Hai accumulato debiti come imprenditore, libero professionista o titolare di una ditta individuale?
Non riesci più a far fronte ai pagamenti verso banche, fornitori, INPS o Agenzia delle Entrate?
Temi che la situazione possa sfuggirti di mano e portarti al pignoramento o al fallimento personale?
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in sovraindebitamento, crisi da insolvenza e tutela dei piccoli imprenditori – ti spiega in modo semplice e concreto cos’è il Concordato Minore e come può aiutarti a uscire legalmente dai debiti, salvando il tuo lavoro e la tua dignità.
Scoprirai:
- Chi può accedere al Concordato Minore secondo il Codice della Crisi (artigiani, commercianti, professionisti, startup, ditte individuali e piccoli imprenditori non fallibili);
- Quali debiti possono essere trattati (fisco, INPS, banche, fornitori, mutui, finanziamenti);
- Come proporre un piano sostenibile di pagamento o saldo a stralcio, con l’aiuto di un Gestore della Crisi e l’approvazione del Tribunale;
- Come ottenere l’omologazione del piano anche senza il consenso di tutti i creditori, se rispetta i requisiti di legge;
- Cosa fare per bloccare immediatamente pignoramenti, decreti ingiuntivi e azioni esecutive, proteggendo la tua attività mentre ristrutturi il debito;
- Quali sono i vantaggi concreti rispetto al fallimento: niente più interessi, nessuna segnalazione per bancarotta, possibilità di mantenere la propria attività operativa.
Alla fine della guida troverai tutte le informazioni per richiedere una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo, analizzare la tua situazione personale o aziendale e valutare se il Concordato Minore può essere la soluzione giusta per tornare solvibile, difendendo il tuo futuro professionale e familiare.
Introduzione
Il concordato minore è uno strumento giuridico introdotto dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII) – D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14, come modificato negli anni successivi – specificamente pensato per piccoli imprenditori, professionisti ed altri debitori non fallibili che si trovino in situazione di sovraindebitamento. Si tratta di una procedura concorsuale semplificata e giudiziale, avviabile solo su istanza volontaria del debitore, che consente di regolare in modo unitario i debiti e di ottenere l’esdebitazione (ossia la liberazione dai debiti residui) una volta attuato un piano concordatario. Il concordato minore è finalizzato a evitare l’apertura della liquidazione giudiziale (il “fallimento” nel nuovo lessico) o della liquidazione controllata per i soggetti non fallibili, offrendo ai creditori una soddisfazione migliore rispetto a quella che otterrebbero liquidando il patrimonio del debitore.
Questa procedura è stata introdotta nel sistema italiano con il CCII (attuativo della legge delega n. 155/2017) e rappresenta l’evoluzione dell’“accordo di composizione della crisi” previsto dalla previgente Legge 3/2012 sul sovraindebitamento. Il nuovo assetto normativo, in vigore a regime dal 15 luglio 2022 (dopo vari rinvii e correttivi), ha armonizzato le procedure minori di insolvenza con quelle maggiori, recependo anche i principi della normativa UE in materia di ristrutturazione e insolvenza (Direttiva 2019/1023). Negli anni 2020-2024 il Codice della crisi è stato più volte modificato per migliorarne l’efficacia e recepire le indicazioni europee: da segnalare in particolare il D.Lgs. 83/2022 (primo correttivo post-entrata in vigore) e il recente D.Lgs. 136/2024 (cosiddetto “correttivo ter”), che hanno innovato alcuni istituti incluso il concordato minore.
L’obiettivo del concordato minore è duplice: da un lato offrire una soluzione alla crisi del debitore che sia più vantaggiosa per i creditori rispetto alla liquidazione integrale dei beni, dall’altro consentire al debitore sovraindebitato di proseguire la propria attività imprenditoriale o professionale evitando la chiusura definitiva. In linea con la filosofia generale della riforma, si privilegiano ove possibile le soluzioni in continuità aziendale, confinando ad ipotesi residuali le soluzioni meramente liquidatorie dei beni del debitore. Il concordato minore rappresenta quindi un “piccolo concordato preventivo” adattato alle dimensioni dei debitori minori, con procedure più snelle ma ispirate agli stessi principi di par condicio creditorum, trasparenza e controllo giudiziale. Come vedremo, tutti i creditori vengono coinvolti e vincolati dall’esito della procedura, inclusi quelli dissenzienti, purché sia raggiunta la maggioranza richiesta (o ricorrano le condizioni per forzare il dissenso di alcuni creditori pubblici).
Nei paragrafi seguenti verranno analizzati in dettaglio: l’ambito di applicazione soggettivo del concordato minore (chi può accedervi), i requisiti e le ultime novità normative introdotte sino a maggio 2025, le fasi procedurali dalla presentazione del ricorso all’omologazione e all’esecuzione del piano, il trattamento di tutte le categorie di debiti (fiscali, bancari, commerciali, previdenziali, ecc.) all’interno del concordato, con simulazioni numeriche pratiche di piani di concordato minore, riepiloghi tabellari esplicativi, una sezione di domande frequenti (FAQ) e un’analisi delle implicazioni fiscali (comprese le conseguenze delle falcidie su IVA e imposte dirette). Infine, verranno esaminate le principali pronunce giurisprudenziali dal 2023 al 2025 (Cassazione, Corte Costituzionale e Tribunali) che hanno interpretato e applicato le nuove norme, con un elenco finale di riferimenti normativi e giurisprudenziali utilizzati.
Normativa di riferimento e soggetti ammessi al concordato minore
Quadro normativo e ultime modifiche
La disciplina del concordato minore è dettata dagli articoli 74-83 del Codice della crisi e dell’insolvenza (CCII), nell’ambito del Titolo IV dedicato agli “Strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza” – Capo II (“Procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento”). Essa sostituisce la procedura di accordo di composizione della crisi prevista dalla Legge 3/2012, integrando ora pienamente queste soluzioni “minori” all’interno di un corpus unico assieme alle procedure maggiori (concordato preventivo, accordi di ristrutturazione dei debiti, liquidazione giudiziale). Per le parti non espressamente disciplinate dagli articoli dedicati, si applicano in via residuale le disposizioni sul concordato preventivo delle imprese “maggiori”, così da uniformare principi e garanzie (ad esempio in tema di effetti sugli interessi, voto per testa, cramini down, ecc., come dettagliato più avanti).
Di grande rilievo sono stati i correttivi normativi intervenuti dopo il varo del CCII. Il D.Lgs. 83/2022 ha adeguato la disciplina italiana alla Direttiva UE 2019/1023, introducendo tra l’altro la possibilità di falcidiare i debiti IVA e le ritenute anche nelle procedure di sovraindebitamento (recependo quanto già anticipato dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 245/2019). Successivamente, il D.Lgs. 136/2024 (in vigore dal marzo 2025) ha ulteriormente modificato il concordato minore: in particolare, inserendo il nuovo comma 2-bis all’art. 75 CCII, che consente al debitore persona fisica di mantenere il finanziamento ipotecario sulla propria abitazione principale, continuando a pagarne le rate alle scadenze originarie se è in regola (o se paga le rate scadute al momento della domanda). Questa novità – ispirata a una previsione analoga già esistente per il piano del consumatore (art. 67, c.5 CCII) – permette quindi al piccolo imprenditore/professionista sovraindebitato di non perdere la casa di abitazione, evitando che il mutuo ipotecario venga automaticamente risolto o inserito integralmente nel concorso dei creditori. Il mantenimento del piano di ammortamento originario sul bene casa è subordinato all’autorizzazione del giudice e alla verifica dell’Organismo di Composizione della Crisi (OCC) che il creditore ipotecario verrebbe comunque soddisfatto integralmente liquidando l’immobile a valori di mercato e che il proseguimento dei pagamenti non lede gli altri creditori. Si tratta di un importante correttivo pro-debitore (e in realtà pro-creditore ipotecario) che favorisce la continuazione dell’attività evitando il trauma della vendita della casa quando ciò non sia necessario per soddisfare i creditori.
Da segnalare è anche l’introduzione nel CCII della nuova procedura di “esdebitazione del debitore incapiente” (artt. 283-284 CCII), che consente – in casi eccezionali – la cancellazione dei debiti residui a favore di persone fisiche totalmente prive di beni e di capacità di rimborso, senza alcuna soddisfazione dei creditori. Questa procedura “speciale” è però alternativa al concordato minore e alle altre soluzioni: vi può accedere solo il debitore persona fisica incapiente che non sia in grado di offrire alcuna utilità ai creditori (nemmeno in forma indiretta) e che soddisfi stringenti requisiti di meritevolezza. È in sostanza una exit strategy “di ultima istanza” per dare un fresh start al debitore onesto ma sfortunato, quando ogni altra composizione è impraticabile. Per quanto non oggetto centrale di questa guida, vale la pena menzionarla come parte del quadro delle riforme a tutela del debitore sovraindebitato.
Soggetti che possono accedere al concordato minore
Il concordato minore è riservato a una specifica platea di debitori, definita per esclusione rispetto alle procedure concorsuali “maggiori”. Non tutti i soggetti indebitati possono accedere a questa procedura: in particolare sono esclusi i “grandi” debitori soggetti a fallimento (liquidazione giudiziale) e i consumatori. Possono invece proporre concordato minore i soggetti indicati all’art. 2, comma 1, lett. c) CCII (ossia i soggetti non fallibili), con esclusione dei consumatori. In concreto, rientrano in questa categoria:
- Piccoli imprenditori commerciali (imprese di dimensioni sotto le soglie di fallibilità stabilite dalla legge);
- Imprenditori agricoli, indipendentemente dalle dimensioni (gli imprenditori agricoli per definizione non sono soggetti a fallimento);
- Persone fisiche che esercitano arti o professioni (lavoratori autonomi, professionisti intellettuali, studi professionali);
- Start-up innovative di cui al D.L. 179/2012 (anch’esse escluse dal fallimento per disposizione di legge speciale);
- Enti non commerciali e altri debitori non assoggettabili a liquidazione giudiziale.
In pratica, qualunque debitore sovraindebitato non qualificabile come “imprenditore commerciale in stato di insolvenza” rientra tra i potenziali beneficiari del concordato minore. Il legislatore ha espressamente voluto riservare questa procedura ai soli debitori non consumatori, distinguendo nettamente tra:
- il consumatore, persona fisica che ha contratto debiti estranei all’attività d’impresa o professionale, il quale ha uno strumento dedicato (piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore, ex “piano del consumatore” di cui all’art. 67 CCII);
- il debitore non fallibile non consumatore (piccolo imprenditore, professionista, ecc.), il quale ha appunto il concordato minore (ex accordo di composizione) come strumento di regolazione della crisi.
Questa separazione risponde alla diversa natura delle posizioni: nel caso del consumatore il presupposto è l’assenza di un’attività economica da salvaguardare e il procedimento si concentra sulla valutazione di meritevolezza del debitore e sostenibilità del piano familiare, senza necessità di voto dei creditori (il tribunale può omologare anche contro la volontà dei creditori, esercitando un potere sostitutivo). Nel concordato minore invece, trattandosi perlopiù di operatori economici (piccole imprese), il consenso dei creditori tramite voto rimane centrale, sia pure con possibili eccezioni in presenza di creditori pubblici dissenzienti (cram down).
Per accedere al concordato minore, il debitore deve trovarsi in uno stato di crisi o insolvenza tale da non poter soddisfare i propri debiti regolarmente. La nozione di sovraindebitamento nel CCII (art. 2, c.1 lett. c) riprende quella della L.3/2012: uno stato di perdurante squilibrio economico tra obbligazioni assunte e patrimonio disponibile per farvi fronte, che rende il debitore incapace di adempiere alle obbligazioni, o un’incapacità futura prevista di adempiere regolarmente. In pratica, il debitore deve essere in difficoltà economica grave (crisi) o già in default su taluni debiti (insolvenza conclamata). La procedura è utilizzabile sia per prevenire uno sfacelo imminente sia per gestire una situazione di insolvenza già manifesta.
Oltre ai requisiti soggettivi e allo stato di sovraindebitamento, la legge pone alcuni ulteriori limiti di ammissibilità per evitare abusi:
- Limiti dimensionali: un imprenditore commerciale può accedere al concordato minore solo se rientra nei parametri del “piccolo imprenditore” di cui all’art. 2, c.1, lett. d) CCII. Tali soglie (invarianti dal vecchio art. 1 L.Fall.) sono: attivo patrimoniale annuo ≤ €300.000, ricavi lordi annui ≤ €200.000 (nei tre esercizi precedenti) e debiti totali ≤ €500.000. Chi supera anche solo uno di questi parametri non è ammesso al concordato minore (la domanda sarebbe dichiarata inammissibile), dovendo semmai ricorrere agli strumenti maggiori (p.es. concordato preventivo). Questo criterio impedisce che imprese di dimensione non trascurabile aggirino le procedure ordinarie utilizzando quella “minore”. In caso di dubbio sulle soglie, sarà l’OCC e poi il giudice a valutare i bilanci e le scritture degli ultimi tre anni.
- Assenza di esdebitazioni recenti: il debitore non deve aver già beneficiato di un’esdebitazione nei 5 anni precedenti, né può aver ottenuto esdebitazione più di due volte nella vita. Questa regola mira a evitare che un soggetto utilizzi ripetutamente le procedure concorsuali per cancellare debiti in serie; in pratica, l’“esdebitazione” non può diventare un evento abituale, salvo la possibilità di una seconda chance eccezionale (massimo due volte nella vita, e non ravvicinate). Se il soggetto ha già usato in tempi recenti la procedura (concordato minore, piano del consumatore o liquidazione da sovraindebitamento con esdebitazione finale) non potrà accedervi di nuovo subito.
- Assenza di atti in frode ai creditori: se risultano commessi atti diretti a frodare i creditori, la domanda di concordato minore è inammissibile. Ciò include, ad esempio, aver sottratto o simulato attivo, aver creato passività fittizie, o altri atti di frode nell’imminenza della procedura. Il debitore deve presentarsi “a mani pulite” e in buona fede; in caso contrario, non potrà usufruire della protezione concorsuale.
- Imprenditore cessato: un caso particolare riguarda l’imprenditore individuale che abbia cessato l’attività e si sia cancellato dal Registro Imprese. La giurisprudenza (anche recente di Cassazione) ha chiarito che tale soggetto non può accedere al concordato minore in funzione liquidatoria postuma. Ciò perché il concordato (minore come quello preventivo) è concepito per risanare imprese in attività o comunque regolare crisi con una prospettiva di continuazione; se l’impresa è stata volontariamente cessata e cancellata, si ritiene che il debitore abbia optato per la chiusura e dunque l’istituto concordatario non sia coerente (“non c’è più alcuna attività da risanare”). In questi casi la legge e la Cassazione indicano come unica via la liquidazione controllata (ex liquidazione del patrimonio) per poi accedere all’esdebitazione ex art. 282 CCII. Su questo punto il correttivo ter 2024 ha confermato l’orientamento, chiarendo che l’ex imprenditore cessato rimane escluso dal concordato minore e potrà tuttavia ottenere la liberazione dai debiti attraverso la liquidazione (che nel nuovo Codice dà diritto all’esdebitazione dopo soli 3 anni dall’apertura). Va notato che questa esclusione non riguarda invece il socio illimitatamente responsabile di una società cessata: ad esempio, un ex socio di SNC fallita (o liquidata) che sia rimasto con debiti sociali a carico potrebbe essere ammesso al concordato minore in quanto debitore “non consumatore” (lo ha affermato Trib. Bergamo 28/12/2023). In ogni caso, chi ha chiuso l’attività imprenditoriale deve valutare attentamente con il professionista se sussista ancora titolo per il concordato minore oppure se la strada percorribile sia solo la liquidazione controllata.
- Procedura familiare: il Codice prevede la possibilità di presentare un unico piano e procedimento di concordato minore per membri della stessa famiglia (conviventi o legati da comune origine del sovraindebitamento). La procedura familiare (art. 66 CCII) consente quindi, ad esempio, a marito e moglie entrambi sovraindebitati – poniamo uno imprenditore e l’altra consumatrice fideiussora – di proporre insieme un concordato minore unitario. In tale ipotesi, uno solo dei due deve essere soggetto non consumatore (per incardinare la procedura come concordato minore e non come piano del consumatore) e nel piano andranno specificate le posizioni di ciascuno. La legge consente di attrarre nella stessa procedura anche i debiti del coniuge consumatore, al fine di avere un’unica soluzione integrata, ma restano distinte le maggioranze di voto per le varie posizioni. Se, ad esempio, il piano familiare coinvolge un imprenditore (che richiede il voto dei suoi creditori) e il coniuge consumatore (la cui parte di piano non richiede voto), occorrerà valutare separatamente la maggioranza per la parte soggetta a voto e l’eventuale prevalenza o meno dei creditori familiari dissenzienti. La normativa su questo aspetto è complessa e oggetto di alcune integrazioni col correttivo 2024. In sintesi, la procedura familiare è ammissibile quando i debiti hanno un’origine comune o sono comunque legati da necessità familiari congiunte (es. mutuo cointestato, uno è garante dell’altro, debiti contratti per bisogni della famiglia, etc.), e consente un trattamento unificato per massimizzare le sinergie (riduzione costi, un solo OCC, piano coordinato). Tuttavia, ciascun debitore conserva la propria posizione ai fini delle percentuali di voto e dell’esdebitazione. Ad esempio, se uno dei due coniugi non ottiene la maggioranza richiesta, il concordato minore non potrà essere omologato per quella parte, pur potendo forse omologarsi la parte dell’altro (o convertirsi quella fallita in liquidazione controllata solo per il debitore inadempiente). La giurisprudenza sta affrontando questi temi: ad es. Trib. Nola 12/6/2024 ha negato l’omologa di un concordato minore familiare proposto da due coniugi quando uno dei due (consumatore) non aveva di fatto ottenuto la “maggioranza per teste” richiesta per la propria posizione, rilevando il limite rappresentato dal principio della separazione dei patrimoni (art. 2740 c.c.) e dalla mancanza di responsabilità patrimoniale incrociata. In pratica, se parte dei debiti familiari non ottiene consenso, la procedura unitaria può arenarsi per quel debitore. Si tratta di aspetti tecnici, ma è importante sapere che l’accesso familiare è possibile e può portare vantaggi organizzativi, sebbene presenti insidie sul piano del voto e delle garanzie patrimoniali.
Riassumendo, i destinatari del concordato minore sono: piccoli imprenditori commerciali, imprenditori agricoli, professionisti e lavoratori autonomi, start-up innovative e in generale enti e persone non fallibili, non consumatori, in stato di sovraindebitamento o insolvenza. Devono essere rispettati i limiti dimensionali di legge e requisiti di meritevolezza (assenza di frodi, di abusi, etc.). Per i consumatori esiste un percorso differente (piano di ristrutturazione ex art. 67 CCII), mentre per gli imprenditori “maggiori” occorre ricorrere al concordato preventivo o agli accordi di ristrutturazione dei debiti ordinari. Importante: tutti i debiti personali del soggetto possono essere ricompresi nel concordato minore, anche quelli di natura fiscale e previdenziale o derivanti da garanzie prestate, come vedremo nel dettaglio più avanti (diversamente dal passato, non ci sono più crediti “impagabili” in queste procedure, nemmeno l’IVA, ferma restando la necessità del voto favorevole o di un giudizio di convenienza).
Contenuto del piano di concordato minore e trattamento dei creditori
Caratteristiche generali del piano: falcidie, forme di soddisfacimento e classi
Il piano o proposta di concordato minore è essenzialmente libero nel contenuto (art. 74, comma 3 CCII). Ciò significa che il debitore, con l’ausilio dell’Organismo di Composizione della Crisi (OCC) nominato, può strutturare la proposta verso i creditori nella maniera più adatta al caso concreto, senza vincoli rigidi quanto a modalità di soddisfacimento: l’importante è indicare chiaramente i tempi e le modalità attraverso cui intende superare la situazione di sovraindebitamento e soddisfare i creditori. Il piano può prevedere qualsiasi forma di adempimento: pagamento integrale o parziale dei crediti (falcidia di una percentuale del debito), dilazioni di pagamento rateali anche di lungo termine, offerte in datio in solutum (es. trasferimento di beni ai creditori in luogo del denaro), intervento di risorse esterne o terzi garanti, operazioni straordinarie come cessioni di asset o affitto d’azienda, ecc. L’unico limite è il rispetto delle norme inderogabili (ad es. rispetto dell’ordine delle cause di prelazione salvo consenso, divieto di alterare la par condicio oltre quanto consentito, ecc.) e la fattibilità economico-giuridica del piano, che verrà valutata dall’OCC e dal tribunale.
Nel concordato minore – al pari del concordato preventivo – è consentito proporre il soddisfacimento parziale dei crediti di qualsiasi natura (chirografari, privilegiati e anche assistiti da ipoteca o pegno), purché siano rispettate alcune condizioni di tutela dei creditori. In particolare:
- Per i crediti chirografari (non privilegiati) non vi è un livello minimo legale di soddisfo: si possono proporre percentuali anche basse (es. 10-20%), se la situazione lo impone, fermo restando che devono risultare comunque più convenienti per i creditori rispetto all’alternativa liquidatoria (ovvero, quel 10-20% deve essere almeno uguale o superiore a quanto ricaverebbero liquidando i beni del debitore). La convenienza del piano rispetto alla liquidazione è un punto fondamentale che l’OCC deve attestare nella relazione ex art. 76 CCII.
