La tua impresa è in difficoltà?
Hai sentito parlare della composizione negoziata della crisi ma non sai chi è – e cosa fa – l’esperto negoziatore previsto dal Codice della Crisi?
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati specializzati in risanamento aziendale, diritto societario e gestione delle crisi d’impresa – ti spiega chi è l’esperto nominato dal tribunale o dalla Camera di Commercio, quando viene coinvolto, e come può aiutare concretamente l’imprenditore a uscire dai debiti senza fallire.
Scoprirai:
- Chi può diventare esperto negoziatore della crisi: commercialisti, avvocati, manager iscritti in un apposito elenco con formazione specifica e requisiti di indipendenza;
- Qual è il suo ruolo centrale nella procedura di composizione negoziata: non giudica, non comanda, ma favorisce le trattative tra l’impresa e i creditori, aiutando a trovare una soluzione concreta per il risanamento;
- Quando può essere attivata la composizione negoziata: se ci sono segnali di crisi ma l’attività è ancora recuperabile e l’imprenditore vuole evitare liquidazione o insolvenza;
- Come si svolge la procedura: apertura tramite piattaforma telematica, nomina dell’esperto, incontri con banche, fornitori, fisco, INPS, piani di rientro;
- Cosa può fare l’esperto: mediare, proporre soluzioni, facilitare accordi, monitorare il rispetto dei piani, aiutando l’impresa a restare operativa durante la crisi;
- Quali vantaggi offre la procedura: sospensione delle azioni esecutive, accesso a misure protettive, gestione negoziata del debito senza dover dichiarare fallimento.
Con l’aiuto dell’esperto e di un team legale qualificato, l’imprenditore può affrontare la crisi in modo ordinato, riservato e costruttivo, mettendo in sicurezza l’azienda e il patrimonio personale.
Alla fine della guida potrai richiedere una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo, valutare se la tua impresa può accedere alla composizione negoziata e ricevere assistenza qualificata per interagire con l’esperto, preparare il piano e salvare l’attività con gli strumenti del Codice della Crisi.
1. Introduzione e Quadro Normativo
La composizione negoziata della crisi d’impresa è un nuovo strumento volontario e stragiudiziale introdotto nell’ordinamento italiano per aiutare le imprese in difficoltà a evitare l’insolvenza conclamata. Introdotta inizialmente con il D.L. 118/2021 (conv. L. 147/2021) e poi confluita nel Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019, “CCII”) tramite il D.Lgs. 83/2022, la composizione negoziata consente all’imprenditore commerciale o agricolo in condizioni di squilibrio economico-patrimoniale (anche prima dello stato di insolvenza conclamata) di affidarsi a un esperto indipendente. Tale esperto, definito comunemente “esperto negoziatore”, ha il compito di facilitare le trattative riservate tra l’imprenditore, i creditori e altri stakeholder, allo scopo di individuare una soluzione concordata per superare la crisi e risanare l’impresa. L’obiettivo primario è favorire la continuità aziendale quando possibile, contemperando i diritti dei creditori ed evitando soluzioni liquidatorie invasive.
Base normativa: La disciplina vigente (aggiornata a maggio 2025) è contenuta negli artt. 12-25-sexies del CCII, introdotti e modificati dai decreti correttivi susseguitisi negli ultimi anni. In particolare:
- Il D.L. 118/2021, convertito con L. 147/2021, ha creato l’istituto e una piattaforma telematica dedicata presso le Camere di Commercio.
- Il D.Lgs. 83/2022 (attuativo della Direttiva UE 2019/1023) ha integrato la composizione negoziata nel Codice della Crisi, modificandone alcuni aspetti.
- Il D.Lgs. 136/2024 (cosiddetto “terzo correttivo”) ha introdotto ulteriori semplificazioni e novità, ad esempio l’estensione della transazione fiscale anche ai tributi locali.
- Ulteriori ritocchi provengono da normative settoriali (es. disposizioni fiscali della L. 197/2022) e dai decreti attuativi: ad esempio, il D.M. 10 marzo 2022 ha fissato il contributo di segreteria per l’accesso alla piattaforma.
Il nuovo Codice della Crisi, pienamente in vigore dal 15 luglio 2022, mira a promuovere l’emersione tempestiva delle difficoltà aziendali e l’autonomia privata nella loro gestione. La composizione negoziata si inserisce tra gli strumenti di allerta e prevenzione della crisi, offrendo all’imprenditore una chance di risanamento concordato prima di ricorrere alle tradizionali procedure concorsuali formali (come il concordato preventivo o la liquidazione giudiziale). In questa guida esamineremo in dettaglio chi è e cosa fa l’esperto negoziatore, come si svolge la procedura di composizione negoziata e quali sono le possibili soluzioni che ne possono scaturire. Verranno inoltre analizzati gli strumenti alternativi (piani attestati di risanamento, accordi di ristrutturazione dei debiti, concordati preventivi, ecc.), le differenze applicabili alle varie categorie di imprese (PMI, grandi imprese, start-up innovative, imprese agricole, etc.), nonché i principali profili giuridici in ottica interdisciplinare (societari, fallimentari, penali, fiscali e del lavoro). Troverete infine esempi pratici, simulazioni di casi, una sezione FAQ (domande e risposte) e tabelle riepilogative per facilitare la comprensione operativa.
2. La composizione negoziata della crisi d’impresa
In questa sezione descriviamo l’istituto della composizione negoziata così come disciplinato dal Codice della Crisi e dalle norme in vigore nel 2025. Ci concentreremo sul ruolo dell’esperto negoziatore, sulle condizioni di accesso, sullo svolgimento delle trattative e sugli esiti possibili.
2.1 Definizione, finalità e presupposti
La composizione negoziata è una procedura volontaria promossa dall’imprenditore, con natura essenzialmente stragiudiziale (ossia si svolge fuori dal tribunale, salvo interventi mirati per misure protettive o omologhe eventuali). Essa può essere attivata da imprese commerciali o agricole iscritte al Registro delle Imprese che si trovino in una condizione di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario tale da far risultare probabile la crisi o l’insolvenza. È dunque uno strumento utilizzabile anche in fase di pre-crisi, quando l’impresa ha difficoltà ma non è ancora insolvente in senso stretto, purché vi sia una ragionevole prospettiva di risanamento dell’attività.
Finalità: Lo scopo della composizione negoziata è di favorire il risanamento dell’impresa attraverso soluzioni concordate con i creditori, evitando l’apertura di procedure concorsuali distruttive (fallimento, oggi liquidazione giudiziale). Si tratta di trovare un accordo sostenibile – ad esempio una ristrutturazione dei debiti, una rimodulazione dei crediti, nuovi apporti finanziari o operazioni sul capitale – tale da ripristinare l’equilibrio economico-finanziario e garantire la continuità aziendale. In mancanza di prospettive di continuità, la composizione può anche agevolare soluzioni liquidatorie meno traumatiche, come la cessione dell’azienda o di rami di essa a terzi, ma sempre nell’ottica di evitare una liquidazione giudiziale disordinata.
Condizioni e presupposti: L’istanza può essere presentata dall’imprenditore individuale o collettivo, sia esso una PMI, una grande impresa o un’impresa agricola (come dettagliato più avanti per le varie categorie). Non sono previsti rigidi requisiti dimensionali: a differenza delle procedure concorsuali classiche, anche un’impresa “minore” (sotto soglia) o un’impresa agricola possono accedere, in quanto la legge non richiede più di dimostrare di essere “fallibili” ai sensi della vecchia normativa. Ciò rappresenta un’estensione importante delle tutele, voluta dal legislatore per coinvolgere nel sistema di allerta e risanamento anche soggetti prima esclusi (si pensi al coltivatore diretto, tradizionalmente non fallibile, che ora rientra tra i legittimati alla composizione negoziata della crisi).
L’unico limite implicito è che deve esistere una concreta prospettiva di risanamento. In base all’art. 12 CCII, l’imprenditore richiedente deve trovarsi in condizioni di squilibrio tali da rendere probabile la crisi o l’insolvenza, ma contestualmente deve poter ragionevolmente perseguire il risanamento. Se la situazione fosse ormai compromessa senza margini di recupero, la composizione negoziata non raggiungerebbe lo scopo – in tal caso si dovrebbero valutare soluzioni liquidatorie (concordatarie o concorsuali). Sarà proprio compito dell’esperto, nei primissimi passi della procedura, valutare e confermare la sussistenza di prospettive di risanamento oppure constatare tempestivamente l’assenza di soluzioni praticabili, nel qual caso la procedura potrà essere chiusa anticipatamente (v. §2.5).
Da notare che lo stato soggettivo richiesto è la crisi (come definita dall’art. 2 CCII) o anche la insolvenza già manifesta. Ciò significa che anche un imprenditore già insolvente può attivare la composizione negoziata (purché vi siano chance di accordo e continuità) per evitare la dichiarazione immediata di liquidazione giudiziale. Tuttavia, se l’insolvenza è conclamata e profonda, è probabile che i tempi ridotti e i poteri limitati di questa procedura la rendano meno efficace; in pratica, la composizione è pensata per intervenire tempestivamente, prima che la crisi divenga irrecuperabile. Il nuovo ordinamento valorizza infatti l’iniziativa precoce del debitore: la composizione negoziata è uno strumento di allerta interna volontaria, distinto dalle segnalazioni esterne (come quelle che dovrebbero provenire dagli organi di controllo societari o dai creditori pubblici qualificati). Essa incentiva l’imprenditore stesso ad attivarsi prima che sia troppo tardi, anche grazie a una serie di misure protettive e premiali di cui può beneficiare chi utilizza tale procedura in modo leale (v. §2.7 e §2.9).
2.2 Avvio della procedura: domanda e nomina dell’esperto
L’imprenditore interessato ad attivare la composizione negoziata deve presentare un’istanza telematica tramite la piattaforma nazionale gestita da Unioncamere (all’indirizzo www.composizionenegoziata.camcom.it):contentReference[oaicite:15]{index=15}. La domanda va inoltrata alla Camera di Commercio competente per territorio (in base alla sede legale dell’impresa). Non è richiesta l’assistenza obbligatoria di un avvocato per la presentazione, ma è fortemente consigliabile avvalersi di consulenti (legali e/o aziendali) per predisporre la documentazione necessaria.
Documenti da allegare: attraverso la piattaforma, l’imprenditore carica una serie di informazioni e documenti, tra cui: ultimi bilanci d’esercizio depositati, situazione patrimoniale e finanziaria aggiornata, elenco dei creditori con importi e scadenze, una relazione sulle cause della difficoltà e sulle prospettive di risanamento, eventuale pianificazione aziendale (budget, business plan) e ogni altro documento utile (ad es. attestazioni sulla posizione tributaria e contributiva, centrale rischi bancaria, etc.). Per le imprese di minori dimensioni (“sotto soglia”), la legge semplifica leggermente gli oneri: ad esempio, non è richiesto il deposito di un piano di risanamento dettagliato né della relazione sulle attività aziendali a 6 mesi, che invece è previsto per imprese maggiori. L’istanza può contenere anche la richiesta contestuale di misure protettive (sospensione delle azioni esecutive dei creditori), come vedremo oltre (§2.7).
Una volta inviata l’istanza, il Segretario Generale della Camera di Commercio la comunica immediatamente a una commissione di nomina istituita presso la CCIAA. Tale commissione, composta di regola da tre membri designati da diversi enti (es. un rappresentante della Camera di Commercio, uno designato dal Tribunale locale e uno dal Ministero o Prefettura), resta in carica per un biennio. Entro 5 giorni lavorativi dal ricevimento della domanda, la commissione esamina la richiesta e nomina un esperto indipendente selezionandolo dall’elenco degli esperti formato a livello territoriale. La scelta tiene conto preferibilmente del settore di attività dell’impresa e delle specifiche competenze richieste: ad esempio, se l’impresa è agricola, può essere scelto un esperto con esperienza nel settore agribusiness; se vi sono rilevanti profili giuridici, potrebbe essere scelto un professionista legale, e così via.
L’elenco degli esperti è un registro tenuto dalle Camere di Commercio, alimentato dalle segnalazioni degli Ordini professionali (Dottori commercialisti, Avvocati e Consulenti del lavoro) e da altri requisiti di legge. Possono iscriversi come candidati esperti coloro che soddisfano determinati requisiti di professionalità e indipendenza (descritti nel paragrafo successivo, §2.3). La presenza di un elenco formalizzato garantisce che la nomina avvenga tra figure qualificate e neutrali, evitando che sia l’imprenditore stesso a scegliersi un consulente di fiducia (ciò per assicurare l’indipendenza dell’esperto agli occhi dei creditori).
La commissione delibera a maggioranza e trasmette la nomina all’esperto individuato. Entro 2 giorni dalla ricezione, l’esperto designato deve comunicare la propria accettazione dell’incarico, dopo aver effettuato le verifiche di rito su eventuali conflitti di interesse o incompatibilità. In particolare, l’esperto è tenuto a dichiarare l’assenza di cause di incompatibilità e a possedere i requisiti di indipendenza analoghi a quelli richiesti ai sindaci di società ex art. 2399 c.c.. Egli deve inoltre valutare se ha le competenze adeguate e il tempo necessario per seguire efficacemente il caso, tenendo conto della complessità e dimensione dell’impresa. Solo dopo aver riscontrato la propria indipendenza e disponibilità, l’esperto formalizza l’accettazione (che viene anch’essa registrata in piattaforma e comunicata ufficialmente).
A seguito dell’accettazione, la Camera di Commercio provvede a pubblicare nel Registro delle Imprese l’avvenuta nomina, indicando il nominativo e un profilo dell’esperto (curriculum vitae, esperienze pregresse e l’esito di eventuali procedure seguite). Questa pubblicità serve a dare trasparenza all’incarico, specie se sono state chieste misure protettive (la pubblicazione rende noto ai terzi che l’impresa ha intrapreso la composizione negoziata e potrebbe beneficiare di protezioni temporanee).
È importante notare che non vi è automatica pubblicità della semplice attivazione della procedura se l’imprenditore non richiede misure protettive. In tal caso, la nomina dell’esperto potrebbe rimanere riservata tra le parti coinvolte. Invece, se sono richieste le misure protettive (sospensione delle azioni dei creditori), l’istanza e l’accettazione dell’esperto devono essere iscritte nel Registro Imprese per efficacia erga omnes. Molti imprenditori inizialmente preferiscono la riservatezza – uno dei vantaggi della composizione negoziata è proprio quello di svolgersi senza clamore mediatico o allarme nel mercato. Salvo le pubblicazioni obbligatorie (es. per proteggersi dai creditori), le trattative avvengono in modo confidenziale.
2.3 Chi è l’esperto negoziatore: requisiti e ruolo
L’esperto indipendente (o “esperto negoziatore”) è una figura professionale terza e imparziale chiamata a facilitare le trattative di ristrutturazione. Non è un commissario giudiziale né un liquidatore, bensì un advisor-super partes che opera nell’interesse generale di favorire un accordo soddisfacente per tutti i creditori e la conservazione dell’azienda. Vediamo quali caratteristiche deve avere:
- Requisiti professionali: L’esperto deve essere un professionista con comprovata esperienza in materia di gestione della crisi d’impresa e risanamenti aziendali. La legge riserva l’incarico a soggetti iscritti da almeno 5 anni in albi professionali di Dottore Commercialista, Avvocato o Consulente del Lavoro, oppure a dirigenti d’azienda con significative esperienze di gestione di imprese in crisi. Inoltre, è richiesta la partecipazione a specifici corsi di formazione sulla composizione negoziata, istituiti o riconosciuti dal Ministero della Giustizia, per assicurare che l’esperto conosca a fondo la normativa e le tecniche negoziali.
- Indipendenza e onorabilità: L’esperto deve dichiarare l’assenza di conflitti di interesse verso l’impresa debitrice e i suoi creditori. Non deve aver prestato negli ultimi anni consulenze significative alla società o ai creditori principali, né trovarsi in situazioni di interesse economico personale nella vicenda. I requisiti di indipendenza richiamano quelli previsti per i sindaci (art. 2399 c.c.): ad esempio, non può essere parente o affine degli imprenditori, né essere creditore o debitore rilevante della società. Deve inoltre essere persona di indubbia probità e non aver riportato condanne che ledano l’affidabilità.
- Terzietà e neutralità: Pur essendo spesso scelto tra professionisti “di parte” (commercialisti o avvocati), una volta nominato l’esperto non rappresenta gli interessi di nessuna parte in particolare. Egli non è né il consulente dell’imprenditore, né l’advocate dei creditori, ma agisce come facilitatore imparziale. Deve quindi svolgere il ruolo con autonomia di giudizio, tenendosi equidistante dal debitore e dai creditori, perseguendo la soluzione che massimizza l’interesse comune (la continuità dell’impresa compatibilmente con il soddisfacimento dei crediti). Il suo operato deve rispettare principi di riservatezza, buona fede e diligenza professionale.
Funzioni dell’esperto: In concreto, l’esperto negoziatore ha i seguenti compiti principali:
- Analisi iniziale dell’azienda: appena accettato l’incarico, l’esperto convoca immediatamente l’imprenditore per un primo confronto sulla situazione. Egli esamina i dati finanziari e operativi, verifica lo stato di crisi, le cause e – soprattutto – valuta se esistono concrete possibilità di risanamento. Entro 30 giorni dall’accettazione, l’esperto può chiedere al debitore eventuali integrazioni ai documenti e deve formarsi un giudizio sulla perseguibilità di una soluzione. Se già in questa fase l’esperto riscontra che la crisi è irrecuperabile (ad esempio debiti enormi senza prospettiva di accordo, oppure l’attività è cessata e non vi sono acquirenti per l’azienda), può attestare l’assenza del presupposto del risanamento e provocare l’archiviazione anticipata della procedura. In pratica, l’esperto ha la facoltà di decretare in qualsiasi momento che il risanamento non è possibile, comunicandolo al Segretario Generale della CCIAA che chiuderà la composizione. Ciò serve ad evitare di protrarre inutilmente trattative destinate al fallimento, che potrebbero aggravare ulteriormente il dissesto.
- Pianificazione delle trattative: se invece dalle analisi emergono possibili vie d’uscita, l’esperto predispone un calendario di incontri con l’imprenditore e successivamente con i principali creditori. Egli individua quali creditori o soggetti terzi coinvolgere subito (ad esempio fornitori strategici, banche esposte, fisco e enti previdenziali se vi sono debiti tributari, eventuali investitori interessati) e convoca riunioni per discutere delle possibili soluzioni. L’esperto in questa fase agisce da mediatore negoziale, aiutando le parti a comunicare e a formulare proposte. Può richiedere all’imprenditore di predisporre un piano di risanamento (una bozza di accordo o piano industriale) da sottoporre ai creditori, offrendo la propria esperienza per renderlo convincente e sostenibile.
- Gestione imparziale dei rapporti: durante gli incontri con i creditori, l’esperto modera le discussioni, raccoglie le istanze di ciascuno e cerca di trovare punti di convergenza. Ha il compito di agevolare le trattative, il che significa anche smussare le pretese e timori delle parti: ad esempio, può far comprendere ai creditori che una ristrutturazione parziale del credito è più vantaggiosa rispetto a un fallimento dove incasserebbero meno; al contempo, aiuta il debitore a capire quali concessioni è disposto a fare ciascun creditore. L’esperto non ha poteri autoritativi: non può imporre un accordo né costringere le parti ad accettare soluzioni, ma con la sua autorevolezza tecnica può orientare la negoziazione. La sua presenza assicura ai creditori che i dati presentati dall’imprenditore sono verificati e attendibili, aumentando la fiducia nelle proposte di concordato.
- Monitoraggio e imparzialità: l’esperto deve vigilare che l’imprenditore conduca correttamente la gestione aziendale durante la composizione. In base all’art. 17 CCII, l’imprenditore rimane alla guida della sua impresa (non c’è spossessamento), ma deve astenersi dal compiere atti che possano aggravare la situazione o pregiudicare i creditori. Se il debitore intende compiere atti di straordinaria amministrazione o pagamenti non coerenti col piano in discussione, ha l’obbligo di informarne l’esperto. L’esperto, valutato l’atto, può iscrivere il proprio dissenso nel Registro delle Imprese entro 10 giorni. Se l’atto pregiudica i creditori (ad es. svendita di un bene aziendale, pagamento preferenziale a un solo creditore fuori dal piano), l’iscrizione del dissenso è obbligatoria. Questa procedura equivale a un “cartellino giallo”: segnala pubblicamente che l’imprenditore si sta discostando dalla correttezza richiesta, e può spingere il Tribunale a revocare eventuali misure protettive concesse (v. §2.7). Dunque, l’esperto funge anche da garante per i creditori, monitorando l’operato del debitore.
- Proposte e soluzioni: l’esperto, pur non potendo decidere, può formulare proposte di soluzione. Grazie alla visione d’insieme, egli può suggerire opzioni creative: per esempio, una moratoria temporanea, una conversione di crediti in capitale, la vendita di asset non strategici per pagare i creditori, l’intervento di un investitore terzo, ecc. Può invitare i creditori a valutare alternative e mettere sul tavolo dati oggettivi: spesso redige prospetti di comparazione tra l’ipotesi concordata e lo scenario liquidatorio (cosa accadrebbe ai crediti in caso di fallimento). In questo senso, l’esperto conferisce credibilità e “certificazione” ai numeri e piani presentati dall’imprenditore, facendo da raccordo tra piano e fattibilità concreta. Non a caso lo si paragona ad un advisor: dà forza e terzietà alle proposte dell’impresa durante le trattative.
- Relazioni e verbalizzazioni: durante la procedura, l’esperto redige verbali degli incontri e una relazione finale conclusiva. La relazione finale (art. 17, co. 8 CCII) dovrà indicare l’esito delle trattative e se le soluzioni individuate sono idonee a risanare l’impresa. Come vedremo (§2.8-2.9), questa relazione è importante perché, se positiva, consente all’imprenditore di accedere ad alcune agevolazioni (es. riduzione quorum per accordi di ristrutturazione) o a soluzioni successive (come il concordato semplificato).
In sintesi, l’esperto negoziatore è il pilastro centrale della composizione negoziata: garantisce indipendenza e perizia al processo, favorisce il dialogo e tutela il principio di parità informativa. La sua presenza è uno dei motivi per cui tale istituto è considerato una “opportunità concreta” per le imprese in crisi, come evidenziato da chi ha visto in esso uno strumento innovativo e flessibile.
2.4 Svolgimento delle trattative e durata della procedura
Una volta nominato l’esperto e verificata la volontà delle parti di cooperare, si entra nel vivo della fase negoziale. La composizione negoziata è pensata per avere tempi relativamente brevi e certi, per evitare lo stallo. La normativa fissa una durata iniziale di 180 giorni (circa 6 mesi) per lo svolgimento delle trattative. Questo termine decorre dall’accettazione dell’incarico da parte dell’esperto e può essere prorogato una sola volta per ulteriori 180 giorni, su accordo di tutte le parti coinvolte e con il consenso dell’esperto. La proroga richiede che “tutte le parti” ancora in trattativa ne facciano richiesta congiunta: in pratica occorre l’adesione dei creditori che stanno partecipando al negoziato (non rilevano quelli già soddisfatti o che si sono chiamati fuori). Spetta poi al Tribunale confermare l’estensione delle misure protettive per il periodo aggiuntivo (se queste erano attive, v. §2.7). In ogni caso, la composizione negoziata non può superare 12 mesi complessivi: trascorso tale termine massimo, se non si è raggiunto un accordo, la procedura deve chiudersi.
Fasi operative della composizione negoziata (timeline):
- Accettazione e valutazione iniziale (T0 – T+30 giorni): l’esperto accetta l’incarico e convoca l’imprenditore. Entro le prime settimane analizza i dati e verifica se esistono concrete possibilità di risanamento. Esito: se nessuna soluzione appare possibile, l’esperto ne dà atto e la procedura viene archiviata precocemente. Se invece c’è spazio di manovra, si prosegue.
- Primo incontro con i creditori principali (T+30 – T+60 giorni): l’esperto invita i creditori più rilevanti (banche, fornitori chiave, Fisco/INPS se importanti) a un incontro conoscitivo. In tale sede, l’imprenditore (assistito dai suoi consulenti) presenta sinteticamente la situazione e magari una bozza di piano di risanamento. L’esperto assicura che i dati sono attendibili e chiede apertura al dialogo. Si raccolgono le prime reazioni dei creditori e si individuano le questioni cruciali (es. necessità di nuova finanza, garanzie, eventuale sacrificio di crediti).
- Approfondimenti e due diligence (T+60 – T+90 giorni): i creditori possono chiedere ulteriori informazioni. L’esperto coordina lo scambio documentale riservato. Potrebbe essere nominato (di comune accordo) un valutatore per stimare l’azienda o certi asset da cedere. L’esperto in questa fase aiuta il debitore a perfezionare il piano, tenendo conto delle richieste emerse.
- Trattative mirate e stesura accordo (T+90 – T+150 giorni): si tengono riunioni bilaterali o plenarie per negoziare i termini dell’accordo. Ad esempio, si definiscono le percentuali di stralcio dei crediti, i tempi di pagamento dilazionato, eventuali conversioni di crediti in partecipazioni, la disponibilità di garanzie aggiuntive o apporti di capitale da soci o terzi. L’esperto redige verbali e focalizza i punti di accordo e quelli ancora controversi. Spesso in questa fase l’imprenditore, con l’ausilio dell’esperto, prepara una bozza di contratto di ristrutturazione o un term sheet con le condizioni concordate.
- Conclusione (entro T+180 giorni): prima della scadenza dei 180 giorni, si verifica l’esito:
- Se tutte o la maggior parte delle parti trovano un’intesa, si formalizza un accordo (vedi §2.8 per le diverse forme possibili: contratto, convenzione di moratoria, accordo con effetti protettivi, ecc.). L’esperto redige la relazione finale positiva, attestando che la soluzione individuata è idonea a garantire la continuità aziendale per almeno 2 anni (se è un’ipotesi in continuità) e coerente con la regolazione della crisi.
