Hai una SRL in difficoltà, con debiti verso fornitori, banche, INPS o Agenzia delle Entrate? Ti chiedi quali strumenti puoi usare per risolvere la crisi senza perdere tutto o rischiare un fallimento?
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto societario, sovraindebitamento e risanamento aziendale – ti spiega in modo semplice e pratico come funziona il Codice della Crisi d’Impresa per le società a responsabilità limitata e come può aiutarti a ristrutturare il debito legalmente.
Scopri quando una SRL è obbligata ad attivare procedure di allerta, quali sono i segnali della crisi secondo la legge, quali strumenti puoi utilizzare per fermare i creditori e negoziare un piano sostenibile, come ad esempio:
- Composizione negoziata della crisi
- Concordato semplificato o preventivo in continuità aziendale
- Accordi di ristrutturazione del debito con il fisco e i fornitori
- Accesso a misure protettive per bloccare azioni esecutive e salvare l’attività
Alla fine della guida troverai tutti i contatti per richiedere una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo, analizzare la situazione economica della tua SRL e valutare subito quale strumento del Codice della Crisi può permetterti di uscire dai debiti, evitare responsabilità personali e far ripartire l’impresa in modo solido e legale.
Introduzione
Il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) – introdotto dal D.Lgs. 14/2019 in vigore dal 15 luglio 2022 – ha riformato profondamente la gestione legale delle difficoltà finanziarie delle imprese in Italia. Esso ha abrogato la vecchia legge fallimentare (R.D. 267/1942) e introdotto nuovi strumenti per affrontare lo stato di crisi (situazione di difficoltà economico-finanziaria che può evolvere in insolvenza) e lo stato d’insolvenza vero e proprio (incapacità di far fronte regolarmente alle obbligazioni). In particolare, il Codice ha tra le sue finalità la prevenzione precoce della crisi, imponendo obblighi organizzativi agli amministratori e prevedendo procedure “preventive” per la ristrutturazione dei debiti prima di arrivare alla liquidazione giudiziale.
Questa guida offre un’analisi approfondita (aggiornata a maggio 2025) su come funziona il Codice della Crisi per una Società a Responsabilità Limitata (SRL) indebitata. Si rivolge sia ad avvocati (per un inquadramento tecnico-normativo dettagliato) sia a imprenditori (con un linguaggio comprensibile e orientato alla pratica), adottando uno stile giuridico ma accessibile. Verranno esaminati tutti i principali aspetti rilevanti:
- Le diverse tipologie di debiti che una SRL può accumulare (fiscali, previdenziali, verso fornitori, bancari, finanziari, ecc.) e le implicazioni di ciascuna categoria.
- Gli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza previsti dal CCII: dalla composizione negoziata della crisi agli accordi di ristrutturazione del debito e piani attestati di risanamento, fino al concordato preventivo (in continuità o liquidatorio) e alla liquidazione giudiziale, senza tralasciare istituti particolari come il concordato semplificato post-composizione negoziata.
- Le responsabilità degli amministratori di una SRL in crisi (civili, penali e amministrative): obblighi di attivarsi tempestivamente, responsabilità verso i creditori in caso di mala gestio, conseguenze per il patrimonio personale in caso di comportamento negligente o fraudolento, ecc.
- La gestione dei rapporti con i creditori nella crisi: come interagire con l’erario (Agenzia Entrate, Agenzia Entrate-Riscossione), gli enti previdenziali (es. INPS), le banche e i fornitori; come gestire richieste di pagamento, azioni esecutive e negoziazioni, compresa la questione delle linee di credito bancarie (fidi) e le possibili revoche o ristrutturazioni del credito.
- Aspetti pratici e operativi: tabelle riepilogative e comparative degli strumenti, casi pratici simulati di gestione della crisi in diverse situazioni tipiche, una sezione FAQ (domande frequenti) con risposte chiare, e un’ampia raccolta finale di fonti normative e giurisprudenziali (aggiornate al 2025) per approfondire i riferimenti legislativi e le pronunce dei tribunali più recenti.
Struttura della Guida: Dopo una panoramica sui tipi di debiti e sui segnali di crisi, la guida analizza ciascuno degli strumenti offerti dal Codice della Crisi, mettendo in luce presupposti, procedura, vantaggi/svantaggi e ultime novità normative e giurisprudenziali. Seguiranno consigli pratici su responsabilità e rapporti con i creditori, simulazioni di casi reali (es. una PMI manifatturiera indebitata, una società con soli debiti fiscali, una SRL insolvente che deve liquidare, ecc.), risposte alle domande più comuni, e infine un elenco completo delle fonti (norme di legge, sentenze e prassi) citate nel testo.
Prima di entrare nel dettaglio, è importante chiarire alcuni concetti chiave del Codice:
- Crisi vs Insolvenza: il CCII distingue lo stato di crisi (squilibrio economico-finanziario che rende probabile l’insolvenza futura, rilevabile ad esempio da indicatori come perdite rilevanti, capitale netto negativo o indici di flussi finanziari insufficienti) dallo stato di insolvenza vero e proprio (incapacità attuale di pagare regolarmente i debiti esigibili). La crisi è dunque una fase prodromica in cui l’azienda è ancora recuperabile, mentre l’insolvenza comporta l’uso di procedure liquidatorie se non vi sono alternative.
- Adeguatezza degli assetti organizzativi: l’art. 2086 c.c., come riformato, obbliga gli amministratori a istituire assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati alla natura e dimensione dell’impresa, funzionali a rilevare tempestivamente la crisi e a prendere le idonee iniziative. Ciò significa dotarsi di sistemi di controllo di gestione, budgeting, monitoraggio dei flussi di cassa e degli indicatori finanziari per intercettare segnali di difficoltà (es. calo persistente del fatturato, perdite su crediti, aumento anomalo dei debiti scaduti, ecc.) e attivarsi prima che la situazione degeneri.
- Allerta e obblighi di segnalazione: il Codice prevede un sistema di allerta basato su segnalazioni interne (organi di controllo come sindaci e revisori, obbligati a segnalare ai consigli di amministrazione i fondati indizi di crisi rilevati) ed esterne (c.d. creditori pubblici qualificati – Agenzia Entrate, INPS, Agenzia Riscossione – tenuti a avvisare l’impresa quando i debiti scaduti superano determinate soglie) al fine di favorire l’emersione anticipata della crisi. Ad esempio, la presenza di debiti fiscali o contributivi oltre soglie di importo e durata fissate dall’art. 25-novies CCII fa scattare una segnalazione formale al debitore. L’imprenditore che riceve tali alert è sollecitato a reagire immediatamente (ad esempio chiedendo l’accesso a una composizione negoziata) per evitare sanzioni o il peggioramento della situazione. Come vedremo, sono anche previste misure premiali per chi attiva gli strumenti di composizione della crisi tempestivamente (ad es. riduzione di sanzioni e interessi tributari, o esonero da responsabilità per sindaci/revisori che abbiano segnalato in tempo).
In sintesi, la filosofia della riforma è responsabilizzare gli organi societari e favorire soluzioni concordate per il risanamento quando possibile, riservando la liquidazione giudiziale (il “vecchio fallimento”) solo come extrema ratio. L’adeguata gestione della crisi consente non solo di aumentare le chance di salvataggio dell’impresa, ma anche di limitare la responsabilità personale di amministratori e soci e di contenere i danni per creditori e stakeholder. Di seguito analizziamo dapprima i vari debiti che una SRL può trovarsi ad affrontare e, successivamente, gli strumenti giuridici disponibili per gestirli o risolverli.
Tipologie di debiti di una SRL e relative problematiche
Una SRL può accumulare diversi tipi di debiti, ciascuno con proprie caratteristiche giuridiche e conseguenze in caso di insolvenza. È fondamentale per l’imprenditore e i consulenti legali distinguere tra queste categorie, poiché il trattamento dei crediti e le possibili strategie di risanamento possono variare a seconda della natura del debito. Ecco le principali tipologie:
- Debiti fiscali (verso l’Erario): comprendono imposte dovute e non versate (IVA, IRES, IRAP, ritenute fiscali operate e non versate, ecc.) oltre a eventuali sanzioni e interessi. Questi debiti godono in parte di privilegio generale sui beni mobili del debitore (ad es. IVA e ritenute non versate hanno privilegio ex art. 2752 c.c.), il che significa che in caso di procedura concorsuale saranno soddisfatti con precedenza rispetto ai crediti chirografari (non garantiti). Inoltre, debiti IVA e ritenute hanno rilevanza penale se superano soglie di omissione (Dlgs. 74/2000). Un aspetto peculiare è che l’Agenzia delle Entrate e la Riscossione tendono ad attivarsi con misure esecutive (fermi amministrativi, ipoteche, pignoramenti) e difficilmente accettano piani di rientro informali, se non nei limiti previsti dalla legge (rateizzazioni ordinarie o istituti di definizione agevolata). Nel Codice della Crisi esiste l’istituto della transazione fiscale (art. 63 CCII) che consente, nell’ambito di concordato o accordi omologati, di falcidiare e/o ristrutturare i debiti tributari con l’assenso (o sotto il controllo) del tribunale. In mancanza di procedure concorsuali, l’unica strada è spesso la rateazione amministrativa (72 rate, ecc.) o le sanatorie straordinarie (es. “rottamazione” delle cartelle) se previste da norme temporanee.
- Debiti previdenziali e assistenziali: sono dovuti agli enti come INPS (contributi pensionistici dei dipendenti e dei soci lavoratori) e INAIL (premi assicurativi), nonché eventuali casse professionali. Anch’essi sono in parte privilegiati (art. 2753 c.c. per contributi obbligatori). L’omesso versamento di contributi può comportare sanzioni amministrative pesanti e, per le quote trattenute ai dipendenti e non versate, anche conseguenze penali. In una crisi, l’INPS può iscrivere a ruolo i crediti e agire tramite Agenzia Riscossione, analogamente al fisco. La transazione previdenziale è prevista sempre dall’art. 63 CCII (unitamente a quella fiscale) per trattare anche questi debiti nell’ambito di accordi o concordati: si possono proporre dilazioni o stralci parziali di contributi e accessori, ma occorre il placet del tribunale all’omologazione. Fuori dalle procedure, valgono solo piani di dilazione ordinaria concessi dagli enti.
- Debiti verso fornitori e altri creditori chirografari: sono i debiti commerciali (fatture non pagate ai fornitori di beni e servizi), debiti verso professionisti, fitto arretrato verso il locatore, ecc. In genere sono crediti chirografari (senza garanzie né privilegi), il che li rende in una procedura concorsuale subordinati per rango a quelli privilegiati. Ciò significa che rischiano di essere pagati solo parzialmente in caso di insolvenza. Nella prassi, questi creditori possono reagire in modi diversi: alcuni essendo essenziali per la continuità (fornitori strategici) potrebbero essere pagati preferenzialmente (con i rischi del caso per la par condicio), altri potrebbero agire in via giudiziale ottenendo decreti ingiuntivi e pignoramenti. In situazione di crisi, è fondamentale gestire la relazione con i fornitori chiave (supply chain), magari rinegoziando termini di pagamento o concordando attese, possibilmente in modo coordinato (evitando che un singolo fornitore “rompa le righe” causando l’effetto domino). I fornitori, se organizzati in categoria, avranno voce nelle eventuali votazioni di un concordato preventivo (possono decidere l’esito del piano se rappresentano una quota significativa dei crediti).
- Debiti bancari e finanziari: includono esposizioni verso banche, società di leasing, factoring, obbligazionisti se la società ha emesso bond, e altri finanziatori. Possono essere garantiti (ad esempio da ipoteca su immobili, pegno su beni, fideiussioni dei soci) oppure chirografari (come gli scoperti di conto corrente, finanziamenti non assistiti da garanzie reali, ecc.). La presenza di garanzie sposta l’attenzione: un creditore garantito (ad es. banca con ipoteca) in caso di insolvenza potrà soddisfarsi sul ricavato del bene dato in garanzia con priorità. In un concordato, i creditori garantiti hanno diritto all’integrale soddisfazione fino a concorrenza del valore di stima della garanzia (salvo diverse proposte con loro consenso). Le banche tendono a reagire alla crisi dell’impresa sospendendo o revocando gli affidamenti (fidi di cassa, anticipi, linee autoliquidanti) e classificando l’esposizione a “credito deteriorato” (UTP o sofferenza) segnalato in Centrale Rischi. Ciò può aggravare la situazione di liquidità. Il CCII, nella versione aggiornata, ha introdotto norme specifiche per governare questo aspetto: **durante una composizione negoziata con misure protettive attive, le banche non possono revocare né ridurre gli affidamenti solo per il fatto dell’avvio della procedura, né possono degradare unilateralmente il merito creditizio dell’impresa per tale ragione. Addirittura, è stato chiarito che, se il tribunale concede misure protettive, può ordinare alle banche di non segnalare a Centrale Rischi gli effetti della moratoria concordataria. Questo tutela l’azienda debitrice da effetti distruttivi immediati sul rating. Fuori dalle procedure, tuttavia, resta possibile per le banche tutelarsi (revocare affidamenti a revoca con preavviso, chiedere rientri se il credito è scaduto, escutere eventuali garanzie).
- Debiti verso dipendenti: riguardano retribuzioni non pagate, TFR, indennità varie. Hanno natura privilegiata di alto grado (art. 2751-bis c.c. per gli ultimi tre mesi di retribuzioni e indennità di fine rapporto entro certi massimali). In caso di insolvenza, i dipendenti godono inoltre del sostegno del Fondo di Garanzia INPS che interviene a pagare TFR e ultime mensilità dietro insistenza del curatore. I debiti verso i lavoratori, per ragioni sociali ed etiche, di solito vengono considerati prioritari nei piani di risanamento: è frequente che nei concordati si preveda il pagamento integrale (o in misura significativa) di queste voci per ottenere il loro voto favorevole e perché il diritto del lavoro tutela fortemente tali crediti. L’omesso pagamento di stipendi può portare anche a dimissioni per giusta causa dei dipendenti e a vertenze individuali.
- Debiti finanziari verso soci o parti correlate: se la SRL ha ricevuto finanziamenti dai soci (c.d. finanziamenti soci) o da altre parti correlate, tali crediti in caso di insolvenza sono postergati (devono essere rimborsati solo dopo l’integrale soddisfazione degli altri creditori, ex art. 2467 c.c., se erogati in un momento in cui la società era sottocapitalizzata o in crisi). Questo significa che difficilmente i soci finanziatori recupereranno il loro denaro in caso di fallimento; spesso quei finanziamenti vengono convertiti in capitale nel tentativo di risanamento oppure sacrificati del tutto.
- Altre passività potenziali: vanno considerate anche le voci come garanzie prestate (es. la SRL garantisce debiti altrui), che potrebbero tramutarsi in debito escusso se il debitore principale non paga; contenziosi legali in corso (che potrebbero generare debiti da risarcimento danni o spese legali se sfavorevoli); sanzioni amministrative da autorità varie (che in parte potrebbero avere privilegi sui beni aziendali, ad es. multe sicurezza sul lavoro con privilegio ex art. 2751 c.c.). Queste voci spesso emergono in modo critico al momento di predisporre un piano di risanamento perché bisogna stimarne l’importo e la probabilità.
Di seguito una tabella riepilogativa delle principali categorie di debiti e delle loro caratteristiche rilevanti ai fini della crisi:
Tipologia di Debito | Caratteristiche e implicazioni |
---|---|
Debiti fiscali (Erario) | Imposte non versate, sanzioni e interessi. In parte privilegiati (IVA, ritenute). Riscossione tramite Agenzia Entrate-Riscossione (cartelle, pignoramenti). Possibile transazione fiscale in concordato/accordo. Omesse ritenute/IVA oltre soglia = profili penali. |
Debiti previdenziali (INPS, INAIL) | Contributi non versati (dipendenti e autonomi). Privilegio per contributi obbligatori. Riscossione tramite ruolo. Possibile transazione contributiva insieme a quella fiscale (art. 63 CCII). Omissioni rilevanti = sanzioni e reati (omesso versamento). |
Debiti verso fornitori (chirografari) | Fatture scadute per forniture beni/servizi. Crediti chirografari (senza garanzie): in insolvenza vengono pagati pro-quota dopo privilegi. Alto rischio di azioni legali (ingiunzioni). Necessario negoziare estensioni o accordi di saldo e stralcio. Nei piani concorsuali formano spesso classi separate (fornitori strategici vs altri). |
Debiti bancari/finanziari | Mutui, fidi, leasing, obbligazioni. Possono essere garantiti (ipoteche, pegni, fideiussioni) o chirografari. Le banche possono revocare affidamenti se peggiora il merito creditizio, salvo divieto temporaneo in composizione negoziata. Crediti ipotecari: privilegio speciale su beni. In concordato, banche in classe separata, spesso richiesto loro voto. Nuova finanza possibile con privilegi (prededuzione) se autorizzata. |
Debiti verso dipendenti | Stipendi, TFR non pagati. Privilegiati (alta priorità) fino a determinate soglie. Fondo di Garanzia INPS interviene in fallimento. Nei piani di risanamento sono in genere soddisfatti integralmente o quasi, sia per obbligo legale (concordato: pagamento preferenziale di almeno il 90% dei crediti lavoro entro un anno) sia per ragioni sociali. |
Finanziamenti dei soci | Crediti dei soci per prestiti fatti alla società. Postergati ex art. 2467 c.c. se erogati in crisi o capitale insufficiente. In caso di procedura raramente vengono pagati (hanno rango dopo tutti gli altri chirografari). Spesso convertiti in capitale durante ristrutturazioni. |
Debiti da contenziosi e altri | Debiti per cause legali (risarcimenti) o sanzioni amministrative. Possono avere privilegi (es. alcuni crediti per pene pecuniarie hanno privilegio generale). Vanno stimati nei piani con criterio prudente (fondo rischi) perché possono manifestarsi improvvisamente (es. sentenza sfavorevole). In concorso trattati secondo natura (se tributari, privilegi; se civili senza titolo, chirografari, ecc.). |
Nota: Comprendere la natura dei debiti è cruciale anche perché il Codice della Crisi impone all’organo amministrativo di monitorare costantemente gli indicatori di crisi, tra cui rientrano situazioni come il superamento di determinate soglie di debito scaduto verso dipendenti (es. > metà del monte salari mensile per oltre 30 giorni), verso il fisco o i fornitori. Tali indicatori fungono da campanello d’allarme e, se superati, possono attivare gli obblighi di segnalazione e spingere a reagire. Un’eccessiva esposizione con banche (ad esempio sconfinamenti prolungati oltre 60 giorni degli affidamenti) o il progressivo allungamento dei tempi medi di pagamento ai fornitori sono altri sintomi di potenziale crisi.