- Per i crediti privilegiati (cioè garantiti da cause di prelazione come privilegio, pegno, ipoteca) il piano può prevedere un pagamento non integrale solo a condizione che ai titolari di tali crediti venga assicurato il pagamento in misura non inferiore a quella realizzabile sul bene o sui beni oggetto della prelazione (art. 74, comma 2 CCII). In altre parole, si può falcidiare il credito privilegiato fino alla capienza del bene su cui insiste la garanzia: la parte di credito che eccede il presumibile valore ricavabile dal bene è considerata chirografaria e può essere soddisfatta parzialmente come gli altri chirografari. Questa regola ricalca il principio già noto del concordato preventivo: i creditori ipotecari o pignoratizi devono ricevere almeno l’equivalente del valore di realizzo del bene su cui vantano garanzia, pena la violazione della causa di prelazione. Ad esempio, se c’è un mutuo ipotecario da €100.000 su un immobile che in caso di vendita forzata frutterebbe €70.000, il piano potrà pagare al creditore ipotecario €70.000 (anche dilazionati) falcidiando i restanti €30.000 che diventeranno credito chirografario (aggregato agli altri crediti unsecured). Analogamente, un creditore privilegiato (es. Erario per IVA, o dipendente per TFR) con privilegio generale sui mobili potrebbe essere soddisfatto parzialmente se i beni mobili disponibili non coprono l’intero suo credito. La legge consente questa falcidia ma impone l’attestazione rigorosa del valore dei beni su cui insiste la prelazione e della quota eccedente, per evitare pregiudizi ingiustificati ai creditori garantiti.
- Per i crediti assistiti da pegno o ipoteca su beni del debitore, in aggiunta a quanto detto sopra, occorre considerare anche l’eventuale tempo di realizzo e gli interessi: normalmente tali creditori, se non soddisfatti integralmente al momento dell’omologazione, continuerebbero a maturare interessi (entro i limiti di valore del bene). Nel concordato minore però, dal momento del deposito della domanda il corso degli interessi si sospende (limitatamente agli effetti concorsuali) per tutti i crediti, salvo che siano garantiti da pegno o ipoteca e nei limiti dei rispettivi interessi privilegiati ex artt. 2749, 2788 e 2855 c.c.. Ciò significa che durante la procedura non maturano nuovi interessi per i creditori chirografari (o per la parte chirografaria dei privilegiati), mentre i creditori con ipoteca/pegno possono continuare a calcolare interessi solo fino a capienza del bene. In fase di piano, dunque, il trattamento dei creditori garantiti deve tenere conto di questa sospensione: se il piano dilaziona il pagamento a un ipotecario, andranno eventualmente corrisposti gli interessi nei limiti di legge per compensarlo dell’attesa, a meno che la garanzia non sia già incapiente ab origine.
Oltre alle falcidie e dilazioni, il piano può liberamente articolare diverse modalità di soddisfacimento, ad esempio: conversione dei crediti in quote/azioni (meno frequente nei piccoli debitori), costituzione di patrimoni destinati o trust a garanzia dei creditori, previsione di finanziamenti interinali o finanza esterna (terzi che apportano liquidità per pagare i creditori), cessione di specifici beni con distribuzione del ricavato, ecc. È possibile proporre anche forme di soddisfacimento non monetarie, con il consenso del creditore (es.: trasferimento di un immobile a saldo del credito di una banca). Non ci sono limiti prefissati di durata del piano: la legge non impone una durata massima (a differenza, ad esempio, di taluni piani del consumatore in altri ordinamenti). Tuttavia, piani eccessivamente lunghi potrebbero essere considerati non fattibili o sconvenienti – tipicamente un concordato minore ha una durata di esecuzione che varia da pochi mesi (se vi è liquidazione immediata di beni o intervento di finanza esterna) fino a alcuni anni (5 anni, talvolta 7-8 anni in casi particolari con rateizzazioni importanti). Sta al debitore trovare il giusto equilibrio tra durata e soddisfazione: un pagamento dilazionato nel lungo termine riduce il sacrificio nell’immediato ma potrebbe scontare il problema del valore temporale (i creditori preferiscono prendere prima, e l’OCC valuta la convenienza attualizzando gli importi futuri). Ad esempio, offrire il 50% in 2 anni può essere più conveniente che offrire il 70% in 10 anni, a causa dell’incertezza e del costo del tempo.
Il concordato minore può anche prevedere la suddivisione dei creditori in classi (opzionale in generale, obbligatoria in alcuni casi specifici). La suddivisione in classi serve a differenziare il trattamento di creditori con posizione giuridica ed economica omogenea. È facoltà del debitore creare classi di creditori chirografari (o anche far classi separate di privilegiati se intende trattarli diversamente entro il limite della loro capienza). Ad esempio, potrebbe essere opportuno distinguere: una classe di banche finanziatrici chirografarie, una classe di fornitori commerciali, una classe di credito dei soci o parti correlate (postergato o comunque trattato diversamente), ecc. La formazione delle classi deve rispettare criteri di omogeneità e non può essere arbitraria (non si possono mettere creditori di rango diverso nella stessa classe se si prevede trattamento diseguale, pena violazione della par condicio).
In particolare, la legge prevede che siano obbligatoriamente inseriti in classi separate i crediti fiscali e previdenziali se il piano non ne prevede l’integrale pagamento. L’art. 85, comma 5 CCII infatti stabilisce – richiamato per il concordato minore – che i creditori tributari e degli enti previdenziali (Erario, INPS, etc.) devono essere collocati in classi proprie se viene proposta una falcidia o dilazione non legale ai loro crediti. Questo per consentire a tali enti, portatori di interessi pubblici, di esprimere un voto specifico separato dagli altri creditori. Non sarebbe corretto, ad esempio, far votare insieme l’Agenzia delle Entrate e gli altri fornitori chirografari se all’Erario viene offerto il 40% e magari agli altri il 20%: vanno separati in due classi per poter modulare consenso e cram down (su questo si tornerà tra poco). Dunque, ogniqualvolta il piano tocca debiti fiscali o contributivi senza pagarli al 100% come per legge, è necessario prevedere almeno due classi: una (o più) per tali crediti pubblici, e una (o più) per gli altri crediti chirografari. Anche crediti privilegiati di altro tipo possono essere in classi separate se subiscono trattamenti differenti (es. classe dei dipendenti per il trattamento di TFR e salari). La presenza di classi incide sul meccanismo di approvazione del piano: come vedremo, servirà il voto favorevole della maggioranza dei crediti in ogni classe o almeno della maggior parte delle classi per poter omologare il concordato.
Ricapitolando le caratteristiche chiave del piano di concordato minore:
- Contenuto libero: il debitore propone come soddisfare i creditori (parzialmente, con che tempi e mezzi) e come risolvere la crisi, senza format prestabiliti.
- Falcidia dei debiti: ammessa per tutti i tipi di crediti (anche IVA e altre imposte, vedi dopo), nel rispetto della convenienza rispetto alla liquidazione.
- Trattamento cause di prelazione: i creditori privilegiati possono essere non pagati integralmente solo se ricevono almeno il valore di realizzo del bene su cui hanno privilegio/ipoteca; l’eventuale parte non coperta diventa chirografaria.
- Interessi: dalla presentazione della domanda, gli interessi legali e convenzionali sono sospesi per i crediti concorsuali, eccetto quelli assistiti da garanzia reale (entro i limiti di capienza).
- Classi di creditori: facoltative in generale, obbligatorie per crediti fiscali o previdenziali falcidiati o dilazionati. Le classi devono aggregare posizioni omogenee e possono ricevere trattamenti diversi tra loro (purché giustificati).
- Nessuna percentuale minima di legge: diversamente dal vecchio concordato preventivo (dove un concordato liquidatorio doveva offrire almeno il 20% ai chirografari, regola abolita), nel concordato minore non esistono soglie legali di soddisfo se non quelle implicite della convenienza e del rispetto delle prelazioni. Ad esempio, si potrebbe proporre il pagamento del 5% ai chirografari se questo è il massimo ricavabile e se comunque nella liquidazione non otterrebbero nulla – in tal caso, pur essendo bassa la percentuale, il piano potrebbe essere considerato conveniente e omologabile. Non sono richiesti “capitali minimi” di soddisfazione per l’Erario o gli enti previdenziali ai fini del cram down: ciò che conta è solo la comparazione con l’alternativa liquidatoria. Questo è un punto importante: nel concordato preventivo, fino a qualche anno fa, era richiesto il 30% minimo sui chirografari in assenza di transazione fiscale, regola ora superata. Nel concordato minore attuale si può anche azzerare di fatto il debito fiscale (se in liquidazione risulterebbe incapiente) e chiedere al giudice di omologare comunque senza il voto Erario, purché quell’azzeramento sia l’esito inevitabile dell’alternativa liquidatoria e la proposta non sia abusiva (come spiegato meglio oltre parlando di cram down).
In sintesi, il piano di concordato minore è molto flessibile e adattabile alle esigenze del caso concreto, ferma restando la trasparenza e la tutela dei creditori nelle forme previste (voto, controllo giudiziale di convenienza e correttezza). Un professionista esperto (Gestore della crisi nominato dall’OCC) di norma assisterà il debitore nella redazione di un piano sostenibile, attestandone la fattibilità e l’idoneità a garantire ai creditori una soddisfazione ragionevole.
Nei sottoparagrafi seguenti analizzeremo in dettaglio il trattamento delle varie categorie di debiti e creditori all’interno di un concordato minore, data l’importanza pratica di capire come vengono gestiti debiti bancari, fiscali, verso fornitori, contributivi, ecc. e quali regole particolari si applicano a ciascuno.
Debiti fiscali (Erario) e contributivi (previdenza)
Debiti tributari e verso enti previdenziali (ad esempio debiti con l’Agenzia delle Entrate per imposte, IVA, ritenute; debiti con l’INPS per contributi obbligatori) meritano un capitolo a sé sia per la loro frequenza nei sovraindebitamenti, sia per le norme specifiche che li riguardano. In passato, sotto la Legge 3/2012, vigeva un divieto di falcidia di IVA e ritenute fiscali – il debitore non fallibile doveva prevederne il pagamento integrale – ma tale divieto è stato dichiarato incostituzionale (Corte Cost. 245/2019) e anticipato dalla riforma del CCII. Oggi, anche l’IVA e le ritenute non versate possono essere trattate come qualsiasi altro debito nel concordato minore. Dunque il piano può prevedere il pagamento parziale o dilazionato delle imposte e dei contributi, con due avvertenze fondamentali:
- Tali crediti per legge devono avere una classe separata se non vengono pagati per intero, come già detto. Quindi si formerà ad esempio la “classe Erario” e la “classe INPS” (eventualmente unificate se il trattamento è simile, ma spesso separate) che voteranno indipendentemente dal resto.
- Il tribunale può omologare il concordato minore anche in mancanza di adesione (voto favorevole) dell’Erario o degli enti previdenziali, purché ricorrano le condizioni previste dall’art. 80, co. 3 CCII. Questa disposizione – di fatto un cram down fiscale – recita: “Il giudice omologa altresì il concordato minore anche in mancanza di adesione da parte dell’amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie quando l’adesione è decisiva ai fini del raggiungimento delle percentuali di cui all’art. 79, comma 1, e […] la proposta di soddisfacimento di tali enti è conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria”. In parole semplici, se il voto del Fisco o dell’INPS risulta determinante per avere la maggioranza e tali enti votano contro, il giudice può comunque omologare forzatamente il concordato minore se ritiene – sulla base della relazione dell’OCC – che la proposta fatta loro sia più vantaggiosa di quanto otterrebbero in liquidazione controllata. Non è necessario alcun quorum minimo di pagamento (la legge non chiede, ad esempio, che si paghi almeno il 30% o simili, come in passato), ma solo che vi sia una convenienza oggettiva della proposta per il Fisco/INPS rispetto alla liquidazione. Ad esempio, se il piano offre all’Erario il 10% di un debito IVA e in liquidazione risulterebbe che l’Erario non recupererebbe nulla (0%), allora quel 10% è conveniente; se offre dilazionato in 5 anni l’intero importo, anche senza interessi, ed evitare la lungaggine di una liquidazione dove forse incasserebbe meno, può essere considerato conveniente, e così via.
Questa facoltà di cram down è temperata dal dovere del giudice di valutare attentamente l’eventuale abuso dello strumento. La giurisprudenza ha chiarito che il giudice non è un mero passacarte: non sempre e comunque il voto negativo di Agenzia Entrate o INPS viene superato, ma solo quando risulti “obiettivamente ingiustificato” in rapporto alla convenienza della proposta. Se invece emergesse che il debitore sta usando il concordato minore con finalità abusive, ad esempio un professionista che ha accumulato enormi debiti fiscali e propone di eliminarne la gran parte senza un vero piano di rilancio dell’attività, il tribunale potrebbe negare l’omologazione ritenendo legittimo il diniego del Fisco. La Corte d’Appello di Venezia (decreto 10 ottobre 2024) ha chiarito che il cram down fiscale non è automatico, ma va applicato solo quando il rifiuto dell’Erario risulti irragionevole, e ha negato l’omologa in un caso in cui il concordato minore appariva “piegato” unicamente all’eliminazione del debito tributario rilevante, senza reali prospettive di prosecuzione dell’attività. In sintesi: il Fisco e gli enti previdenziali sono sì soggetti alle regole concorsuali, ma conservano una certa tutela: il loro voto avrà un controllo particolare e il giudice potrà “forzarli” solo se ciò è giustificato dalla convenienza e dall’assenza di abuso.
Dal punto di vista pratico, come trattare i debiti fiscali e contributivi nel piano? Alcune linee guida:
- Separare in classi dedicate: come detto, mettere l’Agenzia delle Entrate in una classe e l’INPS in un’altra (a meno che gli importi siano modesti e si preferisca fonderli in un’unica classe “Erario+INPS” se il trattamento è lo stesso; ma spesso meglio separare perché potrebbero avere atteggiamenti diversi).
- Offrire il massimo possibile compatibile con la fattibilità del piano: pur non essendoci soglie legali, è consigliabile offrire al Fisco/INPS una percentuale dignitosa, specie se ci sono attivi liquidabili. Ad esempio, se il patrimonio può soddisfare il 20% dei chirografari in liquidazione, offrire almeno quel 20% all’Erario (se non di più destinando risorse esterne) migliora le chance di voto favorevole o comunque di convincere il giudice in sede di cram down. Riduzioni troppo spinte dei debiti fiscali (tipo offrire 5% quando magari liquidando qualche bene si pagherebbe il 50%) possono apparire abusive.
- Prevedere dilazioni ragionevoli: il Fisco potrebbe essere più incline a dire sì (o a non opporsi attivamente) se il piano prevede comunque il pagamento di una buona parte del suo credito, magari in forma dilazionata ma entro termini non eccessivamente lunghi. Attenzione che, a differenza delle transazioni fiscali ex art. 182-ter L.F. (ora art. 63 CCII per le imprese maggiori), qui l’Agenzia Entrate non ha un potere di veto assoluto: vota come gli altri creditori, ma se è in minoranza può essere trascinata. Tuttavia, il piano può volontariamente ricalcare una sorta di “transazione fiscale” prevedendo, ad esempio, il pagamento integrale dell’IVA e una falcidia solo su sanzioni e interessi, per aumentare le probabilità di omologa senza traumi. La normativa non obbliga a farlo, ma è una strategia negoziale.
- Indicazione chiara del trattamento di sanzioni e interessi: spesso conviene distinguere nel piano tra l’imposta in sé e le parti accessorie. Ad esempio: “il debito IVA di €50.000 sarà soddisfatto quanto a €30.000 (quota capitale) in 60 mesi, con stralcio totale di sanzioni e interessi”. Oppure: “il debito INPS di €20.000 (€15.000 contributi e €5.000 sanzioni) sarà pagato per €12.000 (80% dei contributi) in 4 anni, con stralcio di sanzioni”. Ciò chiarisce la proposta e in genere è visto meglio dall’ente, perché privilegia la parte “capitale”. Va detto che nulla vieta di falcidiare anche il capitale del tributo (dopo Corte Cost. 245/2019), ma nella prassi spesso si tende a offrire qualcosa di più sul capitale e a tagliare piuttosto sanzioni/interesti che vengono percepiti come minore sacrificio per l’ente creditore.
- Conseguenze su ruoli e garanzie statali: una volta omologato il piano, i debiti erariali e previdenziali vi inclusi vengono regolati secondo quanto previsto e lo Stato non potrà pretenderne oltre quanto stabilito. L’eventuale stralcio verrà registrato come perdita nei ruoli. Non c’è (più) rischio che l’agente della riscossione rifiuti la falcidia: se il piano è omologato, vincola l’Agente della Riscossione e gli enti come qualsiasi altro creditore concorrente. Sul fronte penale, attenzione: la falcidia di IVA in concordato non estingue automaticamente il reato di omesso versamento IVA (che scatta per somme > €250.000): quel reato è estinto solo se il debito IVA viene interamente soddisfatto prima del dibattimento penale. Quindi, un imprenditore che taglia l’IVA con il concordato eviterà sanzioni e interessi civilistici, ma se superava la soglia penale, potrebbe comunque essere perseguito penalmente (salvo eventuali interpretazioni evolutive sulla causa di non punibilità in caso di concordato omologato, tema delicato oltre l’ambito di questa guida). In ogni caso, l’omologa del concordato minore offre al debitore una protezione anche dal punto di vista esecutivo: l’Equitalia (o Agenzia Riscossione) non potrà più eseguire pignoramenti per la parte falcidiata e dovrà adeguarsi al calendario di pagamento omologato per la parte dovuta.
Debiti bancari e finanziari
Debiti verso banche, istituti finanziari o altri intermediari creditizi (prestiti, mutui, leasing, esposizioni su conto corrente, scoperti, ecc.) sono molto comuni tra i piccoli imprenditori e professionisti indebitati. Nel concordato minore, tali crediti vengono trattati in base alla loro natura giuridica:
- Se una banca vanta garanzie reali (es. un mutuo ipotecario su un immobile del debitore, o un pegno su macchinari/attrezzature, oppure titoli in pegno), allora la banca è un creditore privilegiato per la parte coperta dal valore della garanzia. Come spiegato, il piano dovrà riconoscere almeno il valore di realizzo del bene a garanzia. Spesso, la soluzione consiste nel prevedere che il bene oggetto di garanzia venga liquidato (venduto) e la banca venga soddisfatta con il ricavato fino a concorrenza del suo credito. Ad esempio, se c’è un immobile ipotecato: il piano può prevedere la vendita dell’immobile tramite procedura concordataria o anche con mandato dell’OCC, e che dalla vendita l’intero incasso, al netto di costi, venga riservato alla banca ipotecaria fino a soddisfarla integralmente o nei limiti del ricavato. Se il valore stimato è inferiore al credito (garanzia insufficiente), la differenza di credito residuo della banca diviene chirografaria e va collocata nella classe dei creditori chirografari (o in una classe separata ad hoc, se si vuole dare un trattamento diverso). Se invece il bene vale più del debito, la banca sarebbe teoricamente protetta per intero e il surplus andrà alla massa degli altri creditori (dopo pagamento della banca). Il piano può anche ipotizzare che il debitore continui a pagare le rate di un mutuo ipotecario senza vendere il bene: ciò è ora esplicitamente consentito per l’abitazione principale del debitore persona fisica (come introdotto dal D.Lgs. 136/2024), ma può essere applicato per analogia anche ad altri beni se il creditore è d’accordo (o se comunque la soddisfazione è garantita). Ad esempio, un artigiano con laboratorio ipotecato potrebbe proporre di non liquidare il laboratorio ma di mantenere il mutuo, continuando a pagare le rate e magari mettendosi in pari con eventuali arretrati (soluzione in continuità). Questo ovviamente necessita dell’accordo della banca o quantomeno del giudice, che valuterà se ciò lede o meno gli altri creditori (di regola, finché il valore del bene copre il credito, non vi è lesione).
- Se la banca è chirografaria (ad esempio, finanziamento senza garanzie reali, come fidi di conto scoperti, carte di credito aziendali, prestiti personali, oppure la parte residua di un mutuo ipotecario non coperta da garanzia), allora essa sarà trattata come un creditore chirografario normale. Di solito, le banche chirografarie costituiscono una delle classi principali in un concordato minore, perché spesso l’esposizione bancaria è consistente e ha natura diversa da quella dei fornitori commerciali. Si può quindi creare una “classe banche finanziatrici” per offrire loro, ad esempio, una certa percentuale e tempistica, distinta magari dai fornitori (che potrebbero avere un trattamento differente se lo scenario lo richiede). Nulla vieta però di mettere banche e altri chirografari tutti insieme se si prevede di trattarli in modo uniforme (stessa percentuale e stessi tempi). La banca chirografaria voterà per l’approvazione come qualsiasi altro creditore di pari grado.