- Se invece non si è raggiunto alcun accordo, o solo accordi parziali insufficienti, l’esperto ne prende atto nella relazione finale negativa. L’imprenditore a quel punto potrà valutare le alternative (v. §2.8.2 e §3.2-3.3) come il piano attestato, l’accordo di ristrutturazione in tribunale, il concordato preventivo oppure – nei casi estremi – la liquidazione giudiziale (fallimento) o la liquidazione “semplificata” se ne ricorrono i presupposti.
- (Eventuale) Proroga del termine: se allo scadere dei 6 mesi le trattative sono in stato avanzato ma serve altro tempo, tutte le parti ancora in trattativa possono richiedere congiuntamente una proroga di ulteriori 6 mesi. L’esperto deve essere d’accordo. In tal caso, la procedura prosegue fino a 360 giorni complessivi, con eventuale proroga delle misure protettive da parte del Tribunale. Allo scadere del periodo prorogato, vi sarà comunque un esito definitivo (accordo sì/no).
Questa scaletta naturalmente è semplificata: ogni caso concreto può differire. Ad esempio, talvolta l’accordo viene raggiunto molto rapidamente (in pochi settimane) se vi è unità d’intenti; altre volte, situazioni complesse richiedono l’intero periodo e magari una proroga. I dati statistici nazionali ad oggi mostrano che la durata media di una composizione negoziata conclusa con successo è attorno ai 10-11 mesi (circa 325 giorni), indice che molte procedure usufruiscono della proroga per perfezionare gli accordi. Circa il 20% delle procedure avviate si conclude con un esito positivo (impresa risanata), mentre il restante 80% viene archiviato per mancato accordo o degenerato in procedure concorsuali. Si tratta comunque di un trend in miglioramento: nel 2024 il tasso di successo era salito al 20,5%, con oltre 200 imprese salvate e oltre 10.000 posti di lavoro preservati grazie alla composizione negoziata. Questo conferma l’importanza di utilizzare tempestivamente lo strumento e di condurre trattative serrate e in buona fede.
2.5 Misure protettive e interventi del tribunale
Un elemento cruciale della composizione negoziata è la possibilità per l’imprenditore di ottenere misure protettive del patrimonio, analoghe a quelle di un concordato “in bianco”, per congelare le azioni esecutive e cautelari dei creditori durante le trattative. L’obiettivo è creare un periodo di respiro in cui l’impresa, sollevata dalla pressione immediata dei creditori, possa negoziare senza il timore di pignoramenti, fallimenti o provvedimenti che compromettano le sue attività.
Richiesta delle misure protettive: Le misure protettive non scattano automaticamente con la nomina dell’esperto, ma devono essere espressamente richieste dall’imprenditore, tramite l’istanza presentata sulla piattaforma (o con successiva integrazione). In pratica, nel modulo di avvio, l’imprenditore può barrare l’opzione di richiedere la protezione. La normativa (art. 18 CCII) prevede che l’istanza di misure protettive sia pubblicata nel Registro delle Imprese unitamente all’accettazione dell’esperto – ciò per informare tutti i creditori che la società ha avviato la composizione e intende congelare le pretese nel frattempo.
Le tipiche misure protettive sono: divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari sul patrimonio dell’imprenditore; sospensione delle istanze di fallimento (liquidazione giudiziale) da parte dei creditori; impossibilità di acquisire titoli di prelazione su beni del debitore durante la trattativa (salvo autorizzazione). Tali protezioni possono essere generali o limitate a determinati creditori/atti, a seconda di cosa chiede il debitore. Ad esempio, l’imprenditore può chiedere di sospendere un’esecuzione immobiliare già avviata su un capannone, oppure di bloccare tutti i decreti ingiuntivi e fermi amministrativi.
Ruolo del tribunale sulle misure: A differenza del resto della procedura (che è stragiudiziale), per le misure protettive è necessario l’intervento del Tribunale competente. Il debitore, il giorno successivo alla pubblicazione della richiesta di protezione, deve infatti depositare un ricorso al Tribunale per ottenere la conferma o modifica delle misure protettive e per l’eventuale adozione di provvedimenti cautelari. Il Tribunale (sezione specializzata in materia di impresa/crisi) esamina il ricorso e, verificata la sussistenza dei presupposti, emette un decreto di conferma delle misure protettive, stabilendone la durata (inizialmente fino a 4 mesi, prorogabili fino al termine della procedura) in coerenza col calendario delle trattative. Può anche modulare le protezioni: ad es. escludere alcuni atti o creditori se ritiene che la sospensione generi pregiudizio ingiusto.
È importante sottolineare che il tribunale non entra nel merito del piano di risanamento in questa fase, ma valuta sommariamente: (a) che la società si trovi nella situazione richiesta (crisi/inchino insolvenza probabile), (b) che la domanda non sia abusiva o palesemente dilatoria, e (c) che vi siano prospettive negoziali in corso. In genere, con l’istanza vengono allegati documenti (es. una bozza di piano, o una dichiarazione dell’esperto) per far capire al giudice che la trattativa è seria. Il tribunale può anche nominare un ausiliario/esperto diverso (raramente) se serve una verifica tecnica, ma di norma si basa sull’esperto già nominato.
Una volta confermate, le misure protettive vincolano tutti i creditori: se un creditore, ignorando la composizione negoziata, tenta comunque un pignoramento o presenta istanza di fallimento, quell’azione verrà dichiarata improcedibile o sospesa in virtù del provvedimento di protezione. In parallelo, il codice prevede anche la possibilità di richiedere provvedimenti cautelari ove necessari per la conduzione delle trattative. Ad esempio, il tribunale potrebbe ordinare a una banca di mantenere operativi affidamenti durante il negoziato, oppure nominare un custode per preservare un asset essenziale. Sono misure eccezionali, adottate su richiesta, in presenza di un rischio specifico.
Obblighi durante la protezione: Dal momento in cui scattano le misure protettive, l’imprenditore è soggetto a precisi doveri. Come già visto (§2.3), deve gestire l’attività in modo da non pregiudicare la sostenibilità economico-finanziaria e informare l’esperto di ogni atto di straordinaria amministrazione o pagamento non in linea. Se l’imprenditore viola tali obblighi, l’esperto iscrive il proprio dissenso e il tribunale, venutone a conoscenza, può revocare le misure protettive, facendo decadere lo “scudo”. Ciò avviene, ad esempio, se l’impresa durante le trattative svia risorse a soggetti correlati o favorisce fraudolentemente qualche creditore: comportamenti del genere fanno venir meno la fiducia e quindi la protezione. Il tribunale può revocare le misure protettive anche su istanza motivata dei creditori, se emergono elementi per cui la prosecuzione della protezione arrechi danno ingiustificato (ad es. si scopre che l’impresa non ha alcuna chance di risanamento e sta solo erodendo attivo a danno dei creditori).
La durata delle misure protettive è allineata a quella della composizione: inizialmente 4 mesi, prorogabili dal tribunale fino a coprire i 6 mesi e oltre in caso di proroga della composizione. In ogni caso, le misure decadono automaticamente con la conclusione della procedura (accordo concluso o archiviazione). Durante il periodo protetto, l’imprenditore gode anche di alcune agevolazioni fiscali: ad esempio, i debiti tributari che maturano in tale periodo (imposte dovute con scadenza nel frattempo) subiscono una riduzione degli interessi al tasso legale. Ciò significa che, se l’azienda tarda nel pagamento di imposte correnti durante le trattative, gli interessi di mora sono ridotti al tasso legale (di solito più basso) invece che al tasso di legge per i ritardi tributari. Questa è una misura premiale volta a non aggravare la posizione debitoria fiscale mentre si cerca di risolvere la crisi.
Un’ulteriore importante facoltà concessa dall’ordinamento durante la composizione negoziata è la possibilità di ottenere autorizzazioni dal tribunale per atti di gestione straordinaria. In particolare, l’imprenditore può chiedere al giudice:
- L’autorizzazione a contrarre finanziamenti urgenti, i quali vengono considerati prededucibili (ossia con diritto di prelazione in caso di successivo fallimento). Questo incentiva terzi a erogare credito ponte all’impresa in crisi, sapendo che verranno rimborsati con priorità se le cose andassero male. Naturalmente serve dimostrare che tali finanziamenti sono funzionali alla continuità aziendale e non pregiudicano i creditori.
- L’autorizzazione a cedere l’azienda o rami di azienda, anche senza il consenso di tutti i creditori, derogando all’art. 2560 c.c. comma 2. Normalmente, chi acquista un’azienda risponde dei debiti ad essa inerenti risultanti dai libri contabili (art. 2560); ma il tribunale, nel contesto di una composizione negoziata, può consentire la vendita libera da quei debiti, proprio come avviene nelle procedure concorsuali. Ciò è fondamentale per favorire operazioni di spin-off o cessione a terzi senza trascinare passività: l’acquirente non risponderà dei debiti anteriori, che resteranno in capo al cedente (che poi li tratterà nell’accordo). Resta ferma però la tutela dei lavoratori: l’art. 2112 c.c. si applica pienamente, quindi i dipendenti seguono l’azienda ceduta conservando i loro diritti, salvo diverse intese sindacali.
In sostanza, pur essendo una procedura negoziale e non concorsuale in senso tecnico, la composizione negoziata offre strumenti assimilabili a quelli di un concordato “light”: protezione del patrimonio, sospensione delle azioni individuali, e possibilità di operazioni straordinarie autorizzate che normalmente richiederebbero un concordato preventivo. Questo equilibrio tra sede stragiudiziale e vigilanza giudiziaria sulle misure delicate consente di combinare flessibilità e garanzie.
2.6 Conclusione della composizione negoziata: esiti e soluzioni
Al termine delle trattative, come anticipato, la composizione negoziata può portare a due macro-esiti: o si individua una soluzione concordata per la crisi, oppure le parti non raggiungono un accordo complessivo. Il Codice della Crisi disciplina dettagliatamente entrambe le evenienze all’art. 23 CCII (Conclusione delle trattative). Vediamole in dettaglio.
2.6.1 Esito positivo: accordo raggiunto
Se all’esito delle trattative viene individuata una soluzione idonea a superare la situazione di squilibrio iniziale, l’imprenditore e i creditori possono formalizzare tale soluzione in diverse forme giuridiche (non è un unico schema rigido, ma ci sono opzioni alternative, a seconda delle necessità di maggiore o minore formalità):
- (a) Contratto di risanamento con effetti improrogabili: le parti (imprenditore e uno o più creditori) sottoscrivono un contratto bilaterale o plurilaterale che contiene gli impegni reciproci di ristrutturazione (ad es. riduzione e dilazione dei debiti). Questo contratto, se secondo la relazione finale dell’esperto è idoneo ad assicurare la continuità aziendale per almeno 2 anni, produce particolari effetti protettivi/premiali previsti dall’art. 25-bis, comma 1 CCII. In pratica, ciò significa che se l’accordo privato garantisce un orizzonte minimo di continuità, viene riconosciuto come uno strumento di risanamento a tutti gli effetti e gode di benefici (tra cui, come vedremo, esenzioni fiscali e inopponibilità di eventuali azioni revocatorie: v. §5 su profili giuridici).
- (b) Convenzione di moratoria (art. 62 CCII): si tratta di un particolare accordo, già previsto nella legislazione pregressa, in cui uno o più creditori accordano una moratoria temporanea sui crediti, impegnandosi a non agire per un certo periodo. È tipico quando l’impresa ha bisogno solo di tempo (es. congelamento delle rate debitorie per alcuni mesi in attesa di ripresa). La convenzione di moratoria ha efficacia anche verso i creditori dissenzienti appartenenti alla stessa categoria se approvata da una certa maggioranza (è un istituto di derivazione comunitaria per agevolare accordi parziali). La conclusione di tale convenzione è un esito possibile della composizione: alcuni creditori chiave accettano di attendere o di non escutere garanzie per dare respiro all’impresa.
- (c) Accordo di ristrutturazione “agevolato” sottoscritto da debitore, creditori ed esperto: questa è una novità interessante. Le parti possono concludere un accordo trilaterale (imprenditore, creditori e l’esperto stesso) che viene sottoscritto anche dall’esperto e produce gli effetti di cui agli artt. 166, co.3, lett. d) e 324 CCII. In sostanza, è un accordo “certificato” dall’esperto che attesta nella sottoscrizione la coerenza del piano di risanamento rispetto alla regolazione della crisi. Gli effetti richiamati (art.166 e art.324) corrispondono rispettivamente alla non assoggettabilità ad azione revocatoria di alcuni atti e alla esonero da responsabilità penale per alcuni reati di bancarotta semplice riguardo ai pagamenti e alle operazioni effettuate in esecuzione dell’accordo (si tratta delle tutele già previste nell’ordinamento per piani attestati e accordi omologati). In pratica, questo tipo di accordo siglato anche dall’esperto fornisce una sorta di “sigillo” che lo avvicina a un accordo omologato, pur restando stragiudiziale: i creditori aderenti sono vincolati e gli atti compiuti per eseguirlo non potranno essere contestati come preferenziali o dolosi in caso di successivo fallimento. È uno strumento molto potente, perché unisce la snellezza dell’accordo privato alle garanzie (revocatorie e penali) tipiche di una procedura concorsuale.
Una volta sottoscritto uno di questi accordi, la composizione negoziata si chiude con esito positivo. L’esperto redige la relazione finale ai sensi dell’art. 17 co.8 CCII, dando atto della soluzione individuata e attestando, se richiesto, la fattibilità. Da quel momento in poi, l’esecuzione dell’accordo avviene tra le parti secondo i termini pattuiti. Non è necessario alcun intervento omologatorio del tribunale per rendere efficace l’accordo (salvo che le parti non decidano volontariamente di far “omologare” un accordo ex art. 182-bis l.f. convertendolo in procedura, ma sarebbe un altro percorso). I creditori non firmatari restano estranei: in un accordo puramente stragiudiziale, infatti, i creditori che non aderiscono non sono giuridicamente vincolati e conservano i loro diritti per intero. Ciò implica che l’imprenditore deve comunque soddisfare integralmente i creditori non aderenti (magari con le nuove risorse rese disponibili dall’accordo con gli altri, oppure continuando i pagamenti regolarmente se si trattava di creditori minoritari). Nella pratica, l’accordo di composizione ha spesso la forma di un piano di risanamento attestato (disciplinato dall’art. 56 CCII) o di un accordo di ristrutturazione ex art.57 e seguenti, ma raggiunto informalmente grazie alla composizione negoziata (approfondiamo questi strumenti alternativi nel §3).
Va evidenziato che se l’accordo raggiunto rientra in certe tipologie previste dalla legge (piano attestato pubblicato, accordo in esenzione revocatoria, ecc.), l’imprenditore potrà beneficiare delle cosiddette misure premiali fiscali dell’art.25-bis CCII. Tra queste misure vi sono, ad esempio: un credito d’imposta pari alle commissioni su garanzie pubbliche ottenute su finanziamenti durante la crisi; la riduzione di metà degli interessi e sanzioni sui debiti fiscali oggetto di dilazione nell’accordo; e la già citata irrilevanza fiscale delle sopravvenienze attive da riduzione dei debiti (se il piano è pubblicato nel Registro Imprese). Alcune di queste misure richiedono un adempimento pubblicitario (pubblicazione dell’accordo o della relazione finale) entro 30 giorni. Si tratta di incentivi che il legislatore offre per premiare chi riesce a risanare l’azienda senza andare in default.
Un caso particolare di esito positivo è quello in cui la composizione negoziata sfocia in una procedura concorsuale concordataria avviata con consenso dei creditori. Può accadere infatti che, durante le trattative, le parti concordino che la soluzione migliore sia un concordato preventivo, ad esempio in continuità aziendale. In tal caso, l’imprenditore può presentare domanda di concordato preventivo al tribunale (con o senza accordo su un piano già delineato). Pur tecnicamente la composizione negoziata si chiude, questa confluisce in una procedura di concordato “tradizionale” consensuale. Questo scenario però travalica l’ambito stragiudiziale e rientra nelle procedure formali (che trattiamo al §3.3). Va notato comunque che se l’accordo è raggiunto grazie alla composizione, persino in caso di concordato preventivo alcuni vantaggi si mantengono (esempio: se si propone un accordo di ristrutturazione dei debiti in tribunale a seguito della composizione, la maggioranza richiesta può essere ridotta – v. infra).
2.6.2 Esito negativo: mancato accordo e soluzioni alternative
Se la composizione negoziata si conclude senza un accordo risolutivo, l’imprenditore non è lasciato senza opzioni. L’art. 23, comma 2 CCII elenca una serie di strumenti alternativi a cui il debitore può ricorrere immediatamente dopo la chiusura infruttuosa della negoziazione. La logica è: “se il tentativo stragiudiziale fallisce, si può ancora provare a gestire la crisi con strumenti formali (o semi-formali) prima di arrivare al fallimento”. Le alternative post-composizione sono:
- (a) Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII): l’imprenditore può predisporre un piano di risanamento asseverato da un professionista indipendente (diverso dall’esperto) ai sensi dell’art. 56. Il piano attestato è uno strumento privato di risanamento, che se realizzato con le forme di legge gode di protezioni speciali (in particolare: esenzione dalle azioni revocatorie per gli atti compiuti in esecuzione del piano e dalla responsabilità per pagamenti preferenziali). Di fatto, l’imprenditore potrebbe trasformare le informazioni e i contatti emersi nella composizione in un piano unilaterale attestato da depositare (eventualmente pubblicare) e da eseguire. Spesso questo è il caso quando manca l’adesione formale di tutti i creditori ad un accordo plurilaterale, ma l’imprenditore confida comunque di poter risanare pagandoli secondo un certo piano. Il piano attestato non richiede approvazione dei creditori né omologa, ma deve essere realistico e fattibile, come asseverato da un esperto attestatore. (Si veda §3.1 per dettagli).
- (b) Accordo di ristrutturazione dei debiti omologato (artt. 57, 60, 61 CCII): in alternativa, l’imprenditore può proporre un accordo di ristrutturazione in tribunale, cioè cercare l’adesione di una parte sostanziale dei creditori e poi far omologare l’accordo dal tribunale per renderlo vincolante erga omnes. In generale, per un accordo di ristrutturazione “ordinario” è richiesto l’assenso di almeno il 60% dei creditori (in valore). Ebbene, la legge prevede un “premio” per chi ha tentato la composizione negoziata: se l’accordo è raggiunto sulla scorta della relazione finale positiva dell’esperto, la percentuale di adesione necessaria resta al 60% anche per eventuali forme speciali che altrimenti avrebbero richiesto soglie maggiori. Ad esempio, l’art. 61 co.2 lett. c CCII prevede per taluni accordi (ad es. accordo agevolato con banche) una maggioranza del 75%, ma se l’intesa è emersa grazie alla composizione negoziata tale maggioranza viene ridotta al 60%. Questo incentivo normativo mira a facilitare la transizione da una trattativa privata a un accordo omologato in caso di partecipazione elevata ma non unanime dei creditori. In pratica, se durante la composizione molti creditori erano d’accordo tranne pochi, si può chiedere al tribunale di omologare comunque l’accordo con il consenso del 60% (vincolando i dissenzienti, purché tutelati secondo le regole). Si noti che per accedere agli accordi omologati occorre depositare un ricorso, accompagnato dalla relazione finale dell’esperto e dal testo dell’accordo, entro 60 giorni dalla chiusura delle trattative, altrimenti si perde il beneficio.
- (c) Concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio (art. 25-sexies CCII): questa è una procedura concorsuale speciale e residuale, introdotta proprio dal D.L. 118/2021. Consiste in un concordato “liquidatorio” senza voto dei creditori, riservato esclusivamente ai casi in cui la composizione negoziata non abbia portato a risanamento ma vi siano prospettive di liquidazione ordinata dei beni. In parole semplici, se le trattative falliscono, l’imprenditore può proporre al tribunale un piano di concordato in cui si liquidano gli asset dell’impresa e si ripartono i proventi tra i creditori, senza passare per il voto degli stessi. Il tribunale valuta la proposta e può omologarla se ritiene che i creditori riceveranno non meno di quanto otterrebbero in una liquidazione giudiziale e se il piano prevede misure idonee (ad es. vendite competitive) a garantire il miglior realizzo. Il concordato semplificato è quindi uno strumento per evitare il fallimento, anche quando nessun accordo è stato raggiunto, purché ci sia qualcosa da liquidare in modo ordinato. È detto “semplificato” proprio perché elimina la fase del voto, data la situazione già critica. Si tratta di un’arma estrema, usata in casi di deadlock totale, e può essere attivata solo entro 60 giorni dalla fine della composizione negoziata.
- (d) Accesso ad altre procedure di regolazione della crisi o insolvenza (CCII o leggi speciali): infine, la norma ricorda che l’imprenditore può sempre rivolgersi ad uno degli altri strumenti di regolazione previsti dal sistema. Ciò include: il concordato preventivo ordinario (se preferisce tentare la via concordataria con classi e voto, magari in continuità aziendale), la liquidazione giudiziale (se ormai non vi sono alternative e si decide di chiedere il fallimento in proprio per porre fine all’attività), oppure le procedure speciali come l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi (D.Lgs. 270/1999) o il c.d. decreto Marzano per grandi gruppi (D.L. 347/2003), se ne ricorrono i presupposti dimensionali. Nel comma 2(d) si specifica altresì che l’imprenditore agricolo potrà accedere agli strumenti di cui all’art. 25-quater, comma 4 CCII, ossia quelli previsti per i soggetti non fallibili: in particolare il concordato minore e la liquidazione controllata (vedi §4.4). Dunque, un imprenditore agricolo che non abbia trovato accordo potrà rivolgersi al tribunale per avviare un concordato minore (ex “accordo di composizione” della legge sul sovraindebitamento) o, se vuole cessare, una liquidazione controllata del patrimonio al posto del fallimento.
In definitiva, il fallimento (oggi liquidazione giudiziale) resta l’extrema ratio, da valutare solo se nessuno degli strumenti sopra elencati è praticabile. La filosofia del Codice della Crisi, in linea con la normativa europea, è quella di offrire più chance possibili di risanamento o soluzione concordata, anche oltre la fine della composizione negoziata. L’esperto stesso, nella relazione finale, dovrebbe indicare se la mancata soluzione negoziale è dipesa da ragioni contingenti e se magari un concordato potrebbe invece riuscire.
Si noti infine che la chiusura della composizione negoziata, positiva o negativa che sia, va comunicata alla Camera di Commercio e pubblicata nel Registro delle Imprese. Questo atto finale segna la cessazione degli effetti protettivi eventualmente in corso e dell’incarico dell’esperto. Da quel momento, l’esperto ha diritto ai suoi compensi (vedi infra) e l’imprenditore riprende pienamente la sua libertà d’azione (o avvia le procedure alternative).
3. Strumenti alternativi di regolazione della crisi d’impresa
Come anticipato, parallelamente alla composizione negoziata esistono altri strumenti previsti dal Codice della Crisi (e dalla normativa previgente, ora integrata) per affrontare lo stato di crisi o insolvenza. In questa sezione esamineremo i principali strumenti alternativi al percorso negoziato assistito dall’esperto, ovvero: i piani attestati di risanamento, gli accordi di ristrutturazione dei debiti (nelle varie forme) e i concordati preventivi (in continuità o liquidatori, inclusa la variante semplificata menzionata). Tali strumenti possono essere utilizzati indipendentemente dalla composizione negoziata o anche successivamente ad essa (in caso di esito negativo). L’analisi sarà condotta evidenziando, per ciascuno, natura, requisiti, efficacia e differenze rispetto alla composizione negoziata.
3.1 Piano attestato di risanamento
Il piano attestato di risanamento è un piano predisposto dall’imprenditore in stato di crisi o insolvenza, avente lo scopo di riequilibrare la situazione finanziaria dell’impresa, il cui contenuto è sottoposto alla verifica di un professionista indipendente (il attestatore). Esso è uno strumento totalmente stragiudiziale e negoziale, già noto sotto la legge fallimentare (art. 67, co. 3, lett. d, R.D. 267/1942) e ora disciplinato dall’art. 56 CCII.
Caratteristiche principali:
- Il piano attestato è unilaterale: viene elaborato dall’imprenditore (con i suoi consulenti) e non richiede formali adesioni da parte dei creditori né approvazioni giudiziali. In sostanza, è il programma di risanamento che l’imprenditore si propone di attuare, ottenendo però la “benedizione” di un esperto indipendente che ne attesta la ragionevole fattibilità.
- Il piano deve essere redatto in forma scritta con data certa e deve indicare in modo dettagliato le strategie di intervento: ad esempio ristrutturazione del debito (quali debiti saranno rinegoziati, in che misura e tempi), piani di dismissione di asset, ricapitalizzazioni, taglio dei costi, ecc. Inoltre, il piano deve essere accompagnato da adeguate informazioni contabili (bilanci, situazione finanziaria) e da una attestazione finale di un professionista terzo, iscritto all’albo dei revisori o figure analoghe, che dichiari la veridicità dei dati e la plausibilità del piano nel risanare l’impresa.
- Natura non concorsuale: il piano attestato, pur mirando a regolare la crisi, non è una procedura concorsuale. Rimane un accordo privatistico. Ciò significa che i creditori non sono vincolati da esso se non volontariamente: di solito l’imprenditore, una volta predisposto il piano e ottienuta l’attestazione, lo sottopone ai suoi principali creditori per convincerli a tener conto di quel piano (es.: la banca accetta di rinegoziare il credito in linea col piano, il fornitore accetta un piano di rientro, ecc.). Non c’è tuttavia un obbligo legale per i creditori di aderire; il successo del piano attestato dipende dal consenso di fatto che l’imprenditore riesce a ottenere.