In una SRL, a differenza delle imprese individuali, vige la regola della responsabilità limitata: in linea di principio i soci non rispondono con il proprio patrimonio dei debiti sociali. Il patrimonio della società è separato da quello personale dei soci (“autonomia patrimoniale perfetta”). Dunque i creditori sociali possono aggredire solo i beni della società e non quelli dei soci, salvo casi eccezionali (ad es. soci garanti personalmente con fideiussione, oppure casi di abuso della personalità giuridica/piercing the corporate veil in presenza di frodi). Fanno eccezione anche i casi di liquidazione della società: se al termine della liquidazione risultano debiti insoddisfatti, i soci che hanno ricevuto distribuzioni di attivo nell’ultimo bilancio di liquidazione ne rispondono verso i creditori insoddisfatti, nei limiti di quanto riscosso. Anzi, la Cassazione a Sezioni Unite ha chiarito che i soci possono rispondere dei debiti residui anche se non hanno ricevuto nulla in sede di liquidazione finale, superando un precedente dubbio interpretativo. Questo per evitare che la cancellazione di una SRL lasci debiti “fantasma” senza responsabilità: i soci di fatto subentrano pro quota entro 5 anni dalla cancellazione, soprattutto per debiti fiscali.
Se i soci, generalmente, rischiano il capitale conferito (salvo i casi sopra), gli amministratori di una SRL sono invece soggetti a una serie di obblighi e potenziali responsabilità personali in caso di gestione non corretta della crisi, come vedremo nel prossimo paragrafo.
Segnali di crisi e doveri degli amministratori di SRL
Gli amministratori di una SRL hanno l’obbligo legale di monitorare la situazione economico-finanziaria della società e di attivarsi prontamente quando emergono segnali di crisi. La riforma del Codice della Crisi ha rafforzato tali doveri, intervenendo sia sul Codice Civile sia introducendo nuove norme speciali, con l’obiettivo di prevenire l’aggravarsi delle insolvenze e tutelare il tessuto imprenditoriale e i creditori. Di seguito analizziamo i principali profili:
- Assetti organizzativi “adeguati” (art. 2086 c.c. e art. 3 CCII): Come accennato, dal 2019 vige l’obbligo per tutte le imprese (anche le SRL) di dotarsi di strutture interne idonee a rilevare squilibri e perdite in tempo utile. Ciò implica, ad esempio, tenere una contabilità aggiornata e veritiera, predisporre bilanci infrannuali, budget di cassa e piani previsionali, in modo da accorgersi se la liquidità prevista non coprirà i debiti per i mesi a venire, o se il patrimonio netto sta diventando negativo. Indicatori come il DSCR (Debt Service Coverage Ratio) a 6-12 mesi inferiore a 1, oppure debiti verso fornitori scaduti da oltre X giorni o arretrati verso dipendenti possono costituire spie da non ignorare. Un amministratore diligente deve istituire meccanismi per ricevere questi dati e analizzarli periodicamente (es. report mensili).
- Obbligo di attivazione tempestiva: Se la società si trova in perdita rilevante (oltre il terzo del capitale sociale) o comunque in condizioni tali da far presumere la crisi/insolvenza, gli amministratori non possono restare inerti. In base al Codice Civile (artt. 2482-bis e 2483 c.c.) devono convocare assemblea per gli adempimenti (riduzione e aumento capitale, oppure liquidazione se il capitale scende sotto il minimo legale). Inoltre, le nuove norme prevedono che – al di là di queste ipotesi “formali” di legge – non appena vi siano fondati indizi di crisi essi devono prendere adeguate iniziative: ad esempio, valutare la composizione negoziata o preparare un piano di risanamento. Il rinvio ingiustificato di interventi costituisce una violazione degli obblighi.
- Segnalazioni da sindaci/revisori (allerta interna): Nelle SRL che sono tenute per legge a dotarsi di un organo di controllo (collegio sindacale o sindaco unico) o di un revisore, questi soggetti fungono da “sentinelle” della crisi. L’art. 25-octies CCII (come modificato dal correttivo 2024) obbliga sindaci e revisori a segnalare per iscritto agli amministratori l’esistenza di segnali di crisi, dando un termine (massimo 30 giorni) per riferire sulle iniziative intraprese. Se l’organo amministrativo non adempie o resta inerte e la situazione peggiora, gli organi di controllo possono informare l’OCRI (Organismo di Composizione della Crisi) presso la Camera di Commercio. Questa segnalazione interna tempestiva ha effetti importanti: se fatta nei termini, può esonare o attenuare la responsabilità dei sindaci per le conseguenze della crisi (art. 2407 c.c.), mentre se omessa espone i controllori a possibili azioni di responsabilità per aver colpevolmente tollerato il degrado aziendale.
- Segnalazioni dei creditori pubblici (allerta esterna): A decorrere dal 2022-2023 sono operative anche le segnalazioni da parte di INPS, Agenzia Entrate e Agenzia Riscossione. Questi enti, definiti creditori pubblici qualificati, hanno l’obbligo di avvisare formalmente l’impresa (amministratori e organi di controllo) quando i debiti scaduti superano le soglie previste dall’art. 25-novies CCII (ad esempio: debiti fiscali IVA oltre €5.000 per cui sia scaduto il termine di pagamento della cartella; debiti previdenziali >€50.000, ecc. – le soglie precise sono modulate per dimensione azienda). La comunicazione esorta l’imprenditore a reagire entro 90 giorni presentando istanza di composizione negoziata o altra misura. Se l’imprenditore non fa nulla, perde l’opportunità di godere di alcuni benefici (riduzione sanzioni, dilazioni) e gli enti potranno procedere (ad es. istanza di fallimento per superamento soglie rilevanti). Va detto che queste segnalazioni, più che attivare sanzioni dirette in capo agli enti se omettono di farle (non sono previste multe per INPS/Agenzia in caso di ritardo), servono a dare un segnale di allarme codificato. L’imprenditore che le ignora lo fa a proprio rischio.
- Responsabilità verso la società e i creditori: Il Codice della Crisi ha modificato l’art. 2476 c.c. e soprattutto l’art. 2486 c.c., introducendo parametri più stringenti per la responsabilità degli amministratori. In generale, gli amministratori rispondono verso la società ex art. 2476 c.c. per i danni derivanti dalla violazione dei doveri imposti dalla legge e dallo statuto. La novità del CCII (art. 378) è che in caso di insolvenza essi possono rispondere anche verso i creditori sociali se non hanno agito con diligenza nel preservare l’integrità del patrimonio sociale. In pratica, se la società fallisce (liquidazione giudiziale) e si accerta che il patrimonio a disposizione per i creditori è diminuito per colpa degli amministratori (perché hanno ritardato il fallimento, compiuto atti imprudenti, dissipato risorse), allora i creditori potranno agire contro di loro per il risarcimento (azione di responsabilità “esterna”). Il nuovo comma 3 dell’art. 2486 c.c. facilita la quantificazione del danno in questi casi, prevedendo criteri presuntivi: la differenza tra il patrimonio netto effettivo alla data in cui doveva essere adottata una soluzione (es. avvio procedura o liquidazione) e il patrimonio netto al momento dell’apertura della liquidazione giudiziale può costituire il danno risarcibile, salvo prova di un diverso ammontare. Ciò significa che se gli amministratori hanno prolungato l’attività erodendo il capitale, la perdita subita in quel periodo è il danno imputabile a loro (salvo che dimostrino che la scelta di continuare fosse ragionevole).
- Casi tipici di responsabilità degli amministratori: Oltre alla situazione sopra (cd. wrongful trading, prosecuzione abusiva dell’attività in perdita), altri casi in cui un amministratore di SRL può essere chiamato a rispondere personalmente dei debiti societari includono: (a) Pagamenti preferenziali e violazione della par condicio in fase di insolvenza (che poi sfociano in azioni revocatorie o in responsabilità per aver favorito alcuni creditori a danno di altri); (b) Omesso versamento di imposte o contributi senza giustificato motivo, specie se l’amministratore ha distratto le risorse altrove; (c) Mancata attivazione di strumenti di composizione nonostante la crisi conclamata, con aggravamento del dissesto (qui il curatore potrebbe sostenere che, se si fosse avviato prima un concordato, i creditori avrebbero ottenuto una soddisfazione migliore; il ritardo ha ridotto l’attivo disponibile); (d) Condotte dolose o colpose che aggravano il dissesto – ad esempio contraendo ulteriori debiti quando era palese l’incapacità di ripagarli, falsificando i bilanci per ottenere credito (truffa ai finanziatori), o sottraendo attivi (configurando reati di bancarotta fraudolenta). In tutti questi casi, oltre alle conseguenze civili (azioni di risarcimento), vi possono essere conseguenze penali: il Codice della Crisi ha rivisto ma in parte confermato le fattispecie del vecchio diritto fallimentare (bancarotta fraudolenta per distrazione, bancarotta semplice per imprudenza, preferenze illecite ai creditori, ecc., ora trasfuse negli articoli del Codice Penale). Da notare: il CCII non introduce nuovi reati ma rimodula alcune definizioni. Ad esempio, l’omesso deposito tempestivo dei libri e scritture contabili da parte dell’imprenditore insolvente resta penalmente sanzionato, così come lo sono gli atti dissipativi compiuti nei 2 anni antecedenti la procedura concorsuale (bancarotta fraudolenta patrimoniale).
- Possibili esoneri e attenuanti: Il legislatore ha però previsto incentivi alla condotta virtuosa: l’art. 24 CCII prevede che se l’imprenditore (o gli amministratori) attivano tempestivamente una procedura di regolazione della crisi (ad es. un concordato preventivo o una composizione negoziata sfociata in un accordo) e questa conduce a evitare la liquidazione giudiziale, allora eventuali reati minori (come la bancarotta semplice per ritardata dichiarazione) possono non essere puniti, e comunque l’aver tentato la composizione negoziata è considerato un elemento a favore in sede di valutazione della diligenza dell’organo amministrativo. Anche per i sindaci vale il discorso delle misure premiali accennate: chi segnala per tempo non risponde delle aggravanti successive.
Riassumendo, agli amministratori di una SRL si richiede un comportamento proattivo e prudente: proattivo nel senso di attivarsi immediatamente ai primi segnali di crisi (consultando esperti, preparando piani di ristrutturazione, coinvolgendo i creditori nelle trattative, ecc.), e prudente nel senso di astenersi da operazioni che possano peggiorare la situazione dei creditori (ad es. non svendere beni a prezzi irrisori, non privilegiare creditori particolari fuori dalle regole, non indebitarsi ulteriormente se non c’è una ragionevole prospettiva di risanamento). Un amministratore che segua queste linee probabilmente eviterà sia responsabilità civili sia le censure penali, anche nell’ipotesi in cui poi la società finisca comunque in liquidazione.
Di seguito, per chiarezza, si propone una tabella riepilogativa dei principali obblighi/azioni richiesti all’imprenditore (o amministratore) in crisi e del loro significato operativo:
Obbligo/Azione dell’imprenditore in crisi | Descrizione sintetica |
---|---|
Adozione di assetti adeguati | Implementare un’organizzazione amministrativa-contabile idonea a rilevare tempestivamente squilibri (controllo di gestione, indicatori di allerta). |
Monitoraggio costante degli indicatori | Verificare regolarmente indicatori di crisi: perdite di esercizio, DSCR < 1, debiti scaduti (verso dipendenti > 30 giorni, verso fornitori/fisco oltre soglie), ecc. |
Segnalazione interna dei sindaci/revisori | Organi di controllo avvisano per iscritto gli amministratori di indizi di crisi e sollecitano interventi (entro max 30 giorni). |
Reazione tempestiva alle segnalazioni | Gli amministratori devono, entro il termine dato, riferire le misure prese (es. attivare composizione negoziata, predisporre piano pagamenti, ricapitalizzare). |
Ricorso agli strumenti di composizione | Valutare e attivare lo strumento più idoneo (piano attestato, accordo di ristrutturazione, concordato preventivo) prima che l’insolvenza diventi irreversibile. |
Trasparenza verso i creditori | Mantenere un dialogo leale con creditori e stakeholder: informarli (quando opportuno) delle difficoltà, evitare informazioni fuorvianti, cercare accordi in buona fede. |
Divieto di aggravare il passivo | Astenersi da atti che potrebbero aumentare il danno ai creditori: niente pagamenti preferenziali ingiustificati, niente nuove obbligazioni insostenibili, niente distrazioni di beni. |
Conservazione documentazione | Tenere traccia delle decisioni e operazioni compiute nella crisi (verbali CdA, accordi con creditori, pareri di esperti) per poter dimostrare la diligenza e buona fede delle scelte. |
Rispetto degli obblighi civilistici | Se si verifica una causa di scioglimento (perdita capitale), convocare assemblea e adottare provvedimenti (ricapitalizzazione o liquidazione) tempestivamente, evitando gestione non autorizzata ex art. 2486 c.c. |
Regolarità fiscale e contributiva (per quanto possibile) | Continuare a versare imposte e contributi correnti se possibile, oppure attivare subito istanze di rateazione o definizione agevolata. L’omissione colpevole espone a sanzioni e reati. |
Valutazione della continuità aziendale | In sede di bilancio, valutare correttamente se sussiste la continuità aziendale o meno; in caso negativo, adottare criteri liquidatori e informare soci/terzi con trasparenza. |
In pratica, l’amministratore che anticipa la crisi (invece di subirla passivamente) e utilizza gli strumenti offerti dal sistema giuridico può non solo aumentare le possibilità di salvezza dell’impresa, ma anche proteggere sé stesso: ad esempio, aprire per tempo una composizione negoziata o un concordato preventivo può evitare che i creditori chiedano il fallimento d’ufficio e può congelare la situazione evitando aggravamenti. Inoltre, l’attivazione tempestiva è considerata un segno di correttezza che potrebbe evitargli accuse di mala gestione. Proprio per questo, nei capitoli successivi, ci concentriamo sugli strumenti di regolazione della crisi previsti dal Codice, che rappresentano le “armi” a disposizione dell’imprenditore per fronteggiare i debiti in modo ordinato e legalmente protetto.
Strumenti del Codice della Crisi per gestire i debiti di una SRL
Il Codice della Crisi e dell’Insolvenza prevede una gamma di procedure e strumenti differenziati, adatti a vari stadi di difficoltà dell’impresa. Si va da soluzioni totalmente negoziali e stragiudiziali (accordi privati con attestazione di esperti, senza coinvolgimento diretto del tribunale) a procedure concorsuali giudiziali vere e proprie (sotto il controllo del tribunale, con effetti vincolanti per tutti i creditori). Di seguito passiamo in rassegna i principali strumenti, con un focus su come funzionano e come possono aiutare una SRL gravata dai debiti, e tenendo conto delle novità introdotte fino al 2025.
Composizione negoziata della crisi
La composizione negoziata della crisi d’impresa è un istituto innovativo, introdotto inizialmente con il D.L. 118/2021 (convertito nella L. 147/2021) e poi confluito nel CCII, operativo da novembre 2021. Si tratta di un percorso volontario e confidenziale mediante il quale l’imprenditore in stato di crisi (o a rischio di insolvenza) può tentare di negoziare un accordo con i propri creditori, avvalendosi dell’assistenza di un esperto indipendente nominato dalla Camera di Commercio. Caratteristiche chiave di questa procedura:
- È stragiudiziale: l’imprenditore mantiene la gestione ordinaria dell’azienda, non c’è spossessamento dei beni. Il tribunale interviene solo in modo eventuale e mirato (per concedere misure protettive, autorizzare atti di straordinaria amministrazione, o omologare eventuali accordi conclusivi se richiesto).
- L’accesso è semplice: si deposita un’istanza tramite la piattaforma telematica dedicata presso la CCIAA, allegando informazioni economico-patrimoniali (bilanci, situazione debitoria, etc.). Se l’istanza è completa, una Commissione nomina un esperto (di solito un commercialista o un avvocato con specifica formazione) che assisterà nelle trattative.