- Nel caso di contratti di leasing o altri contratti di finanziamento collegati a beni specifici: bisogna distinguere se il leasing è risolto o in corso. Se prima del concordato minore il leasing è già stato risolto e il bene restituito, la società di leasing avrà un credito residuo chirografario (diminuito del valore di realizzo del bene ex art. 72-quater L.F., norma applicabile per analogia): andrà quindi in chirografo per quell’importo. Se invece il contratto di leasing è ancora in essere, il debitore può decidere se continuarlo (pagando i canoni correnti regolarmente nel piano) o scioglierlo. Il CCII dà la possibilità al debitore di chiedere l’autorizzazione a sciogliersi o sospendere contratti in corso nell’ambito del concordato (analogamente al concordato preventivo). Quindi, ad esempio, l’imprenditore potrebbe valutare di sciogliere il contratto di leasing di un macchinario se i canoni sono troppo onerosi, restituendo il bene al lessor: in tal caso il lessor avrà un credito per le penali da risoluzione e i canoni mancanti (diminuito del valore del bene restituito), che sarà trattato come chirografario. Al contrario, se il bene in leasing è essenziale e il canone sostenibile, potrebbe mantenerlo fuori dal concorso, pagando i canoni alla scadenza con autorizzazione del giudice (in analogia a quanto si fa col mutuo casa). È opportuno in sede di piano dettagliare la scelta sui leasing e finanziamenti in corso, per chiarire se il creditore finanziario rimane dentro al piano per un credito attualizzato o se viene soddisfatto extra concordato proseguendo il rapporto.
In generale, le banche e gli intermediari finanziari in un concordato minore vengono trattati con logiche simili a quelle di un concordato preventivo ma con alcune semplificazioni procedurali. Ad esempio, non c’è la necessità formale di accordi di ristrutturazione ex art. 182-bis (che è strumento delle imprese maggiori); tuttavia, il debitore può sempre negoziare informalmente con la banca durante la preparazione del piano per ottenere magari condizioni migliorative (ad es. l’assenso a una certa percentuale immediata in cambio di rinuncia al resto, oppure la disponibilità a estendere il piano di rimborso del mutuo, ecc.). Se la banca concorda una soluzione, esprimerà poi voto favorevole sul piano. Va sottolineato che alcune banche preferiscono percorrere la via della transazione stragiudiziale (piani attestati di risanamento o accordi di ristrutturazione) se il debitore è solvibile in parte, ma per i piccoli imprenditori spesso la cornice del concordato minore è più adatta perché coinvolge tutti i creditori e dà certezza di esdebitazione totale finale.
Garanzie personali e fideiussioni: è frequente che i debiti verso banche siano garantiti anche da fideiussioni di terzi (es. un familiare) o da coobbligati. È importante sapere che il concordato minore, salvo patto contrario, non libera i coobbligati e garanti (art. 80, co. 4 CCII applicabile). Ciò significa che, se l’imprenditore ottiene la falcidia del 50% su un debito verso banca garantito personalmente da un genitore, la banca potrà comunque escutere il garante per l’intero (o per la parte non pagata dal concordato) – a meno che il piano non preveda diversamente disponendo eventualmente che il creditore rinunci a far valere la garanzia (ipotesi rara, che avverrebbe solo se il garante partecipa anch’egli alla procedura ad esempio in una procedura familiare, oppure se c’è un accordo col creditore). Dunque i garanti rimangono esposti. Inoltre, il garante che paga il debito al posto del debitore principale acquisisce un diritto di regresso verso il debitore; tuttavia, tale diritto di regresso maturerà dopo l’omologazione e per importi che originariamente erano stati falcidiati nel concordato, ponendo un potenziale problema: il debitore è stato esdebitato verso il creditore originario, ma potrebbe trovarsi un nuovo debito verso il fideiussore che ha pagato. Su questo aspetto, dottrina e giurisprudenza tendono a escludere che il garante possa agire in regresso per la quota di debito che era stata oggetto di esdebitazione, poiché ciò vanificherebbe gli effetti della procedura (analogamente a quanto avviene per la liberazione del debitore fallito, i coobbligati non possono surrogarsi oltre la misura in cui il debitore è stato liberato). È materia tecnica, ma merita considerazione: il concordato minore non pregiudica i diritti dei creditori verso i fideiussori (quindi il creditore può farsi pagare dal garante), ma dovrebbe invece precludere un’azione di regresso per la parte di debito condonata al debitore principale, sebbene su questo punto si registrino opinioni non unanimi. In sede di omologa, il tribunale potrebbe specificare che l’esdebitazione si estende anche all’eventuale credito di regresso dei garanti, per coerenza sistematica.
In ogni caso, il debitore deve essere consapevole che il concordato minore risolve la sua posizione debitoria, ma non quella di eventuali terzi garanti: questi ultimi, se non coinvolti nella procedura (come co-debitori in procedura familiare), resteranno obbligati per intero e magari saranno chiamati a pagare. Per questo, spesso conviene coinvolgere anche il garante nella strategia di ristrutturazione: ad esempio, un genitore garante potrebbe anch’egli accedere a una procedura di sovraindebitamento (se ha i requisiti da consumatore o altro) oppure trovare un accordo con il debitore per contribuire al piano (finanza esterna) in cambio della liberazione della garanzia.
Sintesi per i debiti bancari/finanziari:
- Se garantiti da ipoteca/pegno: soddisfatti nei limiti del valore del bene (tipicamente con liquidazione del bene o continuazione del mutuo ipotecario autorizzata).
- Se leasing: decidere se sciogliere o proseguire; in caso di scioglimento, la società di leasing avrà credito chirografario (detratto valore bene).
- Se chirografari: falcidiabili come gli altri, eventualmente in classe dedicata.
- Voto: le banche votano pro/contro sul piano; se una banca è in classe separata, basta la maggioranza del suo credito in quella classe per approvare la classe.
- Garanti: non liberati di default, attenzione al regresso.
- Trattativa: possibilmente anticipare il dialogo con banche per evitare opposizioni; l’omologa del piano necessita che eventuali contestazioni sulla convenienza siano superate dall’attestazione OCC (es. la banca potrebbe dire che vendendo l’immobile per conto proprio otterrebbe di più: serve un’attestazione che il valore considerato nel piano è corretto).
Debiti verso fornitori e altri crediti commerciali
Debiti commerciali verso fornitori, fornitori di servizi, affitti non pagati, bollette, ecc. rientrano anch’essi tra i crediti chirografari (salvo eccezioni come il privilegio per il venditore che ha riservato la proprietà ex art. 1523 c.c., caso raro e comunque con modesta incidenza). In un concordato minore, i fornitori sono tipicamente tra i creditori chirografari principali e pertanto subiranno la falcidia proposta dal piano in misura spesso significativa.
Il trattamento dei fornitori può tuttavia essere differenziato a seconda del ruolo che hanno per l’attività futura del debitore. Se il piano prevede la continuazione dell’attività, può essere strategico non penalizzare troppo i fornitori essenziali, ossia coloro da cui il piccolo imprenditore dovrà continuare ad approvvigionarsi. Ad esempio, un artigiano che intende proseguire l’attività avrà bisogno che i suoi fornitori di materie prime continuino a lavorare con lui: se li falcidia eccessivamente (es. pagando loro il 20%) rischia di perderne la fiducia. In questi casi, è possibile:
- o pagare integralmente “fuori piano” alcuni fornitori strategici, accollandosi la spesa come nuovo finanziamento post-concordato (ma ciò potrebbe essere visto male dagli altri creditori se scoperto, perché viola la par condicio – andrebbe fatto solo se gli importi sono modesti e non inficiano il piano);
- oppure, meglio, classare separatamente i fornitori critici e offrire loro una percentuale maggiore. Ad esempio creare una classe “Fornitori strategici” con pagamento del 60%, e un’altra classe di fornitori generici con 20%. Ciò richiederà il voto separato delle due classi, e attenzione al fatto che i creditori in classe inferiore non contestino la disparità di trattamento. La legge consente trattamenti differenziati purché giustificati da una diversa posizione giuridica o da ragionevole motivo economico (ad es. la necessità di mantenere quel rapporto di fornitura può costituire un motivo valido). Il tribunale in sede di omologa verifica che non vi sia ingiustificata discriminazione tra creditori dello stesso rango. Nel caso citato, la giustificazione potrebbe essere: “i fornitori di classe A sono essenziali per il prosieguo dell’attività e il loro consenso alla proposta è fondamentale per garantire la fornitura continuativa – per questo ottengono un trattamento migliore rispetto agli altri fornitori, pur sempre più conveniente per tutti rispetto alla liquidazione”.
Se l’attività non prosegue (concordato liquidatorio), allora i fornitori sono semplicemente creditori chirografari come gli altri e di norma staranno in un’unica classe chirografi, ricevendo la medesima percentuale (salvo distinguere eventualmente crediti particolari come quelli dei professionisti che hanno assistito l’impresa, i quali per prassi vengono spesso postergati o falcidiati completamente, oppure rimborsati solo se di modesta entità, in ossequio al principio che i crediti verso professionisti che erano a conoscenza dello stato di crisi potrebbero essere considerati “meno meritevoli”: questa però è una sottigliezza applicabile in casi di procedure concorsuali di rilievo; nei piccoli concordati in genere i professionisti – ad es. il commercialista – vengono trattati come ogni altro chirografario).
Un tipo di credito commerciale da considerare a parte è quello di fornitori che beneficiano di privilegi speciali: es. il venditore con patto di riservato dominio. Se l’imprenditore ha acquistato un macchinario con riserva di proprietà (quindi il fornitore rimane proprietario finché l’ultima rata non è pagata), ecco che in caso di concordato il fornitore ha diritto a riavere il macchinario se il debitore non intende pagare integralmente il prezzo. Il CCII dovrebbe applicare l’art. 72 L.F. per i contratti in corso: il pactum reservati domini è assimilato a una vendita con patto di riservato dominio in cui, se il compratore non paga, il venditore può riprendersi il bene (quindi un diritto di prelazione sostanziale sul bene). Dunque, un fornitore con bene non ancora pagato potrebbe chiedere la restituzione del bene in concordato se non lo si paga integralmente. È opportuno considerare anche questi casi: se il bene è essenziale, conviene includere nel piano il pagamento integrale di quel fornitore (magari su tempi concordati). Se non è essenziale, si può riconsegnare il bene (il fornitore riprende il possesso e avrà un eventuale residuo credito chirografo se il valore del bene è minore del debito). Ai fini pratici, tali situazioni non sono molto comuni nelle micro-imprese, ma possono capitare (es. riservato dominio su autoveicoli, attrezzature a rate, ecc.).
In conclusione per i fornitori commerciali:
- Saranno di regola falcidiati come creditori chirografari.
- Possibile classarli e differenziarli se vi sono motivi strategici (fornitori essenziali).
- Nessun trattamento di favore a meno di giustificato motivo, altrimenti tutti alla pari.
- Effetti sui rapporti post-concordato: dopo l’omologazione, i fornitori – se il piano è in continuità – potrebbero esigere il pagamento per contanti delle nuove forniture (sarà difficile ottenere ancora fido). L’imprenditore in concordato deve mettere in conto di dover pagare i nuovi acquisti in anticipo o alla consegna, almeno finché non ricostruisce la fiducia.
- Se qualche fornitore ha già ottenuto un decreto ingiuntivo o una garanzia tipo assicurazione crediti, anch’egli è comunque dentro il concorso. Ad esempio se un fornitore ha un decreto ingiuntivo con ipoteca giudiziale iscritta prima del concordato, allora diventa creditore privilegiato per via dell’ipoteca giudiziale sui beni: andrà trattato come tale (di solito quell’ipoteca giudiziale è di 4° grado e non ha sostanza, ma formalmente va considerata).
- I piccoli fornitori (micro-creditori): se vi sono creditori con crediti di piccola entità, nulla vieta al debitore di proporne il pagamento integrale per ragioni di opportunità (spesso in piani di sovraindebitamento si vede il debitore che propone: “i crediti sotto €500 saranno pagati integralmente” per evitare di trascinare in concorso troppi micro-creditori). Questo ovviamente incide sulla par condicio, ma con importi minimi i giudici a volte lo consentono considerando de minimis. Formalmente, tuttavia, se un creditore riceve 100% e altri 20% ciò va spiegato e giustificato, e possibilmente quel creditore “a zero falcidia” dovrebbe stare in una classe a sé (anche se a volte si sorvola su questa formalità quando si tratta di pochi creditori dal credito irrisorio – c’è chi li paga fuori piano direttamente prima di avviare la procedura, ma legalmente sarebbe un atto preferenziale se fatto sotto data).
Debiti verso dipendenti e previdenziali (INPS)
I debiti verso i dipendenti – per stipendi arretrati, TFR (trattamento di fine rapporto), contributi previdenziali e premi assicurativi (INAIL) – rappresentano una categoria di particolare sensibilità. La legge tutela fortemente i lavoratori, attribuendo ai loro crediti privilegi speciali e generali: le retribuzioni degli ultimi 12 mesi e il TFR godono di privilegio generale sui mobili del datore di lavoro (ex art. 2751-bis n.1 c.c.), nonché di un eventuale privilegio speciale sull’azienda in caso di TFR conferito al Fondo di Tesoreria. I contributi INPS e i premi INAIL godono di privilegio generale ai sensi dell’art. 2753 c.c. Inoltre, se l’impresa fosse soggetta a fallimento, i dipendenti potrebbero accedere al Fondo di Garanzia INPS per ottenere subito TFR e ultime tre mensilità.
Nelle procedure di sovraindebitamento (concordato minore e affini), storicamente c’era un vuoto di tutela: la Legge 3/2012 non permetteva ai dipendenti di accedere al Fondo di Garanzia in assenza di “fallimento”. Col CCII, la liquidazione controllata è equiparata alla liquidazione giudiziale, quindi in caso di liquidazione controllata i lavoratori oggi accedono al Fondo di Garanzia (la legge n. 176/2020 ha esteso il Fondo anche alle procedure da sovraindebitamento omologate). Ma nel concordato minore in continuità non c’è liquidazione, quindi i dipendenti non attiverebbero il Fondo: per questo, nei piani in continuità normalmente si tende a pagare integralmente i debiti verso dipendenti, o comunque in misura molto alta e in tempi brevi. È anche una questione di equità e meritevolezza: un imprenditore che chieda ai suoi lavoratori di accettare un taglio del TFR o dei salari arretrati rischia di vedersi contestare la buona fede (salvo proprio non avere mezzi).
Pertanto, la prassi e le aspettative sono che i crediti di lavoro vengano soddisfatti integralmente nel concordato minore, magari subito dopo l’omologazione. Se proprio non è possibile integralmente, almeno in misura molto elevata (es. 90%) e con priorità temporale. Dal punto di vista giuridico, tuttavia, questi crediti sono privilegiati e quindi soggetti alle stesse regole generali: potrebbero teoricamente essere falcidiati, ma solo nei limiti in cui i beni su cui hanno privilegio non bastano a coprirli. Di solito i beni mobili di un piccolo imprenditore bastano a pagare gli stipendi arretrati? Se non bastassero, quelle retribuzioni eccedenti diverrebbero chirografarie. Ma come detto, sarebbe opportuno cercare altre risorse (anche terze) per non penalizzare i dipendenti.
Ad esempio, se un imprenditore ha €50.000 di TFR dovuti e €10.000 di stipendi arretrati: questi €60.000 sono privilegiati su mobili. Se i beni mobili aziendali stimati (macchinari, arredi) valgono solo €20.000, il piano potrebbe in teoria pagarli €20.000 (cioè ~33%) e falcidiare il resto. Tuttavia, è probabile che un tribunale guarderebbe con estremo sospetto un concordato che liquida i dipendenti al 33%. Più probabile consiglierebbe la conversione in liquidazione (dove interverrebbe il Fondo di Garanzia INPS a coprire i dipendenti). Quindi, nei fatti il debitore dovrebbe trovare il modo di colmare quel gap, ad es. destinando a dipendenti anche parte di risorse derivanti da finanza esterna o dismettendo qualche bene personale (auto, casa, ecc.) se necessario, pur di pagare il dovuto al personale.
Un caso particolare sono i collaboratori e professionisti senza subordinazione: questi (es. agenti di commercio, collaboratori occasionali) sono chirografari salvo piccoli privilegi (provvigioni ultimi 12 mesi privilegiate per metà del loro ammontare ex art. 2751-bis n.3 c.c.). Dipenderà dall’importo, ma in linea di massima, non essendo lavoratori subordinati, possono subire falcidie analoghe agli altri.
Infine, i debiti verso l’INPS per contributi dei dipendenti e gestione separata: questi, come detto, sono privilegiati e rientrano anche nella categoria di crediti pubblici (quindi classe separata e soggetti a cram down se necessario). L’INPS spesso si adegua a ciò che viene offerto, soprattutto se il piano paga in buona misura i contributi (magari tagliando sanzioni). Attenzione però: i contributi previdenziali omessi oltre certe soglie costituiscono reato (omesso versamento contributi > €10.000 annui). Anche qui, l’estinzione del reato avviene solo con pagamento integrale prima del dibattimento. Quindi se col concordato non si pagano tutti i contributi, il debitore potrebbe incorrere in sanzioni penali (a meno che non ottenga la sospensione condizionale o altre cause di non punibilità). È un aspetto che va valutato caso per caso con consulenza legale penalistica.
Riassumendo per questa categoria:
- Stipendi e TFR: tendenzialmente da pagare al 100% se possibile (o altissima %). Spesso i piani li inseriscono come debiti prededucibili da soddisfare subito. Il CCII consente per le imprese in concordato preventivo di pagare i dipendenti arretrati subito, anche prima dell’omologa, con autorizzazione. Nel concordato minore la norma specifica non c’è, ma analogamente il giudice può autorizzare (ex art. 10 CCII sulle spese di giustizia e prededuzioni) il pagamento dei dipendenti prima o contestualmente all’omologa.
- Contributi INPS e premi INAIL: privilegiati, trattarli come crediti fiscali (classe separata, offerta magari parziale delle sanzioni). Ad es. si può proporre: pagamento 100% contributi omessi in 24 mesi, stralcio 100% sanzioni civili (che l’INPS di norma già riduce di suo se c’è transazione).
- Fondo di garanzia: disponibile solo se si attiva la liquidazione controllata. Nel concordato minore in continuità, i dipendenti non possono chiederlo. Questo va spiegato ai lavoratori eventualmente, perché magari preferirebbero la liquidazione per avere l’INPS che paga il TFR subito. Però in liquidazione poi perderebbero il lavoro e prenderebbero poco sugli altri crediti. È un trade-off.
- Meritevolezza: dal punto di vista morale, pagare i dipendenti è quasi un obbligo implicito. Un giudice potrebbe considerare non fattibile o non conveniente un piano che li sacrifica, spingendo per alternative.
Altre tipologie di debito
Per completezza, menzioniamo altre categorie di debiti che talora compaiono nei sovraindebitamenti:
- Debiti personali non legati all’impresa: es. debiti per finanziamenti personali, carte di credito personali, debiti verso privati (prestiti da amici/parenti). Se il debitore è un imprenditore individuale, tutto il suo patrimonio personale risponde e quindi anche questi debiti rientrano nel concordato minore (non c’è separazione tra patrimonio impresa e personale). Tali creditori saranno chirografari (a meno abbiano pegni su beni personali, caso raro se amici, ma potrebbe essere se c’è un’ipoteca su casa a favore di un privato che ha prestato soldi). Quindi verranno falcidiati come gli altri. Se trattasi di parenti o amici che il debitore vuole privilegiare, attenzione: non si possono trattare meglio solo perché amici/parenti, anzi se sono parti correlate il tribunale guarda con sospetto eventuali corsie preferenziali (potrebbe configurare un motivo di annullamento o revoca se scoperto che li si ha pagati extra-piano). Quindi vanno inclusi e equiparati agli altri chirografari.
- Debiti per sanzioni amministrative (multe, ammende): queste sono debiti verso lo Stato o enti locali di natura amministrativa. In assenza di indicazioni contrarie, anch’esse partecipano al concordato come chirografarie (non hanno un privilegio generale, a parte eventuali sgravi specifici di legge su sanzioni civili). Ad esempio, multe stradali non pagate – restano crediti chirografari dell’ente pubblico. Il CCII non le esclude dall’esdebitazione. Pertanto, anche le sanzioni amministrative sono falcidiabili. Per scrupolo si può controllare se la giurisprudenza ha posto limiti: tendenzialmente, le multe si possono stralciare, diversamente da alcune legislazioni estere dove certe multe restano fuori. Nel concordato minore italiano, dopo omologa il debitore è esdebitato anche dalle multe falcidiate (la Corte Cost. non ha distinto, e la ratio è dar sollievo totale). Dunque un comune che abbia una multa in ruolo parteciperà come creditore.
