Accertamenti Per L’imposta Di Soggiorno: Come Difendersi Con L’Avvocato

Hai ricevuto un avviso di accertamento o una richiesta di pagamento per l’imposta di soggiorno?
Gestisci un B&B, una casa vacanza, un agriturismo o un’attività extralberghiera e ti contestano dichiarazioni omesse, versamenti parziali o presunte irregolarità?

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario, contenzioso con enti locali e difesa degli operatori turistici – ti spiega in modo chiaro e pratico come funzionano gli accertamenti sull’imposta di soggiorno, quali sono i tuoi diritti e come difenderti in modo efficace e legale.

Scoprirai:

  • Cosa può essere contestato dal Comune: dichiarazioni non presentate, importi non versati, ritardi o omissioni;
  • Quando l’accertamento è valido e quando invece può essere annullato per vizi di forma, errori materiali o mancanza di prove;
  • Quali sono le responsabilità del gestore e perché spesso viene confusa la figura del sostituto d’imposta con quella del debitore diretto;
  • I termini per presentare ricorso e per opporsi alla richiesta di pagamento, sia in sede amministrativa che in giudizio;
  • Come evitare sanzioni sproporzionate, interessi e azioni esecutive da parte del Comune o dell’agente della riscossione;
  • Come agire legalmente se l’accertamento si basa su presunzioni, verifiche a campione o dati non attendibili (es. portali online, report di prenotazioni).

Con il supporto di un avvocato esperto potrai difenderti da accertamenti ingiusti o eccessivi, tutelare il tuo operato e chiarire la tua posizione senza rischiare sanzioni gravi o danni alla tua attività ricettiva.

Alla fine della guida potrai richiedere una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo, esaminare l’atto ricevuto, capire se puoi contestarlo e valutare la strategia migliore per difenderti, regolarizzarti e proseguire la tua attività in sicurezza.

Introduzione

L’imposta di soggiorno – tributo locale dovuto dai turisti che pernottano in strutture ricettive – è al centro di un’intensa attività di accertamento da parte dei Comuni italiani. Negli ultimi anni (soprattutto dopo la ripresa post-pandemia) si è registrato un incremento delle verifiche e delle contestazioni nei confronti di albergatori, gestori di B&B, affittacamere, locatori di appartamenti per affitti brevi, agriturismi e in generale di tutte le strutture ricettive soggette a tale tributo. Parallelamente, il quadro normativo è stato aggiornato per definire meglio ruoli e responsabilità, e la giurisprudenza – sia tributaria che contabile – ha prodotto importanti pronunce tra il 2020 e il 2024.

Questa guida avanzata, aggiornata a maggio 2025, fornisce a avvocati e imprenditori del settore turistico-ricettivo un quadro completo su come affrontare gli accertamenti relativi all’imposta di soggiorno, con un linguaggio tecnico-giuridico ma di taglio divulgativo. Verranno esaminati:

  • Soggetti obbligati e quadro normativo dell’imposta di soggiorno, con riferimento a tutte le tipologie di strutture ricettive (dagli hotel ai bed & breakfast, dagli agriturismi alle locazioni brevi).
  • Gli obblighi pratici dei gestori (dalla riscossione dell’imposta, alla dichiarazione annuale telematica, alla conservazione della documentazione) e il ruolo delle piattaforme online (Airbnb, Booking, ecc.) nella riscossione del tributo.
  • Gli strumenti di accertamento utilizzati dai Comuni (incrocio di banche dati, controlli in loco, collaborazione con l’Agenzia delle Entrate e le Forze dell’Ordine) e le iniziative dei Tribunali contabili (Corte dei Conti) per il recupero delle somme non versate.
  • Le strategie difensive esperibili con l’ausilio di un avvocato specializzato: dai rimedi in via amministrativa (richieste di autotutela, adesione, ravvedimento) al ricorso alle Corti di Giustizia Tributaria, con modelli di atti (ricorso, memoria difensiva, istanza di sospensione).
  • Tabelle riepilogative, casi pratici e una sezione Domande & Risposte (FAQ) chiariranno i punti chiave e le casistiche tipiche (esenzioni, mancato pagamento da parte dell’ospite, termini di prescrizione, rapporti con Airbnb/Booking, ecc.).
  • Un focus sui principali territori turistici (Roma, Milano, Firenze, Venezia, Napoli) evidenzierà le peculiarità locali e le recenti operazioni di controllo ed enforcement, con riferimenti a dati e notizie aggiornate.
  • In conclusione, una sezione bibliografica e normativa elencherà tutte le fonti citate (leggi, regolamenti comunali, pronunce della Corte dei Conti, sentenze dei TAR, Cassazione e contributi dottrinali), fornendo un utile repertorio di riferimento.

Con un’organizzazione in capitoli e paragrafi chiari, liste puntate per i punti cruciali, e approfondimenti giurisprudenziali, la guida vuole essere uno strumento operativo per difendersi efficacemente dagli accertamenti sull’imposta di soggiorno. L’intervento tempestivo e competente di un avvocato può infatti fare la differenza nel contestare richieste indebite o sanzioni sproporzionate, evitando errori procedurali che potrebbero pregiudicare il contribuente. Entriamo ora nel vivo della trattazione, partendo dal contesto normativo generale.

Quadro normativo generale e soggetti obbligati

L’imposta di soggiorno è un tributo locale facoltativo, istituito a livello nazionale dall’art. 4 del D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23 (decreto sul federalismo fiscale municipale). In base a questa norma, possono introdurre l’imposta di soggiorno: i Comuni capoluogo di provincia, le Unioni di Comuni, nonché i Comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d’arte. L’imposta si applica a carico di coloro che alloggiano nelle strutture ricettive situate sul territorio comunale, in proporzione al numero di pernottamenti, e con un importo massimo (in origine) di 5 € per notte. Il gettito deve essere destinato a finanziare interventi in materia di turismo, includendo il sostegno alle strutture ricettive e la manutenzione/valorizzazione dei beni culturali e ambientali locali. In alcune grandi città d’arte, la legge consente di superare il tetto ordinario: ad esempio, nei Comuni capoluogo con flussi turistici oltre 20 volte i residenti, si può arrivare sino all’importo massimo previsto per Roma Capitale (che attualmente applica tariffe differenziate fino a €10 a notte per hotel di lusso).

Soggetto passivo dell’imposta è il turista, ossia la persona (non residente nel Comune) che pernotta nella struttura ricettiva. Tuttavia, la legge individua nel gestore della struttura ricettiva un ruolo chiave: egli è responsabile del pagamento dell’imposta di soggiorno nei confronti del Comune, con diritto di rivalsa sui turisti alloggiati. In altre parole, il gestore incassa l’imposta dal cliente e la riversa al Comune, fungendo da intermediario fiscale obbligato. Questa configurazione segue il modello delle imposte sui consumi: l’onere economico ricade sull’ospite (consumatore turistico), ma gli obblighi di riscossione e versamento gravano su chi fornisce il servizio di alloggio. La posizione giuridica del gestore è stata chiarita ed evoluta per legge nel 2020: inizialmente l’art. 4 D.Lgs. 23/2011 si limitava a delineare sommariamente alcuni aspetti, ma con il D.L. 34/2020 (convertito con L. 77/2020) è stato inserito il comma 1-ter, che qualifica espressamente il gestore come “responsabile del pagamento dell’imposta di soggiorno”. Contestualmente, si sancisce l’obbligo per il gestore di presentare la dichiarazione annuale e si prevedono specifiche sanzioni amministrative per omissioni o ritardi (come vedremo in dettaglio più avanti). Questa modifica normativa – rafforzata ulteriormente dal D.L. 146/2021, che ne ha reso retroattiva l’applicabilità anche per fatti antecedenti al 19 maggio 2020 – ha avuto l’obiettivo di chiarire la natura tributaria del rapporto tra gestore e Comune, superando la precedente impostazione che assimilava l’albergatore a una sorta di agente contabile per denaro pubblico.

Dal punto di vista soggettivo, tutte le strutture ricettive possono essere assoggettate all’imposta di soggiorno, se istituita dal Comune dove sono situate. Ciò include:

  • Alberghi e hotel di qualsiasi categoria (1, 2, 3, 4, 5 stelle, etc.), nonché residence e strutture assimilate.
  • Bed & Breakfast (sia a gestione familiare non imprenditoriale, sia esercitati in forma imprenditoriale).
  • Affittacamere e case per vacanze, appartamenti ammobiliati ad uso turistico e in generale le locazioni brevi turistiche (affitti di durata ≤30 giorni, spesso gestiti su piattaforme come Airbnb).
  • Agriturismi e aziende agricole con ospitalità, campeggi, ostelli, rifugi (salvo esenzioni particolari previste localmente, es. i rifugi alpini privi di viabilità possono essere esclusi dagli obblighi di comunicazione di pubblica sicurezza, ma per l’imposta rileva la regolamentazione comunale).
  • Altre strutture non convenzionali che offrano alloggio a titolo oneroso, anche se fuori dalle categorie tradizionali (es. houseboat, glamping, ecc.), purché il Comune le includa nel proprio Regolamento sull’imposta di soggiorno.

Di conseguenza, il gestore/proprietario di qualsiasi struttura del genere ha l’obbligo di attuare la riscossione dell’imposta ove prevista. Va ricordato che l’imposta di soggiorno è stata adottata da un numero crescente di enti locali: a fine 2019 risultavano oltre 1.100 Comuni (tra comuni, unioni di comuni e province autonome) ad averla istituita, con un gettito complessivo di 604 milioni di euro nel 2019, di cui 117 milioni nella sola Roma. Dopo la battuta d’arresto del 2020–2021 dovuta alla pandemia, il 2022-2023 ha visto un forte recupero di gettito (secondo l’Osservatorio Nazionale, +27% nel 2023 rispetto al 2022) anche grazie al potenziamento dei controlli anti-evasione.

In sintesi, chi alloggia paga, chi gestisce riscuote e risponde verso il Comune. Nei prossimi paragrafi esamineremo quali sono, in concreto, gli adempimenti richiesti ai gestori, come si inseriscono in tale dinamica le piattaforme telematiche e quali strumenti hanno le autorità per verificare e sanzionare eventuali inadempienze.

Obblighi dei gestori delle strutture ricettive

Il gestore della struttura ricettiva (titolare o responsabile dell’attività) è tenuto per legge e per regolamento comunale a una serie di obblighi tributari e amministrativi finalizzati alla corretta applicazione dell’imposta di soggiorno. Di seguito riepiloghiamo i principali adempimenti, con indicazione delle relative conseguenze in caso di violazione.

ObbligoDescrizioneSanzioni in caso di violazione
Riscossione dell’impostaRaccogliere l’imposta di soggiorno dovuta da ogni ospite, al momento del saldo del soggiorno. Il gestore deve informare preventivamente il cliente dell’importo dovuto (spesso mediante cartelli informativi in struttura o note sul sito web). Al check-out, deve addebitare l’importo in fattura/ricevuta in dicitura separata come operazione fuori campo IVA. In alternativa, può emettere una ricevuta nominativa specifica per l’imposta di soggiorno.L’omessa riscossione o il mancato versamento al Comune configura un’infrazione tributaria punita con sanzione pecuniaria del 30% dell’importo non versato, ai sensi dell’art. 13 D.Lgs. 471/1997. Inoltre, il gestore resta comunque obbligato a versare il tributo evaso. Nei casi più gravi in passato è stato contestato il reato di peculato, ma dopo la riforma del 2020 tali condotte sono depenalizzate (vedi sez. Corte dei Conti).
Dichiarazione annualePresentare una dichiarazione annuale cumulativa, esclusivamente in via telematica, entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello di riferimento. In questa dichiarazione il gestore riepiloga per l’anno solare precedente il numero di pernottamenti imponibili, l’imposta dovuta, eventuali esenzioni applicate e quanto versato. Si tratta di un adempimento introdotto a livello nazionale dal 2020, volto a uniformare e centralizzare il monitoraggio. La dichiarazione va trasmessa attraverso il portale ministeriale dedicato (accessibile con credenziali o SPID); molti gestori hanno inviato per la prima volta questa comunicazione annuale entro giugno 2022, riferita all’anno d’imposta 2021.L’omessa o infedele presentazione della dichiarazione annuale comporta una sanzione amministrativa dal 100% al 200% dell’importo dovuto (in pratica, una multa pari all’intero importo dell’imposta non dichiarata, fino al doppio). Questa sanzione è autonoma rispetto a quella per il mancato versamento. È dunque fondamentale rispettare la scadenza del 30 giugno e assicurarsi che i dati dichiarati siano completi e corretti. In caso di ritardo od errore, è consigliabile avvalersi subito del ravvedimento operoso (pagando spontaneamente un piccolo importo aggiuntivo a titolo di sanzione ridotta), prima che il Comune contesti la violazione.
Versamento periodico al ComuneVersare periodicamente al Comune le somme riscosse. Le modalità e la frequenza del versamento sono stabilite dai regolamenti comunali: in alcune città è mensile, in altre trimestrale o semestrale. Ad esempio, il regolamento tipo prevede spesso che entro il 16 del mese successivo (o del trimestre) il gestore versi l’imposta relativa ai pernottamenti di quel periodo. Il versamento si effettua tramite conto corrente o piattaforma di pagamento indicata dal Comune, usando causali e modelli predisposti (talora tramite portali online dedicati).L’omesso, parziale o ritardato versamento dell’imposta è sanzionato, come detto, con la sanzione del 30% dell’importo non versato (art. 13 D.Lgs. 471/97), oltre agli interessi moratori calcolati al tasso legale sul ritardo. Se il versamento è effettuato ma in ritardo, la sanzione può essere ridotta con ravvedimento (ad esempio al 1/15 del 30% se pagato entro 90 giorni). Se il ritardo supera certi limiti o è reiterato, il Comune potrebbe emettere avvisi di accertamento esecutivi per recuperare coattivamente le somme dovute più sanzioni e interessi.
Comunicazioni periodicheTrasmettere al Comune comunicazioni periodiche sul numero di ospiti e pernottamenti. Oltre alla dichiarazione annuale statale, molti Comuni mantengono un obbligo di dichiarazione mensile/trimestrale locale per esigenze gestionali. Ad esempio, il regolamento può richiedere che ogni mese (o trimestre) si comunichi il totale dei pernottamenti, distinguendo esenti e imponibili, anche se l’imposta è già stata versata da Airbnb o altri (in caso di convenzioni). Firenze, ad esempio, richiede una dichiarazione telematica mensile anche agli host Airbnb, nonostante Airbnb versi già l’imposta automatica, per monitorare i flussi. In genere tali comunicazioni si effettuano sul portale del tributo di soggiorno messo a disposizione dal Comune.La mancata presentazione di comunicazioni periodiche imposte dal regolamento comunale comporta sanzioni amministrative locali. Spesso si tratta di una sanzione fissa per ogni omesso adempimento. Nel caso citato di Firenze, un host che non aveva mai comunicato le presenze per un anno è stato sanzionato con 100 sanzioni per omessa comunicazione (una per ciascun mese e per ciascuna struttura gestita, presumibilmente) per un totale di €16.667. Questo evidenzia come anche gli obblighi “locali” vadano rispettati per non accumulare multe considerevoli.
Conservazione dei documentiConservare per almeno 5 anni tutta la documentazione relativa all’imposta: copie delle ricevute rilasciate agli ospiti, fatture, registri degli ospiti, evidenze di pagamenti effettuati, documenti attestanti eventuali esenzioni (es. certificati medici per esenzione di degenti, documenti identità per verifica età dei minori, ordini di servizio per forze dell’ordine, ecc.). Il regolamento comunale tipicamente impone questa conservazione quinquennale ai fini di eventuali verifiche. Inoltre, poiché le normative di P.S. (art. 109 TULPS) richiedono di registrare gli alloggiati, il registro digitale delle schedine alloggiati può costituire un ulteriore supporto documentale.In sede di accertamento, il Comune può richiedere l’esibizione di tali documenti. La mancata conservazione/esibizione costituisce violazione degli obblighi regolamentari, sanzionabile in via amministrativa (generalmente con una sanzione pecuniaria per irregolare tenuta dei registri). Ma soprattutto, non avere prove documentali renderà molto più difficile difendersi contro un eventuale accertamento: ad esempio, contestare la richiesta del Comune per presunti pernottamenti non dichiarati sarà arduo se il gestore non può produrre registri e copie di documenti attestanti che quegli ospiti erano esenti o già conteggiati.

Oltre a questi obblighi principali, se ne aggiungono altri di carattere generale: il gestore deve informarsi sulle tariffe e regolamenti comunali vigenti, applicare eventuali esenzioni o riduzioni previste (molti regolamenti comunali esonerano dal pagamento i minori sotto una certa età, tipicamente 14 o 18 anni, nonché autisti di pullman, accompagnatori turistici, personale in servizio, malati e accompagnatori per motivi di cura, persone con disabilità grave, volontari in emergenze, ecc.). Tali esenzioni variano da Comune a Comune, quindi è onere del gestore conoscerle e documentarne l’applicazione (facendosi rilasciare, ad esempio, autocertificazioni o idonea documentazione dal cliente che dichiara di rientrare in un caso di esenzione). In alcuni Comuni esistono limitazioni sul numero di notti imponibili (es. l’imposta è dovuta solo per i primi 5 o 7 giorni di permanenza, oltre i quali scatta esenzione), oppure riduzioni fuori alta stagione. Il gestore deve applicare correttamente anche queste regole tariffarie.

