forzata. Dunque impugnare una cartella significa contestare direttamente la pretesa in essa indicata.

Che aspetto ha e cosa contiene: La cartella è emessa da Agenzia Entrate-Riscossione ma su mandato dell’ente creditore (Agenzia Entrate, INPS, Comune, etc.). Indica un importo dovuto, la causale (ad esempio “IRPEF anno 2019 accertamento n…”, oppure “Sanzione Codice della Strada verbale Prefettura n…”) e invita al pagamento entro 60 giorni. Ha allegato un bollettino per il pagamento e reca la dicitura degli enti creditori, oltre a spiegazioni su come chiedere dilazioni o come fare ricorso. La notifica avviene di solito per posta raccomandata tramite PEC (se il contribuente ha un indirizzo digitale) o cartaceo.

Quando e perché impugnare la cartella: Il destinatario di una cartella può impugnarla se ritiene erroneo o illegittimo il contenuto. Ad esempio: non deve quei soldi, oppure l’importo è calcolato male, oppure non ha mai ricevuto l’atto presupposto (come l’avviso di accertamento o l’ordinanza da cui origina la cartella), oppure il diritto dell’ente si è prescritto, o ancora la cartella stessa presenta vizi formali di notifica. Attenzione: la cartella spesso è successiva ad altro atto (es.: un accertamento fiscale non pagato, una multa non pagata). Se quell’atto precedente è stato regolarmente notificato ed è divenuto definitivo per mancata impugnazione, i motivi contestabili sulla cartella sono limitati (non si può ridiscutere il merito già cristallizzato). Si potranno far valere questioni come la prescrizione successiva, il pagamento già avvenuto, vizi di notifica, ecc., ma non rimettere in discussione l’accertamento originario se i termini per impugnarlo sono scaduti. Tuttavia, se si eccepisce che l’atto presupposto non fu mai notificato, allora la cartella costituisce il primo atto e si possono far valere anche i vizi di merito originali (come nell’esempio delle multe non notificate, vedi oltre).

Termini per il ricorso: Come da tabella, il termine generale è 60 giorni dalla notifica, salvo i casi particolari:

  • Cartella per tributi (es. imposte erariali, tributi locali): 60 giorni, ricorso davanti alla Corte di Giustizia Tributaria (ex Commissione Tributaria).
  • Cartella per contributi INPS/INAIL: 40 giorni (opposizione su merito) oppure 20 giorni (opposizione su vizi formali) davanti al Tribunale Lavoro. In pratica conviene farsi assistere subito per decidere la strategia. Se ad esempio si vuole eccepire prescrizione del credito contributivo (merito), sono 40 giorni.
  • Cartella per sanzioni amministrative (es. multe stradali): 30 giorni, ricorso al Giudice di Pace. Ma ribadiamo: se la multa era regolarmente notificata e la cartella arriva perché non è stata pagata, in realtà non c’è molto da fare nel merito (il GdP dichiarerebbe inammissibile un ricorso tardivo). Il ricorso in 30 gg vale nei casi di mancata notifica originaria, per ottenere l’annullamento dell’ordinanza ingiunzione in extremis.

Giudice competente: Dipende dalla natura del credito nella cartella:

  • Giudice tributario per cartelle da entrate tributarie (compresi interessi e sanzioni relativi a tributi). Anche se formalmente la cartella è un atto della riscossione, la legge la include tra gli atti impugnabili in commissione (art. 19 co.1 lett. d D.Lgs.546/92). Esempio: cartella per IRPEF, IVA, ICI/IMU, TARI, canone Rai, ecc. → ricorso alla Commissione/Corte Tributaria Provinciale competente per territorio (luogo del domicilio fiscale).
  • Giudice ordinario – sezione lavoro per cartelle da contributi previdenziali (INPS, INAIL) o premi assicurativi. Competenza: Tribunale del luogo dove risiede il debitore (o dove ha sede l’ufficio INPS, ci sono orientamenti, ma generalmente foro del lavoro del territorio).
  • Giudice ordinario – giudice di pace per cartelle da sanzioni amministrative, se si intende far valere vizi come mancata notifica del verbale. Competenza: GdP del luogo dove è stata commessa la violazione (o dove ha sede l’autorità che ha emesso l’ordinanza). Esempio: cartella per multe Polizia Municipale di Milano → GdP di Milano. Se però la sanzione era di competenza Tribunale (raro, es importi alti per certe materie), allora Tribunale in composizione monocratica.

Procedura di impugnazione: Vediamo separatamente i casi principali:

  • Cartella tributaria – ricorso in Commissione Tributaria: Si tratta di un ricorso giurisdizionale di natura impugnatoria. I passi sono:
    1. Redazione del ricorso: è un atto introduttivo in carta libera (oggi prevalentemente inviato telematicamente tramite PEC o portale PTT) contenente: intestazione alla Corte di Giustizia Tributaria di Primo Grado competente; indicazione del ricorrente (dati anagrafici, CF) e del suo difensore (se nominato); indicazione dell’ente contro cui si ricorre (AdER e l’ente impositore originario, es. Agenzia Entrate o Comune); l’atto impugnato (es. cartella n… notificata il …); i motivi di ricorso, cioè le ragioni di diritto e fatto per cui si chiede l’annullamento (es.: “la cartella è nulla perché l’atto presupposto – avviso di accertamento n… – non è mai stato notificato regolarmente, come da eccezione, e quindi è decaduto”; “in ogni caso è intervenuta prescrizione quinquennale del credito tributario”; “la cartella difetta di motivazione perché non indica adeguatamente la causale”…); l’eventuale richiesta di sospensione cautelare della riscossione (se il contribuente rischia un danno grave dall’esecuzione immediata, può chiedere al giudice di sospendere l’efficacia della cartella fino alla decisione); la nota di iscrizione a ruolo (elenco dei documenti allegati); la firma del difensore o della parte. È bene allegare tutta la documentazione utile: copia della cartella (con relata di notifica), eventuali documenti che provano i vizi (es. visure, ricevute di pagamenti fatti, ecc.).
    2. Notifica del ricorso: va notificato (di solito via PEC se possibile) sia all’AdER sia all’ente creditore originario, entro il termine di 60 giorni dalla notifica della cartella. La notifica può essere fatta tramite ufficiale giudiziario o PEC per chi è obbligato al processo telematico tributario.
    3. Costituzione in giudizio (deposito): entro 30 giorni dalla notifica del ricorso, occorre costituirsi depositando in segreteria della Corte Tributaria la copia del ricorso notificato con relata, gli allegati e l’istanza di sospensione se formulata. Il deposito oggi avviene telematicamente sul Portale della Giustizia Tributaria.
    4. Fase processuale: l’ente convenuto (AdER e/o l’ente impositore) si costituisce a sua volta depositando controdeduzioni (memoria difensiva) e documenti come la copia dell’atto presupposto, le relate di notifica, ecc., di solito entro 60 giorni dal ricorso. Il giudice può fissare un’udienza pubblica o decidere in camera di consiglio. Se è stata chiesta la sospensione, di solito viene fissata un’udienza a breve per decidere sull’istanza cautelare (entro 180 giorni max). In esito, il ricorso può essere accolto (annullando la cartella, in tutto o in parte), respinto, oppure dichiarato inammissibile/improcedibile se vi sono vizi procedurali (es. ricorso tardivo, difetto di notifica, mancata indicazione dell’atto impugnato).
    5. Effetti: se il ricorso viene accolto, la cartella viene annullata (e con essa il debito in essa contenuto, salvo che l’ente possa eventualmente emettere un nuovo atto se l’annullamento è per vizio formale sanabile, ma spesso no). Se respinto, la cartella diviene definitiva ed esecutiva; il contribuente potrà appellare in secondo grado entro 60 giorni, ma nel frattempo l’AdER potrà riprendere la riscossione (salvo chiedere un’altra sospensione in appello). È importante sapere che il ricorso tributario non sospende automaticamente la riscossione: occorre la specifica istanza al giudice e la concessione di sospensione. Tuttavia, l’AdER in alcuni casi attende l’esito del cautelare prima di agire, ma non c’è garanzia. Inoltre, in base a importi e alla natura del tributo, l’AdER potrebbe essere limitata nella riscossione in pendenza di giudizio (per le imposte erariali, il pagamento è frazionato in caso di ricorso: 1/3 dopo primo grado se si perde, ecc., secondo il D.Lgs. 546/92).
    Esempio tipico: l’azienda Alfa Srl riceve nel 2025 una cartella per IVA 2018 non versata, derivante da un avviso di accertamento notificato nel 2021. L’azienda ritiene che l’accertamento fosse stato annullato in autotutela (o magari mai ricevuto). Propone ricorso tributario entro 60 giorni, chiamando in causa AdER e Agenzia Entrate, eccependo che l’avviso 2018 non fu notificato regolarmente (ad esempio perché la notifica via PEC era andata a un indirizzo sbagliato, e l’azienda ne ha contezza dall’estratto di ruolo). Chiede sospensione, dato che AdER minaccia azioni. La Corte Tributaria concede sospensione (valutando fumus boni juris nell’eccezione di mancata notifica). Dopo qualche mese, nel merito, accerta che effettivamente l’accertamento non fu notificato correttamente: accoglie il ricorso e annulla la cartella e l’atto presupposto. Il debito dunque viene meno. (Nota: se invece risultasse che la notifica era valida o che l’accertamento era comunque conosciuto e non impugnato, la Corte potrebbe respingere il ricorso, e a quel punto la società dovrà pagare, eventualmente chiedendo dilazione).
  • Cartella contributiva – opposizione al Tribunale Lavoro: Il procedimento qui è leggermente diverso, trattandosi di un’opposizione in sede ordinaria. Occorre un ricorso da depositare al Tribunale entro 40 giorni dalla notifica della cartella. Il ricorso andrà iscritto al ruolo Lavoro e Previdenza, indicando l’INPS o ente previdenziale e l’AdER. La presenza di due tipi di contestazioni (merito vs forma) può complicare: spesso per non sbagliare, si propone un ricorso unico in cui, in via principale, si fa opposizione ex art. 24 D.Lgs.46/99 (entro 40 gg) per contestare il credito (es. “non dovuto perché…”, “prescritto”), e in via subordinata si sollevano eventuali vizi di notifica chiedendo al giudice di considerarli come opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 se necessario. La giurisprudenza in materia ha mostrato flessibilità nel riqualificare l’azione, purché le ragioni siano esposte. In ogni caso è obbligatorio l’assistenza di un legale in tribunale (non c’è facoltà di comparire personalmente come dal GdP). Il giudice del lavoro segue un rito semplificato ma assimilabile al rito ordinario: fisserà udienza di comparizione delle parti, il ricorrente notificherà il ricorso all’INPS e AdER, e poi si discuterà. È possibile chiedere la sospensione dell’esecutività della cartella (che altrimenti dopo 60 giorni è esecutiva): il tribunale può sospendere ex art. 618 c.p.c. applicato, se vi è gravità e fondatezza (anche se la L.46/99 nulla dice, si applicano principi generali). Se il ricorso viene accolto, la cartella viene annullata (integralmente o in parte); se viene respinto, il debitore dovrà pagare e l’ente potrà procedere. Contro la sentenza del tribunale c’è appello (Corte d’Appello) entro 30 giorni e poi Cassazione. Nota: l’opposizione a cartella INPS non sospende automaticamente la riscossione – conviene dialogare con AdER presentando la ricevuta di ricorso e chiedendo una sospensione amministrativa in attesa del giudizio (spesso l’AdER, se vede che il ricorso riguarda il merito del credito, è disponibile a congelare il recupero fino a decisione di primo grado, anche se non obbligata).
  • Cartella per multe – opposizione al Giudice di Pace: Qui ci collochiamo nel caso particolare in cui il destinatario non era a conoscenza della multa prima di ricevere la cartella. Se invece la multa era nota e non pagata, tecnicamente si sarebbe fuori termine: la Cassazione (SU 22080/2017) ha statuito che se non c’è vizio di notifica originario, una volta decorsi i 30 giorni dall’ordinanza prefettizia non si può più opporre la sanzione. Dunque l’unica difesa in cartella sarebbe la prescrizione sopravvenuta (5 anni) o errori di persona, ma non il merito. Comunque, per illustrare:
    • L’opposizione si propone con ricorso (ingiunzione) da depositare in cancelleria GdP entro 30 giorni dalla notifica della cartella. Nel ricorso si indica il Prefetto (o l’ente che ha emesso l’ordinanza) e l’AdER. Si espongono i motivi: tipicamente (i) nullità/omessa notifica del verbale o dell’ordinanza originaria, chiedendo di essere rimessi in termini; (ii) eventualmente motivi di merito contro la sanzione (es. non ha commesso la violazione) qualora non potuti far valere prima; (iii) prescrizione sopravvenuta del diritto a riscuotere se sono passati oltre 5 anni; (iv) ogni altro vizio (es. importo non dovuto, persona deceduta, ecc.). Il GdP può anch’esso sospendere l’efficacia esecutiva su istanza (art. 5 D.Lgs.150/2011 richiama art. 615/624 c.p.c.). Una volta presentato il ricorso, va notificato a Prefettura e AdER. Segue udienza, con comparizione anche personale possibile del ricorrente (ma è consigliato l’avvocato, specie se ci sono eccezioni tecniche). Il GdP in sentenza potrà annullare la cartella e gli atti presupposti (verbale e ordinanza) se la notifica risultava viziata, oppure rigettare se ritiene tutto regolare. Importante: Cass. SU 22080/17 dice che se il ricorrente non prova la mancata notifica originaria, l’opposizione sarà dichiarata inammissibile per tardività. Quindi è fondamentale allegare elementi, ad esempio una visura anagrafica che dimostri che all’epoca la residenza era diversa dall’indirizzo di notifica, oppure copie degli atti che attestino l’errore di notifica. In caso di accoglimento, la multa viene annullata e così la cartella; in caso di rigetto, la cartella resta valida. Si può appellare in Tribunale entro 30 giorni.
    • Esempio pratico: Mario riceve cartella di € 800 per 3 multe del 2019. Non ha mai ricevuto né i verbali né altre comunicazioni. Verifica presso il Comune che i verbali risultano notificati ad un indirizzo vecchio in cui non abitava più. Entro 30 giorni dalla cartella, presenta ricorso al GdP: chiede di annullare i verbali per notifica nulla (art. 201 CdS, art. 14 L.689/81), di annullare l’ordinanza prefettizia perché non ha potuto difendersi (violazione art. 24 Cost.), e in subordine dichiara prescritta la pretesa perché comunque sono passati oltre 5 anni. Chiede anche rimessione in termini ex art. 6 co.6 D.Lgs.150/2011, avendo avuto conoscenza solo con la cartella. Il GdP verifica che effettivamente le notifiche erano nulle: accoglie il ricorso, annullando tutto. Cartella nulla, niente più da pagare. (Si veda in allegato il Fac-simile di ricorso in Appendice 1 con un esempio simile).

Motivi frequenti di impugnazione delle cartelle: Riassumiamo le contestazioni più comuni che possono portare all’annullamento totale o parziale di una cartella:

  • Vizi di notifica dell’atto presupposto: es. l’accertamento fiscale mai notificato; la multa mai notificata regolarmente. Se provato, comporta l’illegittimità della cartella per mancanza di titolo valido. La Cassazione ha affermato che la cartella è nulla se manca la notifica del prodromico atto impositivo.
  • Decadenza: in ambito tributario, molti atti devono essere emessi o notificati entro termini di decadenza fissati per legge (es: accertamento entro 31/12 del quinto anno successivo al reddito; cartella di imposte suppletive entro fine secondo anno successivo all’avviso divenuto definitivo, ecc.). Se la cartella arriva fuori termine, è annullabile.
  • Prescrizione del diritto: come già trattato, se tra l’ultimo atto valido e la cartella sono passati più di X anni (5 per contributi o multe, 3 per bollo, 10 per certi tributi erariali se non diversamente, ecc.), e non vi sono stati altri atti interruttivi, il credito è prescritto e la cartella va annullata per prescrizione. AdER spesso eccepisce che il termine è 10 anni, ma grazie alla SU 2016 ciò non vale salvo giudicato: quindi la difesa del contribuente può richiamare la prescrizione breve originaria. Esempio: cartella INPS notificata nel 2025 per contributi 2018 senza solleciti nel frattempo → oltre 5 anni, prescrizione (se provato niente interruzioni).
  • Pagamenti già effettuati o sgravio: se il contribuente ha pagato l’importo (magari con F24, o con compensazione) prima, ma per disguidi risulta comunque a ruolo, può opporre la prova del pagamento e ottenere l’annullamento (totalmente o della parte pagata).
  • Errore di persona o di soggetto passivo: es. cartella intestata a soggetto sbagliato (omonomia, o società estinta ma notificata a ex socio che però non risponde dei debiti in questione). Questi errori se dimostrati portano all’annullamento per carenza di legittimazione.
  • Vizi formali radicali della cartella: raramente, se la cartella manca di elementi essenziali (intestazione, motivazione sufficiente del perché si deve quella somma, ecc.), si può far valere violazione dello Statuto del Contribuente (L.212/2000). Ad esempio la cartella dovrebbe indicare l’atto presupposto e la data di notifica di quest’ultimo; se omette tali indicazioni, secondo alcune pronunce può essere nulla per difetto di motivazione. La Cassazione però è oscillante: talora dice che basta allegare estratto di ruolo e quello colma la motivazione.
  • Difetto di notifica della cartella stessa: va distinto dal difetto di notifica dell’atto precedente. Se la cartella in sé non è stata notificata secondo legge (es. non è mai arrivata, e il contribuente scopre il debito da estratto di ruolo o da intimazione successiva), il rimedio può essere impugnare quando si ha conoscenza (da estratto, oppure aspettando intimazione) eccependo la nullità di notifica della cartella e magari la prescrizione nel frattempo maturata. Attenzione: dal 2022 non si può impugnare l’estratto di ruolo da solo, bisogna attendere l’intimazione successiva come detto. Comunque, in sede di ricorso contro quell’intimazione, si potrà far valere che la cartella non fu notificata, chiedendone l’annullamento proprio per questo. Se si prova che AdER non riesce a esibire una relata di notifica valida o una ricevuta PEC, il giudice tributario accoglierà il ricorso per difetto di notifica e annullerà la cartella (con effetto domino sugli atti successivi).
  • Sostanza del debito non dovuto: qui entriamo nel merito (valido se l’atto presupposto non è definitivo). Esempi: l’accertamento fiscale era sbagliato su base imponibile; la multa era erronea; il contributo non era dovuto perché l’azienda non era tenuta. Se il giudice entra nel merito, può annullare il debito. Questo richiede di discutere come se fosse reinstaurata la controversia originaria. Capita soprattutto quando l’ente emanò un provvedimento senza notifica valida, quindi il giudice consente di ridiscutere la sostanza.

Effetti dell’impugnazione della cartella: Se si propone ricorso entro i termini, e specialmente se si ottiene la sospensione cautelare, l’agente della riscossione in genere sospende eventuali azioni esecutive fino all’esito del giudizio di primo grado. Formalmente, presentando il ricorso potete notificare all’AdER un’istanza di sospensione in autotutela allegando copia del ricorso protocollato, e l’ente di norma ottempera (è previsto da norme interne). Se invece non si impugna nei termini, la cartella diventa definitiva. Ciò significa che:

  • Non potrete più contestarne i motivi in giudizio (a meno di scoprire in ritardo una notifica nulla e convincere un giudice a farvi impugnare tardivamente, cosa più difficile se è la cartella stessa non impugnata).
  • L’AdER potrà passare alle misure esecutive trascorsi 60 giorni (a volte anche oltre, ma in teoria potrebbe già al 61° giorno iscrivere fermo auto o ipoteca su immobili se il debito supera certe soglie, oppure pignorare).
  • Potrete solo eventualmente chiedere una rateizzazione all’AdER (fino a 72 rate standard, o 120 in casi di grave difficoltà) per dilazionare il pagamento, oppure aderire a eventuali sanatorie (es. definizione agevolata, condoni, se previsti dalla legge). Attenzione: chiedere la rateazione implica rinuncia a impugnare (se non avete ancora ricorso, perché l’istanza di dilazione è considerata riconoscimento del debito). Se il ricorso è già in corso, chiedere rate può essere visto come contraddittorio e portare a rinuncia tacita. Quindi prima di rateizzare, decidete se fare ricorso o meno.

In sintesi, la cartella di pagamento è un atto da prendere sul serio e da esaminare attentamente: può essere l’ultima chiamata per far valere le proprie ragioni contro un debito prima che scatti la fase esecutiva. Nei prossimi capitoli vedremo atti successivi (intimazioni, precetti), ma è fondamentale non saltare questo livello: molti problemi possono essere risolti impugnando tempestivamente la cartella, evitando poi la corsa contro il tempo su intimazioni e pignoramenti.

(Segue nel prossimo capitolo l’analisi dell’intimazione di pagamento ex art.50 DPR 602/73, che spesso è il “secondo atto” dopo la cartella, con le peculiarità relative.)

Impugnare un’Intimazione di Pagamento dell’Agenzia Entrate-Riscossione

L’intimazione di pagamento ai sensi dell’art. 50 DPR 602/1973 è un atto tipico emesso dall’Agente della Riscossione (Agenzia Entrate-Riscossione, AdER) quando un debito iscritto a ruolo è rimasto insoluto e si vuole procedere con l’esecuzione forzata. In parole semplici, è una sorta di “ultimo avviso” che l’AdER invia al contribuente intimandogli di pagare entro 5 giorni, decorso il quale si potrà passare a pignoramenti, fermi amministrativi, ipoteche e altre azioni esecutive. Tale intimazione viene inviata, come visto, se è trascorso oltre un anno dalla notifica della cartella senza che sia iniziata l’esecuzione. Ha quindi la funzione di “riattivare” il procedimento di riscossione dopo un periodo di stasi.