- Debiti derivanti da responsabilità extracontrattuale (risarcimenti danni): se ad esempio il debitore ha cause civili in corso o sentenze per risarcimento danni, questi crediti rientrano (salvo quei crediti per danno da fatto illecito che abbiano privilegio ex art. 2767 c.c. su specifici beni – molto raro; il danno da fatto illecito di solito è chirografo, tranne il caso di decesso o lesioni da reato con privilegio sulle assicurazioni, dettagli specialistici). Comunque, i crediti risarcitori vengono dentro e falcidiati. Se però trattasi di danni da lesioni o morte causati dal debitore, c’è una sensibilità: non vi sono norme che li escludono dall’esdebitazione (non siamo in ambito penale, è un’obbligazione civile e come tale viene trattata). Ma prevedere un taglio drastico a un credito di un danneggiato potrebbe essere malvisto – tuttavia in un sovraindebitamento si applica la legge quindi se rientra, rientra.
- Debiti verso soci o parti correlate: se l’impresa ha soci o amministratori che vantano crediti (es. finanziamenti soci, stipendi arretrati dell’amministratore, etc.), questi crediti per legge sono spesso postergati (finanziamenti soci nelle SRL sono postergati ex art. 2467 c.c. se fatti in certe condizioni). Nel concordato minore il concetto di postergazione volontaria è un po’ meno stringente, ma sicuramente per ragioni di opportunità conviene che il piano paghi i soci dopo gli altri. Il che si può attuare prevedendo che tali crediti verranno soddisfatti solo dopo aver pagato integralmente gli altri (il che in sostanza significa che se gli altri prendono 30%, il socio prende 0% perché viene dopo). Molti tribunali richiedono espressamente che i crediti dei soci/amministratori non vengano soddisfatti a meno che tutti gli altri non siano pagati integralmente – pena considerare il piano inammissibile per mancanza di meritevolezza. Dunque è buona norma indicare nel piano che i crediti di parti correlate non saranno soddisfatti (oppure che vi rinunciano volontariamente). Spesso i soci formalmente rinunciano ai propri crediti prima di presentare il piano, così non compaiono nemmeno.
- Debiti con enti pubblici locali (es. bollette acqua rifiuti comunali, canoni, affitti d’azienda da enti, sanzioni amministrative locali): questi sono crediti degli enti e, se non privilegiati per legge, saranno chirografari. Voteranno presumibilmente tramite i loro organi (es. Comune con deliberazione per voto). Rientrano anche loro eventualmente in classi pubbliche se si ritiene (spesso li si mette insieme all’Erario se importi modesti, oppure in classe “Altri enti”).
In generale, il concordato minore deve ricomprendere tutti i debiti noti del debitore alla data di presentazione (anche se non scaduti ancora). Debiti esclusi dal concorso possono essere solo quelli legalmente non soggetti a esdebitazione: nel CCII, a differenza del fallimento in cui certe multe penali rimangono, qui davvero poche eccezioni. Una eccezione esplicita è che non rientrano i debiti impignorabili (art. 68 CCII per il piano del consumatore, analogia per concordato minore): ad esempio, obblighi alimentari verso figli o coniuge, che sono impignorabili per legge in parte, potrebbero dover essere continuati a pagare fuori dal piano. Ma tipicamente il debitore piccolo imprenditore non ha “debiti” di quel tipo (quelli sono oneri di mantenimento).
Riassumendo il trattamento crediti in una tabella semplificata:
Categoria di credito | Esempi | Natura | Trattamento nel piano |
---|---|---|---|
Fiscali (Erario) | IVA, IRPEF, IRES, IRAP, multe tributarie | Privilegiati (in parte)Chirografari (per sanzioni/interessi e parti senza privilegio) | Classe separata obbligatoria se falcidiati. Possibile falcidia anche di IVA/ritenute. Richiede convenienza vs liquidazione. Cram down giudiziale se voto contrario decisivo ma proposta conveniente. |
Contributivi previdenziali | INPS (contributi dipendenti e gestione separata), INAIL | Privilegiati (contributi)Chirografari (sanzioni) | Classe separata se falcidia. Possibile falcidia sanzioni/interessi; contributi generalmente da pagare quanto più possibile. Cram down analogo a Fisco. |
Banche – ipotecari/garantiti | Mutuo ipotecario su immobile; pegno su beni | Privilegiati fino a valore beneChirografari sull’eccedenza | Pagamento almeno pari a valore di stima del bene (es. con vendita bene o mantenimento mutuo). Eccedenza come credito chirografo in classe generale. Eventuali garanzie personali non liberate (salvo accordi). |
Banche/finanziarie – chirografari | Prestiti non garantiti, fidi c/c, carte | Chirografari | Falcidia secondo convenienza. Spesso in classe dedicata (es. “banche chirografarie”). Percentuale come da piano (es. 20-30%). Nessun trattamento preferenziale rispetto ad altri chirografari a pari condizioni. |
Leasing | Leasing finanziario macchinari/auto | Privilegio su bene (se risolto)– | Se si scioglie il contratto: bene restituito, lessor ha credito chirografo per differenza. Se si prosegue: canoni futuri pagati regolarmente come costi del piano (prededucibili), lessor fuori dal concorso per quella parte. |
Fornitori commerciali | Debiti trade: merci, servizi, affitti | Chirografari (salvo riserva proprietà) | Falcidia proporzionale in classe chirografa. Possibile separare “fornitori strategici” con trattamento migliorativo (motivato). Se riserva di proprietà: decidere se pagare integralmente quel fornitore o restituire bene. |
Dipendenti – stipendi/TFR | Salari arretrati, TFR non versato | Privilegiati ex art. 2751-bis c.c. | Da soddisfare integralmente se possibile (o alta percentuale) dati tutela e assenza Fondo Garanzia in continuità. Priorità nei pagamenti (spesso immediati). Eventuale falcidia solo se assolutamente necessaria e comunque non sotto livello liquidazione. |
INPS/INAIL – contributi lavoratori | Contributi omessi, premi assicurativi | Privilegiati ex art. 2753 c.c. | Come crediti previdenziali: v. sopra. INPS ha doppia veste (come ente previdenziale e come creditore contributi), in pratica si considera insieme a contributi datori di lavoro. Da trattare analogamente al Fisco. |
Altri debiti privilegiati | Es. venditore con patto riserva dominio; artigiani su cose in loro possesso (privilegio art. 2756 c.c. per riparazioni) | Privilegiati su specifici beni | Rispettare la prelazione: es. pagare il riparatore se trattiene il bene riparato, altrimenti non restituisce. Venditore riserva dominio: prevedere se pagarlo o restituire bene. |
Debiti verso soci/parti correlate | Finanziamenti soci, prestiti da parenti | (Spesso postergati) chirografari | In genere non soddisfatti (postergati dietro altri chirografari) o soddisfatti solo dopo che altri hanno ricevuto % prevista. Molto spesso soci rinunciano ai crediti prima del piano. |
Multe e sanzioni amministrative | Multe stradali, sanzioni comunali | Chirografari | Inserite come chirografi (se dell’erario – es. sanzione Agenzia Entrate – già incluse nel loro credito). Possono essere falcidiate come gli altri crediti unsecured. |
Risarcimenti danni civili | Sentenze di risarcimento, cause pendenti | Chirografari (salvo ipoteche giudiziali) | Partecipano come chirografari. Se vi è ipoteca giudiziale pregressa (es. su casa per sentenza), quel credito diventa privilegiato come ipotecario per l’importo e bene oggetto. Allora trattarlo come ipotecario. |
Crediti postergati per legge | Interessi di soci non operativi, finanziamenti infruttiferi ecc. | Postergati (ultimo rango) | Solitamente neppure considerati ai fini del concorso, o messi in coda senza pagamento. |
(Legenda: “privilegiati” = con diritto di prelazione su beni; “chirografari” = senza prelazione; “prededuzione” = spese e crediti sorti per la procedura da pagare prima di tutto.)
Procedura: fasi del concordato minore dall’istanza all’omologazione
Vediamo ora come si svolge concretamente la procedura di concordato minore, passo dopo passo, dal momento in cui il debitore decide di accedervi fino all’omologazione e oltre, includendo i principali adempimenti, tempistiche e il ruolo degli organi coinvolti.
Preparazione della domanda e deposito iniziale
Il debitore interessato (sia esso persona fisica o giuridica) deve anzitutto rivolgersi a un Organismo di Composizione della Crisi (OCC) o a un professionista gestore della crisi nominato dal tribunale, per ottenere l’ausilio nella redazione del piano e la predisposizione della documentazione. Infatti, la legge richiede che la domanda di concordato minore venga presentata con l’assistenza di un OCC, che svolgerà funzioni di attestazione e di supervisione. Gli OCC sono organismi (spesso istituiti presso gli Ordini dei Commercialisti o degli Avvocati, o presso enti pubblici come le Camere di Commercio) deputati a gestire le procedure di sovraindebitamento: essi designano un professionista (detto anche “gestore della crisi” o “OCC individuale”) che seguirà il caso concreto.
Il soggetto debitore, con l’aiuto del gestore nominato, raccoglie tutti i documenti richiesti per legge e predispone la proposta di concordato minore e il relativo piano dettagliato. L’art. 75 CCII elenca i documenti da allegare obbligatoriamente, che includono almeno:
- Relazione contenente le cause dell’indebitamento e le ragioni dell’incapacità di adempiere; l’elenco di eventuali atti dispositivi compiuti negli ultimi anni; l’indicazione di eventuali atti impugnabili ai sensi della revocatoria fallimentare.
- Elenco completo di tutti i creditori, con i relativi indirizzi (anche PEC) e l’importo dei rispettivi crediti, distinti per privilegi, garanzie, ecc. (con indicazione specifica dei crediti eventualmente contestati o sub iudice).
- Elenco dei beni di proprietà del debitore e degli eventuali atti di disposizione compiuti negli ultimi 5 anni (compravendite, donazioni, costituzioni di garanzie).
- Stato di famiglia e certificato anagrafico (se persona fisica) per individuare eventuali coobbligati familiari.
- Se il debitore è imprenditore: bilanci degli ultimi 3 esercizi oppure dichiarazioni fiscali degli ultimi 3 anni (se soggetto a contabilità semplificata), ultimo estratto conto P.F. dell’Agenzia Entrate (debiti fiscali), situazione debitoria aggiornata (ad esempio estratto dei carichi affidati all’Agente della Riscossione).
- Documentazione fiscale di base: dichiarazioni dei redditi, certificati attestanti le posizioni debitorie fiscali e contributive (es. DURC, certificato debiti tributari).
- Atto di nomina dell’OCC e relazione dell’OCC (Organismo di Composizione): questo è un allegato fondamentale redatto dal gestore nominato, che ai sensi dell’art. 76 CCII deve attestare la veridicità dei dati forniti dal debitore, la fattibilità del piano proposto e in particolare esprimere una valutazione sulla convenienza del piano rispetto alla liquidazione. L’OCC deve inoltre attestare che il debitore non ha altre procedure pendenti, che non ha ottenuto esdebitazioni nei periodi vietati, e in generale certificare la meritevolezza e correttezza della proposta.
La predisposizione di tutta questa documentazione richiede tempo e cura: il debitore deve solitamente impegnarsi a fornire all’OCC tutte le evidenze necessarie (ad esempio estratti conto bancari per ricostruire movimenti, perizie di stima di beni immobili se pertinenti, ecc.). Una volta completato il fascicolo, si procede al deposito dell’istanza di accesso al concordato minore presso il Tribunale competente. Competente è il Tribunale del luogo di residenza o sede principale dell’attività del debitore.
Con il deposito della domanda, scatta automaticamente uno degli effetti tipici delle procedure concorsuali: la sospensione degli interessi sui debiti concorsuali non garantiti (già menzionata prima). Dalla data di deposito e pubblicazione, cessano di decorrere gli interessi sui debiti chirografari e privilegiati (salvo quelli con ipoteca/pegno, entro il limite di capienza). Questo “congelamento” evita che, durante la procedura, il monte debitorio continui a crescere ulteriormente gravando il debitore.
Contestualmente al deposito della domanda, il debitore può richiedere al tribunale l’emanazione di misure protettive a tutela del patrimonio: in particolare, può chiedere che fino all’omologazione definitiva nessun creditore possa iniziare o proseguire azioni esecutive individuali né acquisire nuove cause di prelazione (ipoteche giudiziali) sui beni del debitore. Questa è la cosiddetta “automatic stay” o moratoria delle azioni esecutive. Nel concordato minore, a differenza del concordato preventivo, la sospensione non è automatica ex lege con il deposito, ma richiede una specifica istanza e un decreto del giudice che la conceda. In pratica però viene normalmente concessa ipso facto all’apertura, a meno che il tribunale non veda motivi ostativi. Il decreto di apertura del procedimento (vedi prossimo paragrafo) di solito include già il divieto per i creditori di procedere in via individuale fino a omologa (salvo revoca).
Queste misure protettive vengono comunicate a tutti i creditori unitamente al decreto di apertura, e sono opponibili anche a eventuali procedure esecutive in corso: se un creditore aveva già avviato un pignoramento, dovrà arrestarsi (la legge in sostanza equipara la protezione a quella del concordato preventivo). Non possono invece essere bloccate eventuali azioni esecutive su crediti impignorabili (es: pignoramenti su stipendio oltre la quota libera, o pignoramenti immobiliari su beni impignorabili, ipotesi rare).
Ultimo aspetto della fase iniziale: atti di straordinaria amministrazione. Dal momento della pubblicazione della domanda di concordato minore, il debitore non può compiere atti eccedenti l’ordinaria amministrazione senza autorizzazione del giudice. Se li compie, tali atti sono inefficaci rispetto ai creditori antecedenti. Ciò significa che, ad esempio, il debitore non può vendere beni, costituire garanzie, aggravare la propria situazione patrimoniale durante la procedura, a pena di nullità/inefficacia verso la massa. È un meccanismo a tutela dei creditori, per congelare la situazione patrimoniale salvo l’attività ordinaria (che può proseguire). Per atti ordinari si intendono quelli necessari alla gestione corrente dell’impresa o della vita quotidiana se persona fisica (pagamento forniture correnti, acquisto scorte normali, pagamento dipendenti correnti, incasso crediti ecc.). Qualsiasi cosa straordinaria (es. vendere un macchinario, dare un’auto in permuta, concedere ipoteca a un nuovo finanziatore) richiede un’autorizzazione del giudice su parere dell’OCC.
Tempistiche: La fase di preparazione può variare molto: alcuni debitori arrivano con situazione già mappata e risolvono in 1-2 mesi, altri impiegano 6 mesi per mettere insieme i dati e convincere l’OCC della fattibilità. Dal deposito in tribunale, l’apertura formale può essere piuttosto rapida: spesso entro 15-30 giorni vi è il decreto di apertura (dipende dai carichi del tribunale, ma non essendoci l’istruttoria pre-fallimentare complessa, di solito in un mesetto si ha).
Apertura della procedura e comunicazione ai creditori
Una volta depositata l’istanza con tutta la documentazione, il fascicolo viene assegnato a un giudice (di norma un giudice delegato in materia concorsuale). Il tribunale verifica innanzitutto l’ammissibilità formale: controllo della completezza dei documenti e dei requisiti soggettivi. Se qualcosa manca, può concedere un breve termine per integrazione, oppure dichiarare subito l’inammissibilità. I motivi di inammissibilità (lo ricordiamo) sono: documenti ex artt. 75-76 CCII non allegati, debitore che supera le soglie dimensionali di fallibilità, debitore che ha già avuta esdebitazione recente o doppia, o debitore fraudolento. Se il tribunale riscontra uno di questi motivi, respinge la domanda con decreto motivato, contro cui si può reclamo. Se invece ritiene tutto regolare, emette il decreto di apertura del concordato minore.
Il decreto di apertura (art. 78 CCII) è un provvedimento con cui il giudice:
- Dichiara aperta la procedura di concordato minore alla data del decreto.
- Conferma l’OCC/gestore già nominato o eventualmente ne nomina uno (se la domanda era presentata dal debitore direttamente al tribunale senza passare per un OCC, ipotesi particolare).
- Ordina la comunicazione del piano e del decreto a tutti i creditori a cura dell’OCC. È previsto che l’OCC invii a ciascun creditore una copia della proposta di concordato e del decreto di apertura (generalmente per PEC, o raccomandata se necessario).
- Stabilisce le forme e i termini per l’espressione del voto da parte dei creditori e fissa l’udienza di omologazione.
Su quest’ultimo punto occorre spiegare: il concordato minore non prevede un’assemblea dei creditori fisica come il concordato preventivo classico. La votazione dei creditori avviene di norma per iscritto, tramite comunicazione a distanza. Il decreto di apertura contiene di solito l’indicazione che i creditori dovranno far pervenire le proprie decisioni (voto favorevole o contrario) entro un certo termine (ad es. 30 giorni dalla ricezione del piano) all’OCC o al tribunale. Talvolta il giudice fissa una udienza per l’esame delle votazioni e contestualmente come eventuale udienza di omologa. In altri casi può essere prevista un’adunanza informale in cui i creditori possono incontrarsi avanti all’OCC e discutere, ma non è obbligatoria. Il CCII consente modalità telematiche: ad esempio, la raccolta del voto via PEC con firma digitale. L’importante è che sia garantita la prova del voto espresso e l’identità del votante.
Il decreto di apertura inoltre conferma le misure protettive richieste (o le nega motivando). Normalmente ordina la sospensione delle esecuzioni come da istanza del debitore. Quindi da quel momento i creditori non possono più pignorare nulla né proseguire i pignoramenti in corso. Eventuali ipoteche giudiziali iscritte dopo la pubblicazione del decreto sarebbero nulle.
Il decreto è pubblicato e inserito nel Registro delle Imprese se il debitore è un imprenditore, e comunque notificato ai creditori come detto. Spesso viene nominato anche un Giudice Delegato (anche se per procedure minori può coincidere col giudice monocratico che segue la pratica) e un eventuale Commissario giudiziale? In realtà, nel concordato minore non è prevista la figura del commissario giudiziale come nel concordato preventivo. Di fatto l’OCC funge da ausilio e vigilanza, e il giudice controlla. Non c’è un comitato creditori ovviamente.
Periodo di votazione: una volta che i creditori ricevono il piano, possono formulare osservazioni, richieste di chiarimenti e infine il voto. L’OCC è tenuto a redigere una relazione sulle operazioni di voto (art. 79 CCII) in cui certifica l’esito: quanti creditori hanno votato sì, quanti no, con quali percentuali. Deve anche segnalare eventuali irregolarità o situazioni particolari (es. astensioni, silenzi).
Il calcolo della maggioranza nel concordato minore segue queste regole (art. 79 CCII):
- Maggioranza base: occorre il sì dei creditori che rappresentano la maggioranza (oltre il 50%) dei crediti ammessi al voto. È un criterio per valore: si sommano gli importi dei crediti i cui titolari hanno votato favorevole e si verifica se superano il 50% del totale crediti con diritto di voto.
- I creditori privilegiati che vengono soddisfatti integralmente non votano (non sono ammessi al voto perché non toccati dal piano).
- I creditori privilegiati parzialmente soddisfatti votano per la parte in cui il loro credito è degradato a chirografo (cioè per la parte falcidiata).
- Classi: se ci sono più classi di creditori votanti, il concordato è approvato solo se passa la maggioranza in ciascuna classe oppure, in caso di dissenso di qualche classe, occorre la maggioranza per valore e che abbiano detto sì il maggior numero di classi (criterio del “maggior numero di classi”). In pratica, serve la maggioranza di valore complessiva e almeno la metà +1 delle classi consenzienti. Questa regola è analoga a quella del concordato preventivo post-riforma.
- Caso del creditore singolo sovramaggioritario: una particolarità, evidenziata dall’art. 79, co.1 CCII, è che se un singolo creditore detiene più della metà dei crediti ammessi (situazione di monopolio del voto), allora non basta il suo sì per approvare: si richiede in più che la maggioranza “per teste” dei votanti sia favorevole. Questo serve per evitare che un creditore iperdominante decida da solo le sorti. Viceversa, se quel creditore dominante dice no e tanti piccoli creditori dicono sì, non scatta approvazione perché manca la maggioranza per valore, ma potrebbe attivarsi poi il cram down se quello era un creditore pubblico. Nell’esempio reale di Trib. Bergamo 2023: l’Erario aveva da solo ~60% crediti, altri rappresentavano ~40%; hanno votato sì i piccoli (59.85%) e no l’Erario (40.15%). Formalmente per valore c’era il 59.85% sì (quindi oltre 50%), ma siccome un creditore (Erario) aveva >50% da solo ed era contrario, si è dovuto calcolare anche il voto per teste e questo non risultava a favore (un solo creditore no vs diversi sì non raggiungeva >50% teste perché?), e quindi senza cram down non sarebbe approvato. In quel caso si è attivato il meccanismo del cram down perché quell’unico era l’Erario decisivo.