Un ulteriore obbligo, sebbene non di natura tributaria in senso stretto ma spesso previsto nei regolamenti, è quello di informare gli ospiti circa l’esistenza e l’importo dell’imposta di soggiorno. Molti Comuni richiedono di esporre un avviso nelle aree comuni della struttura (bacheca, reception) oppure di inserire l’informativa sul sito internet e sul materiale informativo dato ai clienti. Ciò per trasparenza e per evitare contestazioni da parte dei clienti al momento del pagamento. Anche le piattaforme online generalmente suggeriscono di indicare nei propri annunci se il prezzo include la tassa di soggiorno o se va pagata a parte.

Infine, va ricordato il parallelismo con gli obblighi di pubblica sicurezza: ai sensi dell’art. 109 del TULPS, tutti i gestori di strutture ricettive (comprese case e appartamenti per vacanze e affittacamere) devono identificare e registrare gli alloggiati, comunicandone i dati alla Questura tramite il portale “Alloggiati Web” entro 24 ore. Tale obbligo è distinto da quello fiscale, ma di fatto produce una banca dati (quella delle schedine alloggiati) che – come vedremo – viene spesso utilizzata dai Comuni per incrociare le informazioni sulle presenze ai fini dell’imposta. Dunque, adempiere correttamente anche a questo obbligo (e conservare copie delle ricevute di invio schedine) aiuta a dimostrare chi ha effettivamente alloggiato nella struttura in un dato periodo.

Le piattaforme online (Airbnb, Booking etc.) e la riscossione dell’imposta

Con la crescita esponenziale delle locazioni turistiche brevi e delle prenotazioni tramite portali online (Airbnb, Booking.com, Expedia, Vrbo, ecc.), il legislatore e i Comuni hanno dovuto affrontare il tema delle responsabilità degli intermediari telematici rispetto all’imposta di soggiorno. Chi pubblica un annuncio su queste piattaforme, infatti, spesso delega la gestione della prenotazione (e talora del pagamento) a terzi, e ciò potrebbe complicare la riscossione del tributo locale. Vediamo qual è la situazione normativa e pratica a maggio 2025:

Responsabilità legale degli intermediari: Dal 2017 in poi sono state introdotte norme specifiche per coinvolgere gli intermediari nel prelievo dell’imposta di soggiorno. In particolare, l’art. 4 del D.L. 50/2017 (relativo alle “locazioni brevi”) ha stabilito che, per gli affitti turistici fino a 30 giorni, i soggetti che esercitano intermediazione immobiliare, o che gestiscono portali telematici mettendo in contatto domanda e offerta, possono essere chiamati a intervenire anche ai fini delle imposte. Nel 2017 l’accento era sulla ritenuta fiscale del 21% (cedolare secca) sui canoni, ma successivamente è stato previsto uno specifico obbligo in tema di imposta di soggiorno: il comma 5-ter dell’art. 4 D.L. 50/2017, inserito in sede di conversione, dispone in modo analogo al comma 1-ter di D.Lgs. 23/2011 che il soggetto che incassa il canone o il corrispettivo, ovvero che interviene nel pagamento dello stesso, è anch’esso responsabile del pagamento dell’imposta di soggiorno e della presentazione della relativa dichiarazione. In pratica, se un portale online riscuote dal turista il pagamento del soggiorno (comprensivo o meno della tassa di soggiorno), diviene co-responsabile d’imposta insieme al gestore. Ha diritto di rivalsa sul turista e deve presentare dichiarazione al pari del gestore.

Tale previsione normativa è molto importante perché copre il caso di Airbnb (che in molti casi incassa direttamente dal turista l’intero importo del soggiorno come intermediario di pagamento) e di Booking.com (che oggi offre sia prenotazioni con pagamento diretto in struttura sia un sistema “Payments by Booking” in cui incassa online dal cliente). In teoria, dunque, se l’host utilizza un intermediario che incassa i pagamenti, anche la piattaforma è tenuta a garantire che l’imposta di soggiorno venga versata al Comune. Questo non esonera il gestore dal suo obbligo, ma crea una responsabilità solidale dell’intermediario.

Accordi e prassi con Airbnb: In parallelo alla normativa, molte grandi città italiane hanno stretto accordi volontari con Airbnb per semplificare la riscossione. Airbnb a livello globale ha adottato la politica di fungere da “esattore” delle tasse di soggiorno in molte destinazioni. In Italia, già prima del 2022, città come Firenze, Milano, Venezia, Roma, Napoli avevano avviato interlocuzioni. Ad esempio, Milano ha siglato un accordo in base al quale Airbnb riscossione automaticamente l’imposta per le prenotazioni nel Comune e la versa periodicamente al Comune stesso.

Nel novembre 2021 Airbnb ha annunciato un ampliamento del programma: dal 2022 la piattaforma avrebbe attivato la riscossione digitale dell’imposta di soggiorno in tutta Italia, per tutti i Comuni richiedenti. È stata avviata una collaborazione con ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani) per estendere tali accordi a oltre 1.100 Comuni. In pratica, quando un host pubblica un annuncio su Airbnb in un Comune che ha l’imposta di soggiorno, la piattaforma – se ha attivato la convenzione – calcola automaticamente l’importo dovuto in base alle tariffe comunali e lo addebita all’ospite al momento della prenotazione. L’ospite paga anticipatamente anche la tassa e Airbnb successivamente versa le somme al Comune (di solito con cadenza mensile o trimestrale, a seconda dell’accordo locale). L’host riceve da Airbnb il pagamento al netto di imposta di soggiorno, che non transita nemmeno per le sue mani. Questo meccanismo ha due benefici: garantisce al Comune una riscossione più certa e facilita per l’host il compito (non deve chiedere il contante all’ospite né fare calcoli in loco).

Va sottolineato che Airbnb applica questa procedura solo se il Comune ne ha fatto richiesta ed è convenzionato. In assenza di accordo, “gli host rimangono gli unici responsabili” per incassare e versare le imposte di soggiorno. Sul sito di Airbnb è disponibile l’elenco aggiornato dei Comuni italiani dove la tassa è riscossa dal portale; tra questi ci sono ormai tutte le principali città d’arte e molte località turistiche minori. Dal punto di vista del gestore, è comunque opportuno verificare e non dare per scontato: in alcuni casi, subito dopo l’accordo iniziale, potrebbero esserci stati ritardi tecnici nell’attivazione.

E per Booking.com e altre piattaforme? Booking.com non riscuote direttamente l’imposta di soggiorno nella generalità dei casi: la indica al cliente come costo extra “da pagare in struttura”. Ciò significa che il gestore è tenuto a incassarla al check-in/check-out come da prassi tradizionale. Tuttavia, se il gestore aderisce al sistema di pagamenti online di Booking (dove Booking incassa l’importo della prenotazione tramite carta), in alcune città Booking potrebbe trasferire l’imposta al proprietario o doverla versare. Non risultano, al 2025, accordi capillari tra Booking.com e i Comuni simili a quelli di Airbnb, anche perché Booking tradizionalmente lascia al host gli adempimenti fiscali. Expedia/Hotels.com in certi casi incassano e versano, ma dipende dai mercati (negli USA lo fanno spesso, in Italia è meno diffuso).

In ogni caso, grazie alla norma del 2017, il Comune ha titolo giuridico per rivolgersi anche all’intermediario se l’imposta non viene pagata. Ad esempio, se un host su Booking.com non ha versato la tassa per alcuni clienti ed emerge che Booking aveva gestito il pagamento, il Comune potrebbe ritenere Booking solidalmente responsabile del mancato versamento. Finora, però, l’enforcement è avvenuto prevalentemente verso i gestori, mentre coinvolgere legalmente piattaforme straniere può essere complesso (competenza giurisdizionale, necessità di individuare un rappresentante fiscale, ecc.).

Cosa deve fare il gestore che usa queste piattaforme?
Ecco alcune linee guida pratiche per evitare problemi:

  • Conoscere le regole locali: se il Comune ha una convenzione con Airbnb, informarsi da quando parte l’incasso automatico e su quali dichiarazioni aggiuntive eventualmente servono. Come detto, ad esempio, Milano e Firenze richiedono comunque all’host di dichiarare trimestralmente le presenze anche se Airbnb ha versato; Roma invece fornisce un resoconto all’host di quanto Airbnb ha versato per suo conto, da inserire poi nella dichiarazione annuale.
  • Verificare gli estratti conto: Airbnb mette a disposizione nell’area host un report delle tasse di soggiorno riscosse e versate. È buona pratica salvarlo e confrontarlo con le proprie prenotazioni, per assicurarsi che tutte le notti siano coperte. Questo report sarà la vostra prova in caso di contestazione da parte del Comune: se ricevete un avviso per “mancato versamento” ma Airbnb aveva già versato, potrete facilmente dimostrarlo con la documentazione della piattaforma.
  • Coordinare le tariffe: In alcuni casi, quando il Comune aumenta le tariffe dell’imposta, c’è un breve periodo di aggiornamento in cui Airbnb potrebbe non recepire subito la novità. L’host dovrebbe vigilare e, se nota discrepanze (ospiti a cui non è stata addebitata correttamente la tassa aggiornata), è opportuno segnalarlo.
  • Booking e altri portali: se usate Booking senza pagamento online, nulla cambia – dovete riscuotere voi in loco. Se usate Booking con incasso da parte loro, verificate nel contratto se inoltrano a voi anche l’importo tassa (in genere sì, come voce separata). In tal caso, dovrete poi versarlo al Comune come se l’aveste incassato direttamente. Non pensate che “lo avrà fatto Booking”, perché rischiate che nessuno lo faccia.
  • Dichiarazione annuale: va compilata a prescindere dal canale di vendita. Quindi includete nel totale pernottamenti sia quelli diretti sia quelli via Airbnb/Booking. Se Airbnb ha versato per voi, in genere ciò va indicato (nell’apposita casella di molti modelli va riportato l’importo già versato da intermediari). In questo modo non vi verrà addebitato due volte.

In conclusione, le piattaforme online oggi facilitano la gestione dell’imposta in molte realtà, ma non esonerano del tutto il gestore dai suoi obblighi dichiarativi e di vigilanza. È fondamentale mantenere un flusso comunicativo con il proprio consulente/avvocato per restare aggiornati su eventuali modifiche legislative: ad esempio, si discute a livello europeo di standardizzare la condivisione di dati delle piattaforme con le autorità fiscali locali. Airbnb stessa ha annunciato un “Patto per il turismo responsabile” con ANCI che prevede la condivisione dei dati degli host alle autorità a fini amministrativi e fiscali, nonché l’obbligo di Codice Identificativo sugli annunci (già richiesto in diverse regioni italiane). Tutto ciò renderà più difficile “nascondersi” per chi non dichiara le locazioni: i Comuni sapranno quanti annunci e ospiti avete, e potranno incrociare tali dati con i versamenti dell’imposta di soggiorno. Nel prossimo capitolo vedremo proprio come i Comuni effettuano gli accertamenti, sfruttando banche dati e controlli incrociati.

Strumenti di accertamento dei Comuni

Le amministrazioni comunali hanno sviluppato, specie negli ultimi anni, sofisticati strumenti di accertamento per individuare eventuali evasioni o irregolarità nell’imposta di soggiorno. Di seguito analizziamo i principali metodi utilizzati dai Comuni e dalle autorità locali per verificare il corretto adempimento da parte dei gestori di strutture ricettive:

1. Incrocio dei dati delle schedine alloggiati (Questura) con le dichiarazioni tributarie: Come anticipato, ogni gestore trasmette giornalmente alla Questura i dati anagrafici e il numero di persone alloggiate tramite il portale Alloggiati Web (per finalità di sicurezza pubblica). Tali informazioni, pur raccolte per motivi di P.S., sono di grande interesse fiscale. Dal 2021 è entrato a regime un sistema nazionale di condivisione dati: grazie a un decreto interministeriale (Interno-Economia) dell’11/11/2020, il Ministero dell’Interno trasmette periodicamente all’Agenzia delle Entrate i dati, in forma anonima e aggregata per ciascuna struttura, relativi alle presenze registrate. L’Agenzia delle Entrate rende poi disponibili tali dati ai Comuni interessati tramite il proprio portale SIATEL/PuntoFisco, con aggiornamenti semestrali (entro il 31 luglio e 31 gennaio). In pratica, ogni Comune che ha istituito l’imposta può scaricare un report con l’elenco delle strutture ricettive sul suo territorio e, per ciascuna, il numero di ospiti e di notti risultanti dalle comunicazioni alla Questura. Questi dati, essendo forniti in forma aggregata e anonima, rispettano la privacy (il Comune vede numeri totali, non i nomi degli ospiti).

Una volta ottenuti questi numeri, il Comune li incrocia con quelli dichiarati dal gestore ai fini dell’imposta di soggiorno. Se, ad esempio, dalla Questura risulta che nel 2024 la struttura “B&B Rosa” ha avuto 500 ospiti per 1000 pernottamenti, ma il gestore nella dichiarazione annuale 2024 (presentata entro giugno 2025) ne ha dichiarati solo 800, scatta un alert. Questo utilizzo incrociato dei dati è divenuto il fulcro di moltissimi accertamenti “a tavolino”. Anche senza attendere la dichiarazione annuale, il Comune può confrontare mensilmente i dati questura vs comunicazioni periodiche. In caso di discrepanze rilevanti, molti uffici tributari procedono all’invio di avvisi di accertamento in rettifica, contestando al gestore il mancato versamento dell’imposta su quelle presenze “in più”.

Va però evidenziato – come sottolineato da una recente riflessione giurisprudenziale – che basare l’accertamento esclusivamente sull’incrocio dei dati delle Questure può portare ad errori se non si considerano le peculiarità. Infatti, i dati di pubblica sicurezza comprendono tutti gli alloggiati, inclusi coloro esenti per legge o regolamento dal pagamento dell’imposta. Ad esempio, minori, forze dell’ordine in servizio, pazienti ricoverati, ecc., compaiono comunque tra i pernottamenti registrati, ma legittimamente il gestore non li conta ai fini dell’imposta. Pertanto, un utilizzo acritico ed esclusivo di questi dati per rettificare le dichiarazioni può violare i principi di collaborazione e buona fede. Le Corti di Giustizia Tributaria (nuovo nome delle ex Commissioni Tributarie) hanno già emesso sentenze a riguardo, annullando accertamenti basati solo su tali differenze numeriche senza aver considerato le esenzioni. In un caso del 2024 relativo a un avviso del Comune di Roma, ad esempio, il giudice tributario ha ritenuto illegittimo l’accertamento fondato unicamente sul confronto meccanico tra presenze in Questura e presenze dichiarate, senza contraddittorio e senza prova dell’effettivo mancato pagamento.

In pratica: i dati delle Questure costituiscono un “indice di anomalia” – se la differenza è notevole, è giusto che il Comune indaghi – ma non dovrebbero diventare automaticamente un debito d’imposta senza prima chiedere spiegazioni al gestore. La prassi corretta auspicata è quella di instaurare un contraddittorio: il Comune, rilevata una discrepanza significativa, invita il gestore a chiarire (magari trasmettendo l’elenco degli esenti, etc.). Solo se dal confronto emergeranno pernottamenti effettivamente imponibili non dichiarati, si procederà all’accertamento. Purtroppo non sempre gli uffici operano così, talvolta emettono avvisi “a tappeto”. In sede difensiva, come vedremo, questo può essere un profilo da contestare (difetto di istruttoria e violazione dei principi dello Statuto del Contribuente sulla collaborazione).

2. Verifiche di autenticità e completezza delle dichiarazioni: Oltre all’incrocio con i dati questura (fonte esterna), il Comune controlla la coerenza interna delle dichiarazioni e versamenti. Se un gestore non presenta affatto la dichiarazione annuale entro il 30 giugno, questo è di per sé un segnale: l’ufficio può iscriverlo nella lista dei controlli e inviargli solleciti. Molti Comuni incrociano anche il dato dei versamenti effettuati con quello dovuto in base alle tariffe e alle presenze dichiarate. Esempio: se un hotel 4 stelle in quell’anno ha dichiarato 1000 presenze a €3 di imposta ciascuna, dovrebbe versare €3000; se ne ha versati solo 1000, c’è uno scostamento evidente. Quindi c’è un controllo contabile sui versamenti mancanti o parziali rispetto al dovuto. Alcuni Comuni inviano periodicamente lettere di compliance (inviti bonari) in cui segnalano al gestore: “risultano X presenze non coperte da versamenti, vi invitiamo a regolarizzare pagando entro tot ed evitando sanzioni”. Questo approccio preventivo/collaborativo si è diffuso soprattutto dopo alcuni problemi di “cartelle pazze” (vedi caso Roma più avanti): ad esempio Roma Capitale nel 2023 ha preferito inviare migliaia di lettere di compliance agli host, rinunciando ad accertamenti immediati e chiedendo di verificare le proprie dichiarazioni. Ciò consente al contribuente di correggere errori (ad es. versare eventuali differenze) senza subire subito sanzioni, e al Comune di incassare comunque il dovuto in modo più rapido e con minore contenzioso.