Caratteristiche dell’Intimazione ex art.50 DPR 602/73: Solitamente reca il titolo “Intimazione di pagamento” e cita espressamente l’art. 50 comma 2 DPR 602/73. Elenca le cartelle o gli atti esecutivi precedenti a cui si riferisce (spesso più di uno), con i relativi importi aggiornati (capitale, interessi maturati, compensi di riscossione). Intima il pagamento immediato (entro 5 giorni) avvertendo che in mancanza si procederà forzatamente. Va notificata al pari di un atto giudiziario (di solito tramite PEC o ufficiale notificatore). È bene non confonderla con la cartella: l’intimazione arriva dopo la cartella, e non contiene un nuovo titolo, ma si basa su titoli esistenti (ruoli delle cartelle elencate). In un certo senso, è analoga all’atto di precetto nel sistema civile: un precetto, infatti, intima il pagamento in base a un titolo esecutivo. Qui il “titolo” sono le cartelle esattoriali già notificate e scadute.

Impugnabilità dell’intimazione: Vi sono stati dibattiti in passato se l’intimazione fosse un atto impugnabile autonomamente. La legge processuale tributaria (art.19 D.Lgs.546/92) non la menzionava esplicitamente. La giurisprudenza tuttavia ha riconosciuto che l’intimazione di pagamento è impugnabile in quanto atto che manifesta una ben individuata pretesa tributaria (al pari di un avviso di mora). Non solo: le Sezioni Unite della Cassazione hanno chiarito che l’intimazione deve essere impugnata (dal contribuente che intenda far valere, ad esempio, la prescrizione), altrimenti il debito si consolida definitivamente. In particolare la Cass. SU 17/11/2016 n.23397 e poi Cass. Sez. V 11/03/2025 n.6436 hanno affermato il principio che l’impugnazione dell’intimazione non è meramente facoltativa, ma necessaria, pena la cristallizzazione dell’obbligazione. Tradotto: se ricevete un’intimazione e avete motivi di opposizione (come prescrizione, vizi di notifica delle cartelle), dovete ricorrere ora. Se non lo fate, e lasciate decorrere i termini, poi quando partirà il pignoramento non potrete più eccepire quei motivi perché l’eccezione andava sollevata contro l’intimazione rimasta incontestata. La logica è che l’intimazione, avendo uno scopo “sollecitatorio” su un atto già definitivo (cartella), può essere facoltativamente impugnata, ma se scegliete di non impugnare, certi vizi non li potrete riproporre oltre. Quindi prudenza: meglio impugnare se si ravvisa un appiglio difensivo, piuttosto che attendere l’esecuzione.

Termini e giudice per l’impugnazione: Dipendono dalla natura del debito sottostante:

  • Se l’intimazione riguarda solo tributi (ruoli fiscali), la competenza è del giudice tributario e il termine è 60 giorni dalla notifica. (Alcune pronunce indicavano 60 giorni anche se art.19 non la citava, considerando l’intimazione equiparata all’avviso di mora – ora integrato in art.19 co.1 lett. e) grazie all’interpretazione della Cassazione).
  • Se riguarda contributi previdenziali (ruoli INPS) non pagati, in teoria competenza Tribunale Lavoro entro 40 giorni (se motivo di merito) o 20 (se formale). Qui però c’è da distinguere: spesso l’intimazione comprende più cartelle. La Cass. Sez. Lav. n. 7514/2022 ha confermato 40 giorni per opposizione a intimazione INPS in merito. Quindi seguite le stesse regole della cartella contributiva.
  • Se riguarda sanzioni amministrative (cartelle multe): la competenza resta del GdP, termine 30 giorni se si eccepisce notifica nulla originaria (opposizione tardiva). Se invece la multa era definitiva e l’intimazione interviene a distanza >1 anno, qui la giurisprudenza prevalente dice che non c’è impugnabilità nel merito: è solo un atto esecutivo. Un TAR Veneto 2020, ad esempio, ha ribadito che un’intimazione su una sanzione non opposta non è impugnabile nel merito. Ciò non toglie che se vi fossero vizi formali (tipo importo sbagliato, persona sbagliata), si potrebbe tentare opposizione ex 615 c.p.c. in fase esecutiva.

Motivi di ricorso contro l’intimazione: Dato che l’intimazione è successiva alla cartella, i motivi sono più circoscritti. Non si può contestare di nuovo ciò che era contenuto nel ruolo se la cartella era regolarmente notificata e definitiva. Si possono invece far valere i cosiddetti “vizi propri” dell’intimazione e i fatti sopravvenuti:

  • Prescrizione sopravvenuta dei debiti: caso frequente. Esempio: cartella notificata nel 2018, poi più nulla; arriva intimazione nel 2025. Sono passati oltre 5 anni (per contributi o multe) o oltre il termine previsto per quei tributi (spesso 5 anche per sanzioni tributarie locali, o 10 per tributi erariali). Si eccepisce che i crediti si sono prescritti e l’intimazione è illegittima. Attenzione: qui conta molto se dopo la cartella ci siano stati atti interruttivi (solleciti, atti esecutivi mai arrivati, ecc.). L’intimazione stessa, se valida, interrompe la prescrizione. Quindi se non la impugnate, poi difficilmente potrete invocare la prescrizione in sede di pignoramento.
  • Mancata notifica della cartella originaria: l’intimazione è il primo atto ricevuto. Allora si può eccepire che la cartella X cui si riferisce l’intimazione non fu mai notificata; chiedere l’annullamento dell’intimazione per insussistenza di un titolo esecutivo valido. In parallelo si chiede l’annullamento della cartella per mancata notifica (il giudice tributario può dichiarare nulla la cartella sottesa, “saltando” il fatto che non fu ricorsa per cause non imputabili al contribuente). Cassazione ha detto: “la mancata notificazione della cartella comporta nullità dell’intimazione”.
  • Vizi formali dell’intimazione: rari ma possibili. Ad esempio, se l’intimazione non indica l’elenco delle cartelle o è rivolta a soggetto errato, ecc. Oppure se viene notificata oltre i termini (anche se qui la legge non fissa un termine massimo dall’iscrizione a ruolo; c’è però un orientamento che se passano molti anni senza atti, la pretesa si prescrive).
  • Pagamenti effettuati o sospensioni in corso: se avete in corso una rateizzazione o una sospensione giudiziale e l’AdER vi notifica ugualmente un’intimazione, potreste impugnare per “inopponibilità” (non dovuta perché già c’è una dilazione o sentenza). Spesso però AdER non notifica intimazioni se c’è piano di rientro attivo (lo fa se decade).
  • Difetto dei requisiti di legge: ad es., l’art.50 vuole che l’intimazione preceda l’esecuzione se >1 anno. Se AdER iniziasse l’esecuzione senza intimazione nonostante anno trascorso, quell’esecuzione sarebbe impugnabile e l’intimazione eventualmente tardiva potrebbe essere considerata inefficace. Questo però è un motivo di opposizione all’esecuzione (giudice ordinario) se accade. Alcune pronunce hanno annullato pignoramenti perché non preceduti da intimazione tempestiva.

Procedura di ricorso: Simile a quella della cartella, a seconda del giudice:

  • In Commissione Tributaria: ricorso entro 60 gg, notificato a AdER (e all’ente se si eccepisce qualcosa inerente al tributo), motivi come sopra (prescrizione, vizi notifica). L’iter è identico al ricorso contro cartella, già descritto, compresa la possibilità di chiedere sospensiva. Esito: se vince il contribuente, intimazione annullata e spesso si dichiara non esigibile il credito (magari prescritto); se perde, l’esecuzione può andare avanti. Si può appellare in 60 gg alla CGT di secondo grado. Durante il ricorso, AdER di solito sospende i pignoramenti (anche qui presentando copia ricorso e chiedendo sospensione amministrativa).
  • In Tribunale Lavoro: ricorso entro 40 gg (o 20 se solo vizi formali) simile a opposizione a cartella contributi. Possibile anche qui chiedere sospensione e far valere prescrizioni quinquennali post-cartella. Cass. n. 7514/22 conferma procedibilità così.
  • In Giudice di Pace: se ipoteticamente uno volesse opporre un’intimazione relativa a multa, lo dovrebbe fare in 30 gg. Ma come detto, la giurisprudenza tende a dire che quell’intimazione non riapre il termine se la multa è definitiva. Quindi spesso un ricorso del genere verrebbe dichiarato inammissibile. Se invece la multa non era notificata, si dovrebbe farlo al momento della cartella, non aspettare l’intimazione successiva (anche perché se c’è intimazione, c’era già stata una cartella, e se non l’avete opposta allora siete già fuori termine). Quindi, nei fatti, raramente si vedono opposizioni a intimazioni per multe: si gioca tutto prima.

Esempio di ricorso contro intimazione – Prescrizione: La società Beta Srl riceve a marzo 2025 un’intimazione AdER che intima 50.000€ per 3 cartelle (una IVA 2013, una IRAP 2014, una INPS 2012). Beta Srl nel frattempo aveva cambiato sede e dichiara di non aver mai visto notifica di due di quelle tre cartelle. Inoltre, l’ultima cartella risale al 2015, sono passati 10 anni per l’INPS (che sarebbe 5 anni prescritto, ma se non impugnata resterebbe 5 per contributi, non 10 come erroneamente a volte si crede). Beta fa ricorso tributario entro 60 gg per la parte tributi (IVA, IRAP) eccependo prescrizione sopravvenuta (dal 2015 al 2025 sono 10 anni, i tributi erariali forse 10 anni ma no perché non c’è giudicato – qui in realtà IVA è tributo erariale, c’è discussione se prescrizione tributi erariali è 10 ordinaria o se alcuni sono 5: l’IVA ad esempio segue regola decennale solo se atto giudiziale, altrimenti vige decadenza e poi 10 per ruoli, complesso; Beta in ogni caso eccepisce prescrizione), e la nullità di intimazione perché due cartelle non notificate mai. Contestualmente fa ricorso al Tribunale per la parte INPS (contributi 2012) eccependo prescrizione quinquennale (dal 2015 al 2025 sono 10 anni, 5 senza atti > prescritto). Chiede sospensione ad entrambi i fori. Il giudice tributario sospende perché appare maturata la prescrizione (magari applicando l’art.2953 c.c. e Cass SU 2016 – se l’accertamento non fu impugnato, per tributi erariali c’è dibattito se resta 5 o 10; ma Beta sostiene resti 5 o comunque anche con 10 sarebbero passati). Il Tribunale pure sospende per i contributi (5 anni passati). In sentenza, ammettiamo che venga provato che due cartelle non furono mai notificate: il giudice tributario annulla l’intimazione per quelle due, dichiarando inefficaci i ruoli corrispondenti. Per la terza cartella (IVA 2013), magari risulta notificata nel 2015 a vecchia sede ma c’era prova che Beta aveva cambiato sede nel 2014 e la notifica fu fatta a sede vecchia senza trasferimento valido: anche quella potrebbe essere nulla. In subordine, comunque erano passati 8-9 anni. Il giudice accoglie su prescrizione oppure notifica nulla. La Beta Srl ottiene così di non dover pagare. (Se invece Beta non avesse fatto nulla all’intimazione, AdER probabilmente avrebbe iniziato un pignoramento e a quel punto Beta avrebbe provato a opporsi in sede di esecuzione: il giudice civile però potrebbe dire “dovevi farlo in Commissione con l’intimazione, ora è tardi”, con rischio di perdere l’eccezione, come stabilito dalla Cassazione del 2025).

Intimazione e atti successivi: Se dopo l’intimazione AdER notifica un pignoramento (ad esempio presso banca), a quel punto come visto la competenza di eventuali opposizioni passa al giudice dell’esecuzione ordinario. Ma attenti: non aspettate il pignoramento per sollevare eccezioni note sin da prima. Se l’intimazione non viene impugnata, alcune eccezioni relative alle cartelle antecedenti potrebbero essere considerate precluse. Ad esempio, non potete al momento del pignoramento dire “ah ma la cartella del 2013 era prescritta” se non l’avete detto quando l’intimazione ve l’ha intimata nel 2025. Questa preclusione non è automatica in ogni caso, ma ormai la Cassazione l’ha affermata con forza. Invece, se tra intimazione e pignoramento intercorrono più di 180 giorni, l’art.50 impone di notificare una nuova intimazione (infatti l’intimazione vale 180 giorni). Quindi AdER se ha lasciato passare 6 mesi dovrà rinotificare un’altra intimazione prima del pignoramento.

Conclusione pratica: Impugnare l’intimazione di pagamento AdER è un passaggio chiave per tutelarsi in fase di riscossione dopo la cartella. Consigliamo di:

  • Esaminare subito l’intimazione e l’elenco delle cartelle a cui si riferisce.
  • Verificare per ciascuna cartella: ho ricevuto la notifica? quando? ho conservato la busta/ricevuta?; la cartella era dovuta o c’erano ragioni di opposizione? ho fatto ricorso a suo tempo o no?; da quanto tempo non succedeva nulla (prescrizione)?
  • Raccogliere documenti: estratti di ruolo dall’AdER (si possono chiedere agli sportelli o via PEC), copie delle relate di notifica (chiedibili via accesso documentale), ricevute di PEC.
  • Consultare un professionista: perché decidere se fare ricorso in Commissione, al Tribunale, ecc., può richiedere valutazioni tecniche.
  • Se si ravvisano motivi, proporre ricorso entro i termini. È sempre preferibile prevenire che curare: un ricorso ora può evitare un pignoramento domani.

Nel caso l’intimazione riguardi anche debiti per cui non ci sono difese (es. cartella definitiva e recente, quindi non prescritta e dovuta), il ricorso potrebbe non avere esito utile. In tal caso conviene piuttosto cercare un accordo di pagamento (rateazione) con AdER, prima che scada il termine di 5 giorni, per evitare il pignoramento. Sì, perché di norma AdER aspetta 5 giorni e poi è libera di agire. A volte passano settimane prima che parta l’iter esecutivo, ma formalmente potrebbero procedere allo scadere.

Con questo, abbiamo coperto le intimazioni tipiche dell’ambito fiscale e contributivo. Passiamo ora alle intimazioni in ambito civile, cioè gli atti giudiziari di intimazione di pagamento come il decreto ingiuntivo ed il precetto, e vediamo come opporsi.

Impugnare un Decreto Ingiuntivo (Ingiunzione di Pagamento giudiziale)

Il decreto ingiuntivo è un provvedimento emesso da un giudice, su richiesta di un creditore, con cui viene ingiunto al debitore di pagare una certa somma (o consegnare una cosa) entro un termine, solitamente 40 giorni, pena l’esecuzione forzata. È una forma di intimazione “giudiziaria” prevista dagli artt. 633 e segg. c.p.c. Spesso in intestazione si trova scritto “Repubblica Italiana – Il Giudice di … ingiunge a Tizio di pagare…”. Il debitore, se non è d’accordo, ha appunto 40 giorni per proporre opposizione; se non lo fa, il decreto diventa definitivo e costituisce titolo esecutivo (come fosse una sentenza passata in giudicato).

Quando ci si trova di fronte a un decreto ingiuntivo: Tipicamente accade per crediti di diritto privato (un fornitore non pagato, una banca per un prestito insoluto, un professionista per parcelle, un condominio per quote, ecc.). Può capitare anche a imprese e imprenditori di ricevere decreti ingiuntivi dai loro fornitori o ex soci, e a privati di riceverli da banche, condomìni, ecc. L’atto viene notificato tramite ufficiale giudiziario, con in calce la formula dell’ingiunzione. Spesso è corredato dalla dicitura “provvisoriamente esecutivo” se il giudice ha concesso l’esecuzione immediata (ad esempio se il credito è fondato su cambiale, assegno, o se ha ritenuto il ritardo potenzialmente dannoso). Se provvisoriamente esecutivo, il creditore può iniziare subito il pignoramento anche prima dei 40 giorni, senza attendere la scadenza del termine di opposizione: questo rende ancora più pressante reagire subito.

Come impugnare (fare opposizione) a un decreto ingiuntivo: La procedura è diversa da quelle viste finora, perché qui non si tratta di ricorso amministrativo o tributario, bensì di introdurre un giudizio ordinario di cognizione davanti allo stesso ufficio giudiziario che ha emesso il decreto. Di fatto, l’opposizione a decreto ingiuntivo si propone con un atto di citazione (o talvolta con ricorso se il decreto era del GdP, ma generalmente atto di citazione) notificato al creditore che ha richiesto il decreto, entro 40 giorni dalla notifica del decreto. L’opposizione è un vero e proprio processo civile di primo grado: il debitore opponente diventa “attore” e il creditore “convenuto” in tale giudizio. Bisogna costituirsi, scambiare memorie, prove, ecc. In esito al giudizio di opposizione, il giudice emetterà una sentenza che potrà confermare il decreto (rigettando l’opposizione) o revocarlo (totalmente o parzialmente) accogliendo i motivi del debitore, o anche modificare l’importo. In pratica l’opposizione apre un normale processo sul merito della pretesa.

Termini chiave e decadenze: Il termine base è 40 giorni dalla notifica per proporre opposizione (art. 641 c.p.c.). Se si risiede all’estero, 50 giorni. Questo termine è perentorio: se passa, il decreto diventa inoppugnabile. Tuttavia, se il decreto non viene notificato affatto o viene notificato in modo nullo, l’opposizione può essere proposta tardivamente appena se ne ha conoscenza, chiedendo al giudice di rimettere in termini l’opponente (simile al discorso fatto per le multe: art. 650 c.p.c. consente di chiedere opposizione tardiva per caso fortuito o forza maggiore, e la giurisprudenza include la notifica nulla come causa non imputabile). Ad esempio, se scopro un decreto ingiuntivo solo da un pignoramento, posso fare opposizione tardiva ex art.650 c.p.c. al giudice dell’esecuzione, combinando anche l’opposizione all’esecuzione.

Competenza: L’opposizione va proposta al medesimo Ufficio che ha emesso il decreto ingiuntivo, ma con rito ordinario. Se il decreto l’ha emesso il Tribunale, l’opposizione sarà davanti al Tribunale (magari anche lo stesso giudice se monocratico, ma in teoria potrebbe cambiare). Se l’ha emesso il Giudice di Pace (per importi minori, fino a €5000 in materia contrattuale, etc.), l’opposizione è davanti al Giudice di Pace (e qui con rito GdP, più semplificato). In ogni caso serve atto di citazione (tranne alcuni uffici dove accettano ricorso in opposizione, ma è un tecnicismo).

Effetti dell’opposizione: L’opposizione sospende l’esecutività del decreto? Non automaticamente. Se il decreto non era provvisoriamente esecutivo, comunque il creditore non poteva eseguire prima di 40 giorni; se opponete entro i 40 gg, il decreto non diventerà esecutivo, ma è buona norma chiedere al giudice, nell’atto di opposizione, una sospensione dell’esecutività del decreto ex art.649 c.p.c. (il giudice può sospendere l’efficacia esecutiva del decreto in presenza di gravi motivi, in attesa della sentenza finale). Se invece il decreto era provvisoriamente esecutivo, il creditore può aver già avviato il pignoramento. In tal caso, dovrete agire su due fronti: proporre l’opposizione al decreto e anche eventualmente fare opposizione all’esecuzione o chiedere la sospensione urgente al giudice dell’esecuzione, finché quello dell’opposizione non si esprime (una sovrapposizione scomoda, ma necessaria a volte).

Motivi di opposizione: Sono essenzialmente qualsiasi difesa nel merito o nel procedimento che il debitore avrebbe potuto opporre se il creditore avesse dovuto citarlo sin dall’inizio. In altre parole, l’opposizione trasforma il procedimento monitorio (unilaterale) in un giudizio contenzioso a contraddittorio pieno. Dunque potete contestare:

  • Inesistenza del credito: es. “non devo nulla perché il lavoro non è stato eseguito a regola d’arte”, “la somma è errata, ho già pagato in parte”, “vi è compensazione con un controcredito”, etc.
  • Vizi di procedura: es. il decreto ingiuntivo era stato emesso senza competenza (il giudice non era competente per territorio o materia), oppure mancavano i presupposti (decreto emesso nonostante il credito non fosse di pronta liquidazione né provato per iscritto). Tuttavia, questi vizi se non eccepiti portano comunque a discutere il merito.
  • Questioni processuali: se l’atto di citazione in opposizione viene notificato oltre 40 giorni, il creditore potrà eccepirne la tardività e far dichiarare inammissibile l’opposizione. Ci sono anche casi di opposizioni tardive ammesso dal giudice su scusabilità, ma da valutare.
  • Nullità della notifica del DI: se arguibile, come detto, va chiesta rimessione in termini ex art.650 c.p.c. al giudice dell’opposizione. Il giudice valuta se effettivamente non c’è colpa del debitore nel non aver saputo, e se accoglie la rimessione, l’opposizione viene trattata come se fosse nei termini. Ad esempio Cass. SU 22080/2017 citava un caso analogo per le multe: se notifica nulla, 30 giorni da quando lo sai, concetto simile qui (650 c.p.c. di fatto).
  • Prescrizione del credito: se il credito era già prescritto prima del decreto e il debitore non era stato sentito, potrà eccepirlo in opposizione (es: la banca ha chiesto decreto per rate scadute da oltre 10 anni).
  • Qualsiasi altra difesa: anche riconvenzionale volendo (si potrebbe in teoria proporre domanda contro il creditore nella stessa causa, se collegata).