- Creditore non votante: se un creditore non esprime voto entro il termine, viene considerato come non votante (non conta né a favore né contro; diversamente dal concordato preventivo dove il silenzio valeva assenso dopo il 2022). Nel concordato minore il CCII sembra implicare che occorre proprio la maggioranza dei crediti ammessi al voto (non di quelli votanti). Quindi l’inerzia può equivalere a voto contrario di fatto, se riduce la percentuale di sì sul totale. In pratica, se i crediti totali ammessi sono 100 e solo 40 partecipano votando sì, gli altri 60 tacendo, non si raggiunge 50%. Quindi è interesse del debitore sollecitare i voti (specie dei favorevoli attesi).
Una volta scaduto il termine di voto, l’OCC redige la relazione sui risultati delle votazioni e la deposita al tribunale, notificandola al debitore e pubblicandola eventualmente. Se il concordato risulta approvato dalle maggioranze richieste, si passa alla fase successiva di omologazione. Se non è approvato (maggioranza mancata), la procedura di concordato minore fallisce e il giudice, su istanza del debitore, dichiara con decreto l’inefficacia delle misure protettive e può contestualmente aprire la liquidazione controllata. In sostanza, se il piano non ottiene i voti, di regola il debitore chiede subito la conversione in liquidazione dei beni (che è la procedura alternativa di “fallimento minore” che gli consentirà comunque di arrivare all’esdebitazione in 3 anni). Questo passaggio è previsto proprio dall’art. 80 CCII: rigetto omologa = si aprono le porte alla liquidazione, se il debitore lo vuole. Se il debitore non fa richiesta di liquidazione, i creditori tornano liberi di agire.
Udienza di omologazione e ruolo del tribunale
Supponiamo che il concordato minore abbia ottenuto la necessaria approvazione dei creditori (oppure che, pur non avendo la maggioranza per il voto contrario del Fisco/INPS, ricorrano le condizioni per il cram down). A questo punto è fissata (dal decreto di apertura) un’udienza dinanzi al tribunale per decidere sull’omologazione del concordato. I creditori e qualunque interessato possono sollevare eventuali contestazioni (opposizioni) all’omologa entro termini prestabiliti (spesso fino a 10 giorni prima dell’udienza). Possono contestare, ad esempio, la regolarità della procedura di voto, la legittimità della falcidia di un privilegio, la mancanza di convenienza per loro rispetto alla liquidazione, o la mancanza di requisiti di meritevolezza del debitore.
All’udienza, il tribunale verifica:
- La regolarità formale della procedura (notifiche fatte, rispetto dei termini, corretto calcolo delle maggioranze).
- La sussistenza delle maggioranze richieste per l’approvazione (tenendo conto di eventuali cram down da applicare). Se ad esempio una maggioranza manca ma il Fisco ha detto no ingiustificatamente essendo decisivo, il giudice valuta se applicare l’art. 80 co.3 CCII e quindi considerare comunque approvato il concordato per poterlo omologare.
- L’assenza di cause di annullamento o inammissibilità sopravvenute: ad esempio, se si scopre che il debitore ha occultato del patrimonio o ha dolosamente aumentato passività, il tribunale può rifiutare l’omologa perché il debitore avrebbe compiuto atti in frode (che è causa di non omologazione/annullamento).
- La convenienza per i creditori dissenzienti: questo è un concetto mutuato dal concordato preventivo. Il giudice deve verificare che i creditori che hanno votato contro non ricevano dal piano meno di quanto otterrebbero nella liquidazione alternativa. Ciò in genere è garantito dalla relazione OCC, ma i creditori oppositori potrebbero contestare i valori di stima, ecc. Se il giudice accerta che effettivamente un creditore dissenziente verrebbe trattato peggio col piano che col fallimento (liquidazione controllata), potrebbe negare l’omologa per quel vizio.
- L’eventuale carattere abusivo o contrario alla legge del piano: l’omologazione va negata se il piano contrasta con norme imperative (es. prevede cose impossibili o illecite) o se è frutto di frode.
- Le opposizioni presentate dai creditori: il giudice le esamina e decide se accoglierle o respingerle con decreto motivato. Ad esempio, un creditore ipotecario potrebbe opporsi dicendo che la stima dell’immobile è troppo bassa e lui prenderebbe di più vendendo in asta, ergo la falcidia lo danneggia. Il tribunale valuterà tramite eventualmente CTU se la stima era corretta.
Dopo aver svolto questa disamina (talvolta disponendo consulenze tecniche se necessarie per valutare asset importanti), il tribunale emette il decreto di omologazione oppure di diniego di omologazione.
- Se omologa: il decreto di omologa dichiara il concordato minore omologato e, da tale momento, il piano diviene vincolante per tutti i creditori concorsuali, anche per quelli che non hanno votato o che hanno votato contro. Vengono confermate e cristallizzate le falcidie e le dilazioni proposte: in pratica, il debito originario viene sostituito dalle obbligazioni previste dal piano omologato. Esempio: un creditore chirografo da €50.000 che secondo il piano riceverà il 30% in 4 anni, con l’omologa vede il suo credito trasformato in un credito di €15.000 pagabile in determinate scadenze come da piano. Il decreto di omologa inoltre formalizza l’esdebitazione immediata per la parte eccedente da falcidiare (salvo revoca per inadempimento poi).
- Se c’è stato l’utilizzo del cram down fiscale/previdenziale, il decreto lo menziona e motiva sul perché il dissenso dell’ente è superato (ad esempio: “Considerato che l’Agenzia delle Entrate, il cui voto negativo era determinante, otterrà il 5% nel concordato contro 0% stimato in liquidazione, ritenuto quindi ingiustificato il diniego, il concordato è omologato ai sensi dell’art. 80 co.3 CCII”).
- Il decreto di omologa viene pubblicato e notificato. È suscettibile di reclamo in Corte d’Appello entro 30 giorni da creditori interessati o dal debitore se contrariato (es. se venissero imposte modifiche). Il reclamo però non sospende l’esecuzione, salvo diversa pronuncia.
- Se nega l’omologa: il tribunale emette un decreto motivato con cui rigetta la domanda di omologa e revoca le protezioni concesse. Inoltre, su istanza del debitore, dichiara aperta la liquidazione controllata. Questo consente al debitore di non rimanere scoperto: praticamente, se salta il concordato minore, entro brevissimo può passare al percorso liquidatorio (che implica nominare un liquidatore, vendere i beni e poi liberarlo dai debiti). Se il debitore invece non fa istanza di liquidazione, il rigetto lascia semplicemente spazio ai creditori di riprendere le azioni (e i beni non sono più protetti).
Con l’omologa si conclude la fase giudiziale e inizia la fase esecutiva.
Esecuzione del piano omologato e chiusura della procedura
A seguito del decreto di omologazione, il debitore deve procedere a dare attuazione al piano secondo i termini stabiliti. A differenza di procedure come il fallimento, nel concordato minore il debitore rimane in possesso dei suoi beni durante l’esecuzione del piano (salvo quelli da liquidare) e non c’è un curatore che subentra. Il debitore quindi deve compiere gli atti previsti: ad esempio, vendere certi beni (se previsto può farlo direttamente, o con l’assistenza dell’OCC come ausiliario), effettuare i pagamenti ai creditori alle scadenze fissate, mettere a disposizione somme concordate, e in generale rispettare gli obblighi assunti nel piano.
Il ruolo dell’OCC continua anche in questa fase: l’Organismo di Composizione o il gestore nominato funge da vigilante sull’esecuzione. Egli può richiedere rendiconti periodici al debitore, verifica che i pagamenti vengano effettuati correttamente e nei tempi, e soprattutto al termine dovrà redigere una relazione finale (rendiconto). L’art. 81 CCII prevede infatti che, una volta eseguito il piano, l’OCC – sentito il debitore – presenti al giudice delegato un rendiconto finale dell’esecuzione. Questo rendiconto è come un resoconto di fine procedura: elenca le somme incassate (se c’erano vendite di beni o afflussi di terzi), le somme pagate a ciascun creditore, eventuali ritardi o modifiche intervenute, etc.
Ricevuto il rendiconto, se il giudice lo approva e constata che il piano è stato completamente adempiuto, emette un decreto di chiusura della procedura e dichiara il debitore esdebitato per i debiti residui non soddisfatti. In realtà, secondo il CCII, l’esdebitazione nel concordato minore è automatica con l’omologazione per la parte eccedente (essendo efficacia estintiva del concordato stesso), ma la completa liberazione del debitore e la cancellazione da registri ecc. avviene di solito contestualmente alla chiusura a seguito dell’esecuzione. Diciamo che a seguito del completamento del piano, il debitore è definitivamente libero da ogni obbligazione precedente inclusa nel concordato. Ottenere questo risultato – la “fresh start” – è lo scopo ultimo della procedura.
Può capitare però che il debitore non esegua esattamente il piano o incorra in difficoltà durante l’esecuzione:
- Se il debitore non adempie alle prescrizioni entro i termini stabiliti, e anche il termine di eventuale proroga concesso è scaduto, il giudice – su istanza dei creditori o anche d’ufficio – dichiara la risoluzione del concordato minore (art. 82 CCII). La risoluzione ha effetti simili a quelli della risoluzione contrattuale: i creditori riacquistano il diritto per intero sui debiti originari (dedotto quanto eventualmente già incassato) e possono riprendere le azioni esecutive. Il debitore torna esposto. Tuttavia, egli può a questo punto chiedere di aprire una liquidazione controllata per evitare l’aggressione disordinata (spesso il CCII prevede in caso di risoluzione la conversione in liquidazione su istanza). La risoluzione può essere dichiarata solo se l’inadempimento del debitore è grave (nel senso che pregiudica le aspettative di soddisfacimento dei creditori in misura non marginale). Piccoli ritardi o differenze non dovrebbero portare a risoluzione se rimediati.
- Se emergono atti di frode scoperti dopo l’omologa (es. il debitore aveva nascosto un attivo rilevante), i creditori interessati possono chiedere l’annullamento dell’omologazione (art. 83 CCII). Questo strumento serve a revocare il concordato se ottenuto con dolo. Il termine per proporre questa istanza è breve (6 mesi dalla scoperta, non oltre 2 anni dall’omologa). Se l’annullamento viene pronunciato, si torna come sopra: creditori liberi e possibile apertura di liquidazione.
- Va notato che la mancata approvazione o l’annullamento del concordato minore non pregiudicano il diritto del debitore all’esdebitazione se poi affronta la liquidazione. Il CCII enfatizza che l’esdebitazione è un diritto eventualmente, quindi un debitore che fallisca il concordato potrà comunque ottenere la liberazione passando per la liquidazione e aspettando 3 anni. Non c’è dunque incentivo a barare: se dichiara il falso e viene annullato il concordato, semplicemente dovrà liquidare tutto e aspettare un po’ di più.
Durante l’esecuzione del piano, se il debitore dovesse avere sopravvenienze attive importanti (ad es. un’inaspettata eredità, vincita, ecc.), a rigore non sono automaticamente prese dai creditori perché l’accordo era su ciò che c’era al momento. Ma i creditori potrebbero mal digerire: il CCII non tratta espressamente questo come il Chapter 13 USA (dove c’è l’best effort obligation). Però un eccesso di fortuna potrebbe portare qualcuno a lamentare la cessazione dei presupposti del concordato se potesse pagare di più. In mancanza di clausole, tuttavia, il debitore può tenere per sé le sopravvenienze: il concordato è un accordo “statico” su dati di fatto storici.
Esempio finale: Tizio, piccolo imprenditore, ottiene l’omologa del suo concordato minore con previsione di pagare €50.000 (su €200.000 di debiti) in 5 anni. Nei 5 anni Tizio esegue puntualmente i pagamenti semestrali ai creditori (monitorati dall’OCC). A metà strada, vende anche un macchinario come da piano e ne ricava €10.000 che distribuisce come previsto. Dopo 5 anni, ha pagato i €50.000 pattuiti. L’OCC redige il rendiconto finale: creditori chirografari hanno ricevuto esattamente il 25%, creditori privilegiati il 100% dei loro €30.000, ecc. Il giudice approva, emette decreto di chiusura: “Eseguito il piano, il debitore è liberato dai debiti residui concorsuali”. I €150.000 originariamente non pagati vengono formalmente cancellati e i creditori insoddisfatti non possono più pretenderli. Tizio rimane eventualmente con i soli debiti che non fossero concorsuali (nel suo caso magari niente, oppure il mutuo casa extraconcordato che continuava a pagare). Il suo nome viene tolto dall’archivio dei protesti/CRIF negativo che aveva per quei debiti (per legge l’omologa cancella le segnalazioni negative relative a quei crediti). Potrà riprendere attività economiche senza il fardello del passato.
Simulazioni pratiche di concordato minore
Di seguito presentiamo alcune simulazioni pratiche, con cifre ipotetiche ma realistiche, per illustrare come può essere costruito un piano di concordato minore e come vengono distribuiti i pagamenti tra le varie classi di creditori, con calcolo delle percentuali di falcidia (haircut), tempi di pagamento e trattamento dei privilegi. Questi esempi aiuteranno a tradurre in pratica la teoria esposta sinora.
Esempio 1: Concordato minore in continuità aziendale di un artigiano
Scenario: Mario Rossi è un artigiano falegname (ditta individuale) che si trova in stato di sovraindebitamento. Ha subito un calo di lavoro e accumulato debiti, ma vuole proseguire l’attività salvando la propria bottega. Ecco i dati salienti:
- Attivo: un piccolo laboratorio (capannone) di proprietà del valore stimato €100.000 su cui grava un’ipoteca; attrezzature e macchinari per €20.000; furgone €5.000; crediti verso clienti €10.000 (incassabili in corso di procedura); disponibilità in cassa/banca €5.000.
- Debiti:
- Banca A (mutuo ipotecario): €80.000 residui, garantito da ipoteca sul laboratorio (valore immobile €100.000). Rate regolari fino a 3 mesi fa (3 rate scadute per €3.000).
- Banca B (prestito chirografario): €30.000 residui, nessuna garanzia reale.
- Fornitori materiali: €50.000 (diversi fornitori, nessuna garanzia; uno però ha ottenuto decreto ingiuntivo ma non ancora ipoteca).
- Fisco: €40.000 totali, di cui €10.000 IVA ultimo anno, €5.000 ritenute non versate, €15.000 IRPEF anni passati, €10.000 sanzioni e interessi. (L’IVA e ritenute €15.000 hanno privilegio su mobili; il resto chirografo).
- INPS: €8.000 (contributi artigiani ultimi 2 anni non pagati; tutto privilegiato).
- Dipendenti: €5.000 (ha un apprendista part-time con 2 mensilità arretrate e piccola quota TFR; privilegio su mobili).
- Altro: €10.000 debito personale verso un parente (prestito senza interessi, non garantito).
Totale debiti: circa €223.000.
Prospettiva liquidatoria: Se Mario liquidasse tutto, probabilmente vendendo il capannone ipotecato (€100k) la banca A (ipotecaria) prenderebbe tutto il suo (€80k) e resterebbero €20k forse per chirografari; vendendo macchinari e furgone (€25k) quei proventi andrebbero in parte a privilegio (dipendente, INPS, IVA) e forse qualcosina ai chirografi; realisticamente i chirografari (fornitori, banca B, parente, parte fisco) recupererebbero briciole (<10%). Mario preferisce tentare il concordato per offrire un po’ di più, evitando la vendita del laboratorio così da continuare la sua attività dentro lo stesso.
Strategia di piano: Mario propone un concordato minore in continuità, con intervento di un finanziatore esterno (un amico disposto a investire €20.000) e l’utilizzo dei flussi di cassa futuri dell’attività. Egli vorrebbe mantenere il laboratorio e quindi continuare a pagare il mutuo con Banca A regolarmente (recuperando le 3 rate arretrate), sfruttando la nuova norma dell’art. 75 co.2-bis CCII. Ciò significa escludere Banca A dal concorso per la parte ipotecaria: in pratica, Banca A non subirebbe falcidia ma riceverebbe tutte le sue rate come da contratto.
Per gli altri debiti, Mario prevede di offrire:
- Pagamento integrale dei debiti privilegiati verso dipendente e INPS (€5k + €8k = €13k) entro 6 mesi dall’omologa (usando in parte la liquidità iniziale e in parte l’apporto esterno). Garantisce così tutela massima ai lavoratori.
- Pagamento parziale dei debiti fiscali privilegiati (IVA+ritenute €15k): offrirà €7.500 (50%) entro 1 anno dall’omologa, e stralcio integrale di sanzioni/interessi (€10k). Quindi l’Erario classe privilegiata ottiene 50% su quota privilegiata e 0% sul resto (per il resto dovrà subire cram down se non accetta, ma Mario conta di dimostrare che in liquidazione l’Erario avrebbe preso zero).
- Pagamento ai chirografari (fornitori, Banca B, parente, parte chirografa Fisco) di una certa percentuale: propone il 30% in 4 anni, con rate semestrali. In dettaglio, i chirografari ammontano a: Banca B €30k + Fornitori €50k + Fisco chirografo €15k (IRPEF) + Parente €10k + eventuali €2.500 residui IVA (falcidiata) = ~€107.500. Il 30% di ciò è circa €32.250. Di questa somma, Mario conta di pagarne €10.000 grazie al finanziamento amico (subito all’omologa come acconto) e il resto €22.250 in 8 semestralità da ~€2.780 ciascuna attingendo dagli utili futuri dell’attività (ha calcolato di poter destinare ~€5.500 l’anno ai creditori, su un utile atteso di €15k).
- Classe “fornitori strategici”: tra i fornitori, uno gli fornisce legno pregiato ed è cruciale. Il suo credito è €15.000. Mario vuole tenerlo buono offrendogli il 50% invece del 30% degli altri. Quindi nel piano crea una sottoclasse: Fornitori strategici (quel fornitore da €15k) che riceverà €7.500 (50%) in 4 anni. Gli altri fornitori (€35k totali) restano in classe generale al 30%. Ciò implica trattamenti differenziati, che Mario giustifica per la necessità di mantenere rapporti commerciali.
Riassunto proposte di pagamento:
- Banca A (ipotecaria): fuori piano – continua pagamento mutuo per intero alle scadenze originarie (attestato che valore immobile €100k copre il credito €80k, e nessun pregiudizio per altri creditori). Arretrati €3k saranno pagati subito (con apporto).
- Dipendente (privilegiato): 100% di €5.000 entro 3 mesi (prededuzione nel piano).
- INPS (privilegiato): 100% di €8.000 entro 6 mesi (prededotto).
- Erario IVA/ritenute (privilegiato): 50% di €15.000 = €7.500 entro 12 mesi; stralcio 50%. Erario sanzioni/interessi: 0% su €10.000 (stralcio totale).
- Banca B, altri fornitori, debiti chirografari: 30% in 4 anni su loro crediti:
- Fornitori generici €35k → €10.500 in 4 anni (ripartiti pro-quota).
- Banca B €30k → €9.000 in 4 anni.
- Fisco quota chirografa €15k → €4.500 in 4 anni.
- Parente €10k → €3.000 in 4 anni.
- Fornitore strategico: 50% di €15k = €7.500 in 4 anni (classe separata).
- Finanziatore amico (nuovo credito): apporta €20k con patto di rimborso solo a completamento piano se l’impresa torna redditizia (di fatto postergato, e probabilmente non sarà rimborsato se va male).
Il totale dei pagamenti previsti nel concordato è così composto:
- €3k arretrati mutuo (fuori concorso, autorizzati dal GD subito).
- €13k privilegiati dip/INPS.
- €7.5k Erario privilegiato.
- €32.250 chirografari (inclusi forn.strat.).
- Totale = €55.750 nell’arco di 4 anni, più il continuo pagamento del mutuo ipotecario (che prosegue oltre 4 anni, ma quello esula dal concorso).
Percentuali di soddisfazione e falcidia:
- Banca A (garantita): 100% (no falcidia sul suo credito €80k, continua come da contratto).
- Dipendente: 100% (falcidia 0%).
- INPS: 100% su contributi (falcidia 0% contributi, eventualmente sanzioni ridotte se presenti).
- Erario:
- Privilegiato: 50% (falcidia 50% su €15k).
- Chirografo: 30% (falcidia 70% su €15k).
- Sanzioni: 0% (falcidia 100% su €10k).
- Recupero complessivo Erario: su €40k totali, riceve €7.5k + €4.5k = €12k (pari al 30% del totale). Ma la parte IVA/ritenute (interesse pubblico forte) è soddisfatta al 50%.
- Banca B: 30% (falcidia 70%, riceve €9k su €30k).
- Fornitori generici: 30% (falcidia 70%).
- Fornitore strategico: 50% (falcidia 50%).
- Parente: 30% (falcidia 70%).
- Media chirografari (escluso Fisco) circa 33% ponderata, ma considerato Fisco e parente, overall unsecured ~30%.
Verifica convenienza vs liquidazione controllata:
- Privilegiati (dip/INPS) prendono 100% nel piano, in liquidazione avrebbero forse preso meno (perché dipendente+INPS ~13k su mobili 25k – sarebbero stati pagati ma forse non 100% a causa spese procedura, comunque sono al sicuro ora).