- L’esperto indipendente svolge un ruolo di facilitatore: convoca l’imprenditore e i creditori chiave e cerca di agevolare il raggiungimento di soluzioni concordate. L’esperto deve essere terzo e qualificato, iscritto in un apposito albo.
- Misure protettive: dal momento in cui si deposita l’istanza, l’imprenditore può chiedere al tribunale la concessione di misure protettive temporanee (tipicamente, il blocco o “stay” delle azioni esecutive e cautelari da parte dei creditori). Se concesse, tali misure impediscono ai creditori di iniziare o proseguire pignoramenti o iscrivere ipoteche, per la durata iniziale di 120 giorni (prorogabili). Durante questo periodo l’azienda è al riparo dalle aggressioni del singolo creditore, il che crea uno spazio di respiro per negoziare.
- Autorizzazioni e atti urgenti: l’imprenditore in composizione negoziata può chiedere al tribunale di essere autorizzato a compiere atti di straordinaria amministrazione necessari per il buon esito delle trattative (es. ottenere nuova finanza, vendere beni non strategici per fare cassa), oppure a sciogliersi da contratti onerosi o sospenderne temporaneamente l’esecuzione. Il giudice decide sentito l’esperto.
- Esito della procedura: la composizione negoziata può concludersi in vari modi, in base all’esito delle trattative: (a) con un accordo stragiudiziale privato con uno o più creditori (anche plurilaterale) – ad esempio un accordo bilaterale di ristrutturazione con la banca per riscadenzare il mutuo e con alcuni fornitori per ridurre i loro crediti; (b) con un accordo che viene poi “trasformato” in un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato (si veda oltre) se si raggiungono le percentuali di legge, o in un concordato preventivo (l’imprenditore può presentare domanda di concordato semplificato se le trattative falliscono, o ordinario se ha una proposta concordataria sostenuta dai creditori); (c) con la rinuncia o chiusura senza accordo, se non si trova soluzione (in tal caso l’imprenditore dovrà valutare altre opzioni, inclusa l’eventuale liquidazione giudiziale).
- Vantaggi: La composizione negoziata è uno strumento flessibile e riservato. Permette di evitare il clamore di un fallimento o di un concordato (inizialmente l’accesso non è pubblicato sul Registro Imprese salvo richiesta di misure protettive, e comunque la pubblicità è minore). L’imprenditore ha ancora il timone dell’azienda, con l’aiuto dell’esperto. Il costo è contenuto (non ci sono spese di giustizia significative, solo il compenso dell’esperto secondo tariffe fissate per legge). Inoltre, con le modifiche normative più recenti, è diventata più appetibile: il “terzo correttivo” del CCII (D.Lgs. 136/2024) ha chiarito diverse questioni e introdotto incentivi, ad esempio la possibilità di coinvolgere anche i debiti fiscali e contributivi nelle trattative. In origine, infatti, i debiti verso Erario/INPS rimanevano esclusi (non potevano essere falcidiati nella composizione negoziata se non passando per un successivo concordato/accordo), mentre ora è possibile proporre una transazione fiscale nell’ambito delle trattative, allineando il trattamento dei crediti pubblici a quello degli altri strumenti (questo era uno dei motivi per cui la composizione aveva avuto scarso successo inizialmente). Altro vantaggio è il divieto di revoca di fidi bancari: come già evidenziato, dal 2022-2024 è esplicito che le banche non possano revocare o ridurre gli affidamenti solo perché l’impresa ha avviato la composizione, né segnalarla come “sofferenza” in Centrale Rischi se c’è uno stay autorizzato. Ciò protegge la continuità finanziaria dell’impresa durante la negoziazione.
- Svantaggi e limiti: Di converso, la composizione negoziata non impone ai creditori di aderire – è volontaria. Se un creditore (o un gruppo rilevante di creditori) non vuole saperne di accordi, l’esperto non può costringerlo. Non c’è un voto a maggioranza come nel concordato: serve il consenso individuale di ciascun creditore coinvolto, altrimenti quel creditore potrà comunque agire per conto suo (salvo temporaneo blocco se ha misure protettive, ma alla fine, senza accordo, potrà riprendere l’azione). Inoltre, non c’è esdebitazione automatica: se un accordo stragiudiziale non copre tutti i creditori, quelli estranei restano con i loro diritti intatti. Questo significa che la composizione negoziata funziona bene quando c’è un numero limitato di creditori cruciali disposti a trattare (es. la banca principale e pochi fornitori) o quando l’obiettivo è ottenere una moratoria breve per poi accedere a un altro istituto (ad esempio, molti la usano per guadagnare tempo e predisporre un concordato preventivo con un piano più solido). Se la platea di creditori è ampia e disomogenea, può risultare inefficace.
- Novità giurisprudenziali: Tra il 2022 e il 2025 sono emerse alcune pronunce importanti. Ad esempio, tribunali come Tribunale di Venezia (13 gennaio 2025) hanno confermato il principio che, concesso lo stay, le banche non possano neanche segnalare il cliente a sofferenza per il ritardo nei pagamenti dovuto alla trattativa, ordinando espressamente di non farlo. Altre decisioni (Tribunale di Milano, Firenze, ecc.) hanno definito le modalità pratiche di comunicazione dell’ordinanza alle banche e ai creditori per garantire il rispetto effettivo del divieto di revoca fidi. Sul fronte fiscale, con il correttivo 2024 e relative circolari dell’Agenzia Entrate, si è chiarito che l’adesione dell’Erario in composizione negoziata a un trattamento di favore (ad esempio stralcio parziale sanzioni/ interessi) non integra un indebito “aiuto di Stato” ma rientra negli strumenti di legge, equiparabile alla transazione fiscale in concordato. Infine, si segnala che la Commissione OCRI (che gestisce la piattaforma) ha pubblicato linee guida operative su come l’esperto deve condurre le trattative (ad esempio raccomandando incontri con tutti i creditori, redazione di minute di accordo, ecc.) per uniformare le prassi.
In conclusione, la composizione negoziata è uno strumento prezioso per le SRL indebitate che intravedono prospettive di risanamento ma necessitano di un periodo protetto di negoziazione. Il suo utilizzo è consigliabile in situazioni di crisi incipiente o pre-insolvenza, con un numero circoscritto di creditori chiave disposti a discutere. Se invece l’insolvenza è già conclamata o vi è disaccordo insanabile con troppi creditori, sarà probabilmente necessario ricorrere a strumenti più “forti” come il concordato preventivo o la liquidazione giudiziale.
Tabella: Vantaggi e svantaggi della composizione negoziata
Vantaggi | Svantaggi/Limiti |
---|---|
Procedura riservata (minore pubblicità, reputazione meno intaccata). | Necessario consenso individuale dei creditori: anche uno importante dissenziente può far fallire la trattativa. |
Imprenditore resta alla guida (nessun commissario, niente spossessamento). | Nessun esito “imposto” ai creditori: senza accordo si torna al punto di partenza (o si deve passare a concordato/fallimento). |
Flessibilità nelle soluzioni: si possono trovare accordi ad hoc (dilazioni, stralci parziali, conferimenti di nuovi capitali) cuciti sul caso concreto. | Protezione limitata: lo stay blocca le azioni ma solo temporaneamente e va rinnovato; i creditori privilegiati possono chiedere di essere esentati dallo stay se la garanzia rischia di diminuire di valore. |
Costo contenuto: non ci sono spese di procedura rilevanti, l’esperto ha compensi moderati stabiliti per legge (incentivati al successo). | Richiede cooperazione e buona fede: se un creditore adotta tattiche ostruzionistiche, l’esperto non ha poteri coercitivi reali se non riferire al tribunale (che però non può obbligare a conciliare). |
Possibilità di ottenere finanziamenti interinali prededucibili (con autorizzazione tribunale) per sostenere l’impresa durante le trattative. | Meno adatta in crisi avanzata con troppi creditori eterogenei (ad es. centinaia di debitori diffusi): logisticamente complesso negoziare con tutti senza una votazione per classi come nel concordato. |
Divieto di revoca dei fidi bancari in corso di procedura (mantenimento delle linee di credito). | Non azzera automaticamente i debiti residui: serve passare eventualmente per omologa di un accordo o altro per liberarsi dai crediti non regolati. |
Possibilità di transare debiti fiscali e contributivi all’interno della trattativa (novità 2024). | Durata relativamente breve: 6 mesi (estensibili di altri 6) dopo di che se non c’è accordo occorre optare per altre soluzioni. |
Piano attestato di risanamento (PAR)
Il piano attestato di risanamento è uno strumento di regolazione della crisi di natura contrattuale e privatistica, già presente nell’ordinamento prima della riforma (introdotto nel 2005 nell’art. 67 L.F.) e ora disciplinato dall’art. 56 CCII. Consiste essenzialmente in un piano industriale e finanziario di risanamento che l’imprenditore elabora per superare la crisi, accompagnato dalla relazione di un professionista indipendente (“attestatore”) che ne certifica la veridicità dei dati e la fattibilità. Il piano, così attestato, viene proposto ai creditori (in tutto o in parte) affinché singolarmente lo accettino e lo eseguano. Non è prevista omologazione giudiziale, quindi il piano attestato non vincola i creditori che non vi aderiscono. Tuttavia, la legge gli riconosce alcuni effetti premiali importanti se poi l’azienda riesce a risanarsi sulla base di esso.
Caratteristiche principali del PAR:
- Volontarietà e autonomia privata: Il piano attestato nasce da una iniziativa unilaterale del debitore che “offre” ai creditori uno scenario di risanamento (es.: “mi impegno a pagarvi il 60% entro 2 anni e a ristrutturare l’azienda in questo modo, come attestato dall’esperto”). Ciascun creditore è libero di aderire o meno. Non c’è un meccanismo di voto a maggioranza né intervento del tribunale.
- Attestazione indipendente: Il cuore del PAR è la relazione redatta da un professionista indipendente (di norma un commercialista o revisore, con i requisiti di indipendenza simili a quelli del commissario giudiziale) che attesta due cose: (a) la veridicità dei dati aziendali esposti (es. situazione debitoria, valori di bilancio) e (b) la fattibilità economica del piano. L’attestazione serve a dare credibilità al piano nei confronti dei creditori: un soggetto terzo e qualificato certifica che il piano ha concrete possibilità di successo e che i numeri non sono truccati.
- Forma e contenuto: Il piano deve essere messo per iscritto e deve dettagliare le cause della crisi, le azioni da intraprendere (ristrutturazione del debito, aumento di capitale, dismissione di rami d’azienda, ricerca di nuovi soci, ecc.), i flussi di cassa prospettici e i tempi di realizzo. L’attestatore valuta questi elementi e li include nella sua relazione, allegata al piano. Non esiste un registro pubblico dove depositarlo obbligatoriamente (a differenza di concordati/accordi che vanno iscritti in tribunale), ma spesso il piano viene formalizzato con scrittura privata e notificato ai creditori interessati.
- Effetti legali protettivi: Pur essendo un accordo di natura privata, la legge gli conferisce alcuni benefici se viene effettivamente eseguito e se rispetta i requisiti. In particolare: (a) Gli atti posti in essere in esecuzione del piano attestato sono esentati dall’azione revocatoria fallimentare (art. 56 co.3 CCII, riprendendo l’art. 67 co.3 lett. d L.F.). Ciò significa che, se poi malauguratamente la società fallisse, il curatore non potrebbe far annullare quei pagamenti o quelle vendite compiute in attuazione del piano, a patto che il piano fosse idoneo al risanamento ex ante. (b) L’imprenditore che segue un piano attestato può evitare l’incriminazione per alcuni reati concorsuali: ad esempio, la norma penale sulla bancarotta preferenziale (pagamenti preferenziali) esclude punibilità per i pagamenti fatti secondo un piano attestato idoneo. (c) Sul piano fiscale, le riduzioni di debito conseguite col piano non sono considerate sopravvenienze attive tassabili (analogamente a quanto avviene per concordati e accordi).
- Ambito soggettivo: Qualsiasi imprenditore può farvi ricorso, SRL incluse. Non occorre essere né in crisi conclamata né insolventi legali; può essere utilizzato anche per prevenire e evitare di entrare in procedura concorsuale. Anzi, spesso è stato impiegato per risanamenti “in bonis” (prima di risultare incapienti).
- Rapporto con i creditori estranei: Un limite del piano attestato è che non coinvolge forzosamente tutti i creditori. Quelli che non aderiscono rimangono estranei: hanno diritto di essere pagati integralmente come da contratto originario. Di conseguenza, un buon piano attestato deve assicurarsi che i creditori estranei (che non partecipano o rifiutano) possano comunque essere pagati normalmente, altrimenti uno di essi potrebbe, ad esempio, fare istanza di fallimento. La legge infatti impone che l’attestatore dichiari nella relazione che i creditori estranei saranno comunque soddisfatti integralmente alle scadenze originarie (o entro 120 giorni dall’omologa di un eventuale accordo ex art. 57 se si trasforma).
- Tipico utilizzo: Il PAR è indicato quando la società ha relativamente pochi creditori ben identificati con cui può trovare un’intesa individuale. Ad esempio, se una SRL è indebitata principalmente con il sistema bancario (diciamo 4-5 banche) e magari un paio di fornitori principali, può essere agevole fare un piano e farselo “firmare” da tutti loro (magari con accordi bilaterali contestuali, come moratorie sui mutui, stralcio parziale del debito di fornitori dietro pagamento pronto di una percentuale, ecc.). Se ci riesce, evita l’onere di una procedura concorsuale e continua l’attività normalizzando la propria posizione.
- Differenze rispetto ad altri strumenti: In confronto a un accordo di ristrutturazione omologato (ADR) o a un concordato, il piano attestato è più veloce e discreto, ma anche più fragile: non offre protezione automatica contro le azioni esecutive (nessuno “scudo” come il divieto di azioni nel concordato), a meno di ottenere misure ad hoc (tipo ricorrere in parallelo a una composizione negoziata e chiedere misure protettive temporanee). Richiede, di fatto, unanimità tra i principali creditori coinvolti, perché se anche uno solo non sta alle condizioni proposte e agisce aggressivamente, può far saltare il banco. L’ADR invece consente di legare la maggioranza dei creditori dissenzienti una volta omologato (pur con limiti: i non aderenti vanno pagati per intero). Il concordato preventivo impone a tutti i chirografari un trattamento deliberato a maggioranza e omologato dal tribunale. Insomma, il PAR è l’opzione “soft” adatta se c’è coesione e fiducia tra debitore e creditori; se manca ciò, occorre uno strumento “hard” che bypassi il dissenso di minoranze.
- Novità normative 2022-2025: Il CCII (art. 56) non ha stravolto la disciplina previgente ma l’ha integrata: ad esempio, ha previsto espressamente l’obbligo di attestazione (che già c’era in prassi) e alcuni contenuti minimi del piano. Inoltre, in parallelo all’introduzione di nuovi strumenti come il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (di cui diremo più avanti), si è delineata la possibilità di convertire un piano attestato che abbia ottenuto una larga adesione in qualcosa di più vincolante. Il terzo correttivo 2024 inoltre ha migliorato il coordinamento tra PAR e composizione negoziata (ad es., durante una composizione negoziata, le parti possono decidere per un piano attestato con alcuni creditori e l’esperto chiude la procedura se reputa che il piano sia idoneo e sufficiente).
- Giurisprudenza sul PAR: Anche prima della riforma, la Cassazione si è pronunciata su aspetti cruciali. Una sentenza di riferimento è Cass. 13719/2016, che ha stabilito che l’esenzione da revocatoria degli atti eseguiti in un piano attestato non è automatica ma dipende dalla serietà e fattibilità del piano. In quella vicenda, alcuni pagamenti erano stati revocati dal curatore e la società obiettava che erano eseguiti in un piano attestato; la Suprema Corte disse: se il piano era manifesto espediente infondato (un “piano fasullo”), l’esenzione non vale, perché la norma tutela solo i piani realmente idonei. Quindi il giudice del fallimento può sindacare ex ante la ragionevolezza del piano stesso. Questo mette sull’attenti: il piano attestato non deve essere una mera presa di tempo, ma avere basi concrete, altrimenti i benefici legali svaniscono.
In definitiva, il piano attestato di risanamento può essere visto come una “concordia preventiva privata”: nessun tribunale, solo accordi tra adulti consenzienti, sotto l’ombrello di un attestatore che funge da garante della credibilità del piano. Per una SRL che voglia evitare la pubblicità di un tribunale e abbia sufficiente sintonia coi creditori principali, il PAR è l’ideale. Va però gestito con trasparenza e rigore tecnico, perché gli interlocutori (banche, ecc.) scrutineranno a fondo i numeri e la relazione dell’esperto.
Confronto sintetico – Piano attestato vs. Accordo di ristrutturazione (omologato)
Per evidenziare meglio le differenze con l’Accordo di Ristrutturazione dei Debiti omologato (ADR), consideriamo alcuni punti chiave in comparazione:
- Necessità di adesione dei creditori: il PAR richiede di fatto l’adesione integrale dei creditori coinvolti (non c’è meccanismo per superare il dissenso di uno), mentre l’ADR richiede per legge almeno il 60% dei crediti totali favorevoli. Quindi nell’ADR una parte minoritaria di creditori (fino al 40%) potrebbe restare fuori e tuttavia l’accordo andrà avanti (pagando però integralmente i dissenzienti).