Esempio: Un professionista ottiene decreto ing. contro un cliente per €10.000 di fatture. Il cliente ritiene di aver diritto a riduzione per lavori malfatti e contesta alcune voci. Riceve il decreto il 1° marzo. Entro il 10 aprile notifica atto di citazione in opposizione al professionista, citandolo davanti al Tribunale per l’udienza di ottobre. Nell’atto di opposizione indica: “Chiedo la sospensione dell’esecutorietà del decreto ex art.649 c.p.c. e, nel merito, la sua revoca integrale perché: 1) il credito è infondato in quanto la prestazione professionale era viziata (relazione difettosa) e il committente ha dovuto incaricare un altro per rimediare; 2) in subordine, si chiede quantomeno la riduzione del compenso; inoltre risulta che l’opponente ha già pagato un acconto di €2.000 (doc. allegato bonifico) non considerato…” etc. Il professionista costituitosi potrà difendersi sostenendo la qualità del suo operato, presentando eventuali prove. Alla prima udienza il giudice, valutate le allegazioni, potrebbe sospendere l’esecutorietà (soprattutto se il decreto non era già provvisoriamente esecutivo; se lo era e magari nel frattempo il professionista aveva pignorato un conto, il debitore può aver fatto in parallelo un’istanza di sospensione al giudice dell’esecuzione per congelare quel pignoramento). Il processo poi segue il suo corso: testimoni, CTU se c’è contestazione su qualità, ecc. Alla fine il Tribunale decide: potrebbe ad esempio ridurre l’importo a €5.000 per lavori malfatti e revocare il decreto ingiuntivo originario da €10.000, condannando il cliente a pagare solo €5.000 (spese compensate o come deciso). Oppure rigettare l’opposizione e confermare il decreto integrale (allora il professionista potrà proseguire il pignoramento per recuperare il dovuto).

Se non si fa opposizione: Il decreto ingiuntivo diventa esecutivo trascorsi i termini. “Passa in giudicato”, per così dire, e vale come una sentenza definitiva. A quel punto non c’è più scampo sul merito: l’unica cosa che si potrebbe fare è opporre l’esecuzione solo per fatti successivi (es. intervenuto pagamento dopo il decreto, pignoramento irregolare, ecc.), ma non contestare l’esistenza del credito. Quindi è fondamentale rispettare il termine per opporsi. In alcuni casi, se lo si manca per poco, si può tentare di farsi accordare dal creditore una “rimessione in termini” di fatto (ad esempio, se il creditore non ha interesse a procedere subito, potrebbe convenire di riaprire la causa, ma è raro). Altrimenti, l’unico rimedio straordinario è la revocazione se emergono cose come dolo, falso, documenti decisivi scoperti dopo, o l’opposizione tardiva ex art.650 se la notifica era nulla.

Collegamento con intimazioni di pagamento: Notate che il decreto ingiuntivo è a sua volta un titolo che poi genera un precetto (nel caso diventi esecutivo). Il precetto è un altro atto di intimazione che vedremo. Dunque, se siete tardivi nell’opporre il DI, potreste ricevere un precetto. A quel punto, potete solo pagare o al massimo fare opposizione all’esecuzione contestando il titolo per motivi formali, ma non per motivi che avreste dovuto far valere in opposizione (il giudice dell’esecuzione non può rimettere in discussione il credito sancito dal decreto ormai definitivo).

In sintesi: per impugnare un decreto ingiuntivo bisogna attivarsi subito con un giudizio di opposizione entro 40 giorni, preferibilmente con assistenza di un avvocato (obbligatorio se davanti a Tribunale, facoltativo ma consigliato se davanti a GdP). Se il decreto è provvisoriamente esecutivo, valutare immediatamente la richiesta di sospensione per evitare pignoramenti nel frattempo.

Impugnare un Atto di Precetto

L’atto di precetto è, nell’esecuzione civile, l’intimazione di pagamento per eccellenza: viene definito anche “intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal titolo esecutivo” (art. 480 c.p.c.). In pratica, chi è munito di un titolo esecutivo (sentenza, decreto ingiuntivo non opposto, cambiale protestata, assegno, contratto di mutuo con clausola esecutiva, ecc.) prima di poter iniziare il pignoramento deve notificare al debitore un atto formale, il precetto appunto, con cui gli intima di pagare entro un termine non minore di 10 giorni. Se entro quel termine il debitore non paga né ottiene la sospensione dal giudice, il creditore potrà procedere a esecuzione forzata.

Struttura del precetto: È un atto redatto di solito dall’avvocato del creditore, su foglio bollato, che contiene: l’indicazione del titolo esecutivo su cui si fonda (ad es. “sentenza n… del Tribunale di…, passata in giudicato il …” oppure “decreto ingiuntivo n… del… dichiarato esecutivo”), il nome delle parti, la somma dovuta (capitale, interessi, spese legali già liquidate, ecc.), l’intimazione a pagare entro tot giorni (minimo 10) e la dichiarazione che in difetto si procederà a esecuzione forzata. Deve anche indicare il luogo di notificazione degli atti successivi (es.: elezione di domicilio dell’avvocato procedente), e altre formule (es. in caso di precetto per consegna di immobile, il termine è diverso). Spesso vi si allega (o è contestuale) la notifica del titolo stesso, se non già notificato, perché il titolo esecutivo deve essere stato notificato al debitore prima o insieme al precetto (notifica cosiddetta “in forma esecutiva”).

Come opporsi a un precetto: L’opposizione contro il precetto può essere di due tipi:

  • Opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. (che come visto, prima che inizi l’esecuzione, non ha termini rigidi, va fatta “tempestivamente”). La si utilizza se si contesta il diritto del creditore a procedere. Esempi: il debitore ritiene di aver già pagato il dovuto; oppure che il titolo esecutivo sia invalido (titolo stragiudiziale viziato, o un provvedimento provvisorio poi caducato); oppure che la somma richiesta non sia più dovuta (es. remissione del debito, accordo intervenuto dopo la sentenza); oppure che il creditore non abbia più titolo perché la sentenza è stata impugnata con effetto sospensivo, ecc. Oppure, come succede, che il titolo è stato notificato tardivamente e il debitore non l’ha potuto impugnare in tempo: in tal caso può provare a far valere in sede di opposizione all’esecuzione che il titolo va ancora contestato, ma questo è complesso: se il titolo è un provvedimento definitivo, il giudice dell’esecuzione non può annullarlo. Potrà solo, al più, sospendere se pende un’istanza di revocazione o simili.
    • Procedura: si introduce con atto di citazione in Tribunale (giudice competente per l’esecuzione, solitamente Tribunale del luogo dove dovrebbe eseguirsi il pignoramento, spesso coincide col luogo di residenza del debitore per pignoramento mobiliare o presso terzi, o dove è l’immobile per ipoteca), contro il creditore procedente, chiedendo di dichiarare non dovuta l’esecuzione/permanenza del diritto. Nel contempo, di solito si chiede anche la sospensione della possibilità di procedere, ai sensi art. 624 c.p.c., affinché il creditore non compia atti di esecuzione fino alla decisione. Il giudice fissa un’udienza, se i tempi lo consentono anche urgentemente. Se concede la sospensione, il creditore viene bloccato (può essere richiesta cauzione a volte al debitore). Poi si discute il merito dell’opposizione in un giudizio ordinario. Se il debitore vince, l’esecuzione non si farà (precetto annullato); se perde, il giudice rigetta e di solito contestualmente autorizza il creditore a procedere oltre i 90 giorni (il precetto infatti vale 90 giorni, se sospeso si può ottenere che il giudice ne proroghi l’efficacia).
    • Termini: formalmente non c’è un termine prefissato per opposizione al precetto prima del pignoramento. È ovvio però che bisogna agire entro i 10 giorni o poco più, se si vuole evitare che nel frattempo parta il pignoramento. In verità, anche dopo i 10 giorni ma prima che avvenga il pignoramento si può depositare opposizione: finché non c’è atto di pignoramento, si è ancora nella fase “pre-esecutiva”. Però se si aspetta troppo, il creditore potrebbe notificare il pignoramento e allora quell’opposizione la convertiranno in opposizione all’esecuzione post-pignoramento. Ad ogni modo, il consiglio pratico è opporsi entro i 20 giorni dalla notifica del precetto: perché se emergono motivi solo formali bisognerebbe stare nei 20 giorni (come per 617 c.p.c., vedi oltre), e se sono sostanziali comunque farlo velocemente.
  • Opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c., rivolta contro il precetto stesso come atto formale. La si utilizza se il precetto ha vizi di forma o errori procedurali. Esempi: il precetto non contiene l’indicazione del titolo o non è stato preceduto dalla notifica del titolo esecutivo (e il titolo non era già stato notificato prima); oppure intima somme non esatte (es: interessi calcolati male, spese eccessive); oppure è notificato a persona sbagliata o vizi di notifica. Oppure anche il caso in cui il precetto venga notificato nonostante il titolo non sia ancora esecutivo (es: emettono precetto su sentenza appellata con appello sospensivo, ciò è un vizio). Questi sono vizi formali/procedurali dell’atto di precetto.
    • Procedura: l’opposizione 617 prima dell’esecuzione, quindi contro un precetto, va proposta con atto di citazione (molti dicono anche ricorso, ma la Cassazione ha detto per atti notificati è citazione) entro 20 giorni dalla notifica del precetto. Competente sempre il Tribunale del luogo dell’esecuzione (o Giudice di Pace se il titolo era GdP e valore piccolo, ma per precetti in genere è Tribunale). Se presentata in tempo, il giudizio verterà solo sul vizio formale (il merito del credito non è rilevante qui). Se accolta, il precetto viene dichiarato nullo (il creditore potrà eventualmente correggere l’errore e notificarne un altro nuovo, ma intanto perde tempo e se era scaduto qualche termine di prescrizione nel frattempo, affari suoi). Se rigettata, si va avanti. Anche qui si può chiedere la sospensione (il giudice può sospendere l’atto viziato ex art. 624 analogamente, se il vizio appare serio).
    • Importanza del termine: 20 giorni nel caso di vizi formali è perentorio: se non impugno il precetto per quel vizio entro 20 gg, non potrò più farlo dopo (es: se contesto che il precetto è invalido perché notificato senza allegare il titolo, e lascio passare 3 mesi, ormai quell’eccezione è preclusa, a meno di riproporla solo come motivo di opposizione all’esecuzione poi forse, ma la legge direbbe perso). Quindi occorre scrupolo: alcuni casi borderline (ad es contestare che l’importo degli interessi è sbagliato, è vizio formale? La Cassazione dice di sì – somma contestata è vizio forma del precetto – quindi 20 gg).

Differenza e connessione tra 615 e 617 nel precetto: Spesso, per non rischiare, gli avvocati nei motivi di opposizione inseriscono entrambi i tipi in via subordinata: tipo “ritenuto che nulla è dovuto (motivo sostanziale ex 615), e in subordine che il precetto è nullo per difetto di notifica del titolo (motivo formale ex 617)…”. Il giudice può trattare la causa come opposizione all’esecuzione se prevalgono i motivi sostanziali, e comunque considerare i vizi formali se sollevati tempestivamente. Se uno solleva un motivo formale dopo 30 giorni, quell’aspetto potrebbe essere rigettato come tardivo.

Esempi di motivi frequenti di opposizione a precetto:

  • Pagamento avvenuto: il debitore prova ricevute di pagamento (in tutto o parte) successive al titolo. Es: ho un decreto ingiuntivo di 10k, dopo averlo ottenuto il creditore è stato parzialmente pagato 5k, ma fa precetto ugualmente per 10k: il debitore oppone chiedendo di dichiarare non dovuta la parte già pagata. Il giudice può dichiarare il precetto parzialmente inefficace per quell’importo, e si proseguirà solo su differenza.
  • Prescrizione del titolo: attenzione, il titolo esecutivo stesso può prescriversi. Es: un decreto ingiuntivo passato in giudicato nel 2010 si prescrive in 10 anni (azione di giudicato, art.2953 c.c.). Se il creditore notifica precetto nel 2022, il debitore può eccepire che il diritto è prescritto. (Se in mezzo ci fossero stati atti interruttivi, come pignoramenti tentati, allora no).
  • Nullità del titolo stragiudiziale: se il titolo è ad es. un contratto di mutuo notarile, il debitore potrebbe eccepire vizi di quel contratto (usura, nullità clausole) attraverso opposizione all’esecuzione, perché il giudice dell’esecuzione può conoscere di vizi del titolo contrattuale.
  • Incompetenza territoriale dell’esecuzione: raramente col precetto, ma ad esempio per esecuzioni immobiliari c’è competenza del tribunale del luogo dell’immobile. Se un creditore sbaglia e notifica precetto e pignoramento al tribunale sbagliato, il debitore può opporsi.
  • Vizi di notifica del precetto stesso: p.es precetto notificato a mezzo PEC a un indirizzo non corretto; oppure a soggetto morto (allora nullo). Questo rientra in 617 solitamente.
  • Somme non dovute per spese esagerate: se nel precetto il creditore ha inserito spese legali non liquidate o eccessive, il debitore può opporsi su quel punto (il giudice valuterà e spesso riduce le spese se erano autonome e non certificate in titolo).

Tempistiche: Il precetto vale 90 giorni dalla notifica (art. 481 c.p.c.). Significa che il creditore deve notificare l’atto di pignoramento entro 90 gg dal precetto, altrimenti quel precetto “decade” e occorre notificarne un altro. Se però è stata fatta opposizione e c’è stata sospensione, il conteggio si ferma e il giudice può prorogare l’efficacia. Se viene rigettata l’opposizione, la sentenza vale anche come nuovo precetto se lo dice (così il creditore non deve rinotificarlo).

Se non si fa opposizione al precetto: Trascorsi i 20 giorni, i vizi formali non sono più deducibili. Trascorsi i 10 giorni, il creditore può legittimamente procedere a pignoramento. Il debitore a quel punto potrà ancora fare opposizione all’esecuzione anche dopo il pignoramento, ma limitatamente a motivi sostanziali non noti prima o sorti dopo, oppure per contestare atti successivi (es. il pignoramento stesso se viziato). C’è però un paletto: l’art. 57 DPR 602/73 (prima della sentenza cost. 114/2018) vietava nel campo fiscale l’opposizione all’esecuzione dopo la notifica di cartella/intimazione. In campo civile, invece, teoricamente uno potrebbe non opporsi al precetto ma poi, dopo il pignoramento, sollevare opposizione all’esecuzione se ad esempio nel frattempo è intervenuto un fatto (es: transazione col creditore dopo il precetto, rifiutata poi e lui pignora – potrei oppormi dicendo il titolo è estinto dall’accordo). Ma se il fatto era anteriore al precetto e ho dormito, il giudice potrebbe dire era tardivo, ma in dottrina non c’è preclusione stretta come per 617.

Precetti particolari:

  • Precetto su cambiale/assegno: Cambiali e assegni protestati sono titoli esecutivi. Il debitore può opporsi? Sì, eventualmente ex art.615 contestando ad esempio la falsità della firma o la già intervenuta prescrizione cambiaria (che per assegno è 6 mesi dalla levata protesto per esecuzione, per cambiale 3 anni, etc.). Sono situazioni specifiche (di solito se la firma è falsa, c’è querela di falso).
  • Precetto su sentenza non definitiva: in genere la sentenza di primo grado è provvisoriamente esecutiva, per cui il vincitore può precettare. Il debitore, se ha appellato e ritiene che l’esecuzione vada fermata, deve chiedere sospensione in appello (art.283 c.p.c.). Nel frattempo però può opporsi al precetto sostenendo la non esecutività per qualche motivo (non serve se la legge la dà esecutiva). Diciamo che se la legge la rende esecutiva, l’opposizione al precetto difficilmente potrà far sospendere (il giudice ordinario direbbe: aspetta l’esito dell’appello, intanto esecuzione va). Quindi in questi casi la difesa è nel giudizio superiore.

In pratica, per un debitore che riceve un atto di precetto:

  • Controllare data e titolo esecutivo menzionato.
  • Se ritiene di avere motivi per non pagare (a parte la mancanza di soldi, che purtroppo non è un motivo giuridico), consultare immediatamente un legale per valutare l’opposizione.
  • Se l’idea è pagare ma serve tempo, si può provare a contattare il creditore e chiedere una proroga o rate (a volte funziona: es. “mi dai 3 mesi e pago a rate se sospendi l’esecuzione”). Il creditore non è obbligato, ma potrebbe preferire una transazione piuttosto che intraprendere un pignoramento incerto.
  • Oppure, prepararsi a eventuale pignoramento: ad esempio, se il debitore teme un pignoramento del conto corrente, potrebbe spostare temporaneamente i fondi altrove prima che scada il termine (pur sapendo che certe operazioni possono essere revocate se fraudolente, ma bonifici ordinari a terzi per debiti reali non vengono toccati solitamente). Attenzione: movimentare i beni per sottrarli a esecuzione può integrare reato di sottrazione fraudolenta se abusivo.
  • Una cosa che non molti sanno: il precetto non risulta in alcun registro pubblico. Non è come una sentenza o un’ipoteca. È un atto privato. Dunque ricevere un precetto non incide sul rating creditizio formale. Invece se scatta un pignoramento o un’ipoteca giudiziaria, quelli sì sono pubblici (registro esecuzioni, conservatoria). Questo per dire: se potete risolvere nella fase di precetto (pagando o transando), il vostro profilo pubblico rimane pulito. Dopo, andrà a ruolo nelle procedure e potrebbe emergere in visure.

Collegamento con altri temi: Il precetto è l’equivalente civile dell’intimazione AdER. Differenza: il precetto segue un titolo di natura giudiziale o stragiudiziale, non un atto amministrativo come la cartella. Come visto, l’art. 57 DPR 602/73 prima vietava opposizioni all’esecuzione sui tributi dopo cartella; in ambito civile invece sono possibili. La Corte Cost. 114/2018 ha reso possibili anche quelle in ambito fiscale per fatti successivi. Quindi ora c’è parità: se dopo la cartella maturava prescrizione, potete fare opposizione al pignoramento tributario (è un parallelo a opposizione all’esecuzione in ambito civile).

Riassumendo, per impugnare un precetto occorre:

  • Analizzare se i motivi sono sostanziali (615) o formali (617) o entrambi.
  • Redigere atto di citazione in opposizione, indirizzato al tribunale competente, esporre i motivi, chiedere in via d’urgenza sospensione (ex artt.615 co.1 e 623-624 c.p.c.).
  • Notificare tale atto al creditore entro i termini (20 gg se ci sono vizi formali).
  • Costituirsi in tribunale e seguire il giudizio.

Se il tutto avviene prima del pignoramento, l’esecuzione sarà sospesa se il giudice lo ritiene; se respinge la sospensione, il creditore potrebbe pignorare comunque e si dovrà poi regolare unendo magari anche opposizione atti esecutivi al pignoramento se quello ha vizi.

Esempio pratico di opposizione mista: Tizio riceve precetto di 50.000€ basato su sentenza di tribunale passata in giudicato. Tizio però ha una quietanza firmata dal creditore che dopo la sentenza, un anno fa, ha accettato 30.000€ a saldo e stralcio. Inoltre nota che nel precetto il creditore chiede ancora l’intera somma più €5.000 di spese legali, mentre in sentenza le spese liquidate erano €3.000 (pare abbia aggiunto €2.000 non dovuti). Tizio propone opposizione ex 615 per far valere la transazione che estingue il debito (motivo sostanziale) e ex 617 per l’errata quantificazione delle spese (motivo formale). Notifica entro 20 gg dal precetto. Chiede sospensione. Il giudice sospende in via cautelare (perché la quietanza è evidente fumus). A fine causa, se riconosce valida la quietanza, dichiara nullo il precetto perché nulla più è dovuto (oppure al più residua la differenza se la quietanza fosse parziale). E sulle spese aggiuntive non dovute, le toglie. Il risultato: creditore magari condannato anche a spese, e l’esecuzione abortisce.

Solleciti di Pagamento Stragiudiziali: come comportarsi

Diverso dalle intimazioni legali è il sollecito di pagamento stragiudiziale, ossia un sollecito informale che un creditore invia (o fa inviare da un’agenzia di recupero crediti o da un avvocato) al debitore per indurlo a pagare spontaneamente un debito. Queste comunicazioni non hanno la forza di un titolo esecutivo né sono previste dalla legge come passi obbligati: sono iniziative volontarie del creditore. Possono assumere varie forme:

  • Lettera di sollecito via posta o PEC da parte dell’ufficio crediti di un’azienda fornitrice, con tono cordiale o ultimativo.
  • Telefonate di recupero crediti da call center incaricati (molto comuni per banche, utenze telefoniche, ecc.).
  • Diffida formale dell’avvocato (spesso intitolata “messa in mora ex art. 1219 c.c.”) che intima il pagamento entro X giorni per evitare azioni legali.
  • Email o SMS (meno formali, a volte borderline se travalicano la privacy).
  • Sollecito da parte dell’ente pubblico prima della cartella: ad esempio, l’INPS a volte invia avvisi bonari prima dell’avviso di addebito; l’Agenzia Entrate invia “avvisi bonari” dopo controlli automatici delle dichiarazioni, offrendo sanzioni ridotte se paghi subito.