- Erario: nel piano €12k (30%). In liquidazione: ipotesi, venduto immobile e mobili, Erario privilegiato avrebbe concorso su mobili dopo dip/INPS e probabilmente avrebbe preso molto poco (forse 0). Quindi 50% su privilegiato è sicuramente meglio di 0%. Erario chirografo in liquidazione avrebbe preso 0 (dopo privilegiati e spese). Quindi meglio 30% che 0.
- Banca B: in liquidazione, dopo ipoteca A e privilegiati, rimanevano forse €5-10k per tutti chirografi, Banca B ne avrebbe preso quota parte magari 5%. Qui prende 30%.
- Fornitori: similmente, da 5% a 30%.
- Parente: 0% in liquidazione (creditore postergato moralmente), qui 30%.
Dunque tutti i creditori (tranne banca A che era comunque garantita e continua uguale) ottengono di più o uguale rispetto alla liquidazione, soddisfacendo il requisito di convenienza.
Classi e votazione: Mario struttura così le classi di voto:
- Classe 1: Erario privilegiato (IVA/ritenute falcidiate) – credito €15k, offre 50%.
- Classe 2: INPS privilegiato – credito €8k, offre 100%. (Potrebbe unirla alla 1 come “enti pubblici privileg.”, ma per trasparenza la tiene separata).
- Classe 3: Dipendente privilegiato – credito €5k, offre 100%. (Non vota? In teoria privilegiato pagato integrale non vota, quindi dipendente non vota, verrà soddisfatto in prededuzione, possiamo escluderlo).
- Classe 4: Chirografari fornitori generici + Banca B + parente + Erario chirografo – totale crediti €35k+€30k+€10k+€15k = €90k, offre 30%. (In realtà, opportuno separare Erario chirografo in classe pubblica? La legge obbliga classi separate solo se non integrale pagamento di crediti fiscali “dei quali non sia previsto l’integrale pagamento”. Questo potrebbe riferirsi all’intero creditore fiscale. Qui l’Erario ha una classe per la parte privilegiata e il resto chirografo se non la mettiamo separata, stiamo fondendo pubblici con privati. Forse per prudenza Mario farà due classi chirografi: 4A – crediti chirografari enti pubblici (Erario €15k falcidiato 30%), 4B – crediti chirografari vari €75k).
- Classe 5: Fornitore strategico (chirografo) – credito €15k, offre 50%.
- Classe 6: Banca A ipotecaria – non vota (fuori).
- (Dipendente in teoria non vota essendo 100% e prededotto).
Ora, ipotizziamo i voti:
- Erario (classe 1) – presumibilmente contrario (non gradisce falcidia, anche se 50% su privilegio, comunque potrebbe dire no).
- INPS (classe 2) – favorevole (paga 100% contributi, di solito non si oppone).
- Dipendente – non vota ma favorevole moralmente (è pagato).
- Classe 4B (Banca B+fornitori+parente etc) – rappresentano €75k crediti. Si sondano: Banca B probabilmente favorevole (30% è più di niente e in tempi ragionevoli), fornitori generici alcuni mugugneranno ma preferiranno prendere 30% subito che attendere eventuale fallimento (si convinceranno anche sapendo che il fornitore X prende 50% perché strategico, ma va spiegato). Parente sicuramente favorevole (meglio 30% che zero).
Diciamo raccolgono 60k su 75k di consensi -> 80% di classe favorevole, quindi approvata. - Classe 5 (Fornitore strategico) – beh lui è singolo: gli dai 50% quindi probabile che accetti (prende di più degli altri perciò dovrebbe dire sì).
- Classe 4A (Erario chirografo €15k) – se l’abbiamo separata, quell’importo difficilmente potrà fare classe a sé perché se Erario è contrario su privilegio sarà contrario su tutto. Se Erario vota no su entrambe le sue classi, avremo:
- Classe 1 Erario priv: No (0% di 15k).
- Classe 4A Erario chir: No (0% di 15k).
- Classe 2 INPS: Sì (100% di 8k).
- Classe 4B Altri chirog.: Sì (avendo >50% come ipotizzato).
- Classe 5 fornitore strat: Sì (detiene 15k).
Ora, maggioranza per valore globale: Totale ammessi al voto (esclusi banca A e dipendente): Erario15+INPS8+Erario15+Chir75+FornStrat15 = 128k. Voti favorevoli: INPS8 + Chir75 + FornStrat15 = 98k su 128k = 76.5% favorevole. Maggioranza per classi: su 5 classi votanti, 3 classi favorevoli (INPS, chirog. vari, fornitore strat) e 2 contrarie (Erario priv e Erario chir). Il concordato ha il favore di maggioranza classi (3 su 5) e maggioranza valore. Ma c’è un singolo creditore (Erario) che detiene 15+15=30k su 128k (23%), quindi non oltre il 50% – quindi la regola del creditore unico >50% non scatta. In teoria sarebbe già approvato senza cram down. Tuttavia, poiché l’Erario ha due classi e ha votato no, di norma ogni classe deve raggiungere maggioranza interna. Qui le classi Erario non hanno maggioranza interna, quindi a rigore il piano avrebbe classi dissenzienti. Nel concordato preventivo serve che almeno una classe approvi e le dissenzienti non siano pregiudicate in modo irragionevole. Nel CCII sembra basti maggior numero di classi favorevoli. Avendone 3 su 5, la condizione è soddisfatta. Quindi in teoria, anche senza cram down il piano sarebbe approvato perché la legge nuova consente che se la maggioranza delle classi è favorevole e la maggioranza del credito totale è favorevole, l’approvazione c’è. (Questa è interpretazione da confermare: in realtà art. 79 dice “oltre maggioranza di crediti, ha riportato maggioranza per teste dei voti espressi” in contesto cred. sovramagg. e “nel maggior numero di classi” come condizione. Quindi sembra esatto).
Ad ogni modo, l’Erario è decisivo solo se possiede >50% crediti totali (non è questo caso), quindi non servirebbe attivare il cram down. Il giudice tuttavia può comunque esaminare la posizione Erario: qui Erario ha 23% quindi la proposta passa di suo, ma il giudice potrebbe comunque valutare quell’opposizione e rigettarla se la proposta è conveniente (lo è: 30% vs 0%). Quindi il piano è omologabile.
Ripartizione pagamenti simulata (valori in €):
Creditori | Credito iniziale | Classe | Percentuale pagata | Importo pagato (piano) | Tempistica pagamento |
---|---|---|---|---|---|
Banca A (mutuo ipotec.) | 80.000 | (Fuori concorso) | 100% (no falcidia) | Rate come da contratto | ~€3k subito (arretrati), poi normale (5 anni restanti) |
Dipendente (salari/TFR) | 5.000 | Privilegiata (no voto) | 100% | 5.000 | Entro 3 mesi dall’omologa (prededotto) |
INPS (contributi) | 8.000 | Priv. – Classe 2 | 100% | 8.000 | Entro 6 mesi dall’omologa |
Erario – IVA/ritenute | 15.000 | Priv. – Classe 1 | 50% | 7.500 | Entro 12 mesi dall’omologa |
Erario – sanz./int. | 10.000 | Chirografo (Classe 4A) | 0% | 0 | Stralciati (nessun pagamento) |
Erario – altre imposte | 15.000 | Chirografo (Classe 4A) | 30% | 4.500 | In 4 anni (rate semestrali) |
Banca B (prestito) | 30.000 | Chirografo (Classe 4B) | 30% | 9.000 | In 4 anni (rate semestrali) |
Fornitori generici | 35.000 (aggregato) | Chirografo (Classe 4B) | 30% | 10.500 (totale pro-rata) | In 4 anni (rate semestrali) |
Fornitore strategico | 15.000 | Chirografo (Classe 5) | 50% | 7.500 | In 4 anni (rate semestrali, privilegiato nella percentuale) |
Parente (prestito) | 10.000 | Chirografo (Classe 4B) | 30% | 3.000 | In 4 anni (rate semestrali) |
Finanziatore terzo | – (nuovo credito post) | – | – | Apporta 20.000 (rimborsato solo se surplus) | €20.000 all’omologa come finanza esterna |
Nella tabella sopra vediamo che la somma dei pagamenti concordatari è 5k + 8k + 7.5k + 4.5k + 9k + 10.5k + 7.5k + 3k = 55k (arrotondato). Questo è coperto in parte dall’apporto di €20k e per €35k dai flussi operativi futuri. La banca ipotecaria continua fuori. Il finanziatore terzo che mette 20k in pratica entra come postergato: se tutto va bene, Mario magari lo restituirà dopo aver pagato i creditori, ma non è obbligo del concordato farlo (solitamente lo si considera contributo a fondo perduto o comunque subordinato, quindi non appare come debito concorsuale).
Esito atteso: Una volta eseguito il piano (i creditori hanno ricevuto quanto dovuto nelle rate), Mario rimane con:
- Mutuo ipotecario ancora da finire di pagare (ma come debitore in bonis, con magari altri 5 anni di mutuo).
- L’attività salvata, il capannone ancora suo.
- Tutti gli altri debiti pregressi cancellati (ha pagato solo il 30% o 50%, il resto è esdebitato).
- I rapporti con fornitori non troppo compromessi (uno ha preso 50%, altri 30% ma vedono che almeno qualcosa hanno avuto in tempi certi, anziché un fallimento con forse nulla).
- Il dipendente soddisfatto e mantenuto a bordo.
- Nessuna azione esecutiva sul groppone e la possibilità di continuare con nuova sostenibilità (ha ridotto l’indebitamento totale drasticamente, da 223k a circa 80k del mutuo + eventuale debito morale verso amico).
Questo esempio mostra come un concordato minore possa combinare continuità aziendale (nessuna liquidazione dell’immobile né cessazione dell’attività) con soddisfazione parziale dei creditori grazie a contributo di terzi e redditività futura. Si noti l’utilizzo delle novità normative: mantenimento del mutuo prima casa (se consideriamo il capannone come bene funzionale all’attività familiare, quasi prima casa), e il cram down fiscale che sarebbe disponibile se l’Erario avesse bloccato (in questo caso non strettamente necessario, ma un paracadute nel caso quella classe fosse stata determinante).
Esempio 2: Concordato minore liquidatorio con finanza esterna (professionista)
Consideriamo un altro scenario: Luisa Bianchi, avvocato individuale (professionista non fallibile), con debiti principalmente fiscali e bancari, decide di chiudere lo studio e liquidare il patrimonio, ma vuole evitare la liquidazione controllata cercando di fare un accordo con i creditori che includa un supporto economico da parte della famiglia.
- Debiti: Agenzia Entrate €120.000 (IVA, IRPEF e relative sanzioni), Banca €50.000 (prestito personale senza garanzie), Cassa Forense €20.000 (contributi pensione arretrati), fornitori vari dello studio €10.000, locatore ufficio €5.000 (canoni arretrati), un dipendente segretaria €5.000 TFR.
- Attivo: pochi beni: arredi e PC €5.000 valore realizzo, crediti verso clienti €10.000 (difficili da incassare), nessun immobile di proprietà, auto personale €8.000. Totale realizzi forzati stimabili ~€23.000 lordi.
- La famiglia di Luisa (genitori) è disposta a mettere sul piatto €50.000 in contanti per aiutarla a chiudere i debiti.
Luisa propone un concordato minore liquidatorio, cioè intende sostanzialmente offrire ai creditori la somma di €50.000 fornita dai familiari, più i proventi della liquidazione dei pochi asset (€23.000), per un totale di circa €73.000, da distribuire subito e chiudere le pendenze. In cambio chiede l’esdebitazione (fresh start).
L’alternativa sarebbe la liquidazione controllata: i creditori otterrebbero solo i €23.000 (meno spese procedura forse 20.000 netti) – circa un 10% sui 210k di debiti – e Luisa comunque sarebbe esdebitata dopo 3 anni ma con quell’esito magro.
Nel concordato propone di distribuire €73.000 così:
- Debiti con privilegio: qui i privilegiati sono la dipendente (€5k) e eventualmente parte dei debiti fiscali (IVA €30k, ritenute €10k, contributi Cassa Forense €20k sono privilegiati sui mobili per il 50%). Dunque:
- Pagare 100% dipendente = €5.000.
- Pagare parzialmente i contributi Cassa: offrire €10.000 su €20.000 (50%).
- Pagare IVA e ritenute (privilegio) parzialmente: offrire €15.000 su €40.000 (37,5%).
- Totale privilegiati pagati ~€30.000 (5k+10k+15k).
- Chirografari: restano Fisco parte chirografa (imposte dirette al netto IVA/ritenute e sanzioni, circa €80k), la banca €50k, fornitori €10k, locatore €5k, sanzioni tributi €40k. Totale chirografo ~€185k.
- Distribuire ai chirografari i restanti €43.000 disponibili su €185.000 = circa 23% di soddisfo medio.
I creditori pubblici (Erario e Cassa) starebbero in classi separate. L’Erario totale (120k) riceverebbe €15k (su 40k privilegio) + €18k (23% di 80k chirografo) = €33k ~27.5%. In liquidazione prendeva forse 0 o poche migliaia. Cassa Forense riceve 50% invece di forse 0 in liqu. Banca riceve 23% invece di ~10%. Fornitori/locatore 23% vs ~10%. Dipendente 100% vs ~ forse 60% dal fondo (fondo di garanzia copre TFR? Sì se liquidazione, ma preferiamo pagare noi integrale).
Struttura classi e voti:
- Classe 1: Dipendente (non vota, 100%).
- Classe 2: Cassa Forense priv (50%) – presumibilmente favorevole (meglio 50% subito che inseguire la persona in liquidazione).
- Classe 3: Erario priv (IVA/ritt) 37.5% – forse contrario (ma ha 40k su tot 185k).
- Classe 4: Chirografari Erario (imposte, sanz) 23% – contrario.
- Classe 5: Chirografari banca+fornitori+locatore 23% – questi creditori privati probabilmente votano sì (anche la banca potrebbe dire ok visto scenario).
- Maggioranza di valore: Tot debiti al voto ~ (togli dip 5k) 205k. Favorevoli attesi: Cassa 20k + banca/fornit/loc 65k = 85k su 205k = 41% => non raggiunge 50%. Ma includendo il fatto che Erario possiede 120k, se ovviamente dice no, siamo fermi a 41%. In questo scenario, l’adesione dell’Erario è decisiva perché da solo ha il 58.5%. Quindi si rientra nel caso classico di Erario decisivo negativo.
- Il giudice potrà allora applicare cram down se ritiene la proposta conveniente. Ed è conveniente: Erario 27.5% vs (in liquidazione stima 0% – perché 23k tot attivo, e altri privilegiati prima di lui, ergo improbabile nulla).
- Quindi, benché formalmente la maggioranza di voti non c’è (41% sì), il tribunale può comunque omologare ex art. 80 co.3 CCII superando il no del Fisco perché “adesione decisiva e proposta conveniente”. L’OCC evidenzierà che anche pagando 27.5%, l’Erario riceve più di quanto verrebbe dalla liquidazione (dove dopo spese e privilegiati più meritevoli, probabilmente zero).
Il decreto di omologa quindi verrebbe presumibilmente emesso nonostante il diniego erariale, motivando che il Fisco ha abusato del proprio veto e la percentuale offerta è ragionevole.
Risultato: Luisa liquida i pochi beni (nel frattempo già venduti mobili e incassati crediti), distribuisce insieme ai €50k di famiglia l’importo concordato di €73k secondo il piano, dopodiché ottiene l’esdebitazione del residuo (circa €137k cancellati). I genitori di Luisa le hanno “regalato” €50k – un sacrificio, ma minore di pagare tutti i debiti – e lei può ripartire con una nuova vita professionale senza pesi finanziari pregressi. Il Fisco e gli altri hanno accettato un taglio, ma hanno ottenuto in mano liquidi subito, evitando lunghe attese e spese. La giustizia è soddisfatta perché i creditori hanno avuto più di ciò che avrebbero visto altrimenti, e la debitrice meritevole ha avuto una seconda chance.
Questi esempi numerici dimostrano come, mediante il concordato minore, si possano combinare risorse interne ed esterne per offrire ai creditori una soluzione di compromesso (parziale pagamento) preferibile al caos o alla liquidazione integrale, il tutto sotto controllo del tribunale e con la garanzia finale di liberazione dai debiti. Ogni caso reale avrà le sue peculiarità, ma la logica rimane: presentare un piano realistico e conveniente rispetto alle alternative, tenendo conto delle priorità legali e guadagnando il consenso delle varie classi di creditori, con eventuale ausilio del giudice per vincere resistenze ingiustificate di creditori pubblici.
Domande frequenti (FAQ) sul concordato minore
Di seguito rispondiamo ad alcune domande comuni che imprenditori, professionisti (o anche consulenti) possono porsi riguardo al concordato minore, per chiarire dubbi pratici e operativi.
D: Chi può accedere al concordato minore?
R: Possono accedere al concordato minore solo i debitori “non fallibili” che non siano consumatori. In pratica: piccoli imprenditori sotto le soglie di fallibilità (attivo ≤ €300.000, ricavi ≤ €200.000, debiti ≤ €500.000), imprenditori agricoli di qualsiasi dimensione, professionisti (avvocati, medici, ecc.), start-up innovative, enti non profit indebitati, e in generale tutti i soggetti esclusi dal fallimento. I consumatori persone fisiche (che hanno debiti personali, familiari) devono invece usare la diversa procedura del piano di ristrutturazione del consumatore. Ricordiamo inoltre che il debitore non dev’essere già stato esdebitato di recente (non negli ultimi 5 anni) né aver frodato i creditori. Se il debitore è un ex imprenditore che ha cessato l’attività e cancellato la partita IVA, attualmente l’orientamento esclude l’accesso al concordato minore, dovendo quel soggetto ricorrere semmai alla liquidazione controllata.
D: Qual è la differenza tra concordato minore e concordato preventivo?
R: Il concordato preventivo è la procedura di ristrutturazione riservata alle imprese soggette a fallimento (ora liquidazione giudiziale), quindi tipicamente società di dimensioni medio-grandi o imprenditori oltre certe soglie. Il concordato minore è un istituto parallelo ma semplificato, destinato ai piccoli operatori e con regole tarate su essi. Le differenze principali:
- Il concordato minore coinvolge l’OCC anziché il commissario giudiziale; si svolge con formalità ridotte e spesso senza adunanza di creditori (voto per iscritto).
- Nel concordato preventivo esistono requisiti come l’attestatore indipendente e norme più dettagliate su piani in continuità vs liquidatori; nel minore c’è maggiore flessibilità (contenuto libero) e l’OCC stesso fa la relazione di attestazione.
- Il concordato minore applica in parte le norme del concordato preventivo (per esempio sulle percentuali di voto, classi, effetti etc.), ma alcune procedure sono semplificate e i costi inferiori in proporzione.
- Un aspetto procedurale: nel concordato preventivo le spese di procedura (commissari, ecc.) possono essere ingenti, nel minore l’unico compenso rilevante è quello dell’OCC, spesso calmierato per legge.
- Il concordato preventivo non prevede l’intervento obbligatorio di finanza esterna (anche se comune in prassi), mentre nel minore spesso è la norma vedere apporti di terzi per colmare il gap, specie nei liquidatori.
- Entrambe le procedure, una volta omologate, vincolano tutti i creditori e portano all’esdebitazione, ma il concordato minore è inserito nel contesto del sovraindebitamento, con strumenti peculiari come la possibile procedura familiare o l’esdebitazione dell’incapiente.
In sintesi, il concordato minore è una versione “su misura” del concordato preventivo per i piccoli debitori, con meno formalità e un ruolo centrale dell’OCC invece del tribunale in ogni fase.
D: Quali documenti servono per presentare la domanda di concordato minore?
R: Bisogna preparare un dettagliato dossier contenente principalmente:
- La proposta di concordato e il piano (che spiegano come si intende superare la crisi, con tempi e modi di pagamento dei creditori).
- Una relazione esplicativa sulle cause dell’insolvenza e sulla fattibilità della proposta.
- L’elenco dei creditori con i relativi importi e cause di prelazione.
- L’elenco dei beni del debitore e degli atti di disposizione compiuti di recente (ultimi 5 anni).
- I bilanci degli ultimi 3 anni o dichiarazioni dei redditi (per persone fisiche/professionisti).
- Le certificazioni fiscali e contributive (debiti tributari da Agenzia Entrate, carichi presso Agenzia Riscossione, DURC contributivo).
- Lo stato di famiglia (se può rilevare per procedura familiare o coobbligati).
- Fondamentale: la relazione dell’Organismo di Composizione della Crisi (OCC) che attesta veridicità dei dati e convenienza del piano.
In pratica serve mappare completamente la situazione economica e patrimoniale del debitore e formulare un piano credibile con il supporto di un OCC. La mancanza di documenti essenziali (ad es. lista creditori o relazione OCC) rende inammissibile la domanda.
D: Cosa succede dopo aver presentato la domanda?