- Intervento del tribunale: nel PAR il tribunale non interviene affatto (se non indirettamente qualora poi fallisca l’azienda e valuti ex post il piano per la revocatoria); l’ADR invece prevede una fase di omologazione giudiziale: il tribunale verifica legalità e fattibilità, e omologa rendendo il tutto efficace erga omnes. Ciò conferisce all’ADR una forza maggiore (titolo esecutivo una volta omologato, non contestabile dai dissenzienti) al prezzo di maggiore formalità e tempi.
- Misure protettive: come detto, il PAR non dà diritto automatico ad alcuno stay. L’ADR, invece, consente di ottenere misure protettive dal momento del deposito in tribunale (è possibile chiedere la sospensione delle azioni esecutive fino a 6 mesi rinnovabili), proteggendo l’impresa dagli attacchi mentre si finalizza l’accordo.
- Coinvolgimento debiti fiscali: in un PAR puro è difficile che il Fisco aderisca a stralci significativi senza una procedura giudiziale (spesso al massimo accetta dilazioni ordinarie). Negli ADR, invece, è espressamente possibile includere una transazione fiscale e contributiva dentro l’accordo ex art. 63 CCII, ottenendo dall’Erario sconti su sanzioni e interessi e anche tagli di imposta nei limiti di legge, col visto del tribunale all’omologa.
- Effetti sui creditori non aderenti: nel PAR i non aderenti sono totalmente estranei (vanno pagati alle loro scadenze originarie, altrimenti possono agire). Nell’ADR, i non aderenti – pur restando creditori per intero – subiscono alcuni effetti: ad esempio, dopo l’omologa dell’accordo, se essi tentano di agire individualmente, il debitore può eccepire l’accordo omologato come fatto impediente (almeno entro i limiti temporali del piano); inoltre, se l’ADR contiene clausole di moratoria, queste per legge si estendono anche ai non aderenti (per un massimo di 120 giorni dall’omologa, purché siano stati rispettati requisiti su integrale pagamento di tali creditori). Esiste anche la possibilità di estendere gli effetti dell’accordo ai creditori finanziari dissenzienti se si raggiunge il 75% di adesione tra le banche: in tal caso l’omologazione può imporre anche a quelle banche che hanno rifiutato, le stesse condizioni accordate dalle altre (c.d. cram-down settoriale). Nel piano attestato nulla di simile è possibile.
- Prededucibilità finanziamenti e fiscalità: sia nel PAR che nell’ADR eventuali nuovi finanziamenti erogati per eseguire il piano possono essere autorizzati come prededucibili (nell’ADR direttamente in omologa, nel PAR di solito si cerca di farli erogare contestualmente con accordo contrattuale e confidando nell’esenzione da revocatoria). Fiscalmente, sia PAR che ADR godono di esenzione da tassazione delle riduzioni dei debiti (sopravvenienze attive non imponibili), ma nell’ADR l’effetto discende dall’omologazione pubblicata, nel PAR è un’interpretazione estensiva confermata dall’Agenzia Entrate.
In sintesi, PAR se coesione e rapidità; ADR se serve un’adesione maggioritaria ma non unanime con il sigillo del tribunale.
Accordi di ristrutturazione dei debiti (ADR)
Gli Accordi di Ristrutturazione dei Debiti sono disciplinati dagli art. 57-64 CCII. Rappresentano uno strumento “a metà strada” tra il piano attestato e il concordato preventivo: c’è un accordo contrattuale con i creditori, ma questo accordo viene poi sottoposto al Tribunale per l’omologazione, acquisendo efficacia anche verso terzi in certi limiti. In pratica:
- L’imprenditore elabora un piano di ristrutturazione (simile a quello di un concordato, ma più flessibile, non ci sono regole di assoluta par condicio se non quelle concordate) e lo sottopone ai creditori. Se ottiene il consenso di almeno il 60% dei crediti totali, può firmare l’accordo.
- Viene nominato un attestatore indipendente che redige la relazione sulla veridicità dei dati e sull’attuabilità dell’accordo, con particolare riguardo al fatto che i creditori non aderenti potranno essere pagati per intero nei termini di legge (per legge i creditori estranei all’accordo devono essere soddisfatti integralmente entro 120 giorni dall’omologazione o dalle scadenze successive, come condizione di omologabilità).
- Una volta raccolte le adesioni necessarie, l’imprenditore ricorre al Tribunale depositando l’accordo e la documentazione. Il Tribunale apre un procedimento in camera di consiglio: i creditori non aderenti vengono informati e hanno 30 giorni per proporre eventuali opposizioni limitate (possono contestare che l’accordo li pregiudichi).
- Se tutto è regolare (majoranza raggiunta, informativa corretta, attestazione positiva, creditori estranei tutelati), il Tribunale omologa l’accordo. Da quel momento l’accordo diventa efficace erga omnes rispetto ai creditori aderenti (ovviamente li vincola secondo i nuovi termini concordati) e produce alcuni effetti di protezione: ad esempio, analogamente al concordato, gli atti compiuti in esecuzione dell’accordo omologato sono esenti da revocatoria, i creditori che vi hanno aderito non possono pretendere più di quanto pattuito, ecc.
- I creditori dissenzienti o estranei non subiscono una falcidia coattiva del loro credito (diversamente dal concordato): hanno ancora diritto all’integrale pagamento. Tuttavia, come detto, l’omologazione impedisce loro, nel frattempo, di agire esecutivamente finché i termini dell’accordo prevedono il soddisfacimento di quel credito. Inoltre, per alcune categorie specifiche esiste il meccanismo di estensione: creditori finanziari dissenzienti possono essere ugualmente vincolati se l’accordo ha avuto l’adesione di almeno il 75% di tutti i crediti finanziari (banche); in tal caso, su richiesta, il tribunale può estendere l’accordo anche alle banche che non hanno firmato (imponendo loro magari la stessa dilazione accettata dalle altre).
- Esistono nel CCII ulteriori varianti di ADR introdotte per recepire la direttiva UE 2019/1023: ad esempio, l’accordo di ristrutturazione agevolato (riduzione della soglia di consenso al 30% per PMI in certi casi) e il cosiddetto accordo ad efficacia estesa (per categorie di creditori omogenee, come già visto per banche). Inoltre è comparso un nuovo strumento denominato “piano di ristrutturazione soggetto a omologazione” (PRO) – art. 64-bis CCII – che in sostanza consente, in presenza di determinate maggioranze e classi di voto, di ottenere un’omologazione di un piano anche senza il 60% di adesioni, di fatto realizzando un cram-down (imposizione ai dissenzienti) di tipo più generale. Questo PRO si avvicina al concordato preventivo, con la differenza che è proposto dallo stesso debitore come piano di ristrutturazione, ma senza passare dalla fase di voto formale di tutti i creditori come nel concordato (ha regole proprie sulle classi e sul trattamento equo dei creditori). Trattandosi di una novità assoluta, è ancora poco sperimentato al 2025.
Vantaggi dell’ADR: consente di concludere un accordo anche in presenza di una minoranza contraria, evitando un lungo e costoso concordato preventivo. Può essere molto efficace se la maggior parte dei creditori è d’accordo e solo pochi dissenzienti creerebbero problemi: con l’ADR si va avanti comunque, pagando quei pochi per intero ma magari dilazionandoli (grazie all’effetto dell’omologazione e dello stay). Rispetto al concordato, è più snello (niente votazioni formali, niente commissario giudiziale, meno rigidità sulle classi). Mantiene riservatezza maggiore (viene pubblicato nel Registro Imprese, ma l’iter è meno complesso). Anche le banche spesso preferiscono l’ADR al concordato se c’è intesa: possono negoziare privatamente i termini e ottengono comunque la “copertura” dell’omologa per le loro delibere interne.
Svantaggi/limiti: l’ADR non consente di imporre una riduzione ai creditori dissenzienti (diversamente dal concordato dove la falcidia vale erga omnes una volta omologato anche se uno votò no, qui il dissenziente resta creditore al 100%). Questo vuol dire che, in pratica, l’azienda deve trovare le risorse per pagare integralmente chi non firma, in tempi relativamente brevi (entro 120 giorni post-omologa generalmente). Se i creditori dissenzienti rappresentano una porzione consistente del debito, l’ADR diventa difficile da sostenere finanziariamente. In tal caso meglio il concordato, dove anche i dissenzienti prendono la percentuale ridotta stabilita dal piano (salvo dover rispettare eventuali privilegi). Inoltre, l’ADR non blocca automaticamente le azioni al di fuori di quelle eventualmente coperte dallo stay pre-omologa di 6 mesi richiesto: se un creditore importante non aderisce e ottiene una sentenza, potrebbe comunque proseguire l’esecuzione appena scade la protezione temporanea. Infine, l’ADR richiede comunque costi e tempi maggiori di un piano attestato (serve l’intervento del tribunale, un giudice relatore, eventuali opposizioni da discutere).
Quando usare l’ADR: tipicamente quando c’è un ampio consenso tra i creditori principali (≥60%), però magari qualche parte – specie creditori pubblici o un fondo hedge minoritario – non è disposta a firmare un accordo stragiudiziale. Con l’ADR si cementa il consenso della maggioranza e si cristallizza l’accordo con la forza della legge, neutralizzando i “free riders” (che comunque verranno pagati ma non possono sabotare il piano). Un esempio: una SRL con 10 milioni di debiti, di cui 7 verso banche e 3 verso fornitori vari, potrebbe accordarsi con le banche per ridare 5 su 7 milioni rateizzati e con fornitori per pagarne 1 su 3 (quelli chiave accettano). Totale consensi 6 milioni su 10 (60%). Alcuni piccoli fornitori per 2 milioni non aderiscono. Con ADR l’azienda deve comunque pagare quei 2 milioni in integrale (magari con risorse generate dal risanamento), ma intanto ottiene l’omologa e le banche e fornitori aderenti prendono quanto concordato, scongiurando fallimento. Se non riuscisse a pagare i 2 milioni nei tempi previsti, però, quei creditori potrebbero poi agire; c’è quindi sempre un rischio residuo, mitigato dal fatto che spesso l’azienda, liberata del peso degli altri debiti ridotti, riesce a far fronte ai pochi rimasti.
Nota: come anticipato, esiste la possibilità per le PMI “sotto soglia” (imprese minori non fallibili) di accedere a uno strumento analogo all’ADR chiamato “concordato minore” nel CCII. È una procedura riservata alle piccole imprese che altrimenti rientrerebbero nel sovraindebitamento: funziona simile al concordato preventivo ma semplificata e su misura. Tuttavia, per una SRL ordinaria, se non rientra nelle soglie di non fallibilità, il concordato minore non si applica; in quel caso si usano gli strumenti standard come ADR o concordato preventivo.
Concordato preventivo (continuità e liquidatorio)
Il concordato preventivo è storicamente la procedura concorsuale di “composizione” per eccellenza, alternativa al fallimento, che consente al debitore di proporre un piano ai creditori per evitare la liquidazione giudiziale, sotto controllo del Tribunale. Il CCII lo disciplina negli artt. 84-120, distinguendo tra concordato con continuità aziendale e concordato liquidatorio. Per una SRL con debiti, il concordato preventivo rappresenta spesso l’ultima spiaggia per evitare la fine disordinata (liquidazione giudiziale) e tentare o un salvataggio dell’impresa (continuità) o quantomeno una chiusura ordinata (liquidatorio con migliore soddisfazione dei creditori rispetto al fallimento).
Elementi essenziali del concordato:
- È una procedura giudiziale: si apre con ricorso al tribunale, c’è la nomina di un Commissario Giudiziale (figura di controllo), i creditori vengono informati e hanno diritto di voto sulla proposta, infine il Tribunale omologa se il voto è favorevole e il piano rispetta i requisiti di legge.
- Presupposti di ammissibilità: lo stato richiesto è la crisi o insolvenza del debitore (non serve essere tecnicamente insolvente conclamato; basta trovarsi in una situazione di difficoltà che potrebbe diventare insolvenza). Nel concordato con continuità aziendale, in particolare, l’impresa prospetta di proseguire l’attività (in proprio o cedendola/investendola in terzi) e di pagare i creditori col ricavato della gestione in continuità. Nel concordato liquidatorio, invece, si prevede il solo realizzo dei beni e cessazione attività, ma con certe garanzie di legge (ad es. l’apporto di risorse esterne almeno pari al 10% dell’attivo per migliorare il ritorno ai creditori, secondo art. 84 CCII).
- Proposta e classi: il debitore propone come intende ristrutturare i debiti: può prevedere falcidia (riduzione) delle somme dovute ai chirografari, e anche ai privilegiati per la parte che eccede il valore delle garanzie; può suddividere i creditori in classi omogenee per posizione giuridica/interessi. Ad esempio, spesso si creano classi separate per: banche ipotecarie (ciascuna con percentuale di soddisfo legata alla stima del bene ipotecato), fornitori chirografari, eventualmente fornitori essenziali (a cui si offre una percentuale maggiore), dipendenti (di solito integralmente soddisfatti). Nei concordati in continuità, una classe può essere rappresentata dagli azionisti/investitori che apportano nuova finanza o garanzie.
- Trattamento dei creditori e par condicio: il CCII ha eliminato l’obbligo assoluto che c’era un tempo di garantire almeno il 20% ai chirografari in concordato (salvo finanza esterna). Ora non c’è soglia fissa di legge, ma in pratica nei concordati liquidatori puri resta inteso che serve offrire un dividendo non irrisorio (pena bocciatura da parte dei creditori o del tribunale per mancanza di convenienza). Nei concordati con continuità, invece, si può anche prevedere percentuali minori se giustificato dal piano di risanamento, purché nessuna classe riceva meno di quanto otterrebbe in liquidazione giudiziale (best interest test). È infatti requisito fondamentale che il concordato offra ai creditori una soddisfazione non inferiore a quella ricavabile dalla liquidazione forzata.
- Voto dei creditori: dopo che il tribunale ammette il debitore al concordato (verificati i requisiti e nominato il commissario), viene convocata l’adunanza dei creditori. I creditori votano per classi (se il piano ne prevede) o per maggioranza semplice (maggioranza del 50%+1 dei crediti ammessi al voto; i privilegiati soddisfatti integralmente non votano perché non incisi). Nel CCII, se ci sono più classi, è richiesto il voto favorevole della maggioranza delle classi oltre che la maggioranza dei crediti; in caso una classe dissenta, il tribunale può comunque omologare se la proposta è conveniente e non discriminatoria (cram-down interclassi, possibile se almeno una classe di creditori di grado non inferiore ha detto sì).
- Omologazione: se i creditori approvano la proposta, il Tribunale procede a omologare, verificando legalità e fattibilità del piano, e respingendo eventuali opposizioni dei creditori contrari. Con l’omologazione, il concordato diventa vincolante per tutti i creditori anteriori, anche per quelli che hanno votato no o non si sono presentati. Questi saranno soddisfatti secondo le percentuali e i tempi previsti dal piano, in definitiva subendo la falcidia approvata a maggioranza (diversamente dall’ADR dove mantenevano teoricamente diritto al 100%).
- Esecuzione e chiusura: il debitore (sotto vigilanza del commissario, che poi diventa liquidatore giudiziale se liquidatorio, o affiancato da un assuntore se il caso) esegue il piano: paga le percentuali promesse, eventualmente cede beni, continua l’attività se previsto. Se l’esecuzione si completa regolarmente, il tribunale dichiara la chiusura del concordato e l’impresa esce dalla procedura. I debiti restanti falcidiati si intendono cancellati (esdebitazione per la società – che in realtà se è liquidata cessa).
- Concordato con continuità aziendale: merita qualche nota specifica perché è quello che permette alla SRL di sopravvivere come impresa. Può essere diretto (la società stessa prosegue l’attività durante e dopo il concordato, realizzando utili con cui pagare i creditori) oppure indiretto (la continuità è assicurata tramite un terzo, ad es. cessione o conferimento dell’azienda a un nuovo soggetto che la prosegue, mentre la vecchia società incassa il corrispettivo per pagare i debiti). Il CCII ha semplificato un po’ la distinzione. Importante: nel concordato in continuità è consentito, entro limiti, anche non pagare integralmente alcuni creditori privilegiati se ciò è funzionale alla ristrutturazione e comunque offrendogli un trattamento equo (ad es. si può proporre ai creditori muniti di privilegio generale, come il fisco, di prendere percentuale inferiore al 100% purché non inferiore a quella dei chirografari e non avrebbero comunque avuto di più in caso di liquidazione). La legge consente infatti di alterare temporaneamente l’ordine dei privilegi se serve a salvare l’impresa, ma con criteri di proporzionalità. I crediti di lavoro in continuità vanno però di norma pagati integralmente (possono al massimo essere dilazionati).
- Concordato liquidatorio: qui l’impresa non prosegue oltre, ma evita il fallimento offrendo ai creditori una liquidazione controllata con magari un apporto esterno. Ad esempio, i soci o terzi possono mettere dei soldi sul piatto (fresh money) in cambio di tenere qualcosa (ad es. rilevare un asset), garantendo così un recupero migliore ai creditori rispetto al fallimento. La legge attuale richiede che, se non si raggiunge il 20% di soddisfo ai chirografari, ci sia almeno un apporto di risorse esterne rilevante o altre utilità in più rispetto alla liquidazione classica (perché altrimenti preferisce direttamente la liquidazione giudiziale).