3. Controlli sul campo e indagini della Polizia Locale/Guardia di Finanza: I grandi Comuni turistici hanno istituito unità specializzate nella lotta all’evasione dei tributi locali, spesso coinvolgendo la Polizia Municipale o stipulando protocolli con la Guardia di Finanza. Queste unità effettuano controlli “fisici” o investigativi. Ad esempio, il Comune di Firenze ha un Reparto Antievasione della Polizia Municipale che, incrociando segnalazioni degli uffici finanziari, ha condotto indagini su affittacamere e locatori risultati sospetti. A fine 2024 proprio a Firenze è stato scoperto un caso eclatante: un imprenditore che gestiva vari affitti brevi non aveva versato per un anno intero la tassa di soggiorno, evadendo circa 60 mila euro, ed è stato individuato e multato pesantemente. In quell’operazione, la Polizia Municipale ha contestualmente elevato 100 sanzioni per le omesse comunicazioni mensili (come visto) per €16.667 totali.

La Guardia di Finanza, dal canto suo, ha competenza sui tributi erariali ma spesso supporta i Comuni su quelli locali. Numerosi protocolli d’intesa Comune-GdF sono stati firmati in varie città (Firenze, Roma, Napoli, ecc.), prevedendo lo scambio di informazioni e l’esecuzione di verifiche coordinate. Le Fiamme Gialle possono ad esempio incrociare i dati dell’imposta di soggiorno con le dichiarazioni dei redditi (per capire se chi non versa la tassa dichiara poi meno redditi da locazione) oppure effettuare accessi ispettivi in strutture ricettive per controllare ricevute e registri. In alcune località, specie costiere, la GdF ha fatto controlli estivi a tappeto sugli stabilimenti e B&B per verificare l’applicazione della tassa di soggiorno, a volte con operazioni denominate “Turismo pulito” o simili.

Inoltre, laddove emergono comportamenti fraudolenti (es. strutture abusive completamente sconosciute al fisco), le forze di polizia economica possono contestare reati come la somministrazione abusiva o la frode fiscale (in combinazione con l’imposta di soggiorno evasa, se ricorrono gli estremi). Non di rado le notizie di cronaca parlano di gestori denunciati per appropriazione indebita o peculato in passato, o addirittura per truffa ai danni del Comune (specie se falsificavano documenti per nascondere le presenze). Tali vicende tendono però ora a rientrare nell’alveo amministrativo grazie alla già citata depenalizzazione.

4. Monitoraggio delle piattaforme online e degli annunci pubblicitari: Un altro strumento fondamentale è la ricerca attiva di strutture non dichiarate. Molti Comuni, in collaborazione con la Polizia locale, setacciano i portali online alla ricerca di annunci di appartamenti o B&B non registrati negli archivi comunali. Grazie ai codici identificativi regionali (CIR) obbligatori in regioni come Lombardia, Lazio, Toscana, Veneto, etc., gli annunci che ne sono privi destano sospetto. Ad esempio, la Polizia Locale di Milano e Roma ha condotto operazioni di “mystery guest” prenotando in appartamenti senza codice, scoprendo intere attività abusive. Una volta individuata la struttura sconosciuta, il Comune contesta sia la mancata registrazione sia il mancato versamento dell’imposta di soggiorno per tutti i periodi pregressi (spesso con accertamenti retroattivi fino a 5 anni). Nel 2024 il Comune di Napoli ha passato al setaccio 12.000 case vacanza presenti online, scoprendo che ben 8.000 di esse non erano in regola con tassa di soggiorno (né con la tassa rifiuti), e ha emesso multe e avvisi di pagamento recuperando 13 milioni di euro. Questo mostra come l’incrocio tra elenchi ufficiali (CIR, SUAP, registri comunali) e elenchi ufficiosi (annunci Airbnb/Booking) sia un’arma potente.

Alcuni comuni utilizzano anche servizi specializzati o software per il monitoraggio del web (ad esempio ci sono aziende che forniscono ai Comuni report delle inserzioni attive su Airbnb con stima di occupazione e incassi). Ogni “host fantasma” che risulti attivo ma non registrato viene quindi invitato a mettersi in regola, pena sanzioni. In certi casi, gli uffici tributi incrociano i dati con le utenze elettriche (per vedere consumi anomali compatibili con attività ricettiva) o con le segnalazioni dei condomini.

5. Termini e periodi accertabili: È importante sapere che l’imposta di soggiorno segue le regole di decadenza degli accertamenti dei tributi locali. Attualmente, gli avvisi di accertamento (in rettifica o d’ufficio) devono essere notificati entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è avvenuto il soggiorno. Ad esempio, per pernottamenti dell’anno 2020, il Comune ha tempo fino al 31/12/2025 per notificare un avviso; per il 2021 fino al 31/12/2026, e così via. Se il contribuente ha presentato dichiarazione annuale infedele, il termine è lo stesso (il quinto anno successivo) perché l’imposta di soggiorno non rientra tra i tributi con termini ridotti in caso di dichiarazione presentata. Se invece l’anno non è stato dichiarato affatto (omissione), si può configurare in teoria un termine più ampio, ma la norma del federalismo fiscale e il Regolamento comunale solitamente prevedono il limite quinquennale anche per l’azione di recupero d’ufficio. In ogni caso, dopo cinque anni il diritto a riscuotere il tributo si prescrive/decade (salvo atti interruttivi notificati nel frattempo). Questo significa che, se ad esempio nel 2025 ricevete un avviso per mancati versamenti del 2017, potreste avere motivo di eccepire la decadenza dell’azione accertativa (poiché oltre il termine). Un avvocato controllerà sempre le date per verificare se l’atto è stato notificato tempestivamente.

Da notare: durante il periodo di emergenza Covid c’è stata una sospensione dei termini di decadenza per i tributi (il 2020 è “congelato” in parte), ma dovendo essere una guida pratica aggiornata, assumiamo che nel 2025 questo abbia un impatto limitato (al più ha allungato di qualche mese i termini per accertare il 2015-2016 in avanti).

6. Avvisi di accertamento esecutivi: I Comuni, per legge, dal 2020 emettono avvisi di accertamento immediatamente esecutivi anche per i tributi locali. Ciò significa che l’atto di accertamento stesso costituisce titolo esecutivo e, trascorsi 60 giorni senza pagamento né impugnazione, il Comune può procedere a riscossione forzata (pignoramenti, fermi, ecc.) senza dover emettere una successiva cartella esattoriale o ingiunzione. Sugli avvisi odierni infatti compare l’intimazione a pagare entro 60 giorni, pena l’esecuzione. Questo enfatizza l’importanza di reagire tempestivamente: come vedremo nella sezione difensiva, occorre presentare ricorso entro 60 giorni e si può chiedere la sospensione dell’esecutività per evitare azioni di recupero durante il contenzioso.

In sintesi, i Comuni oggi dispongono di strumenti informativi avanzati – grazie alla collaborazione con Ministero dell’Interno, Agenzia delle Entrate, piattaforme online e forze di polizia – per scovare i “furbetti” dell’imposta di soggiorno. I casi di evasione significativa vengono sempre più spesso individuati e colpiti. Si pensi che a Napoli nel 2024 si è riscontrato un tasso di evasione altissimo tra B&B e case vacanza: su circa 12mila attività, solo 4mila erano in regola, 8mila no. Oppure a Roma, dove nell’autunno 2023 il Comune ha notificato in massa avvisi per un totale stimato di 30-40 milioni di euro di imposta non versata, coinvolgendo l’85% delle strutture ricettive romane – salvo poi fare parziale marcia indietro riconoscendo che molte erano richieste errate (le famose cartelle pazze). Tutto ciò indica che l’azione di controllo c’è e c’è ovunque; può essere a volte “grezza” e contestare anche chi è a posto (costringendolo a difendersi), ma difficilmente chi evade sistematicamente può sperare di farla franca a lungo. Nel prossimo capitolo sposteremo l’attenzione proprio sul profilo difensivo: come prepararsi e reagire di fronte a un accertamento, e quali tutele eventualmente invocare soprattutto quando entra in gioco la Corte dei Conti.

Il ruolo della Corte dei Conti e i procedimenti contabili

Una particolarità della vicenda “imposta di soggiorno” in Italia è stata (ed è tuttora, in parte) il coinvolgimento della Corte dei Conti nei casi di mancato versamento. Questo aspetto deriva dal fatto che le somme raccolte come imposta di soggiorno sono destinate a scopi pubblici (promozione turistica, servizi pubblici locali, ecc.), il che ha indotto alcuni a considerarle, dal momento della riscossione, come denaro pubblico a tutti gli effetti. Se così fosse, il gestore che trattiene per sé tali somme si renderebbe colpevole di danno erariale e, prima ancora della riforma del 2020, anche di reato di peculato (appropriazione di denaro pubblico da parte di incaricato di pubblico servizio).

Analizziamo l’evoluzione normativa e giurisprudenziale su questo punto cruciale:

  • Fino al 2019: L’art. 4 D.Lgs. 23/2011 originario non definiva chiaramente il ruolo del gestore. La prevalente interpretazione era che l’albergatore agisse come “agente contabile” del Comune, ossia come un soggetto incaricato legalmente di maneggiare denaro altrui (pubblico) da rendicontare. Diversi casi di omesso versamento portarono a processi per peculato in sede penale: la Cassazione penale, infatti, considerava che l’imposta, una volta riscossa dall’albergatore, fosse entrata nella disponibilità dell’ente pubblico, quindi trattenere quelle somme equivaleva a peculato. Ci sono state condanne penali di gestori per peculato in varie parti d’Italia (si ricorda ad esempio il caso di un albergatore a Venezia condannato per non aver versato decine di migliaia di euro di tassa di soggiorno dei suoi clienti). Parallelamente, le Procure regionali della Corte dei Conti attivavano procedimenti contabili, citando in giudizio gli albergatori per il danno erariale corrispondente alle somme non riversate nelle casse comunali. In questi giudizi, la Corte dei Conti ha tradizionalmente giurisdizione sui cosiddetti agenti contabili (cassa, tesorieri, ecc. che maneggiano denaro pubblico) ed emette sentenze di condanna al risarcimento del danno (pagamento dell’importo dovuto + rivalutazione + eventuale sanzione per danno all’immagine). Fino al 2019, le varie sezioni regionali della Corte dei Conti rivendicavano tale giurisdizione sui gestori inadempienti, assimilati appunto ad agenti contabili tenuti al “conto giudiziale”.
  • Riforma del 2020 – Responsabile d’imposta e depenalizzazione: Come già spiegato, col D.L. 34/2020 convertito a luglio 2020, si è introdotto il comma 1-ter nell’art. 4 D.Lgs. 23/2011, qualificando il gestore come responsabile d’imposta e prevedendo specifiche sanzioni tributarie (amministrative) per omesso versamento e omessa dichiarazione. L’intento del legislatore era chiaro: spostare il fatto dal piano del diritto penale-contabile a quello tributario amministrativo, uniformandolo ad altri tributi (come la tassa rifiuti, l’IMU, ecc., in cui l’ente accerta e irroga sanzioni ma non si parla di peculato se uno non paga). Per dare maggior forza a questa svolta, il successivo D.L. 146/2021 art. 5-quinquies ha precisato che la nuova disciplina si applica anche retroattivamente ai casi precedenti il 19/5/2020. Di fatto, questa è stata letta come una norma di interpretazione autentica (o estensione retroattiva in melius) che depenalizza anche le omissioni passate. La Cassazione Penale ha preso atto della “novella” cambiando orientamento già nel 2020: con sentenza Sez. VI n. 30227 del 30 ottobre 2020 e n. 36317 del 17 dicembre 2020, nonché successivamente con sentenza n. 12492 del 4 aprile 2022, la Suprema Corte ha dichiarato che, a seguito dell’introduzione del comma 1-ter, il ruolo del gestore è “radicalmente trasformato” da incaricato alla riscossione per conto dell’ente a responsabile d’imposta con diritto di rivalsa. Ciò comporta che non si configura il reato di peculato per il mancato versamento dell’imposta di soggiorno da parte dell’albergatore. In altre parole, “peculato addio” (come titolato da autorevole dottrina): l’omesso versamento ora è sanzionato amministrativamente, ma non è più materia penale.
  • Situazione attuale nei giudizi contabili (Corte dei Conti): Nonostante il chiaro indirizzo normativo, all’interno della stessa Corte dei Conti si è creato un contrasto giurisprudenziale sulla persistenza o meno della propria giurisdizione. Alcune sezioni regionali e le sezioni d’appello continuano ad affermare la giurisdizione contabile, sostenendo che, anche se il gestore è ora chiamato responsabile d’imposta, le somme incassate dai clienti assumono natura di “numerario pubblico” non appena percepite, entrando automaticamente nel patrimonio dell’ente locale. Secondo questa impostazione, il gestore, pur definito responsabile d’imposta, rimane obbligato a riversare denaro pubblico e dunque permane quel rapporto di servizio con il Comune che fonda la giurisdizione della Corte dei Conti in caso di inadempimento. Questa tesi è stata adottata dalla maggioranza delle sezioni regionali finora, e per un certo periodo anche dalle sezioni centrali d’appello. Ad esempio, la Corte dei Conti Lombardia con sentenza n. 47/2024 ha ribadito la qualifica di agente contabile del gestore e la sussistenza della giurisdizione contabile, nonostante le modifiche normative. Anche la sezione giurisdizionale Lazio, con sentenza n. 606 del 26 settembre 2023, ha statuito in tal senso, ritenendo di dover giudicare un gestore per il danno erariale da omesso versamento (caso in cui il regolamento comunale di Roma definiva ancora l’albergatore come responsabile della riscossione). Altre pronunce, invece, soprattutto a partire dal 2022-2023, hanno cambiato rotta: alcune sezioni hanno declinato la giurisdizione, riconoscendo che la controversia è oramai di natura tributaria e spetta ai giudici tributari, non alla Corte dei Conti. È il caso, ad esempio, sempre della sezione Lazio che in un diverso giudizio del 2024 ha dichiarato il difetto di giurisdizione della Corte dei Conti, richiamando anche un’ordinanza delle Sezioni Unite della Cassazione a supporto.
  • Intervento delle Sezioni Unite della Cassazione (2024): Di fronte a questi contrasti, alcune questioni sono arrivate alle Sezioni Unite (supreme per i conflitti di giurisdizione). Con l’ordinanza n. 14028/2024 (depositata nel maggio 2024) le Sezioni Unite Civili hanno affrontato la questione, giungendo però a una soluzione non completamente risolutiva: hanno infatti affermato che sussiste la giurisdizione contabile sulle controversie relative al mancato versamento dell’imposta di soggiorno limitatamente ai casi anteriori alla novella, per effetto del principio della perpetuatio iurisdictionis. In sostanza, se un giudizio contabile era già pendente per fatti avvenuti prima del 2020, il sopravvenire della nuova legge non sposta la giurisdizione. Contestualmente, però, le SU hanno precisato che le sanzioni di natura tributaria (cioè quelle amministrative introdotte con la nuova disciplina) rientrano nella giurisdizione del giudice tributario. Questa pronuncia sembra quindi tracciare un confine: la parte “risarcitoria” (il recupero della sorte dell’imposta non versata per danno pubblico) può ancora vedere coinvolta la Corte dei Conti, mentre la parte “sanzionatoria” (multa 30%, 200% ecc.) è materia tributaria. È una soluzione che però rischia di generare doppie azioni parallele, e infatti la dottrina l’ha criticata. In un’altra decisione, le SU Cassazione n. 22891 del 19/08/2024 hanno ribadito che solo le sanzioni tributarie spettano al giudice tributario, e tutto ciò che non è sanzione (quindi la pretesa del Comune di ottenere le somme non versate) potrebbe essere ancora sotto Corte dei Conti. Insomma, siamo in una fase di transizione/confusione: internamente la Corte dei Conti è spaccata, la Cassazione SU ha per ora confermato la giurisdizione contabile retroattivamente, e i Comuni stessi a volte avviano il doppio binario (accertamento tributario + segnalazione alla Corte dei Conti) per non saper come tutelarsi.

Conseguenze pratiche per il gestore: Se un gestore non versa l’imposta di soggiorno, oggi incorre innanzitutto in un accertamento tributario comunale (con obbligo di pagamento dell’importo dovuto, sanzioni e interessi, da contestare in Commissione tributaria). Tuttavia, in parallelo potrebbe ricevere una citazione dalla Corte dei Conti ad adempiere al risarcimento del danno erariale. È bene sapere che il pagamento tardivo al Comune dell’imposta dovuta non estingue automaticamente il giudizio contabile: la Corte potrebbe comunque sanzionare per il danno da ritardata percezione o per violazione dei doveri contabili, anche se in concreto spesso, se il denaro viene versato spontaneamente (magari con ravvedimento) prima che intervenga la Corte, le Procure contabili soprassiedono ritenendo soddisfatto l’interesse pubblico. Ma se il caso arriva a giudizio, il gestore sarà chiamato a difendersi davanti alla Corte dei Conti.