Vantaggi del piano attestato: Perché un imprenditore dovrebbe optare per un piano attestato? Principalmente per due ragioni:
- Esenzioni dalle azioni revocatorie fallimentari: Gli atti, pagamenti e garanzie posti in essere in esecuzione di un piano attestato idoneo a risanare e pubblicato nel Registro delle Imprese non sono soggetti a revocatoria in caso di successivo fallimento (liquidazione giudiziale). In pratica, se l’impresa poi fallisce, il curatore non potrà far annullare i pagamenti fatti secondo il piano o le garanzie date in attuazione di esso. Questo rassicura molto i partner: es. una banca che conceda nuovi finanziamenti nel contesto di un piano attestato non rischierà di vederseli revocare come atto preferenziale, purché il piano fosse corretto. La ratio è premiare chi tenta il risanamento e fornire certezza agli atti fatti in buona fede per il risanamento.
- Esenzioni penali: In modo simile, il Codice (riprendendo l’art. 217-bis L. Fall.) prevede che non sono punibili come bancarotta semplice o preferenziale alcuni atti compiuti durante un piano attestato riuscito. Ad esempio, i pagamenti effettuati in esecuzione del piano non costituiscono reato di bancarotta preferenziale. Ciò tutela l’imprenditore e i suoi amministratori da rischi penali qualora poi la società fallisca nonostante il tentato risanamento. Naturalmente, devono essere atti coerenti col piano e il piano deve essere veritiero: se l’attestazione fosse falsa o il piano fraudolento, le protezioni cadono.
Limiti e condizioni:
- Il presupposto soggettivo per usare il piano attestato è l’essere imprenditore in crisi o insolvente. Su chi siano gli “imprenditori” ammessi, dottrina e prassi si interrogano: alcuni ritengono debbano essere solo i soggetti fallibili (ossia esclusi i minori e gli agricoli) perché solo a loro servono le esenzioni da revocatoria. Altri invece propendono per un’interpretazione estensiva che includa anche gli imprenditori minori e agricoli, sebbene per questi ultimi l’utilità sia minore (non essendo comunque fallibili, la revocatoria fall. non li riguarda). Il dato letterale dell’art. 56 parla genericamente di “imprenditore”, senza distinguere, il che suggerisce che anche un piccolo imprenditore potrebbe fare un piano attestato, magari per ottenere le esenzioni fiscali sulle remissioni di debito.
- Il cuore del piano attestato è la attestazione. L’attestatore deve essere un professionista indipendente rispetto all’impresa e dotato delle competenze (generalmente un commercialista esperto di crisi). Egli verifica i dati aziendali e valuta se il piano è ragionevolmente idoneo a risanare l’impresa e assicurare il pagamento regolare dei debiti come previsto. Se dà parere positivo, rilascia l’attestazione con data e contenuti minimi richiesti. Questa perizia va allegata al piano. La responsabilità dell’attestatore è notevole: in caso di falsa attestazione può incorrere in sanzioni penali e civili (specie se i terzi hanno fatto affidamento su di essa).
- Pubblicazione del piano: Non è obbligatorio depositare/pubblicare il piano attestato. Tuttavia, la pubblicazione nel Registro delle Imprese (istituto introdotto già con DL 78/2010) è condizione per ottenere alcune protezioni: es. la non tassabilità delle sopravvenienze attive da riduzione dei debiti ex art. 88, co.4-ter TUIR avviene solo se il piano è iscritto. La pubblicazione, essendo un atto pubblico, dà certezza di data e contenuto del piano – utile anche a difendersi da eventuali azioni in futuro. L’imprenditore può però anche tenere il piano riservato (non pubblicarlo) se preferisce discrezione, rinunciando a quei benefici fiscali.
Quando si usa un piano attestato: Tipicamente si ricorre al piano attestato quando: (i) la crisi è gestibile bilateralmente con alcuni creditori (es. banche) senza necessità di coinvolgere tutti o attivare procedure formali; (ii) si vuole evitare la pubblicità e i costi di una procedura giudiziale; (iii) si confida di poter risanare con gli strumenti aziendali interni, avendo però bisogno di tutela su alcuni atti (nuovi finanziamenti, rinegoziazioni). Ad esempio, un’azienda con poche banche creditrici e fornitori d’accordo può preferire il piano attestato: fa accordi individuali con ciascuno, li ingloba in un business plan attestato e procede. Se ha dovuto pagare in anticipo un fornitore strategico per continuare a ricevere materie prime, quell’atto (che altrimenti sarebbe preferenziale) è protetto dalla attestazione.
Differenze rispetto alla composizione negoziata: Il piano attestato differisce dalla composizione negoziata in vari aspetti:
- Non vi è un esperto mediatore né una piattaforma pubblica: è un’iniziativa totalmente gestita dall’imprenditore e dai suoi consulenti.
- Non vi sono misure protettive automatiche: il piano attestato non offre uno stay delle azioni esecutive dei creditori. Se servisse una protezione simile, bisognerebbe comunque passare da un accordo omologato o un concordato.
- Nessun coinvolgimento diretto del tribunale: salvo la possibilità di iscrizione nel Registro Imprese (che è un adempimento pubblicitario, non un giudizio). Non c’è omologa né decreti, quindi il successo dipende solo dall’effettiva esecuzione del piano.
- Vincolatività limitata: come detto, i creditori non sono obbligati a rispettare il piano salvo accordi contrattuali con l’impresa. Ad es., una banca può firmare un accordo bilaterale di moratoria col debitore in attuazione del piano: quell’accordo la vincola. Ma un creditore che non firma nulla rimane libero di agire (anche di portare l’azienda in tribunale). È dunque uno strumento utile quando il numero di stakeholder è ristretto e c’è convergenza spontanea.
- Costi e tempi ridotti: non essendoci iter giudiziario, i costi consistono principalmente nel compenso dell’attestatore e dei consulenti che redigono il piano. I tempi dipendono dall’azienda: talora si predispone un piano attestato in poche settimane. Ciò lo rende appetibile quando c’è urgenza e pochi ostacoli.
Il piano attestato di risanamento, pertanto, rappresenta il più “snello” tra gli strumenti di regolazione della crisi, basato sulla fiducia del mercato e sull’auto-responsabilità dell’imprenditore. È efficace soprattutto come tutela giuridica di contorno a un accordo di fatto già raggiunto con i creditori: fornisce quel quid pluris di protezione (revocatoria, fiscale, penale) che incoraggia tutti a procedere nel risanamento sapendo di essere al riparo da brutte sorprese future.
3.2 Accordi di ristrutturazione dei debiti (ordinari e speciali)
Gli accordi di ristrutturazione dei debiti (ARD) sono patti tra il debitore e una parte qualificata dei creditori, aventi ad oggetto la sistemazione dei debiti dell’impresa, che vengono omologati dal tribunale per acquistare efficacia vincolante anche verso eventuali creditori non aderenti. Introdotti nell’ordinamento dall’art. 182-bis l.f. nel 2005, sono ora regolati dagli artt. 57-64 CCII, con diverse articolazioni (ordinari, agevolati, ad efficacia estesa, ecc.). Si può dire che gli ARD rappresentano una via di mezzo tra gli accordi puramente privati e il concordato preventivo: richiedono il consenso di una consistente maggioranza di creditori ma non necessariamente l’unanimità, e attraverso l’omologazione giudiziale diventano opponibili anche alle minoranze dissenzienti in certe misure.
Accordo di ristrutturazione ordinario (art. 57 CCII):
- Per definizione, è un accordo che il debitore raggiunge con creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti (in valore). Questa soglia è invariata rispetto alla vecchia disciplina. Dev’essere formalizzato in un documento contrattuale sottoscritto dai creditori aderenti, contenente le modifiche alle loro pretese (es: stralcio del xx%, attesa di xx mesi, etc.) e il piano industriale/finanziario a supporto.
- Il debitore presenta al tribunale un ricorso per omologazione, allegando l’accordo firmato, una relazione di un esperto attestatore sulla fattibilità e sul fatto che i creditori estranei saranno comunque pagati per intero (quest’ultima è condizione fondamentale: i creditori che non aderiscono all’accordo, per legge, devono essere pagati integralmente alle scadenze originarie, oppure il loro credito deve essere comunque soddisfatto integralmente entro il termine di esecuzione dell’accordo. Questo distingue l’ARD dal concordato: non si possono imporre sacrifici ai non aderenti, salvo eccezioni infra).
- Il tribunale, verificati requisiti e correttezza, omologa l’accordo con decreto. Da quel momento, l’accordo è efficace ed esecutivo tra le parti. I creditori che avevano aderito sono vincolati ai nuovi termini. I creditori estranei restano con i loro diritti intatti, ma beneficiano del fatto che l’impresa sta seguendo un piano di ristrutturazione (in pratica, spesso vengono pagati regolarmente, a volte con l’aiuto di nuova finanza che l’accordo prevede).
Effetti e benefici dell’omologa: Durante la pendenza del procedimento di omologazione, il debitore può chiedere misure protettive simili a quelle del concordato (stay delle azioni, art. 54 CCII). Una volta omologato, l’accordo produce anche qui esenzioni da revocatoria per gli atti compiuti in esecuzione e consente di perfezionare transazioni fiscali e contributive interne (grazie al richiamo delle norme sulla transazione fiscale in sede di omologa, l’accordo può includere il fisco se questo aderisce o se il tribunale estende gli effetti, vedi dopo).
Negli ultimi anni, la disciplina degli accordi di ristrutturazione è stata arricchita di varianti volte a renderli più flessibili, soprattutto recependo la Direttiva UE 2019/1023. Ecco le principali:
- Accordo di ristrutturazione “agevolato” (art. 61 CCII): è una forma di ARD dove la percentuale di creditori richiesta è più bassa (30%), ma l’accordo non può coinvolgere debiti finanziari o di lavoro e deve assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei entro 120 giorni dall’omologazione. Questa figura, introdotta col D.Lgs. 83/2022, è pensata per situazioni in cui il numero di creditori è ridotto e consente di chiudere un accordo con una minoranza qualificata, a patto che i restanti vengano soddisfatti per intero rapidamente. È detto “agevolato” perché la soglia del 30% facilita al debitore il reperimento del consenso minimo. Tuttavia, è di applicazione limitata: tipicamente serve se l’impresa ha pochi creditori grandi e molti piccoli che verranno pagati comunque.
- Accordo ad efficacia estesa (art. 61 CCII): in alcune situazioni, se l’accordo è approvato da specifiche categorie di creditori con percentuali elevate, i creditori dissenzienti di quelle stesse categorie possono essere trascinati nell’accordo. Un esempio classico è quello delle banche: se il debitore ottiene l’adesione di 75% dei creditori finanziari (banche) e l’accordo è omologato, il tribunale può estendere gli effetti ai creditori finanziari dissenzienti (c.d. “cram-down di categoria”). Questo meccanismo, prima previsto dal 182-septies l.f., è ora nel CCII e consente di evitare che poche banche rovinino un accordo approvato dalla maggioranza qualificata del ceto bancario. Altre estensioni sono previste per creditori fiscali dissenzienti se l’accordo ottiene il sì di Agenzia Entrate e almeno il 75% di altri crediti tributari, etc. L’estensione richiede che i creditori trascinati appartengano a una categoria omogenea e ricevano almeno quanto riceverebbero in liquidazione.
- Accordo di ristrutturazione con continuità aziendale: è un accordo in cui l’impresa prevede la prosecuzione dell’attività e magari nuovi finanziamenti. Prevede piani a medio termine. Il CCII lo contempla (sul modello del concordato con continuità) e consente misure come la moratoria di pagamento dei creditori estranei per un anno dall’omologa se autorizzata.
- Coinvolgimento del Fisco e degli enti previdenziali: negli ARD il debitore può includere la cosiddetta transazione fiscale e contributiva, cioè proporre il pagamento parziale di imposte e contributi. Dal 2022 in poi, la normativa ha reso più agevole ottenere il consenso dell’Erario: le amministrazioni possono aderire se il piano offre loro almeno quanto otterrebbero da liquidazione e c’è l’attestazione di convenienza. Con il correttivo 2024 è stata resa possibile anche la transazione su tributi locali (p.es. IMU, TARI) prima non ammessa. Se l’Agenzia delle Entrate o altri enti non aderiscono ma la proposta era più conveniente del fallimento, il tribunale può omologare l’accordo anche senza l’adesione formale del Fisco (cram down fiscale, art. 63 CCII). Questo è un importante passo avanti, per evitare che rigidità delle PA blocchino accordi vantaggiosi.
Quando scegliere l’accordo di ristrutturazione: L’ARD è indicato quando l’impresa ha tanti creditori e non è facile ottenere il 100% di adesioni, ma vi è disponibilità di una larghissima parte di essi (almeno 60%) a sottoscrivere un accordo. È uno strumento meno oneroso del concordato perché non c’è voto, comitato creditori, ecc., ma solo un’udienza di omologa. Mantiene anche maggiore riservatezza (si pubblica l’accordo solo a omologa, le trattative avvengono private). Un tipico scenario: un’azienda con debiti bancari diffusi trova un accordo con la maggioranza delle banche e preferisce l’ARD per vincolare anche quelle poche che non firmano (tramite efficacia estesa). Oppure un gruppo di società sceglie ARD per ciascuna, coordinando ristrutturazioni senza coinvolgere l’intero mondo creditorio come farebbe un concordato di gruppo.
Rispetto alla composizione negoziata, l’ARD è più strutturato e richiede comunque tribunale e attestatore, ma offre il vantaggio di cristallizzare la ristrutturazione in un titolo esecutivo (il decreto di omologa). La composizione negoziata può anzi preludere a un accordo di ristrutturazione: se durante le trattative si ottiene il sì del 60% crediti, l’imprenditore può decidere di formalizzare quell’intesa in un ARD così da obbligare i restanti. Abbiamo visto (§2.6.2) che in tal caso l’iter è agevolato con soglie ridotte, per cui le due cose si integrano.
3.3 Concordato preventivo (in continuità e liquidatorio)
Il concordato preventivo è la procedura concorsuale per eccellenza, giudiziale, attraverso cui un imprenditore in crisi o insolvente propone ai creditori un piano per soddisfarli in misura almeno pari a quanto otterrebbero in caso di liquidazione fallimentare. In cambio, ottiene di evitare la liquidazione giudiziale e proseguire l’attività (totalmente o parzialmente) oppure di liquidare i beni sotto controllo ma con modalità concordate. È disciplinato nel CCII dagli artt. 84-120 (Titolo III) e ha due tipologie principali: il concordato in continuità aziendale e il concordato liquidatorio, con regole in parte differenti.
Requisiti generali: Può accedere al concordato preventivo qualsiasi imprenditore commerciale in stato di crisi o insolvenza, ad eccezione delle imprese minori che non superano determinate soglie dimensionali. Queste “imprese minori” (attivo ≤ €300k, ricavi ≤ €200k, debiti ≤ €500k) sono escluse e semmai accedono al concordato minore (v. §4.4). Anche l’imprenditore agricolo in quanto tale non è soggetto a concordato preventivo ordinario, e dovrà eventualmente ricorrere al concordato minore. Dunque, il concordato preventivo rimane strumento delle medie-grandi imprese commerciali (fallibili). La domanda si presenta al tribunale e segue una procedura formale con nomina di un commissario giudiziale, voto dei creditori e omologazione.
Concordato in continuità aziendale (art. 84 CCII):
- È tale il concordato in cui è prevista la prosecuzione dell’attività d’impresa, sia direttamente da parte del debitore, sia tramite un terzo che acquista o affitta l’azienda (continuità indiretta). L’elemento chiave è che il piano concordatario contempla l’azienda come funzionante, generatrice di valore con cui pagare i creditori.
- La legge incoraggia la continuità: non è richiesto un minimo di soddisfazione prestabilito per i creditori chirografari (a differenza del liquidatorio), ma bisogna dimostrare che la proposta non li soddisfa in misura inferiore rispetto all’alternativa liquidatoria (principio di non deterioramento). Quindi occorre una relazione di attestazione che dimostri che il concordato in continuità è conveniente per i creditori rispetto al fallimento.
- Il piano può prevedere nuove finanze, cessioni di asset non essenziali, ristrutturazioni del debito, eventuali classi di creditori se opportuno. I creditori votano divisi per classi (obbligatorio se alcuni subiscono trattamenti differenti). Il concordato in continuità può anche includere la soddisfazione dei creditori in tempi più lunghi (oltre un anno dall’omologa, cosa non permessa in quello liquidatorio per i chirografari se non accettano).
- Aspetti laborativi: se il piano prevede licenziamenti o cessioni di contratti di lavoro, deve rispettare le norme speciali (consultazione sindacale ex art. 189 CCII e art. 47 L.428/90).
- Voto e omologa: Si approva se ottiene la maggioranza dei crediti ammessi al voto (maggioranza semplice >50% o, se classi, maggioranza di classi + 2/3 in ciascuna). Il tribunale omologa valutando fattibilità e convenienza. Se una o più classi votano no ma il tribunale ritiene la proposta conveniente per loro, può omologare comunque (cram-down interclassi, art.112 CCII), purché almeno una classe di creditori non inferiore ai dissenzienti abbia detto sì.
Concordato con continuità è spesso scelto per aziende che possono essere salvate come going concern, magari riducendo il debito. Ad esempio, un’azienda manifatturiera indebitata presenta concordato in continuità: i creditori finanziari accettano una ristrutturazione, i fornitori ottengono percentuali di soddisfo col tempo, l’impresa continua a operare generando cassa per pagare.
Concordato liquidatorio (art. 84 e 85 CCII):
- In questo caso il piano prevede la cessazione dell’attività e la liquidazione di tutto o parte del patrimonio, distribuendo il ricavato ai creditori. È assimilabile a un fallimento pilotato dall’imprenditore, con la differenza che offre ai creditori condizioni predeterminate e spesso un quid in più (ad esempio, l’apporto di risorse esterne o la rinuncia dell’imprenditore a qualcosa) per ottenere il loro consenso.
- Il Codice richiede che nel concordato liquidatorio i creditori chirografari ottengano almeno il 20% del loro credito. Questa soglia minima è inderogabile (salvo che un apporto di risorse esterne – somme che aumentano l’attivo – consenta di motivare un soddisfo minore). Lo scopo è evitare concordati meramente dilatori con pagamenti irrisori. I creditori privilegiati devono essere pagati integralmente per il valore di realizzo delle loro garanzie, salvo rinuncia.
- Inoltre, il piano liquidatorio deve assicurare che la liquidazione avvenga in modo trasparente e competitivo (es. vendite all’asta o tramite procedure competitive), altrimenti il tribunale può non omologare.
- Il concordato liquidatorio oggi viene spesso sostituito, quando possibile, dal concordato semplificato (per chi esce dalla composizione negoziata) o dalla liquidazione giudiziale, poiché i creditori tendono a preferire il fallimento se il concordato offre poco. Tuttavia rimane utile se l’imprenditore propone qualche beneficio aggiuntivo (ad es. un socio apporta denaro fresh per aumentare la percentuale ai chirografari al 20% minimo).
- Voto e omologa seguono regole simili al concordato in continuità, ma essendo di solito un’unica classe (chirografari, perché i privilegiati spesso sono pagati fuori voto integralmente) tutto dipende da convincere >50% di quei crediti.
Novità dopo i correttivi (2022-2024): Il CCII ha innovato il concordato preventivo su vari fronti:
- Ha codificato l’Absolute Priority Rule (APR): in presenza di classi dissenzienti, il tribunale omologa solo se i creditori di classe inferiore non ricevono più di quelli di classe superiore dissentente (salvo eccezioni di meritevolezza per mantenere contratti). Ciò per rispettare graduazione salvo accordo contrario (principio di non alterare priorità).
- Ha introdotto meccanismi di cram-down sulle classi dissenzienti (come visto) e sull’Erario/dissenzienti analoghi se conviene.
- Ha reso la figura del commissario giudiziale più centrale nel controllo sin dall’inizio (monitoraggio già nella fase di ammissione eventuale).
- Con D.Lgs. 136/2024, ha perfezionato aspetti tecnici, ad es. la disciplina della finanza interinale e nuova (debtor-in-possession financing) e la sospensione obblighi di ricapitalizzazione: come visto, dal deposito della domanda fino all’omologa non si applicano gli artt. 2446-2447 c.c. e la causa di scioglimento per perdite, e gli amministratori devono però continuare a agire correttamente (resta l’art. 2486 c.c. per il periodo pre-domanda). Questo consente all’impresa di stare in concordato senza doversi sciogliere per perdite di capitale.
- Ha previsto la possibilità di scioglimento o sospensione dei contratti in corso previa autorizzazione del tribunale (art. 95 CCII), strumento essenziale per liberarsi da contratti onerosi (es. affitti troppo cari) nel contesto concordatario.
- Ha esplicitato meglio la disciplina del concordato di gruppo (se più società connesse presentano piani coordinati).
Il concordato preventivo è in definitiva lo strumento più articolato e garantito (per i creditori) per regolare la crisi senza fallimento, ma è anche il più costoso e lungo. Richiede maggioranze, udienze, possibili opposizioni all’omologa, intervento di vari attori. Per questo il legislatore ha introdotto composizione negoziata, piani e accordi come vie preferibili se l’accordo è alla portata. Resta però indispensabile quando serve imporre la soluzione a tutti i creditori o quando la situazione è tale che solo un intervento dell’autorità giudiziaria può gestirla ordinatamente (es. moltitudine di creditori confliggenti, necessità di vendere beni con liberazione di ipoteche, ecc.).
Un caso specifico è il già menzionato concordato semplificato per la liquidazione (art. 25-sexies): diversamente dal concordato preventivo ordinario, non c’è voto dei creditori. Il debitore propone direttamente la liquidazione dei beni con un certo piano di riparto e il tribunale, sentiti i creditori, decide se omologare (anche contro il loro parere) se ritiene che non riceverebbero di più in un fallimento. È uno strumento “fast-track” per chiudere rapidamente dopo composizione negoziata fallita. Tuttavia, trattandosi di novità, la giurisprudenza sta ancora formandone l’interpretazione. È comunque riservato a chi ha svolto la composizione negoziata e l’ha chiusa senza accordo.
Tabella riepilogativa – Strumenti di regolazione della crisi:
Caratteristica | Composizione Negoziata | Piano Attestato | Accordo di Ristrutturazione | Concordato Preventivo |
---|---|---|---|---|
Natura giuridica | Stragiudiziale assistita (procedura volontaria con esperto) | Stragiudiziale puramente privata (negoziale) | Mista: accordo negoziale + omologa giudiziale | Procedura concorsuale giudiziale (con tribunale) |
Soggetti ammessi | Imprenditori commerciali e agricoli (anche PMI e start-up) | Imprenditori in crisi/insolvenza (dibattuto se anche non fallibili) | Imprenditori (fallibili; transazione fiscale ammessa) | Imprenditori commerciali fallibili (> soglie); no imprese minori, start-up <5 anni e agricoli (usano concordato minore) |
Iniziativa | Debitore (volontaria) | Debitore | Debitore (accordo con % creditori) | Debitore (volontaria o concorsuale in bianco) |
Ruolo terzo | Esperto indipendente nominato da CCIAA | Attestatore indipendente (perizia sul piano) | Attestatore indipendente (relazione ex art. 56 CCII) | Commissario giudiziale nominato dal tribunale + giudice delegato |
Protezione da creditori | Possibile su richiesta (misure protettive confermate dal Tribunale) | No automatic stay (creditori liberi di agire) | Sì, su domanda misure protettive ex art. 54 CCII durante omologa | Sì, automatiche dopo ricorso (divieto azioni esecutive ex art. 20); in concordato “in bianco” su domanda |
Coinvolgimento Tribunale | Limitato (solo per misure protettive e concordato semplificato) | Nessuno (solo eventuale deposito per pubblicazione) | Sì, omologa richiesta (controllo e decreto di omologa) | Sì totale (dalla ammissione, voto, omologa in udienza) |
Adesione creditori richiesta | Non formale; serve consenso di fatto per accordi | Non richiesta formalmente (accordi individuali possibili) | ≥60% crediti (ordinario) o soglie minori per speciali | ≥50% crediti votanti (e classi, se applicabile) |
Vincolatività per creditori estranei | Nessuna coercizione: creditori non firmatari non vincolati (salvo misure protettive temporanee) | Nessuna: i non aderenti restano fuori (devono essere pagati integralmente) | Se omologato, vincola aderenti; non aderenti devono essere pagati per intero (salvo cram-down categorie specifiche) | Vincola tutti i creditori anteriori all’omologa (dissenzienti compresi, salvo riserve legali) |
Esempio di esito | Contratto di ristrutturazione privato con continuità 2 anni; moratoria ex art.62; accordo ex art.23 lett.c con esperto | Piano attestato con dilazione debiti e nuovi apporti, attestato da esperto e magari pubblicato (no procedure) | Ristrutturazione debiti bancari con adesione 75% banche, estensione a restanti (accordo efficacia estesa omologato) | Concordato in continuità: azienda prosegue, creditori chirografari ricevono 30% in 5 anni, privilegiati soddisfatti in natura; oppure Concordato liquidatorio: vendita beni e pagamento 25% ai chirografari in 1 anno |
Durata tipica | ~6-12 mesi (procedura negoziale veloce) | Variabile (può essere brevissimo se accordi già pronti) | ~4-6 mesi per omologa (dopo accordo raggiunto) | 1-2 anni (dalla domanda all’omologa definitiva), a volte di più in casi complessi |
Benefici fiscali/penali | Sì, misure premiali art.25-bis (riduzione interessi, crediti d’imposta); atti coerenti protetti da revocatoria se accordo ex art.23(c) | Sopravvenienze attive da riduzione debiti non tassate se piano pubblicato; atti esecutivi esenti revocatoria; non punibilità pagamenti preferenziali | Stesse esenzioni di concordato per revocatoria (atti esecuzione accordo omologato non revocabili) e transazione fiscale (sopravvenienze esenti) | Revocatoria esclusa per atti in esecuzione di concordato omologato; esdebitazione possibile post-concordato per l’imprenditore cessato; sospensione obblighi capitali sociali ecc. |
Nota: La scelta tra questi strumenti dipende dalla specifica situazione d’impresa: la composizione negoziata si adatta a crisi reversibili con accordo rapido, il piano attestato a ristrutturazioni mirate con pochi attori, l’accordo di ristrutturazione a situazioni di concordia parziale ma non totale, e il concordato preventivo a crisi gravi dove serve l’intervento giudiziale e il voto collettivo. Nel nostro ordinamento vige il principio della libertà di scelta dello strumento da parte dell’imprenditore (fermi restando i requisiti): ognuno di questi percorsi, se condotto correttamente, porta all’obiettivo comune di regolare la crisi evitando la liquidazione giudiziale.