La caratteristica comune è che non sono atti impugnabili in tribunale, perché non incidono direttamente sui diritti in termini giuridici: sono richieste bonarie o pre-contenziose. Quindi, se ricevete una lettera di sollecito da una società X per un importo che ritenete di non dovere, non si presenta un ricorso al giudice contro la lettera stessa. Non c’è un provvedimento da annullare, perché il sollecito non è un provvedimento: è come se un privato vi scrivesse “ti prego pagami”. Ovviamente, ignorare del tutto i solleciti potrebbe portare il creditore ad agire legalmente (ingiunzione, precetto, ecc.). Ma fintanto che resta sul piano del sollecito, è una questione tra privati.

Come reagire a un sollecito stragiudiziale:

  • Se il debito è dovuto e potete pagare: la via migliore è pagare prima che scatti la mora ulteriore o le spese legali. Magari contattate il creditore per concordare modalità (un pagamento immediato spesso evita che incarichino un avvocato e vi chiedano anche quelle spese).
  • Se il debito è dovuto ma non potete pagare subito: conviene rispondere al creditore (o al suo agente) spiegando la situazione e proponendo una dilazione. Spesso i creditori accettano piani di rientro spontanei piuttosto che andare per vie legali (che costano e hanno incertezza). Formalizzate un accordo di rate, meglio per iscritto. Così guadagnate tempo e bloccate eventuali cause (il creditore in genere sospende le azioni se vede collaborazione).
  • Se ritenete che il debito non sia dovuto o sia contestabile: è opportuno rispondere per iscritto contestando il debito. Questa risposta può essere inviata via raccomandata A/R o PEC preferibilmente. Nella lettera di risposta (magari redatta con assistenza di un legale se la questione è complessa) dovreste:
    • Negare la debenza della somma e spiegarne i motivi. Es: “Contestiamo la somma richiesta in quanto la fornitura non è mai stata consegnata / il servizio era difettoso / abbiamo già pagato come da ricevuta allegata / il termine di fatturazione è scaduto quindi nulla è dovuto”, etc.
    • Diffidare a vostra volta dal proseguire richieste infondate, se del caso.
    • Indicare eventuali disponibilità a trovare un accordo transattivo (se siete disposti a una soluzione di compromesso).
    • Chiedere eventualmente documentazione: a volte gli uffici crediti contattano con solleciti generici; potete chiedere copia delle fatture o dei contratti, per verificare.
  • Se il sollecito proviene da un’agenzia di recupero crediti: sappiate che quelle agenzie agiscono in base a un mandato o a una cessione. Devono rispettare certe regole deontologiche (non possono minacciare illegalmente, non possono spacciarsi per autorità pubbliche). Se la comunicazione ha toni intimidatori oltre il lecito, siete legittimati a ignorarla o a replicare chiedendo di essere contattati solo per iscritto. Potete anche rivolgervi ad un’associazione consumatori se subite molestie telefoniche eccessive.
  • Non fare nulla: è un’opzione, ma con rischi. Ignorare un sollecito non ferma il creditore: se è convinto, potrebbe passare subito alla fase legale. Se siete consapevoli che comunque non avete intenzione di pagare né trovare accordo (perché certi di aver ragione o insolventi al momento), potreste decidere di attendere la mossa successiva. Tenete presente però che:
    • In alcuni casi la legge richiede di fare un tentativo prima di agire in giudizio. Ad esempio, per le forniture di energia c’è obbligo di conciliazione prima di causa. Per le banche, l’Arbitro Bancario Finanziario può essere investito. Se esistono questi strumenti, conviene approfittarne in fase di sollecito (es. proporre conciliazione paritetica).
    • Se lasciate correre, il creditore potrebbe chiedere un decreto ingiuntivo senza avvertirvi ulteriormente (non c’è obbligo di diffida preventiva tranne che in rari casi contrattuali). Dopodiché, come visto, avrete comunque la chance di opporvi, ma la situazione sarà più critica perché sarete convenuti in un processo con scadenze.

Il sollecito come “messa in mora” ex art. 1219 c.c.: Una lettera di sollecito ben formulata dall’avvocato costituisce anche costituzione in mora del debitore. Ciò ha implicazioni:

  • Fa decorrere gli interessi di mora (se non decorrevano già).
  • Può interrompere la prescrizione (la lettera raccomandata che intima pagamento è atto interruttivo, art. 2943 c.c.).
  • Adempie ad eventuali obblighi legali di sollecitare prima di risolvere un contratto (in alcuni contratti serve diffidare ad adempiere per dare ultima possibilità).
  • In alcuni casi, se ignorate la diffida e poi finite in causa, potreste essere valutati male su spese: i giudici possono pensare “potevi evitarla pagando alla diffida”.

Quindi, un sollecito non è un atto “pericoloso” in sé come un precetto o una cartella, ma non va ignorato alla leggera. Trattatelo come un momento per valutare il vostro debito:

  • Se è legittimo, cercate di risolvere ora.
  • Se non lo è, preparate le vostre argomentazioni e fatele presenti subito (questo può perfino scoraggiare il creditore dal procedere, se capisce che avete ragioni solide di opposizione e che troverà pane per i suoi denti in giudizio).

Esempio: Un privato riceve da una società di recupero crediti la richiesta di €500 per un vecchio contratto telefonico che lui ritiene di aver chiuso correttamente anni fa. Nel sollecito minacciano azioni legali. Il privato potrebbe:

  • Ignorare: la società potrebbe anche non far nulla per così poco, oppure potrebbe fare decreto ingiuntivo (alcune lo fanno anche per cifre modeste). Il privato poi dovrebbe opporsi ecc. Non il massimo.
  • Rispondere: inviare una raccomandata/PEC alla società e al creditore originario (compagnia telefonica) dicendo che il contratto è stato chiuso senza penali, allegando ricevuta di raccomandata di disdetta dell’epoca, e contestando il debito, “perciò vi invito ad annullare ogni richiesta e prendere atto della chiusura regolare. In mancanza di riscontro, sono pronto a tutelarmi nelle sedi competenti.”. Spesso, di fronte a contestazioni documentate, i recuperatori chiudono il dossier (perché sanno che in giudizio sarebbe perso).
  • Oppure scoprire che magari c’era una fattura finale non pagata di pochi euro, e offrire di pagarla subito chiedendo stralcio di eventuali more e chiusura lì (può risolvere semplicemente).

Solleciti da enti pubblici: A volte anche gli enti pubblici inviano “solleciti bonari”. Ad esempio l’Agenzia delle Entrate invia comunicazioni di irregolarità (c.d. avvisi bonari) dove propone di pagare sanzioni ridotte. Quelli non sono atti impugnabili, ma se non siete d’accordo conviene rispondere (c’è spesso la possibilità di fornire chiarimenti entro 30 giorni). Se ignorate, l’ente poi emetterà l’avviso di accertamento vero e proprio, contro cui sì potrete fare ricorso. Se pagate l’avviso bonario, definite la questione con sanzioni ridotte. Quindi in quell’ambito si parla di “impugnazione” nel senso di chiarimenti all’ufficio, non di ricorso giudiziario.

Conclusione sui solleciti stragiudiziali: Non esiste un “ricorso contro un sollecito” perché il sollecito non è un provvedimento. L’approccio deve essere negoziale o difensivo extragiudiziale. Salvo situazioni di abusi (in cui potete addirittura sporgere reclamo o denuncia se venite minacciati), la strada è comunicare efficacemente col creditore. Se poi il creditore avvia comunque un procedimento ufficiale (ingiunzione, citazione), allora farete valere le ragioni in quella sede.

Differenze tra Impugnazione in Sede Giudiziale e in Sede Amministrativa

Nel percorso di opposizione alle intimazioni di pagamento, abbiamo visto che in alcuni casi si ricorre davanti a un giudice (sede giudiziale), in altri casi si può o deve passare per un’autorità amministrativa o una procedura extragiudiziale prima di arrivare al giudice. Ricapitoliamo queste differenze, perché può creare confusione capire dove presentare il proprio ricorso.

  • Giudice Ordinario vs Giudice Tributario vs Giudice Amministrativo: A seconda della natura del debito, cambia la giurisdizione:
    • Giurisdizione Ordinaria (civile): riguarda tutti i crediti di diritto privato (banche, fornitori, privati) e anche le sanzioni amministrative quando vengono portate in opposizione (il GdP o Tribunale decide come giudice ordinario su una sanzione). Il giudice ordinario è anche competente per la fase esecutiva, sia dei crediti privati che – dopo la riforma – anche di quelli tributari limitatamente agli atti dell’esecuzione forzata (pignoramenti, ecc. – come da Cass. SU 7822/2020). In sede ordinaria l’impugnazione assume le forme di citazione, ricorso ex art.414 (lavoro), ecc., come abbiamo descritto.
    • Giurisdizione Tributaria: competenza esclusiva sulle controversie tributarie (avvisi di accertamento, cartelle per tributi, avvisi di mora, intimazioni su tributi). Qui il “giudice” è una Corte di Giustizia Tributaria (primo grado e appello). La procedura è speciale, disciplinata dal D.Lgs.546/92, che però è simile a un processo civile semplificato (non c’è un PM, si va davanti a collegi tributari, ecc.). La differenza è anche in termini di difesa tecnica: in Commissione Tributaria possono stare come difensori non solo avvocati ma anche commercialisti, consulenti del lavoro, periti agrari, in base alle materie, e il contribuente stesso se la controversia < €3.000.
    • Giurisdizione Amministrativa (TAR/Consiglio di Stato): entra raramente in gioco, solo quando l’intimazione è essa stessa un provvedimento amministrativo autonomo. Esempi: l’ingiunzione di una Regione di restituire un contributo pubblico; un’ordinanza sindacale che intima di pagare i costi di demolizione di un abuso edilizio, ecc. In questi casi l’impugnazione va fatta al TAR competente entro 60 giorni, con patrocinio obbligatorio di avvocato amministrativista. Il processo amministrativo è diverso (si impugna l’atto per vizi di legittimità, non si rimettono in discussione i fatti se non per verificarne la logicità, etc.). Nell’ambito di questa guida, casi del genere li accenniamo soltanto, perché non comuni nelle tipiche intimazioni di pagamento di natura fiscale o contributiva (che sono sì atti amministrativi, ma il legislatore li ha devoluti al giudice tributario o ordinario).
  • Impugnazione in sede amministrativa (non giurisdizionale): Questo si riferisce a quei procedimenti in cui prima di andare dal giudice bisogna (o è facoltativo) fare ricorso a un’autorità amministrativa o un organo di conciliazione:
    • Prefetto per multe: In caso di verbale di multa stradale, la legge offre due alternative: ricorso al GdP entro 30gg, oppure ricorso al Prefetto entro 60gg. Se uno va dal Prefetto e questo rigetta, emette un’ordinanza-ingiunzione che poi è impugnabile al GdP. Quindi è un doppio grado amministrativo+giudiziario. Nel contesto di intimazione di pagamento, però, quando siamo alla cartella esattoriale, è tardi per andare dal Prefetto: quell’opzione valeva entro 60gg dal verbale. Quindi la via amministrativa (Prefetto) è parallela solo in fase iniziale. Molti scelgono di bypassarla e andare diretti dal giudice (GdP), perché il Prefetto spesso rigetta (essendo autorità che rappresenta l’ente accertatore).
    • Ricorsi gerarchici o in autotutela: Per alcuni tipi di pretese, esistono organi interni dove fare ricorso amministrativo. Ad esempio, in passato per avvisi di addebito INPS esisteva il Comitato Provinciale INPS; oggi molte di queste funzioni sono state eliminate, e si va direttamente in tribunale. Un altro esempio: se un Comune notifica una ingiunzione fiscale per tributi locali, a seconda del tributo a volte c’è un’istanza di riesame in autotutela possibile al dirigente, ma non c’è un vero “ricorso” interno obbligatorio. Lo stesso per tasse rifiuti ecc., c’è il ricorso tributario diretto.
    • Reclamo-mediazione tributaria: Questa è una procedura particolare in ambito tributario: per controversie di valore fino a €50.000, prima che la Corte Tributaria possa decidere, bisogna presentare il ricorso che vale anche come reclamo all’ufficio, e c’è una fase di 90 giorni di possibile mediazione (l’ufficio può accogliere in tutto o parte, o proporre accordo). Se trascorrono 90 giorni senza accordo, il ricorso prosegue in Corte automaticamente. Quindi è una fase amministrativa endo-processuale.
    • Composizione stragiudiziale per consumer credit, utility: Non strettamente “impugnazione di atto di pagamento”, ma per esempio se arriva un sollecito per bollette, c’è l’Arera conciliazione, ecc. Sono strumenti di risoluzione extragiudiziale, che conviene tentare per evitare cause. Non sono però obbligatori per intimazioni esecutive (sono per controversie contrattuali).
    • Autotutela e sospensione amministrativa: Quando ad esempio arrivate a AdER con un ricorso pendente, potete chiedere la sospensione amministrativa all’ente creditore. Questo è un provvedimento di clemenza dell’amministrazione che, preso atto che avete fatto ricorso e sembra fondato, sospende in proprio l’esecuzione. Non sostituisce il provvedimento del giudice, ma serve a evitare contenziosi. Alcune normative lo prevedono espressamente (es. se presentate ricevuta di ricorso tributario, l’AdER sospende 180 gg l’esecuzione in attesa della cautelare).

Perché è importante capire la distinzione: Perché presentare l’impugnazione alla sede sbagliata può farvi perdere tempo e magari farvi decadere dai termini giusti. Ad esempio, se mandate un ricorso al Prefetto per una cartella esattoriale di multa anziché rivolgervi al giudice, il Prefetto dirà “non è di mia competenza, dovevi andare dal giudice entro 30gg”: nel frattempo quei 30 gg possono essere passati e avete perso il treno. Analogamente, se fate un ricorso in commissione tributaria per una materia di contributi INPS, quel giudice si dichiarerà difetto di giurisdizione, e se intanto i 40 giorni al tribunale sono scaduti, rischiate il nulla. Ci sono a volte translatio iudicii (passaggio degli atti al giudice competente) ma è meglio non incorrere in questi errori.

Ricapitolando:

  • Atti tributari (cartella, intimazione tributi): Giudice Tributario (60gg).
  • Atti contributivi (ruoli INPS): Giudice Ordinario – sez. Lavoro (40gg).
  • Atti sanzionatori (multe): Giudice Ordinario – GdP (30gg) o Prefetto (60gg se in fase verbale).
  • Atti esecutivi post-titolo (precetto, pignoramento): Giudice Ordinario – esecuzione (tempi vari).
  • Atti amministrativi autonomi: Giudice Amministrativo – TAR (60gg).

Sede Amministrativa non va confusa con Autotutela: Impugnare in via amministrativa significa fare un ricorso formale a un’autorità (Prefetto, Commissione di ricorso, TAR in certi casi). L’autotutela invece è semplicemente chiedere all’ente creditore di riesaminare e annullare/ridurre il suo atto. Ad esempio, se ravvisate un errore palese in una cartella (tipo un pagamento non registrato), potete scrivere all’AdER e all’ente impositore segnalando l’errore e chiedendo l’annullamento in autotutela della cartella. L’ente può accogliere e sgravare la cartella (spesso lo fa se l’errore è documentato). Ciò però non sospende i termini di ricorso: se manca poco alla scadenza, conviene presentare ricorso comunque per sicurezza, oltre a chiedere autotutela. L’autotutela è discrezionale e non “impugnabile” se negata: se vi dicono no, dovete agire col giudice comunque.

Conclusione su questo tema: Per il cittadino/imprenditore, la cosa importante è individuare correttamente il foro competente e non confondere i percorsi. Quando in dubbio, consultare un professionista, perché il rischio di decadere è alto. Questa guida, con la tabella e le sezioni, mira a far capire a colpo d’occhio dove andare: ad esempio, un’intimazione AdER che cita ruoli TARI e INPS e multe è un mix – soluzione: bisognerà fare tre ricorsi diversi, a tre fori diversi, ciascuno per la sua parte. Scomodo ma necessario.

Impatto sulle Diverse Categorie di Debitori

Le intimazioni di pagamento possono riguardare sia privati cittadini sia soggetti economici come imprenditori individuali, professionisti e società. Vediamo alcune considerazioni specifiche per queste categorie, perché pur seguendo le stesse procedure legali, l’impatto pratico e strategico può differire:

Imprenditori Individuali e Ditte Individuali

  • Sovrapposizione tra persona e impresa: L’imprenditore individuale non ha personalità giuridica distinta dalla sua persona fisica. Ciò significa che debiti dell’impresa = debiti personali. Un’intimazione di pagamento, ad esempio per contributi INPS artigiani o per IVA non versata, colpirà direttamente il patrimonio dell’imprenditore. Non c’è “schermo” societario. Quindi il rischio è sulla casa di proprietà, sui conti personali ecc.
  • Volume e frequenza di atti: Un imprenditore è soggetto a molteplici obblighi (fiscali, previdenziali, fornitori). È più probabile che riceva intimazioni rispetto a un privato che magari ha solo lo stipendio e la bolletta. Un artigiano può avere cartelle per INAIL, avvisi di addebito INPS gestione commercianti, cartelle tributi vari… Deve quindi organizzarsi con un calendario delle scadenze e tenere traccia di eventuali comunicazioni per non venire colto di sorpresa. Avere un bravo commercialista aiuta a prevenire: spesso gli atti fiscali arrivano anche a lui via PEC (se domiciliato presso).
  • Effetti sul lavoro: Se un imprenditore individuale subisce un pignoramento su conto, vengono bloccate risorse aziendali, con pericolo per l’attività. Quindi per lui impugnare tempestivamente e chiedere sospensioni è vitale per continuare l’attività. Ad esempio, un fermo amministrativo su un automezzo può bloccare la sua operatività (camion fermo = niente consegne). Quindi, mentre un privato potrebbe subire il fermo auto e limitarsi, un imprenditore di autotrasporto deve assolutamente prevenire il fermo impugnando subito e magari chiedendo al giudice la sospensione urgente evidenziando l’impatto sull’impresa.
  • Opportunità di definizioni agevolate: Lo Stato periodicamente vara rottamazioni e sanatorie di cartelle (come nel 2023). Un imprenditore con molti debiti iscritti a ruolo può valutare di aderire a queste (pagare il debito senza interessi e sanzioni). Questo può essere più conveniente che impugnare se il debito c’è ma è solo grosso. Ad esempio, un artigiano con €100k di cartelle IVA non versata: difficile vincere in causa, può invece rottamare e pagare solo imposta senza sanzioni. Quindi gli imprenditori tengano d’occhio le normative fiscali annuali: a maggio 2025, ad esempio, c’è la “definizione agevolata 2023” ancora in corso per rate, ecc.
  • Rischio penale: Alcune intimazioni riguardano debiti la cui mancata estinzione potrebbe avere anche rilevanza penale. Ad es., se un imprenditore non versa l’IVA per importi oltre soglia (attualmente €250k per periodo) commette reato. L’intimazione di pagamento dell’IVA evasa non annulla il reato, ma se paga riduce il danno o talvolta, se prima di certa data, evita querela. Lo stesso per ritenute non versate (soglia €150k). Quindi un imprenditore deve considerare che non sempre l’impugnazione è la soluzione: se sa di aver evaso e riceve atto di riscossione, pagando evita guai peggiori. Impugnare per allungare i tempi potrebbe non giovare se poi intanto parte il procedimento penale. Occorre consultare un legale penalista in casi del genere contestualmente al tributarista.
  • Fallimento/Procedura concorsuale: Se un imprenditore individuale è in crisi grave, i debiti potrebbero portarlo al fallimento (liquidazione giudiziale). Quando viene dichiarato fallito, le azioni esecutive individuali (compresa la riscossione coattiva fiscale) vengono bloccate e i creditori devono insinuarsi nel passivo. Significa che cartelle e intimazioni non potranno più essere impugnate dal fallito perché saranno gestite dal curatore nel concorso (il curatore può fare domande di ammissione, eccepire eventuale prescrizione in sede di verifica passivo). Quindi se siete imprenditori e pensate di ricorrere, ma poi venite dichiarati falliti, il ricorso in corso si interrompe. Sarà valutato nel fallimento. Questo è un aspetto di strategia: a volte conviene transare o dilazionare col fisco per evitare di accumulare troppi debiti ed evitare la crisi irreversibile.
  • Patrimoni da proteggere: Un imprenditore individuale può adottare misure per proteggere alcuni beni: ad esempio, la casa coniugale se in comunione può in parte essere tutelata (ma Equitalia può ipotecarla se debito >€20k). O usare il fondo patrimoniale se i debiti non sono per bisogni familiari (per tributi però il fondo non tutela, in generale i debiti fiscali non sono considerati “esigenze familiari” quindi il fondo non li salva, come da Cassazione). Ci sono trust o cessioni d’azienda a terzi, ma vanno fatte molto prima e correttamente per non essere revocate. Insomma, per un imprenditore con rischi di intimazioni, la pianificazione patrimoniale è cruciale (sentire un consulente a riguardo).

Società di Capitali (S.r.l., S.p.A.)