- Concordato “in bianco” (prenotativo): è la possibilità di depositare una domanda di concordato senza allegare subito il piano dettagliato, ottenendo le misure protettive immediate (blocco azioni) e poi completando la proposta entro un termine (di regola 60-120 giorni prorogabili). Questo strumento serve a guadagnare tempo e protezione mentre si elaborano i dettagli con l’ausilio magari di professionisti o dopo un tentativo di composizione negoziata fallito. È previsto dall’art. 44 CCII e molto usato nella prassi come “freno d’emergenza” per stoppare esecuzioni e preparare il concordato definitivo.
- Concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio: questo è un istituto nuovo (art. 25-sexies CCII) collegato alla composizione negoziata. Se una composizione negoziata non ha successo per mancanza di accordo ma l’esperto rileva che si potrebbe liquidare il patrimonio in modo migliore di un fallimento, l’imprenditore può proporre al tribunale questo concordato semplificato. La particolarità è che non c’è voto dei creditori: il tribunale valuta la proposta e può omologarla nonostante il dissenso dei creditori, purché siano rispettate le condizioni di legge. È quindi una via residuale e fast-track per liquidare evitando le lungaggini della liquidazione giudiziale. Tuttavia, è applicabile solo se si è passati da una composizione negoziata infruttuosa. Nella pratica al 2025 si è vista qualche applicazione (es. Tribunale di Milano 2022) ma è uno strumento abbastanza eccezionale.
Vantaggi del concordato preventivo: è l’unica procedura che consente di imporre sacrifici a tutti i creditori in modo vincolante, salvando però l’impresa (nel caso di continuità) o massimizzando il valore di realizzo (nel caso liquidatorio) rispetto a un fallimento. Offre una protezione immediata: dal deposito della domanda (o dalla pubblicazione della domanda “in bianco”), scatta l’automatic stay delle azioni esecutive e cautelari. Consente anche di sciogliersi da contratti onerosi con autorizzazione (es. rescindere affitti non sostenibili) e di ottenere finanza interinale con priorità di rimborso (prededuzione) per portare avanti l’attività durante la procedura. Prevede il controllo di un commissario e del giudice, il che aumenta la fiducia di eventuali nuovi partner/investitori. Inoltre, una volta omologato, il concordato chiude la partita col passato: la società può ripartire liberata dai debiti pregressi falcidiati (esdebitazione dell’ente, per quanto concetto atipico perché se è in continuità l’ente resta lo stesso, se è liquidatorio di solito si estingue).
Svantaggi: è una procedura complessa, costosa e lunga. Richiede un elevato grado di formalismo (il piano deve soddisfare tutti i requisiti, rispettare cause di prelazione, classi, ecc., altrimenti i creditori o il tribunale possono farla fallire). Il percorso di voto può essere incerto e un piccolo gruppo di creditori strategici (es. uno con privilegio parziale che fa opposizione) potrebbe creare intoppi in omologazione. Inoltre, durante il concordato, l’impresa è vincolata a operare secondo il piano e sotto vigilanza – non c’è la libertà d’azione di prima. I costi includono: il compenso del commissario, eventuali spese legali e del professionista attestatore del piano, contributi di procedura. Infine, se il concordato non viene eseguito (ad es. l’azienda non riesce poi a pagare le percentuali promesse), si rischia la risoluzione del concordato e la conseguente apertura della liquidazione giudiziale (con peggior danno perché nel frattempo si sono spesi soldi e perso tempo). Quindi è un’arma potente ma da usare quando si ha ragionevole certezza di poterla portare a termine.
Profilo fiscale e penale specifico: in caso di concordato, la parte di debiti chirografari falcidiati non genera reddito imponibile per la società (no tassazione delle sopravvenienze attive, ex art. 88 TUIR, come chiarito anche per i concordati con continuità). Inoltre, c’è la possibilità di transazione fiscale dentro il concordato: l’Agenzia Entrate può aderire al piano che preveda stralcio di imposte, se il debitore offre almeno il 20% sul capitale fiscale (prima era obbligatorio il 20%, ora può essere anche meno se c’è la cram-down fiscale). Già dal 2020 l’ordinamento consente al tribunale di omologare il concordato anche senza il voto favorevole del Fisco, se la proposta a quest’ultimo è conveniente (cram-down fiscale). Ciò è stato recepito nel CCII: in pratica, l’Erario non ha più un potere di veto assoluto nei concordati preventivi se la sua soddisfazione rispetta certe condizioni (≥ il miglior realizzo in fallimento e ≥ una certa soglia salvo casi eccezionali).
A livello penale, l’apertura di concordato evita dichiarazioni di fallimento, quindi l’imprenditore non incorre nei reati di bancarotta (che presuppongono un fallimento). Rimangono possibili altri reati se commessi (es. eventuali reati tributari per omessi versamenti restano perseguibili), ma il concordato in sé non è reato. Anzi, completare con successo un concordato può portare all’estinzione di alcuni reati fallimentari minori per intervenuta causa di non punibilità (art. 236 L.F. prevedeva ciò e la logica prosegue nel CCII per i reati di bancarotta semplice, credo con rimandi a eventuali condotte riparatorie).
Concordato preventivo nella pratica per SRL indebitata: se un’SRL ha accumulato troppi debiti per essere gestibili con accordi stragiudiziali, ma ha ancora un core business valido, un prodotto vendibile o ordini in corso, spesso la via è il concordato in continuità. Ad esempio, l’imprenditore può presentare un piano con un nuovo investitore (che apporta capitale fresco per il 30%, ottenendo magari la maggioranza delle quote) e con cui si pagherà il 40% ai chirografari in 5 anni, mantenendo operativa l’azienda e salvando i posti di lavoro. I creditori dovranno valutare se conviene loro accettare il piano (40% dilazionato) o votare contro e rischiare il fallimento (dove forse prenderebbero 10% e l’azienda chiude). Nella maggior parte dei casi, se il piano è credibile, votano sì. Al contrario, se l’azienda è decotta senza speranza, allora si ricorre al concordato liquidatorio oppure direttamente alla liquidazione giudiziale.
Comparazione tra i principali strumenti (Composizione negoziata, Piano attestato, ADR, Concordato) in termini sintetici:
Strumento | Tipo | Coinvolgimento tribunale | Consenso necessario | Misure protettive | Effetti sui debiti | Destinazione impresa |
---|---|---|---|---|---|---|
Composizione negoziata | Stragiudiziale assistito (esperto) | Tribunale solo per stay e autorizzazioni eventuali | Consenso di ciascun creditore per accordi individuali | Sì, stay fino 12 mesi su richiesta | Riduzione debiti solo se creditori aderiscono. No vincolo per dissenzienti. | Risanamento o passaggio ad altra procedura. Impresa continua se accordo raggiunto. |
Piano attestato (PAR) | Stragiudiziale privato | No (solo attestatore indipendente) | Tutti i principali creditori devono aderire (di fatto unanimità dei rilevanti) | No stay automatico (possibile chiedere misure via tribunale in composizione negoziata parallela) | Debiti ridotti per chi aderisce; estranei da pagare integralmente. Atti protetti da revocatoria. | Continuazione attività se piano riesce. |
Accordo ristrutturazione (ADR) | Semi-concorsuale (privato + omologa) | Sì, omologa del Tribunale (procedura breve) | 60% dei crediti totali minimo (maggiore può imporre a minoranza) | Sì, automatic stay su richiesta fino 6+6 mesi | Debiti falcidiati per aderenti secondo accordo; non aderenti: da pagare 100% ma possono avere moratoria e vincoli da omologa. | Può essere sia continuità che liquidazione parziale a seconda dell’accordo. |
Concordato preventivo | Concorsuale giudiziale | Sì, forte (Tribunale + Commissario + omologa) | Maggioranza dei crediti (e classi) vota favorevole | Sì, stay automatico dal deposito domanda (fino a omologa) | Debiti ridotti/falcidiati erga omnes secondo piano omologato. Transazione fiscale integrata possibile. | Continuità (se previsto: azienda salva) o Liquidazione ordinata (cessione beni, fine attività). |
(PRO = Piano di ristrutturazione omologato, strumento nuovo simile a concordato “light” con classi – omesso per brevità in tabella)
Come si vede, il concordato è lo strumento più invasivo ma anche quello che offre l’uscita più drastica dall’eccesso di debiti (imponendo tagli a tutti). Il piano attestato e la composizione puntano sul consenso e sono ideali quando c’è cooperazione. L’ADR è di mezzo: c’è un certo intervento giudiziale ma si basa ancora sul consenso qualificato.
Liquidazione giudiziale (ex fallimento)
La liquidazione giudiziale è la procedura concorsuale liquidatoria che ha sostituito il “fallimento” tradizionale. È disciplinata dal Titolo V del CCII. Rappresenta l’extrema ratio quando l’insolvenza è conclamata e non vi sono possibilità di risanamento o accordi. Per una SRL sovra-indebitata e non salvabile, la liquidazione giudiziale comporta:
- Dichiarazione di liquidazione giudiziale: su ricorso di un creditore, dell’imprenditore stesso o d’ufficio del tribunale (su segnalazione del PM, ad esempio), se la società è insolvente. Il tribunale accerta lo stato d’insolvenza (incapacità strutturale di adempiere) e pronuncia la sentenza di apertura della liquidazione giudiziale.
- Effetti immediati: decadenza degli amministratori, nomina di un Curatore che amministra il patrimonio, spossessamento dei beni della società (passano al curatore), chiusura dell’esercizio provvisorio dell’impresa salvo eccezioni (il tribunale può autorizzare temporanea continuazione dell’attività se utile per migliore realizzo). I creditori non possono più agire individualmente (vige il principio della par condicio); devono presentare le domande di insinuazione al passivo.
- Procedura di accertamento del passivo: il curatore forma lo stato passivo, i creditori vengono esaminati e ammessi dal giudice delegato. Vengono riconosciute le cause di prelazione (privilegi, ipoteche, pegni) e classificati i crediti (privilegiati, subordinati, prededucibili, chirografari).
- Liquidazione dell’attivo: il curatore, sotto la vigilanza del Comitato dei creditori e con autorizzazione del GD, vende i beni della società (aste, trattative private, cessione rami d’azienda, crediti, immobili, ecc.), e recupera crediti (anche promuovendo azioni di responsabilità contro amministratori se del caso, o revocatorie di pagamenti preferenziali fatti prima del fallimento).
- Distribuzione: il ricavato viene distribuito secondo l’ordine delle cause di prelazione: prima i crediti prededucibili (spese di procedura, crediti sorti per finanziamenti autorizzati durante eventuale esercizio provvisorio o composizione negoziata precedente), poi i crediti privilegiati (distinguendo privilegi speciali – es. ipoteche su beni specifici – e generali, che insistono sul patrimonio mobiliare), poi, se avanza qualcosa, i chirografari in percentuale uguale. Spesso i chirografari prendono poco o nulla, dipende dall’attivo.
- Chiusura e esdebitazione: una volta esaurita la liquidazione e fatti i riparti, la procedura si chiude. La società come ente viene cancellata dal registro imprese (cessa di esistere). Formalmente i debiti non soddisfatti resterebbero in capo alla società, ma essendo estinta nessuno li pagherà. Non c’è esdebitazione in senso tecnico per la società (concetto che si applica alle persone fisiche), ma di fatto i debiti insoddisfatti restano inesigibili. Tuttavia, attenzione: eventuali garanti personali (es. soci fideiussori, coobbligati) restano obbligati e i creditori potranno rivalersi su di loro. Inoltre, i soci in caso di chiusura con attivo distribuito (come visto) rispondono delle somme percepite e, secondo la giurisprudenza citata, anche oltre quello in certi casi. Infine gli amministratori potrebbero essere chiamati in causa per il deficit.
- Conseguenze per amministratori e altri: l’apertura della liquidazione giudiziale comporta per gli amministratori/direttori generali l’interdizione dalle cariche per un certo periodo. Inoltre, si apre la fase penale: se ci sono state condotte di bancarotta, il curatore le segnala al PM e segue l’eventuale processo penale.
- Differenza con la liquidazione volontaria: da non confondere la liquidazione giudiziale (concorsuale) con una liquidazione volontaria societaria ex art. 2484 c.c. – quest’ultima avviene quando i soci decidono di sciogliere la società pur se solvibile e nominano un liquidatore per pagare i debiti e distribuire l’eventuale attivo residuo. Se però in corso di liquidazione volontaria emerge l’insolvenza, si dovrà comunque passare a liquidazione giudiziale.
La liquidazione giudiziale, in sostanza, è il “fallimento” con un nome diverso. Per una SRL con debiti è la soluzione peggiore (o inevitabile se nulla è percorribile): l’impresa cessa, i creditori di solito subiscono perdite consistenti, gli amministratori possono andare incontro a guai (azioni di responsabilità, sanzioni, interdizioni). Quando si finisce in liquidazione giudiziale? Quando l’insolvenza è ormai conclamata e nessun accordo è possibile: ad es. la SRL ha i conti bloccati, i creditori non sono stati pagati da mesi e hanno perso fiducia, non c’è piano industriale credibile, oppure i tentativi di concordato sono falliti (mancanza di voto, revoca, ecc.).
Un caso tipico: se un concordato fallisce (perché non votato o risolto), la conseguenza diretta è l’apertura della liquidazione giudiziale (il CCII prevede che se il concordato è revocato o risolto, il tribunale dichiara la liquidazione giudiziale d’ufficio). Oppure se durante la composizione negoziata l’esperto dichiara che non c’è più ragionevole prospettiva di risanamento, l’imprenditore può essere “spinto” a depositare istanza di liquidazione, pena responsabilità.
Va ricordato che per le “imprese minori” (quelle sotto le soglie dell’art. 2 lett. d CCII, circa: attivo < 300k, ricavi < 200k, debiti < 500k, grosso modo) la liquidazione giudiziale non si applica: essi ricadono nella disciplina del sovraindebitamento e possono accedere alla liquidazione controllata presso il tribunale competente. Ma per la maggior parte delle SRL operative che superano anche solo uno di questi parametri, la procedura sarà la liquidazione giudiziale ordinaria.
Nota sulle responsabilità finali: La chiusura della liquidazione giudiziale non impedisce ai creditori insoddisfatti di agire contro eventuali coobbligati, come detto. Se per esempio i soci o amministratori hanno firmato garanzie personali su debiti bancari, la banca dopo la chiusura fallimentare (dove avrà preso un tot di realizzo) potrà escutere i garanti per la differenza. Idem per chi ha emesso fideiussioni. Inoltre, il curatore può promuovere, anche dopo la chiusura, azioni contro gli amministratori per il risarcimento del danno da insolvenza (queste azioni, se non definite prima, vengono spesso cedute a terzi o ai creditori maggiori per esercitarle). La Cassazione e il CCII hanno facilitato tali azioni, come visto, presumendo il danno dal peggioramento del patrimonio. Dunque, liquidare la società in tribunale non mette necessariamente al riparo gli amministratori da conseguenze economiche personali.
Prassi operative recenti: con il CCII sono state emanate linee guida per rendere la liquidazione giudiziale più efficiente (ad esempio il codice della crisi incoraggia l’uso di portali telematici per le vendite, e introduce la figura dell’ausiliario per facilitare cessione d’azienda ecc.). In alcune grandi città sono stati istituiti “sportelli” per la crisi per aiutare le micro imprese a gestire sovraindebitamento invece di fallire. In generale, però, la liquidazione resta procedura complessa. I dati 2023-2024 mostrano un aumento delle liquidazioni giudiziali dopo la fine delle moratorie Covid, ma anche un crescente utilizzo di concordati preventivi semplificati e accordi per evitarle.