Difendersi in Corte dei Conti: È fortemente consigliabile incaricare un avvocato esperto in diritto contabile/pubblico. Gli argomenti difensivi possibili includono:

  • Eccepire il difetto di giurisdizione: cioè sostenere che spetta al giudice tributario occuparsi della vicenda. Questa eccezione va sollevata subito, ma data la situazione fluida, alcune sezioni potrebbero respingerla. Va tarata in base al periodo contestato (se è dopo il 2020, l’eccezione è molto forte, visti gli argomenti sistematici e il fatto che la legge nuova è retroattiva). Anche la citata sentenza SU 22891/2024 lascia aperto che per fatti nuovi la giurisdizione contabile non dovrebbe sussistere, anche se non lo dice esplicitamente. Diverse sezioni (es. Corte Conti Veneto, Piemonte) hanno di recente optato per dichiararsi non competenti in casi post-2020.
  • Nel merito, qualora la giurisdizione venga affermata: dimostrare l’assenza di dolo o colpa grave. Nei giudizi contabili la responsabilità presuppone almeno la colpa grave. Se il gestore può provare di aver avuto, ad esempio, gravi difficoltà finanziarie che gli hanno impedito di versare, o di aver agito nella convinzione (errata) di non essere tenuto a farlo (es. perché attendeva chiarimenti normativi), potrebbe limitare la condanna. Non è semplice, perché trattenere soldi pubblici è visto di per sé come colpa grave.
  • Prova del versamento successivo: Se prima della chiusura del giudizio il gestore versa al Comune l’intero dovuto (imposta e interessi), l’eventuale danno residuo è solo la perdita di disponibilità temporale. Spesso la Corte in questi casi condanna magari al pagamento degli interessi e poco altro, evitando una condanna piena.
  • Prescrizione contabile: Attenzione, i giudizi di conto hanno termini propri (in genere 5 anni per l’azione erariale, ma con regole diverse). Un avvocato esaminerà anche se l’azione della Procura contabile è stata tempestiva o se alcuni anni sono prescritti.

In definitiva, l’obiettivo della riforma è stato far convergere tutto nel sistema tributario, ma durante questa transizione è possibile che un gestore debba fronteggiare due fronti: uno dinanzi alla Corte dei Conti e uno dinanzi al giudice tributario. La miglior difesa è ovviamente prevenire: versare sempre il dovuto o regolarizzare immediatamente eventuali omissioni tramite ravvedimento, in modo da non offrire il fianco a tali azioni. Nel prossimo capitolo, ci concentreremo su come difendersi sul piano strettamente tributario, ossia come gestire un avviso di accertamento comunale impugnandolo davanti al giudice tributario e quali strategie legali adottare.

Difendersi da un avviso di accertamento: strategie legali e modelli di atti

Quando un gestore di struttura ricettiva riceve un avviso di accertamento relativo all’imposta di soggiorno, è fondamentale attivarsi rapidamente per tutelare i propri diritti. In questa sezione vedremo passo per passo come procedere, quali strumenti giuridici utilizzare e come un avvocato specializzato in diritto tributario può impostare la difesa. Forniremo anche modelli indicativi di atti (ricorso, memorie, istanze) per dare un’idea concreta di cosa aspettarsi.

a) Prima mossa: analisi dell’atto e termini per reagire

Appena notificato l’avviso (che di norma arriva via PEC o raccomandata A/R), occorre innanzitutto verificarne il contenuto e la regolarità formale. L’atto deve indicare: l’anno o periodo cui si riferisce l’imposta, l’importo dell’imposta non versata o non dichiarata contestata, le sanzioni applicate (in percentuale e cifra), gli interessi calcolati, nonché la motivazione dell’accertamento (es: “infedele dichiarazione rispetto ai dati Questura”, oppure “omesso versamento mensile di €X per tot mesi”, ecc.). Deve inoltre recare l’autorità competente (il Funzionario responsabile del tributo) e le modalità/tempistiche di impugnazione. Un avvocato verificherà se l’atto è stato emesso entro i termini di decadenza (ad es., un avviso 2025 per il 2019 sarebbe tardivo oltre il 31/12/2024) e se è motivato in modo sufficiente (la carenza di motivazione può renderlo nullo).

Termini per impugnare: L’avviso di accertamento in materia di tributi locali si impugna dinanzi alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (ex Commissione Tributaria Provinciale) competente per territorio (di solito, la provincia del Comune). Il termine per presentare il ricorso tributario è di 60 giorni dalla notifica dell’atto. Attenzione: trattandosi di accertamento esecutivo, entro 60 giorni occorre agire, altrimenti l’atto diviene definitivo e il Comune potrà procedere al recupero forzoso. Nel conteggio dei 60 giorni, non si computa il dies a quo (il giorno di notifica), si includono sabati e festivi, e se la scadenza cade di sabato/domenica o festivo slitta al primo giorno lavorativo successivo.

Entro lo stesso termine, in alternativa al ricorso, si può valutare un tentativo di definizione in via amministrativa: i due strumenti principali sono l’istanza di accertamento con adesione e l’istanza di autotutela (annullamento/revisione da parte del Comune). Vediamoli:

  • Accertamento con adesione: È un procedimento previsto dal D.Lgs. 218/1997 e applicabile anche ai tributi locali, che consente al contribuente di chiedere un “incontro” con l’ente impositore per definire in maniera concordata la controversia. L’istanza di adesione si presenta entro 60 giorni dall’avviso; la sua presentazione sospende il termine per il ricorso per 90 giorni. In questo lasso di tempo, ci si siede con l’ufficio tributi e si cerca un accordo sull’importo dovuto. Tipicamente, il Comune potrebbe accettare di ridurre le sanzioni (spesso al minimo) o riconoscere alcune esenzioni inizialmente non considerate, pur di chiudere in tempi brevi e con pagamento spontaneo. Se si raggiunge un accordo, viene redatto un atto di adesione con il nuovo importo da pagare (rateizzabile in 8 rate se > €50.000). Questo strumento è utile quando effettivamente c’è materia per transigere – ad esempio, se il gestore riconosce un errore ma contesta l’entità delle sanzioni, o se ci sono incertezze interpretative. L’avvocato può accompagnare e rappresentare il contribuente in questa fase, predisponendo memorie e documenti per convincere l’ufficio della buona fede o di determinate circostanze attenuanti. Se l’adesione fallisce o non ci si presenta, ripartono i 60 giorni (dalla fine dei 90 di sospensione) per fare ricorso.
  • Istanza di autotutela: È una richiesta informale (o formale) rivolta allo stesso ente impositore di annullare o correggere l’atto qualora vi siano errori palesi o motivi di illegittimità riconosciuti. Ad esempio, se l’avviso contiene un evidente errore di calcolo, o se il gestore può dimostrare documentalmente che quanto contestato non è dovuto (es: allega copie di ricevute comprovanti che aveva già versato quella differenza), il Comune potrebbe – in autotutela – annullare o rettificare l’atto, evitando il contenzioso. L’autotutela però è discrezionale: il contribuente non ha un diritto soggettivo all’annullamento, ma può sollecitarlo. Spesso l’istanza di autotutela si presenta insieme all’adesione, oppure se i tempi del ricorso sono stretti, si fa comunque il ricorso per sicurezza e parallelamente si chiede al Comune di rivedere la sua posizione. Non sospende i termini di ricorso (a differenza dell’adesione). È utile soprattutto in caso di “cartelle pazze” o errori riconosciuti dallo stesso ufficio (come è accaduto a Roma per molte notifiche errate, dove l’amministrazione ha invitato gli interessati a presentare istanza di annullamento in autotutela allegando i dati corretti, impegnandosi a riesaminare).

Se non si sceglie l’adesione o se questa non va a buon fine, occorre procedere col ricorso tributario.

b) Redazione del ricorso tributario

Il ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria (CGT) I grado è l’atto introduttivo del giudizio tributario. Deve essere redatto in conformità al D.Lgs. 546/1992 (come riformato dal D.Lgs. 149/2022). È fortemente consigliato farsi assistere da un avvocato tributarista, sia perché la materia è complessa, sia perché dal 2023 il processo tributario richiede formalità tecniche (tra cui il deposito telematico degli atti tramite PEC o portale SIGIT).

Ecco un fac-simile di struttura di un ricorso in materia di imposta di soggiorno:

  • Intestazione ed epigrafe: va indicata la Corte di Giustizia Tributaria di primo grado competente (es: “Corte di Giustizia Tributaria di I Grado di [Nome Provincia]”). Poi si indicano le parti: Ricorso di [Nome società o persona] CF…, con sede…, rappresentata e difesa dall’Avv. XYZ (CF…), elettivamente domiciliata presso… – Ricorrente – contro Comune di [Nome], CF…, in persona del Sindaco pro tempore (o Funzionario tributario delegato) – Resistente.
  • Oggetto: indicare l’atto impugnato: “Avviso di accertamento N. … emesso dal Comune di … notificato in data … relativo all’imposta di soggiorno anno/i …”.
  • Fatti (esposizione sommaria dei fatti): qui si racconta la vicenda. Ad esempio: “La ricorrente è titolare di un B&B denominato …, situato in …, regolarmente registrato presso il Comune. Ha sempre provveduto a riscuotere l’imposta di soggiorno dai clienti e a versarla trimestralmente nonché a presentare la dichiarazione annuale. In data … il Comune di … le notificava l’avviso impugnato, con cui contesta un omesso/infedele versamento per l’anno … pari a €…, oltre sanzioni e interessi. L’accertamento si fonda sull’assunto che, a fronte di … presenze comunicate alla Questura, solo … sarebbero state dichiarate ai fini dell’imposta, ecc. La ricorrente ritiene l’atto illegittimo e infondato per i motivi di seguito esposti.” È bene inserire eventuali circostanze chiave: ad es. “si evidenzia che nell’anno … numerosi ospiti (ca. 100) erano minori esenti, ma il Comune non ne ha tenuto conto”, oppure “la ricorrente aveva già corrisposto parte del dovuto tramite Airbnb come da documentazione allegata, pertanto l’importo richiesto è erroneo”.
  • Motivi di ricorso (parte in diritto): qui l’avvocato sviluppa i motivi di impugnazione, ciascuno preferibilmente con un titolo. I motivi più frequenti, adattabili al caso, possono essere:
    1. Incompetenza o vizi procedurali: es. “Violazione dell’art. 4 D.Lgs. 23/2011 e del Regolamento comunale: difetto di contraddittorio endoprocedimentale” – si argomenta che l’ufficio avrebbe dovuto invitare il contribuente a fornire chiarimenti prima di emettere l’atto, specie basandosi su dati questura. Non esiste un obbligo generale di contraddittorio per tributi locali (a differenza di accertamenti fiscali con studi settore, etc.), ma si può invocare il principio di leale collaborazione e l’art. 6 dello Statuto del Contribuente. Questo motivo mira a far annullare l’atto per vizio procedurale.
    2. Difetto di motivazione: “Violazione dell’art. 7 L.212/2000 e art.3 L.241/90: motivazione insufficiente o contraddittoria”. Se l’avviso non spiega chiaramente come si è arrivati a quell’importo o ignora le memorie presentate dal contribuente, si può contestare la motivazione. Ad esempio, se c’è scritto solo “accertato maggior imponibile sulla base dei dati Agenzia Entrate” senza dettagliare quali e come, il ricorso può sostenere che così non si pone il contribuente in grado di capire e difendersi.
    3. Erronea applicazione dell’imposta (nel merito): “Insussistenza della pretesa tributaria – errato calcolo delle presenze imponibili”. Qui si entra nel fatto: si dimostra, con documenti, che i pernottamenti contestati erano esenti (minori, forze armate, ecc.), oppure che l’ospite aveva già pagato via Airbnb (allegando ricevute Airbnb), o che la struttura in quei giorni era chiusa, etc. In pratica si confuta analiticamente la ricostruzione del Comune. Questo è il motivo di merito centrale: non dovere quell’imposta.
    4. Sproporzione e duplicazione delle sanzioni: “Illegittimità delle sanzioni irrogate e cumulo non conforme a legge”. Ad esempio, se il Comune ha applicato sia la sanzione del 30% per omesso versamento sia un ulteriore 200% per omessa dichiarazione cumulando gli importi, si può sostenere che trattasi di duplicità punitiva. In realtà, la legge prevede che siano cumulabili (una punisce la mancata dichiarazione, l’altra il mancato pagamento, sono distinte), ma in alcuni casi si può chiedere la riduzione per obiettiva incertezza normativa, o invocare l’art. 12 D.Lgs. 472/97 sulla proporzionalità complessiva. Ad esempio, se un host ha versato in ritardo di pochi giorni e si trova un 30% + 100% di sanzione, l’avvocato può far leva su equità e chiede almeno l’applicazione minima. Anche la circostanza che il gestore non sia un operatore professionale ma un privato poco avvezzo agli obblighi potrebbe essere un fattore per chiedere clemenza sanzionatoria (spesso i giudici tributari riducono le sanzioni al minimo edittale se il contribuente mostra buona fede).
    5. Decadenza del potere di accertamento: “Intervenuta decadenza ex art… – tardività della notifica”. Se, come detto, l’avviso è stato notificato oltre il 5° anno successivo, lo si eccepisce chiedendone l’annullamento integrale perché l’ente ha agito fuori tempo massimo. Questo è un motivo di diritto forte se applicabile.
    6. Erroneità degli interessi o altri errori di calcolo: spesso si inserisce un motivo ad hoc se, ad esempio, gli interessi sono calcolati su periodi in cui non erano dovuti (magari il Comune li calcola dal momento del soggiorno ma l’obbligo era versare entro fine mese, quindi dal mese dopo). Oppure se c’è una palese svista aritmetica (sommando le singole voci non torna il totale).
    In questa sezione l’avvocato citerà norme e magari giurisprudenza a sostegno. Ad esempio, può citare la sentenza di una CGT che ha annullato un caso simile per difetto di contraddittorio, o il fatto che la Cassazione (in ambito IVA) ha affermato che i dati delle comunicazioni alloggiati non possono essere prova certa senza ulteriori elementi (se esistesse tale pronuncia). O ancora, potrebbe citare lo Statuto del Contribuente che sancisce il principio di collaborazione. Ogni argomento deve essere ben articolato e sostenuto.
  • Conclusioni: infine si formula la richiesta al giudice. Esempio: “Si chiede, per tutti i motivi esposti, che la Corte adita voglia annullare l’avviso di accertamento impugnato, in toto o in subordine nella parte relativa alle sanzioni, con vittoria di spese del giudizio. In via subordinata, ove ritenuto dovuto qualche importo, si chiede la rideterminazione dello stesso nei limiti di legge.” Spesso si chiede anche l’eventuale conversione della sanzione in un minimo, etc., per dare al giudice possibilità di accoglimento parziale.
  • Istanza di sospensione: se l’importo è elevato e il pagamento immediato arrecherebbe grave danno, nel ricorso stesso (o in atto separato) si può chiedere la sospensiva dell’atto impugnato. Allora nelle conclusioni si aggiunge: “si chiede altresì la sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato, ricorrendo fondato periculum in caso di immediata esecuzione, attesa la somma ingente richiesta (€…) e la momentanea incapacità finanziaria della ricorrente a farvi fronte, con conseguente rischio di cessazione attività”. Il giudice tributario può concedere la sospensione se ricorrono fumus boni iuris (ricorso non infondato) e periculum (danno grave) – viene fissata un’udienza in tempi brevi (in 30-45 giorni) per decidere su questo. Se concessa, l’atto è bloccato fino alla sentenza di merito.
  • Elenco documenti allegati: qui si elencano gli allegati (copia avviso impugnato, eventuale delibera/regolamento comunale, ricevute, dichiarazioni presentate, estratti Alloggiati web, visura camerale, delega al difensore, ricevuta pagamento contributo unificato, ecc.).
  • Data, firma del difensore e del contribuente (se richiesto): nel processo tributario, da qualche anno, l’avvocato può sottoscrivere digitalmente e inviare telematicamente il ricorso; la firma del contribuente su modulo cartaceo non è più necessaria se c’è procura alle liti. La procura alle liti va allegata (può essere su foglio separato firmato dal cliente, o in calce all’atto).

Questo è lo schema. L’avvocato tributarista curerà molto i dettagli, perché un errore formale (ad es. notificare il ricorso alla PEC sbagliata del Comune, o non pagare il contributo unificato) può portare a inammissibilità. Quindi affidarsi a un professionista è decisivo.

c) Il processo tributario e le memorie difensive

Dopo aver depositato (telematicamente) il ricorso e notificatolo al Comune, inizia il processo. Il Comune potrà costituirsi con memoria di risposta entro 60 giorni dalla notifica del ricorso, difendendo il proprio operato. Spesso i Comuni si fanno assistere da propri legali interni o da avvocati, e ribattono punto per punto. A questo punto, è possibile per il ricorrente presentare memorie illustrative e di replica (entro 30 giorni e 10 giorni prima dell’udienza, rispettivamente), per confutare ulteriormente la controparte o aggiornare con eventuali nuovi documenti (ad es., se dopo il ricorso il Comune ha emanato una circolare che chiarisce qualcosa, la si può produrre).