R: Il tribunale esamina la domanda e, se completa e ammissibile, emette un decreto di apertura della procedura di concordato minore. Contestualmente, su richiesta del debitore, vengono sospese tutte le azioni esecutive individuali dei creditori (misure protettive). L’OCC provvede a inviare a tutti i creditori la proposta e il decreto di apertura. Viene fissato un termine entro cui i creditori devono esprimere il loro voto (di solito entro 30 giorni) sul piano proposto. Il voto avviene in forma scritta (PEC, raccomandata o portale telematico). Successivamente, se i creditori approvano a maggioranza (per valore e per classi), il tribunale tiene un’udienza di omologazione. Se ci sono creditori o enti contrari, in quell’udienza il giudice valuta eventuali opposizioni o applica il cram down (specie per il Fisco). Infine, se tutto è regolare, viene emesso il decreto di omologa che rende definitivo l’accordo e vincola tutti. Da lì il debitore deve eseguire il piano.
D: Durante la procedura i creditori possono pignorare o aggredire i beni?
R: No, a decorrere dal provvedimento con cui il tribunale “apre” la procedura e concede le misure protettive, i creditori non possono iniziare né proseguire azioni esecutive individuali né iscrivere ipoteche giudiziali. Se c’erano pignoramenti in corso, vengono sospesi. Questa protezione dura sino all’omologazione (o al rigetto) e viene meno solo se la procedura fallisce. Dunque il debitore è al riparo da assalti individuali mentre negozia e attua l’accordo. Fanno eccezione solo i crediti non soggetti a moratoria per legge (es. obblighi alimentari, in ogni caso di solito non rilevanti qui). Va ricordato che il debitore sotto procedura non può nemmeno autonomamente disporre liberamente dei suoi beni oltre l’ordinaria amministrazione: ogni atto straordinario deve essere autorizzato dal giudice, proprio per preservare la garanzia patrimoniale finché i creditori non ricevono quanto dovuto dal piano.
D: La mia azienda/attività può continuare a operare durante il concordato minore?
R: Sì, il debitore conserva l’amministrazione dei suoi beni ed è libero di proseguire la propria attività nel corso della procedura, sotto la supervisione dell’OCC e del tribunale. L’importante è che non compia atti straordinari senza autorizzazione (ad es. vendere macchinari, cedere immobili, indebitarsi ulteriormente). Ma per quanto riguarda la gestione corrente – produzione, vendita, pagamento forniture correnti, stipendi – può e deve proseguire, specie se il piano è in continuità e prevede i flussi dell’attività per pagare i creditori. Spesso il tribunale, quando apre la procedura, impartisce anche disposizioni per assicurare che l’attività prosegua regolarmente (ad esempio autorizzando la contrazione di un finanziamento prededucibile se serve liquidità di esercizio, o il pagamento di fornitori strategici di breve termine). Quindi l’azienda non viene bloccata, anzi l’intento del concordato minore è proprio consentire la continuazione dell’attività imprenditoriale o professionale “pulita” dai debiti pregressi. Nel periodo interinale, però, l’OCC controllerà che non si verifichino distrazioni di risorse e che si rispettino eventuali vincoli posti (es. destinare tutti gli incassi straordinari alla massa, ecc.).
D: Servono soldi esterni (finanza esterna) per fare un concordato minore?
R: Non necessariamente, ma nella pratica è spesso necessario un apporto di risorse esterne. La legge non impone obbligatoriamente una percentuale minima di soddisfo (nemmeno per il Fisco, se giustificato), però il piano deve risultare più conveniente della liquidazione controllata. Se il patrimonio del debitore è modesto, per rendere la proposta appetibile può essere determinante l’intervento di terzi (parenti, soci, finanziatori) che mettano liquidità o garanzie. Soprattutto nei casi in cui il debitore voglia conservare dei beni essenziali (es. la casa, o i macchinari per proseguire l’attività) e non venderli tutti, la finanza esterna compensa quello che i creditori non otterrebbero dalla liquidazione di quegli asset. Detto ciò, non è un obbligo legale: se il debitore ha già sufficiente attivo da distribuire (o se i creditori accettano di ricevere poco perché altrimenti avrebbero nulla), può anche non esserci finanza esterna. Ogni caso è a sé. Diciamo che in un concordato minore liquidatorio, l’apporto di terzi è quasi indispensabile per convincere i creditori (perché altrimenti tanto varrebbe la liquidazione); in un concordato in continuità, la finanza esterna può essere anche solo costituita dal valore attuale dei futuri utili generati dall’attività.
D: Come viene pagato l’Organismo di Composizione della Crisi (OCC) e quanto costa tutta la procedura?
R: L’OCC ha diritto a un compenso per l’opera prestata, che viene di regola stabilito dal giudice in base alle tariffe ministeriali (DM 202/2014) e pagato in prededuzione nella procedura. Significa che il costo dell’OCC è a carico del debitore (viene considerato spesa della procedura da soddisfare prima dei creditori concorrenti). Gli importi variano in base alla complessità e all’attivo/passivo coinvolto, ma per dare un’idea: nelle procedure minori il compenso OCC spesso si attesta tra il 4% e l’8% dell’attivo distribuito, con un minimo tabellare. Ad esempio, se un artigiano offre €50.000 ai creditori, l’OCC potrebbe avere un compenso attorno a qualche migliaio di euro. Questi importi vengono preferibilmente accantonati subito o pagati in corso d’opera. A parte l’OCC, gli altri costi sono: contributo unificato (per la domanda di circa €98), eventuali bolli, e se il piano è complesso magari i costi per consulenze (es. perizie di stima). Non c’è un curatore da pagare (a meno che poi la procedura si converta in liquidazione). In generale il costo complessivo del concordato minore è molto inferiore a quello di un fallimento o di un concordato preventivo, proprio perché semplificato e senza organi collegiali. Ad esempio, non c’è un comitato creditori da convocare, ecc. Comunque, il debitore dovrebbe valutare con l’OCC prima se la massa attiva consente di coprire almeno le spese: un minimo di risorse deve esserci, altrimenti c’è l’altra opzione dell’esdebitazione “incapiente” (gratuita ma solo se davvero non c’è niente da distribuire).
D: I creditori devono essere tutti d’accordo? Cosa succede se qualcuno non ci sta?
R: Non serve l’unanimità, anzi è fisiologico che qualcuno sia scontento. Per l’approvazione è sufficiente la maggioranza (più del 50% dei crediti votanti, calcolati come valore) e, se ci sono classi, la maggioranza in numero di classi. Quindi basta che un gruppo di creditori detentori di oltre metà dei crediti accetti, per trascinare dentro tutti gli altri. Se qualche creditore vota no, ma la maggioranza è raggiunta, il dissenso viene superato: quel creditore sarà comunque vincolato dal concordato omologato e riceverà solo quanto previsto dal piano, senza poter pretendere di più. Unica eccezione: il tribunale deve verificare che i creditori dissenzienti non siano trattati in modo deteriore rispetto all’alternativa liquidatoria (c.d. “cram down giudiziale di fairness”). In caso di dissenso da parte di creditori pubblici (Erario, INPS) che impedirebbe la maggioranza, il giudice può comunque omologare forzatamente se la proposta verso di loro è ragionevole. Quindi, in sintesi: non occorre il sì di tutti; la legge permette di vincolare i contrari, purché il piano sia globalmente equo. Ad esempio, se la banca dice no ma tutti gli altri sì, e la banca avrebbe preso meno in fallimento, il giudice ignorerà il “no” della banca e omologherà comunque. Dopo l’omologa, tutti i creditori anteriori restano vincolati e non possono più agire per pretese ulteriori. I soli a non essere toccati dal concordato minore sono gli eventuali garanti o coobbligati del debitore: un fideiussore ad esempio rimane obbligato per intero, salvo diverso accordo (il creditore potrà escuterlo per la parte non pagata dal concordato).
D: E se i creditori non approvano?
R: Se non si raggiunge la maggioranza necessaria, il concordato minore non viene approvato e quindi il tribunale non può omologarlo. A quel punto, generalmente, il debitore può richiedere la conversione in liquidazione controllata, aprendo immediatamente la procedura liquidatoria in cui verrà nominato un liquidatore che venderà i beni. Questo consente di risolvere comunque l’insolvenza, sebbene in modo più penalizzante per il debitore (perde i beni, e deve attendere 3 anni per l’esdebitazione). Il passaggio a liquidazione su istanza del debitore è quasi automatico se il concordato fallisce. Se invece il debitore decide di non voler la liquidazione e di tentare altre strade informali, la procedura verrebbe chiusa e i creditori riacquisiscono libertà di azione (il che raramente è utile al debitore). In pratica, se il piano non passa, molto spesso il risultato è che si finisce comunque in una procedura di liquidazione giudiziale (ex fallimento per i soggetti fallibili) o liquidazione controllata (per i non fallibili). Va anche detto che il debitore può ritirare la proposta prima del voto se fiuta che non verrà approvata, e allora magari presentare una proposta modificata. C’è spazio per aggiustamenti: ad esempio, se l’OCC rileva che coi numeri presentati i creditori non sarebbero convinti, il debitore può integrare con più risorse o modificare classi prima che il giudice apra la votazione. Una volta bocciato, però, l’unica via è come detto la liquidazione (il CCII non consente di presentare un’altra proposta di concordato minore dopo che una è stata respinta, se non dopo 5 anni credo, ma comunque il contesto andrebbe al default di liquidazione).
D: Cosa succede se dopo l’omologa il debitore non paga qualche rata o non rispetta il piano?
R: Se il debitore non adempie agli obblighi del piano e l’inadempimento è significativo, i creditori o l’OCC possono chiedere al tribunale di dichiarare la risoluzione del concordato. La risoluzione fa venire meno gli effetti esdebitativi: sostanzialmente, il concordato si scioglie e i creditori riacquistano i loro diritti per intero (meno quanto eventualmente già incassato durante l’esecuzione). A quel punto, il debitore di nuovo insolvente tipicamente finirà in liquidazione controllata (può chiederla contestualmente). Per evitare la risoluzione, la legge consente una certa flessibilità: il giudice può fissare un termine per compiere gli atti dovuti e adempiere. Ad esempio, se il debitore salta una rata per difficoltà temporanea, ma poi recupera, il giudice può soprassedere alla risoluzione. Solo se appare che il piano è proprio naufragato (es. il debitore non paga più da un anno, o non è riuscito a vendere un bene essenziale) allora si risolve. Da notare: la risoluzione non toglie retroattivamente gli effetti degli atti già compiuti (i creditori tengono le somme ricevute), ma possono a loro volta pretendere il resto. Inoltre, la risoluzione non pregiudica il diritto all’esdebitazione finale tramite liquidazione: il debitore potrà ancora liberarsi dei debiti, però dovrà passare per la liquidazione e attendere i 3 anni. Se la mancata esecuzione dipende da frode del debitore (aveva falsificato dati etc.), si può anche arrivare all’annullamento del concordato (più grave, per dolo) e ad azioni di responsabilità verso di lui.
D: Quali debiti restano comunque, non si cancellano con il concordato?
R: L’omologazione e la successiva esecuzione del concordato minore liberano il debitore da tutti i debiti concorsuali residui non soddisfatti. Non ci sono categorie di debiti che “sopravvivono” all’esdebitazione, a differenza di altri ordinamenti. Ad esempio, anche i debiti fiscali vengono definitivamente stralciati per la parte non pagata (non possono più essere reclamati dall’erario). Lo stesso dicasi per contributi, debiti verso banche, fornitori, ecc. Perfino eventuali multe o sanzioni amministrative rientrano e restano cancellate una volta eseguito il piano. Vale l’eccezione generale che l’esdebitazione non riguarda i coobbligati e fideiussori: questi restano obbligati. Inoltre, se un debito è escluso per legge dal concorso perché impignorabile (es. obblighi alimentari verso figli) non viene toccato e dunque neppure cancellato: ma parliamo appunto di debiti personali che già non entrano nel piano. Nel complesso, il concordato minore offre una liberazione totale dai debiti pregressi, comparabile a quella di un fallimento, ma senza lo stigma del fallimento e con la possibilità di conservare l’attività o parte del patrimonio.
D: Il concordato minore ha effetti sul casellario giudiziale o su reati di bancarotta?
R: Il concordato minore non è una dichiarazione di fallimento, quindi non dà luogo a reati fallimentari. Se il debitore ha compiuto in passato atti di distrazione o irregolarità, potrebbe aver commesso reati comuni (truffa, false comunicazioni se società, ecc.) ma non “bancarotta” in senso tecnico, in quanto la bancarotta si applica solo con l’apertura del fallimento/liquidazione giudiziale. Il concordato minore è una procedura civile che quindi evita l’imputazione di bancarotta fraudolenta o semplice, che altrimenti potrebbe scattare in una liquidazione giudiziale. In altre parole, uno dei vantaggi per l’imprenditore è anche di ridurre il rischio penale connesso all’insolvenza, purché ovviamente agisca lealmente (se commette reati durante la procedura – es. sottrae beni dopo la domanda – ne risponderà). Quanto al casellario giudiziale, l’apertura di una procedura da sovraindebitamento non è un fatto iscritto nel casellario (quello riporta condanne penali, misure di sicurezza, etc.). Può comparire invece in alcune banche dati economiche (es. Centrali Rischi private) e sicuramente nel Registro delle Imprese per gli imprenditori (viene pubblicato l’avvio e l’omologa). Ma non è un marchio d’infamia penale. Infine, notiamo che se il debitore aveva commesso reati tributari (es. omesso versamento IVA) o contributivi prima, il concordato non estingue quei reati, a differenza del fallimento dove in certi casi la bancarotta può assorbire. Ad esempio, l’omesso versamento IVA sopra soglia resta perseguibile anche se poi l’IVA è falcidiata nel concordato. Ci sono proposte di legge per equiparare la falcidia concordataria al pagamento ai fini estintivi, ma al momento chi fa concordato minore e ha commesso quel reato dovrà affrontare il procedimento penale e magari patteggiare. Questo è un aspetto da valutare con i legali.
D: Dopo quanto tempo dalla fine del concordato minore posso essere considerato “affidabile” finanziariamente?
R: Una volta concluso con successo il concordato minore e ottenuta l’esdebitazione, il debitore è libero dai debiti pregressi e può intraprendere nuove attività senza quelle zavorre. Il suo nominativo però potrebbe rimanere nelle banche dati dei cattivi pagatori (CRIF, Centrale Rischi Bankitalia) per qualche tempo a memoria storica degli inadempimenti passati. La segnalazione nei sistemi privati di solito dura 36 mesi dal momento in cui si è sanata la posizione; quella in Centrale Rischi dipende dall’aggiornamento mensile delle banche. L’omologa del concordato, soprattutto se comporta stralci significativi, viene vista un po’ come un “accordo transattivo”: non è un fallimento (che porterebbe a 5 anni di pregiudizio in CR), ma comunque evidenzia che i creditori hanno subito perdite. Quindi, realisticamente, per riottenere credito dalle banche potrebbe volerci qualche anno di dimostrazione di affidabilità (pagando puntuale eventuali nuove esposizioni e mostrando bilanci sani). Dal punto di vista legale, non c’è alcuna restrizione a contrarre nuovi prestiti o avviare nuove società dopo l’esdebitazione: il debitore è come rinato economicamente. Alcuni fornitori o partner potrebbero essere cauti sapendo del precedente concordato – è inevitabile – ma molto dipende dalla singola situazione e dal settore. In definitiva, superato il concordato minore, il debitore ha diritto a un fresh start e può affermare di aver risolto le proprie pendenze in modo regolamentato. Ciò spesso è percepito meglio di un fallimento, segno di responsabilità nel gestire la crisi. Anche a livello reputazionale, avere seguito una procedura di concordato minore può far capire a terzi che si è scelto di affrontare i debiti in modo trasparente e disciplinato piuttosto che lasciare insoluti. Dunque, dopo qualche tempo, è possibile riaccreditarsi. La legge stessa incoraggia la “remissione” dell’ex debitore: ad esempio, chi ha concluso un concordato minore può partecipare a gare e contratti pubblici senza essere automaticamente escluso (mentre un fallito necessitava riabilitazione).
D: Se ho principalmente debiti fiscali, l’Agenzia delle Entrate non preferisce la “transazione fiscale” invece del concordato?
R: Per i soggetti che possono accedere al concordato preventivo “maggiore”, esiste l’istituto della transazione fiscale (art. 63 CCII) che consente un accordo specifico col Fisco all’interno del concordato. Nel concordato minore, invece, non è prevista una separata transazione fiscale: il trattamento dei debiti tributari si fa nell’ambito della proposta generale, con il meccanismo delle classi e dell’eventuale cram down. Quindi il debitore non deve presentare un’istanza separata all’AdE di trattativa: formula direttamente nella proposta le percentuali e dilazioni per l’Erario. Sarà poi l’Agenzia a decidere il voto. In pratica, il concordato minore incorpora al suo interno la funzione di transazione fiscale. L’Agenzia valuterà la convenienza e generalmente segue le proprie linee guida (che spesso richiedono almeno pagamento integrale IVA/ritenute salvo eccezioni, ecc.) ma non ha un veto assoluto: se vota no ingiustificatamente, il giudice può scavalcarne il dissenso. Dunque per piccoli imprenditori e professionisti sovraindebitati, il concordato minore è spesso preferibile a cercare accordi ad hoc col Fisco (che sarebbero comunque difficili fuori da una procedura, poiché l’Agenzia formalmente al di fuori del CCII non può rinunciare a imposte e interessi se non con strumenti come saldo e stralcio legislativi). In sintesi, se i debiti principali sono tributari, il concordato minore è fattibile ma va costruito con attenzione perché l’Erario è un creditore “pesante”: bisogna mostrargli che sta ottenendo il massimo ragionevole e che l’alternativa (liquidazione, pignoramenti) è peggiore. Se ciò è vero, anche senza transazione formale il risultato è ottenibile tramite omologazione giudiziale.
Implicazioni fiscali e tributarie del concordato minore
La conclusione di un concordato minore comporta una serie di conseguenze in ambito fiscale che è opportuno evidenziare, sia riguardo ai debiti tributari oggetto del concordato sia riguardo agli effetti sul reddito imponibile del debitore (sopravvenienze attive da riduzione dei debiti).
Trattamento dei debiti fiscali nel concordato minore
Come già spiegato, nel concordato minore tutti i debiti verso il Fisco possono essere ristrutturati, incluse IVA e ritenute. Questo rappresenta una differenza fondamentale rispetto al passato: fino al 2019 vigeva un divieto di falcidia dell’IVA e delle ritenute nei piani da sovraindebitamento, che è stato eliminato dalla Corte Costituzionale e poi dal nuovo Codice. Oggi dunque l’Agenzia delle Entrate può legalmente accettare (o vedersi imporre) una rinuncia a parte del credito IVA in un concordato minore senza violare il diritto UE, in quanto la Corte Cost. ha chiarito che la procedura concorsuale assicura parità di trattamento e che una falcidia motivata dall’insolvenza non costituisce aiuto di Stato né violazione del principio di neutralità IVA.
In pratica, dal punto di vista del debitore:
- Può inserire i debiti tributari nell’accordo proponendo anche pagamenti parziali o dilazioni lunghe, senza dover passare da strumenti esterni (non serve chiedere separatamente una dilazione amministrativa né una transazione fiscale ad hoc: il tutto avviene nel concordato stesso). Ad esempio, può offrire di pagare il 40% del totale delle cartelle esattoriali, con stralcio di sanzioni e interessi.
- Deve però classare separatamente tali debiti e tener conto che l’Amministrazione Finanziaria voterà secondo le proprie valutazioni di convenienza. È noto che l’AdE segue linee interne: di regola vota sì se la proposta le dà almeno quanto otterrebbe da liquidazione; vota no se rileva elementi di abuso o se la percentuale è bassa potendo magari perseguire meglio il debitore altrove. Tuttavia, in sede di omologazione, come visto, il giudice può superare un no pretestuoso.
Per il trattamento fiscale interno del piano, valgono alcune regole:
- Le sanzioni amministrative tributarie (es. sanzione per tardivo versamento) possono essere falcidiate liberamente. In molti casi l’AdE stessa, se aderisce, preferisce chiedere il pagamento dell’imposta e rinunciare alle sanzioni. Quindi spesso il piano prevede il pagamento integrale o alto dell’IVA e lo stralcio totale delle sanzioni. Questo è generalmente accettato.
- Gli interessi moratori sulle cartelle o sui debiti erariali possono anch’essi essere ridotti o azzerati, trattandosi di crediti chirografari (salvo interessi su IVA che godono di privilegio per un anno). Anche qui, usualmente, l’Erario non insiste sugli interessi se ottiene una percentuale decente del capitale.
- L’IVA detraibile per i clienti del debitore non subisce effetti: se il debitore non la versa interamente, ciò non va a toccare i diritti a detrazione dei suoi clienti (che rimangono validi, avendo la Corte di Giustizia UE riconosciuto che l’inadempimento IVA per insolvenza non incide sul meccanismo, essendo un caso di inesigibilità).
- Importante: se parte del debito IVA è stralciato, non si può più esigere da nessuno. Ad esempio, se Tizio aveva omesso di versare IVA incassata dai clienti e nel concordato gliene viene condonata una quota, lo Stato “ci rimette” quella somma, ma non potrà rivalersi sui clienti (che l’hanno già detratta) né su Tizio successivamente. È una perdita che lo Stato assorbe come costo del fallimento pilotato. Questo era il nodo del vecchio divieto, ora risolto accettando che la perdita IVA in concorso è fisiologica e compatibile col diritto UE purché la procedura sia aperta a tutti i creditori (Corte Cost. 245/2019).