  • Personalità giuridica distinta: La società è distinta dai soci. Un’intimazione di pagamento indirizzata alla società non coinvolge direttamente il patrimonio personale dei soci (salvo casi eccezionali di garanzie personali o responsabilità per illeciti). Questo è un vantaggio: se una S.r.l. non paga, al massimo subirà esecuzione sui suoi beni e conti sociali, ma i soci conservano il loro patrimonio (a parte se la società è mono-socio e confondono beni, ma allora c’è abuso).
  • Rappresentanza legale obbligatoria: Davanti ai tribunali (Tribunale ordinario, tributario) la società deve stare in giudizio con avvocato o professionista abilitato. Non può mai difendersi da sola come persona fisica (anche al GdP, deve delegare un procuratore o avvocato, perché persona giuridica). Quindi ogni impugnazione per la società comporta nominare un legale e relative spese. Questo va valutato costi-benefici: per una cartella da €500 forse una Srl deciderà di pagare e non spendere di più in avvocato. Per importi grandi invece non esita.
  • Controlli incrociati: Le società hanno l’obbligo di bilancio, e debiti verso erario e INPS risultano spesso nelle certificazioni dei crediti (DURC, certificati di regolarità fiscale). Un intimazione di pagamento non impugnata e non pagata può portare ad un DURC irregolare, quindi la società non può partecipare ad appalti, perde agevolazioni, etc. Quindi per una società, impugnare e sospendere un atto può servire anche a mantenere il DURC regolare in attesa di definizione. Ad esempio, se Equitalia iscrive la società a ruolo per contributi e la società ricorre ed ottiene sospensione, in genere INPS la considera “in contenzioso” e può rilasciare un DURC provvisorio.
  • Responsabilità degli amministratori: Se la società non paga tributi o contributi, in certi casi l’amministratore può avere responsabilità personali:
    • IVA non versata: reato a carico dell’amministratore come persona (se super soglia).
    • Ritenute non versate: idem reato sul legale rappresentante.
    • Contributi dipendenti non versati: fino a 2015 reato se oltre soglia, oggi depenalizzato sotto certi importi ma sempre sanzioni.
    • In caso di fallimento: il curatore può agire contro gli amministratori per mala gestio se non hanno pagato tributi causando sanzioni e interessi, considerandoli danni.
    • Soci e liquidatori: in srl chi liquida e ripartisce attivo senza pagare debiti verso l’erario può risponderne nei limiti di quanto ricevuto (azione di responsabilità).
    • Società estinte: L’Agenzia delle Entrate spesso notifica ai soci delle ex srl (uscite da liquidazione) cartelle per tributi rimasti, pro quota. Ciò perché interpretano che i soci hanno avuto assegnazione di beni e ne rispondono (Cass. SU 6070/2013 conferma che i debiti fiscali di società cancellata si trasmettono a soci fino concorrenza attivo distribuito).
    In sintesi, i dirigenti di società non possono ignorare i debiti pensando “è della società, al massimo fallisce”: potrebbero aver conseguenze personali se la gestione è scorretta. Quindi anche per le società è opportuno affrontare seriamente le intimazioni – se c’è errore, impugnarle; se è dovuto, trovare soluzione di pagamento o ristrutturazione debito (es. chiedere rate, concordati).
  • Strumenti speciali per società: Le società di capitale in difficoltà possono accedere a procedure concorsuali: concordato preventivo, piani di ristrutturazione, composizione negoziata. Queste procedure, se attivate, spesso congelano le azioni esecutive dei creditori, AdER compreso, e permettono di trattare con tutti i creditori insieme (magari stralciando parte del debito). Quindi, se una società riceve una pioggia di intimazioni e vede che non potrà mai pagare tutto, invece di impugnare atto per atto (che risolve poco se il debito è reale e insolvenza c’è), può valutare di attivare una procedura concorsuale che sovrasta i singoli ricorsi. Ad esempio, presentare domanda di concordato in bianco genera automatico blocco dei pignoramenti (stay) e poi si cerca accordo con erario e altri (spesso l’erario accetta dilazioni lunghe in concordato, o stralci parziali se ragionevoli, grazie al voto in classe).
  • Credito d’imposta per spese legali? Non esistono crediti d’imposta specifici, ma le spese legali che la società sostiene per impugnare atti fiscali sono deducibili come costo d’impresa. Quindi, fiscalmente, fare ricorso è un costo deducibile (lo stesso per un professionista). Per un privato invece le spese legali non sono deducibili (tranne poche eccezioni).
  • Immagine e rating: Una società che ha pendenze esecutive (pignoramenti, ipoteche esattoriali) avrà cattiva reputazione finanziaria, con possibile impatto su fidi bancari. Quindi impugnare e sospendere misure come ipoteche o fermi serve anche a proteggere il rating CRIF/Centrale rischi, etc.

Professionisti (Avvocati, Commercialisti, ecc.)

  • I professionisti (notai, avvocati, medici, ingegneri…) in termini fiscali sono equiparati a ditte individuali (partita IVA, dichiarazione redditi). Tuttavia, hanno alcune particolarità:
    • Contributi previdenziali: sono iscritti a casse professionali autonome (Cassa Forense, Inarcassa, etc.), le quali possono anch’esse emettere ruoli esattoriali (molte convenzionano AdER per riscossione). Ad esempio, la Cassa Forense può iscrivere a ruolo i contributi non pagati e far arrivare una cartella al legale moroso. Oppure potrebbe agire tramite ingiunzione. Quindi i professionisti possono ricevere intimazioni relative alla propria cassa pensionistica. Le procedure di opposizione sono analoghe a INPS? Dipende: alcune casse richiedono prima un ricorso interno, altre si va diretti al giudice. Spesso è tribunale (sezione lavoro) competente in genere. Il professionista deve stare attento perché, se non paga contributi, la cassa può sospenderlo dall’albo! Quindi l’intimazione di pagamento della cassa non è solo questione di soldi, ma può minare la continuità lavorativa. Spesso gli ordini pressano per regolarizzare.
    • Regime fiscale: i professionisti pagano IRPEF, IVA, etc. Se non versano, cartelle come tutti. Non avendo un magazzino beni pignorabili, il punto debole è il conto corrente (dove incassano parcelle) e l’auto magari. Dunque, un pignoramento su conto di un avvocato può bloccare la sua attività quotidiana (impossibilità di pagare collaboratori ecc.). Vale quanto detto per l’imprenditore individuale su reattività.
    • I professionisti hanno di solito familiarità col diritto (specie avvocati e commercialisti), quindi riescono a gestire con meno panico queste situazioni. Attenzione però al rischio di sottovalutare: “sono avvocato, risolvo da solo” – anche i legali dovrebbero farsi assistere se si tratta di questioni tributarie specialistiche o se la questione li tocca emotivamente (un vecchio detto: “chi fa da sé ha un matto per cliente”).
    • Confidenzialità: Un medico che subisce un pignoramento per tasse potrebbe temere per la reputazione, ma di solito queste cose non sono pubbliche. Tuttavia, se l’auto del dottore viene fermata per fermo amministrativo, fa brutta figura. Quindi per immagine i professionisti cercano di evitare arrivare a esecuzioni tangibili.
    • Ordini professionali: Alcuni ordini prevedono che l’essere in regola con il fisco è dovere deontologico. Non sempre esplicitamente, ma ad esempio, avvocati: la persistente evasione di contributi alla Cassa può portare a sanzioni disciplinari. Dunque risolvere le intimazioni contributive è importante per non avere problemi con l’albo.

Consumatori e Privati Cittadini

  • La maggioranza dei punti li abbiamo trattati nel discorso generale, ma sottolineiamo:
    • Il privato spesso ha meno conoscenze e meno assistenza (non ha commercialista se non ha attività, né legali di fiducia). Quindi può essere preso dal panico. È fondamentale che i privati sappiano che esistono strumenti: rivolgersi a sportelli dei contribuenti, a difensori civici (per multe a volte c’è il difensore civico locale), alle associazioni dei consumatori. Ad esempio, per cartelle pazze di importi piccoli, associazioni come ADUC, Federconsumatori possono dare supporto ai privati nella predisposizione di ricorsi semplificati.
    • Il privato con reddito/pensione ha uno scudo per pignoramento parziale (stipendi e pensioni sono pignorabili max 1/5). Questo può fargli decidere di non impugnare un atto se pensa che al massimo gli tratterranno un quinto e preferisce così. Ad esempio, un pensionato ha 10k di debiti di multe, se subisce pignoramento sulla pensione di 1000€/mese gli tolgono 200€/mese. Forse preferisce quello a pagare avvocato per fare cause. È una scelta soggettiva: in questi casi l’avvocato deve consigliare non solo base legale ma convenienza economica.
    • I privati con poca istruzione a volte non aprono la busta perché temono cattive notizie. Ciò è un problema: la notifica è valida anche se non la aprono. Quindi c’è bisogno di informare che ignorare non farà sparire il problema, anzi peggiora (ti pignorano senza che tu ti sia difeso).
    • Sovraindebitamento: un privato molto indebitato (es. con finanziarie, esattoria, ecc.) dal 2021 ha accesso alla procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento (oggi Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza). Può proporre un piano al giudice dove chiede stralcio di debiti, incluso erariali in parte. Se accolto, i creditori devono adeguarsi. Questa è la “parente” del concordato ma per privati e piccoli imprenditori. Quindi, se un privato riceve una pioggia di intimazioni e non vede via d’uscita, può valutare questa procedura (serve un OCC – organismo composizione crisi, di solito presso ordini o comuni). In tal caso, come per le società, impugnare ogni singola intimazione serve a tamponare, ma potrebbe essere meglio affrontare con un piano globale.

In definitiva, le regole giuridiche di impugnazione non cambiano tra un soggetto e l’altro, ma:

  • L’urgenza e priorità di agire può essere maggiore per chi rischia di bloccare la propria attività lavorativa.
  • La strategia può divergere: un’azienda può scegliere di negoziare col fisco via accordi, un privato no se non c’è norma specifica (il privato ad es. non può chiedere transazione fiscale, l’azienda in concordato sì).
  • Le conseguenze collaterali (rating, permessi, licenze) devono essere considerate (es. appalti pubblici richiedono DURC pulito, ecc.).
  • La difesa tecnica: un privato può stare da solo in GdP, un’azienda no.

Consiglio universale: Qualunque sia la categoria, non isolarsi e non sperare che il problema scompaia. Il piccolo imprenditore spesso nel timore ignora le buste. Invece deve confrontarsi con consulenti di fiducia: meglio ammettere di avere un debito e cercare soluzioni, che lasciar gonfiare sanzioni. Molte normative recenti sono a favore di chi si attiva presto (es. ravvedimento operoso per tributi riduce sanzioni se paghi spontaneamente prima dell’accertamento). Anche la giurisprudenza, ad es., se vedi un precetto e chiami subito il creditore, magari trovi accordo. Se aspetti che arrivi l’ufficiale giudiziario in casa, la situazione è molto peggiore.

Passiamo ora a una sezione pratica, per vedere casi concreti su come muoversi.

Casi Pratici (Simulazioni)

In questa sezione presentiamo due simulazioni pratiche complete, una riferita ad un’impresa (società) e una ad un privato, per mostrare passo dopo passo come affrontare un’intimazione di pagamento. I nomi sono di fantasia e le situazioni semplificate, ma basate su casi reali comuni.

Caso 1: “Beta Srl e l’Intimazione Fiscale Multidebito” (Impresa)

Scenario: Beta Srl è una società di commercio all’ingrosso. A maggio 2025 riceve via PEC un’Intimazione di Pagamento dall’Agenzia Entrate-Riscossione. Nell’oggetto si legge: “Intimazione di pagamento ai sensi art.50 DPR 602/73 per €150.000”. L’atto elenca nel dettaglio:

  • Cartella n. 071/2018 di €50.000 – IVA anno 2015 – ruolo emesso da Agenzia Entrate.
  • Cartella n. 093/2019 di €60.000 – IRAP anno 2014 – ruolo Agenzia Entrate.
  • Avviso di Addebito INPS n. 123/2020 di €30.000 – contributi IVS 2018 impresa – emesso da INPS.
  • Cartella n. 045/2017 di €10.000 – Sanzioni Codice della Strada – ruoli Prefettura (3 multe stradali 2015 non pagate).

Beta Srl aveva effettivamente attraversato difficoltà finanziarie negli anni passati e non aveva impugnato né pagato quegli atti all’epoca (alcuni forse non li aveva visti, perché nel 2017 ha cambiato sede). Ora l’AdER sollecita tutto insieme, minacciando esecuzione se non paga entro 5 giorni.

La società Beta Srl ha attualmente pochi liquidi in cassa e non può pagare subito €150k. Inoltre, alcuni di quei debiti li ritiene non dovuti:

  • L’IVA 2015 di €50k in realtà – secondo l’amministratore – era stata definita in adesione nel 2019 e pagata a rate, ma bisogna verificare se quella cartella è frutto magari di una mancata comunicazione dei pagamenti.
  • Le multe da €10k sono relative a veicoli aziendali dati ai commerciali: Beta sostiene di non aver mai ricevuto notifiche delle contravvenzioni originali.
  • I contributi INPS €30k sono interessi e sanzioni accumulate: Beta ammette di doverli ma vorrebbe dilazionarli.
  • L’IRAP €60k è un accertamento non impugnato per cui ora la società dubita di avere difese (non fecero ricorso a suo tempo per errore del consulente).

Obiettivo: Beta Srl vuole evitare il pignoramento dei conti e salvare il più possibile risorse. L’amministratore decide di:

  1. Contattare urgentemente il commercialista e un avvocato tributarista per analizzare i 4 elementi.
  2. Verifiche immediate: Il commercialista controlla gli archivi:
    • Trova che per l’IVA 2015 Beta aveva aderito ad un accertamento con adesione e ottenuto un piano di rate nel 2019, ma poi hanno pagato solo 2 rate su 8; di conseguenza, l’Agenzia ha iscritto a ruolo il residuo. Quindi la cartella del 2018 forse è stata notificata prima di quell’adesione, o è un doppione? Bisogna chiarire con Agenzia Entrate se il ruolo tiene conto dei pagamenti parziali o no.
    • Per IRAP 2014, c’era un avviso di accertamento notificato a novembre 2018 nella vecchia sede di Beta (il postino riconsegnò per trasferimento azienda); Beta non lo vide, quindi non impugnato e ruolo 2019 è conseguente. Prescrizione: IRAP è tributo, dal 2019 a 2025 sono 6 anni; in mancanza di atti, il debito potrebbe essere considerato ancora entro 10 (se valesse actio iudicati art.2953, ma qui è atto amministrativo definitivo => secondo Cass SU 2016 resta 5 anni, quindi se così, sarebbe prescritto a fine 2024). AdER però lo chiede nel 2025 – leggermente fuori i 5 anni (accertamento definitivo nel 2019 + 5 = 2024). Quindi c’è un possibile argomento di prescrizione maturata su IRAP.
    • Contributi INPS: Beta non ha mai contestato gli avvisi di addebito annuali, ha solo chiesto dilazioni che decaddero. Il termine prescrizione contributi è 5 anni se non interrotti. L’avviso 2020 per contributi 2018 fu notificato e non pagato, ora siamo nel 2025: per contributi 2018 la prescrizione maturerebbe a fine 2023 se nessun atto interruttivo dopo l’avviso. L’intimazione 2025 è un atto interruttivo, ma arriva dopo i 5 anni già trascorsi (2018-2023) se nulla in mezzo: quindi quei contributi potrebbero essere prescritti, a meno che la notifica dell’avviso stesso nel 2020 abbia interrotto e fatto decorrere altri 5 anni, quindi fino al 2025 – qui saremmo al limite. Approfondire: Cass. 3645/2021 dice che giudice ordinario può dichiarare prescrizione quinquennale in esecuzione.
    • Multe: Beta trova nei registri solo una notifica di cartella nel 2017 che ignorarono. Le multe originali del 2015 non risultano. Ci sono buone chance per sostenere notifica nulla iniziale e prescrizione 5 anni (2015-2020) già scaduta prima di cartella 2017, se la cartella fu primo atto.
  3. Strategia legale: Con questi dati, l’avvocato tributarista consiglia:
    • Per i crediti tributari (IVA, IRAP): presentare ricorso alla Corte tributaria contro l’intimazione entro 60 giorni, eccependo:
      • Per IVA: l’intimazione è illegittima perché la cartella presupposta non considera i pagamenti parziali dell’adesione. Chiederemo riconteggio e sospensione esecuzione perché €50k non sono interamente dovuti. (In realtà qui Beta deve anche rapidamente contattare Agenzia Entrate Riscossione con ricevute per vedere se correggono).
      • Per IRAP: eccezione di nullità della notifica del’accertamento 2018 (mai ricevuto causa sede cambiata) e conseguente prescrizione maturata (5 anni) del credito. Quindi non dovuto nulla.
      • Chiedere al giudice tributario sospensione urgente: evidenziare che se AdER pignora i conti, Beta non paga fornitori e dipendenti, paralisi.
    • Per contributi INPS: presentare opposizione al Tribunale Lavoro entro 40 giorni, eccependo prescrizione quinquennale del credito (se l’ultimo atto vero fu avviso 2020, son passati 5 anni e qualche mese). Inoltre, Beta è disposta a pagare il capitale se esclude sanzioni. Magari prospettare un saldo e stralcio. Anche qui chiedere al giudice sospensione.
    • Per multe: presentare opposizione al Giudice di Pace entro 30 giorni dalla cartella (qui intimazione) – ma problema: la cartella fu nel 2017, quella andava opposta allora. Adesso c’è intimazione come atto successivo. Dottrina: alcuni GdP accettano opposizione tardiva ex art. 615 c.p.c. analogica anche su intimazione, altri no. Alternativa: aspettare eventuale pignoramento e opporsi allora per nullità notifica originaria. Però Beta preferisce agire subito. Si opta per un ricorso al Giudice di Pace indicando che l’intimazione 2025 è il primo atto di cui la società ha effettiva conoscenza, chiedendo rimessione in termini analogamente a quanto previsto dal D.Lgs.150/2011 art.6 co.6. Si eccepisce quindi nullità notifica verbali, nullità ordinanze, prescrizione quinquennale superata. Ci si affida al fatto che trattandosi di sanzioni, il GdP possa accettare come fosse opposizione tardiva a cartella. Chiederne in subordine conversione in opposizione esecuzione ex art.615. E ovviamente chiedere sospensione dell’esecuzione (il GdP può sospendere ex art.5 D.Lgs.150/2011).
    • Nel frattempo, Beta Srl tramite i consulenti contatta AdER per chiedere se, depositando i ricorsi e avendone copia, l’Agente può sospendere amministrativamente il procedimento. AdER spesso su intimazione attende 180gg se vede ricorso pendente (norma del 2015).
    • Considerare la possibilità di rateazione: Beta calcola che, se pure vincesse su IRAP e multe, resterebbero comunque contributi e parte IVA. Potrebbe chiedere un piano di rientro su quel residuo. Però se chiede rateazione su parte del debito, rischia di dare atto che li deve. Si preferisce aspettare la sospensione giudiziale e poi eventualmente transare globalmente.
    • Opzione estrema: Beta potrebbe valutare concordato preventivo se affogata dai debiti. Ma qui importo 150k, Beta può gestirlo, quindi si tenta la via giudiziale.
  4. Azione:
    • Entro 30 giorni Beta Srl, tramite il legale, notifica l’atto di citazione in opposizione per le multe al Prefetto (quale controparte formale) e AdER, depositando poi in GdP.
    • Entro 40 giorni, notifica ricorso al Tribunale Lavoro contro INPS e AdER.
    • Entro 60 giorni, notifica ricorso tributario contro AdER e Agenzia Entrate (per IVA, IRAP).
    • Ogni atto contiene dettagli, documenti allegati (es: visura camerale per sede trasferita, copie di PEC non consegnate, estratti conto per pagamenti parziali, etc.) e formale richiesta di sospensione cautelare.
    • Il legale di Beta deposita anche istanze di sospensione direttamente ad AdER: c’è una norma per cui se uno presenta ricorso e chiede sospensiva, può comunicare ad AdER che non proceda fintantoché il giudice decide (AdER di solito congela per 90-120gg in attesa dell’udienza cautelare).
  5. Esiti attesi:
    • Commissione Tributaria fissa in 1-2 mesi l’udienza sulla sospensiva. Data la fondatezza (mancata notifica IRAP e evidenza di pagamenti su IVA), probabile conceda sospensione. Nel merito, deciderà forse a fine 2025: potrebbe annullare il debito IRAP (per notifica nulla, e prescrizione a quel punto maturata) e ordinare il ricalcolo dell’IVA tenendo conto dei versamenti (quindi riducendo €50k magari a €20k). Beta avrà quindi eliminato ~€90k dei €110k tributi iniziali.
    • Tribunale Lavoro sul contributi INPS: può impiegare qualche mese in più, ma se la prescrizione appare decorsa, in udienza di merito (dopo 6 mesi) può dichiarare il credito INPS non più esigibile (magari notando che l’ultimo atto fu 2020 e la notifica intimazione 2025 tardiva). Quindi annulla €30k o la maggior parte (forse capitale era €20k e €10k interessi, valuterà).
    • Giudice di Pace sulle multe: situazione più aleatoria. Se il GdP accoglie l’opposizione tardiva, annullerà la cartella delle multe per difetto di notifica originaria e prescrizione. Se fosse fiscale sull’ammissibilità, Beta potrebbe trovarsi rigettato il ricorso per tardività. In tal caso, AdER potrebbe riprendere esecuzione su quei €10k. Beta comunque su quella cifra potrebbe poi cercare di pagare o transare col Comune.
    • AdER, avendo ricevuto le sospensive, non avvia pignoramenti subito. Aspetta esiti.
    • In parallelo, Beta Srl avvia dialogo con Agenzia Entrate per chiudere bene la questione IVA 2015: magari, a cartella annullata parzialmente dal giudice, Beta propone di pagare il residuo in 6 rate. Lo stesso con INPS: anche se giudice dice prescritto, l’INPS spesso chiede almeno il capitale. Beta potrebbe, per mantenere buona relazione, versare i contributi netti volontariamente per evitare in futuro contestazioni su posizione pensionistica.
    • Una volta definite le cause, Beta Srl potrà finalmente mettersi in pari su quell’intimazione. Ha evitato però l’impatto immediato (pignoramenti).