Nei capitoli precedenti abbiamo descritto in dettaglio ciascun strumento. Prima di passare alle simulazioni pratiche e alle FAQ, ecco un riepilogo comparativo sotto forma di tabella, che confronta i principali istituti in termini di finalità, esito per l’impresa e incidenza sui debiti:
Strumento | Finalità principale | Esito per l’impresa | Effetti sui debiti |
---|---|---|---|
Composizione negoziata (stragiudiziale assistito) | Risanare l’impresa evitando procedure formali, tramite accordi volontari facilitati da un esperto. | Impresa continua se si trova accordo (nessuna procedura concorsuale aperta). | Debiti ristrutturati solo con accordi individuali; possibili dilazioni/moratorie generalizzate se creditori collaborano; nessuna imposizione a dissenzienti. |
Piano attestato di risanamento (stragiudiziale con attestazione) | Evitare l’insolvenza tramite un piano credibile certificato da esperto, ottenendo esenzione da revocatoria e fiducia dei creditori. | Impresa continua la gestione normale se il piano ha successo (nessun intervento dell’autorità). | Debiti ristrutturati per accordo; atti esecutivi del piano protetti da revocatorie; creditori non aderenti pagati a parte al 100%. |
Accordo di ristrutturazione omologato (60%+) | Ridurre e riscadenzare l’indebitamento con efficacia vincolante, senza ricorrere al voto concordatario, ma con omologa tribunale. | Impresa continua (di solito) se l’accordo prevede continuità; se accordo prevede cessione azienda, impresa può essere trasferita (ma non liquidata forzosamente). | Debiti verso aderenti tagliati/riscadenzati secondo accordo; dissenzienti da soddisfare integralmente (possibile moratoria legalizzata); transazione fiscale inclusa. |
Concordato preventivo in continuità | Ristrutturare l’impresa sotto controllo giudiziario, salvando attività e posti di lavoro. | Impresa continua (debitor stessa o per cessione) a seguito di piano confermato; nuova finanza e investitori possono entrare; l’azienda è salvata. | Debiti falcidiati e ristrutturati come da piano omologato; pagamento parziale di chirografari e eventuali privilegiati (secondo regole di priorità relative); esdebitazione dell’azienda post omologa (i crediti pregressi non oltre la percentuale concordataria). |
Concordato preventivo liquidatorio | Liquidare i beni sotto controllo giudiziale evitando il fallimento, con distribuzione ordinata ai creditori. | Impresa cessa, beni liquidati (eventualmente venduti in blocco a terzi); società destinata a estinguersi dopo esecuzione. | Debiti parzialmente pagati con il ricavato (tipicamente chirografari ottengono un dividendo%); residuo non pagato cancellato con chiusura procedura. |
Concordato semplificato (post-composizione negoziata) | Liquidare il patrimonio rapidamente senza voto dei creditori, quando la negoziazione è fallita ma c’è opportunità di realizzo migliore di un fallimento. | Impresa cessa, liquidazione rapida a cura di un ausiliario nominato dal giudice; società estinta a fine processo. | Debiti trattati come in un concordato liquidatorio (creditori ricevono quanto possibile secondo piano, senza votare; residuo stralciato con omologa). |
Liquidazione giudiziale (fallimento) | Realizzare tutti i beni dell’impresa insolvente per soddisfare i creditori secondo legge; eliminare l’impresa dal mercato. | Impresa cessa immediatamente (salvo esercizio provvisorio brevissimo se utile); società perde la disponibilità dei beni e viene poi cancellata dal registro. | Debiti pagati in ordine di grado (prededuzione, privilegi, poi chirografi pro quota se avanza); in genere percentuali basse per chirografi. Debiti residui non formalmente cancellati ma società estinta; coobbligati e garanti restano obbligati per intero. |
Nota: Esistono anche strumenti dedicati a soggetti non fallibili o “minori” (imprese sotto soglia, consumatori): piani di ristrutturazione del debitore minore, concordato minore, liquidazione controllata. Nel contesto di una SRL ordinaria questi non si applicano (tranne il caso di piccolissime SRL sotto le soglie, che potrebbero accedere al concordato minore). Per completezza, il concordato minore funziona in modo simile al preventivo ma con iter semplificato e riservato a debiti sotto un certo plafond; la liquidazione controllata è l’equivalente del fallimento per un soggetto non fallibile.
Nei prossimi paragrafi illustreremo attraverso simulazioni pratiche come, in diverse situazioni di crisi di una SRL, possano essere combinati o scelti gli strumenti sopra descritti, e successivamente risponderemo alle domande frequenti. Infine, verranno elencate tutte le fonti normative e giurisprudenziali citate.
Casi pratici: simulazioni di gestione della crisi
Per rendere più concreti i concetti esposti, presentiamo alcune simulazioni pratiche basate su scenari tipici che possono coinvolgere una SRL in difficoltà. Ogni caso evidenzia una diversa combinazione di debiti e possibili soluzioni ai sensi del Codice della Crisi.
Caso 1: Piccola SRL commerciale con debiti fiscali e previdenziali prevalenti
Scenario: Alfa S.r.l. è una piccola società commerciale (3 dipendenti) che gestisce due negozi di abbigliamento. Negli ultimi anni, complici crisi dei consumi e pandemia, Alfa ha accumulato debiti con il Fisco (€150.000 tra IVA non versata e ritenute IRPEF dipendenti) e con l’INPS (€50.000 di contributi arretrati). I fornitori sono stati in buona parte pagati attingendo a quelle risorse (scelta discutibile ma fatta per continuare ad approvvigionarsi di merce). Ora però l’Agenzia delle Entrate-Riscossione ha notificato cartelle esattoriali per l’IVA e minaccia pignoramenti, mentre l’INPS ha inviato diffida. L’azienda ha pochi altri debiti (fornitori €30.000 relativamente recenti) e ha un conto in banca quasi a zero, con fido revocato.
Problema: Debiti principalmente verso creditori pubblici, che hanno privilegi e potere di attivare misure esecutive. Liquidità scarsa. L’azienda è in crisi, ma potrebbe tornare in bonis se dilaziona il debito fiscale/contributivo (magari approfittando di definizioni agevolate) perché il giro d’affari dei negozi è buono.
Azione intrapresa: Gli amministratori di Alfa, avvisati anche dal commercialista, decidono di attivarsi prima che l’Erario pignori i conti o ipotechi il negozio. Presentano istanza di Composizione Negoziata presso la Camera di Commercio. Ottenuto l’esperto indipendente, chiedono subito misure protettive: il tribunale concede il blocco temporaneo di azioni esecutive di AE-Riscossione. Ciò ferma i pignoramenti in corso. Nel frattempo, con l’aiuto dell’esperto, Alfa contatta l’Agenzia delle Entrate e l’INPS proponendo una transazione fiscale e contributiva: chiede di pagare il 60% del dovuto in 5 anni rateizzato, falcidiando sanzioni e interessi (che di fatto verrebbero stralciati quasi del tutto). Propone anche di versare subito un acconto di €20.000 (racimolato con l’aiuto dei soci) a titolo di buona fede. L’esperto redige un piano d’incassi prospettico dove, riducendo qualche spesa e chiudendo il punto vendita meno redditizio, Alfa può generare cassa per circa €40.000 annui, abbastanza per sostenere le rate.
Esito delle trattative: Grazie anche alle novità normative, l’Agenzia Entrate accetta la transazione fiscale nell’ambito della composizione negoziata (cosa che prima del 2024 non era possibile). L’INPS pure aderisce per la parte contributiva. I fornitori (che per €30k attendono pagamento) vengono anch’essi contattati: si offre loro un pagamento integrale ma dilazionato a 12 mesi, spiegando che c’è un accordo con lo Stato in corso. I fornitori, fiutando che altrimenti rischierebbero di perdere tutto in caso di fallimento, accettano. L’esperto certifica il raggiungimento di un accordo con la totalità dei creditori: il 100% di loro ha firmato intese (Erario e INPS con atto formale di transazione depositato, fornitori con accordi bilaterali di saldo dilazionato).
Chiusura: La composizione negoziata si chiude con successo dopo 4 mesi. Alfa S.r.l. esce dalla procedura, riprende la normale attività (ha chiuso un negozio ma l’altro va meglio), e negli anni successivi paga regolarmente le rate concordate. Non è stato necessario né un concordato preventivo né aprire procedure giudiziali. Gli amministratori hanno evitato potenziali responsabilità penali (omesso versamento IVA, se saldano secondo l’accordo il reato viene meno grazie alla definizione) e la società è salva.
Considerazioni: Questo caso mostra una crisi prevalentemente fiscale/previdenziale risolta senza fallimento né concordato, grazie alla flessibilità della composizione negoziata e alla transazione fiscale. Senza tali strumenti, Alfa avrebbe probabilmente subito pignoramenti e sarebbe fallita. Invece, con un po’ di liquidità fresca dei soci e un piano credibile, anche il Fisco ha preferito incassare 60% a rate piuttosto che forzare la chiusura e forse recuperare meno.
Caso 2: Media SRL manifatturiera indebitata con banche e fornitori (continuità possibile)
Scenario: Beta S.r.l. è un’azienda manifatturiera (60 dipendenti) nel settore componenti meccanici. Ha debiti importanti verso le banche (€4 milioni: mutui ipotecari su capannone per €2M, scoperti su c/c e anticipi per €1M, leasing macchinari €1M) e verso i fornitori (€1,5M scaduti). Ha anche debiti fiscali di €200k (IVA e IRES non ancora iscritti a ruolo) e verso dipendenti €100k (straordinari e TFR non liquidati). L’attivo è composto da: un capannone industriale (valore stimato €1,5M ma ipotecato per €2M), macchinari in leasing (residuo €1M), magazzino e crediti commerciali per €800k. L’azienda è insolvente di fatto: non paga fornitori da 4 mesi, le banche hanno segnalato sconfinamenti e minacciano revoca fidi. Tuttavia, Beta ha ordini consistenti per il prossimo anno grazie a un nuovo contratto con un cliente estero; se riuscisse a finanziarsi per comprare materie prime, potrebbe generare utili e risanarsi sul medio termine.
Problema: Situazione complessa con molti creditori, insolvenza già manifesta. C’è una prospettiva di salvataggio (ordini futuri) ma serve tempo e ristrutturazione del debito. I creditori disallineati: le banche vorrebbero rientrare, i fornitori sono agitati, il fisco preme. Beta da sola non può farcela: deve ridurre il debito e dilazionarlo.
Azione intrapresa: Beta valuta che un semplice piano attestato non basterebbe perché convincere tutti i fornitori (sono ~50 diversi) è arduo e anche le banche potrebbero non essere unanimi. D’altro canto vuole evitare la liquidazione fallimentare per non perdere gli ordini. Decide di presentare un concordato preventivo con continuità aziendale. Opta per il deposito di una domanda “in bianco”, ottenendo immediato blocco dei pignoramenti. Poi, in 3 mesi, prepara un piano di concordato: prevede di ridurre i costi, vendere alcuni macchinari inutilizzati (€200k stimati) e cercare un investitore disposto a immettere €500k di nuova finanza (prededucibile) per sostenere la ripresa. Costituisce classi di creditori:
- Classe 1: Dipendenti (TFR e stipendi arretrati) – da pagare 100% entro 6 mesi dall’omologa.
- Classe 2: Agenzia delle Entrate (IVA/IRES) – privilegio parziale, propone 50% pagamento in 4 anni, sfruttando transazione fiscale (sanzioni azzerate).
- Classe 3: Fornitori strategici – propone pagamento 30% in 5 anni (perché vuole mantenerli come partner, li premia un po’).
- Classe 4: Banche chirografarie (per la parte non coperta da ipoteche) – propone 20% in 4 anni.
- Classe 5: Fornitori generici – propone 20% in 5 anni (essendo meno critici per il futuro).
- (I leasing e mutui ipotecari: ipotesi, li risolve vendendo il capannone e con accordo di saldo a stralcio sull’ipoteca, oppure li tratta fuori dal concordato se continua a pagarli regolarmente con accordo di rinegoziazione – dettagli possibili).
Elabora un piano industriale annesso: con i nuovi ordini, Beta stima ricavi annui in crescita, margini sufficienti per pagare quelle percentuali e restituire l’eventuale prestito prededucibile dell’investitore.
Trattativa durante il concordato: Prima del voto, Beta avvia confronti con le banche e i fornitori chiave per spiegare il piano. Le banche ipotecarie, vedendo che la proposta al chirografo è solo 20%, fanno un po’ di resistenza; tuttavia Beta fa notare che se fallisce, la loro ipoteca su capannone varrebbe forse 50% e i chirografari zero, quindi prendere 20% come chirografari non è scandaloso in comparazione. Offre anche alle banche l’opzione di convertire parte del debito in equity (quote societarie) insieme all’investitore, per dar loro un potenziale upside se l’azienda risale – alcune accettano, altre preferiscono incassare la percentuale. I fornitori strategici (ad es. fornitori di componenti senza i quali Beta non produce) sono soddisfatti di aver 30% invece di 20% e soprattutto di mantenere Beta come cliente in futuro, quindi appoggiano. I fornitori piccoli, pur non felici del 20% in 5 anni, capiscono che in fallimento prenderebbero quasi nulla e votano sì per convenienza. L’Erario, grazie alla transazione fiscale, è d’accordo sul 50% (ottenendo così comunque più di quanto farebbe nella maggior parte dei fallimenti). I dipendenti, rassicurati dal mantenimento dei posti di lavoro, approvano (tra l’altro, loro sono protetti dal privilegio elevato).
Esito: Al voto, le classi 1, 2, 3, 5 approvano quasi all’unanimità. La classe 4 (banche chirografarie) approva con il 75% di sì, 25% no (qualche fondo cessionario di crediti vota contro per politica). In totale, la maggioranza dei crediti ha votato sì e la maggioranza delle classi è favorevole. Una banca dissenziente fa opposizione in sede di omologa lamentando disparità di trattamento (dice: perché fornitori 30% e noi 20%?), ma il tribunale rigetta perché c’è una giustificazione economica (fornitori da preservare per continuità, banche possono accontentarsi avendo magari garanzie reali altrove – alcuni crediti erano garantiti, insomma motivano). Inoltre il tribunale verifica che nessuna classe prende meno di una inferiore (20% è il minimo per chirografi, e i subordinati eventuali prenderebbero meno ma accettabile) e che nessun dissenziente avrebbe comunque avuto di più in liquidazione (test di convenienza).
Il concordato viene omologato. Beta riceve l’apporto di €500k dall’investitore, con cui finanzia la ripresa produttiva e paga subito alcune tranche (dipendenti, acconti ai fornitori). Nei successivi 5 anni, Beta esegue regolarmente il piano: i creditori ricevono i pagamenti promessi. L’azienda torna profittevole e, a piano concluso, rimane attiva sotto la nuova governance (investitore + alcune banche convertite in soci). I vecchi debiti insoddisfatti oltre le percentuali sono cancellati definitivamente. Gli amministratori originari evitano l’azione di responsabilità perché il concordato li ha esonerati di fatto (avendo agito in tempo, e comunque la società è salva).
Considerazioni: Questo caso illustra un concordato in continuità riuscito: la SRL era insolvente, ma aveva prospettive di rilancio, realizzate tramite la procedura concorsuale. Il concordato ha permesso di cramdown i creditori dissenzienti (imporre loro la riduzione del credito) e di attirare finanza esterna in sicurezza (l’investitore ha accettato di entrare sapendo di avere prededuzione e di trovare un’azienda “pulita” dai debiti pregressi). Senza concordato, Beta quasi certamente sarebbe fallita perché non c’era tempo né unanimità per un accordo stragiudiziale. Con un accordo di ristrutturazione forse avrebbe avuto il problema di pagare per intero i dissenzienti (troppo oneroso). Quindi lo strumento giusto era il concordato. Si noti che la differenza di trattamento tra classi (30% vs 20%) è lecita se giustificata, come avvenuto nel caso (incentivare fornitori vitali).
Caso 3: SRL immobiliare senza prospettive (liquidazione inevitabile)
Scenario: Gamma S.r.l. era una società di costruzioni che ha terminato i lavori e non ha più attività in corso. Ha un grosso debito verso una banca (€5M garantito da ipoteca su un cantiere incompiuto), debiti verso acquirenti che avevano versato anticipi per case mai consegnate (€2M), debiti fiscali minori (€100k). Le opere sono ferme e la società non ha liquidità né possibilità di nuovi lavori (reputazione rovinata, mercato stagnante). Siamo in presenza di insolvenza conclamata: Gamma non può restituire nulla se non vendendo quel cantiere.
Problema: Non esiste un business da salvare, l’unica soluzione è liquidare il patrimonio e ripartire i soldi. La banca ipotecaria ha già avviato pignoramento sull’immobile. I promissari acquirenti (chirografari) sono furiosi e alcuni hanno chiesto il fallimento.
Azione intrapresa: Gli amministratori, per evitare incriminazioni per bancarotta preferenziale (hanno pagato qualche creditore amico di recente) e per gestire la cosa ordinatamente, decidono di tentare una liquidazione concordata invece di subire il fallimento. Chiedono una composizione negoziata ma l’esperto valuta che non c’è nulla da negoziare (la banca vuole solo il suo credito, i clienti non accettano sconti perché rivogliono i soldi). L’esperto quindi dichiara fallita la trattativa. A questo punto, Gamma – entro 60 giorni dalla relazione dell’esperto negativo – propone un concordato semplificato per la liquidazione (come da art. 25-sexies CCII). Propone di vendere subito il cantiere ad un investitore che si è fatto avanti (per €3M) e distribuire i soldi: la banca ipotecaria prenderebbe quei 3M (pari circa al 60% del suo credito, ma almeno li realizza subito senza asta), i promissari acquirenti purtroppo prenderebbero zero in mancanza residua (per legge nel concordato semplificato si deve comunque assicurare che non otterrebbero di più nel fallimento – qui nel fallimento avrebbero zero comunque, quindi la condizione regge). L’accordo prevede inoltre che l’investitore che compra il cantiere si accolla di finire i lavori e consegnare le case ai promissari, liberandoli così dal credito monetario (questa è una “utilità” che nel fallimento difficilmente avrebbero). Il tribunale verifica la proposta: la banca è d’accordo (ha scritto che preferisce prendere 3 subito che forse 2 dopo anni di esecuzioni) e soprattutto i promissari acquirenti, pur non prendendo denaro, ottengono la prospettiva delle case finite dall’investitore – quindi non si oppongono ferocemente (anche perché nel fallimento rischierebbero di perdere acconti e case).