Il difensore potrà ad esempio depositare una memoria aggiuntiva in cui evidenzia una recente sentenza della Cassazione o di altra CGT favorevole uscita nel frattempo (es: “Dopo il deposito del ricorso, la CGT di Roma con sentenza n. XX/2024 ha annullato un accertamento analogo, si produce copia…”). Oppure può replicare a contestazioni: se il Comune sostiene che “il contribuente non ha mai comunicato nulla al nostro ufficio”, l’avvocato magari allega la ricevuta PEC di invio di quella comunicazione o evidenzia la svista.

La fase decisoria culmina nell’udienza (che, per importi sotto €50.000, può essere trattata in camera di consiglio senza discussione orale se nessuna parte la richiede). Spesso, se le questioni sono giuridiche, l’avvocato prepara anche una nota spese da presentare per la liquidazione in caso di vittoria (comprende il compenso professionale richiesto, che il giudice può porre a carico del Comune se il ricorso viene accolto).

d) Esempio di strategia difensiva completa

Per rendere il tutto più concreto, ipotizziamo un caso pratico di difesa:

Caso: Il sig. Rossi gestisce un affittacamere a Roma. Nel 2025 riceve 5 avvisi di accertamento, uno per ciascun anno 2018–2022, in cui il Comune gli contesta un totale di €20.000 di imposta di soggiorno non versata, più €6.000 di sanzioni e €2.000 di interessi. La motivazione è che dai dati della Questura risultano tot presenze in più rispetto a quelle dichiarate e lui avrebbe versato meno di quanto dovuto. Il sig. Rossi è sconvolto perché in realtà dal 2020 Airbnb versa per lui una parte dell’imposta, e inoltre molti di quei “turisti in più” erano minori esenti (gestisce camere spesso affittate a famiglie). Viene da noi avvocati.

Azione: esaminiamo gli atti: notiamo che per il 2018 l’avviso è stato notificato solo a febbraio 2025, quindi oltre il termine (doveva essere entro 31/12/2023, cinque anni). Dunque l’avviso 2018 è annullabile per decadenza. Per gli altri anni sono in tempo. Riscontriamo anche che il Comune ha clamorosamente ignorato i versamenti fatti tramite Airbnb: infatti il nostro cliente ci mostra gli estratti di Airbnb che dicono che dal luglio 2020 al 2022 Airbnb ha versato €5.000 al Comune per suo conto. L’ufficio invece glieli sta richiedendo come se non li avesse mai pagati. C’è un evidente errore di duplicazione. Inoltre, negli anni 2020-21 la struttura ha ospitato molti minorenni (colonie giovanili): incrociando i registri, almeno 300 presenze contestate erano under 10 anni, esenti per regolamento. Quindi l’imposta su quelle non era dovuta e lui giustamente non l’aveva calcolata.

Difesa predisposta: presentiamo un ricorso unico (si può cumulare più avvisi se riguardano stesso tributo e stesse questioni) contro i 5 avvisi. Nei motivi: 1) decadenza 2018; 2) violazione art. 4 co.1-ter e regolamento: il Comune ha preteso l’imposta già versata da Airbnb, duplicando la pretesa (prova: allegato estratto Airbnb e nota ufficiale Comune Roma che quell’anno aveva accordo con Airbnb); 3) difetto di istruttoria: non considerazione esenzioni minori – illegittimità dell’accertamento fondato su dati aggregati senza distinguere gli esenti; 4) violazione Statuto contribuente: nessun contraddittorio, quando invece un semplice controllo avrebbe evitato l’errore; 5) in subordine, sproporzione sanzioni (chiediamo minimo edittale); 6) vittoria di spese.

Nel ricorso depositiamo anche un’istanza di sospensione evidenziando che il cliente con la pandemia ha incassi ridotti e non può pagare 28.000 euro subito senza fallire; inoltre facciamo leva sul fumus forte (decadenza e doppio pagamento evidente).

Esito atteso: Il giudice fisserà la discussione cautelare; il Comune forse esaminerà il caso e – non di rado – di fronte a contestazioni solide potrebbe persino annullare in autotutela la parte duplicata (soprattutto per evitare la brutta figura di riscuotere due volte). Se così fosse, chiudiamo parzialmente il caso. Altrimenti si va a sentenza. Stimiamo buone chance di vittoria sul 2018 (decaduto) e sulla parte Airbnb e minori. Il risultato potrebbe essere una sentenza che annulla 4/5 dell’importo e conferma solo una piccola parte (ad esempio se per sbaglio il cliente davvero mancò di dichiarare 50 presenze non esenti, dovrà pagare solo quelle con sanzione ridotta del 30% magari).

Questo esempio mostra come una difesa ben articolata possa ridurre drasticamente l’esborso e proteggere il cliente da richieste ingiuste.

e) Altri rimedi: reclamo-mediazione, conciliazione in udienza, appello

È utile ricordare che, per importi fino a €50.000 (oggi, dal 2023, soglia elevata a €50k per le liti minori), il ricorso introduttivo vale anche come reclamo e proposta di mediazione. Ciò significa che il Comune, ricevuto il ricorso, ha 90 giorni per valutare se accogliere in parte il reclamo e mediare la controversia. Se in tali 90 giorni non fa nulla, il processo va avanti. Se propone una mediazione (es: riduce sanzioni del 50%), il contribuente/avvocato può valutare di accettare. È una strada simile all’adesione ma che può avvenire anche dopo aver presentato ricorso. In cause su tributi locali, purtroppo, i Comuni raramente mediano, ma la previsione c’è.

Durante il processo, è anche possibile una conciliazione giudiziale: fino all’udienza, le parti possono accordarsi su una soluzione (magari riconoscendo il dovuto e dimezzando sanzioni) e farla ratificare dal giudice con sentenza di conciliazione, evitando ulteriori gradi e pagando eventualmente solo 1/3 delle sanzioni residui (beneficio previsto dal d.lgs. 218/97).

Se il contribuente perde in primo grado (ricorso respinto), ha diritto di proporre appello alla Corte di Giustizia Tributaria di 2° grado (ex Commissione regionale) entro 60 giorni dalla notifica della sentenza di primo grado. In appello possono essere rivalutate le questioni di fatto e di diritto. Se anche in appello (dopo 1-2 anni) la decisione è negativa, resta solo eventualmente il ricorso in Cassazione (entro 60 gg) ma solo per motivi di legittimità (violazioni di legge). La durata del contenzioso può quindi essere lunga (anche 3-4 anni totali). Nel frattempo però, grazie a riforme recenti, il contribuente può sospendere il pagamento in attesa del giudizio di primo grado (se ottiene la sospensiva) e anche degli altri gradi (previa nuova istanza).

f) Difendersi da ingiunzioni o fermi per omesso pagamento

Può capitare che il gestore scopra dell’accertamento tardi, ad esempio non ha ritirato la raccomandata e l’atto è divenuto definitivo, e il Comune procede con la riscossione coattiva (ingiunzione di pagamento, iscrizione ipotecaria o fermo amministrativo su auto). In tal caso, la difesa diventa più complicata perché bisogna agire contro l’atto della riscossione e, al contempo, cercare di far riammettere il ricorso tardivo solo se c’è causa di forza maggiore. Se non c’è, l’atto è definitivo e si può solo trattare una rateazione con l’ente. Se invece l’ingiunzione include voci palesemente non dovute (ad es. ruoli duplicati), si può impugnarla per quelle ragioni specifiche.

In conclusione, difendersi tempestivamente è essenziale. Un avvocato ben preparato in questa materia saprà individuare vizi formali e ragioni sostanziali per ridurre o annullare le pretese comunali infondate. La sezione seguente fornirà alcune Domande & Risposte comuni, e poi approfondiremo tramite casi pratici e focus territoriali.

Esempi pratici e casi tipici: come impostare la difesa

In questo capitolo presentiamo alcuni casi simulati (basati su situazioni realmente frequenti) con indicazione di come un avvocato potrebbe affrontarli. Lo scopo è rendere ancora più concreto quanto discusso, mostrando l’applicazione pratica delle norme e delle strategie difensive.

Caso 1: Disallineamento dati Questura vs dichiarazioni per esenzioni
Scenario: La società Alfa gestisce un hotel 3 stelle. Nel 2025 riceve un accertamento per l’anno d’imposta 2022: il Comune sostiene che risultano 5.000 presenze dalla Questura ma solo 4.500 dichiarate per l’imposta, quindi richiede la differenza di 500 presenze × €4 di tassa = €2.000, più sanzione 30% (€600) e interessi. La società sa che quelle 500 “in più” erano tutte presenze esenti (perché relative a studenti minorenni in gita scolastica, esenti per regolamento comunale). Purtroppo, nella dichiarazione annuale 2022, Alfa ha indicato solo le presenze imponibili, mentre non ha comunicato il numero di esenti (non c’era forse campo obbligatorio). Il Comune ha quindi pensato fossero omissioni.

Difesa: l’avvocato impugna l’avviso sottolineando subito che l’imposta non è dovuta perché il presupposto (turista non esente) non sussiste per quei 500. Si produce copia dei registri dell’hotel e dei documenti attestanti l’età degli studenti (o autocertificazione dell’organizzatore). Inoltre si evidenzia che il regolamento comunale prevede espressamente esenzione per gite scolastiche, minori etc. e che il Comune erroneamente non ha considerato tale circostanza. Giuridicamente, si contesta la violazione di legge (imposta richiesta fuori dai casi previsti) e l’eccesso di potere per difetto di istruttoria: l’ufficio non ha distinto tra presenze imponibili ed esenti, operando un incrocio dati in maniera acritica. Si aggiunge che, se avessero chiesto chiarimenti, avrebbero evitato l’errore (richiamo a Statuto contribuente). Verosimilmente, portate queste prove, il Comune potrebbe desistere già in sede di controdeduzioni, o il giudice annullerà l’atto, poiché la pretesa tributaria è insussistente – non si può far pagare la tassa su esenti per legge. Le spese di giudizio, in tal caso, di solito vengono accollate al Comune soccombente.

Caso 2: Mancata presentazione della dichiarazione annuale
Scenario: Il sig. Bianchi gestisce un agriturismo. Per l’anno 2021 riscuote regolarmente l’imposta dai clienti e la versa ogni trimestre al Comune (ha le ricevute di bonifico). Tuttavia, non era a conoscenza del nuovo obbligo di dichiarazione telematica annuale, pertanto non ha presentato la dichiarazione entro il 30/6/2022. Nel 2023 riceve un atto di contestazione (o avviso) che gli commina la sanzione del 150% dell’importo dovuto per omessa dichiarazione, quantificato in €3.000 (avendo lui versato €2.000 di imposta nel 2021, il 150% è €3.000). Nessuna imposta evasa viene contestata (difatti ha pagato tutto), solo la sanzione formale sostanzialmente.

Difesa: Questo caso è delicato perché il fatto – omessa dichiarazione – c’è ed è oggettivo. La legge prevede effettivamente sanzione 100-200%. Tuttavia, un bravo avvocato può puntare su alcune strategie: intanto, se Bianchi prima di ricevere l’atto si fosse accorto, avrebbe potuto fare ravvedimento presentando tardivamente la dichiarazione e pagando una sanzione ridotta (in genere riduzione a 1/10 del minimo se entro un anno, dunque 10% invece che 100%). Purtroppo non l’ha fatto. Ora, a contestazione avvenuta, si può tentare di chiedere al Comune in autotutela una riduzione per particolare tenuità: ad esempio, sottolineando che non c’era alcun danno erariale (imposta pagata integralmente), quindi punirlo per una dimenticanza formale con 3k € appare contrario ai principi di proporzionalità e buona fede del contribuente. A volte i Comuni in questi casi applicano la sanzione minima (100%); qui hanno messo il 150%. In ricorso, l’avvocato può sostenere: “violazione artt. 6 e 10 Statuto contribuente, sanzione irrogata in misura sproporzionata nonostante il tributo sia stato versato: si chiede quantomeno l’applicazione del minimo edittale ex art. 7 D.Lgs. 472/97 in combinato con l’art. 10 Statuto”. Inoltre, si può invocare l’esonero per obiettiva incertezza: l’obbligo dichiarativo è stato introdotto nel 2020 e tanti contribuenti non ne erano informati; le istruzioni ministeriali all’epoca non furono capillari. La Cassazione talora annulla sanzioni se la norma era poco chiara. Non garantito, ma tentar non nuoce. In parallelo, poiché Bianchi di certo non ripeterà l’errore, l’avvocato potrebbe proporre al Comune una conciliazione: pagamento del minimo (100% cioè €2.000) magari rateizzato. Se Bianchi è incensurato fiscalmente, il giudice potrebbe essere sensibile e accogliere la riduzione. L’importante è dimostrare la totale buona fede (tutti i versamenti fatti) e magari allegare documenti che mostrano come le istruzioni siano arrivate tardi (ad es., la circolare attuativa fu pubblicata a giugno 2022, molti lo seppero oltre la scadenza). Questo approccio spesso porta almeno a dimezzare la sanzione.

Caso 3: Mero ritardo di versamento, poi regolarizzato spontaneamente
Scenario: Un piccolo hotel ha avuto un grave calo di liquidità nel 2022 e non è riuscito a versare al Comune l’imposta di soggiorno incassata per alcuni mesi, perché ha usato quei contanti per pagare i dipendenti. Nel 2023, risanate le finanze, l’albergatore effettua un ravvedimento operoso: versa al Comune tutto l’arretrato del 2022 con interessi e paga spontaneamente la sanzione ridotta del 5% (essendo trascorsi più di 90 gg). Il Comune però, in parallelo, gli aveva già inviato un avviso di accertamento per l’omesso versamento 2022, con sanzione piena 30%. C’è quindi un sovrapporsi: il gestore ha pagato, ma l’atto sanzionatorio è arrivato quasi insieme.

Difesa: La prima cosa che farà l’avvocato è comunicare all’ufficio che il tributo è stato integralmente versato (magari prima della notifica dell’atto, o comunque spontaneamente) e che dunque l’avviso è infondato nella parte in cui richiede di pagare l’imposta (già pagata) e in cui applica la sanzione piena ignorando il ravvedimento. Spesso in tali casi il Comune annulla in autotutela o riduce la sanzione alla quota del ravvedimento (riconoscendo il ravvedimento tardivo ma effettuato). Se non lo fa, nel ricorso si allegherà la prova dei pagamenti datati e si invocherà l’art. 13 D.Lgs. 472/97 (ravvedimento) sostenendo che l’avviso è illegittimo perché la violazione risulta già regolarizzata. Inoltre, per la parte sanzionatoria, si può chiedere la non debenza perché il ravvedimento normalmente estingue la violazione (salvo che l’ufficio contesti che è stato tardivo rispetto a notifica, questione di tempi). Essendo l’importo dell’imposta già versato, ci si batte solo sulle sanzioni. È ragionevole aspettarsi che il giudice tributario, visto l’atteggiamento collaborativo del contribuente, annulli almeno le sanzioni eccedenti la somma già pagata come ravvedimento. Talvolta, su un “doppio binario” come questo, l’ente stesso rinuncia in giudizio.

Caso 4: Contestazione da Corte dei Conti (peculato/danno erariale)
Scenario: Tizio, gestore di hotel, nel 2018-2019 non ha versato €50.000 di imposta di soggiorno. Nel 2020 se ne pente, fa denuncia al Comune, rateizza e finisce di pagare tutto entro il 2021, compresi interessi. Sul fronte tributario, quindi, situazione sanata (il Comune incassa seppur tardi). Tuttavia, la Procura regionale della Corte dei Conti (poniamo del Veneto) aveva aperto un fascicolo e nel 2022 cita Tizio in giudizio chiedendo la condanna per danno erariale di €50.000 + danno all’immagine. Inoltre, nel 2019 il PM penale lo aveva indagato per peculato. Dopo la legge nuova, il processo penale è archiviato, ma la Corte dei Conti insiste.

Difesa: L’avvocato di Tizio deposita una memoria alla Corte dei Conti eccependo che, essendo intervenuto il pagamento integrale al Comune, non vi è più alcun danno erariale attuale. Al più, rimane il danno da ritardo (interessi e rivalutazione, ma Tizio li ha pagati) e un eventuale danno all’immagine. Su quest’ultimo si argomenta che è improprio invocarlo, trattandosi di tributo locale e non essendoci clamore mediatico (nessuno seppe del fatto se non l’amministrazione). Si eccepisce inoltre la giurisdizione: trattandosi di fatto che la legge 34/2020 ha qualificato come rapporto tributario retroattivamente, la competenza sarebbe del giudice tributario. Si cita magari la recente pronuncia della sezione X che ha dichiarato difetto giurisdizione in un caso analogo. La Corte dei Conti potrà accogliere l’eccezione e chiudere lì (auspicabile), oppure respingerla. In caso di rigetto, in via subordinata si chiede di dichiarare nulla o minima la colpa, perché Tizio ha subito rimediato da sé, e dunque eventualmente di limitare la condanna ad una sanzione simbolica (spesso la Corte in questi casi, se condanna, mette comunque un importo modesto, riconoscendo che alla fin fine l’erario non ci ha perso). Sottolineiamo che la Cassazione penale ha già sancito “peculato addio” e che sarebbe contraddittorio punire in sede contabile chi non è più punibile in sede penale. È un caso di scuola, ma illustra come l’intervento legale debba muoversi su più fronti quando c’è di mezzo la Corte dei Conti.