Commento: Questo caso mostra la frammentazione di giurisdizioni (3 ricorsi per un’unica intimazione!). Purtroppo è la realtà per molte imprese multi-debito. Una lezione: se Beta avesse controllato meglio e impugnato per tempo le cartelle originarie (sede aggiornata nelle visure, rate pagate interamente), avrebbe risparmiato tutto questo. Quindi, prevenire è fondamentale. Ma una volta nei guai, con una buona consulenza, Beta è riuscita a ridurre il danno e a ripianare ciò che davvero doveva in maniera sostenibile, anziché subire un colpo fatale da €150k subito.

Caso 2: “Il Sig. Rossi e la Cartella di Multe Mai Arrivata” (Privato)

Scenario: Il Sig. Mario Rossi, privato cittadino, riceve nel luglio 2025 una raccomandata AR da Agenzia Entrate-Riscossione contenente una Cartella di Pagamento di €3.200. La cartella reca:

  • Ente creditore: Comune di Alfa.
  • Causale: “Ruolo coattivo sanzioni Codice della Strada anni 2019-2020” per complessivi €3.200 (che includono 4 multe da €800 l’una accumulate con interessi e spese).
  • Dettaglio: verbale Polizia Municipale n.123 (euro 300 originale, ora 800 con more); verbale n.124; n.200; n.250 – tutti anno 2019.

Il sig. Rossi cade dalle nuvole: non sapeva di queste multe. Non ha mai trovato avvisi sul parabrezza (forse li hanno messi e qualcuno li tolse, o fu rilevata da autovelox), e soprattutto non ha mai ricevuto a casa i verbali notificati. Vive allo stesso indirizzo da 30 anni, quindi non capisce come mai. Ha sempre pagato le poche multe che gli erano arrivate anni prima.

Ora si ritrova questa cartella esattoriale con importo lievitato e minaccia di fermo amministrativo se non paga entro 60 giorni.

Obiettivo: Rossi, pensionato 65enne, non vuole pagare importi che ritiene ingiusti. È pronto a pagare l’importo base se effettivamente sbagliò, ma €3.200 per 4 multe mai sapute gli pare assurdo. Inoltre, teme possano bloccare la sua auto (fondamentale per spostarsi).

Cosa fa:

  1. Raccolta informazioni: Va subito all’ufficio contravvenzioni del Comune di Alfa con la cartella in mano. Chiede di avere copia dei 4 verbali. L’impiegato verifica al terminale e scopre: i 4 verbali furono spediti a Mario Rossi nel 2019 all’indirizzo in Via Roma 10. Rossi dice “Ma io abito in Via Roma 100, non 10!”. Si scopre errore di trascrizione (numero civico sbagliato). I verbali tornarono indietro al mittente “indirizzo insufficiente” e il Comune li ha considerati comunque notificati per compiuta giacenza (forse depositati in casa comunale di default).
    • Il Comune poi, non avendo ricevuto pagamento né opposizione, li ha iscritti a ruolo nel 2021.
    • Alla domanda se era stata inviata un’ordinanza-ingiunzione del Prefetto: in questo caso, trattandosi di multe, la procedura è che la mancata opposizione comporta che il verbale stesso diventa titolo esecutivo (per multe del CdS, non serve ordinanza prefettizia se non fu presentato ricorso al Prefetto; le somme vanno direttamente a ruolo passato 60gg).
    • Quindi la cartella è il primo atto “concreto” che Rossi vede.
    • L’impiegato conferma l’errore di indirizzo e suggerisce a Rossi di fare ricorso al Giudice di Pace, “perché è palese che non li ha avuti”.
    • Consegna a Rossi le copie dei 4 verbali e le relate di notifica: su tutte appare l’indirizzo sbagliato.
  2. Azione legale: Rossi va da un avvocato (scopre che può anche provare da solo al GdP, ma preferisce un legale per essere sicuro). L’avvocato concorda che la situazione rientra proprio in quei casi di mancata notifica originaria che permettono opposizione tardiva.
    • Redige dunque un Ricorso in opposizione al Giudice di Pace contro il Comune di Alfa (creditore) e contro AdER, entro 30 giorni dalla notifica della cartella.
    • Nel ricorso scrive i motivi:
      1. Nullità/inesistenza della notifica dei verbali n.123, 124, 200, 250 del 2019 per errore sull’indirizzo (art. 201 CdS e art. 14 L.689/81: notifica non perfezionata, destinatario non raggiunto).
      2. Violazione del diritto di difesa ex art.24 Cost., in quanto Mario non ha potuto esercitare il ricorso in quanto mai informato.
      3. Prescrizione quinquennale delle sanzioni: dal 2019 al 2025 sono passati oltre 5 anni senza che una notifica valida sia giunta, dunque il diritto a riscuotere è estinto ex art. 28 L.689/81.
    • Chiede al GdP di dichiarare la nullità dei verbali e quindi annullare la cartella consequenziale, oppure in subordine dichiarare non dovute le somme per intervenuta prescrizione.
    • Chiede inoltre sospensione immediata dell’esecuzione (anche se ancora non c’è pignoramento, la cartella però può portare a fermo auto; il GdP la può sospendere).
    • Allega: copia della cartella, i verbali con evidenza indirizzo errato, una certificazione anagrafica che attesta che Rossi risiede da sempre in Via Roma 100 (per provare l’errore non imputabile a lui).
  3. Procedura:
    • L’avvocato notifica il ricorso al Comune (di solito all’ufficio Polizia Municipale o tramite PEC comunale) e a AdER. Poi deposita al GdP.
    • In attesa dell’udienza, invia anche al concessionario AdER una copia protocollata del ricorso chiedendo di astenersi da atti esecutivi pendenti la decisione (AdER spesso per importi modesti e con evidenza di ricorso sospende spontaneamente).
    • AdER infatti risponde via PEC che sospenderà la riscossione in attesa di esito dal GdP.
  4. Udienza in GdP: Dopo circa 3 mesi, c’è udienza. Il Comune di Alfa manda un funzionario (possono stare in giudizio personalmente). Il funzionario in realtà ammette l’errore e lascia al giudice la decisione, evidenziando solo che il Comune ha agito come da prassi.
    • Il GdP, visto palese l’indirizzo sbagliato, accoglie il ricorso. Pronuncia sentenza dichiarando nulli i verbali per notifica inesistente e di conseguenza annulla la cartella di €3.200. Richiama l’art.6 co.6 D.Lgs.150/2011 sulla rimessione in termini, concedendola al sig. Rossi data la notifica nulla non imputabile a lui. Dichiara dunque ammissibile l’opposizione tardiva e fondata nel merito.
    • Spese di giudizio: il GdP potrebbe compensarle (trattandosi di P.A.) oppure condannare il Comune a rifondere a Rossi il contributo unificato e magari un piccolissimo importo per l’avvocato (spesso nei giudizi di opposizione a sanzioni le spese sono compensate). Rossi comunque era disposto anche a pagarle pur di non avere i €3.200.
  5. Esiti:
    • AdER, ricevuta copia della sentenza, archivia la posizione e non procederà oltre. Se c’era fermo auto avviato (non ancora notificato, supponiamo) lo ritira.
    • Il Comune di Alfa potrebbe teoricamente appellare la sentenza in Tribunale, ma molto improbabile data la situazione (anche perché i loro stessi atti erano errati).
    • In conclusione, il sig. Rossi non dovrà pagare nulla. Se effettivamente aveva commesso infrazioni nel 2019, ormai il Comune non può più riscuoterle causa prescrizione e vizi.

Considerazioni: Mario Rossi ha ottenuto giustizia grazie alla normativa che tutela chi non ha avuto colpa nel mancare l’impugnazione tempestiva. È cruciale che si sia attivato subito alla prima cartella ricevuta: se per paura avesse ignorato anche quella, probabilmente sarebbe arrivato un fermo auto o un pignoramento conto e recuperare i soldi sarebbe stato più difficile anche se poi faceva opposizione. Muovendosi entro 30 giorni e raccogliendo le prove (certificato di residenza), ha risolto in qualche mese.

Nota: Non tutti i casi sono così netti. Se l’errore fosse stato meno evidente, il GdP poteva essere più rigido. Ma in molti casi simili (verbale mai notificato, cartella unica notifica) i giudici di pace accolgono l’opposizione tardiva. Ci sono migliaia di vicende analoghe specie con i cambi di residenza o errori su nominativi.

Questa simulazione mostra l’importanza di:

  • Raccogliere prove del vizio di notifica (anagrafe).
  • Rivolgersi all’ente creditore per capire la storia (lui ha ottenuto i verbali dal Comune).
  • Agire entro i termini (30 gg per cartella multe).
  • Non aver timore di far valere i propri diritti: c’è chi per pigrizia o rassegnazione avrebbe pagato i €3.200, regalando soldi non dovuti.

Le simulazioni si concludono qui. Nel prossimo capitolo raccogliamo tutte le principali fonti normative e giurisprudenziali menzionate, così che possiate consultarle direttamente se necessario.

FAQ – Domande e Risposte Frequenti

Di seguito rispondiamo a una serie di domande frequenti sull’impugnazione delle intimazioni di pagamento, chiarendo dubbi specifici e fornendo consigli pratici.

D1: Se ricevo una cartella esattoriale da AdER, devo pagare subito entro 60 giorni o posso aspettare l’esito del ricorso?
R1: La notifica di una cartella esattoriale contiene l’ingiunzione a pagare entro 60 giorni. Se paghi entro tale termine, eviti l’aggravio di ulteriori interessi di mora e soprattutto eviti che AdER possa iniziare misure cautelari/esecutive. Se presenti ricorso entro i termini (60 giorni per tributi, 30/40 per altri casi), il debito viene contestato. Il ricorso di per sé non sospende la riscossione, ma puoi contestualmente chiedere al giudice la sospensione dell’esecuzione. Se il giudice concede la sospensiva, AdER non procederà fino alla decisione finale. In pratica, molti concessionari sospendono temporaneamente se vedono un ricorso depositato, ma per sicurezza conviene ottenere un’ordinanza di sospensione. Dunque, non è obbligatorio pagare subito se fai ricorso, ma attenzione: se il giudice non sospende, AdER potrebbe legittimamente andare avanti (es. pignorarti un conto) anche durante il processo. In tal caso potresti trovarti a difenderti su due fronti (contenzioso + esecuzione). Quindi valuta col tuo legale: se il ricorso ha solide chance, chiedi subito la sospensione; se invece è dubbio e il danno di un pignoramento sarebbe grave, a volte si può considerare di pagare (o chiedere rate) preventivamente e poi proseguire il ricorso per farsi rimborsare in caso di vittoria. È una scelta strategica da ponderare caso per caso.

D2: Ho chiesto una dilazione (rateizzazione) per la cartella – posso comunque fare ricorso per contestarla?
R2: In genere, chiedere rateazione di un debito fiscale o contributivo implica l’accettazione del debito stesso. Infatti, la domanda di dilazione all’Agente della Riscossione richiede di rinunciare a impugnare (e se hai già impugnato, devi rinunciare al ricorso per ottenere la rateazione). La rateazione è un beneficio concesso a chi riconosce il debito ma ha difficoltà di liquidità. Dunque, non puoi avere la botte piena e la moglie ubriaca: se intendi contestare il merito, non chiedere la rateazione perché sarebbe contraddittorio. Ci sono rarissime eccezioni (ad esempio, chiedi rateazione solo di una parte non controversa, ma è complicato da gestire). Consiglio: se hai dubbi sul debito, ricorri; se sei certo che sia dovuto ma ti serve tempo, rateizza. Nota: durante la pendenza di rate, AdER sospende le azioni esecutive (purché paghi le rate regolarmente). Se non paghi 5 rate, decadi e torni punto e a capo con possibili esecuzioni.

D3: Ho perso il termine per fare ricorso contro la cartella. Posso far valere qualcosa dopo?
R3: Dipende dal motivo del ritardo. Se non hai fatto ricorso per dimenticanza o sottovalutazione, purtroppo la cartella diventa definitiva. In linea di massima non puoi più contestare in giudizio il merito di quel debito. Potrai solo, se il creditore avvia pignoramento, verificare se magari sono decorsi i termini di prescrizione nel frattempo (es., cartella non pagata del 2015, pignoramento nel 2023 – eccepire prescrizione sopravvenuta in opposizione all’esecuzione). Oppure potrai contestare eventuali vizi di forma del pignoramento o dell’intimazione successiva se ce ne sono (opposizione art.617). Ma non potrai dire che il tributo non era dovuto in origine. Diverso è se non hai fatto ricorso perché non sapevi dell’atto: come illustrato, se un atto non ti è stato notificato regolarmente e tu ne vieni a conoscenza tardi (ad esempio consultando un estratto di ruolo, o da un’intimazione successiva), c’è la possibilità di opporsi tardivamente facendo valere la mancata notifica. I giudici valutano caso per caso, ma l’ordinamento tende a non precludere la difesa a chi è rimasto ignaro senza colpa. Importante però agire al primo segnale utile: se scopri ora di una cartella del 2018 mai ricevuta, non aspettare il pignoramento; fai subito ricorso (ad esempio chiedendo l’annullamento per difetto di notifica). Se lasci passare troppo tempo anche dopo aver saputo, la tua posizione si indebolisce. In breve: terminati i 30-60 giorni canonici, restano solo spiragli legati a vizi di notifica o prescrizione, ma non c’è un diritto generale a un “ricorso tardivo” salvo questi casi particolari.

D4: Cos’è la “cristallizzazione del debito” di cui parlano in tema di intimazione di pagamento?
R4: È un concetto affermato dalla giurisprudenza recente (Cass. 6436/2025). Significa che se il contribuente non impugna l’intimazione di pagamento, il debito in essa contenuto si “fissa” definitivamente, precludendo alcune eccezioni successive. In particolare riguarda la prescrizione: se nel momento in cui ricevi l’intimazione il credito fosse già prescritto, devi eccepirlo subito con ricorso contro l’intimazione stessa. Se non lo fai e lasci decorrere i termini, non potrai poi opporre la prescrizione al pignoramento seguente, perché hai lasciato trascorrere l’atto intimatorio inoppugnato e quindi hai reso “irretrattabile” quel debito. In parole semplici: l’intimazione va considerata come un’occasione (facoltativa) per difendersi. Se non la cogli, perdi la facoltà di far valere certi vizi pregressi. Questa “cristallizzazione” non è normativa ma giurisprudenziale, e mira a evitare che il debitore stia inerte a oltranza. Quindi, anche se in passato si diceva che l’impugnazione dell’intimazione fosse una facoltà e non un onere, oggi conviene trattarla di fatto come un onere: impugna subito, per sicurezza, o potresti non poter alzare la mano più tardi.

D5: Mi è arrivato un atto di pignoramento (es. pignoramento del conto in banca) senza che io abbia ricevuto prima nessun precetto o intimazione. È legale? Posso fare qualcosa?
R5: Dipende dal tipo di creditore:

  • Se è un creditore privato (banca, ecc.), non è legale: il Codice di Procedura Civile richiede obbligatoriamente la notifica del precetto almeno 10 giorni prima del pignoramento. Se davvero non hai ricevuto alcun precetto, puoi fare opposizione agli atti esecutivi (art.617) entro 20 giorni dal pignoramento, chiedendo l’annullamento del pignoramento per mancata notifica del precetto. Il giudice dell’esecuzione verificherà: a volte il precetto c’è stato ma tu non l’hai visto (magari notificato a vecchio indirizzo); se invece accerta che manca del tutto, dichiarerà nullo il pignoramento.
  • Se è l’Agenzia Entrate-Riscossione (Equitalia), la legge prevede che se è passato oltre un anno dalla cartella, deve notificare l’intimazione art.50 DPR 602/73 almeno 5 giorni prima di pignorare. Tuttavia, per alcuni tipi di pignoramento esattoriale (pignoramento presso terzi ex art.72-bis DPR 602), in passato AdER non sempre inviava l’intimazione. Dopo varie sentenze, oggi l’orientamento consolidato è che l’intimazione serve sempre passato l’anno. Quindi se AdER ti ha pignorato il conto nel 2025 sulla base di una cartella 2019, senza intimazione 2020-2024, il pignoramento è viziato. Devi proporre opposizione all’esecuzione (art.615 c.p.c.) al giudice ordinario, eccependo la nullità del pignoramento per omissione dell’intimazione preventiva. Molte sentenze di merito hanno annullato pignoramenti per questo motivo. Inoltre, potresti farlo anche in sede di incidente di esecuzione davanti allo stesso giudice dell’esecuzione. In parallelo, c’è Cass. 480/2020 SU che definisce giurisdizione: l’assenza di intimazione è “fatto” pre-esecutivo, di competenza tributaria o ordinaria? La Corte Cost. 114/2018 ha aperto all’opposizione 615 anche dopo, per cui dovrebbe essere giudice ordinario a decidere sul pignoramento viziato. In pratica: sì, puoi far annullare quell’atto.
  • Nota: se però il creditore era esonerato dall’intimazione per legge (es. per procedure d’urgenza), sarebbe diverso, ma nei casi standard l’intimazione/precetto serve. Conclusione: non subire passivamente, verifica e se manca l’atto propedeutico, proponi opposizione entro i termini.

D6: Posso impugnare un semplice “sollecito di pagamento” che ho ricevuto via posta da una società di recupero crediti?
R6: No, non in sede giudiziaria. Un sollecito di pagamento informale (lettera, mail o telefonata) non è un atto esecutivo né un provvedimento amministrativo: è una richiesta extragiudiziale. Non esiste un ricorso al giudice contro una lettera; il giudice interviene solo su atti tipici (cartelle, decreti, precetti…). Ciò non significa che devi ignorarla se la ritieni infondata: devi rispondere in sede stragiudiziale. Ad esempio, manda una raccomandata o PEC di risposta contestando la pretesa, spiegando perché non devi pagare e diffidando dal proseguire. Questo a volte risolve (il creditore desiste o verifica l’errore). Se poi il creditore ritiene ancora di aver ragione, dovrà fare un passo formale (ad esempio un decreto ingiuntivo in tribunale). Solo allora avrai un atto impugnabile (farai opposizione al decreto). In sintesi: il sollecito in sé non si impugna davanti a un giudice, ma puoi “impugnarlo” in senso lato replicando per iscritto al mittente, o semplicemente tenendo presente le tue argomentazioni per quando/se arriverà un atto ufficiale. Fai attenzione: se ignori i solleciti legittimi, ti esponi a costi maggiori dopo. Se invece si tratta di solleciti dubbi (truffe, richieste su debiti prescritti), la risposta scritta e ferma è il modo migliore per dissuaderli.

D7: Ho una causa pendente in cui sto contestando un debito. Nel frattempo però mi è arrivata la cartella per quel debito – è legittimo?
R7: Capita, ad esempio, che stai litigando con l’Agenzia Entrate su un avviso di accertamento (processo non definito in Cassazione magari) e intanto AdER iscrive provvisoriamente a ruolo la metà, o che stai facendo opposizione a sanzione e il Comune manda lo stesso a ruolo. Generalmente, se un debito è ancora sub iudice, la riscossione è sospesa per legge in alcuni casi, o quantomeno il giudice può sospenderla. Nel tributario: se hai vinto in primo grado, l’appello dell’Agenzia non sospende automaticamente la riscossione, ma l’ente può riscuotere una parte (di regola 1/3 in caso di vittoria del contribuente, o 100% se vittoria Fisco, salvo sospensioni). Quindi potresti comunque vedere cartelle durante il contenzioso, ma sono “provvisorie”. Puoi impugnarle (dicendo: ho già causa pendente, sospendete). Spesso il legislatore ha previsto che la riscossione fra grado e grado sia parziale, e se poi il contribuente vince definitivamente, il Fisco deve restituire con interessi. Nell’ambito civile: se impugni una sentenza e ottieni sospensione in appello, quel titolo non dovrebbe portare precetto. Se invece non c’è sospensione, il creditore può precettare. Allora dovresti chiedere d’urgenza la sospensione. Dunque, devi:

  • Informare l’Agente della Riscossione dell’esistenza del giudizio pendente (in teoria lo sanno, ma meglio ribadirlo).
  • Chiedere al giudice (tributario o civile d’appello) di sospendere l’esecutività se possibile.
  • Nel frattempo, se arriva la cartella, impugnarla per ottenere sospensione e non pagare in attesa del giudizio finale.
    Esempio: Cass. SU 7822/2020 dice che la giurisdizione segue la natura: atti fino a intimazione in tributario; quindi se ho appello tributario pendente e arriva intimazione, ricorro di nuovo in tributario chiedendo sospensione per litispendenza. In genere le Commissioni sospendono in attesa di esito finale.