Esito: Non essendoci voto dei creditori, il tribunale valuta la convenienza e la fattibilità. Con l’ok dell’esperto nominato ausiliario, omologa il concordato semplificato. Il cantiere viene ceduto all’investitore, la banca incassa €3M, i clienti vengono presi in carico dal nuovo costruttore che promette di onorare i contratti (eventualmente verseranno il saldo a lui a fine lavori). Gamma a quel punto non ha più beni e viene chiusa la procedura. I crediti residui dei promissari per anticipi non rimborsati teoricamente restano insoddisfatti, ma essi li convertono di fatto nella consegna dell’immobile finito (che vale più del credito stesso, idealmente). Gamma S.r.l. verrà cancellata e gli amministratori si mettono a disposizione del curatore per eventuali verifiche, ma avendo agito tramite concordato semplificato ed evitato lo scenario peggiorativo, è improbabile vengano perseguiti (non emergono distrazioni, solo sfortuna economica).
Considerazioni: Qui la soluzione è stata una liquidazione non fallimentare con lo strumento più innovativo (concordato semplificato). Si noti che questo istituto consente di concludere velocemente se c’è un deal chiaro (vendere l’attivo e distribuire) ma non c’è tempo/consenso per un concordato normale. Ha funzionato perché c’era un bene appetibile e un compratore, e i creditori non privilegiati hanno avuto un’altra utilità (case consegnate) come compensazione, anche se formalmente il loro credito è stato tagliato del 100%. Una SRL che invece non avesse alcun attivo significativo finirà inevitabilmente in liquidazione giudiziale ordinaria.
Caso 4: SRL in bonis che adotta misure di allerta e risanamento precoce
(Un esempio virtuoso, per cambiare prospettiva.)
Scenario: Delta S.r.l. è un’azienda di produzione alimentare di medie dimensioni. Non è insolvente, ma i margini si sono ridotti e ha subito un calo di liquidità perché un grande cliente estero ha ritardato i pagamenti. Sta accumulando ritardi verso qualche fornitore e ha dovuto saltare un pagamento IVA trimestrale. Gli indicatori interni (calcolati dal CFO) mostrano DSCR a 6 mesi = 0,9 e debiti verso fornitori a 120 giorni pari al 45% del totale fornitori (segno di tensione). L’organo di controllo (collegio sindacale) invia agli amministratori una segnalazione interna indicando “attenzione: ci sono fondati indizi di crisi” e chiedendo quali iniziative intendano prendere.
Problema: Delta non è in crisi irreversibile, ma sta entrando in zona d’allerta. Deve intervenire prima che i problemi diventino gravi (ad esempio, prima che la banca riduca i fidi o che il DSCR scenda ancora).
Azione intrapresa: Gli amministratori rispondono entro 15 giorni alla segnalazione illustrando un piano di risanamento “light”: contratteranno con il cliente estero un rientro più rapido, nel frattempo chiedono alla banca un fido aggiuntivo di €200k per pagare i fornitori strategici (evitando rotture di stock). Poiché la banca chiede garanzie, i soci decidono di intervenire finanziando a fondo perduto €100k (riducendo di pari importo i dividendi previsti). Inoltre, per la rata IVA saltata, attivano subito una rateizzazione con l’Erario in 6 rate, regolarizzando così prima che partano cartelle o segnalazioni esterne. L’azienda avvia anche un programma di riduzione costi (energia e logistica) per recuperare marginalità.
Esito: Queste misure, attuate in pochi mesi, riportano Delta in equilibrio: i fornitori tornano a essere pagati a 60 giorni, la tensione di cassa rientra dopo l’incasso dei crediti dal cliente estero. La banca, vedendo la reazione proattiva e la ricapitalizzazione dei soci, concede fiducia e rinnova i fidi (non segnala Delta come problematica in Centrale Rischi, quindi niente stigma). La crisi è stata sventata sul nascere, senza necessità di accedere a procedure concorsuali. La segnalazione interna del collegio sindacale ha sortito l’effetto desiderato di pungolare gli amministratori, che hanno risposto per tempo, evitando in prospettiva responsabilità e perdite peggiori. Nessun creditore ha subito danni significativi e la reputazione di Delta sul mercato non è stata intaccata (pochi sapevano delle difficoltà, giusto qualche fornitore che però ha apprezzato il pagamento e la comunicazione franca).
Considerazioni: Questo “caso” dimostra l’importanza degli strumenti di allerta interna e delle misure pre-concorsuali come rateazioni o interventi dei soci. Non sempre è necessario arrivare a un concordato: l’ideale è non entrarci affatto agendo prima. Il Codice della Crisi vuole proprio incentivare condotte come quelle di Delta: amministratori diligenti che, di fronte ai segnali di crisi, non nascondono la testa sotto la sabbia ma coinvolgono partner (banche, soci, fornitori) e applicano soluzioni di mercato (rifinanziamenti, ristrutturazioni organizzative) in autonomia. In questi casi, la premialità sta nel fatto che non c’è nemmeno pubblicità negativa né costi di procedura. Gli organi di controllo che segnalano tempestivamente poi saranno esonerati da possibili azioni di responsabilità se le cose fossero andate male; qui addirittura il finale è stato positivo per tutti.
Queste simulazioni coprono diverse situazioni: crisi prevalentemente fiscale (Caso 1), crisi finanziaria complessa con rilancio (Caso 2), insolvenza senza speranza (Caso 3) e crisi incipiente risolta all’origine (Caso 4). Nella realtà, ogni azienda ha peculiarità proprie, ma l’importante è riconoscere presto la categoria di appartenenza e scegliere gli strumenti giusti. Nel dubbio, le imprese possono consultare esperti (commercialisti, avvocati d’impresa) e anche rivolgersi agli OCRI o organismi istituiti presso le Camere di Commercio che offrono assistenza per valutare la condizione di crisi.
Domande Frequenti (FAQ)
D: Quando una SRL può considerarsi in “stato di crisi” ai sensi del Codice?
R: Il Codice definisce lo stato di crisi come la probabilità di futura insolvenza desumibile da uno squilibrio economico-finanziario. In pratica, un’impresa è in crisi se, pur essendo magari ancora adempiente oggi, le proiezioni indicano che non riuscirà a far fronte regolarmente alle obbligazioni nei prossimi 12 mesi. Indici utili: flussi di cassa prospettici insufficienti (es. DSCR a 6 mesi < 1), capitale netto tendente al negativo, ritardi crescenti nei pagamenti, utilizzo massimo e prolungato di fidi, debiti scaduti verso dipendenti/fornitori oltre soglie (es. debiti salari > metà mensile per 30+ giorni). La crisi è dunque uno stadio antecedente all’insolvenza conclamata (in cui invece l’impresa è già incapace di adempiere). Il CCII incentiva a cogliere questi segnali di pre-crisi e intervenire subito.
D: Che differenza c’è tra crisi e insolvenza?
R: Crisi significa difficoltà oggettiva che potrebbe evolvere in insolvenza, mentre insolvenza è la incapacità attuale di pagare i debiti in modo regolare e di ottenere credito dai terzi. Ad esempio, un’azienda che ha flussi di cassa in forte tensione, ma non ha ancora saltato pagamenti significativi, può dirsi in crisi; se invece ha più debiti scaduti da tempo e non paga stipendi/fornitori, è già insolvente. La distinzione è importante: la crisi permette accesso a misure di allerta e strumenti di risanamento prima di dover ricorrere a procedure concorsuali, mentre l’insolvenza di regola richiede l’avvio di concordato o liquidazione.
D: Quali sono i primi passi che gli amministratori devono compiere quando si accorgono che la società ha problemi di liquidità o solvibilità?
R: Devono attivarsi tempestivamente. In concreto: (1) eseguire un’analisi accurata della situazione finanziaria (cash flow, debiti scaduti, impegni futuri) e delle cause della crisi; (2) informare il CDA e gli eventuali soci della gravità del quadro; (3) evitare di aggravare il dissesto (niente spese superflue, bloccare investimenti non urgenti, ecc.); (4) valutare subito le opzioni previste dal CCII: ad esempio contattare i creditori chiave per sondare disponibilità a una moratoria volontaria, oppure presentare istanza di Composizione Negoziata se la situazione lo consiglia (questo per avere un esperto e bloccare le azioni esecutive); (5) eventualmente attivare le procedure interne di allerta (se c’è il collegio sindacale, confrontarsi con esso; se c’è l’OCRI locale, è possibile chiedere loro supporto informale); (6) rivolgersi a consulenti specializzati (un advisor finanziario, un legale di crisi d’impresa) per predisporre un piano di risanamento o di gestione della crisi. L’errore da non fare è attendere sperando in miracoli: ogni giorno di ritardo può peggiorare la situazione e, in caso di fallimento poi, i curatori guarderanno con sospetto l’inerzia degli amministratori.
D: Gli amministratori o i soci di una SRL rispondono personalmente dei debiti sociali?
R: In linea generale no per i soci, non di regola per gli amministratori, grazie alla responsabilità limitata. Tuttavia, ci sono importanti eccezioni. I soci rispondono personalmente solo se hanno prestato garanzie (es. fideiussioni) o in casi di abuso della personalità giuridica (il cd. piercing the veil, raramente applicato). Inoltre, dopo la chiusura di una liquidazione, i soci possono essere chiamati a restituire quanto incassato in sede di bilancio finale se i creditori sono rimasti insoddisfatti (e la giurisprudenza ha esteso questo principio anche se la liquidazione non ha distribuito nulla, in certe situazioni). Gli amministratori, invece, possono incorrere in responsabilità verso i creditori se, violando i loro doveri (es. non adottando assetti adeguati, tardando colpevolmente la richiesta di concordato/fallimento), hanno provocato un danno al patrimonio sociale poi insufficiente a pagare i creditori. In tal caso (fallimento o liquidazione giudiziale) il curatore o i creditori stessi possono agire contro di loro per il risarcimento. Inoltre, gli amministratori rispondono sempre verso la società per mala gestio ex art. 2476 c.c. e i soci possono fare causa se la gestione ha causato perdite ingenti. In sintesi: i soci rischiano poco di tasca propria (salvo impegni specifici), gli amministratori rischiano in proprio se gestiscono male la crisi. Infine, sul piano penale, amministratori e anche soci (se amministratori di fatto) possono essere puniti per reati concorsuali (bancarotta fraudolenta, preferenziale, ecc.) in caso di fallimento con condotte illecite pregresse.
D: Cosa succede se la società non paga i debiti fiscali e previdenziali?
R: I debiti verso Erario e INPS sono molto “sensibili”. Se una SRL non paga l’IVA o le ritenute, oltre agli interessi maturano sanzioni amministrative elevate, e superate certe soglie scatta la segnalazione di crisi (come creditore pubblico qualificato l’Agenzia Entrate-Riscossione avvisa dell’anomalia) e potenzialmente una denuncia penale: ad esempio, l’omesso versamento IVA oltre €250k annui o ritenute oltre €150k annui è reato. Inoltre, l’Agente di Riscossione può attivare procedure esecutive rapide: fermo amministrativo su veicoli, pignoramenti di conto corrente, blocco dei crediti verso terzi, ipoteche sugli immobili sociali. Per i debiti previdenziali (contributi dipendenti) l’omissione oltre una soglia modesta (circa €10k) è reato penale (punito con multa e nei casi gravi anche arresto). Dunque, i debiti fiscali/previdenziali, se non pagati, paralizzano l’azienda: conti bloccati, impossibilità di ottenere DURC (documento regolarità contributiva) con conseguente esclusione da appalti, reputazione compromessa, e rischio di richieste di fallimento da parte di Agenzia Entrate o INPS. Il CCII offre però soluzioni: mediante un accordo di ristrutturazione o concordato con transazione fiscale, è possibile pagare parzialmente e dilazionare questi debiti in modo da regolarizzare la posizione. Inoltre periodicamente il legislatore vara definizioni agevolate (“rottamazione cartelle”) che consentono di estinguere cartelle con sanzioni ridotte: se l’impresa ne ha diritto, dovrebbe aderire, poiché aiuta molto. In generale, i debiti verso lo Stato vanno gestiti con priorità: conviene spesso pagare quelli correnti e semmai ritardare i fornitori (concordando con loro), perché il fisco ha poteri ben più invasivi e costi del debito più alti (sanzioni).
D: Quali scelte ha un’azienda troppo indebitata per salvarsi (priva di prospettive di risanamento)?
R: Se un’analisi onesta rivela che l’azienda non è più risanabile (ad esempio non c’è mercato, gli asset non generano flussi, i debiti superano di molto gli attivi, nessun investitore interessato), allora rimangono essenzialmente due vie: il concordato liquidatorio o la liquidazione giudiziale (fallimento). Il concordato liquidatorio può essere utile se c’è la possibilità di offrire ai creditori un qualcosa in più di un fallimento standard: ad esempio vendere l’intero complesso aziendale a un acquirente che continui l’attività (massimizzando il prezzo di cessione rispetto a uno spezzatino fallimentare) o far entrare i soci con un contributo per i creditori. Se non ci sono queste condizioni, probabilmente il tribunale neppure ammetterà il concordato (perché non soddisfa i requisiti di convenienza per i creditori), e si andrà in liquidazione giudiziale. In alcuni casi, come abbiamo visto nel Caso 3, se era stata tentata prima una composizione negoziata, si può accedere al concordato semplificato: non salva l’impresa (la liquida), però evita le lungaggini del fallimento e magari consegna i beni più rapidamente ai creditori. Dunque, la scelta per un’azienda decotta è su come liquidare, non sul se: concordato oppure fallimento. Dal punto di vista degli amministratori, proporre un concordato liquidatorio può essere visto di buon occhio (dimostra volontà collaborativa) e porta a una soluzione più ordinata; lasciar precipitare in un fallimento senza aver tentato nulla potrebbe esporli a critiche (o azioni di responsabilità per aggravamento del dissesto).
D: Una piccola SRL può evitare il fallimento? Esistono procedure “più leggere” per imprese minori?
R: Sì. Il Codice prevede che le cosiddette imprese minori (che rispettano determinati parametri di piccolezza in termini di attivo, ricavi e debiti) non siano soggette a liquidazione giudiziale, bensì alle procedure di sovraindebitamento analoghe a quelle delle persone fisiche. In concreto, una piccola SRL sotto soglia, se insolvente, non viene “dichiarata fallita” ma può accedere al concordato minore o alla liquidazione controllata. Il concordato minore è molto simile a un concordato preventivo ma semplificato: c’è comunque un piano, un commissario e l’omologa, ma è calibrato su realtà più piccole e con maggior flessibilità (ad esempio nei quorum). La liquidazione controllata è l’equivalente del fallimento per il piccolo imprenditore, svolta sempre dal tribunale ma con formalità ridotte e possibilità di esdebitazione finale anche dell’ex imprenditore. Dunque, le micro-imprese hanno un “paracadute” per evitare la parola fallimento. Tuttavia, molte SRL superano le soglie (basta spesso un attivo >300k o debiti >500k) e quindi non rientrano tra i minori. Per queste, le procedure sono quelle ordinarie (concordato, liquidazione giudiziale). Vale la pena notare che, se una SRL è sotto soglia, in caso di insolvenza potranno essere i creditori a chiedere al tribunale che venga dichiarata non la liquidazione giudiziale, bensì la liquidazione controllata ex L.3/2012 come continuata dal CCII. In pratica per il creditore cambia poco (sempre un liquidatore nominato vende i beni), ma per l’imprenditore l’onta del fallimento non c’è e si hanno più chance di liberarsi dei debiti residui.
D: Come si tutela l’imprenditore onesto in caso di fallimento? C’è l’esdebitazione?
R: Sì. Il CCII prevede che, dopo la chiusura della liquidazione giudiziale, la persona fisica (imprenditore individuale o socio illimitatamente responsabile) sia liberata dai debiti residui automaticamente entro precisi limiti (art. 278 CCII). Nel caso di SRL, la società viene cancellata, quindi il problema dell’esdebitazione societaria non si pone (cessando il soggetto, i debiti rimasti sono inesigibili). Ma per l’imprenditore inteso come socio o garante? I soci di SRL di norma non rispondono dei debiti sociali, quindi non hanno bisogno di esdebitazione (a meno che abbiano dato garanzie personali: in quel caso, però, l’esdebitazione del socio-fideiussore non è automatica, dovrebbe eventualmente fare una procedura da sovraindebitato se persona fisica insolvente). In sintesi: l’esdebitazione è un istituto che riguarda l’imprenditore individuale e il socio illimitatamente responsabile una volta esaurito il fallimento, e consente loro di ripartire senza quei debiti. Per l’ex amministratore di SRL, l’esdebitazione non cancella eventuali condanne risarcitorie se è stato ritenuto responsabile verso i creditori. Quindi attenzione: l’esdebitazione libera dai debiti concorsuali, ma non da obblighi risarcitori per mala gestione.
D: Cosa comporta la segnalazione di allerta inviata da INPS/Agenzia Entrate?