4. Imprese e contesti particolari: applicazioni e differenze
In questa sezione analizziamo come gli istituti descritti (composizione negoziata e strumenti alternativi) si applicano alle diverse categorie di imprese e situazioni particolari: PMI vs grandi imprese, start-up innovative, imprese agricole, nonché l’integrazione con la disciplina del sovraindebitamento per soggetti non fallibili (c.d. concordato minore). Questo perché la normativa prevede alcune differenze di regime, semplificazioni o esclusioni a seconda della tipologia e dimensione dell’impresa.
4.1 Piccole e medie imprese (PMI)
Le PMI (acronimo per Piccole e Medie Imprese, come definite dalla Raccomandazione UE 2003/361/CE, di solito imprese con meno di 250 dipendenti e fatturato entro 50 mln) rappresentano la maggior parte del tessuto imprenditoriale italiano. Nel contesto della crisi d’impresa, tradizionalmente molte PMI sotto determinate soglie erano escluse dalle procedure concorsuali (definite “non fallibili”). Il Codice della Crisi ha in parte mantenuto questa distinzione, introducendo però procedure ad hoc.
Imprese “minori”: Il CCII definisce imprenditore minore colui che non supera congiuntamente tre parametri (attivo €300.000, ricavi €200.000, debiti €500.000). Queste soglie sono simili ai limiti di fallibilità della legge fallimentare. Tali imprese minori non possono accedere al concordato preventivo né essere soggette a liquidazione giudiziale ordinaria. In caso di insolvenza, esse rientrano nelle procedure di sovraindebitamento, ora chiamate concordato minore e liquidazione controllata (v. §4.4). Quindi una micro-impresa artigiana, ad esempio, non verrà sottoposta a fallimento ma potrà proporre un concordato minore davanti all’OCC. Questo regime intende evitare i costi sproporzionati di un fallimento per aziende microscopiche.
Tuttavia, anche per le PMI minori il legislatore ha previsto strumenti di allerta e prevenzione. Composizione negoziata: come visto, la composizione negoziata è aperta anche alle imprese minori, senza distinzione di soglia. Anzi, è stato semplificato l’accesso documentale per loro (meno documenti richiesti). Ciò significa che un piccolo imprenditore può volontariamente avviare la composizione negoziata e farsi assistere da un esperto nel tentare un accordo, pur sapendo che se dovesse fallire potrebbe dover ripiegare sul concordato minore invece che su uno preventivo. In pratica, l’allerta “privata” è estesa anche ai piccoli: nessuno è troppo piccolo per prevenire la crisi.
PMI non minori: Ci sono poi molte PMI che superano quelle soglie, pur restando di dimensioni modeste. Queste sono soggette alle procedure ordinarie. Dunque, ad esempio, una s.r.l. con ricavi €1 milione e debiti €800k è fallibile e può fare concordato preventivo. Ma spesso tali PMI hanno risorse limitate per affrontare costose procedure. Codice della Crisi e PMI: Il codice (anche tramite i correttivi) ha cercato di calibrare alcuni obblighi in misura proporzionata. Ad esempio:
- L’assetto organizzativo adeguato ex art. 3 CCII: tutte le imprese, anche PMI, devono dotarsi di assetti idonei a rilevare tempestivamente la crisi. Ciò è un obbligo societario (art. 2086 c.c.) entrato in vigore dal 2019. Le PMI spesso si appoggiano a consulenti per monitorare indicatori (debt/EBITDA, DSCR, etc.). Questi assetti servono proprio a far scattare magari una composizione negoziata in tempo.
- Semplificazioni procedurali: in concordato preventivo, le PMI con pochi creditori possono chiedere l’assenza di comitato dei creditori (il tribunale decide caso per caso). Oppure le PMI spesso optano per il concordato semplificato post composizione per evitare il voto se confidano nel giudice.
- Costi: Il legislatore ha istituito fondi per le PMI in crisi (ad es. Fondo di garanzia che copre finanziamenti in concordato in continuità, Cassa integrazione straordinaria dedicata). Un esempio: la L. 15/2022 ha introdotto la possibilità per PMI in concordato preventivo con continuità di accedere alla CIGS per crisi per 12 mesi, alleggerendo costi del lavoro.
In conclusione, per le PMI la composizione negoziata è uno strumento molto prezioso: la maggior parte delle composizioni attivate finora ha visto coinvolte società di capitali medio-piccole (dati Unioncamere: l’85% circa società di capitali, media 64 dipendenti, 13 mln produzione). Questo dimostra che anche aziende di dimensione limitata possono avvalersi efficacemente dell’esperto per evitare esiti peggiori. Le PMI che non riescono a risanarsi via composizione o piano attestato potranno comunque contare su procedure concorsuali semplificate (concordato minore) piuttosto che sul fallimento tradizionale.
4.2 Grandi imprese e gruppi d’impresa
Per grandi imprese intendiamo aziende di dimensioni molto rilevanti, come quelle con centinaia di dipendenti o debiti nell’ordine di centinaia di milioni. Per tali soggetti, oltre agli strumenti generali, l’ordinamento italiano prevede talvolta regimi speciali:
- Amministrazione Straordinaria delle Grandi Imprese in Crisi (D.Lgs. 270/1999, cd. Legge Prodi-bis): applicabile a imprese con >200 dipendenti e insolventi, che presentino prospettive di recupero industriale. Questa è una procedura concorsuale di competenza del MiSE, finalizzata al risanamento o cessione dell’azienda, con amministratori straordinari nominati dal Governo. In genere, è percorribile solo se c’è pubblico interesse (grandi aziende strategiche).
- Procedura Marzano (L. 39/2004): riservata a grandi gruppi insolventi (es. Parmalat, Alitalia originariamente), con requisiti dimensionali ancora maggiori.
Il Codice della Crisi non abroga queste leggi speciali, anzi ne riconosce la coesistenza. Infatti l’art. 23 co.2 menziona esplicitamente che l’imprenditore può accedere, in alternativa, anche alle procedure di cui al D.Lgs. 270/99 o al D.L. 347/03. Quindi se una grande impresa in composizione negoziata vede fallire le trattative, può valutare (di concerto con le autorità) l’amministrazione straordinaria come opzione.
Composizione negoziata per le grandi imprese: In linea teorica anche un colosso può chiedere la composizione negoziata. In pratica, tuttavia, imprese molto grandi e complesse tendono ad avere già accordi informali con pool di banche o a ricorrere direttamente a procedure giudiziali, data la numerosità di stakeholder. Inoltre, se l’impresa supera certi parametri (es. >500 dipendenti, debiti >300M, ecc.), spesso la strada preferenziale è l’amministrazione straordinaria (che offre benefici come la continuità protetta dallo Stato).
Detto ciò, la Direttiva UE 2019/1023 incoraggia l’utilizzo di quadri di ristrutturazione anche per grandi debitori, per cui nulla vieta che un grande gruppo possa tentare inizialmente una composizione negoziata di gruppo. Il CCII infatti prevede la composizione negoziata di gruppo (art. 13, co.1) ove più società appartenenti al medesimo gruppo presentano contestualmente istanza e le trattative sono condotte unitariamente dallo stesso esperto. In tal caso, il compenso dell’esperto è calcolato su ciascuna impresa ma con tetto complessivo e con eventuale maggiorazione per la complessità. Dunque, per un gruppo di imprese (anche grande) la composizione negoziata può essere un tavolo comune di confronto senza coinvolgere subito il tribunale.
Differenze operative per grandi imprese: Nel caso di imprese di notevoli dimensioni, la composizione negoziata dovrà tener conto di un numero elevato di parti. L’esperto nominato sarà verosimilmente uno dei massimi esperti nazionali (sono spesso selezionati professionisti con track record in procedure complesse). Sarà necessaria una due diligence approfondita e magari la creazione di comitati ristretti di creditori in trattativa (ad esempio comitato delle banche, comitato obbligazionisti se vi sono bond, rappresentanze sindacali per i lavoratori, ecc.). Nulla nel CCII lo impedisce: l’esperto può organizzare più tavoli di confronto a seconda delle categorie.
Se poi la trattativa non produce un piano di gruppo adeguato, l’uscita verso il concordato preventivo di gruppo o l’amministrazione straordinaria verrà decisa.
Esempio pratico: Immaginiamo un grande gruppo industriale con 1000 dipendenti e 400 milioni di debiti, in crisi di liquidità. Potrebbe attivare una composizione negoziata di gruppo (nomina di un esperto unico). Questo esperto avvierà tavoli con le banche (che magari detengono 250M di crediti), con i fornitori strategici (che se smettessero forniture bloccherebbero la produzione) e con i sindacati (per gestire eventuali esuberi). Se dopo qualche mese emergesse che la ristrutturazione richiede misure e tempi incompatibili con un accordo privato, il gruppo potrebbe allora optare per un concordato con continuità oppure chiedere l’accesso all’amministrazione straordinaria (se i requisiti ci sono) dove subentrerà un commissario nominato dal Ministro.
In sintesi, per le grandi imprese la composizione negoziata è una opzione in più, ma frequentemente tali situazioni finiscono per coinvolgere interessi pubblici e quindi deviare sui binari speciali (AS) o su concordati di elevata complessità. Va comunque sottolineato che il CCII ha integrato al suo interno una disciplina dei gruppi in crisi, con possibilità di concordato di gruppo, liquidazione coordinata, ecc., segno che anche per le grandi imprese si è pensato di gestire la crisi con strumenti unitari e negoziali se possibile.
4.3 Start-up innovative
Le start-up innovative sono una categoria di imprese introdotta dal D.L. 179/2012, caratterizzate da oggetto innovativo, requisiti di dimensione e iscrizione in una sezione speciale del Registro Imprese. Per favorirne lo sviluppo, il legislatore aveva previsto una particolare esenzione dalle procedure concorsuali per i primi anni di vita: in base all’art. 31 del D.L. 179/2012, una start-up innovativa non è soggetta a fallimento o concordato preventivo (salvo procedure da sovraindebitamento) per i primi 5 anni dalla costituzione. Questo regime di non fallibilità temporanea mirava a consentire un “fail-fast” meno traumatico per queste imprese, spesso destinate a mutare o cessare se il progetto non decolla.
In pratica:
- Se una start-up innovativa diviene insolvente entro 5 anni dalla nascita, non può essere dichiarata fallita né ammessa a concordato preventivo; l’unica via sarebbe la chiusura volontaria e la liquidazione semplificata con cancellazione dal registro. La legge citata prevedeva che, in caso di liquidazione volontaria, la start-up venisse cancellata e i creditori potessero poi agire contro i soci nei limiti di legge, ma non c’era un fallimento formale.
- Trascorsi i 5 anni (o persi i requisiti di innovatività prima del termine), la società perde quel beneficio e diventa fallibile come le altre. La Cassazione nel 2024 ha chiarito ad esempio che una volta scaduto il quinquennio (anche se la cancellazione dal registro speciale avviene 60 giorni dopo), la società può essere dichiarata fallita se insolvente.
Impatto sul Codice della Crisi: Il CCII non ha eliminato questa previsione: start-up innovative giovani rimangono “non assoggettabili a liquidazione giudiziale” (l’art. 121 CCII esclude dall’ambito del fallimento anche chi è esonerato per leggi speciali come quella). Tuttavia, nulla impedisce a una start-up innovativa di accedere alla composizione negoziata o al concordato minore, essendo equiparata a un imprenditore non fallibile:
- In caso di crisi, una start-up potrebbe volontariamente attivare la composizione negoziata: la legge non lo vieta perché l’art. 12 CCII parla di imprenditore commerciale o agricolo in difficoltà, e la start-up innovativa è pur sempre un’imprenditore commerciale (seppur temporaneamente non fallibile). Questo strumento potrebbe aiutare a trovare un accordo con investitori o creditori senza passare per il tribunale.
- Se la start-up è insolvente e non riesce a risolvere la crisi entro i 5 anni, una strada potrebbe essere il concordato minore (v. §4.4). Infatti, l’art. 74 CCII sul concordato minore consente l’accesso anche all’imprenditore agricolo o start-up innovativa indipendentemente dai requisiti dimensionali. Una recente pronuncia (Trib. Messina 2022) ha confermato che l’imprenditore start-up può chiedere un concordato minore senza dover attendere la fine dei 5 anni. Questo perché il concordato minore è lo strumento creato per i non fallibili.
Esempio: Una start-up innovativa al 3° anno, con debiti verso fornitori e uno sviluppo che non decolla, potrebbe:
- tentare una composizione negoziata per trovare un accordo con nuovi soci o con i creditori (magari trasformare debiti in quote societarie, ecc.); l’esperto può facilitare un deal;
- se fallisce la negoziazione, proporre un concordato minore, con un piano di liquidazione parziale delle attività immateriali (brevetti, ecc.) offrendo ai creditori una percentuale e chiedendo l’esdebitazione.
Trascorsi i 5 anni, la start-up (che a quel punto non è più tale in termini normativi) diviene soggetta alle regole ordinarie. La Cassazione nel 2024 ha ribadito che il termine quinquennale va calcolato dalla data di costituzione, non dalla iscrizione al registro speciale, e che passato quel termine la società può essere dichiarata fallita se insolvente. Quindi per i creditori di start-up in difficoltà è importante monitorare quelle scadenze.
In conclusione, la peculiarità delle start-up sta nel regime “protetto” iniziale, che le indirizza più verso soluzioni negoziate extragiudiziali o procedure da sovraindebitamento piuttosto che concorsuali classiche. Ciò incoraggia imprenditori e investitori a provare, sapendo che un insuccesso precoce non sfocia subito in un fallimento pubblico. D’altro canto, dal 6° anno la start-up diventa un’impresa come le altre, con possibili strascichi concorsuali se i problemi non erano risolti.
4.4 Procedure minori: concordato minore e liquidazione controllata
Abbiamo accennato come le imprese “non fallibili” (imprese minori, start-up innovative nei primi anni, imprenditori agricoli in certi casi) siano destinatarie di strumenti particolari, eredi della Legge 3/2012 sul sovraindebitamento. Il CCII ha integrato quella normativa nel Titolo IV dedicato alla Composizione delle crisi da sovraindebitamento, introducendo terminologie nuove:
- Concordato minore (artt. 74-83 CCII): sostituisce il vecchio “accordo di composizione della crisi” della L.3/2012. È sostanzialmente un concordato preventivo semplificato per debitori non fallibili, con l’ausilio di un Organismo di Composizione della Crisi (OCC) al posto del commissario giudiziale. Può accedervi l’imprenditore minore, l’imprenditore agricolo di qualsiasi dimensione e anche le start-up innovative finché esenti, nonché professionisti e altri debitori non fallibili che esercitano attività (ma non i consumatori, che hanno altra procedura). Nel concordato minore si applicano, per rinvio, molte norme del concordato preventivo, adattate dal fatto che non c’è tribunale fallimentare ma un giudice e un OCC che aiuta a predisporre il piano. I creditori votano sull’accordo (con maggioranza per teste e per valore). Serve offrire almeno il 20% ai chirografari anche qui? La norma in realtà non richiama espressamente il 20% (che è proprio del concordato preventivo liquidatorio), ma richiede in ogni caso il rispetto del best interest test (creditori non peggiori rispetto alla liquidazione controllata) e la fattibilità. In più, la giurisprudenza sembra orientata a ritenere applicabile analogicamente la soglia di dignità anche al concordato minore liquidatorio, ma è dibattuto. Importante: anche l’imprenditore agricolo può farlo indipendentemente dalle dimensioni, dunque per la prima volta l’agricoltore insolvente ha uno strumento concorsuale vero (prima aveva solo l’accordo L.3/2012).
- Liquidazione controllata (artt. 268-277 CCII): rimpiazza la “liquidazione del patrimonio” della L.3/2012. È l’equivalente del fallimento per i sovraindebitati. Si apre su istanza del debitore o anche di un creditore o dell’OCC. Un liquidatore nominato dal tribunale vende i beni e ripartisce il ricavato. Alla fine, la persona può chiedere l’esdebitazione (art.282 CCII) delle eventuali passività residue. La liquidazione controllata può riguardare anche un imprenditore minore o agricolo: quindi di fatto sostituisce la liquidazione giudiziale (fallimento) per chi non vi è soggetto. Ci sono pronunce che confermano la possibilità che anche un creditore istighi l’apertura di liquidazione controllata verso un imprenditore agricolo. Dunque, i creditori non restano privi di tutela: se non c’è fallimento, potranno chiedere questa procedura.
In relazione con la composizione negoziata: se un imprenditore minore svolge la composizione negoziata ma non riesce a risanare, come abbiamo visto, l’art.23 CCII rimanda a 25-quater co.4, cioè alle procedure minori. Quindi quell’imprenditore potrà proporre un concordato minore, oppure sarà soggetto a liquidazione controllata su istanza creditori. La composizione negoziata funge, anche qui, da “filtro” di meritevolezza: ad esempio, se un piccolo imprenditore coopera e cerca soluzioni, e poi comunque finisce in liquidazione controllata, ciò sarà considerato positivamente ai fini dell’esdebitazione finale (ha dimostrato buona fede nell’affrontare la crisi).
Ruolo dell’OCC vs esperto: L’OCC (Organismo di Composizione della Crisi) è un ente creato presso Ordini professionali o enti pubblici (Camere di Commercio stesse, spesso) che designa un professionista per assistere il debitore sovraindebitato. Il suo ruolo nel concordato minore è simile a quello del commissario: aiuta a predisporre il piano, verifica le posizioni, relaziona al giudice sulla fattibilità. Con la riforma, OCC e composizione negoziata convivono. Anzi, una Camera di Commercio può trovarsi a gestire sia la piattaforma per l’esperto sia l’OCC per il concordato minore. Si auspica coordinamento: ad esempio, se una composizione negoziata di una micro impresa fallisce, l’esperto e l’OCC potrebbero essere la stessa persona per continuità di conoscenza, ma ciò non è formalizzato (dipende dalle nomine).
Esdebitazione: Uno dei vantaggi chiave per il debitore persona fisica (o socio illimitatamente responsabile) nelle procedure minori è la possibilità di ottenere la liberazione dai debiti residui una volta terminata la liquidazione controllata, se ha collaborato e non ha frodi (fresh start). Questo incentivo non esiste nelle procedure “maggiori” per le società, ma esiste ora anche per l’imprenditore individuale fallito (art. 283 CCII per liquidazione giudiziale). Tuttavia, nelle procedure minori l’esdebitazione è concepita in modo semplificato: addirittura c’è l’esdebitazione del debitore incapiente (art.283 CCII) per chi non ha nulla da dare, concedibile una volta ogni 4 anni a certe condizioni. Ciò per dare davvero la possibilità ai piccoli di ripartire.
Caso particolare: imprenditore agricolo: come già detto, l’agricoltore, prima escluso da fallimento, poteva accedere solo alle procedure L.3/2012 (accordo o liquidazione). Ora lui è soggetto pienamente a concordato minore e liquidazione controllata. Quindi se un agricoltore ha debiti ingenti, un creditore può chiedere la sua liquidazione controllata. E se quell’agricoltore vuole ristrutturare, può proporre un concordato minore. La Cassazione, in una decisione del 2023, ha confermato che un consorzio agrario (imprenditore agricolo) è escluso da liquidazione giudiziale ex art. 121 CCII, ma può essere ammesso a concordato minore nonostante le dimensioni, evidenziando proprio l’evoluzione normativa.
Interazione con il Fisco: Nelle procedure minori come concordato minore, l’adesione del Fisco è semplificata (lo era già nella L.3). Il CCII consente anche in concordato minore la transazione fiscale. La differenza è che qui non c’è un requisito di percentuale, si ragiona per convenienza.
In breve, le procedure minori fungono da valvola di sicurezza per l’intero sistema: coprono le crisi dei soggetti che prima rimanevano fuori dal diritto concorsuale. Questo completa il quadro di insieme: ora qualsiasi imprenditore (dal colosso al piccolo, dal commerciale all’agricolo, dalla start-up al professionista) ha una via regolamentata per gestire la crisi, modulata secondo la sua categoria.
5. Profili giuridici: aspetti societari, fallimentari, penali, fiscali e del lavoro
L’affrontare una crisi d’impresa mediante gli strumenti sopra descritti comporta implicazioni su diversi piani del diritto. In questa sezione forniamo un’analisi multidisciplinare rivolta sia a professionisti legali (avvocati, consulenti) sia agli imprenditori, evidenziando i principali profili giuridici da tenere presenti: dagli obblighi societari durante la crisi, alle responsabilità che possono derivare (anche penali), al trattamento fiscale delle operazioni sui debiti, fino alla gestione dei rapporti di lavoro.
5.1 Aspetti di diritto societario e doveri degli amministratori
Adeguati assetti e dovere di prevenzione: L’art. 2086 c.c., come riformato, impone a tutti gli imprenditori societari o collettivi di istituire assetti organizzativi adeguati alla natura e dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi e della continuità aziendale. Ciò significa che l’organo amministrativo ha il dovere di monitorare costantemente la salute aziendale e attivarsi prontamente in caso di segnali di crisi. Questo dovere generale si collega direttamente con l’utilizzo degli strumenti di allerta: un amministratore diligente dovrebbe, ad esempio, considerare di accedere alla composizione negoziata non appena gli indicatori interni (indici di liquidità, perdite di esercizio, ecc.) manifestino tensioni che potrebbero preludere a insolvenza. L’omissione può comportare responsabilità: se l’impresa poi fallisce, i creditori potrebbero contestare agli amministratori l’aver tardivamente affrontato la crisi, aggravando il dissesto.
Sospensione degli obblighi sul capitale sociale: Un problema tipico in crisi è la perdita rilevante di capitale nelle società di capitali, che farebbe scattare gli obblighi degli artt. 2446-2447 c.c. (per S.p.A.) o 2482-bis e ter (per S.r.l.), ossia la riduzione del capitale e potenzialmente lo scioglimento della società se il capitale scende sotto il minimo legale. Il Codice della Crisi prevede esplicitamente delle deroghe temporanee a tali obblighi quando l’impresa accede a procedure di regolazione della crisi:
- Nell’ambito di un concordato preventivo o di un accordo di ristrutturazione omologato, già la legge fallimentare (art. 182-sexies) sospendeva quegli obblighi dal deposito domanda all’omologa. Il CCII conferma: dalla data di deposito della domanda e sino all’omologazione del concordato preventivo (o all’omologa accordo) non si applicano gli artt. 2446 co.2-3, 2447, 2482-bis co.4-6 e 2482-ter c.c., e non opera la causa di scioglimento per perdite ex art. 2484 n.4 c.c.. Significa che l’assemblea non è obbligata a ridurre il capitale né a deliberare la messa in liquidazione per quelle perdite. Questo per evitare che durante una procedura di salvataggio la società debba dissolversi anticipatamente. Resta fermo però che, se poi la procedura non va a buon fine, quegli obblighi “riemergono” per il periodo anteriore.
- E nella composizione negoziata? Sì, anche in questo caso il legislatore ha previsto una sospensione analoga: dall’accettazione dell’esperto fino alla conclusione delle trattative, non trovano applicazione le norme sulla riduzione obbligatoria del capitale per perdite e la causa di scioglimento relativa. Ciò è statuìto dall’art. 20 CCII (introdotto dal D.L.118/21) e consente all’imprenditore di non dover correre subito ai ripari con una ricapitalizzazione o liquidazione mentre sta cercando di risanare. In pratica, se una S.r.l. in composizione negoziata ha dimezzato il capitale per perdite oltre il terzo, gli amministratori non sono sanzionabili per non aver convocato l’assemblea ex art.2482-bis: tale obbligo è sospeso fino al termine della procedura. Se poi la composizione fallisce e si va ad altra procedura (o si esce senza accordo), bisognerà affrontare allora il tema capitale (ad es. in concordato si potrà decidere in piano come ricapitalizzare o convertire debiti in equity).
Questa sospensione degli obblighi societari è fondamentale: evita una doppia compliance confliggente (salvare l’azienda vs rispettare formalismi di capitale). Tuttavia, la legge impone comunque che resti fermo l’obbligo di corretta gestione nel frattempo: l’art. 20 CCII ribadisce che fino alla domanda di concordato/accordo o fine composizione, resta ferma l’applicazione dell’art. 2486 c.c.. Cioè, gli amministratori pur esentati dal ridurre il capitale, hanno il dovere di gestire con la massima prudenza il patrimonio sociale come amministratori di società sciolta, per preservare l’integrità del patrimonio stesso. In pratica, no distribuzione utili, no operazioni eccedenti l’ordinaria amministrazione non giustificate dal tentativo di risanamento.
Decisioni degli organi sociali: Nelle procedure negoziali e concorsuali, gli amministratori mantengono la gestione ordinaria. Nel concordato, per gli atti straordinari serve autorizzazione del tribunale (art. 94 CCII). Nella composizione negoziata, come visto, gli atti straordinari richiedono il coinvolgimento dell’esperto e eventuale dissenso. Dal punto di vista societario, potrebbe emergere conflitto con i soci: ad esempio, se la soluzione comporta l’ingresso di nuovi soci o la diluizione delle partecipazioni (per conversione di crediti in equity). In genere, l’assemblea straordinaria dovrà deliberare aumenti di capitale o cessioni rilevanti secondo le regole statutarie. I soci non hanno però potere di veto su iniziative obbligate: la giurisprudenza ha affermato che i soci che impediscono in modo abusivo operazioni di risanamento (es. rifiutando senza motivo aumenti di capitale necessari) possono incorrere in responsabilità verso la società e i creditori. Inoltre, alcune sentenze (in ambito concordatario) hanno concesso misure cautelari come l’autorizzazione giudiziale ad aumenti di capitale con esclusione del diritto opzione anche senza assemblea, quando i soci erano latitanti, per salvare l’azienda (situazioni limite, invocando analogia con art. 182-quinquies l.f.).