D8: Quali sono le differenze tra opposizione all’esecuzione e opposizione agli atti esecutivi?
R8: In breve:

  • Opposizione all’esecuzione (art.615 c.p.c.): contesta il diritto del creditore di eseguire, cioè nega in tutto o in parte l’esistenza o esigibilità del debito. Può avvenire prima dell’esecuzione (contro precetto o intimazione) o dopo l’inizio (contro l’esecuzione in corso). Esempi: il debito è stato pagato, è prescritto, il titolo è invalido, il creditore non ha titolo verso di me, etc.. Non ha termini fissi (salvo farlo prima che l’esecuzione finisca).
  • Opposizione agli atti esecutivi (art.617 c.p.c.): contesta i vizi formali di specifici atti del processo esecutivo (precetto compreso). Ha termini brevissimi: 20 giorni dalla notifica dell’atto viziato o dall’atto in cui si è verificato il vizio. Esempi: il precetto non contiene le indicazioni di legge, la notifica del pignoramento è irregolare, l’avviso di vendita è nullo, etc.
  • Differenza pratica: la 615 mira a evitare/fermare l’esecuzione in base a ragioni di merito (non devo nulla), la 617 mira ad annullare/ correggere un atto esecutivo errato (pur potendo il creditore rifarlo correttamente). Possono coesistere: uno può, nello stesso procedimento, sollevare motivi di entrambe le categorie se tempestivo. Il giudice a volte li valuta insieme.
  • Giudice competente: prima dell’esecuzione, opposizione si fa davanti al giudice competente per esecuzione (Tribunale solitamente); dopo che l’esecuzione è iniziata, la 615 va al giudice dell’esecuzione (tribunale dell’esecuzione in corso) con ricorso, la 617 pure con ricorso allo stesso. Sono tecnicismi, ma importante: la 617 ha un termine perentorio di 20gg, non perderlo se c’è un vizio di notifica/forma. La 615 pre-esecuzione non ha termine rigido, ma se aspetti troppo rischi di subire intanto il pignoramento. Quindi agire prontamente in ogni caso.

D9: In caso di ricorso tributario, devo comunque pagare un terzo dell’imposta entro 60 giorni (come si sente dire)?
R9: Non esattamente. C’è un po’ di confusione su questa regola. Spieghiamola: quando fai ricorso contro un avviso di accertamento, la legge prevede che la riscossione sia sospesa per la parte di imposta contestata fino alla sentenza di primo grado. Dopo la sentenza di primo grado, se il contribuente perde, deve pagare una percentuale (di solito il dovuto integrale, salvo appello con sospensiva). Nel caso invece del ruolo/cartella, se ricorri alla Commissione, il debito è già iscritto a ruolo quindi formalmente esigibile. L’atto di ricorrere non toglie l’obbligo di pagare nei 60gg – quell’obbligo è sospeso solo se ottieni una sospensiva. La questione di “un terzo” si applica tecnicamente agli avvisi di accertamento esecutivi: se fai ricorso contro un accertamento fiscale immediatamente esecutivo (oggi gli accertamenti hanno valore di titolo dopo 60gg), devi versare intanto 1/3 delle imposte (o 2/3 se in appello) se perdi nei gradi, ecc. Ma se chiedi e ottieni sospensione, no. In definitiva, per non confondere: quando presenti ricorso tributario, non devi automaticamente pagare nulla se ottieni la sospensiva. Se non chiedi la sospensiva o questa è negata, l’AdER potrebbe richiedere il versamento di una parte in pendenza di giudizio (in base alle regole di riscossione fra gradi). Ad esempio, tu ricorri su €9.000 di IRPEF, se non sospendi, dopo 90gg l’Agenzia può iscrivere a ruolo 50% (€4.500) e chiederteli. Se poi vinci, ti restituiranno. Questa è la cosiddetta “riscossione frazionata”. Quindi sempre meglio, se la somma è alta e la tua posizione forte, chiedere sospensione al giudice. In caso di cifre minori, a volte può convenire pagare parzialmente per non incorrere in interessi.

D10: Il mio avvocato ha vinto il ricorso e la cartella è stata annullata. Ho diritto al rimborso delle spese legali sostenute?
R10: In teoria, sì, se il giudice nella sentenza di accoglimento ha condannato la controparte alle spese. Nei giudizi tributari, se vinci, lo Stato di solito viene condannato a rifondere le spese (salvo compensazione). Lo stesso in civile: se vinci l’opposizione a decreto o precetto, il giudice normalmente liquida le spese legali a tuo favore. Tuttavia, spesso capita che:

  • Nel tributario minore, le Commissioni compensino le spese “in considerazione della natura della controversia” ecc. Il che significa che ognuno paga i suoi. Quindi niente rimborso.
  • Nel giudizio di opposizione a sanzioni dal GdP, pure c’è frequente compensazione.
  • Se invece sei assistito da avvocato e ottieni condanna alle spese, potrai recuperare un importo secondo le tariffe legali (non sempre coincidente con quanto hai pagato tu: se hai un accordo diverso col tuo avvocato, la condanna spesso copre in parte). Dovrai poi presentare istanza di pagamento all’ente soccombente (ad es. Agenzia Entrate) o compensare con eventuali altri debiti.
  • Attenzione: non confondere questo con il rimborso del contributo unificato e spese vive: se vinci, hai diritto di riavere indietro il contributo unificato versato per il ricorso. Spesso viene liquidato nelle spese in sentenza. Se spese compensate, puoi chiedere rimborso del CU allo Stato (in trib., col modello apposito) e te lo restituiscono.
  • Se la domanda intendeva dire “posso chiedere al mio avvocato di restituirmi le parcelle ora che ho vinto?”, la risposta è: no, le spese legali sono comunque a tuo carico verso il tuo avvocato secondo il contratto che avevate. Il rimborso deve venire dalla controparte, se disposto. Quindi quando valuti se fare ricorso, considera anche che potresti non recuperare ciò che spendi, a meno che il giudice riconosca le spese.

D11: Un’intimazione di pagamento può essere annullata in autotutela senza andare in giudizio?
R11: È possibile in alcuni casi. L’autotutela è il potere dell’ente emittente di correggere o annullare i propri atti quando li riconosce errati o illegittimi, anche fuori da un processo. Se ritieni che l’intimazione (o la cartella, ecc.) sia palesemente sbagliata (ad esempio: ti chiedono un tributo che hai già pagato, e hai prove evidenti), puoi presentare un’istanza di autotutela all’ente creditore (es. Agenzia Entrate se è tributo, Prefettura se multa, INPS se contributi) e per conoscenza all’AdER, esponendo l’errore e chiedendo l’annullamento dello stesso. L’ente valuterà: se riscontra l’errore, può emettere un provvedimento di sgravio/annullamento, e l’AdER ritirerà l’intimazione. Questa è la via più rapida e meno costosa in caso di errore lampante. Però:

  • L’autotutela è discrezionale: l’ente può anche ignorare la tua richiesta o respingerla senza motivare tanto. Non è un tuo diritto esigibile (salvo per alcuni casi di errore materiale).
  • La richiesta di autotutela non sospende i termini per ricorrere! Devi comunque, per sicurezza, presentare ricorso entro i termini se questi stanno per scadere, altrimenti rischi di decadere in attesa di una risposta che magari non arriva.
  • Esempio: ricevi intimazione per una cartella già pagata due anni fa. Vai all’AdER con le ricevute: spesso l’AdER stessa ti dirà “faccia istanza di sgravio all’ente, intanto sospendiamo”. L’ente poi verifica e se conferma il pagamento, annulla il ruolo. Se però vedi che il tempo stringe e nessuno risponde, presenta anche ricorso al giudice per non precluderti difesa (al limite lo ritiri se l’autotutela va a buon fine).
    In conclusione, tentare l’autotutela è sempre consigliabile quando hai ragione evidente (evita cause inutili). Spesso funziona: l’AdER ha interesse a non proseguire se il debito non c’è. Ma non affidarti solo a quella se i termini decorrono: usala parallelamente al ricorso giudiziale.

D12: Ho sentito parlare di “estratto di ruolo” – posso impugnare quello per far annullare vecchie cartelle mai notificate?
R12: Fino a poco tempo fa, alcuni tribunali permettevano di impugnare direttamente l’estratto di ruolo (cioè il documento in cui AdER elenca tutte le cartelle a tuo nome) per contestare cartelle sconosciute. Era un modo per non dover aspettare un’intimazione o pignoramento. Tuttavia, dal 2021 una norma (DL 146/2021) ha esplicitamente escluso che l’estratto possa essere impugnato autonomamente, se non nel caso in cui si contesti proprio la mancata notifica degli atti in esso indicati. In pratica: puoi fare ricorso preventivo solo per lamentare che una cartella risulta a ruolo ma non ti è mai stata notificata (violazione del diritto di difesa). Però anche su questo la legge ha piuttosto detto: aspetta un atto della riscossione (intimazione, etc.) e contestalo allora. Quindi ad oggi, la via maestra è: se scopri da estratto di ruolo che c’è una cartella del 2015 mai ricevuta, fai prima magari un’istanza in autotutela chiedendo lo sgravio per mancata notifica, oppure attendi (sollecitando magari) che AdER mandi un’intimazione e poi la impugni. Ciò però può essere rischioso se nel frattempo AdER procede con pignoramenti improvvisi. In alcuni casi, avvocati cauti presentano comunque un ricorso dichiarando di impugnare il ruolo o la cartella per mancata notifica, allegando l’estratto come prova. Alcuni giudici tributari l’ammettono, altri lo dichiarano inammissibile citando la nuova legge. Quindi, formalmente, non è più un percorso garantito. Se temi un danno imminente, puoi comunque provare a rivolgerti al giudice chiedendo tutela urgente (ex art.700 c.p.c. o simili), ma in genere il sistema preferisce atti formali. Quindi: estratto di ruolo – utile come strumento di conoscenza e prova, ma non è esso stesso l’atto impugnabile definitivo. Devi sempre riferirti alle cartelle elencate e trovare la sede giusta per contestarle (che è di solito il giudice tributario, del lavoro o GdP, a seconda della natura del debito). La modifica del 2021 mira proprio a evitare cause “sul nulla” e farle transitare quando c’è un atto concreto di riscossione.

D13: Per impugnare una cartella o un’intimazione, devo farmi assistere da un avvocato?
R13: Dipende dal tipo di giudizio e dall’importo:

  • Giudice di Pace: in opposizione a sanzioni amministrative, la legge consente al cittadino di stare in giudizio personalmente (art. 6 D.Lgs.150/2011). Quindi, per una cartella di multe, potresti scrivere tu il ricorso e presentarti senza avvocato. Il GdP spesso aiuta a chiarire. Se però la materia è complessa o l’importo notevole, è consigliato un avvocato. Comunque non è obbligatorio se la controversia è di competenza GdP.
  • Commissione/CGT Tributaria: per valore fino a €3.000 (imposta contestata, al netto interessi e sanzioni) puoi stare in giudizio da solo (art.12 D.Lgs.546/92). Oltre tale soglia, è obbligatorio un difensore abilitato (che può essere avvocato, commercialista o altre figure iscritte in albi, come da art.12). Quindi, se impugni una cartella da €500 per tassa rifiuti, potresti far da te; se è per €5.000 di IRPEF, serve tecnico. Tuttavia, la materia tributaria è molto tecnica: anche se sotto €3.000, raramente il contribuente da solo sa come impostare. Spesso comunque delega un professionista (i costi in cause piccole di solito sono contenuti, e c’è possibilità di gratuito patrocinio se redditi bassi).
  • Tribunale ordinario (incl. sez. lavoro): qui, società e enti devono sempre avere avvocato. Le persone fisiche in teoria davanti al Tribunale devono farsi rappresentare da avvocato, salvo cause lavoro dove possono anche farsi assistere da sindacati (ma opposizione a cartella INPS di solito serve avvocato). Ci sono rarissime eccezioni (tipo cause di valore <€1.100 potrebbero stare in proprio se autorizzati – ma opposizioni a precetto ad es. no, valore legato al debito). Dunque, in pratica in Tribunale ti serve un legale.
  • Costo vs beneficio: Ricorda che le spese legali possono essere recuperate se vinci (v. D10). Inoltre, molti professionisti concordano tariffe forfettarie o a risultato per venire incontro. Se proprio non puoi permettertelo e la causa è importante (es. rischi di perdere la casa per un debito contestabile), verifica se hai i requisiti per il gratuito patrocinio (reddito < circa €11.700 annui): potresti ottenere un avvocato pagato dallo Stato per cause in tribunale o GdP.
    In conclusione: non sempre obbligatorio, ma altamente consigliabile. Questi procedimenti hanno insidie procedurali (decadenze, giurisdizioni) in cui un non addetto ai lavori facilmente scivola, vanificando le ragioni. Questa guida può aiutarti a capire e dialogare col tuo difensore, ma non sostituisce la competenza professionale.

D14: Quanto dura di solito un ricorso contro una cartella o un’intimazione?
R14: La durata può variare molto a seconda del carico di lavoro del tribunale e della complessità del caso:

  • Giudice di Pace: spesso piuttosto rapido, attorno a 6-12 mesi per avere la sentenza in casi di opposizioni a multe. A volte anche 3-4 mesi se il ruolo è leggero (piccoli comuni). In città grandi un po’ di più. Se c’è sospensiva, la decidono presto (1-2 mesi).
  • Commissione Tributaria (Corti Giustizia Trib.): in primo grado, mediamente 12-18 mesi per la sentenza, ma può arrivare a 24 mesi in sedi intasate. Udienza di sospensiva di solito entro 3-6 mesi dalla richiesta. L’appello altri 12-18 mesi. Cassazione se si arriva, purtroppo anche 2-3 anni o più. Quindi un contenzioso tributario completo può durare 5-7 anni nei tre gradi. Molti però si fermano al secondo perché costi/benefici.
  • Tribunale Civile/Lavoro: un’opposizione a precetto di norma è urgente, potrebbe concludersi in meno di 1 anno se solo questione di diritto. Ma se sorgono contestazioni fattuali e prove, può durare 1-2 anni. Il giudice del lavoro, per opposizioni a cartelle INPS, spesso tratta come cause di lavoro ordinarie: circa 1 anno per la sentenza (dipende dalla sede; sezioni lavoro a volte sono rapide <1 anno, altre volte lente >2).
  • Sospensive: in tribunale le richieste di sospensione in via d’urgenza possono essere decise anche in poche settimane se c’è pericolo imminente (il legale può chiedere decreto inaudita altera parte se c’è un pignoramento in corso). Altrimenti fissano un’udienza in tempi brevi (1-2 mesi) per discutere la sospensione.
    In generale, questi procedimenti non sono brevissimi, salvo le procedure di sospensione. Significa che il contribuente deve avere pazienza. Se l’importo è modesto, a volte valutano di accedere a definizioni agevolate per chiudere prima (es. pace fiscale) invece di attendere anni un condono. C’è però da dire che le cause relative a riscossione hanno priorità a volte, perché c’è di mezzo esecuzioni: ad esempio la Cassazione ha una corsia preferenziale per cause con oggetto importi modesti di contributi, per smaltire.
    In termini di prescrizione: il fatto che pendi causa sospende la prescrizione, quindi l’ente non può dire “aspetto che scada la causa e intanto corre il tempo”. Quindi su quell’aspetto puoi star tranquillo.
    Se hai ottenuto sospensione, poi la durata non incide su di te perché non subisci danni nel frattempo.

D15: Cosa succede se il mio ricorso viene “respinto” o dichiarato “inammissibile”?
R15: Se viene respinto nel merito, significa che il giudice ha ritenuto valido l’atto impugnato e dunque tu hai torto. In tal caso:

  • L’atto (cartella, intimazione, precetto…) diventa definitivo e pienamente efficace. Dovrai quindi pagare il dovuto.
  • Attenzione ai tempi di pagamento: a volte la sentenza fissa un termine (es. nel rigettare opposizione a sanzione, il GdP può ingiungere di pagare entro 30gg). Se non paghi, il creditore agirà subito (pignoramento). Quindi preparati: magari durante la causa metti da parte soldi prevedendo il possibile rigetto.
  • Inoltre, potresti essere condannato alle spese legali a favore della controparte (es. ente pubblico). Ciò aumenterà l’importo da pagare (anche se di solito non sono enormi in queste cause, comunque vanno considerati).
  • Hai la possibilità di impugnare la decisione: appello (per GdP e Tribunale) entro termini brevi (30gg di regola in opposizioni), oppure appello tributario entro 60gg. Se ritieni ci siano margini in secondo grado, consulta il tuo legale. Nel frattempo, la sentenza di primo grado è esecutiva, quindi potresti dover pagare comunque salvo diversa sospensione in appello. Ad esempio, in tributario, se perdi in primo grado devi pagare (per ottenere lo sconto sanzioni, se vinci in appello poi rimborsano). In civile, la sentenza di rigetto precetto è titolo esecutivo per procedere subito. Puoi chiedere al giudice d’appello la sospensione dell’efficacia della sentenza appellata se ricorrono gravi motivi.
  • Se decidi di non appellare (o se perdi anche in appello), quel risultato è definitivo: dovrai adempiere. Altrimenti scatteranno le procedure esecutive: pignoramenti, ipoteche ecc.
    Se invece il ricorso è dichiarato inammissibile/improcedibile per ragioni formali (tipo depositato tardi, o ricorso a giudice sbagliato), purtroppo è come se non lo avessi fatto validamente: resti con l’atto intatto e hai pure perso tempo. In tal caso, spesso non c’è rimedio perché se è tardivo non puoi più farlo valere; se è giurisdizione errata, a volte si può riproporre subito al giudice corretto (ma con rischio termini scaduti). L’inammissibilità per motivi procedurali è severa: ecco perché insistevamo sull’importanza di seguire regole e giurisdizioni.
  • Anche contro un’ordinanza di inammissibilità in tributario si può fare appello, ma se era effettivamente tardivo, l’appello confermerà. Nel civile, se il ricorso è fuori termine, amen. Dunque evita questo scenario curando i dettagli sin dall’inizio, preferibilmente con assistenza legale.

D16: Possono mettermi in prigione se non pago dopo un’intimazione di pagamento?
R16: No, il mancato pagamento di debiti tributari o civili non comporta arresto o detenzione. In Italia non esiste la prigione per debiti civili (è vietata dalla Costituzione per le inadempienze contrattuali). Tuttavia:

  • Ci sono conseguenze patrimoniali: pignoramento dei beni, stipendio, pensione, ipoteca sulla casa, fermo auto, ecc. Quindi, pur niente carcere, il danno può essere economico serio.
  • Ci sono casi penali collegati ma non per il mancato pagamento in sé: per esempio, se il debito deriva da evasione fiscale di certe soglie, il reato è per l’evasione (dichiarazione infedele, omesso versamento IVA oltre 250k, ecc.), ma non per non aver ottemperato all’intimazione. La legge punisce l’evasione sopra soglia con la reclusione, ma questo prescinde dall’intimazione (che è strumento di recupero). Addirittura, se vieni condannato penalmente per omesso versamento IVA, pagare dopo può attenuare la pena ma non cancella il reato. Comunque sono casi limitati a grosse cifre e a specifiche imposte. Per la stragrande maggioranza di intimazioni (multe, tasse comuni, contributi) non c’è implicazione penale.
  • Quindi il timore di finire in carcere per debiti esattoriali è infondato. Al massimo, in casi di frode fiscale, bancarotta fraudolenta, ci sono risvolti penali perché c’è un comportamento fraudolento, non perché “non hai pagato”.
  • Attenzione a non confondere con i reati omissivi: ex reato di omesso versamento ritenute (era penale se >€150k, ora depenalizzato sotto soglia), o omesso versamento IVA > soglia (penale). Ma ripeto: queste incriminazioni scattano per il fatto di non aver versato entro la scadenza di legge, non per non aver pagato l’intimazione.
    In sintesi, la forza dell’intimazione/cartella è nel permettere il prelievo forzoso di soldi o beni, non la privazione della libertà. Se qualche agente di recupero crediti privato insinua il contrario (“finirà in galera se non paga!”), sappi che è una minaccia infondata e illecita.

D17: Ho un fermo amministrativo sull’auto a causa di cartelle non pagate: se faccio ricorso e vinco, mi rimborsano qualcosa per il fermo subito?
R17: Il fermo amministrativo dei veicoli è una misura cautelare/coattiva che AdER adotta su cartelle scadute. Se tu fai ricorso e dimostri che quelle cartelle erano illegittime, la prima cosa è che il fermo viene revocato (cancellato) senza costi per te. Quanto al “rimborso” di eventuali danni subiti (ad esempio, non hai potuto usare l’auto per X mesi per colpa di un fermo ingiusto):

  • In linea generale, la Pubblica Amministrazione non risponde automaticamente dei danni salvo tu faccia un’apposita azione risarcitoria e dimostri mala fede o colpa grave. Non esiste un modulo per chiedere tot euro per il disagio.
  • Però, se il fermo ti ha causato spese (ad es. hai dovuto noleggiare auto), potresti valutare con il legale un’azione di risarcimento danni contro l’ente impositore per illegittima iscrizione del fermo. Non è semplice: dovresti provare il danno concreto e la condotta illegittima qualificata. Spesso, se era proprio evidente che il fermo era sbagliato (tipo cartella sgravata ma hanno messo fermo lo stesso), potresti transare col concessionario magari uno sconto sugli importi dovuti (se ancora c’è qualcosa da pagare).
  • Nella maggior parte dei casi pratici, una volta vinto il ricorso, ti accontenti della cancellazione del fermo e fine lì. Perché una causa risarcitoria a parte può durare molto e con esito incerto.
  • Ci sarebbe la via di reclamo gerarchico interno: scrivere ad AdER lamentando che il fermo era ingiusto e chiedere gesto di equità (tipo non addebitare spese di fermo etc.). In alcuni casi AdER annulla anche le spese di procedimento.
  • Nota: se avevi pagato delle spese per il fermo (p.e. preavviso di fermo €30 di spese, e poi altre per cancellazione), in teoria se la cartella base è annullata, non dovresti pagare neanche quelle. Se le hai già pagate, puoi chiedere rimborso di quelle spese vive.
  • In conclusione: nessun rimborso automatico per il disagio. Solo se ci sono costi documentabili e la ragione è dalla tua, puoi chiederli in via di equità. Ad esempio, c’è stata giurisprudenza che ha riconosciuto il rimborso del bollo auto pagato mentre il veicolo era fermato e non circolava, quando poi il fermo è risultato illegittimo – perché hai pagato una tassa per un veicolo inutilizzabile per colpa loro. Sono casi particolari e spesso serve un accordo o giudizio apposito.