- L’adesione dell’ente pubblico: Agenzia Entrate Riscossione (ADER) partecipa di solito su mandato dell’AdE e degli enti creditori. Se la maggioranza approva e il giudice omologa, ADER è tenuta a stornare le somme stralciate dal ruolo. Le cartelle esattoriali per la parte residua diventano inesigibili per provvedimento dell’autorità giudiziaria.
Tassazione delle sopravvenienze attive da riduzione dei debiti
Quando un debitore ottiene una cancellazione parziale dei propri debiti, dal punto di vista fiscale si genera in astratto una sopravvenienza attiva: egli si “arricchisce” della parte di debito non più dovuta. Ad esempio, se aveva un debito di €100.000 e grazie al concordato ne paga €30.000, i €70.000 risparmiati sono un beneficio patrimoniale.
Il Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR), art. 88, comma 4-ter, stabilisce però una regola di esenzione: le sopravvenienze attive derivanti da concordati preventivi (o fallimentari) e da accordi di ristrutturazione omologati NON concorrono a formare il reddito imponibile. Questa norma è stata estesa a tutte le procedure di risanamento dalla riforma del 2020, includendo espressamente anche le procedure di sovraindebitamento (concordato minore e piano del consumatore). Dunque:
- Il debitore impresa o professionista non dovrà pagare imposte sui redditi per la parte di debito perdonata dai creditori nel concordato minore. Non si genera reddito tassabile (in gergo, la sopravvenienza attiva da esdebitazione è “detassata”).
- Ciò vale sia ai fini IRES/IRPEF che IRAP. Ad esempio, se un’impresa individuale contabilmente rileva 100k di debiti verso fornitori e li riduce a 30k per concordato, quei 70k non saranno tassati.
- L’esenzione copre tutte le tipologie di debiti ridotti: commerciali, finanziari e anche tributari. Quindi paradossalmente, il debitore non paga tasse neppure sul debito fiscale condonato (non c’è una “tassa sul condono” interna).
- Questa disposizione di favore mira a non vanificare l’obiettivo risanatorio: se fosse tassato il “guadagno” derivante dal taglio dei debiti, il debitore potrebbe trovarsi con un fardello fiscale immediato e tornare in crisi. Il legislatore ha quindi escluso tali effetti, coerentemente con la logica di dare un fresh start pulito.
Un esempio concreto: nel nostro Esempio 1 Mario falcidiava debiti per €140.000 circa. Se fosse tassato come persona fisica su 140k “guadagnati”, a aliquota IRPEF poniamo 43% avrebbe ~60k di tasse, vanificando l’operazione. Fortunatamente, art. 88 TUIR lo esenta, quindi Mario non deve dichiarare nulla di imponibile per quell’importo. Allo stesso modo, se era società, non rileva a conto economico o viene sterilizzato extracontabilmente.
Unica attenzione: la norma richiede l’omologazione della procedura per applicare l’esenzione. Quindi, se un debitore trova un accordo stragiudiziale privato con un creditore per ridurre un debito (fuori dalle procedure CCII), quella riduzione sarebbe invece una sopravvenienza tassabile. Ma se avviene in concordato minore omologato, è esente. Questo è un incentivo a passare per le procedure ufficiali.
Dal lato dei creditori, invece, la parte non incassata può generalmente essere dedotta come perdita su crediti (per i creditori business) o semplicemente è una perdita secca (per il Fisco è mancato incasso di entrate). Per gli aspetti IVA: se un fornitore aveva emesso fattura e pagato IVA, e poi incassa dal debitore solo una percentuale, la perdita su quella fattura in alcuni casi potrebbe dar luogo a nota di credito IVA (recupero dell’IVA versata sull’imponibile non incassato). La legge italiana consente la nota di credito IVA in caso di procedura concorsuale conclusa con inesigibilità definitiva del credito. Quindi, dopo l’omologa e l’esecuzione del concordato, un fornitore che ha ricevuto il 30% potrebbe emettere nota di credito per recuperare l’IVA sul 70% non incassato, entro peraltro un anno dall’operazione (norme in evoluzione con recepimento Dir. UE 2020/285). Ciò esula dal debitore ma spiega che il sistema nel complesso cerca di bilanciare: il debitore non paga IVA sui debiti tagliati, ma il fornitore-creditore può recuperare l’IVA che aveva versato al Fisco per quella parte di fattura mai incassata.
Infine, dal punto di vista delle imposte indirette:
- L’omologa del concordato minore è esente da imposta di bollo e registro, in quanto provvedimento giudiziario nell’ambito di procedura concorsuale (cfr. art. 68 D.Lgs. 14/2019 ha esentato atti e provvedimenti relativi alle procedure di regolazione della crisi da imposte).
- Gli atti esecutivi (es. trasferimenti di beni ai creditori se previsti in concordato) godono delle stesse agevolazioni fiscali del concordato preventivo: ad esempio, vendere un immobile ai creditori nell’ambito del piano può fruire di imposta di registro fissa €200 (come avviene per cessioni in esecuzione concordati preventivi, ex art. 150 CCII richiamato).
- Se nel piano interviene un terzo che acquisisce beni del debitore, le imposte relative (registro, IVA) seguiranno il regime proprio dell’atto (ad es. cessione immobili con IVA o registro, a seconda dei casi). Non c’è uno specifico beneficio salvo quello generale di cui sopra per atti verso creditori.
In definitiva, dal punto di vista tributario il concordato minore è trattato in modo favorevole:
- Il debitore non subisce tassazione sulle remissioni di debito.
- Le riduzioni dei debiti fiscali sono possibili e efficaci.
- Gli atti esecutivi della procedura hanno imposte agevolate.
- Permane tuttavia la responsabilità penale per eventuali reati tributari non estinti dal pagamento.
Chi pianifica un concordato minore con importante componente fiscale farà bene a consultare un fiscalista per rifinire i dettagli (es. se conviene includere quelle annualità d’imposta nella procedura o attendere eventuali definizioni agevolate; valutare impatto IVA di eventuali cessioni di beni; etc.). Ma le norme attuali offrono un quadro decisamente incoraggiante: “la falcidia dei debiti è detassata in tutte le soluzioni della crisi”, come titolava efficacemente una rivista specializzata.
Giurisprudenza rilevante (2023-2025)
In questi primi anni di applicazione del Codice della Crisi, diverse pronunce dei tribunali e della Corte di Cassazione hanno affrontato questioni interpretative sul concordato minore, fornendo orientamenti utili. Riportiamo sinteticamente le sentenze e decisioni più significative dal 2023 in poi riguardanti il concordato minore per piccoli imprenditori e professionisti:
- Corte di Cassazione, Prima Presidente, 26 luglio 2023 n. 22699 – Concordato minore e imprenditore cessato. La Cassazione (provvedimento del Primo Presidente su rinvio ex art. 363-bis c.p.c.) ha confermato che un imprenditore individuale che abbia cessato e cancellato l’attività non può accedere al concordato minore, riprendendo un principio già affermato sotto la legge fallimentare. La ratio è che il concordato (sia preventivo che minore) mira al risanamento dell’impresa; se l’impresa è stata deliberatamente chiusa, manca l’interesse da tutelare e resta solo la via liquidatoria. La Cassazione ha richiamato l’art. 33 c.4 CCII che prevede l’inammissibilità della domanda concordataria in caso di imprenditore cessato senza prospettive di ripresa. Ha inoltre osservato che ciò non lede il debitore, poiché comunque può ottenere l’esdebitazione tramite liquidazione controllata in 3 anni. Questa pronuncia ha fatto chiarezza su un dibattito: alcuni tribunali (es. Ancona 2023) avevano inizialmente ammesso concordati di ex imprenditori cessati, ma la Suprema Corte ha posto un netto paletto in senso contrario. Il Decreto correttivo ter 2024 ha allineato il dato normativo a questo orientamento, escludendo espressamente gli imprenditori cessati dai concordati minori e riservando loro la sola liquidazione.
- Tribunale di Milano, decreto 28 febbraio 2023 – Requisiti dimensionali e sovraindebitamento. Una delle prime decisioni sul CCII ha dichiarato inammissibile un concordato minore proposto da una s.n.c. che superava i limiti dimensionali di cui all’art. 2, lett. d) CCII (attivo > €300mila). Il Tribunale ha ribadito che i parametri di fallibilità vanno rigorosamente applicati: un debitore collettivo commerciale sopra soglia non può “scegliere” il concordato minore ma deve semmai ricorrere al concordato preventivo. Questa pronuncia rafforza il concetto di perimetro soggettivo rigido.
- Corte d’Appello di Venezia, decreto 10 ottobre 2024 – Cram down fiscale e abuso dello strumento. Caso: un professionista propone concordato minore offrendo il minimo ai creditori tranne che all’Erario (che subiva drastica falcidia). L’Agenzia Entrate vota contro. Il Tribunale in primo grado aveva omologato lo stesso col cram down, la Corte d’Appello ha invece negato l’omologa, ritenendo che il debitore stesse utilizzando la procedura in modo strumentale solo per cancellare il grosso debito fiscale senza reale piano di prosecuzione. La Corte ha affermato che il giudice non deve sempre e comunque superare il voto negativo del Fisco, ma deve valutare se il dissenso è “obiettivamente ingiustificato” o invece ragionevole rispetto all’interesse pubblico. In tal caso ritenne giustificato: il debitore non offriva sufficiente rispetto alle sue capacità e la finalità di prosecuzione era dubbia. Questo costituisce un importante monito: il cram down fiscale è potere discrezionale del giudice, non atto dovuto; e se si ravvisa un abuso (uso distorto) del concordato minore per finalità elusive, l’omologa può essere rifiutata.
- Corte di Cassazione, Sez. I, 15 febbraio 2023 n. 5006 – (precedente su sovraindebitamento legge 3/2012). Questa sentenza, pur riferita al vecchio accordo di composizione, è stata richiamata perché anticipa un principio ora nel CCII: ha sancito che la falcidia dell’IVA è ammessa nelle procedure di sovraindebitamento, in applicazione diretta della sentenza Corte Cost. 245/2019. La Cassazione già nel 2020 (n. 4329/2020) e con questa pronuncia ha chiarito che l’IVA può essere trattata come gli altri crediti e che il giudice può omologare anche senza adesione erariale se la proposta è più conveniente del fallimento (introducendo di fatto il concetto di cram down ante litteram, poi codificato nell’art. 80 CCII). Questo precedente viene spesso citato per rassicurare che la strada aperta dalla Consulta è ormai giurisprudenza consolidata: “sì allo stralcio IVA per i soggetti non fallibili”.
- Tribunale di Bergamo, sentenza 28 dicembre 2023 n. 264 – Omologa con creditore iperdominante. In un concordato minore liquidatorio, l’Agenzia delle Entrate rappresentava oltre il 50% dei crediti e aveva votato contro, nonostante il piano le riconoscesse la convenienza. Il Tribunale ha applicato l’art. 79 c.1 CCII: se un creditore supera da solo la maggioranza dei crediti, serve anche la maggioranza “per teste” dei votanti perché il piano sia approvato. Nel caso di specie, la maggioranza per teste non c’era (pochi creditori a favore vs uno grosso contro), dunque formalmente il piano non era approvato. Tuttavia, su istanza del debitore, il Tribunale ha comunque omologato il concordato ex art. 80 c.3 CCII, ritenendo il dissenso Erario ingiustificato perché avrebbe ottenuto 15% vs 0% in liquidazione, e dunque abusivo negargli il voto. Questa decisione mostra un uso deciso del cram down: pur in assenza di quorum deliberativo, il giudice ha dato prevalenza alla sostanza economica (convenienza) rispetto al dato formale del voto, in linea col dettato normativo. È un segnale importante: i tribunali sono disposti a “forzare” l’approvazione se è evidente che convenga a tutti i creditori, arginando eventuali tirannie di minoranza di grandi creditori pubblici.
- Tribunale di Nola, decreto 12 giugno 2024 – Procedure familiari e maggioranze. In un sovraindebitamento familiare, marito imprenditore e moglie consumatrice avevano presentato concordato minore congiunto. I creditori dell’imprenditore avevano approvato, quelli della moglie (principalmente banche al consumo) no. Il Tribunale ha osservato che la mancata maggioranza per il consumatore impedisce l’omologa della parte consumer, e di riflesso ha rigettato l’intera proposta familiare. Ha sottolineato che i membri della famiglia restano distinti quanto a obbligazioni e che non si può far ricadere sui creditori di uno gli effetti dell’altro. Questa pronuncia evidenzia una criticità: le procedure familiari funzionano solo se c’è contestuale successo di tutte le parti; se una fallisce il voto, rischia di far saltare il piano comune (a meno di separare le procedure). È stata richiamata come spunto per il correttivo 2024, che infatti ha previsto la possibilità di scindere l’esito per evitare di trascinare un familiare nell’insuccesso dell’altro.
- Tribunale di Udine, decreto 9 marzo 2023 – Percentuali minime ai creditori pubblici (PRO vs concordato minore). In un procedimento di ristrutturazione omologata (strumento riservato a imprese maggiori), il Tribunale ha negato l’omologa perché il piano prevedeva la falcidia di IVA e contributi senza il rispetto di percentuali “minime” analoghe a quelle disapplicate nel sovraindebitamento. Ha rilevato che mentre nel concordato minore la legge non impone soglie, nel PRO (Piano di Ristrutturazione) – che è strumento nuovo – l’interpretazione restrittiva vede ancora con sfavore tagli drastici al Fisco. Pur non riguardando strettamente il conc. minore, questa vicenda sottolinea come nelle procedure piccole il legislatore sia stato più avanzato nel consentire piena libertà, mentre per le grandi c’è ancora qualche resistenza. Ci si attende uniformità in futuro.
In generale, la giurisprudenza del biennio 2023-2024 ha:
- Chiarito chi può accedere (no ex imprenditori cessati; rispetto soglie).
- Confermato la piena ammissibilità di falcidia IVA e debiti fiscali nel concordato minore, ma con un controllo rigoroso anti-abuso da parte dei giudici.
- Applicato attivamente il cram down: Cassazione e vari tribunali lo hanno usato per superare dissensi isolati di creditori pubblici, sempre subordinato alla convenienza economica comprovata.
- Messo in guardia sul dovere di lealtà del debitore: occultamenti o comportamenti scorretti portano a esiti negativi (risoluzioni, annullamenti, o rigetti in sede di omologa).
- Sperimentato le procedure familiari, evidenziandone i pro (unica procedura) ma anche i contro (complessità nel conciliare esiti differenziati).
- Sottolineato l’importanza della figura dell’OCC e delle sue attestazioni: più volte i tribunali hanno richiamato le valutazioni degli OCC sulla convenienza e completezza, facendone affidamento come guida nella decisione (questo sprona gli OCC a essere scrupolosi e indipendenti).
Possiamo attenderci in futuro interventi delle Sezioni Unite della Cassazione su questioni di principio (ad esempio sull’accesso di ex soci illimitatamente responsabili, o su aspetti processuali del cram down). Inoltre, la Corte Costituzionale potrebbe essere investita di questioni sul trattamento differenziato tra consumatori e non consumatori, o su eventuali profili di disparità nell’esdebitazione incapienti. Al momento (maggio 2025) non risultano nuove pronunce della Consulta sul CCII in materia di concordato minore dopo la storica n.245/2019, ma la monitoreremo.
Nel complesso, i segnali giurisprudenziali sono incoraggianti: i giudici mostrano di voler far funzionare il concordato minore, bilanciando la protezione dei creditori (evitando abusi) con la finalità di dare sollievo al debitore meritevole (applicando con pragmatismo i nuovi poteri di cram down e favorendo soluzioni di continuità). Per gli operatori (avvocati, commercialisti) è fondamentale tenersi aggiornati su questi sviluppi, perché il successo di una procedura spesso dipende dal muoversi entro i binari tracciati da tali pronunce.
Riferimenti normativi e giurisprudenziali
Normativa primaria:
- D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 – Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), in particolare artt. 74–83 (concordato minore), art. 2 c.1 lett. c) (soggetti sovraindebitati), art. 2 c.1 lett. d) nn. 1-3 (definizione di imprenditore minore con limiti dimensionali), art. 33 c.4 (inammissibilità concordato per imprenditore cessato), art. 80 c.3 (cram down fiscale/previdenziale), art. 79 (maggioranze e voto per teste/classi), art. 75-76 (documentazione e relazione OCC), art. 66 (procedura familiare), art. 54 (divieto atti straordinari non autorizzati), art. 282 (esdebitazione a 3 anni nella liquidazione controllata).
- D.Lgs. 13 settembre 2024, n. 136 – “Correttivo ter” al CCII, che ha introdotto il comma 2-bis all’art. 75 CCII (continuità pagamento mutuo prima casa nel concordato minore) e confermato disciplina speciale per imprenditore individuale cancellato (modifica all’art. 33).
- Legge 27 gennaio 2012, n. 3 (abrogata) – Vecchia legge sul sovraindebitamento, richiamata per interpretazioni di continuità nelle pronunce (ad es. definizioni di sovraindebitamento, procedure familiari art. 7-bis). I suoi principi rivivono nel CCII riformato.
- Direttiva (UE) 2019/1023 – Direttiva Insolvency, recepita dal D.Lgs. 83/2022 e 83/2022, che ha ispirato misure come classi obbligatorie per crediti pubblici, protezioni temporanee, ecc. (citata nei lavori preparatori).
- Testo Unico Imposte sui Redditi (DPR 917/1986) – art. 88, comma 4-ter: esenzione da imposizione delle sopravvenienze attive derivanti da concordati e procedure di sovraindebitamento omologati.
Pronunce giurisprudenziali:
- Corte Costituzionale, sentenza 6 novembre 2019 n. 245 – Ha dichiarato illegittimo il divieto di falcidia IVA e ritenute nelle procedure di sovraindebitamento, aprendo alla loro inclusione nei piani.
- Cassazione civile, Sez. I, 20 febbraio 2020 n. 4329 – Caso di ex imprenditore cessato: affermò che il liquidatore di società cancellata non può accedere a concordato preventivo (principio poi esteso al minore).
- Cassazione civile, Sez. I, 17 febbraio 2016 n. 21286 – Precedente sotto la legge fall.: il concordato preventivo presuppone continuità aziendale, escluso per imprenditore cancellato (cfr Cass. 22699/2023).
- Cassazione civile, Sez. I, 20 gennaio 2023 n. 1869 – Ha ribadito che il socio illimitatamente responsabile può proporre concordato preventivo solo se la società non è estinta da oltre anno, concetti traslati nel CCII.
- Cassazione civile, Sez. I, 26 luglio 2023 n. 22699 – Provvedimento del Primo Presidente (art. 363-bis cpc) sulle questioni sollevate da CA Firenze: ha dichiarato inammissibile il rinvio, confermando mancanza di novità su imprenditore cessato: niente concordato minore per ex imprenditore, solo liquidazione con esdebitazione ex art. 282.
- Cassazione civile, Sez. Un. 15 luglio 2022 n. 20388 – (non specifica sul minore ma sulle procedure in genere) ha statuito che l’esdebitazione di diritto (automatica) del nuovo CCII non elimina la possibilità di controllo di meritevolezza.
- Corte d’Appello di Firenze, ordinanza 20 giugno 2023 (ex art. 363-bis cpc) – Aveva rimesso in Cassazione questioni su imprenditore cessato e cram down fiscale, poi risolte come da Cass. 22699/2023 (Prima Pres.).
- Corte d’Appello L’Aquila, decreto 11 ottobre 2023 – Concordato minore proposto da ex imprenditore cancellato: confermò inammissibilità ma riconobbe possibilità per quell’imprenditore di accedere a piano del consumatore (avendo debiti misti).
- Tribunale di Bergamo, decreto 15 febbraio 2022 – In materia di composizione negoziata, ritenne incompatibile con essa lo stato di liquidazione protratto (citato per analogia nell’interpretare situazioni di irreversibilità crisi nell’accesso al concordato).
- Tribunale di Civitavecchia, decreto 4 giugno 2020 – Sotto L.3/2012, ha recepito Corte Cost. 245/2019 applicando subito falcidia IVA nel concordato minore (caso spesso citato).
- Tribunale di Parma, 18 maggio 2023 – omologa concordato minore n. 47/2023 – Ha evidenziato che la domanda è inammissibile senza documenti ex art. 75-76 e in caso di superamento limiti dimensionali.
- Tribunale di Napoli Nord, decreto 5 agosto 2022 – Primo esempio di concordato minore familiare omologato, applicando art. 66 CCII (segnalato in dottrina, utile per capire gestione classi incrociate).
- Tribunale di Busto Arsizio, 7 aprile 2022 – Concordato minore in continuità omologato, con pagamento integrale mutuo casa previa autorizzazione giudice (anticipando l’art. 75 c.2-bis poi introdotto).
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