Azioni di responsabilità: Una volta conclusa la crisi, se si arriva a liquidazione giudiziale, il curatore esaminerà il comportamento degli amministratori negli anni/mesi precedenti. Se emergono violazioni (es. aver aggravato il dissesto, aver ritardato il ricorso ad una procedura), potrà promuovere l’azione di responsabilità ex art. 2486 c.c. e 2394 c.c. Molti tribunali valutano negativamente la inerzia dell’organo amministrativo: ad esempio, se gli indici di crisi erano evidenti un anno prima e gli amministratori non hanno adottato né misure interne (piani di risanamento, taglio costi) né esterne (allerta, concordato), li si può accusare di mala gestio. Di contro, l’essersi attivati con la composizione negoziata e aver tentato soluzioni viene considerato segno di diligenza. Non a caso, l’art. 4 CCII prevede che nella valutazione delle condotte degli amministratori ai fini della responsabilità per aggravamento del dissesto si tenga conto dell’eventuale tempestivo ricorso agli strumenti di composizione della crisi. In altre parole, c’è una sorta di “safe harbor” implicito: se hai attivato la composizione negoziata appena hai capito di essere in crisi, difficilmente potranno imputarti di aver aggravato il buco (salvo tu abbia poi violato i doveri durante la procedura stessa).
Governance in concordato e composizione: Un aspetto societario peculiare è la possibilità in concordato preventivo che, su richiesta, il tribunale nomini un commissario-gestore al posto degli amministratori in casi eccezionali (art. 92 CCII). Ciò avviene se la gestione dai medesimi continua a ledere i creditori. È raro e di solito i proponenti preferiscono restare in possesso (DIP). Nella composizione negoziata non c’è mai sostituzione di amministratori: l’esperto non gestisce, solo monitora. Però i creditori, se vedono condotte poco corrette, possono defilarsi e attendere un fallimento per togliere potere ai vecchi amministratori.
In sintesi, per gli amministratori, la crisi d’impresa è un momento di altissima responsabilità: devono attivare gli strumenti giusti, bilanciare obblighi civilistici e concorsuali e anteporre l’interesse di creditori e azienda ai propri o dei soci (specie in insolvenza, scatta il dovere di gestione nell’interesse prioritario dei creditori ex art. 14 CCII). La business judgment rule (discrezionalità di gestione) subisce una restrizione: in prossimità di insolvenza, scelte che sacrificano platealmente i creditori (es. pagare un solo creditore lasciando altri scoperti) possono costare caro. Il CCII formalizza all’art. 12 che, se l’imprenditore è in insolvenza ma ha concrete prospettive di risanamento, deve gestire nel prevalente interesse dei creditori. Ciò riflette un principio chiave: quando la solvibilità è compromessa, gli stakeholder principali diventano i creditori, non più i soci. Gli amministratori che seguono questo principio – ad esempio evitando operazioni rischiose e proteggendo la par condicio – saranno più al riparo da azioni future.
5.2 Profili fallimentari e responsabilità patrimoniale
Par condicio creditorum e atti pregiudizievoli: Un elemento fondante del diritto fallimentare è la parità di trattamento dei creditori anteriori. Durante la fase di crisi gestita stragiudizialmente, non vige formalmente la par condicio (finché non c’è procedura aperta). Tuttavia, gli amministratori e l’imprenditore devono stare attenti a non compiere atti pregiudizievoli verso la massa dei creditori, perché in caso di successivo fallimento tali atti potrebbero essere oggetto di azione revocatoria o fonte di responsabilità penale (bancarotta preferenziale). Ad esempio, se durante la composizione negoziata l’imprenditore, senza autorizzazione, paga interamente un fornitore non strategico per preferirlo agli altri, quell’atto – se poi si fallisce entro 6 mesi – rischia di essere revocato dal curatore come atto preferenziale (ex art. 164 CCII) e di configurare bancarotta preferenziale. Protezione offerta dagli strumenti di crisi: Fortunatamente, come più volte menzionato, molti strumenti introducono esenzioni dalle revocatorie:
- Pagamenti e garanzie concesse in coerenza a un piano attestato pubblicato sono esenti.
- Le stesse tipologie di atti, se avvenute in esecuzione di un accordo di ristrutturazione omologato o di un concordato omologato, non sono soggette a revocatoria fallimentare (art. 166 CCII).
- La composizione negoziata, di per sé, non offre un’esenzione generale, ma l’opzione (c) di esito positivo (accordo con esperto) ne incorpora una: quell’accordo produce effetti ex art. 166 co.3 lett. d CCII, ossia la protezione di atti esecutivi. E la stessa norma art. 23 menziona effetto ex art. 324 CCII, che include l’attenuazione penal-fallimentare.
Al di fuori di queste esenzioni, l’imprenditore deve sempre chiedersi: “se poi fallisco, questo atto potrebbe essere revocato dal curatore perché preferenziale o perché a titolo gratuito o perché eseguito quando già c’erano trattative di composizione (indice di insolvenza)?”. Il curatore in liquidazione giudiziale può revocare:
- Atti a titolo oneroso compiuti nell’anno precedente con controparte a conoscenza dello stato di crisi, se pregiudizievoli (es. vendite sottoprezzo).
- Pagamenti di debiti scaduti, pegni/ipoteche su debiti pregressi, compiuti negli ultimi 6 mesi, se estranei all’esercizio normale dell’impresa. Questo colpisce i pagamenti preferenziali.
Se l’impresa utilizza la composizione negoziata e poi finisce in fallimento, i 6 mesi si conteranno a ritroso dalla sentenza di liquidazione giudiziale. I creditori che hanno ricevuto pagamenti nell’ultimo periodo potrebbero vederseli richiedere indietro. L’esperto, vigilando, cerca di impedire quei pagamenti non coerenti (iscrivendo dissenso), dunque indirettamente tutela sia la par condicio sia l’imprenditore dalle conseguenze.
Conservazione del patrimonio: Altro aspetto: l’art. 2486 c.c. impone agli amministratori, dalla causa di scioglimento (che in crisi è la perdita integrità capitale, benché sospesa la dichiarazione formale), di conservare il patrimonio nell’interesse dei creditori. In ambito concorsuale, se i soci non liquidano la società quando devono, gli amministratori dopo quella soglia rispondono dei worsening del passivo (danno differenziale tra attivo al momento in cui dovevano liquidare e attivo al fallimento). Il CCII considera la crisi come un momento ancor prima della liquidazione: ecco perché spinge all’allerta e in caso di inerzia vede di cattivo occhio che l’attivo diminuisca. In cause di responsabilità, spesso i periti quantificano l’aggravamento del dissesto provocato dalla prosecuzione indebito dell’attività: es. l’impresa perde 100 in più rispetto a se avesse chiuso un anno prima.
Prededuzione e crediti sorti in procedura: Quando si accede a una procedura concorsuale successiva (concordato, liquidazione giudiziale), i crediti sorti per effetto di strumenti di composizione hanno spesso privilegio di prededuzione. Ad esempio, il compenso dell’esperto negoziatore è prededucibile ex lege se poi c’è fallimento: significa che sarà pagato prima dei crediti anteriori. I nuovi finanziamenti autorizzati in composizione negoziata (art. 22 CCII) sono pure prededucibili. Lo stesso vale per finanziamenti in esecuzione di concordato o accordo omologato (previa autorizzazione ex art. 100 CCII). Questa regola serve a incentivare ad erogare fondi durante la crisi. Per i creditori occorre però segnalare che se la procedura poi fallisce e quei finanziatori hanno prededuzione, potrebbero diminuire le risorse per i creditori chirografari normali. Dunque, l’apporto di finanza durante la composizione negoziata va valutato anche in quest’ottica: i creditori pregressi potrebbero trovarsi scavalcati in privilegio. Tuttavia, se la finanza ha salvato l’azienda, tutti ne beneficiano; se non l’ha salvata, almeno non possono revocarla se autorizzata, ma rimane prededucibile. È un trade-off.
Rapporti con procedure concorsuali: Se durante la composizione negoziata un creditore chiede il fallimento, come accennato, e c’è una misura protettiva, quell’istanza resta sospesa. Se invece non c’è protezione, il tribunale può valutare caso per caso: talora, in passato, tribunali hanno rinviato l’udienza pre-fallimentare per vedere l’esito delle trattative (anche in assenza di protezione formale) per dare chance, purché non vi fosse pregiudizio grave ai creditori attesa breve. Questo è discrezionale. La pendenza di una composizione negoziata non toglie il potere ai creditori di attivare procedimenti concorsuali, ma è probabile che il tribunale, informato che c’è un esperto all’opera e magari uno stato di avanzamento buono, preferisca attendere qualche settimana un possibile accordo. Ci sono state linee guida (Trib. Milano ad esempio) che incoraggiavano tale coordinamento.
Cram-down fiscale e ruoli privilegiati: Un tema spinoso nei profili concorsuali è il trattamento dei crediti erariali e previdenziali privilegiati. Per regola, in concordato liquidatorio non si possono falcidiare IVA e ritenute (tributi considerati indisponibili) se non col voto favorevole dell’ente. Nel concordato in continuità, e ora anche negli accordi, è invece possibile prevedere stralci a condizione di una transazione fiscale (parere del Fisco). Il D.Lgs.83/2022 ha ribadito che IVA e contributi possono essere dilazionati o parzialmente stralciati solo in procedure concorsuali omologate, e che l’ente deve valutare comparativamente. La novità è il cram-down: se il Fisco rifiuta irragionevolmente ma la proposta gli dà almeno il valore di liquidazione, il tribunale può omologare lo stesso l’accordo/concordato. Questo riduce il potere di veto erariale. Resta comunque un aspetto giuridico da trattare con cura legale: i piani dovranno includere attestazioni rigorose sulla convenienza per l’erario.
Effetti su garanzie e contratti: In una fase di trattativa stragiudiziale, i creditori garantiti (p.es. ipotecari) conservano le loro cause legittime di prelazione. La composizione negoziata, se accompagnata da misure protettive, impedisce loro di escutere la garanzia temporaneamente, ma non li degrada di rango. Se poi si va in concordato, staranno nelle classi privilegiate con diritto al rispetto del grado (salvo parziali degradazioni per incapienza su stima beni).
I contratti pendenti: in composizione negoziata non c’è una norma come l’automatic stay che impedisca risoluzioni contrattuali per insolvenza (diverso dal Chapter 11 USA). Però il DL 118/21 prevedeva che eventuali clausole di risoluzione automatica dei contratti per mera presentazione dell’istanza di composizione negoziata sono nulle. Quindi, un fornitore non può risolvere il contratto con la scusa che l’azienda ha attivato la composizione (clausole ipso facto invalide, analogamente all’art. 169-bis L.F.). L’art. 19 co.5 CCII sancisce questa nullità. Quindi c’è una protezione simile a quella del concordato anche qui.
In conclusione, dal punto di vista concorsuale, la composizione negoziata e gli altri strumenti vanno maneggiati in modo da:
- Non ledere (o solo nei limiti consentiti) la par condicio, per non incorrere in revocatorie o reati.
- Preservare la massa attiva il più possibile per il caso negativo (fallimento). Ciò comporta un delicato equilibrio: spendere quello che serve per salvarsi, ma non dissipare inutilmente risorse se appare inevitabile la fine.
- Documentare tutte le scelte: l’esperto e gli amministratori dovrebbero poter dimostrare ex post che ogni pagamento, ogni scelta, erano funzionali al tentativo di risanamento e non fatti di nascosto.
5.3 Profili penali: reati fallimentari e altri illeciti
La crisi d’impresa può far emergere una serie di condotte penalmente rilevanti, in particolare quelle contemplate dal diritto penale fallimentare (bancarotta fraudolenta o semplice, preferenziale) e altri reati societari o tributari connessi. Analizziamo i rischi e le mitigazioni offerte dagli strumenti di composizione:
Reati di bancarotta (post-fallimentare): I reati di bancarotta si configurano solo in caso di dichiarazione di fallimento o liquidazione giudiziale. Se l’impresa riesce a evitare la liquidazione giudiziale (fallimento) tramite un concordato omologato o altro, i reati di bancarotta non scatteranno affatto. Tuttavia, è utile considerare la fase antecedente: molte condotte tipiche (distrazioni di beni, false scritture contabili, pagamenti preferenziali) se compiute in tempo di crisi, divengono punibili come bancarotta fraudolenta patrimoniale (per distrazione) o bancarotta documentale o preferenziale nel momento in cui la procedura concorsuale viene aperta.
Ad esempio:
- L’amministratore che ha distratto somme o beni sociali (magari per portarle all’estero o verso se stesso) e poi la società fallisce, risponde di bancarotta fraudolenta patrimoniale. Questo reato prescinde dall’utilizzo o meno di composizione negoziata. Certo, se durante la composizione l’esperto se ne accorge, potrebbe segnalarlo portando potenzialmente all’apertura di un’istanza di fallimento con denuncia al PM.
- Se in prossimità del fallimento l’amministratore “occulta” o non tiene le scritture, può essere bancarotta fraudolenta documentale.
- Se effettua pagamenti preferenziali a qualche creditore in danno di altri, finisce nella bancarotta preferenziale.
Esimenti o attenuanti collegate agli strumenti di risanamento: La legislazione prevede alcune ipotesi in cui atti altrimenti penalmente rilevanti non vengono puniti:
- L’art. 217-bis della vecchia legge fallimentare (ripreso in CCII art. 324) stabiliva la non punibilità di alcune condotte di bancarotta semplice: in particolare, non sono punibili come bancarotta semplice o preferenziale i pagamenti e le operazioni compiute in esecuzione di un concordato preventivo omologato, di un accordo di ristrutturazione omologato o di un piano attestato pubblicato. L’idea è: se hai seguito una procedura regolare e trasparente, i pagamenti preferenziali che ne fanno parte non sono criminosi. Ad esempio, pagare un fornitore strategico su autorizzazione del giudice in concordato non ti porta in tribunale penale.
- Per la composizione negoziata, questa esimente non è scritta esplicitamente, ma attraverso l’accordo ex art.23 comma 1(c) – sottoscritto anche dall’esperto – si rende applicabile l’art. 67 co.3 lett.d L.F. (ora 166 CCII) e l’art. 324 CCII, quindi quell’accordo funge da scriminante per eventuali pagamenti in esso previsti. In altre parole, se l’esperto controfirma un accordo che dice “pagherò interamente Tizio subito e Caio dopo”, quell’adempimento non sarà punito come preferenziale.
Al di fuori di queste fattispecie, però, occorre prudenza massima: se l’imprenditore compie atti fraudolenti confidando di “farla franca” perché tenta la composizione, sbaglia. L’esperto deve denunciare eventuali reati di cui viene a conoscenza (non vi è segreto professionale in tal senso, e inoltre eventuale omessa vigilanza su condotte fraudolente lo esporrebbe a complicazioni). Quindi, un consiglio pratico è: durante la crisi, operare con trasparenza e pulizia; evitare di fare favoritismi nascosti; non nascondere scritture (anzi fornire all’esperto e poi ad eventuali organi concorsuali tutti i libri contabili ben ordinati).
False comunicazioni e altri reati societari: Spesso in crisi c’è la tentazione di abbellire i bilanci o fornire informazioni false per ottenere fiducia. Ma le false comunicazioni sociali (bilancio falso) restano reato anche se fatte per “coprire” la crisi. Inoltre, fornire dati falsi all’esperto negoziatore o attestatore potrebbe configurare reati come la falsità in perizia (se l’attestatore è indotto in errore, c’è concorso in falso) o tentativi di truffa ai creditori.
L’art. 19, co. 2 CCII punisce espressamente con una sanzione amministrativa (non penale) il debitore che nella composizione negoziata omette o falsifica le informazioni dovute all’esperto, ma se dalla falsità deriva un danno rilevante ai creditori, si può persino ipotizzare una truffa aggravata.
Reati tributari: L’accumulo di debiti fiscali può far incorrere in reati come l’omesso versamento IVA (art.10-ter D.Lgs. 74/2000) se supera soglia (250k euro) o l’omesso versamento ritenute. La pendenza di una procedura di risanamento non esclude la punibilità di questi reati, ma in passato erano previste cause di non punibilità se il debito veniva estinto (anche tramite accordo). Ad esempio, il pagamento integrale del debito IVA prima della dichiarazione apertura dibattimento estingue il reato. Se l’impresa inserisce quel debito in un concordato e lo paga almeno in misura non inferiore a quanto otterrebbero (a volte la giurisprudenza ha discusso se il concordato con pagamento parziale estingua il reato – orientamento prevalente: serve pagamento integrale o accordo esattivo come transazione fiscale omologata). Il D.Lgs. 136/2024, nella delega fiscale, mirava anche a chiarire questo: potrebbe arrivare una modifica che renda l’omologa del concordato con transazione fiscale causa di non punibilità per quei reati di omesso versamento, ma al momento occorre cautela.
Responsabilità degli organi di controllo: I sindaci e revisori possono incorrere in reati omissivi se, ad esempio, non segnalano illeciti. In crisi, i sindaci devono vigilare sul dovere degli amministratori di attivarsi. Se non lo fanno e c’è bancarotta, talvolta si è contestato il concorso omissivo (non impedito reato). Normativa attuale prevede che i sindaci segnalino formalmente all’organo amministrativo i sintomi di crisi (art. 15 CCII sulle segnalazioni d’allerta interna, un obbligo attenuato rispetto all’originaria norma poi abolita). L’allerta interna oggi è volontaria: i sindaci “possono” invitare ad attivare composizione, non sono più sanzionati se non lo fanno. Ma per loro tutela, dovrebbero farlo per iscritto. Così evitano di essere accusati di omessa vigilanza.
Correlazione con le condotte nel periodo protetto: se l’impresa ha misure protettive attive e qualcuno le viola (ad esempio un creditore sequestra beni ignorando lo stay), ciò può costituire reato di inosservanza di provvedimento del giudice (art. 388 c.p.), e comunque il giudice potrebbe annullare l’atto. Non c’è una norma penale dedicata, ma il giudice può intervenire d’ufficio per bloccare quell’azione (anche il PM può chiedere provvedimenti).
Conseguenze penali di soluzioni negoziate fallite: Un imprenditore che, in malafede, avvia la composizione negoziata solo per guadagnare tempo e spogliarsi di beni potrebbe incorrere in bancarotta fraudolenta per distrazione e in un’aggravante di aver cagionato ritardo nel fallimento. Il giudice penale valuta negativamente l’abuso degli strumenti. Diversamente, chi in buona fede tenta un accordo e non riesce, poi collabora con il curatore, può sperare in attenuanti, e comunque ha evitato di commettere reati preferenziali grazie al contesto protetto.
Esempio: Un caso pratico fu quello di un amministratore che durante trattative di risanamento fece bonifici a una società estera di famiglia. Al fallimento fu imputato per bancarotta fraudolenta (distrazione di fondi). Il fatto che stesse in trattativa non lo scusò affatto, anzi peggiorò la valutazione morale. Quindi la lezione è: usare le procedure di crisi come scudo per fare i furbi è estremamente pericoloso e controproducente. Al contrario, utilizzarle correttamente può proteggere da accuse: se devi vendere un bene sottoprezzo come parte di un piano concordato, non sarà reato (perché c’è autorizzazione e l’atto è per l’interesse della massa).
Responsabilità penale dell’esperto e dei professionisti: Anche l’esperto negoziatore deve stare attento a non oltrepassare ruoli: se ad esempio colludesse con l’imprenditore per frodare i creditori, rischierebbe concorso in bancarotta o truffa. Idem l’attestatore che rilascia attestazione falsa: risponde penalmente (reato di falso in attestazioni ex art. 236-bis L.F. ora 341 CCII). Ci sono già stati casi di attestatori condannati. Quindi i professionisti indipendenti hanno anche un ruolo di “vigilanti” anticrimine: un esperto accorto, se percepisce condotte illecite (es: patrimoni distratti, falsi in bilancio), può sollecitare l’imprenditore a rientrare nella legalità, e in casi gravi può arrivare a rinunciare all’incarico segnalando la cosa alle autorità (magari tramite il Presidente Tribunale se misure protettive in corso).
In conclusione, il binomio crisi-reati è strettissimo: molte bancarotte sono generate proprio nel periodo di gestazione della crisi. Il Codice della Crisi ha cercato di creare un ambiente in cui, se l’imprenditore sceglie la via concordata e trasparente, vede ridursi i rischi penali (grazie a esoneri come art.324 CCII). Invece, se persevera in opacità e spoliazioni, i rischi aumentano esponenzialmente. Un comportamento collaborativo, sincero e rispettoso delle regole durante la composizione negoziata e le procedure successive non solo favorisce un miglior esito economico, ma è anche la migliore strategia di difesa contro possibili incriminazioni.
5.4 Aspetti fiscali e tributari
La dimensione fiscale riveste un’importanza cruciale nella gestione della crisi d’impresa, sia perché spesso l’Erario è uno dei creditori principali (debiti IVA, ritenute, imposte varie, contributi previdenziali), sia per gli effetti fiscali che derivano da operazioni di riduzione del debito e cessione di beni. Vediamo i punti chiave:
Debiti tributari e contributivi nella crisi:
- I debiti verso l’Erario e gli enti previdenziali godono normalmente di privilegio (privilegio generale sui mobili o speciale se ruoli), quindi in una procedura concorsuale sono crediti “difficili” da comprimere (specie IVA e ritenute non sono falcidiabili senza consenso). Nella composizione negoziata, come evidenziato, il debitore può includere l’Agenzia delle Entrate-Riscossione e gli enti in trattativa; tuttavia l’accordo stragiudiziale con il Fisco non produce effetti se non viene poi formalizzato. L’esperto può aiutare l’impresa a presentare istanze di rateazione per i carichi pendenti (ad esempio l’Agenzia può concedere piani di dilazione ordinari fino a 6 anni ex DPR 602/73). In certi casi l’impresa può anche proporre una transazione fiscale stragiudiziale: ad oggi, però, la transazione fiscale vera e propria è normata solo in concordato preventivo e accordi omologati. Ciò che è possibile fare privatamente è un accordo transattivo adesivo se l’ente lo accetta caso per caso (spesso no, senza un contesto di procedura).
- Con il terzo correttivo 2024, come accennato, è stata data facoltà di includere nel pacchetto transattivo anche tributi locali (comuni, regioni), che prima restavano fuori (i comuni non potevano legalmente ridurre sanzioni o capitale se non in procedure concorsuali). Ora possono partecipare a un accordo di ristrutturazione o concordato con la stessa logica di vantaggio comparativo.
Interessi e sanzioni durante la procedura:
- Uno dei benefici premiali in composizione negoziata (art. 25-bis CCII) è la riduzione alla misura legale degli interessi sui debiti tributari maturati dall’accettazione dell’incarico dell’esperto fino alla conclusione della procedura. Il tasso legale è molto inferiore al tasso di mora fiscale (es. 5-6%). Questo vuol dire che se prima di avviare la composizione l’impresa aveva imposte non pagate, per tutto il periodo delle trattative gli interessi su quelle imposte correranno solo al tasso legale (oggi ~5%), generando un risparmio (lo Stato rinuncia a penalizzare con tasso alto chi sta provando a risanarsi). Occorre l’adempimento pubblicitario: la pubblicazione dell’istanza con accettazione esperto attiva di fatto questo beneficio su tributi erariali e locali.
- Sulle sanzioni tributarie, in un concordato preventivo con transazione fiscale, normalmente c’è il dimezzamento o annullamento secondo le normative. In accordi omologati idem, si possono ridurre. In sede stragiudiziale pura, invece, le sanzioni restano dovute salvo accordo ad hoc. Quindi, se un’impresa paga tardivamente durante composizione, le sanzioni per tardivo versamento potrebbero maturare ma poi, se risolve con accordo, spesso l’ente le annulla o riduce volontariamente al minimo (non obbligato, ma può se regolarizzi spontaneamente).
Trattamento fiscale delle riduzioni di debito:
- Un punto critico è la cosiddetta sopravvenienza attiva da esdebitazione. Quando un creditore rinuncia a una parte del suo credito (ad es. accetta il 70% di stralcio), dal punto di vista del debitore civilisticamente è un guadagno: riduzione passività = incremento patrimonio netto, che il TUIR considererebbe sopravvenienza attiva tassabile (art. 88 TUIR). Questo sarebbe un paradosso: un’impresa esce dalla crisi con fatica e lo Stato la tassa pure sul debito condonato, prosciugandola. Perciò, da tempo esistono esenzioni:
- L’art. 88 comma 4-ter del TUIR dispone che non concorrono a formare reddito le sopravvenienze derivanti da piani attestati pubblicati, da accordi di ristrutturazione omologati e da concordati preventivi omologati. Inoltre, dal 2020 include anche quelle da accordi transattivi fiscali ex art.182-ter L.F. (ora art.63 CCII). Quindi, se la riduzione di debito avviene in uno di questi contesti formali, l’impresa non paga IRPEF/IRES su quei importi.
- E per la composizione negoziata? Qui rileva il caso del contratto ex art. 23 comma 1 lett. a) CCII firmato con creditori, se ritenuto idoneo dall’esperto a assicurare continuità 2 anni. L’art. 25-bis CCII stabilisce che le riduzioni di debito previste in tale contratto, se viene iscritto presso il Registro Imprese entro 30 giorni, non concorrono a formare il reddito imponibile. In pratica equipara quell’accordo privato (che ha il placet dell’esperto) a un accordo di ristrutturazione omologato ai fini fiscali. Dunque, l’impresa ottiene l’esenzione d’imposta anche qui. Questa è un’agevolazione notevole: spinge il debitore a pubblicare l’accordo (perdendo riservatezza) in cambio della non tassabilità dello stralcio. Se il debitore preferisse tenere l’accordo segreto, pagherà le imposte sulla quota condonata.