Caso 5: Notifica di cartella esattoriale per importi mai accertati prima
Scenario: Caio gestisce un piccolo B&B. Nel 2025 si vede recapitare da Agenzia Entrate-Riscossione una cartella di pagamento da 5.000 € riferita a “ingiunzione di pagamento Comune di X per imposta di soggiorno anni 2016-2017”. Caio cade dalle nuvole: non aveva mai ricevuto prima avvisi per quelle somme. Forse erano stati notificati per irreperibilità e poi iscritti a ruolo.

Difesa: l’avvocato deve decidere dove impugnare: la cartella esattoriale, trattandosi di entrata locale, va impugnata anch’essa davanti alla CGT (giudice tributario). Si impugna sostenendo che non c’è un atto presupposto valido notificato. La legge richiede infatti che, per riscuotere coattivamente, vi sia un titolo notificato e scaduto. Se Caio non ha mai ricevuto nulla, la cartella è illegittima. Forse il Comune ha notificato per compiuta giacenza e Caio non l’ha saputo: l’avvocato allora può chiedere una rimessione in termini per non conoscenza del precedente avviso. Si faranno verifiche sulle relate di notifica: se, ad esempio, risultano vizi nella notifica (indirizzo errato, ecc.), la cartella sarà annullata per nullità dell’atto presupposto. Se invece la notifica formale c’è stata, anche se Caio non l’ha vista, si cercherà di aprire un dialogo col Comune per rateizzare o definire bonariamente, perché sul merito sarà dura (eventualmente tardiva impugnazione se entro 60 gg dalla cartella, invocando che la cartella stessa vale come primo atto concreto che ha reso edotto il contribuente, è una teoria che talvolta passa in casi di notifica “vaga”).

Come si vede, ogni caso pratico ha le sue peculiarità. Una difesa efficace richiede un mix di conoscenza tecnica, ricostruzione fattuale (documenti alla mano) e talvolta negoziazione con l’ente impositore. Nel prossimo capitolo forniremo una sezione Domande & Risposte sulle questioni più frequenti poste dagli operatori, per chiarire in modo mirato alcuni dubbi comuni.

Domande frequenti (FAQ) su imposta di soggiorno e accertamenti

D: Chi è obbligato a pagare l’imposta di soggiorno e chi deve occuparsi di riscuoterla?
R: L’imposta di soggiorno è dovuta dai turisti non residenti che pernottano nelle strutture ricettive del Comune che l’ha istituita. Il soggetto passivo quindi è l’ospite. Tuttavia, la legge individua nel gestore della struttura (albergatore, titolare B&B, proprietario dell’immobile locato brevemente, ecc.) il responsabile d’imposta tenuto a riscuoterla dal turista e versarla al Comune. In pratica: l’ospite paga la tassa, il gestore la incassa e la gira all’ente locale. Se l’ospite non paga (perché scappa o si rifiuta), il gestore rimane comunque obbligato verso il Comune (salvo rivalersi eventualmente sul cliente). Questa responsabilità solidale è chiarita dal 2020: il gestore “risponde del pagamento con diritto di rivalsa”.

D: Quali strutture ricettive sono soggette all’imposta di soggiorno? Anche i B&B e gli affitti turistici privati?
R: Sì, potenzialmente tutte le strutture che offrono alloggio a pagamento possono essere incluse. Oltre agli alberghi, residence, campeggi, agriturismi, l’imposta di soggiorno si applica anche ai bed & breakfast, affittacamere, case vacanza e alle locazioni brevi gestite da privati (ad esempio l’appartamento affittato su Airbnb). I dettagli sono definiti dal Regolamento comunale: ciascun Comune elenca le categorie soggette. Ad esempio molti Comuni prevedono esplicitamente “case e appartamenti per vacanze, anche locati occasionalmente” tra le strutture tenute all’imposta. Anche i rifugi e gli ostelli spesso sono inclusi, salvo esenzioni particolari. Quindi anche un privato non imprenditore che affitta la seconda casa per turismo deve riscuotere la tassa (a Roma e altre città esiste persino un codice tributo specifico per “locazioni brevi non imprenditoriali”).

D: Ho un appartamento che affitto tramite Airbnb nel Comune X. Airbnb riscuote già la tassa di soggiorno online: devo fare altro?
R: Se Airbnb ha attivato la riscossione per il tuo Comune, significa che l’ospite paga la tassa al momento della prenotazione e Airbnb poi versa al Comune. In tal caso, tu non devi riscuotere nulla all’ospite, ma hai comunque alcuni obblighi: (1) Dichiarare al Comune le presenze e gli importi – molti Comuni richiedono una dichiarazione periodica anche agli host Airbnb, indicando separatamente gli importi versati dalla piattaforma. Ad esempio, Milano chiede una dichiarazione trimestrale anche se l’imposta è stata interamente versata da Airbnb. (2) Indicare comunque nella dichiarazione annuale statale il totale delle presenze e l’imposta, specificando quanto già versato dall’intermediario (c’è un campo apposito). In generale, conserva i report che Airbnb ti fornisce sulle somme versate per tuo conto. (3) Se usi altre piattaforme oltre Airbnb, ricorda che non tutte riscuotono: Booking ad esempio no. Quindi per prenotazioni via Booking o dirette dovrai tu incassare la tassa. In sintesi, Airbnb semplifica la vita, ma non ti esonera dalla responsabilità di dichiarare e controllare. Se Airbnb per qualche motivo non versa correttamente o il Comune non ha attivato l’accordo, la responsabilità ultima resta tua. Dunque verifica sul sito del tuo Comune se Airbnb è attivo come sostituto per l’imposta di soggiorno.

D: Cosa succede se un cliente si rifiuta di pagare l’imposta di soggiorno?
R: In teoria, l’obbligo di pagamento è a carico del cliente, quindi il gestore potrebbe pretendere il pagamento come parte del corrispettivo dovuto. Se il cliente rifiuta al check-out, la struttura potrebbe rifiutare il check-out finché non paga, o scalare l’importo da un deposito cauzionale, ecc. Nella pratica non è semplice trattenere un ospite controvoglia per pochi euro. Se proprio l’ospite non paga, il gestore dovrebbe emettere fattura/ricevuta con l’importo della tassa come non pagato e segnarlo. Tuttavia, dal punto di vista del Comune, come detto, il gestore risponde comunque del versamento. Quindi potrebbe dover pagare di tasca propria quella cifra. Potrà poi rivalersi sul cliente eventualmente per vie legali (ma per somme modeste è antieconomico). Una possibile via è segnalare il fatto al Comune, magari ottenendo lo sgravio (ma non è sicuro – formalmente la responsabilità rimane). In prospettiva futura, il gestore potrebbe prevenire il problema: inserire nei termini contrattuali che il mancato pagamento della tassa autorizza a addebitare sulla carta di credito, o simili. Con le piattaforme online, questo problema è ridotto: Airbnb riscuote in anticipo anche la tassa, Booking informa prima.

D: Quali sono le sanzioni se dimentico di presentare la dichiarazione o di versare la tassa?
R: La normativa attuale prevede due sanzioni principali: (1) per omessa o infedele dichiarazione annuale del responsabile, multa dal 100% al 200% dell’imposta dovuta non dichiarata; (2) per omesso, tardivo o parziale versamento dell’imposta, sanzione del 30% dell’importo non versato (ai sensi art. 13 D.Lgs. 471/97). Queste sanzioni sono cumulabili perché colpiscono condotte diverse (una documentale, l’altra finanziaria). In pratica, se uno non dichiara e non versa nulla, gli possono contestare entrambe: paghi il doppio dell’imposta come sanzione per la dichiarazione mancata + il 30% come sanzione per il pagamento mancato, oltre naturalmente a dover versare l’imposta stessa. Se invece hai dichiarato ma non versato, solo 30%; se hai versato ma scorrettamente dichiarato (caso raro), solo sanzione dichiarativa. Ci sono poi sanzioni minori previste dai regolamenti per violazioni procedurali locali (tipo omessa comunicazione mensile, mancata tenuta registro): spesso sanzioni fisse di qualche centinaio di euro, che possono cumularsi per ciascun atto omesso (vedi il caso dei 100 omessi invii a Firenze sanzionati singolarmente). Tutte queste sanzioni sono amministrative, niente più penale. Naturalmente, se il Comune ti contesta qualcosa, puoi tentare il ravvedimento operoso: ad esempio, se ti accorgi di non aver presentato la dichiarazione, fallo il prima possibile e paga la sanzione ridotta (ad es. 1/10 del 100% = 10%) così eviti il 100-200%. Oppure se hai versato in ritardo di 1 mese, paga la sanzione ridotta del 1.5% subito anziché aspettare il 30% pieno.

D: I controlli sull’imposta di soggiorno possono arrivare retroattivamente? Fino a quanti anni indietro rischio accertamenti?
R: Sì, i Comuni possono accertare in via retroattiva, ma entro certi limiti di decadenza. In generale, il termine è di 5 anni dall’anno successivo a quello di imposta. Ad esempio, nel 2025 possono ancora notificarti qualcosa per il 2020 (entro 31/12/2025), ma non per il 2017 (scaduto al 31/12/2022). Attenzione: se non hai mai dichiarato, alcuni regolamenti parlano di “in ogni tempo” o comunque 5 anni da quando avrebbero scoperto; però la prassi consolidata è applicare i 5 anni per tutti. Dunque, nel 2025 ancora possibili accertamenti 2020-2024. In alcuni casi, come Roma, stanno recuperando addirittura il 2014-2015, ma lo fanno tramite inviti bonari perché formalmente decaduti (sfruttando l’ignoranza dei contribuenti). Un avvocato può far valere la decadenza se il Comune va troppo indietro. Per sicurezza, conserva la documentazione almeno 5 anni (io consiglierei 6-7 per margine).

D: Davanti a chi si fa ricorso contro un avviso di accertamento dell’imposta di soggiorno?
R: Si presenta ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria di Primo Grado (che sarebbe la ex Commissione Tributaria Provinciale) competente per territorio. Dunque è il giudice tributario, non il TAR né il giudice ordinario, a decidere. C’era confusione anni fa, ma ora è chiaro: si tratta di un tributo locale, contenzioso tributario. Solo in rari casi paralleli potrebbe intervenire la Corte dei Conti (vedi sopra) ma quella è un’altra partita. Quindi, quando ti arriva l’avviso, lo impugni come fosse IMU o TARI. I termini sono 60 giorni, e possibilmente con assistenza legale (sopra i €3.000 di valore è obbligatorio l’avvocato o commercialista abilitato, sotto tale soglia potresti teoricamente far da te, ma è sconsigliato).

D: L’imposta di soggiorno la devo addebitare con IVA? Fa base imponibile?
R: No, l’imposta di soggiorno è un tributo e come tale non è soggetta ad IVA. Quando la esponi in fattura o ricevuta, devi indicarla fuori campo IVA ex art. 15 DPR 633/72 (oneri dovuti dal cliente in nome e per conto, esclusi da IVA). Non costituisce ricavo per te – tu fai solo da tramite. Quindi anche fiscalmente, non concorre al tuo reddito d’impresa. In contabilità, l’importo incassato come tassa va in un conto transitorio (debiti vs Comune). Lo stesso dicasi per il cliente: è una tassa, non può chiederne fattura per detrazione IVA o costi (magari qualche azienda la mette a costo deducibile come imposta).

D: Se ho chiuso l’attività ricettiva, posso comunque ricevere accertamenti per il passato?
R: Sì. La cessazione dell’attività non ti immunizza dalle verifiche relative a quando eri attivo. Se ad esempio hai chiuso il B&B nel 2023, il Comune nel 2024-2025 potrebbe accertarti omissioni del 2021-2022. Ti notificheranno all’ultimo domicilio conosciuto. Dovrai difenderti allo stesso modo. Se la ditta era individuale rispondi tu persona fisica, se era società risponde la società (anche in liquidazione). Attenzione: se hai chiuso e non hai presentato la dichiarazione di cessazione al Comune per l’imposta di soggiorno, rischi che continuino a inviarti avvisi come se fossi attivo. È bene comunicare formalmente la cessazione (magari con dichiarazione finale a zero).

D: C’è il rischio di essere denunciati penalmente per la tassa di soggiorno non versata?
R: Dopo la riforma del 2020, questo rischio si è praticamente azzerato. In precedenza, alcuni albergatori erano stati incriminati per peculato (reato grave) equiparandoli a incaricati di pubblico servizio che si appropriavano di denaro pubblico. Ma la Cassazione ha cambiato orientamento riconoscendo che, ora che il gestore è responsabile d’imposta, non si configura più il peculato per il mancato riversamento. Si tratta di un illecito amministrativo, punito con sanzioni pecuniarie (vedi sopra), non penale. Quindi, niente fedina penale sporca per questo. Teoricamente potrebbe residuare un’ipotesi di truffa ai danni del Comune se, ad esempio, uno falsifica documenti per non pagare, ma è altamente improbabile e forzato. In situazioni limite (grandissime evasioni con artifici), potrebbe scattare qualche imputazione (es. falso in atto se si falsificano ricevute), ma per la mera omissione di pagamento no, non è più reato.

D: Il Comune mi ha mandato un “invito alla compliance” per la tassa di soggiorno: cos’è e devo rispondere?
R: Diversi Comuni stanno adottando un approccio soft inviando lettere di compliance. Non sono accertamenti, ma comunicazioni dove l’ente dice: “Gentile contribuente, abbiamo rilevato una possibile difformità (es: per l’anno X risulta che forse non hai dichiarato/versato l’imposta, o l’hai versata incompleta). Ti invitiamo a verificare e, se del caso, regolarizzare entro 30 giorni, dopodiché procederemo con accertamento”. È quindi una chance che ti danno per sistemare senza multa o con minima sanzione. Conviene rispondere rapidamente, magari con l’aiuto del commercialista/avvocato: se effettivamente hai dimenticato qualcosa, paghi subito con ravvedimento (risparmiando molto sulle sanzioni) e comunichi l’avvenuta regolarizzazione, così il Comune archivia lì. Se invece ritieni di essere a posto, è opportuno comunque rispondere spiegando perché (allegando ad esempio prove di versamenti fatti o motivando differenze). Ignorare la lettera significa quasi certamente ricevere poi un accertamento “vero”. Roma ad esempio sta usando questa strategia: invia migliaia di lettere anziché accertamenti formali. Prendila sul serio e approfittane per chiarire la tua posizione. Coinvolgere un consulente è utile per rispondere in modo appropriato (citando normative, ecc.).

D: In caso di accertamento, posso evitare il contenzioso pagando subito qualcosa di ridotto?
R: Sì. Se ricevi un avviso di accertamento, hai la possibilità di chiudere subito la pendenza con il pagamento ridotto delle sanzioni entro 60 giorni: in genere, se paghi entro 60 gg, ti applicano le sanzioni ridotte a 1/3 (è una regola prevista dalla finanziaria 2020 per gli enti locali). Inoltre, puoi chiedere direttamente al Comune una rateazione dell’importo se è elevato (di solito fino a 8 rate per importi sopra 5.000 €, e fino a 20 rate se molto alto, secondo i regolamenti). Pagando entro 60 giorni con sconti, ovviamente rinunci a fare ricorso. Devi valutare se ti conviene – se l’importo è piccolo e l’errore evidente tuo, magari sì per chiudere. Se invece ritieni l’accertamento sbagliato, meglio impugnare. C’è anche l’accertamento con adesione (come spiegato in precedenza) che consente di trattare col Comune una riduzione e poi pagare. Questo può portare di solito alla riduzione delle sanzioni (a 1/3 o 1/4) e una definizione concordata. Quindi, sì, esistono vie di mezzo per evitare una lunga causa: pagare subito con sconto, o concordare via adesione/mediazione. Valuta con l’avvocato se hai margini per vincere in toto o se è meglio accontentarsi di uno sconto e zero pensieri.

Passiamo ora a uno sguardo sulle principali città italiane che fanno largo uso dell’imposta di soggiorno, per evidenziarne le peculiarità nei controlli e nelle normative locali (focus su Roma, Milano, Firenze, Venezia, Napoli).

Focus sui controlli nelle principali città turistiche

Roma

Roma Capitale applica l’imposta di soggiorno (denominata formalmente “contributo di soggiorno”) sin dal 2011, con importi diversificati per categoria ricettiva. Roma è uno dei casi più complessi e interessanti, sia per l’enorme gettito in gioco (nel 2019 quasi 117 milioni di euro, il più alto in Italia), sia per le vicende controverse in materia di controlli.