D18: Le cartelle esattoriali cadono in prescrizione dopo 10 anni?
R18: Non c’è un termine unico per tutte le cartelle. La prescrizione dipende dalla natura del credito:

  • Come spiegato, la Cassazione a Sezioni Unite ha escluso l’automatismo decennale per cartella non impugnata. Quindi devi guardare al tipo di tributo/sanzione:
    • Tributi erariali (es. IRPEF, IVA): Questi prima di essere cartella hanno un accertamento. Se l’avviso diventa definitivo, la prescrizione del credito tributario resta quella originaria stabilita da leggi fiscali (spesso 10 anni per IRPEF, 5 per alcune imposte locali). C’è dibattito su alcune imposte: p.es. IRPEF non ha un termine breve di prescrizione definito, quindi si applica quello ordinario 10 anni; l’IVA neanche, di solito si usa 10 anni. Quindi per molte imposte statali la prescrizione è di 10 anni dal momento in cui sono definitive (non per giudicato, ma perché non c’è termine speciale più breve).
    • Contributi previdenziali (INPS): per legge 335/1995, prescrizione 5 anni (tranne dolo, oggi anche col dolo pare uniformato a 5). Quindi cartella INPS 5 anni.
    • Sanzioni amministrative (multe, ecc.): 5 anni (L.689/81 art.28).
    • Entrate locali (tributi locali): es. bollo auto 3 anni; IMU/TARI 5 anni salvo atti interruttivi.
    • Altre: diritti della camera di commercio 10 anni (riconducibili a tributo erariale).
  • La cartella in sé è atto interruttivo, perciò da quando è notificata decorre un nuovo periodo di prescrizione uguale a quello del credito. Ad esempio: bollo auto 2015 prescritto 3 anni; cartella notificata 2018 – interrompe; nuovo termine 3 anni da lì (quindi fine 2021); se AdER non fa altro entro 2021, poi il bollo è prescritto e cartella non più esigibile.
  • Quindi, no, non è sempre 10. I “10 anni” del famoso art.2953 c.c. valgono solo se c’è un titolo giudiziale passato in giudicato. La cartella esattoriale non è un titolo giudiziale, dunque non trasforma il termine breve in decennale. Questa è giurisprudenza consolidata. Dunque se qualcuno (anche AdER operatori talvolta) dice “cartella non pagata raddoppia a 10 anni”, non è corretto. Rimane col termine suo.
  • Fai caso però: alcune imposte già di loro hanno 10 anni (es. IRPEF interpretata come decennale). Quindi in quei casi non cambia niente.
  • E se c’è giudizio e sentenza passata in giudicato sul tributo, allora sì quell’importo cristallizzato da sentenza prescrive in 10 anni dall’anno successivo al giudicato (2953 c.c.).
    Riassumendo: controlla sempre la legge speciale del tributo/credito per il termine prescrizionale. La cartella è solo un mezzo di riscossione, non allunga i termini di prescrizione originari.

D19: Cosa significa “opposizione propositiva” che a volte vedo riferito a cartelle di sanzioni?
R19: È un termine poco usato in modo formale, ma appare in dottrina per distinguere l’opposizione “recuperatoria” nelle multe. Facciamo chiarezza: quando impugni una cartella esattoriale relativa a multe non opposte, stai in realtà cercando di far valere motivi contro i verbali originali (ad esempio notifica nulla) anche se i termini di 30 giorni sono passati – appunto perché non ne sapevi nulla. Questa azione viene detta anche opposizione recuperatoria tardiva. Le SU Cassazione 22080/2017 hanno definito che va fatta entro 30 giorni dalla cartella, seguendo il rito dell’opposizione all’ordinanza. In pratica, tecnicamente, stai chiedendo al giudice di Pace di annullare i verbali o ordinanze originarie, e conseguentemente la cartella. Dicono “opposizione propositiva” nel senso che proponi ora un’opposizione come se fosse nei termini (è come se proponessi ex novo l’opposizione che avresti fatto allora). Non è un termine delle norme, ma descrittivo. L’importante da capire: se hai perso il treno di opporre la multa, l’ultimo vagone è opporre la cartella entro 30 giorni, “proponendo” i motivi originari (nulla notifica, ecc.) e chiedendo rimessione in termini. Se perdi pure quel vagone, la sanzione è definitiva e non c’è rimedio. Insomma, opposizione propositiva = quell’opposizione contro cartella-multa che “tiene luogo” dell’opposizione originaria mai fatta, proponendo questioni di merito oltre che di forma.

D20: Se la mia società ha debiti molto alti e molte intimazioni, non conviene lasciarla fallire e basta?
R20: Dipende dalla situazione, ma considerazioni generali:

  • Se una società fallisce (liquidazione giudiziale), i crediti fiscali e contributivi vanno nel concorso. L’attivo della società (se ce n’è) verrà distribuito. Spesso l’erario prende poco o nulla se l’azienda non ha beni. Potrebbe sembrare un modo per “liberarsi” dei debiti. Tuttavia, attenzione:
    • I debiti non scompaiono magicamente: in caso di fallimento di una S.r.l., il fallimento si chiude magari incapiente e i crediti insoddisfatti sono inesigibili verso la società (che peraltro cessa di esistere eventualmente). I soci non rispondono oltre il capitale versato. Fin qui, per i soci un vantaggio. Ma…
    • Bisogna considerare possibili azioni di responsabilità: se l’impresa aveva molti debiti fiscali non pagati, il curatore potrebbe accusare gli amministratori di non aver gestito bene (ex art. 2486 c.c. se andati avanti in perdita, o art. 216 L.F. per bancarotta semplice o fraudolenta se hanno aggravato il dissesto). L’Agenzia Entrate può segnalare il mancato versamento di IVA/ritenute per valutarne il dolo. Ci possono essere anche implicazioni penali come detto.
    • Inoltre, alcuni debiti possono riflettersi sui garanti: se i soci avevano fatto da fideiussori per tasse (in alcuni casi di definizioni), potrebbero esser chiamati.
    • Se la società è piccola e i soci hanno conti intrecciati, l’erario può controllare movimenti anomali (distrazioni di beni prima del fallimento? revocatoria fallimentare, etc.).
  • Se invece la società ha ancora potenzialità, conviene valutare soluzioni concordate: es. un concordato preventivo o accordo di ristrutturazione in cui anche l’Erario spesso accorda dilazioni fino 6 anni o stralci parziali (lo consente la norma ora). Salvi l’azienda e riduci debiti legalmente.
  • Far fallire e basta conviene se l’azienda è decotta e i soci vogliono voltare pagina senza strascichi. In tal caso, i crediti fiscali rimangono lì insoddisfatti. I soci di S.r.l. ne escono puliti (a parte l’investimento perso), salvo come detto malversazioni. Per imprenditore individuale, la questione è diversa: in fallimento persona fisica, anche dopo chiusura, certi debiti (tributi) possono rimanere a carico suo (ora c’è l’esdebitazione anche per tributari, ma se comportato male gliela negano).
  • Quindi, se parliamo di società di capitali con patrimonio negativo e troppi debiti, a volte portarla in tribunale è la scelta obbligata. Ma i professionisti esaminano se c’è spazio per trattare con creditori (erario incluso) per evitare il fallimento, che è sempre costoso e lungo.
  • Inoltre, i soci/amminist. rischiano di perdere controllo: in fallimento arriva il curatore che spulcia tutto. Se hanno fatto errori, ne pagheranno.
    In conclusione: il fallimento di una società cancella i debiti societari, ma può aprire altri fronti (responsabilità, penali). Non è panacea indolore. Serve consulenza con professionista di crisi d’impresa per scegliere strada migliore. Se proprio non c’è nulla da salvare e rischi ulteriori minimali, allora sì, liquidare e far chiudere i battenti può mettere fine alle intimazioni (che verranno solo insinuate in fallimento).

Fonti Normative e Giurisprudenziali

(In questa sezione elenchiamo in modo ordinato le principali fonti – leggi, decreti, articoli di codice, e sentenze – citate o richiamate nella guida, con i riferimenti precisi per eventuale consultazione.)

Normativa primaria:

  • Costituzione Italiana, art. 24: Diritto alla difesa in giudizio.
  • Codice Civile:
    • Art. 1219 c.c.: Costituzione in mora del debitore.
    • Artt. 2934-2943 c.c.: Disposizioni generali sulla prescrizione.
    • Art. 2946 c.c.: Prescrizione ordinaria decennale.
    • Art. 2953 c.c.: Prescrizione derivante da giudicato (actio iudicati).
  • Codice di Procedura Civile:
    • Artt. 474-477 c.p.c.: Titoli esecutivi e precetti.
    • Art. 480 c.p.c.: Contenuto e notifica del precetto.
    • Art. 615 c.p.c.: Opposizione all’esecuzione (forma, termini).
    • Art. 617 c.p.c.: Opposizione agli atti esecutivi (20 giorni dalla notifica dell’atto viziato).
    • Art. 619 c.p.c.: Opposizione di terzo all’esecuzione (non trattato in guida, ma attiene).
    • Art. 624 c.p.c.: Sospensione della esecuzione da parte del giudice.
    • Art. 650 c.p.c.: Opposizione tardiva a decreto ingiuntivo per caso fortuito/forza maggiore.
    • Art. 652 c.p.c.: Esecutività dei decreti ingiuntivi non opposti.
    • Artt. 633-642 c.p.c.: Procedimento per ingiunzione (decreto ingiuntivo).
    • Art. 669 c.p.c. e segg.: Procedimenti cautelari (incluso art.700 c.p.c.).
  • Codice della Strada (D.Lgs. 285/1992):
    • Art. 201 CdS: Notificazione delle violazioni (90 giorni, ecc.).
    • Art. 203 CdS: Ricorso al Prefetto entro 60 giorni.
    • Art. 204-bis CdS: Ricorso al Giudice di Pace entro 30 giorni.
    • Art. 209 CdS: Titolo esecutivo e termine di prescrizione (rinvia a L.689/81 art.28, 5 anni).
  • Legge 689/1981:
    • Art. 14 L.689/81: Notificazione degli atti di accertamento delle sanzioni.
    • Art. 22 L.689/81: Opposizione a ordinanza-ingiunzione entro 30 giorni in tribunale/GdP.
    • Art. 28 L.689/81: Prescrizione quinquennale delle sanzioni amministrative.
  • D.P.R. 602/1973: Disposizioni sulla riscossione delle imposte:
    • Art. 25 DPR 602/73: Cartella di pagamento (termine di notifica, 60gg per pagare).
    • Art. 49 DPR 602/73: Ruolo come titolo esecutivo.
    • Art. 50 DPR 602/73: Intimazione ad adempiere prima dell’esecuzione (1 anno dalla cartella); validità 180 giorni.
    • Art. 57 DPR 602/73: Limitazioni alle opposizioni esecutive su crediti tributari (dichiarato in parte incostituzionale).
    • Art. 72-bis DPR 602/73: Pignoramento presso terzi esattoriale (particolare).
  • D.Lgs. 46/1999:
    • Art. 24 D.Lgs.46/99: Opposizione a iscrizione a ruolo di contributi entro 40 giorni (giudice lavoro); opposizione a cartella per vizi formali entro 20 giorni (art. 615/617 c.p.c.).
  • D.Lgs. 546/1992: Processo Tributario:
    • Art. 2 D.Lgs.546/92: Giurisdizione tributaria (oggetto).
    • Art. 19 D.Lgs.546/92: Elenco atti impugnabili in Commissione (include cartella, ma non menziona intimazione espressamente).
    • Art. 21 D.Lgs.546/92: Termine 60 giorni per ricorso tributario.
    • Art. 12 D.Lgs.546/92: Assistenza tecnica (difesa) e limite €3.000 per stare da soli.
    • Art. 17-bis D.Lgs.546/92: Reclamo e Mediazione obbligatoria < €50.000.
  • D.Lgs. 150/2011: Riforma dei procedimenti civili speciali:
    • Art. 6 D.Lgs.150/2011: Opposizione a ordinanza-ingiunzione (sanzioni amm.ve) – 30gg GdP/Trib; difesa personale permessa; tardività inammissibile; possibilità di rimessione in termini per notifica nulla (richiamato in guida).
    • Art. 7 D.Lgs.150/2011: Opposizione a verbale CdS (30gg GdP).
    • Art. 32 D.Lgs.150/2011: Opposizione a ingiunzione fiscale Rd 639/1910 – rito ordinario tribunale, termini prescrizione (nessun termine breve 30gg).
  • Legge 228/2012, art.1 commi 537-543: (cita perché modificò art.57 DPR 602 rendendo impugnabili fermi e ipoteche al tributar.) Non approfondito molto sopra ma rilevante come contesto.
  • Legge 212/2000 (Statuto del contribuente):
    • Art. 6 co.5 L.212/2000: Facoltà del giudice di rimessione in termini se mancata conoscenza dell’atto per fatto non imputabile (spesso citato nei ricorsi tributari).
    • Art. 6 co.6 L.212/2000: Termine di pagamento di 60gg nelle cartelle e obbligo di motivazione sufficiente (richiamato da Corte Cost. 280/2005).
  • Legge 335/1995: art.3 commi 9-10: Contributi previdenziali prescrizione 5 anni (ridotta da 10).
  • DL 78/2010, art.29: Accertamento esecutivo tributario dal 01/10/2011 (menzionato come gli accertamenti fanno titolo per AdER dopo 60gg). Rilevante per intimazione art.50 che si applica anche a essi.
  • DL 146/2021, art.3 c.4-octies (conv. L.215/2021): Stabilisce non impugnabilità autonoma dell’estratto di ruolo salvo vizi di notifica.
  • Codice della Crisi d’Impresa (D.Lgs.14/2019): (Accenno a esdebitazione sovraindebitati, composizione crisi – non dettagliato ma normative esistenti per rif.).

Giurisprudenza (Sentenze):

  • Cass., Sez. Unite, 17/11/2016, n. 23397: Prescrizione delle cartelle non opposte rimane quella breve del credito originario, inapplicabile art.2953 c.c. analogicamente. (Conferma prescrizione quinquennale contributi INPS non opposti, ecc.).
  • Cass., Sez. Unite, 22/09/2017, n. 22080: Opposizione contro cartella di multe non notificate va proposta entro 30gg dalla cartella, col rito ordinanza-ingiunzione; se tardiva è inammissibile. La mancata notifica del verbale consente opposizione tardiva ma entro 30gg da cartella.
  • Cass., Sez. V, 22/12/2020, n. 28995: Intimazione ex art.50 DPR 602 è atto impugnabile autonomamente entro 60gg (equiparato ad avviso di mora); il debitore ha onere di immediata impugnazione per eccepire prescrizione. (non riportata testualmente ma citata).
  • Cass., Sez. Unite, 29/04/2020, n. 7822: Riparto giurisdizione esecuzioni tributarie: atti fino a intimazione → giudice tributario; atti dell’esecuzione (pignoramento ecc.) → giudice ordinario. Dopo Corte Cost.114/2018, debitore può opporsi in sede ordinaria per fatti successivi a cartella.
  • Cass., Sez. V, 11/03/2025, n. 6436: (Ordinanza) Intimazione ex art.50 DPR 602/73: atto equiparato ad atti impugnabili ex art.19; impugnazione necessaria (non facoltativa) per eccepire prescrizione, altrimenti obbligazione cristallizzata. (Conferma Cass. 2024, cfr FiscoOggi).
  • Cass., Sez. VI – Lavoro, 08/03/2022, n. 7514: Avviso di addebito INPS va opposto entro 40gg al giudice del lavoro; estratto di ruolo non impugnabile se non per vizi notifica, in linea con DL 146/2021.
  • Cass., Sez. III, 10/02/2021, n. 3645: In materia sanzioni amministrative, il giudice ordinario può dichiarare prescrizione quinquennale ex art.28 L.689/81 anche in sede di opposizione all’esecuzione (cartella non opposta ma credito prescritto nel frattempo).
  • Corte Costituzionale, 15/07/2005, n. 280: Illegittimità art.25 DPR 602/73 nella parte in cui riduceva da 60 a 20 giorni il termine di pagamento in cartella senza adeguata informativa, violando diritti difesa. (Conseguenza: cartelle oggi riportano 60gg e info su termini ricorso).
  • Corte Costituzionale, 31/05/2018, n. 114: Illegittimità art.57 co.1 lett.a) DPR 602/73 dove escludeva opposizioni ex art.615 dopo notifica cartella/intimazione. Ora il debitore può opporsi all’esecuzione tributaria per fatti successivi (es. prescrizione sopravvenuta, impignorabilità) davanti al giudice civile.
  • T.A.R. Veneto, Sez.I, 02/04/2020, n. 262: Ribadito che intimazione conseguente a ordinanza-ingiunzione non opposta non è impugnabile nel merito: il ricorso tardivo va dichiarato inammissibile.
  • Cass., Sez. Unite, 08/02/2008, n. 3160: (non citata sopra ma classica su impugnabilità atti non elencati in art.19 se contengono pretesa tributaria – concetto citato in FiscoOggi) confermata da Cass.31630/2018 etc.
  • Cass., Sez. Unite, 04/07/2003, n. 12707: (sull’estratto di ruolo impugnabile – orientamento superato dal legislatore).
  • Cass., Sez. Unite, 19888/2019: (sul reclamo/mediazione come condizione procedibilità – non trattato esplicitamente ma contesto).
  • Cass., 3701/2021: (di poco rilievo qui, su notifica PEC e decorrenza termini – non citata).
  • Cass., 11749/2019: Intimazione impugnabile anche se non in art.19 – giurisprudenza in linea con affermazioni Cass 2024/2025.
  • Cass., 11141/2017: (sull’impugnabilità estratto di ruolo, orientamento prima del DL 146).
  • Cass., 19854/2019: (sulla ripresa notifica viziata e rimessione in termini – giurisp. generale).
  • Cass., 3678/2022: (prescrizione cartelle tributi locali 5 anni – estende SU 23397).

Come si Impugna un’Intimazione di Pagamento? Fatti Aiutare Da Studio Monardo

Hai ricevuto un’intimazione di pagamento da parte dell’Agenzia delle Entrate Riscossione?
Ti intimano di saldare entro 5 giorni o scatteranno pignoramenti e altri provvedimenti esecutivi?

⚠️ L’intimazione non è un semplice avviso: è un atto esecutivo a tutti gli effetti.
Ma se ci sono errori, vizi o irregolarità, puoi impugnarla e bloccare le conseguenze.

Cos’è l’intimazione di pagamento

📩 È un atto con cui l’Agenzia delle Entrate-Riscossione ti impone di pagare entro 5 giorni quanto già iscritto a ruolo (cartelle esattoriali, avvisi, tributi non versati, ecc.).
Se non reagisci in tempo, l’Agenzia può:

❌ Pignorare il tuo conto o il tuo stipendio
❌ Bloccare il tuo veicolo con fermo amministrativo
❌ Iscrivere ipoteche sugli immobili

Quando e perché puoi impugnare l’intimazione

✅ Se non hai mai ricevuto la cartella sottostante
✅ Se il debito è prescritto
✅ Se gli importi richiesti sono errati o duplicati
✅ Se ci sono vizi formali o sostanziali nella notifica o nel contenuto dell’atto
✅ Se l’intimazione riguarda somme già pagate o oggetto di un piano rateale

📌 L’impugnazione deve essere tempestiva e motivata, davanti al giudice competente (Commissione Tributaria o Giudice Ordinario, a seconda del tipo di debito).

🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo

📄 Analizza l’atto ricevuto e ricostruisce l’intera posizione debitoria
🛑 Verifica se ci sono profili di illegittimità impugnabili
📑 Redige e presenta il ricorso entro i termini di legge
🔐 Blocca l’efficacia dell’intimazione con istanze cautelari urgenti
📞 Ti assiste nel dialogo con l’Agenzia Riscossione e nella gestione dei successivi passi

🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato tributarista specializzato in riscossione esattoriale
✔️ Esperto in contenzioso contro cartelle, intimazioni e pignoramenti
✔️ Gestore della Crisi – iscritto al Ministero della Giustizia
✔️ Fiduciario OCC per sovraindebitamento e tutela patrimoniale
✔️ Difensore di privati, imprenditori e professionisti con debiti fiscali

Conclusione

Un’intimazione di pagamento non è la fine: può essere contestata, ridotta o sospesa.
Con l’aiuto giusto puoi difenderti, guadagnare tempo e trovare una soluzione sostenibile.

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La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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