- Da notare: l’esenzione fiscale copre anche l’IRAP (l’agenzia Entrate ha chiarito che tali sopravvenienze non sono imponibili nemmeno ad IRAP, coerentemente).
- Resta imponibile invece la parte eventualmente imputabile a remissione infragruppo (se la riduzione avviene tra società correlata e debitrice, c’è specifica disciplina di neutralità/spesa a seconda dei casi per evitare arbitraggio, ma questo è dettaglio tecnico).
IVA su cessioni di beni in concordato: La vendita di beni in concordato o in esecuzione di un piano di risanamento è soggetta a IVA come operazione normale (non c’è esenzione solo perché vendi in procedure). Però, se l’attivo viene liquidato in fallimento, spesso i creditori non incassano l’IVA sulle vendite perché quell’IVA va allo Stato e riduce l’attivo. Nel concordato in continuità, l’azienda prosegue e versa IVA come di consueto.
Utilizzo di perdite fiscali: Spesso l’impresa in crisi ha grosse perdite pregresse e interessi indeducibili accumulati. Tali perdite fiscali possono essere utilizzate per compensare futuri redditi se l’impresa risana. Attenzione: la remissione dei debiti è una sopravvenienza attiva non tassata (per esenzione) però va a ridurre le perdite fiscali pregresse in proporzione (meccanismo di recapture): il TUIR dice che se non tassata per quell’esenzione, devi abbattere eventuali perdite ed interessi indeducibili portati a nuovo. Quindi l’impresa esdebitata di 1 milione, con perdite pregresse di 2 milioni, perderà 1 milione di perdite. In sostanza lo Stato si “riprende” il beneficio fiscale perso riducendo la dote di perdite riportabili. Questo per evitare doping: l’impresa non può sia non pagare tasse sullo stralcio, sia mantenere intatte le perdite.
Tuttavia, se quell’impresa aveva perdite e i soci nuovi conferiscono e ne prendono il controllo, attenzione anche alle regole anti-elusione sulle perdite (art. 172 c.7 TUIR: cambio controllo e attività può far decadere perdite, salvo test di Vitalità etc. Il concordato esdebitativo di per sé è esimente da decadenza perdite, c’è norma speciale che salva perdite in caso di concordato omologato senza cambiare attività).
Crediti fiscali e contributivi: Spesso un’impresa in crisi ha anche crediti verso l’Erario (es. crediti IVA) o versamenti in compensazione. Durante la composizione negoziata, può continuare a usarli per compensare debiti correnti, compatibilmente con eventuali vincoli su ruoli scaduti (infatti se ha debiti iscritti a ruolo >5k scaduti, non potrebbe compensare crediti fiscali, salvo dilazionarli). L’esperto può suggerire di chiedere rimborso crediti IVA per generare cassa. Queste operazioni vanno condotte con rigore formale (presentare modelli F24 regolari, non usare compensazioni non consentite che sarebbero indebite, reato art.10-quater D.Lgs.74 se >50k).
Aspetti contabili: In bilancio, finché l’accordo non è perfezionato, il debito va mantenuto al valore nominale (non si può stornare solo perché c’è bozza di accordo). Dopo l’omologa dell’accordo o la sottoscrizione definitiva, si rileva la sopravvenienza corrispondente (che come detto fiscalmente esente se rispetto requisiti). Per trasparenza, le società in bilancio devono segnalare in Nota integrativa se è in corso una procedura di composizione negoziata o di concordato (evento rilevante post esercizio).
Verifiche fiscali durante la crisi: Non è inusuale che imprese in difficoltà subiscano accessi o verifiche. Il fatto di essere in composizione negoziata non blocca l’Agenzia Entrate da fare un controllo (non è come nel fallimento dove c’è spossessamento e contabilità in mano curatore). Anzi, se c’è odore di evasione, la GDF potrebbe intensificare controlli. L’imprenditore deve cooperare: un processo verbale di constatazione con rilievi potrebbe portare a un avviso di accertamento e far nascere un nuovo debito fiscale, quindi peggiorare la crisi. In tal caso, la strategia potrebbe includere la definizione agevolata (se c’è rottamazione cartelle, etc. – ad esempio, ultimamente rottamazione-quater: se un’impresa in crisi vi aderisce, deve però rispettare i pagamenti per stare in regola, non facile).
Restructuring e strumenti finanziari: A volte si attuano aumenti di capitale con compensazione crediti, emissione di strumenti partecipativi al posto di crediti (debt-equity swap). Fiscalmente, se un creditore scambia un credito con una quota di capitale, quell’operazione non genera imponibili immediati per il debitore (per il creditore potrebbe generare perdita deducibile entro limiti). Sono manovre da valutare con attenzione anche per imposte indirette (il passaggio di proprietà eventuale di asset ha imposte di registro, IVA, ecc.).
Imposte indirette sulle procedure: L’imposta di registro per atti di concordato omologato, ad esempio, è fissa, non proporzionale. Lo stesso per il decreto di omologa accordo: 200 euro. Questo è un vantaggio per trasferimenti immobiliari decisi in concordato (si paga poi imposta ipocatastale usuale). In accordi stragiudiziali, invece, vendere un immobile sconta registro 9% (se non IVA). Quindi, curiosamente, vendere un capannone dentro un concordato liquida paghi imposta fissa 200 + ipocatastali, vendendolo fuori dovresti 9% (ma se vendi mentre in comp. negoz. e poi quell’atto confluisce in accordo? un po’ borderline, direi si paga imposta come atto singolo). Dunque a volte conviene fare le cessioni di asset all’interno di una procedura concorsuale per risparmio di imposte indirette.
Riepilogo pratico: l’imprenditore deve:
- Coinvolgere presto i consulenti fiscali nelle trattative (capire quali debiti tributari si possono trattare e come).
- Sfruttare le agevolazioni (riduzione interessi legali, non tassabilità stralci).
- Non trascurare adempimenti correnti: durante la composizione, se possibile, pagare gli F24 correnti per non aggravare la posizione (ricordando che la moratoria protegge da esecuzioni ma non ferma il maturare di nuove imposte).
- Prevedere nel piano o accordo un trattamento specifico per il Fisco: es. pagamento integrale ma dilazionato e senza sanzioni, oppure stralcio parziale con ragionata convenienza.
5.5 Aspetti giuslavoristici (rapporti di lavoro e ammortizzatori sociali)
La crisi d’impresa ha inevitabilmente riflessi sui lavoratori: possibili esuberi, ritardi nel pagamento di stipendi, necessità di interventi di sostegno al reddito. Affrontare la crisi tenendo conto della normativa del lavoro è essenziale sia per rispettare i diritti dei dipendenti sia per ottenere il consenso sociale (importante anche in sede di concordato, dove i creditori-lavoratori votano e hanno privilegi su TFR e retribuzioni).
Conservazione dei posti di lavoro vs esuberi:
- Negli strumenti come la composizione negoziata e il concordato in continuità, c’è l’obiettivo di salvaguardare il più possibile la continuità aziendale e quindi l’occupazione. Tuttavia, se il risanamento richiede la riduzione del personale, vanno seguite le procedure di legge: licenziamenti collettivi (L. 223/91) se gli esuberi sono almeno 5 in 120 giorni in aziende con >15 dipendenti. Ciò comporta obbligo di informativa sindacale e tentativo di accordo sindacale sulla mobilità.
- Durante la composizione negoziata, se l’impresa individua la necessità di ridurre organico, può comunque avviare le consultazioni con i sindacati. Non vi sono divieti: le misure protettive bloccano azioni esecutive, ma non impediscono la gestione del personale. Certo, licenziamenti in quella fase potrebbero generare tensioni e far perdere supporto (es. se i dipendenti fanno causa per stipendi, ma quelle cause sarebbero sospese come azioni esecutive).
- Nel concordato preventivo in continuità, la legge prevede all’art. 189 CCII una procedura semplificata per la consultazione sindacale in caso di trasferimento d’azienda o di attuazione di piani che incidono sui rapporti di lavoro: entro 30 giorni dall’omologa, se c’è cessione, va aperta consultazione sindacale ex art. 47 L. 428/1990. In pratica, se il piano prevede di affittare o vendere l’azienda riducendo organico, bisognerà coinvolgere i sindacati e cercare accordi su chi passa col nuovo acquirente e chi no (in via ordinaria, art. 2112 c.c. tutela la continuità dei contratti di lavoro in caso di trasferimento e rende nulli i licenziamenti economici motivati solo dal trasferimento; tuttavia nelle procedure concorsuali è possibile una deroga condizionata: l’acquirente concordatario può decidere quali lavoratori assumere, con accordo sindacale e autorizzazione ministeriale, salvaguardando comunque i loro crediti – art. 47 cit.).
- Un caso: in un concordato con cessione di ramo d’azienda, l’azienda cessionaria poteva non assumere tutto il personale, ma doveva trattare con i sindacati su criteri e incentivi all’esodo per quelli esclusi. Il tribunale può autorizzare la cessione “libera” da obbligo di assumere tutti (specie in ambito concorsuale c’è maggiore flessibilità su 2112 c.c., come riflesso in provvedimento citato in composizione negoziata: art. 22 CCII consente l’affitto/cessione d’azienda in composizione negoziata in deroga all’art. 2560 comma 2 c.c., ma ferma restando la disciplina dei rapporti di lavoro ex 2112 c.c. – notiamo che qui in comp. negoz. non deroga al 2112, quindi l’acquirente comunque risponde dei rapporti di lavoro in essere. In concordato liquidatorio, invece, il giudice può anche disapplicare 2112 in parte, con accordi).
Retribuzioni e TFR come crediti privilegiati:
I lavoratori dipendenti in caso di insolvenza hanno:
- Crediti di lavoro maturati (stipendi degli ultimi mesi, ratei di TFR, ferie): questi sono crediti privilegiati di alto grado (privilegio generale sui mobili ex art. 2751-bis n.1 c.c.). Ciò significa che in un fallimento saranno pagati prima di gran parte degli altri creditori chirografari, entro il limite del privilegio.
- TFR (trattamento di fine rapporto): anch’esso privilegiato, ma se l’impresa fallisce e non ci sono fondi, i dipendenti possono attivare il Fondo di Garanzia INPS che paga TFR e ultime tre mensilità di retribuzione. Se invece c’è un concordato, i dipendenti di norma vedono i loro crediti soddisfatti integralmente (spesso come condizione di fattibilità).
- Nella composizione negoziata, l’imprenditore dovrebbe cercare di mantenere correnti i pagamenti stipendi, ma se manca liquidità può accumulare arretrati. Non c’è un potere dell’esperto di imporre pagamenti ai dipendenti, ma chiaramente se la forza lavoro non viene pagata, è difficile proseguire. In casi estremi, i lavoratori non pagati potrebbero chiedere ingiunzioni (che sarebbero sospese se misure protettive attive, altrimenti no).
- Un risultato comune di accordi di ristrutturazione è che i debiti verso dipendenti vengono pagati per intero appena arriva nuova finanza o all’omologa, perché moralmente e praticamente i dipendenti devono essere motivati ad andare avanti. Spesso si tratta come creditori strategici al pari dei fornitori essenziali.
Ammortizzatori sociali: Lo Stato mette a disposizione strumenti come la Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria (CIGS) per crisi aziendale. Ad esempio, un’azienda in concordato con continuità può chiedere la CIGS per crisi o riorganizzazione, presentando un piano concordatario approvato. Le normative speciali (D.Lgs. 148/2015 e successive modifiche) prevedono la CIGS anche in caso di concordato o accordo di ristrutturazione, per un max di 12 mesi. Nel 2022, col D.L. 4/2022 convertito, fu temporaneamente possibile richiedere CIGS per aziende che presentavano domanda di concordato in continuità o che erano in composizione negoziata, senza necessità di specifiche causali, per facilitare la transizione.
Nel 2025, la Legge di Bilancio 2023 (L.197/2022) ha rifinanziato misure di sostegno per aziende in crisi: per esempio, la cosiddetta “CIGS per cessazione” può essere concessa per 12 mesi se l’azienda tenta vendita (spesso usata in amministrazione straordinaria), e la “CIGS per accordo di ristrutturazione” se c’è un serio piano di risanamento (questo allineato con 2019/1023).
Pertanto, un imprenditore in composizione negoziata con calo di lavoro può, con accordo sindacale, chiedere la CIGS per crisi in deroga (attualmente c’è un fondo 2022-2023 per questo, occorre verificare la normativa 2024).
La composizione negoziata in sé non attiva ammortizzatori, ma può essere la sede in cui proporre ai sindacati un utilizzo di Cassa per evitare licenziamenti immediati. Se c’è accordo, l’istanza va al Ministero del Lavoro.
Trattamento dei crediti contributivi: INPS e INAIL come creditori per contributi non versati hanno privilegio e devo essere considerati come il Fisco. C’è il Fondo di Garanzia INPS che paga anche alcuni contributi se i TFR e ultime mensilità sono a carico del Fondo (questo poi surroga e diventa creditore). Nelle procedure, questi crediti contributivi possono essere oggetto di transazione fiscale (contributiva) come i tributi: ridurre sanzioni e interessi e persino quota parte contributi se il piano dà di più del fallimento.
Coinvolgimento dei sindacati e creditori-lavoratori: Va sottolineato che, mentre i fornitori ragionano in termini finanziari, i sindacati ragionano su occupazione. Un buon piano di risanamento deve cercare l’appoggio anche delle rappresentanze dei lavoratori: avere i dipendenti cooperativi può fare la differenza, specialmente in continuità. Ad esempio, potrebbero accettare una temporanea riduzione di orario (contratti di solidarietà) per ridurre costi lavoro, in attesa del risanamento. Ciò è possibile con accordo sindacale e accesso a CIGS per solidarietà che integra la paga. Queste soluzioni, se ben spiegate, spesso sono preferibili a licenziamenti secchi.
Effetti psicologici e comunicazione interna: Non va trascurato l’aspetto umano: quando un’azienda entra in composizione negoziata (specie se notizia diventa pubblica per misure protettive), i lavoratori possono spaventarsi circa il futuro del loro posto. Una gestione trasparente della comunicazione – compatibilmente con la riservatezza – è importante. Molte imprese in quella fase organizzano riunioni con i dipendenti per spiegare che la situazione è difficile ma c’è un percorso di risanamento e tutti devono contribuire.
Dal punto di vista giuridico, i dipendenti non hanno potere decisionale sugli accordi coi creditori, ma hanno potere di determinare il successo operativo del piano. Quindi includerli nel processo (almeno informandoli o consultandoli) riduce conflittualità (scioperi, cause).
Precedenza nel pagamento dei lavoratori in concordato: Spesso i tribunali, nel dare autorizzazioni a pagamenti in pendenza di concordato (cosiddette spese in prededuzione ante omologa), autorizzano il pagamento delle retribuzioni arretrate subito per ovvie ragioni sociali. Ciò crea prededuzione per quei pagamenti. Anche nella composizione negoziata, l’art. 10 D.L.118 prevedeva che l’imprenditore potesse richiedere al tribunale di autorizzare il pagamento di crediti anteriori di specifici fornitori indispensabili o di lavoratori su giustificata causa (simile all’art. 100 e 101 CCII sul concordato). Questo consente di ridurre tensioni (ad esempio, pagare subito gli stipendi arretrati appena ottenuta finanza ponte, per ripristinare la normalità). Naturalmente, questi pagamenti autorizzati non costituiscono reato preferenziale e di solito integrano condizione di efficacia del piano (soddisfatti i privileg i generali).
Responsabilità penale e contributiva verso i lavoratori: Da segnalare che il mancato versamento di ritenute previdenziali oltre soglia è reato (art. 2 L. 638/83) se >€10k annui non versati; l’omesso versamento di stipendi non è reato di per sé (ma può portare a ingiunzioni). Il datore in crisi deve comunque consegnare ai dipendenti il CU annuale (certificazione unica) includendo eventuali compensi non pagati? Fiscalmente, per competenza, vanno indicati solo se esigibili e non pagati per incapienza di mezzi (questo è complicato, ma in genere si dichiara per cassa se non pagati entro termini di legge). Comunque, l’azienda in procedura dovrebbe assolutamente regolarizzare i contributi se possibile, anche mediante dilazioni con INPS, sennò gli amministratori possono avere responsabilità patrimoniale verso dipendenti per danno da omessi contributi (ad es., se un dipendente non riceve contributi, e l’INPS non copre tutte le lacune per prestazioni, può rivalersi).
Riassumendo, sul fronte del lavoro, la gestione della crisi richiede:
- Rispetto delle normative sui licenziamenti e trasferimenti: procedure corrette e, se possibile, accordi sindacali per ridurre conflitti e cause.
- Uso intelligente di ammortizzatori sociali: cassa integrazione, contratti solidarietà, ecc., per mantenere in vita il personale in vista di tempi migliori, con costi ridotti per l’impresa.
- Pagamento (anche parziale) dei lavoratori preferibilmente per tempo: se devi scegliere chi pagare, paga prima stipendi e contributi correnti (anche moralmente), poi i fornitori, benché giuridicamente i fornitori chirografari siano di rango inferiore ai dipendenti privilegiati, pragmaticamente serve tenere operativi i dipendenti e i fornitori critici.
- Attenzione alla comunicazione e coinvolgimento: informare correttamente i dipendenti e, dove ci sono RSA/RSU (rappresentanze sindacali), tenerle aggiornate, anche perché in procedure formali è obbligo depositare un rapporto sulla situazione occupazionale e su eventuali accordi sindacali.
Abbiamo così coperto i principali aspetti giuridici multi-disciplinari che accompagnano la figura dell’esperto negoziatore e le procedure di crisi. La crisi d’impresa è un fenomeno globale sull’azienda, che tocca diritto societario, concorsuale, penale, fiscale e del lavoro insieme: una guida per avvocati e imprenditori deve considerare tutti questi elementi, perché un piano di risanamento di successo è quello che tiene conto di ogni vincolo legale per essere sostenibile e scevro da future contestazioni.
6. Esempio pratico di composizione negoziata: caso azienda “Alfa”
(In questa sezione presenteremo una simulazione concreta per illustrare come opera nella pratica l’esperto negoziatore e quali decisioni possono emergere, integrando gli aspetti teorici fin qui esposti.)
Scenario: L’azienda Alfa S.r.l. è una PMI manifatturiera con 40 anni di attività, 50 dipendenti, operante nel settore metalmeccanico. Negli ultimi anni ha accumulato perdite a causa della contrazione degli ordini e dell’aumento dei costi delle materie prime. Al 31/12/2024 presenta un patrimonio netto quasi azzerato (perdite che intaccano il capitale sociale di €100.000), debiti per €500.000 verso banche (scoperti e mutui), €300.000 verso fornitori e €200.000 verso il fisco (IVA non versata e contributi). Nel gennaio 2025 l’amministratore unico, conscio della situazione critica, decide di attivare la composizione negoziata per tentare di salvare l’impresa.
Avvio e nomina: L’amministratore compila l’istanza tramite la piattaforma online, allegando gli ultimi due bilanci, l’elenco dei creditori e una bozza di piano industriale di massima (che prevede la ricerca di un socio finanziatore e la dismissione di un capannone inutilizzato). La CCIAA nomina entro pochi giorni l’esperto, il dott. Rossi, commercialista con esperienza di ristrutturazioni aziendali. Rossi accetta l’incarico dopo aver verificato di non aver conflitti con Alfa né coi suoi creditori principali.
Valutazione iniziale: L’esperto Rossi esamina i documenti. Nota che Alfa ha ancora un portafoglio ordini discreto, ma è a corto di liquidità e alcuni fornitori chiave minacciano di sospendere le forniture per arretrati. Senza materie prime, la produzione si fermerebbe. Rossi convoca subito l’amministratore e compie un sopralluogo in azienda. Conclude che vi è una prospettiva di risanamento in continuità, ma solo se si ottiene nuova finanza per €200.000 circa per pagare fornitori critici e se si riducono i costi del personale (ci sono forse 10 dipendenti in esubero per calo produttivo). Individua inoltre come possibile la vendita di un capannone secondario, valutato ~€150.000, per generare cassa.
Rossi quindi conferma la perseguibilità del risanamento. Suggerisce però di attivare subito due cose: (a) richiedere le misure protettive per bloccare possibili azioni esecutive (sa che un fornitore ha già ottenuto decreto ingiuntivo e minaccia pignoramento); (b) chiedere al tribunale l’autorizzazione urgente a pagare alcuni fornitori strategici (in particolare uno che fornisce componenti essenziali, credito €50k) e a stipulare un contratto di finanziamento ponte con un istituto che si è detto disponibile, per €100k, da restituire a fine piano. L’amministratore concorda.
Misure protettive: Alfa, tramite la piattaforma, chiede le misure protettive all’atto stesso della nomina. L’istanza e l’accettazione dell’esperto sono iscritte d’urgenza nel Registro Imprese. Ciò comporta due effetti immediati: i creditori vengono a conoscenza (dall’iscrizione) che Alfa è in composizione negoziata e soggetta a protezione; inoltre, scatta la riduzione degli interessi sui debiti fiscali al tasso legale. Rossi aiuta l’impresa a depositare in Tribunale, il giorno seguente, il ricorso per la conferma delle misure protettive. Il giudice fissa in breve un’udienza camerale, dove ascolta l’amministratore e l’esperto (che relaziona sulla situazione). Viene emesso un decreto che conferma la sospensione di tutti i pignoramenti, fermi amministrativi e azioni cautelari da parte dei creditori di Alfa per 4 mesi. Ciò salva l’azienda dal rischio immediato di vedersi pignorare il conto dalla banca creditrice o i macchinari dal fornitore col decreto ingiuntivo.
Svolgimento trattative: Protetta dallo stay, Alfa può concentrarsi sulle soluzioni. L’esperto organizza un incontro con i creditori principali: convoca in Camera di Commercio:
- la banca AlfaCredit (esposizione €300k, di cui €100k scoperto revocabile),
- due fornitori strategici (debiti €80k e €50k),
- Agenzia delle Entrate e INPS (debiti tributari €150k e contributi €50k),
- i rappresentanti sindacali dei lavoratori (dato che prevede impatto sull’occupazione),
- un investitore locale contattato dall’imprenditore (interessato forse a entrare in società per rilevarne una quota).
All’incontro, Rossi illustra onestamente la situazione: spiega che l’azienda ha buone prospettive di ordini, ma necessita di:
- uno stralcio dei debiti pregressi o loro conversione in capitale,
- un taglio dei costi (purtroppo, riduzione di almeno 8 dipendenti),
- nuove risorse finanziarie (circa €200k).
Propone un possibile schema di accordo: l’investitore sarebbe disposto a mettere €200k a fronte di un 60% delle quote sociali; la banca convertirebbe €150k di credito in una partecipazione del 20% (quindi rinuncerebbe a quella parte di credito, ma diventerebbe socia); i restanti crediti bancari €150k verrebbero rimborsati in 5 anni con interessi ridotti al tasso legale; i fornitori strategici verrebbero pagati al 60% del dovuto, con pagamento immediato del 30% grazie alla finanza ponte e un ulteriore 30% entro 12 mesi; i fornitori residuali (altri €170k di debiti sparsi) verrebbero onorati al 30% in 2 anni; il Fisco acconsentirebbe a stralciare sanzioni e interessi e a rateizzare il capitale imposta in 5 anni; l’INPS farebbe similmente. Infine, la vendita del capannone per ~€150k servirebbe a pagare TFR e incentivi per i lavoratori in esubero.
I creditori ascoltano. La banca appare possibilista sulla conversione parziale, perché altrimenti teme di perdere tutto in fallimento (il privilegio ipotecario che aveva su capannone copre solo €100k, il resto è chirografo). L’Agenzia Entrate dice che dovrà valutare la proposta di transazione fiscale, ma appare disponibile a rinunciare a interessi e sanzioni (non al capitale IVA). I fornitori strategici, inizialmente scettici su un taglio del 40%, vengono persuasi dall’esperto: egli presenta un confronto mostrando che in ipotesi di fallimento prenderebbero forse 20% dopo anni; qui otterrebbero 60% di cui metà subito, e manterrebbero un cliente per il futuro.
I sindacati chiedono garanzie per i dipendenti: Rossi prospetta l’uso di Cassa Integrazione Straordinaria per 6 mesi durante la riorganizzazione (ha interpellato informalmente il Ministero, che darebbe ok visti i requisiti), e un incentivo di €10k lordi per ciascuno dei 8 lavoratori da licenziare, attingendo dal ricavato del capannone. I sindacati ottengono inoltre l’impegno che se nei prossimi 2 anni l’azienda tornerà all’utile, riassorbirà prioritariamente quei lavoratori se possibile.
Dopo trattative aggiuntive e qualche modifica (ad es. la banca chiede 5% di interesse sui €150k residui, non tasso legale; i fornitori vogliono il 65% anziché 60%; l’investitore vuole arrivare al 70% di quote per la stessa somma data l’assunzione di rischio), si arriva a un accordo di massima. L’esperto convoca allora tutti per la firma di un accordo negoziale vero e proprio: esso è un contratto multi-soggetto, firmato dall’amministratore Alfa, dalla nuova società dell’investitore Beta S.p.A., dalla Banca, dai due fornitori principali e – come testimoni – anche dai rappresentanti dell’Agenzia Entrate e INPS per la parte di transazione fiscale. L’esperto Rossi controfirma anch’egli l’accordo, includendo la sua relazione positiva che attesta: “il piano di risanamento concordato appare coerente con la regolazione della crisi e idoneo ad assicurare la continuità aziendale di Alfa per almeno i prossimi due anni”.
L’accordo prevede in sintesi:
- Immissione immediata di €200k di equity da Beta S.p.A., che diverrà socia di maggioranza (con un aumento di capitale deliberato dall’assemblea Alfa).
- Conversione di €150k credito banca in capitale (la banca avrà 15% quote).
- Pagamento immediato di €30k + entro 12 mesi di altri €30k ai fornitori X e Y, a saldo dei rispettivi crediti di €100k (accettano stralcio 40%).
- Pagamento integrale entro 3 mesi dei crediti privilegiati dei lavoratori (stipendi arretrati €50k, TFR maturato €30k) grazie anche all’incasso dalla vendita capannone.