Tariffe e peculiarità: Roma, in deroga al tetto ordinario di €5, applica tariffe fino a €7 per notte (ora €10 per 5 stelle lusso, dopo recenti aumenti autorizzati per il Giubileo 2025). L’imposta si paga per massimo 10 notti; esenzioni per minori sotto 10 anni, malati e accompagnatori, forze dell’ordine in servizio, etc. Il regolamento prevede che gli host di locazioni turistiche non imprenditoriali debbano registrarsi al portale comunale e versare anch’essi il contributo (spesso tramite intermediari).

Gestione e portale: Roma ha istituito un portale dedicato (“Roma Capitale – contributo soggiorno”) dove i gestori devono registrarsi, inviare comunicazioni trimestrali e annuali, e possono effettuare i pagamenti online. Airbnb ha iniziato a raccogliere la tassa a Roma già dal 2017-2018 in via sperimentale. Oggi Airbnb e alcune altre piattaforme versano per conto degli host, ma questi ultimi devono comunque inserire nel portale comunale i dati delle presenze gestite via Airbnb, per allineare i conti.

Controlli e “cartelle pazze” (2023): Alla fine del 2023 Roma ha fatto parlare di sé per l’invio massivo di circa 4.000 avvisi di accertamento (definiti dalla stampa cartelle pazze) a moltissime strutture, con richieste totali attorno ai 30-40 milioni. Molti albergatori si sono trovati importi enormi da pagare, spesso frutto di errori di calcolo o di mancata considerazione di riduzioni Covid (nel 2021 Roma aveva sospeso la tassa per alcuni mesi, eppure negli avvisi sembrava richiesta). C’è stata una forte protesta di categoria: Federalberghi Roma ha parlato di accuse infondate nell’85% dei casi. In effetti, sembra che l’amministrazione, incrociando i dati delle presenze comunicate in Questura, abbia inviato accertamenti standardizzati senza contraddittorio e con diversi svarioni. A fronte di ciò, il Comune ha fatto dietrofront parziale: ha sospeso la riscossione di molti di quegli avvisi e ha inviato una comunicazione ai destinatari invitandoli a fornire chiarimenti o a regolarizzare spontaneamente invece di procedere subito alla riscossione coattiva. Questo “incidente” ha portato Roma a cambiare strategia: per il 2023 ha deciso di non emettere accertamenti diretti, ma di puntare su lettere di compliance (inviti bonari) per recuperare l’evaso. Tale approccio si allinea a quello usato dall’Agenzia Entrate per i tributi statali, e serve a ridurre il contenzioso e gli errori.

Giurisdizione e peculato a Roma: Roma ha contribuito anche al dibattito giurisdizionale: inizialmente, la Corte dei Conti Lazio rivendicava competenza, ma con una sentenza del 2024 ha cambiato orientamento dichiarando il difetto di giurisdizione contabile sulle liti tra Comune e gestori, richiamando le Sezioni Unite della Cassazione. Dunque oggi a Roma, se un gestore non versa, il Comune preferisce agire in via tributaria. Sul fronte penale, ricordiamo il caso eclatante di un gestore Airbnb romano accusato di peculato nel 2017 (per qualche migliaio di euro non versati): dopo la riforma, quel procedimento è caduto. Roma comunque monitora attentamente i flussi: ha istituito un Osservatorio sull’imposta di soggiorno insieme a IFEL-ANCI, e i dati mostrano che il contributo di soggiorno romano incide per quasi metà del gettito nazionale di questa imposta. Ciò spiega l’attenzione quasi spasmodica. In vista del Giubileo 2025, Roma ha anche ottenuto dal governo la possibilità di aumentare temporaneamente l’imposta fino a ulteriori €2 (si parla di far pagare fino €10 a notte negli hotel top).

Come difendersi a Roma: Chi opera a Roma deve tenere registri impeccabili e conservare tutte le ricevute e dichiarazioni. In caso di ricezione di una comunicazione/compliance o avviso, conviene rispondere con dovizia di prove. Visto il precedente delle cartelle pazze, il Comune dovrebbe essere più prudente: è lecito aspettarsi annullamenti in autotutela se dimostrate gli errori. Per il contenzioso, si andrà presso la CGT di Roma (che in alcune sentenze del 2024 ha già dato torto al Comune per accertamenti basati solo su dati alloggiati). Segnaliamo anche che Roma Capitale, tramite la Polizia Locale Nucleo Tributario, effettua controlli onsite, soprattutto verso affittacamere abusivi: occorre quindi essere in regola anche con la SCIA e il codice identificativo regionale (CIR), altrimenti le sanzioni possono cumularsi.

Milano

Milano è un’altra città di forte afflusso turistico-business, con imposta di soggiorno in vigore dal 2012. Anche qui tariffe differenziate per stelle (fino a €5 nelle categorie top, recentemente portate a €6 in via eccezionale), estesa anche alle locazioni brevi.

Accordi pionieristici con Airbnb: Milano è stata tra le prime a siglare un accordo con Airbnb (già nel 2018) per la riscossione automatica. Ciò ha portato un recupero notevole di gettito extra. Gli host milanesi che usano Airbnb hanno visto semplificata la vita. Tuttavia, Milano richiede comunque un’autodichiarazione trimestrale agli host, come confermano varie fonti: serve per controllo incrociato.

Sistema gestionale: Il Comune di Milano mette a disposizione sul suo sito moduli e istruzioni dettagliate per l’imposta di soggiorno, e ha un ufficio tributi locale attento. I versamenti a Milano vanno effettuati trimestralmente. Il regolamento prevede obbligo di conservare documenti 5 anni e di presentare la dichiarazione annuale (in realtà molti l’hanno fatta direttamente sul portale MinFInanze nel 2022 e seguenti).

Controlli e task force: Milano negli scorsi anni ha condotto verifiche anche con la Guardia di Finanza. Un caso noto di qualche anno fa riguardò 7 albergatori accusati di aver incassato la tassa senza versarla, per un totale di €1,2 milioni – fu definita sui giornali come “truffa”, con controlli in corso e proposta dell’assessore D’Alfonso di tariffe agevolate per chi regolarizza. Era prima della depenalizzazione, quindi ipotizzarono reati. Dopo il 2020, Milano ha perfezionato la task force anti-evasione in collaborazione con altre banche dati.

Incrocio con banca dati regionale (CIR): La Lombardia ha un Codice Identificativo Regionale obbligatorio per ogni struttura ricettiva e ogni alloggio locato brevemente. Milano usa molto la segnalazione dei CIR: se un annuncio online di appartamento non espone il CIR, scatta la multa regionale e la segnalazione al Comune per probabile evasione imposta di soggiorno. Questo ha fatto emergere numerosi appartamenti sommersi. Nel 2024 i quotidiani riportavano del contrasto a migliaia di host Airbnb abusivi in città attraverso questo sistema.

COVID e recuperi: Durante la pandemia, Milano ha sospeso l’imposta per alcuni mesi; nel 2022 ha ripreso con vigore. Non si registrano episodi eclatanti di “cartelle pazze” come a Roma, segno che l’ufficio tributi milanese è andato più cauto e casomai preferisce invitare a chiarimenti prima di sparare nel mucchio.

Come difendersi a Milano: In generale, portare dati e documenti chiari. Milano ha la nomea di ente efficiente: se c’è un errore e glielo provi (es. ricevute Airbnb), di solito correggono. La CGT di Milano ha già giudicato casi di imposta di soggiorno affermando la propria giurisdizione (anche contro i tentativi di portarli in Corte dei Conti). Un consiglio: attenzione alle sanzioni regionali se non registri l’immobile per il CIR o non comunichi gli ospiti al portale regionale (denominato “Ross1000”): quelle sono separate dall’imposta ma spesso emergono insieme durante controlli. Un avvocato può aiutare a coordinare anche questi aspetti (es. difesa congiunta se contestano sia mancanza CIR che evasione tassa).

Firenze

Firenze, meta turistica per eccellenza, applica la tassa di soggiorno dal 2011. Tariffe attualmente fino a €5,50 (4 stelle) e €7,00 (5 stelle) a notte. La particolarità di Firenze è la grande attenzione ai controlli incrociati e l’attivazione di unità specializzate della Polizia Municipale, come già accennato.

Reparto Antievasione: Il Comune di Firenze ha istituito presso la Polizia Municipale un reparto dedicato al contrasto dell’evasione dei tributi locali, con priorità su imposta di soggiorno e TARI. Questo reparto lavora in sinergia con gli uffici tributi (Direzione Risorse Finanziarie). Un esempio concreto: a fine 2024, grazie a segnalazione dell’ufficio tributi, la PM ha indagato un grosso host (gestiva vari appartamenti) scoprendo che non aveva mai versato la tassa per un anno intero, evadendo 60.000 €. L’operazione ha portato al recupero dell’imposta dovuta e all’irrogazione di ben 100 sanzioni per le omesse comunicazioni mensili sul portale. Questi numeri fanno capire la severità: 60k di imposta evasa in un anno implica un’attività molto redditizia che ha deliberatamente ignorato l’obbligo. La reazione è stata esemplare, col Comune che ha sbandierato la notizia per dissuadere altri (il comunicato stampa è stato pubblicato il 27/12/2024).

Portale e comunicazioni: Firenze ha un portale telematico dove i gestori devono ogni mese inserire le presenze e generare il modello F24 per il versamento. Anche chi usa Airbnb deve entrare nel portale e confermare i dati (in pratica, Airbnb versa i soldi ma l’host deve comunque fare le comunicazioni, altrimenti scattano le sanzioni fisse come visto). Il Comune ha stipulato accordi con tutte le piattaforme principali per ottenere i dati (ad esempio HomeAway-Vrbo). Inoltre, collabora strettamente con la Guardia di Finanza (protocollo 2021).

Focus sulle locazioni non autorizzate: Firenze ha anche una normativa locale stringente: i B&B non imprenditoriali devono registrarsi e non superare un certo numero di giorni l’anno, altrimenti diventano esercizi abusivi. Molti controlli incrociati servono a individuare chi affitta più del consentito in nero: in questi casi, oltre alla tassa di soggiorno, arrivano multe per esercizio ricettivo abusivo. Un legale può trovarsi a dover difendere su entrambi i fronti (sede amministrativa ex L.R. toscana e sede tributaria per la tassa).

Giurisdizione: La Corte dei Conti Toscana inizialmente rivendicava competenza (alcuni piccoli B&B furono citati per danno erariale a Firenze), ma di recente anche lì pare orientarsi per lasciare ai tributi. Non ci sono pronunce di rilievo note come in Lazio/Lombardia, segno che i casi grossi li stanno gestendo in via amministrativa.

Come difendersi a Firenze: La documentazione è regina: se venite accusati di tot presenze non dichiarate, dovete mostrare registri firme, documenti d’identità che attestano eventuali esenzioni (es. minori o disabili), e screenshot del portale se avevate inserito i dati (magari bug di sistema?). Per gli host multi-appartamento, un suggerimento è avere un software gestionale che allinei Alloggiati Web e portale imposta: così riducete errori. In caso di contestazione, visto l’approccio rigoroso, è probabile che l’ufficio accetti solo evidenze solide. Un buon avvocato a Firenze punterà anche sul rispetto del contraddittorio (il Comune di solito invita a spiegare prima di sanzionare, come raccomandato da IFEL), quindi se ciò non è avvenuto lo si eccepisce.

Venezia

Venezia applica l’imposta di soggiorno (chiamata anch’essa contributo) con particolarità: tariffe diversificate per stagione (alta/bassa), per zona (centro storico vs terraferma) e per tipologia. Ad esempio, in alta stagione un 4 stelle a Venezia può arrivare a 5€ notte, in bassa 3,50€. Anche gli appartamenti turistici pagano (fino 4€), i campeggi etc.

Controlli integrati con il turismo di massa: Venezia, oltre all’imposta di soggiorno, stava introducendo il famoso contributo di accesso per i turisti giornalieri (ticket ingresso), ma è altra partita. Quanto al soggiorno, il Comune ha sistema informatizzato e ha lavorato a stretto contatto con la Regione Veneto, che ha un portale chiamato “Alloggiati Regione” per fini statistici.

Evasione e casi noti: Negli anni scorsi, a Venezia si verificarono alcuni clamorosi casi: il gestore di un importante ostello fu arrestato per peculato nel 2016 per non aver versato circa €300.000 di tassa in 4 anni. Dopo la riforma, quel caso fu rivisto come illecito amministrativo. La GdF di Venezia fece diverse operazioni scoprendo B&B fantasma. Oggi Venezia usufruisce anche qui del CIR regionale obbligatorio: chi pubblicizza un affitto turistico senza indicare il Codice identificativo dell’alloggio è soggetto a multa regionale e viene verificato per la tassa. Nel 2023-24, il Comune di Venezia ha aderito alla iniziativa Airbnb ANCI per la riscossione: Airbnb riscuote sui circa 5.000 host veneziani. Questo dovrebbe migliorare compliance.

Zone e competenze: Un aspetto particolare: le isole minori (es. Lido di Venezia, Murano) hanno flussi diversi, ma l’imposta è comunale unica. Tuttavia, i controlli sul campo vengono svolti anche dalla Polizia locale di quartiere. Segnalazioni arrivano spesso dai residenti (perché Venezia è molto sensibile al tema affitti turistici e c’è malcontento). Dunque, un host a Venezia potrebbe ricevere un controllo “a sorpresa” di vigili urbani che chiedono registro presenze e ricevute tassa: è successo. Bisogna farsi trovare preparati.

Come difendersi a Venezia: La Commissione Tributaria di Venezia (ora CGT) in passato ha dato ragione al Comune in casi di evasione conclamata, ma ha anche ridotto sanzioni in via equitativa dove ha ravvisato buona fede. Importante in sede difensiva evidenziare se il Comune non ha considerato riduzioni stagionali corrette. Inoltre, Venezia avendo modulazioni per bassa/alta stagione, è facile sbagliare tariffa: se il Comune vi accusa di aver applicato tariffa ridotta in periodi considerati alta stagione, controllate bene la delibera tariffe quell’anno, a volte ci sono zone grigie (es. eventi straordinari, Carnevale). Un legale può contestare l’interpretazione se l’atto non era chiaro.

Napoli

Napoli ha introdotto la tassa di soggiorno nel 2012. Tariffe fino a €5 nei 5 stelle (ora eccezionalmente aumentate a €6 per 2023-25); €2,50 in B&B, etc. Il fenomeno degli affitti brevi a Napoli è esploso negli ultimi anni, portando il Comune a intensificare i controlli.

Maxi-evasione nel settore extra-alberghiero: Nel marzo 2024 il Comune di Napoli ha diffuso dati impressionanti: su circa 12.000 case vacanza/B&B registrati, solo 4.000 risultavano in regola con imposta di soggiorno e tassa rifiuti, mentre 8.000 erano evasori totali o parziali. In conseguenza di ciò, è stata avviata una massiccia operazione di recupero, con 8.000 avvisi di accertamento emessi e circa 13 milioni di euro recuperati. Questo evidenzia come a Napoli il problema principale non siano tanto gli hotel (più strutturati e adempienti) quanto il vasto tessuto di micro-ospitalità spesso poco professionale.

Azioni del Comune: Napoli ha stretto un patto con la GdF e l’Agenzia delle Entrate locale per incrociare dati. Hanno utilizzato molto i dati delle piattaforme: Airbnb, Booking, e persino informazioni tratte da social network dove venivano pubblicizzati alloggi. Il Comune di Napoli nel 2023 ha anche alzato le tariffe (fino a +2€) per aumentare gli incassi, sfruttando una deroga nazionale per città d’arte con deficit. Questo perché Napoli punta a un gettito maggiore per finanziare servizi (anche la TARI).

Casi giudiziari: Non risultano ancora grandi contenziosi in Cassazione su Napoli specificamente, segno che la maggior parte dei gestori colti in fallo finora ha preferito pagare o fare ricorso localmente. Alcuni potrebbero aver opposto che il Comune li ha sanzionati due volte (soggiorno e rifiuti): ma sono tributi distinti, quindi non c’è ne bis in idem.

Difendersi a Napoli: Se vieni colpito da un accertamento a Napoli, è utile verificare se rientri in quell’azione di marzo 2024. In tal caso, il Comune potrebbe essere disposto a un contraddittorio perché è consapevole che sta facendo pulizia in un settore pieno di frazionamenti. Chi magari aveva 3 appartamenti e ne dichiarava 1, potrebbe sostenere un errore e proporre di pagare per gli altri 2 con sanzioni ridotte. Napoli, dovendo recuperare tanto, potrebbe preferire transare piuttosto che andare in giudizio su migliaia di casi. Un avvocato può eventualmente cercare un accordo cumulativo se assiste più proprietari (specie se c’è un’associazione di categoria locale coinvolta). Da notare: Napoli come Roma ha molti host “occasionali”; la difesa qui può puntare anche sulla non debenza per periodi in cui l’immobile non era affittato (spesso il Comune manda accertamenti forfettari presumendo occupazione continua). Bisogna allora dimostrare calendario alla mano i giorni effettivi di locazione (contratti, recensioni online, ecc.).