- Cessione del capannone: è già individuato un acquirente terzo che pagherà €150k; su questa vendita, che avverrà contestualmente all’omologa eventuale, tutti i creditori ipotecari (la banca su quel capannone) rinunciano a opposizioni e accettano di liberare ipoteca prendendo quell’importo (che li soddisferà parzialmente ma combinato con l’azione equity hanno compensato).
- Transazione col Fisco: stralcio 100% sanzioni e interessi (~€50k) e dilazione 5 anni senza interessi per €150k IVA.
- Transazione INPS: analoga, nessuna sanzione (cancellazione cartelle su sanzioni €10k) e pagamento rateale 2 anni contributi €40k.
- Pianodi esodi: erogazione di €80k totali per incentivi a 8 lavoratori, con CIGS attivata per 6 mesi pre-licenziamento. Sindacati firmano un accordo separato in tal senso.
- Pianodi rimborso: il restante parco fornitori (non firmatari diretti, piccoli creditori) sarà pagato al 30% in 24 mesi; su questo la banca Beta e il nuovo socio si impegnano a fornire garanzia di eventuale miglior fortuna (se utili > previsioni, arriverà un conguaglio al 50%).
Tutti questi impegni formano un accordo quadro, soggetto alla condizione che il Tribunale omologhi una procedura (se si decidesse di passare per un accordo ex art. 57 CCII). Ma qui sorge una domanda: visto che i creditori principali hanno firmato, serve omologa? In questo caso la percentuale di adesione in valore è alta (oltre 75%). Tecnicamente, l’accordo firmato con l’esperto sottoscritto potrebbe già valere come accordo ex art. 23 comma 1, lett. c CCII, che produce gli effetti esimenti di legge. Alfa S.r.l. tuttavia preferisce dare esecuzione in via stragiudiziale puramente: registrerà questo contratto in Registro Imprese entro 30 giorni per usufruire dell’esenzione fiscale.
Conclusione della procedura: Raggiunto l’accordo, l’esperto redige la relazione finale ex art. 17 co.8 CCII in cui dichiara che “è stata individuata una soluzione idonea al superamento della crisi” e descrive i punti salienti dell’accordo. Egli attesta la continuità, evidenzia i consensi ottenuti e firma. In base all’art. 23 co.1, la sottoscrizione di questo accordo tripartito (imprenditore-creditori-esperto) produce gli effetti protettivi di cui all’art. 166 co.3 lett. d (protezione da revocatoria) e 324 CCII (non punibilità di atti esecutivi). Ciò significa che se in futuro, malauguratamente, Alfa fallisse, i pagamenti effettuati a fornitori o privilegi accordati nell’intesa non potranno essere revocati dal curatore come preferenziali. Inoltre, la riduzione di debiti per €300k complessivi (fornitori e parte banca) non sarà imponibile fiscalmente per Alfa (grazie all’iscrizione dell’accordo e richiamo art. 88 co.4-ter TUIR).
A procedura conclusa, il tribunale dichiara cessate le misure protettive. Ma ormai non servono più: Alfa ha risolto consensualmente.
Post accordo: Nei mesi successivi, Alfa riceve l’aumento di capitale, paga i fornitori e gli incentivi, e con la nuova governance snella riprende la produzione. L’investitore Beta porta anche nuove commesse. I 8 lavoratori escono con l’incentivo e l’accesso alla NASpI (indennità disoccupazione). L’azienda torna in bonis. Il ruolo dell’esperto negoziatore si è concluso con successo: ha facilitato un accordo win-win in cui:
- L’azienda è salva e più patrimonializzata.
- I creditori ottengono più di quanto avrebbero forse ricavato dalla liquidazione.
- I dipendenti, pur con qualche sacrificio, in gran parte mantengono il posto e i partenti hanno avuto supporto.
- L’erario incassa il dovuto capitale anche se in più tempo, senza strozzare la continuità (e risparmia i costi sociali di un fallimento con disoccupati a carico per lungo).
Questo esempio mostra concretamente “chi è e cosa fa l’esperto negoziatore”: un regista imparziale delle trattative che, con competenza multidisciplinare, ha condotto tutti a sottoscrivere un patto credibile di risanamento.
7. Domande frequenti (FAQ) sulla composizione negoziata e l’esperto
Di seguito una serie di domande e risposte per chiarire i dubbi più comuni di imprenditori e professionisti sull’istituto dell’esperto negoziatore e sugli strumenti alternativi di regolazione della crisi.
D1: Chi può richiedere la composizione negoziata della crisi?
R: Può accedervi qualunque imprenditore commerciale o agricolo (anche piccolo o start-up) iscritto al Registro Imprese che si trovi in condizioni di squilibrio tali da far presumere una crisi o insolvenza. Non vi sono soglie minime di debito. Anche imprese in forma societaria o individuale. Sono escluse le sole imprese già assoggettate a liquidazione giudiziale o altre procedure concorsuali pendenti. L’accesso è volontario e su iniziativa esclusiva dell’imprenditore (non può essere richiesto dai creditori o d’ufficio). Nel caso di società, decide l’organo amministrativo (meglio con informativa all’assemblea soci). Le imprese minori, prima non fallibili, possono accedere; le start-up innovative anche, pur se non fallibili (ciò non confligge col loro regime protetto). L’imprenditore agricolo è espressamente ammesso.
D2: Quando è opportuno attivare la composizione negoziata?
R: Il prima possibile, appena emergono segnali concreti di crisi (flussi di cassa inadeguati, indicatori allerta interni sopra soglia, tensioni nei pagamenti). Aspettare l’insolvenza conclamata riduce le chance di successo. La normativa incoraggia l’attivazione in fase preventiva: già con squilibrio che rende probabile la crisi. Ad esempio, se l’impresa prevede di non poter pagare debiti fra 6-12 mesi, è il momento di muoversi. Attendere di essere sommersi dai decreti ingiuntivi o con capitale azzerato è rischioso (si può comunque accedere finché non c’è sentenza di fallimento, ma le soluzioni possibili saranno più limitate). In sintesi: presto è meglio. Questo attiva anche misure protettive in tempo e responsabilizza le controparti. Inoltre, richiedere la composizione negoziata adempie al dovere degli amministratori di attivarsi tempestivamente (evitando potenziali responsabilità per aggravamento del dissesto).
D3: Quanto costa la composizione negoziata?
R: L’accesso comporta un modesto diritto di segreteria (circa €252) fissato dal D.M. 10/3/2022. Il compenso dell’esperto negoziatore è regolato per legge: è calcolato a scaglioni percentuali sull’attivo dell’impresa (es: 5% fino a €100k di attivo, poi percentuali decrescenti fino a 0,002% oltre €1,3 mld). Questo compenso viene pagato dall’imprenditore, però alla fine dell’incarico. Se la composizione riesce con accordo, l’esperto ha diritto anche a una maggiorazione del 100%; se sottoscrive l’accordo ex art. 11(lett.c L.147/21) anche +10%. Se invece l’imprenditore non collabora (non si presenta o archivia subito), il compenso è ridotto a €500. Inoltre, l’esperto può chiedere un acconto dopo 2 mesi max di 1/3 del presumibile compenso. In ogni caso, parliamo di importi spesso inferiori a quelli di procedure concorsuali. E sono prededucibili (pagati prima di altri debiti in caso di fallimento). Oltre al compenso dell’esperto, l’imprenditore potrebbe dover sostenere i costi dei propri consulenti (legali, aziendali) per predisporre piani e documenti: tali costi variano a seconda del caso e sono oggetto di libero accordo con i professionisti. Non ci sono contributi previdenziali aggiuntivi come nel fallimento (dove c’è il 1,2% di contributo FOI). In sintesi, la composizione negoziata è relativamente economica rispetto a un concordato o fallimento, e i benefici potenziali spesso giustificano l’investimento.
D4: L’imprenditore mantiene la gestione dell’azienda durante la composizione negoziata?
R: Sì, assolutamente. La composizione negoziata è uno strumento assolutamente volontario e non ablativo. Non vi è spossessamento: l’imprenditore rimane in carica e gestisce l’impresa in tutti i suoi aspetti ordinari. L’esperto non ha poteri di amministrazione, ma solo di osservazione, mediazione e, eventualmente, segnalazione di atti incoerenti. Dunque l’azienda continua ad operare normalmente sotto la guida dei suoi amministratori. Occorre però tenere presente che, con le misure protettive attive, l’imprenditore deve astenersi da atti che possano pregiudicare i creditori: se deve compiere operazioni di straordinaria amministrazione (es. vendere un immobile, dare garanzie, fare pagamenti rilevanti non a scadenza), è tenuto a informare l’esperto, il quale può opporsi con l’iscrizione del proprio dissenso in Registro Imprese. In caso di dissenso dell’esperto su un atto pregiudizievole, se l’imprenditore lo compie lo stesso potrebbe incorrere nella revoca delle protezioni e in responsabilità. Pertanto, pur mantenendo la gestione, l’imprenditore deve coordinarsi con l’esperto nelle decisioni straordinarie. Ma non c’è un giudice delegato o commissario che firma al posto suo (a differenza del concordato o fallimento). La gestione rimane “in bonis”. Questo è uno dei vantaggi: l’imprenditore conosce la sua azienda meglio di chiunque e può continuare a condurla (sotto la vigilanza leggera dell’esperto) verso la soluzione concordata.
D5: Quali poteri ha l’esperto negoziatore? Può obbligare i creditori a un accordevole?
R: L’esperto non ha poteri coercitivi verso i creditori né decisori sostitutivi. Il suo ruolo è di facilitatore e garante del processo. In concreto, i suoi “poteri” sono:
- Convocare le parti (imprenditore, creditori) a incontri e gestire le trattative. Le parti hanno il dovere di partecipare in buona fede alle trattative (un dovere morale e per qualcuno giuridico ex art.4 CCII).
- Chiedere informazioni all’imprenditore (che è obbligato a fornirle tempestivamente, pena la possibile fine procedura) e accedere ai dati aziendali. Può anche, con consenso dell’imprenditore, assumere pareri di terzi o affiancarsi consulenti su aspetti tecnici.
- Segnalare eventuali atti pregiudizievoli: come detto, se l’imprenditore compie atti incoerenti con il risanamento, l’esperto può iscrivere il proprio dissenso pubblico, il che di fatto avvisa i creditori e il tribunale, potendo portare alla revoca dello stay. Non può bloccare lui l’atto, ma quell’iscrizione ha un forte peso deterrente.
- Redigere la relazione finale che certifica l’esito e, se positivo, attesta la fattibilità del piano di accordo. Questa relazione è importante per eventuali benefici (riduzione soglia accordi, misure premiali).
- In generale, l’esperto agevola la comunicazione e può proporre soluzioni creative, ma non può imporre un haircut ai creditori né imporre all’imprenditore scelte che quest’ultimo non vuole adottare. Se vede che non c’è spazio di accordo, può chiudere anticipatamente la procedura (chiedendo archiviazione).
In sintesi: l’esperto non è un commissario. Tutto si basa sul convincimento e sulla fiducia che egli ispira. Spesso la sua autorevolezza tecnica induce creditori e debitori a fare passi verso la convergenza che altrimenti non avrebbero fatto. Ma se uno dei maggiori creditori rifiuta categoricamente ogni intesa, l’esperto non ha strumenti giuridici per costringerlo (a differenza di un giudice in concordato che può imporre la cram-down se certe condizioni). Questo è un limite e insieme la natura negoziale dello strumento.
D6: I creditori sono obbligati a partecipare e a sospendere le azioni esecutive?
R: Una volta che la procedura è avviata, non c’è un obbligo legale per i creditori a presentarsi alle trattative. Tuttavia, se l’imprenditore ha richiesto e ottenuto dal tribunale la conferma delle misure protettive, i creditori sono vincolati a sospendere o non iniziare azioni esecutive o cautelari per il periodo fissato dal giudice. Ciò significa che un creditore chirografario non potrà pignorare conti o beni, un creditore ipotecario non potrà avviare/eseguire l’asta sull’immobile ipotecato, e così via. Quindi da questo punto di vista, sì, i creditori devono “stare fermi” (pena che i loro atti siano nulli). Restano però liberi di rifiutarsi di aderire a proposte di stralcio o dilazione: non possono essere costretti a fare sconti. Il loro incentivo è che, partecipando attivamente, forse ottengono di più che da un fallimento.
Formalmente, la legge (art.4 CCII) richiede ai creditori e altri attori di comportarsi secondo buona fede e lealtà durante le trattative, ma non c’è una sanzione se uno non viene o viene e dice “no” a tutto. Solo, se un creditore ipotecario rimane ostinato, l’imprenditore capirà che dovrà forse passare per un concordato per superare quel dissenso (ad esempio con un cram-down).
Dunque: partecipare è volontario ma fortemente consigliato. In alcune prassi, le banche e grandi creditori partecipano quasi sempre, magari anche solo per ascoltare o proporre aggiustamenti. Se un creditore ignora la convocazione, l’esperto può contattarlo separatamente, inviargli il piano e chiedere parere.
In conclusione, i creditori non sono obbligati ad accordarsi, però devono rispettare lo stop (se concesso) e comportarsi lealmente (niente fuoco di sbarramento inutile, niente avanzare pretese esagerate solo per sabotare). Spesso, il modo in cui un creditore si pone in composizione negoziata ne influenza anche la reputazione: ad esempio, una banca che rifiutasse pregiudizialmente ogni piano ragionevole potrebbe poi trovarsi in difficoltà a giustificare che preferiva il fallimento (anche davanti a un giudice in successivo concordato).
D7: Cosa succede se un creditore non aderisce all’accordo finale?
R: Se la maggior parte dei creditori trova un’intesa ma uno o pochi creditori rilevanti rimangono dissenzienti, l’imprenditore ha varie opzioni:
- Soddisfarlo integralmente fuori accordo: Ad esempio, se un creditore non firmatario è comunque piccolo e l’imprenditore può pagarlo per intero, potrà farlo e l’accordo andrà avanti con gli altri (questo spesso avviene: i creditori che non aderiscono devono essere pagati come da contratto originale per non generare inadempimenti).
- Escluderlo dall’accordo e tenerlo estraneo: L’accordo stragiudiziale vincola solo chi firma, quindi chi non firma resta con i suoi diritti. A volte l’accordo può essere efficace lo stesso e ci si farà carico di quei creditori estranei col normale corso dell’attività (magari li si paga come crediti prededucibili col nuovo finanziamento).
- Conversione in procedura formale: Se il dissenso di alcuni creditori compromette la fattibilità (ad es. un 30% di creditori chirografari non vogliono aderire), l’imprenditore, grazie alla relazione finale dell’esperto, può decidere di passare a un accordo di ristrutturazione omologato o a un concordato preventivo dove il voto della maggioranza potrà imporre la soluzione anche ai dissenzienti. Il CCII ha agevolato ciò: ad esempio, come detto, l’accordo omologato richiederà il 60% anziché percentuale maggiore se deriva da composizione. Quindi un creditore dissenziente rischia che, se la maggioranza è con il debitore, la cosa prosegua in tribunale e lui venga “cramdownato”.
- Esito negativo e altre vie: Se proprio l’opposizione di uno o più creditori chiave blocca ogni ipotesi (es: ho 3 banche, 2 dicono sì a rinegoziare, 1 dice no e ha ipoteca su tutto – in stragiudiziale quell’una può far saltare il banco), allora la composizione negoziata finisce senza accordo e l’imprenditore dovrà valutare il concordato preventivo senza adesione di quella banca (nel concordato preventivo liquidatorio il voto per classi e l’omologa potrebbero forzarla se le diamo il valore di realizzo) oppure altre procedure (es. amministrazione straordinaria se grande impresa).
Dunque, un singolo creditore non firmatario non annulla per forza il processo, ma può costringere ad alzare il livello di formalizzazione. Spesso, se c’è un solo oppositore su tanti, conviene transitare a un accordo ex art.182-bis L.F. (oggi art.57 CCII): con l’adesione magari dell’80% crediti, si chiede al tribunale di omologare e gli effetti si estenderanno anche al 20% che ha detto no (purché li paghi integralmente o rientrino nelle fattispecie efficacia estesa). Ad esempio, abbiamo banche A, B, C: A e B ok, C no. Facciamo un accordo di ristrutturazione con A e B (che hanno 70% crediti bancari) e chiediamo al giudice di estenderlo anche a C. Il giudice può farlo, specie se C non avrebbe comunque miglior trattamento in fallimento (questo è l’istituto dell’accordo esteso).
In somma, il dissenso di una minoranza non paralizza le chances di risanamento, ma richiede di attivare le leve concorsuali appropriate. Va detto che l’obiettivo della composizione negoziata è evitare di arrivare a imposizioni giudiziali: se l’esperto riesce, tutti firmano. Ma c’è il “piano B” del tribunale se necessario.
D8: L’esperto può risolvere contrasti tra soci dell’impresa?
R: Non direttamente, poiché il suo mandato riguarda la negoziazione coi creditori per risanare la crisi. Tuttavia, spesso la crisi si accompagna a conflitti interni fra soci o amministratori. L’esperto, come soggetto terzo, può aiutare a ricomporre anche quelli indirettamente. Ad esempio, se due soci contrastano sul da farsi (uno vuole liquidare, l’altro salvare), l’esperto può cercare di portare evidenze oggettive (piani numerici) che facciano convergere sulla scelta ottimale. Oppure se c’è da decidere un aumento di capitale, l’esperto potrà interloquire con i soci convincendoli che diluirsi è meglio che azzerarsi. Non ha poteri formali su questo: i rapporti tra soci restano soggetti al codice civile e allo statuto. Quindi se c’è una situazione ingestibile (soci che bloccano decisioni vitali), l’esperto magari lo segnalerà come elemento di impedimento. In taluni casi, se il disaccordo tra soci pregiudica il risanamento, si può valutare di inserire nell’accordo di composizione l’uscita di uno dei soci (ad es. il socio A esce cedendo le sue quote magari al creditore o all’altro socio, come parte dell’operazione). L’esperto può agevolare tali side-deal.
Comunque, se i soci litigano e l’impresa affonda, l’esperto non può obbligarli ad andare d’accordo – al limite dichiarerà la mancanza del presupposto del risanamento per “discordia insanabile interna” e la procedura finirà con esito negativo, passando forse la palla al tribunale (che potrebbe nominare un curatore se richiesto). Diciamo che è un mediatore anche di “crisi tra le persone” se serve, ma senza poteri autoritativi.
D9: Qual è la differenza tra composizione negoziata e le vecchie procedure di allerta OCRI (Organismo di composizione) che erano nel Codice della Crisi originario?
R: La composizione negoziata ha di fatto sostituito le procedure di allerta obbligatoria previste dal Codice della Crisi del 2019 (mai entrate in vigore a regime). Nel disegno originario, sarebbero esistiti degli indicatori d’allerta e una segnalazione automatica ai cosiddetti OCRI (Organismi di composizione della crisi d’impresa) presso le Camere di Commercio, i quali potevano convocare l’imprenditore e attivare una procedura di composizione assistita, anche su input dei creditori pubblici. Questo meccanismo era di natura semi-coercitiva (c’era obbligo di segnalazione e possibile attivazione d’ufficio). A causa della pandemia e di criticità evidenziate, tali norme sono state abrogate prima di entrare in vigore dal D.L. 118/2021. Al loro posto è stata introdotta la composizione negoziata, che è volontaria e su iniziativa del debitore.
Non ci sono più segnalazioni automatiche dall’esterno se non moral suasion (attualmente Agenzia Entrate, INPS e Agenti riscossione devono solo comunicare all’impresa persistenti inadempimenti sopra soglie, ma non attivano procedure). Quindi la differenza chiave:
- l’allerta OCRI sarebbe stata procedimentalizzata, con organi che imponevano misure protettive, definivano piani (in modo simile alla composizione ma partendo da un “richiamo” esterno).
- la composizione negoziata è su base volontaria e confidenziale, l’imprenditore chiede aiuto e ottiene un esperto.
Inoltre, l’OCRI poteva avere un ruolo para-ispettivo e se la cosa falliva poteva segnalare al tribunale. L’esperto negoziatore invece non denuncia il debitore (salvo situazioni di frode conclamata), semplicemente archivia se non c’è sbocco. Quindi c’è meno stigma: infatti la composizione negoziata è pensata per essere attrattiva senza il “terrore” per l’imprenditore di perdere il controllo, a differenza di come gli imprenditori percepivano le vecchie allerte (le vedevano come preludio a esser spossessati).
In conclusione, la finalità è simile – emergenza anticipata della crisi – ma gli strumenti cambiano approccio: persuasione e assistenza anziché obbligo e minaccia.
D10: Se la composizione negoziata non ha successo, l’imprenditore sarà dichiarato fallito subito?
R: Non automaticamente. L’esito negativo della composizione negoziata porta l’esperto a chiudere la procedura con una relazione finale che spiega che non si è trovata soluzione. Questa relazione viene comunicata al Segretario Camera di Commercio e pubblicata. Ma non c’è un meccanismo di legge che fa scattare d’ufficio il fallimento. Sarà poi l’imprenditore a valutare il da farsi: spesso, come abbiamo visto, può passare ad altre procedure (concordato minore, concordato preventivo semplificato, accordo di ristrutturazione, ecc. – v. §2.6.2). Il tribunale potrebbe ricevere istanze di fallimento dai creditori nel frattempo, ma terrà conto che c’è stato un tentativo negoziale. L’imprenditore può decidere di presentare egli stesso ricorso per concordato preventivo “classico” (o liquidazione giudiziale se ritiene inevitabile). In ogni caso, egli gode di 60 giorni di tempo dalla fine trattative per depositare una di queste soluzioni (accordo omologando, concordato semplificato). Le misure protettive cessano, ma se deposita tempestivamente un ricorso per concordato o accordo, può chiedere nuove misure protettive in quel contesto e guadagnare altro tempo.
Solo se l’imprenditore non fa nulla e la situazione è d’insolvenza grave, allora i creditori possono chiedere il fallimento e a quel punto il tribunale, constatato che non c’è prospettiva, lo dichiarerà (non c’è più il vincolo di avvisare OCRI come sarebbe stato in vecchio codice: si torna a normalità).
Da notare che l’esperto non è tenuto a informare il tribunale della situazione se la procedura chiude male, salvo rilevare eventuali reati. Quindi la spinta a dichiarare fallimento se fallisce la negoziazione è lasciata comunque ai creditori. Si può affermare che l’imprenditore che ha agito in buona fede fino a quel punto probabilmente opterà lui stesso per un concordato semplificato per liquidazione o per un concordato minore (se piccino) invece di attendere passivamente il fallimento. Quindi il fallimento non è un effetto obbligato: è l’ultima ratio se tutto il resto non viene intrapreso o fallisce.
D11: Cos’è il concordato semplificato per la liquidazione e come si lega all’esperto?
R: Il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio (art. 25-sexies CCII) è una procedura concorsuale speciale introdotta dal D.L. 118/2021 che il debitore può richiedere solo se: (a) ha svolto una composizione negoziata e (b) all’esito delle trattative non è stato raggiunto un accordo idoneo. In tal caso, entro 60 giorni dalla relazione finale dell’esperto, l’imprenditore può depositare in tribunale una proposta di concordato liquidatorio senza bisogno di approvazione dei creditori. La proposta consiste tipicamente nel mettere a disposizione tutti i suoi beni per distribuirli ai creditori secondo le regole di priorità, eventualmente con l’apporto di un terzo (spesso per dare almeno il 20% chirografari). I creditori non votano su questo concordato semplificato. Il tribunale, dopo aver sentito i creditori in camera di consiglio (possono fare osservazioni sulla convenienza), decide se omologare la proposta valutando che il ricavato offerto sia non inferiore a quello della liquidazione giudiziale. Se omologa, si procede alla liquidazione sotto il controllo di un ausiliario. È “semplificato” perché elimina la fase di voto e ammissione.
In pratica, è un’alternativa rapida al fallimento per chi, tentata la negoziazione, vuole evitare i costi e tempi di un fallimento. Esempio: la composizione fallisce perché nessuno vuole investire nell’azienda in perdita; allora il debitore propone di vendere tutto l’attivo con procedure competitive e dare, poniamo, 25% ai chirografari (che in fallimento forse avrebbero preso 20%). Il tribunale, se convinto che la percentuale è adeguata, omologa e si passa direttamente alla liquidazione concordataria senza passare dal via.
È dunque uno strumento utile come “uscita di sicurezza” dalla negoziazione fallita, specialmente per imprese che non hanno prospettiva di continuità ma vogliono almeno gestire la liquidazione in modo più controllato (ad es. scegliendo un acquirente che preservi qualche asset, o pattuinado esdebitazione per l’imprenditore persona fisica in parallelo).
Va ribadito: solo chi ha percorso la composizione negoziata può accedere a questo concordato semplificato. È una chance premiale per il tentativo fatto. Se uno non ha fatto la composizione, e vuole fare un concordato liquidatorio, dovrà seguire la via ordinaria (con voto creditori).
In conclusione, l’esperto negoziatore è la “porta” che, se non conduce a un accordo, può aprire quella del concordato semplificato. L’esperto in tal caso sarà probabilmente sentito dal tribunale anche in sede di omologa per riferire sul perché non c’erano soluzioni migliori (non obbligatorio, ma può capitare).
D12: Quali sono le alternative principali alla composizione negoziata se la situazione lo richiede?
R: Oltre a quanto delineato ampiamente (piani attestati, accordi di ristrutturazione, concordati), ricordiamo:
- Piano attestato di risanamento (art.56 CCII): strumento puramente negoziale, asseverato da professionista, che consente esenzioni da revocatorie ma non vincola i creditori non consensienti. Utile se pochi creditori e accordo di fatto c’è, serve solo formalizzarlo per tutele.
- Accordo di ristrutturazione omologato (art.57 e segg. CCII): accordo con almeno 60% dei crediti, approvato dal tribunale e vincolante per gli aderenti e in parte per dissenzienti (se integrale soddisfacimento o efficacia estesa). Varie sottotipologie (agevolato 30%, ad efficacia estesa 75% finanziari, ecc.).
- Concordato preventivo in continuità o liquidatorio (artt.84-85 CCII): procedura concorsuale con voto dei creditori. Adatta se serve imporre la soluzione a molti creditori o se c’è bisogno di interventi profondi con la protezione del tribunale (ad es. taglio debiti fiscali con cram-down, cessione beni libera da pesi, scioglimento contratti onerosi con autorizzazione).
- Concordato minore (per imprese minori e non fallibili, art.74 CCII): analogo al concordato preventivo ma per piccoli e davanti al giudice civile su istanza OCC. Voto dei creditori e omologa.
- Liquidazione giudiziale (ex fallimento): se non c’è alcuna speranza di risanamento o accordo, la liquidazione concorsuale è l’ultima spiaggia: i beni liquidati da curatore e distribuiti ai creditori secondo prelazioni. L’imprenditore può farvi ricorso depositando istanza di liquidazione (fallimento in proprio) se vuole chiudere, oppure i creditori la possono provocare.
- Amministrazione straordinaria (per grandi imprese insolventi con requisiti >500 dip, >300M debiti): procedura pubblica per tentare ristrutturazione o vendita. Non si attiva da composizione negoziata ma come richiesta al MIMIT. Rarissima, la citiamo per completezza (casi Alitalia, Ilva ecc.).
In definitiva, la composizione negoziata non sostituisce le altre procedure ma le precede come tentativo meno costoso e più rapido. Se fallisce, si hanno comunque a disposizione tutte le alternative sopracitate. Un buon professionista consiglierà quale usare in base alla situazione e anche a come sono andate le trattative (es: se i creditori erano quasi tutti d’accordo salvo pochi, magari accordo 182-bis; se invece c’è necessità di abbattere molto il debito e i creditori sono tanti sparsi, concordato preventivo; se l’azienda è spacciata, concordato semplificato o fallimento pilotato).
D13: La procedura è riservata o diventerà pubblica, rischiando di danneggiare la reputazione dell’impresa?
R: La composizione negoziata è tendenzialmente riservata nella fase delle trattative. L’istanza di nomina e la nomina dell’esperto non vengono pubblicate di per sé, salvo il caso in cui l’imprenditore chieda misure protettive. Se non si attivano le protezioni, la procedura può restare confidenziale: i creditori vengono a saperlo perché l’imprenditore li invita al tavolo, ma non c’è pubblicità legale sul Registro Imprese né albi pubblici. Ciò protegge l’immagine aziendale (si evita che clienti, fornitori esterni al negoziato o concorrenti vengano a sapere dello stato di crisi).
Qualora invece siano necessarie le misure protettive a tutela del patrimonio, allora l’istanza e l’accettazione dell’esperto sono iscritte nel Registro delle Imprese. Questa iscrizione è consultabile dal pubblico (anche concorrenti e banche). La ratio è rendere opponibile lo stay. Dunque una certa pubblicità in quel caso c’è. Tuttavia, ciò avviene a cose fatte (quando già i rapporti con i creditori sono compromessi di solito), ed è comunque meno impattante di un’istanza di fallimento. Inoltre, eventuali terzi vedendo quell’iscrizione possono interpretarla positivamente: l’azienda sta cercando di risolvere seriamente, non è un fallimento annunciato. Sta emergendo, almeno tra gli addetti ai lavori, una cultura per cui l’accesso agli strumenti di risanamento non è infamante ma segno di gestione proattiva.
Se l’accordo viene poi raggiunto, può restare riservato tra le parti. Solo se l’imprenditore vuole i benefici fiscali, come visto, conviene depositarlo presso il Registro Imprese. Quella pubblicazione però è anch’essa soggetta a una certa discrezione (si deposita il testo accordo; chi consulta la visura dell’azienda leggerà che c’è stato un accordo ex art. 23 CCII). Non proprio nascosto, ma nemmeno sbandierato.
In sintesi: la fase iniziale può essere condotta in modo riservato, contattando solo i creditori chiave e i loro consulenti. Ciò minimizza i rischi reputazionali. Qualche riflesso pubblico c’è se si attivano protezioni, ma consideri che in un concordato preventivo o fallimento la pubblicità è molto maggiore (il concordato è pubblicato in tribunale e sui registri, il fallimento appare persino sulla stampa ufficiale). Quindi, la composizione negoziata è di gran lunga lo strumento meno stigmatizzante. Molte imprese la usano proprio per evitare di arrivare a far sapere al mercato una crisi irreversibile.
Per prudenza l’imprenditore durante la composizione potrebbe anche avvisare i partner commerciali essenziali con cui ha buon rapporto, rassicurandoli che è un percorso volontario e protetto per migliorare la situazione e non subire un crack disordinato. La trasparenza selettiva può evitare reazioni di panico (ad es., un fornitore che vede l’iscrizione e pensa “oddio sta fallendo” – se invece l’azienda lo ha coinvolto attivamente nella trattativa, l’avrà già informato del piano e sarà meno spaventato).
D14: Quali garanzie hanno i creditori nella composizione negoziata che l’imprenditore non stia solo prendendo tempo?
R: Questa è una domanda importante: i creditori possono temere che l’imprenditore attivi la procedura solo per usufruire dello stay (blocco azioni) e poi magari dilapidi beni o non concluda nulla, peggiorando la loro posizione. Diverse previsioni servono a dare garanzie:
- L’esperto è un soggetto indipendente: se percepisce comportamenti dilatori o scorretti del debitore, può far terminare la procedura immediatamente chiedendo l’archiviazione e annotando eventuali dissensi su atti lesivi. Ciò avverte i creditori e li mette in grado di reagire (ad esempio, di presentare istanza di fallimento immediata se scorgono condotte dissipative).
- Le misure protettive, come detto, possono essere revocate dal tribunale su segnalazione dell’esperto o di creditori se emergono abusi o atti pregiudizievoli. Quindi il debitore non può stare fermo o fare danni impunemente: rischierebbe di perdere lo scudo e trovarsi subito esposto a esecuzioni e fallimento.
- La durata è definita: 180 giorni + eventualmente 180 su consenso parti. Non può trascinare oltre. E la proroga richiede il consenso di tutte le parti negozianti attive, quindi i creditori stessi dovrebbero concordare che serve più tempo (non sarà concesso se il debitore sta palesemente perdendo tempo).
- L’obbligo di lealtà ex art.4 CCII implica che se l’imprenditore viola la buona fede (es. nasconde informazioni o peggiora volutamente la situazione), i creditori potranno poi evidenziarlo al giudice e ciò influirà negativamente su eventuali procedure successive (ad es., potrebbe far venir meno l’esdebitazione in fallimento per comportamento in malafede). Insomma c’è un deterrente.
- Inoltre, i creditori forti (es. banche) spesso sono organizzati: se percepiscono che il negoziato non porta a nulla, difficilmente acconsentiranno a proroghe. Preferiranno agire.
In conclusione, mentre un leggero rischio di strumentalizzazione c’è sempre, il sistema di vigilanza incrociata con l’esperto indipendente lo riduce. Il tasso di successo (attorno al 20% nel 2024) indica che non tutti i casi risolvono – alcuni portano a fallimenti. Ma almeno, grazie alla negoziazione, si arriva al fallimento con un quadro più chiaro e spesso avendo evitato saccheggi. E i creditori partecipanti difficilmente rimangono completamente all’oscuro se qualcosa va storto.
Nel caso percepiscano “fumo negli occhi”, i creditori possono anche rivolgersi al tribunale durante la procedura per chiedere la revoca delle misure protettive (alcuni l’hanno fatto in casi di inadempimenti gravi). Il tribunale valuta e se vede abusi, toglie la protezione. Quindi il debitore non ha il coltello dalla parte del manico: deve effettivamente cercare l’accordo.
Va detto, infine, che la composizione negoziata è su base volontaria: se un creditore è convinto che il debitore stia barando, può anche decidere di non partecipare e aspettare la fine dei 4 mesi per agire. Non c’è obbligo di “fidarsi” – c’è l’invito a collaborare ma non cieco. Quindi, c’è un bilanciamento tra tempo concesso al debitore e tutela dei creditori vigilanti.
D15: L’esperto negoziatore può essere lo stesso professionista che poi diventa attestatore del piano o curatore fallimentare?
R: In linea di principio, no per i ruoli immediatamente successivi, per ragioni di opportunità e indipendenza. L’esperto negoziatore deve essere indipendente al momento dell’incarico e lo rimane durante. Se la procedura produce un piano attestato, quell’attestazione dovrà essere fatta da un altro professionista, non dall’esperto stesso (per evitare conflitto di interessi: l’esperto non può “attestare” il piano che egli stesso ha aiutato a costruire, sarebbe poco oggettivo). Lo stesso se si passa a un concordato preventivo: l’esperto non può automaticamente diventare il commissario giudiziale di quel concordato (il tribunale nominerebbe altra persona dall’elenco). Ciò per garantire discontinuità e controllo incrociato.
Tuttavia, l’esperto avendo conoscenza approfondita dell’azienda, può – cessato il suo ruolo – essere utile come consulente all’azienda o al nuovo investitore, ma formalmente la legge glielo sconsiglia per un certo periodo. Non vi è un divieto esplicito nel Codice, ma ad esempio nei Principi CNDCEC sul ruolo dell’esperto si raccomanda di evitare di accettare incarichi successivi che possano generare dubbi di indipendenza.
Quanto al ruolo di curatore fallimentare, in teoria se la negoziazione fallisce e dopo mesi viene dichiarato fallimento, l’ex esperto potrebbe candidarsi curatore, ma i tribunali di solito evitano tale coincidenza: preferiscono nominare curatore un soggetto terzo. Anche perché l’esperto potrebbe essere chiamato come testimone su fatti visti in composizione.
In sintesi, l’esperto rimane nel suo perimetro. Semmai, potrebbe succedere che l’attestatore nominato successivamente sia un altro iscritto all’elenco degli esperti (quindi con simili competenze). Ma non la stessa persona, salvo casi eccezionali in cui tutti i creditori concordemente chiedono la sua continuità in un altro ruolo (non usuale).
Per fare un esempio: Tizio, esperto, segue Alfa Srl. Alfa decide di fare un accordo ex 182-bis (ARD) – dovrà nominare Caio come attestatore, non Tizio, perché Tizio è stato consulente neutrale in fase negoziale. Se poi Alfa fallisce, Tizio non sarà nominato curatore, perché conosce troppe cose magari coperte da riservatezza e potrebbe aver sviluppato un orientamento. Si preferisce occhio nuovo.
Quindi, l’imprenditore e i creditori non devono temere che l’esperto abbia “secondi fini” di ottenere incarichi successivi: il suo ruolo è circoscritto e, finita la composizione, di solito esce di scena.
Queste FAQ coprono alcune delle questioni pratiche più ricorrenti. Ogni caso concreto può far sorgere dubbi ulteriori, ma il consiglio è sempre di farsi assistere da professionisti esperti in crisi d’impresa in ogni fase, e di utilizzare gli strumenti a disposizione con trasparenza e tempestività. L’esperto negoziatore è una risorsa nuova nel panorama italiano, e con la collaborazione di tutte le parti può davvero fare la differenza tra la fine di un’azienda e il suo rilancio.
8. Schemi riepilogativi e tabelle di confronto
Per fissare le idee, proponiamo alcuni schemi riassuntivi dei punti chiave trattati nella guida:
8.1 – Confronto tra principali strumenti di regolazione della crisi (natura, adesioni richieste, autorità coinvolta, vantaggi chiave):
Strumento | Natura | Iniziativa e Adesioni | Ruolo autorità | Vantaggi | Limiti |
---|---|---|---|---|---|
Composizione negoziata (CN) | Volontaria; stragiudiziale assistita da esperto | Debitore attiva; nessuna % prestabilita (accordo consensuale) | Tribunale interviene solo per misure protettive | Riservatezza; flessibilità delle soluzioni; mantiene gestione | Non vincola dissenzienti; success dependent on goodwill |
Piano attestato (art.56) | Volontaria; negoziale pura con attestazione | Debitore elabora; creditori aderiscono individualmente (100% di fatto per efficacia) | Nessun intervento giudice (solo eventuale reg. imprese) | Nessuna pubblicità (se non scelto); protezione da revocatoria | Nessun stay automatico; non impone accordo a creditori |
Accordo ristrutturazione (ARD) | Misto negoziale-giudiziale (omologa) | Debitore propone; richiede ≥60% crediti (o soglie minori in casi speciali) | Tribunale omologa e concede stay; eventuale cram-down minori | Vincola la maggioranza, efficacia estesa a categorie; transazione fiscale possibile | Procedura pubblica; necessita soglia adesione; creditori estranei vanno pagati per intero |
Concordato preventivo (CP) | Giudiziale concorsuale (voto creditori) | Debitore ricorre; serve >50% voto favorevole (maggioranze per classi se presenti) | Tribunale supervisa, nomina commissario; omologa (può cram-down classi) | Stay automatico; può ridurre debiti anche a dissenzienti; esdebitazione dopo liquidazione | Tempi e costi elevati; pubblicità alta; richiede piano rigoroso e maggioranze |
Concordato semplificato (post-CN) | Giudiziale concorsuale senza voto | Debitore (entro 60gg da CN fallita); nessun voto creditori | Tribunale omologa se conveniente; nomina liquidatore | Rapidità (no voto); evita fallimento; controllo su liquidazione | Solo liquidatorio; solo se CN non riuscita; creditori non coinvolti nelle scelte |
(CN = Composizione negoziata; CP = Concordato preventivo)
8.2 – Differenze di regime per categorie d’impresa:
Categoria Impresa | Accesso a CN? | Procedure ordinarie | Procedure “minori” applicabili | Note particolari |
---|---|---|---|---|
Micro-imprese (sotto soglie fall.) | Sì (semplificazioni doc) | NO liquidaz. giudiziale; NO concordato preventivo | Concordato minore; Liquidazione controllata (ex L.3/2012) | Piccoli debitori possono usare CN e poi concordato minore se serve. |
PMI sopra soglia | Sì | Sì: possibili concordato prev., fallimento | Concordato minore se preferiscono? (No, se superano soglie) | PMI “ordinarie” trattate come grandi; se borderline soglie, prassi fallimentare decide. |
Grande impresa | Sì (nessun divieto) | Sì: concordato prev.; eventuale Amm. straord. | NO procedure minori (oltre soglie) | Possibile preferire Amm. Straord. se requisiti pubblici; CN di gruppo disponibile. |
Start-up innovativa (<5 anni) | Sì (volontaria) | Esonerata da fallimento e concordato | Procedure sovraindebitamento: concordato minore, liquidaz. controllata | Non fallibile per 5 anni: se insolvente userà concordato minore (anche di grande dimensione). |
Imprenditore agricolo | Sì | NO liquidaz. giudiziale (art. 121 CCII); NO concord. prev. ord. (per legge spec.) | Concordato minore; Liquidazione controllata | Agricolo ora rientra nei sovraindebiti: accesso a conc. minore di qualsiasi dimensione. |
Gruppo di imprese | Sì (CN unitario) | Sì: concordato di gruppo, ecc. (Tit. V CCII) | Sovraindebitamento di gruppo (famiglie connesse, ecc.) | CN possibile con unico esperto su più società correlate; soluzioni coordinate. |
8.3 – Principali obblighi e responsabilità dell’imprenditore durante la CN:
- Fornire informazioni veritiere e complete all’esperto e ai creditori. (Omettere dati rilevanti può portare a chiusura procedura e conseguenze ex post).
- Gestire ordinariamente l’azienda senza aggravare il dissesto. (Focus su business continuity; evitare spese inutili).
- Astenersi da atti straordinari non concordati: se necessari, informare l’esperto per approvazione/disapprovazione.
- Aggiornare regolarmente l’esperto sull’andamento cassa, pagamenti, trattative parallele.
- Rispettare obblighi informativi verso il Tribunale in caso di misure protettive: depositare numero RG procedura entro 30 gg, riferire su ogni fatto rilevante.
- Tenere comportamenti di buona fede verso i creditori: niente preferenze occulte, niente promesse ingannevoli.
- Se la CN fallisce: decidere celermente se attivare concordato semplificato, accordo o istanza di liquidazione per minimizzare danni.
Violazioni di questi doveri possono comportare: revoca misure protettive, azioni di responsabilità, perdita esenzioni penali, etc.
8.4 – Timeline semplificata di una Composizione Negoziata tipica (senza proroga):
Giorno 0: Presentazione istanza nomina esperto (documenti caricati).
Giorno ~5: Commissione nomina esperto; esperto accetta (T0 procedura).
T0 + 7 gg: Primo incontro imprenditore-esperto (valutazione prospettive).
T0 + 15 gg: Eventuale richiesta misure protettive -> pubblicazione e ricorso a Tribunale.
T0 + 20 gg: Decreto Tribunale conferma misure (sospensione azioni max 4+ mesi).
T0 + 30 gg: Riunione iniziale con principali creditori (fotografia situazione, proposte abbozzate).
T0 + 2 mesi: Fase di due diligence e negoziazioni bilaterali. Proposte concretizzate, bozze di accordo circolano.
T0 + 3 mesi: Eventuali autorizzazioni Tribunale per operazioni urgenti (es. finanziamento interinale).
T0 + 4-5 mesi: Raggiungimento intesa di massima -> redazione e firma accordo finale, o constatazione mancato accordo.
Entro T0 + 6 mesi: Chiusura composizione negoziata. Esperto consegna relazione finale agli attori.
- Se accordo riuscito: esecuzione del medesimo (privatamente o con omologa a seconda dei casi). Fine iter risanamento.
- Se accordo fallito: entro 60 gg debitore può proporre concordato semplificato o avviare altre procedure; altrimenti creditori liberi di agire/fallimento.
(La linea temporale può variare in base alla complessità; in caso di proroga concordata di ulteriori 180 gg, le trattative proseguono fino max 12 mesi.)
Questi schemi offrono una vista d’insieme schematica – ovviamente situazioni specifiche possono discostarsi, ma aiutano a ricapitolare i concetti.
9. Fonti normative, giurisprudenziali e dottrinali
Fonti normative italiane:
- D.Lgs. 12 gennaio 2019, n.14 – Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), entrato in vigore il 15 luglio 2022. Articoli rilevanti: artt. 2 (definizioni di crisi e insolvenza), 12-25-sexies (Composizione negoziata e concordato semplificato); art. 25-bis e 25-ter (misure premiali); artt. 56-64 (Piani attestati e Accordi ristrutturazione); artt. 84-88 (Concordato preventivo e effetti su capitale); artt. 89-92 (continuità aziendale e obblighi direzione); artt. 94-102 (gestione durante concordato; atti urgenti); artt. 109-112 (voto classi e cram-down); artt. 120-121 (liquidazione giud. soggetti esclusi); artt. 268-277 (Liquidazione controllata); art. 282-283 (Esdebitazione).
(Codice aggiornato con: D.Lgs. 147/2020, D.L. 118/2021 conv. L.147/2021, D.L. 36/2022 conv. L.79/2022, D.Lgs. 83/2022 attuativo Dir. 1023/2019, D.Lgs. 136/2024 terzo correttivo). - L. 21 ottobre 2021, n.147 – conversione D.L. 118/2021 “misure urgenti crisi d’impresa”, che ha introdotto la composizione negoziata (in vigore dal 15/11/2021). Sostituisce le norme su allerta OCRI abrogate. Contiene in Allegato il testo normativo base (pre-codifica in CCII) e disciplina transitoria.
- D.Lgs. 8 luglio 1999, n.270 – Amministrazione straordinaria grandi imprese insolventi (cd. Legge Prodi-bis). Applicabile come da art. 23 co.2(d) CCII in alternativa per imprese rilevanti.
- D.L. 23 dicembre 2003, n.347 conv. L.39/2004 – Amministrazione straordinaria speciale grandi gruppi (cd. Marzano). Riferita dall’art. 23 co.2(d) CCII per eventuali grandi crisi di rilevanza pubblica.
- Codice Civile, art. 2086 (dovere assetti adeguati); artt. 2446-2447, 2482-bis e ter c.c. (riduzione capitale per perdite); art. 2484 n.4 (causa scioglimento per perdite); art. 2486 (gestione conservativa dopo scioglimento); art. 2399 (indipendenza sindaci, richiamato per esperto); art. 2560 c.c. (debiti cedente d’azienda); art. 2112 c.c. (tutela rapporti di lavoro in trasferimento).
- Legge fallimentare (R.D. 267/1942) – disposizioni richiamate: art. 67 co.3 lett. d (atti esenti da revocatoria: piani attestati); art. 182-bis (accordi ristrutt.) e 182-septies (accordi estesi banche); art. 182-ter (transazione fiscale); art. 182-sexies (sospensione obblighi capitale in concordato); art. 217-bis (esenzione bancarotta pagamenti piano/accordo). N.B.: Molte di queste sono ora nel CCII (es. 217-bis confluita in art. 324 CCII).
- D.Lgs. 10 marzo 2000, n.74 – Reati tributari: art.10-bis, 10-ter, 10-quater (omesso versamento tributi e indebite compensazioni). Rilevanti per crisi (vedi §5.3).
- Legge 27 gennaio 2012, n.3 – composizione crisi da sovraindebitamento (abrogata e integrata nel CCII). Prima prevedeva accordo di composizione, piano consumatore, liquidazione patrimonio, esdebitazione. Ora corrisponde a concordato minore, ristrutturazione consumatore, liquidazione controllata, esdebitazione incapiente.
- D.Lgs. 14 settembre 2015, n.148 – Norme in materia di ammortizzatori sociali (CIGS). Art.21 e seguenti: CIGS per crisi, riorganizzazione e “per concordato/accordo” in caso di procedure (norme modificate da vari DL recenti). Rilevante per §5.5 (gestione lavoratori in crisi).
- Leggi di bilancio recenti: L. 30/12/2021 n.234 e L.29/12/2022 n.197 – per l’istituzione di fondi e misure premiali (es. esonero interessi legali in CN delega fiscale art.1 L.197/2022 citata).
Giurisprudenza (massime e pronunce):
- Corte di Cassazione, sent. 04/07/2022 n.21152: ha chiarito che l’iscrizione di una società come start-up innovativa non impedisce al giudice di verificare la perdita dei requisiti e, al raggiungimento del quinquennio, cessa la non assoggettabilità a procedure concorsuali. Inoltre ha confermato che la protezione 5 anni decorre dalla costituzione (non dalla domanda di iscrizione).
- Corte di Cassazione, ord. 16/01/2024 n.1587/2024: ha stabilito che una start-up innovativa, al termine dei 5 anni o in caso di decadenza anticipata dai requisiti, diviene fallibile anche se la cancellazione dal registro speciale avviene entro 60 giorni. Non spetta un’estensione automatica del periodo di esenzione oltre il termine quinquennale (il reclamo della start-up che chiedeva ulteriori 60gg di protezione è stato rigettato).
- Tribunale di Milano, linee guida 2022: (citato da fonti dottr.) Indica l’orientamento di favorire la prosecuzione delle trattative CN e di concedere misure protettive in modo flessibile, revocandole se abuso; e di coordinare eventuali istanze concorsuali con la CN (nessuna citazione testuale in guida per brevità, ma soggiacente).
- Tribunale di Bologna, decreto 30 gennaio 2024: (Menzi. in articolo Advant) – Prima pronuncia interpretativa su art.17 co.7 CCII: ha interpretato che la “richiesta di tutte le parti” per proroga 180gg include solo quelle ancora in trattativa, escludendo chi ha già accordato o abbandonato. Ha concesso proroga anche se non tutti i creditori originari aderivano, bastando quelli ancora attivi.
- Tribunale di Messina, 28/10/2022: (cit. da dottrina) Ha ritenuto che l’imprenditore agricolo può accedere al concordato minore indipendentemente dai requisiti dimensionali, confermando che l’art.74 CCII lo consente espressamente. Caso: impr. agricolo con debiti > soglie minori ammesso a conc. minore.
- Tribunale di Napoli, 19/07/2022: (dottrina) In tema di concordato semplificato: ha omologato un concordato semplificato presentato dopo CN fallita, affermando che i creditori dissenzienti non possono opporsi sulla convenienza se hanno trattamento >= liquidazione (interpretazione di art.25-sexies e art.112 CCII) – conferma fattibilità di cram-down integrale nel semplificato.
- Corte d’Appello di Venezia, decreti 2023: (riport. in dottrina) su accordi di ristrutturazione agevolati: ha omologato accordi col 30% adesione ritenendo soddisfatti i creditori estranei entro 120gg come da norma, riducendo soglia ex art.61 CCII come da correttivo (queste pronunce applicative di nuove norme indicano come la riduzione soglia grazie a CN è stata usata).
(Queste pronunce non sono testualmente citate per ragioni di spazio, ma hanno informato concetti come startup, agricolo fallibilità, proroga “tutte le parti” etc. I riferimenti a Cassazione e Trib. Bologna sono stati inseriti con citazione diretta in testo).
Prassi operative e dottrina/commenti:
- Relazione Illustrativa al D.Lgs. 83/2022: spiega ratio delle modifiche introdotte (recepimento Dir. Insolvency). Evidenzia come il Titolo II CCII sia stato riscritto per includere CN come procedura di composizione volontaria in luogo delle procedure di allerta obbligatorie.
- Linee guida CNDCEC sulla composizione negoziata (dic 2021): documento a cura Consiglio Nazionale Dottori Commercialisti su ruolo esperto, comportamenti, modulistica. Raccomanda indipendenza, trasparenza, e regole deontologiche (es: evitare conflitti, nessun futuro incarico professionale dal debitore nei 2 anni).
- Osservatorio Unioncamere sulla crisi d’impresa (Nov 2024): da cui dati statistici: ~1963 istanze da avvio a nov.’24; tasso successo ~20,5%; 85,7% società di capitali medie (64 addetti). Ha rilevato aumento forte 2024 di utilizzo e preferenza per strumenti privatistici come CN.
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Conclusione
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