Guardia di Finanza a Napoli: La GdF partenopea è intervenuta anche con operazioni nominative, ad esempio scovando in Costiera o nel centro storico appartamenti di lusso affittati a vip senza pagamento di tassa di soggiorno. In simili casi, oltre al tributo, contestano redditi non dichiarati (evasione fiscale). Quindi chi viene pizzicato in quell’ambito deve prepararsi a una difesa integrata (tributi locali + Irpef). È un altro scenario dove un legale esperto può coordinare con un commercialista la strategia (es. adesione col Comune e definizione col Fisco in un’unica soluzione se possibile).

Altre località attive

Oltre alle big citate, meritano menzione:

  • Bologna, Genova, Torino: città che hanno anch’esse introdotto la tassa e fanno controlli, anche se con meno clamore mediatico. Hanno comunque eseguito accertamenti incrociando dati questura come altrove.
  • Località balneari e montane: ad esempio Rimini, Riccione, Courmayeur, Taormina, Amalfi – tutte applicano la tassa e vigilano (spesso delegando molto alle associazioni albergatori la sensibilizzazione). Alcune località stagionali hanno difficoltà nei controlli (ospiti mordi e fuggi), ma la GdF estiva fa visite in riviera incrociando anagrafiche turistiche.
  • Verona: segnaliamo il caso di Verona, dove nel 2022-23 hanno sperimentato un controllo incrociato innovativo tra Questura e Comune, che ha portato a scovare vari evasori.
  • Matera, Bari, Catania: con il boom turistico, anche qui l’imposta è arrivata e seguono l’esempio dei grandi nel recupero.

Ogni Comune può avere sfumature, ma gli strumenti base (dati alloggiati, portali online, accordi Airbnb) sono comuni. La difesa dei contribuenti si gioca su principi generali validi ovunque: rispetto procedure, prova esenzioni, attendibilità dei dati usati dall’ente.

Nel prossimo (ed ultimo) capitolo, riepilogheremo le novità normative e giurisprudenziali più recenti (2024-2025) e forniremo la bibliografia con le fonti utilizzate, incluse leggi, sentenze e contributi dottrinali, per chi volesse approfondire ulteriormente.

Novità normative e giurisprudenziali 2024–2025

Negli ultimi due anni sono intervenute alcune novità di rilievo in materia di imposta di soggiorno, sia sul fronte normativo che su quello giurisprudenziale. Riassumiamo i punti salienti per essere aggiornati a maggio 2025:

  • Conferma retroattività responsabilità gestori (DL 146/2021): Sebbene già citato, è importante ricordare che con l’art. 5-quinquies del D.L. 146/2021 (convertito nella L. 215/2021) il legislatore ha voluto dissipare ogni dubbio sull’applicabilità delle nuove regole anche al passato, stabilendo espressamente che il comma 1-ter art.4 D.Lgs. 23/2011 (quello che qualifica i gestori come responsabili d’imposta) vale anche per i fatti anteriori al 19/5/2020. Ciò è stato interpretato come un segnale forte: i processi penali in corso per peculato dovevano estinguersi (principio del favor rei) e anche in sede contabile bisognava riconsiderare la giurisdizione alla luce di questa “nuova” qualificazione applicabile da sempre. Nonostante ciò, come abbiamo visto, la giurisprudenza contabile non è stata unanime, portando alle pronunce di conflitto del 2024.
  • Riforma della giustizia tributaria (D.Lgs. 149/2022): Dal 2023 le Commissioni Tributarie hanno cambiato nome in Corti di Giustizia Tributaria e sono stati introdotti nuovi strumenti (giudice monocratico per liti minori, possibilità di prova testimoniale per iscritto, ecc.). Questo impatta anche sul contenzioso dell’imposta di soggiorno. Ad esempio, una lite sotto €3.000 potrebbe essere decisa da un giudice solo, in tempi più rapidi. Inoltre, l’ufficio del processo tributario potrebbe aiutare a smaltire arretrati: se avevate cause pendenti, potrebbero accelerare. Per il contribuente cambia poco nelle azioni da intraprendere, ma è bene che gli avvocati si adeguino alle nuove regole procedurali (ad esempio formulare eventuali istanze di prova testimoniale scritta se serve, magari per sentire dipendenti dell’hotel su come veniva gestito un registro).
  • Sezioni Unite Cassazione 2024 sul conflitto di giurisdizione: Due pronunce vanno segnalate: l’ordinanza n. 14028/2024 delle SU civili e la successiva n. 22891/2024. In sintesi, come detto, le SU hanno affermato la competenza della Corte dei Conti per le azioni di responsabilità riguardanti l’omesso versamento, almeno per i casi risalenti, e la competenza del giudice tributario per le sanzioni tributarie e, sembra desumersi, per i casi futuri. Hanno richiamato il concetto di perpetuatio iurisdictionis (se un fatto è avvenuto sotto la vecchia disciplina, rimane dov’era anche se la legge è cambiata dopo). Tuttavia, hanno riconosciuto che la normativa sopravvenuta “ha radicalmente mutato la natura del rapporto” (cit. ord. SU), di fatto dando argomenti a chi sostiene il passaggio completo al giudice tributario. Queste decisioni delle SU non chiudono definitivamente il dibattito, ma segnano un passo ufficiale. È probabile che in futuro un intervento legislativo o un consolidarsi della giurisprudenza unificherà le cose – molti auspicano una norma che dica chiaramente: “le controversie sull’imposta di soggiorno, in qualsiasi fase, appartengono al giudice tributario”, in modo da far decadere le azioni contabili pendenti. Nel frattempo, chi ha cause in Corte dei Conti deve tener conto di questo orientamento SU: se i fatti sono pre-2020 rischia di restarci; se sono post, può chiedere la declinatoria con buone chance.
  • Norme di semplificazione per i gestori: Nel 2022-2023 il governo ha discusso varie proposte per semplificare gli adempimenti turistici. Ad esempio, vi era nel 2022 un’ipotesi di dichiarazione telematica unificata per imposta di soggiorno e statistica Istat, ma non risulta attuata compiutamente. Alcune città hanno implementato portali unici dove inserisci i dati una volta e vengono usati sia per Alloggiati web, sia per imposta, sia per statistica (ad esempio il sistema regionale in Emilia-Romagna o in Piemonte). Ciò riduce errori e duplicazioni. Un’altra novità: il Registro Nazionale delle Attività Ricettive (istituito con DL 50/2017 e DM attuativo 2019) è diventato operativo in alcune regioni: è una banca dati nazionale dove confluiscono i codici identificativi delle locazioni brevi. Questo consente un controllo incrociato a livello Paese. Ad esempio, l’Agenzia delle Entrate dal 2023 riceve anche i dati delle locazioni brevi comunicati dagli intermediari (nome locatore, numero locazioni, giorni, corrispettivi): incrociando ciò con le dichiarazioni dell’imposta di soggiorno, l’Agenzia può segnalare ai Comuni eventuali discrepanze (es: un host dichiara su Redditi di aver incassato 100 locazioni, ma al Comune risultano 50 presenze pagate). Insomma, si va verso una integrazione delle banche dati che renderà sempre più difficile sfuggire. I gestori onesti ne trarranno giovamento (meno modulini da compilare), i disonesti saranno facilmente scovati.
  • Aumenti dei massimali d’imposta: Nel 2023, con la Legge di Bilancio, è stata data facoltà ad alcuni Comuni (in primis Roma, Venezia, Firenze, Napoli, Milano) di alzare transitoriamente il tetto dell’imposta oltre 5€ per finanziare grandi eventi e mitigare gli impatti turistici. Questa tendenza potrebbe stabilizzarsi: si discute se portare il tetto legale fisso a 10 € (cosa che ovviamente gli albergatori contestano). In alcune città d’arte è anche emersa la proposta di modulare la tassa in base al costo del pernottamento (percentuale), per colpire di più i viaggi di lusso – idea che era nel programma di governo 2018 ma finora accantonata. In chiave 2025, col Giubileo a Roma e magari Expo 2030 in arrivo, non è escluso che normative future intervengano sulla struttura dell’imposta (per esempio, un differenziamento tra Comuni top e Comuni minori, oppure destinare parte del gettito a fondi nazionali). Ma al momento, nulla di concreto oltre alle autorizzazioni speciali.
  • Giurisprudenza di merito rilevante: Oltre alle SU, vanno segnalate alcune pronunce interessanti:
    • La Corte di Giustizia Tributaria di Roma sent. n. 9140/2024, che ha dichiarato illegittimo un accertamento basato su incrocio dati questura senza contraddittorio, in linea con quanto discusso. Ciò crea un precedente per i gestori romani: se non vi hanno chiamato prima a spiegare, potete citare questa sentenza.
    • La Corte dei Conti Lombardia sent. 47/2024, che insiste sulla qualifica di agente contabile e condanna un gestore (da capire se poi appellata). Serve a sapere che in Lombardia la Procura contabile è ancora agguerrita.
    • La Corte dei Conti Veneto 2023 (sent. n. 70/2023) – notizia trapelata – avrebbe invece sposato la linea opposta, declinando la giurisdizione. Questo rafforza la tesi difensiva dei gestori veneti.
    • Alcune CTR (Corti tributarie regionali), ad esempio CTR Lazio 2022, hanno affermato che l’imposta di soggiorno è un tributo vero e proprio, sgomberando dubbi su possibili qualificazioni diverse (qualcuno in passato la definiva prezzo pubblico: no, è tributo di scopo). Questo ribadisce che le garanzie dei tributi (decadenze, ecc.) si applicano a pieno.
  • Dottrina recente: Sul piano dottrinale, segnaliamo due contributi del 2024: D’Angelo-Dellabartola su Rivista di Diritto Tributario, che analizza i contrasti interni alla Corte dei Conti e propende per la giurisdizione tributaria con ampi argomenti sistematici; e un articolo su Eutekne.info (aprile 2024) che commenta la SU 14028/24 evidenziando come la retroattività sancita dal legislatore renda illogica la permanenza della giurisdizione contabile. In generale, la tendenza in dottrina è di auspicare un intervento normativo chiarificatore e di invitare le procure contabili a lasciar perdere i gestori (non essendo più “conti” in senso tecnico).

In definitiva, maggio 2025 vede un quadro molto più definito rispetto a pochi anni fa: l’imposta di soggiorno è chiaramente un tributo, i gestori sono assimilati a responsabili d’imposta e non agenti pubblici, i Comuni dispongono di strumenti consolidati di accertamento (dati telematici) e i contribuenti hanno regole uniformi per dichiarare e difendersi. Restano da armonizzare alcuni dettagli (doppio binario Corte dei Conti da eliminare del tutto) e da migliorare l’informazione/formazione per i piccoli operatori, così da ridurre gli errori involontari.

Chiudiamo la guida con una bibliografia e sitografia delle fonti normative e giurisprudenziali citate, che potranno essere utili per approfondire singoli aspetti o per reperire i riferimenti esatti in caso di necessità professionale.

Bibliografia e riferimenti normativi

  • D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23, art. 4: disposizione istitutiva dell’imposta di soggiorno (fiscalità municipale). Commi 1, 1-bis delineano chi può applicarla e massimali. Comma 1-ter (introdotto da D.L. 34/2020, art. 180) qualifica il gestore come responsabile d’imposta e impone dichiarazione annuale e sanzioni relative.
  • Regolamenti Comunali sull’imposta di soggiorno: es. Regolamento tipo IFEL 2021 (riporta obbligo conservazione documenti 5 anni; modulistica dichiarazioni periodiche; esenzioni tipiche). Verificare il regolamento specifico del Comune interessato per dettagli (tariffe, esenzioni locali, sanzioni locali per inadempimenti strumentali).
  • D.L. 24 aprile 2017, n. 50, art. 4 commi 5-bis e 5-ter: disciplina locazioni brevi. Il comma 5-ter (introdotto dalla L. 96/2017 di conversione) estende agli intermediari immobiliari (portali telematici) la responsabilità di pagamento e dichiarazione dell’imposta di soggiorno quando incassano i canoni. Normativa cruciale per coinvolgere Airbnb & C.
  • D.L. 19 maggio 2020, n. 34 (Decreto Rilancio), art. 180: ha inserito il citato comma 1-ter nell’art. 4 D.Lgs. 23/2011. Converte l’omesso versamento in violazione amministrativa tributaria, definisce obblighi e sanzioni. Convertito con modifiche dalla L. 17 luglio 2020, n. 77.
  • D.L. 21 ottobre 2021, n. 146, art. 5-quinquies: “Disposizioni in materia di imposta di soggiorno”. Stabilisce retroattività applicazione comma 1-ter anche per fatti pre-19/5/2020. Convertito con L. 215/2021.
  • D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 13: base normativa della sanzione del 30% per omesso/tardivo versamento tributi. Reso applicabile all’imposta di soggiorno dal rinvio contenuto nel comma 1-ter sopra.
  • Cassazione Penale, Sez. VI, sent. 30 ottobre 2020 n. 30227: ha sancito che, introdotto il comma 1-ter, l’omesso versamento dell’imposta di soggiorno non integra più il reato di peculato, mutando il ruolo del gestore in responsabile d’imposta.
  • Cassazione Penale, Sez. VI, sent. 17 dicembre 2020 n. 36317: in linea con la precedente, depenalizzazione peculato per albergatori. Confermata poi da Cass. Pen. Sez. VI, sent. 4 aprile 2022 n. 12492.
  • Cassazione Civile, Sez. Unite, ord. 25 maggio 2024 n. 14028: afferma la giurisdizione contabile per le controversie su omessi versamenti prima del 2020 (perpetuatio), riservando al giudice tributario le sanzioni tributarie. Vedi commento Eutekne.
  • Cassazione Civile, Sez. Unite, sent. 19 agosto 2024 n. 22891: chiarisce ulteriormente che le sole sanzioni tributarie sono di competenza del giudice tributario, mentre la pretesa principale rientra in giurisdizione contabile (principio discusso).
  • Corte dei Conti, Sez. giur. Lazio, sent. 26 settembre 2023 n. 606: caso in cui la Corte dei Conti Lazio ha affermato la propria giurisdizione su omesso versamento contributo di soggiorno (Roma) rifacendosi a impostazione tradizionale (gestore come agente contabile).
  • Corte dei Conti, Sez. giur. Lazio, sent. 2024 (agosto) – differente orientamento: in altra causa la stessa sezione ha dichiarato il difetto di giurisdizione contabile, richiamando le Sez. Unite Cassazione. (Riferimento: iusmanagement.org, 13/8/2024).
  • Corte dei Conti, Sez. giur. Lombardia, sent. 21 marzo 2024 n. 47: sostiene persistente qualifica di agente contabile del gestore e condanna per danno erariale (posizione pro-giurisdizione contabile).
  • CGT I grado Roma, sent. 2024 n. 9140: annulla accertamento basato su mero incrocio dati Questura senza considerare esenzioni e senza contraddittorio, ritenendolo illegittimo.

Accertamenti per l’Imposta di Soggiorno: Fatti Aiutare Da Studio Monardo

Hai ricevuto una richiesta di pagamento per l’imposta di soggiorno da parte del Comune?
Ti accusano di non aver versato correttamente quanto incassato dai tuoi ospiti?

⚠️ L’imposta di soggiorno è un tema sempre più sotto controllo da parte di Comuni e Guardia di Finanza.
Ma attenzione: non tutti gli accertamenti sono legittimi e puoi difenderti in modo efficace.

Cos’è l’Imposta di Soggiorno

🏨 È l’importo che gli ospiti pagano per soggiornare in B&B, case vacanza, hotel e affitti brevi.
📎 Il gestore (host, proprietario o struttura) ha il compito di riscuoterla e versarla al Comune secondo regolamenti locali.

Quando scatta l’accertamento

Il Comune può contestarti:

❌ Omissione totale o parziale dei versamenti
❌ Ritardi nel pagamento dell’imposta
❌ Errori nelle dichiarazioni periodiche
❌ Mancata registrazione degli ospiti

🔎 Spesso gli accertamenti nascono da controlli incrociati tra banche dati, portali online (Airbnb, Booking, ecc.) e dichiarazioni fiscali.

Le sanzioni previste

💸 Sanzioni amministrative fino al 100% del dovuto
🧾 Richieste di pagamento retroattivo per più anni
⚖️ In casi gravi, denuncia penale per appropriazione indebita (se l’imposta è stata incassata e non versata)

‼️ Ma molte contestazioni sono sbagliate, sproporzionate o viziate da errori formali.

🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo

📂 Verifica la correttezza dell’accertamento ricevuto
🧾 Analizza le irregolarità formali e sostanziali dell’atto
📨 Predispone il ricorso al Comune o al Giudice Tributario
🤝 Ti assiste nella regolarizzazione e nella trattativa con l’ente locale
🔁 In casi complessi, valuta procedure più ampie di ristrutturazione del debito

🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

✔️ Esperto in diritto tributario e contenzioso con enti locali
✔️ Difensore in procedimenti per imposta di soggiorno e accertamenti turistici
✔️ Gestore della Crisi – iscritto al Ministero della Giustizia

Conclusione

Non pagare senza controllare. Non ignorare l’accertamento. Difenditi.
Con il supporto legale giusto puoi evitare sanzioni inutili, contestare errori e proteggere la tua attività.

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  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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