R: Quando l’INPS, l’Agenzia Entrate o Riscossione inviano la comunicazione di allerta esterna (es. “la informiamo che risultano a carico della sua impresa debiti scaduti per €XX superiori alle soglie…”), da quel momento scattano alcune cose: (1) l’organo amministrativo ha 90 giorni per reagire in modo adeguato, preferibilmente presentando un’istanza di composizione negoziata o attivando altra procedura (accordo, concordato); (2) se lo fa tempestivamente, potrà beneficiare delle misure premiali (riduzione interessi e sanzioni fiscali, non punibilità per ritardata dichiarazione di fallimento, ecc., previste dal Codice); (3) se non lo fa, l’inerzia viene registrata: la legge non prevede sanzioni dirette ed immediate, ma in caso di successivo fallimento il fatto che l’amministratore abbia ignorato l’allerta può essere valutato negativamente (possibile causa di colpa grave) e soprattutto l’azienda perde i benefici premiali; (4) inoltre, trascorsi i 90 giorni, i creditori pubblici qualificati possono attivarsi: ad esempio l’INPS potrebbe chiedere al tribunale di convocare l’impresa (nella vecchia idea di allerta obbligatoria, poi attenuata) o addirittura, se l’insolvenza è manifesta, presentare istanza di liquidazione giudiziale. In poche parole, la segnalazione funziona da “cartellino giallo”: meglio non aspettare il “rosso”. Conviene che l’imprenditore la prenda sul serio, usandola come spinta per cercare assistenza. Spesso la CCIAA localmente, sapendo della segnalazione, è disponibile a offrire supporto (tipo un incontro di allerta). Se l’impresa riesce a sistemare la propria posizione con l’ente segnalante entro quei 90 giorni (ad esempio paga i contributi arretrati o li rateizza) e intanto risolve la crisi, tanto meglio: quell’allerta sarà servita allo scopo senza necessità di procedura.
D: Come si comportano le banche quando sanno che un’azienda entra in procedura di crisi (es. composizione negoziata o concordato)?
R: Tradizionalmente, le banche tendevano a irrigidirsi: scattava spesso la revoca dei fidi e la classificazione a sofferenza. Questo purtroppo creava il paradosso che annuncio di crisi = immediata asfissia finanziaria. La riforma ha cercato di mitigare: oggi, se un’azienda avvia una composizione negoziata e ottiene misure protettive, le banche non possono revocare o ridurre gli affidamenti per il solo fatto dell’avvio. Ciò vale fino alla fine della procedura o fino a revoca delle misure. Inoltre non possono segnalare negativamente a CR if i ritardi nei pagamenti sono dovuti legalmente allo stay. Questo per le banche è un vincolo legale. Nella prassi, molte banche comunque riducono l’esposizione in tutti i modi consentiti, ad esempio non rinnovando linee autoliquidanti in scadenza o chiedendo maggiori garanzie. Se l’azienda entra in concordato, dal momento del deposito scatta il blocco: la banca non può escutere immediatamente (se aveva garanzie come pegni su titoli, però, in certi casi sì per compensazione). Le linee in essere di norma vengono congelate e l’utilizzo rimane quello: è difficile che la banca eroghi nuova finanza a meno che non sia prededucibile e ben garantita (ma a volte accade, con garanzia dello Stato o superpriviliegi). Se la banca ha fornito garanzie pubbliche (tipo finanziamenti col Fondo di Garanzia PMI), in composizione negoziata c’è stata una pronuncia (Tribunale di Roma 2023) che ha impedito alla banca di escutere immediatamente la garanzia statale durante le trattative, per non pregiudicare la situazione. Diciamo che le banche ora sono tenute a un comportamento più collaborativo per legge. Detto ciò, internamente certamente valutano male il merito creditizio: un’azienda in concordato verrà segnalata come UTP/sofferenza subito dopo l’omologa (perché il credito viene falcidiato). Quindi, post procedura, non aspettarsi facile nuovo credito bancario se non a condizioni gravose: la ripartenza deve spesso fare a meno del credito bancario ordinario. Infine, da ricordare: se l’azienda ha linee in pool, tipicamente le banche si muovono coordinate secondo accordi interbancari ABI, nominando eventualmente un advisor comune e agendo come classe nelle trattative.
D: In caso di concordato preventivo, i contratti in corso dell’azienda (es. contratti di fornitura, locazione, leasing) che fine fanno?
R: Il CCII ha confermato la disciplina dei contratti pendenti: l’impresa in concordato con continuità di solito li mantiene in essere (perché serve continuare l’attività) – i fornitori non possono risolvere solo perché c’è la procedura, grazie al divieto di termination clauses legate a concordato (clausole di risoluzione automatica sono nulle). Però, l’azienda può chiedere al tribunale di sciogliere o sospendere alcuni contratti se ciò è utile per la procedura (art. 97 CCII): ad esempio, locazioni di rami inutili, contratti di leasing troppo onerosi, etc. Il tribunale valuta e può autorizzare lo scioglimento; il contraente avrà diritto a un indennizzo per danno, che però diventa un credito concorsuale (spesso chirografo). Nei contratti essenziali (forniture vitali), il fornitore deve continuare a eseguire se l’azienda lo richiede, ma può pretendere le normali garanzie di pagamento per il corrente. Nel concordato liquidatorio, di solito quasi tutti i contratti vengono sciolti (perché l’azienda cessa): i dipendenti vengono licenziati con autorizzazione del giudice, i contratti di affitto risolti, etc. In composizione negoziata c’è la possibilità – simile – di chiedere al giudice la sospensione fino a 6 mesi di contratti di forniture di lunga durata o in corso, se gravosi, per avere respiro e magari rinegoziarli (es. contratti di locazione troppo cari). Insomma, l’ordinamento consente all’imprenditore in crisi di liberarsi di alcuni impegni contrattuali per alleggerire il peso e facilitare il risanamento, entro certi limiti e tutele per la controparte.
D: Una SRL può continuare ad operare durante la procedura concorsuale?
R: Sì, se parliamo di concordato con continuità aziendale: l’impresa continua l’attività sotto la gestione dell’imprenditore ma con supervisione del Commissario Giudiziale (prima dell’omologa) e poi, dopo l’omologa, dell’eventuale commissario-liquidatore se nominato. Deve però rispettare le condizioni del piano: ad esempio, non può fare atti fuori dall’ordinaria amministrazione senza autorizzazione del giudice. In molte situazioni il tribunale nomina gli amministratori stessi (o i soci) come gestori in pendenza del concordato, limitandone i poteri straordinari. In composizione negoziata l’impresa opera normalmente (e infatti quell’istituto è creato proprio per non fermare l’attività). In liquidazione giudiziale, invece, l’esercizio dell’impresa è di regola cessato: la continuazione può essere autorizzata solo se strettamente necessaria per evitare un grave pregiudizio (es. completare delle commesse che aumentano valore, vendere scorte deperibili, etc.), e comunque sotto la direzione del curatore. Quindi, in fallimento l’azienda di solito chiude i battenti (salvo vendite in blocco). Riassumendo: composizione negoziata e concordato in continuità = azienda prosegue, concordato liquidatorio = di solito no prosecuzione, salvo gestioni provvisorie per vendita, liquidazione giudiziale = cessazione salvo esercizio provvisorio breve.
D: Come scegliere tra le diverse procedure offerte dal Codice?
R: Dipende dallo stato dell’impresa e dal consenso che si pensa di ottenere dai creditori. Una possibile scaletta: se l’azienda è ancora in piedi e con chance di risanamento, ma serve solo tempo e coordinamento, si parte con la composizione negoziata, perché è volontaria, riservata e poco invasiva – può sempre sfociare in qualcos’altro se non basta. Se la composizione negoziata evidenzia che c’è accordo quasi unanime, un piano attestato può bastare e si chiude lì. Se invece c’è accordo della maggioranza ma qualcuno è fuori, allora serve un meccanismo più forte: accordo di ristrutturazione se i non aderenti sono pagabili integralmente (es. si hanno risorse per soddisfare quelli pochi che dissentono), oppure concordato preventivo se il dissenso riguarda troppi creditori o non si riesce a pagare per intero i dissenzienti (col concordato li si falcidia comunque, imponendo la soluzione a tutti). In estrema ratio, se non c’è nessun piano sostenibile (nessuno vuole investire, creditori litigiosi, azienda decotta) allora tanto vale prepararsi alla liquidazione giudiziale – magari dopo aver tentato un concordato liquidatorio per trasparenza verso i creditori. In sintesi: strumenti negoziali finché c’è speranza di risanamento o almeno intesa di massima; strumenti concorsuali quando serve la forza della legge per superare conflitti o imporre tagli; liquidazione quando non c’è più nulla da fare se non vendere tutto. La scelta va fatta con l’ausilio di un professionista esperto, che saprà valutare percentuali di recupero, costi procedurali e tempi.
D: Un concordato preventivo o un accordo ristrutturazione influiscono sui rapporti di credito futuri (rating, possibilità di finanziarsi)?
R: Purtroppo sì, negativamente. Un’azienda che ha fatto un concordato, anche se con successo, porta una cicatrice nella sua storia: i dati di bilancio mostreranno perdite da stralcio debiti, l’annotazione al Registro Imprese dell’avvenuto concordato resta consultabile per anni, e i partner commerciali e finanziari lo sapranno. Le banche in particolare adottano misure prudenti: difficilmente concederanno nuovi fidi senza forti garanzie. Sarà come ripartire da un merito creditizio molto basso. Nel breve termine post-concordato, anzi, spesso si vive solo di autofinanziamento o di supporto di nuovi soci, perché le linee di credito precedenti vengono chiuse. Tuttavia, se il risanamento è reale, col tempo la fiducia può essere riconquistata (presentando un’azienda senza debiti, magari con nuovi assetti di governance). Meno impattante invece un accordo di ristrutturazione: alcuni creditori (banche) potrebbero neanche divulgarlo tanto (lo considerano una rinegoziazione), e non essendo procedura “infamante” come un fallimento, l’eco è minore. Comunque comparirà nel Registro Imprese l’omologazione. Un piano attestato ben riuscito quasi non lascia tracce pubbliche (nessuna iscrizione ufficiale), quindi in teoria i partner esterni potrebbero non accorgersene affatto. Ecco un vantaggio della soluzione stragiudiziale: la reputazione viene protetta.
D: Quali sono le principali fonti normative da consultare per approfondire il Codice della Crisi?
R: Alla fine di questa guida troverai una sezione dedicata con l’elenco completo. Comunque, i riferimenti principali sono: il D.Lgs. 12 gennaio 2019 n.14 (Codice della crisi e dell’insolvenza), come modificato dai decreti correttivi (D.Lgs. 147/2020, D.Lgs. 83/2022, D.Lgs. 136/2024); il Codice Civile per le parti riformate (art. 2086, 2476, 2486 etc.); la Direttiva UE 2019/1023 recepita, per il quadro europeo; infine la giurisprudenza di Cassazione e dei Tribunali post-2022 che sta interpretando le nuove norme. Ad esempio Cass. SU 41994/2021 sul regime intertemporale, Cass. 8500/2022 su art. 2486 c.c., varie pronunce di merito su composizione negoziata (Trib. Milano, Trib. Venezia 2025 citata). Tutte queste fonti sono riportate nella sezione seguente per un approfondimento puntuale.
Fonti normative e giurisprudenziali (agg. 2025)
Normativa principale:
- D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 – Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), in vigore dal 15 luglio 2022. È il testo unico che disciplina procedure di allerta, strumenti di regolazione (composizione negoziata, piani attestati, accordi, concordati, liquidazioni concorsuali) e le relative regole.
- Legge 19 ottobre 2017, n. 155 – Delega al Governo per la riforma delle discipline della crisi d’impresa e dell’insolvenza. Ha posto i principi generali a cui il CCII si è ispirato (es. privilegio della continuità, allerta precoce).
- Decreti “correttivi” al CCII:
- D.Lgs. 26 ottobre 2020, n. 147 (Correttivo bis),
- D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83 (adeguativo al recepimento Direttiva Insolvency 2019/1023),
- D.Lgs. 15 settembre 2024, n. 136 (terzo correttivo, in vigore da fine 2024). Questi decreti hanno via via modificato e integrato il Codice originario, introducendo ad es. la composizione negoziata (inizialmente da D.L. 118/2021 confluito nel CCII) e regolando meglio transazione fiscale, allerta, ecc.
- D.L. 24 agosto 2021, n. 118 conv. in L. 147/2021 – Ha introdotto in via anticipata la Composizione Negoziata della crisi e il Concordato semplificato, poi confluiti nel CCII.
- Codice Civile riformato: Artt. 2086 co.2 c.c. (obbligo assetti adeguati); 2476 c.c. (responsabilità verso società e creditori); 2486 c.c. (criteri di calcolo del danno da gestione in crisi) modificato dall’art. 378 CCII; 2485-2487 c.c. (liquidazione volontaria); 2497 c.c. (direzione e coordinamento, per eventuali riflessi su gruppi in crisi); 2407 c.c. (responsabilità sindaci, modificato da CCII art. 379).
- Leggi speciali concorsuali: rimaste in vigore per casi particolari, ad es. Amministrazione Straordinaria delle grandi imprese insolventi (D.Lgs. 270/1999 – Legge Prodi-bis, e L. 39/2004 – Legge Marzano) per gestire crisi di imprese con >200 dipendenti (Alitalia, ILVA, etc.); Liquidazione coatta amministrativa per banche, assicurazioni e altri enti speciali. Queste procedure non rientrano nel CCII ma coesistono (il CCII le richiama in parte).
- Normativa emergenziale COVID-19: (temporanea, ormai scaduta) D.L. 23/2020, D.L. 137/2020, che hanno sospeso l’entrata in vigore del Codice e certe azioni di obbligo capitale; e norme su “composizione negoziata” temporanea poi stabilizzata.
Prassi e atti interpretativi ufficiali:
- Linee Guida CNDCEC (Consiglio Nazionale Dottori Commercialisti) sugli indicatori di crisi (2019, aggiornate 2022) – indicano parametri come DSCR, indici settoriali di allerta.
- Decreto Dirigenziale MISE 28 settembre 2021 – definisce il test pratico per la difficoltà dell’impresa (test disponibile sulla piattaforma, per misurare la complessità del risanamento).
- Circolari INPS n.28/2023 e Agenzia Entrate – che disciplinano le modalità delle segnalazioni (es. INPS circolare su art.25-novies CCII).
- Protocollo tribunale di Milano 2022 – prassi condivise per la composizione negoziata (ruolo ausiliario dell’esperto nelle misure protettive, ecc.).
- Principi di attestazione dei piani di risanamento (2024) a cura FNC (Fond. Naz. Commercialisti) – standard professionali per l’attività degli attestatori, con esempi e check-list.
- Osservatorio Ministero Giustizia sulla crisi d’impresa – rapporti periodici (es. Unioncamere 2024) sul numero di composizioni negoziate presentate, successi, ecc..
Giurisprudenza rilevante:
- Cass., Sez. Un., 12 marzo 2013, n. 6070 e 6072 – Principio sul post liquidazione: i soci rispondono dei debiti sociali residui anche se non hanno ricevuto riparti, superando la vecchia lettura restrittiva.
- Cass., 5 luglio 2016, n. 13719 – In tema di piani attestati: l’esenzione da revocatoria non è automatica, va valutata la concreta idoneità del piano al risanamento.
- Cass., 24 settembre 2021, n. 41994 (Sez. Un.) – Sull’applicazione retroattiva dell’art. 2486 c.c. novellato (criteri di quantificazione danno): ha stabilito che si applica solo a fatti successivi alla riforma (temi di diritto intertemporale).
- Cass., 17 marzo 2022, n. 8500 – Ha affrontato il tema della responsabilità degli amministratori ex art. 2486 c.c. terzo comma, confermando natura sostanziale della norma (non retroattiva) e delineando oneri probatori.
- Cass., 7 aprile 2022, n. 11524 – In tema di concordato preventivo: ha ribadito il dovere del giudice di omologazione di verificare d’ufficio la fattibilità del piano e la convenienza rispetto al fallimento, anche in assenza di contestazioni (anticipa un indirizzo ripreso dal CCII).
- Corte d’Appello di Catania, 7 giugno 2023 – Caso citato sull’art.119 co.7 CCII: ha deciso che una volta omologato un concordato e finché è in esecuzione, non si può aprire liquidazione giudiziale se non in caso di risoluzione (questo art.119 co.7 esclude la conversione in fallimento durante l’esecuzione regolare).
- Tribunale di Milano, decreto 28 aprile 2022 – Prima omologa di accordo di ristrutturazione “esteso” post CCII: ha applicato l’art. 61 CCII estendendo accordo alle banche dissenzienti (75% regola) e chiarito modalità di opposizione dei creditori finanziari.
- Tribunale di Venezia, decreto 13 gennaio 2025 – Rilevante in composizione negoziata: ha ordinato alle banche di astenersi da segnalazioni a Centrale Rischi e da revoca fidi in presenza di misure protettive, sancendo il principio di leale cooperazione delle banche nello stay.
- Tribunale di Pistoia, ordinanza 29 febbraio 2024 – Ha affrontato l’ammissibilità di una composizione negoziata richiesta da un debitore che aveva già un piano attestato pendente, dando indicazioni su come coordinare gli strumenti (dal find [42]).
- Tribunale di Milano, 7 ottobre 2022 (caso Gruppo Ilva in composizione negoziata) – Ha nominato esperti coadiutori, definito misure protettive complesse, mostrando la gestione di casi di grandi dimensioni in composizione negoziata.
- Tribunale di Roma, 8 novembre 2023 – In materia di finanziamenti garantiti dallo Stato in composizione negoziata: ha vietato l’escussione immediata della garanzia statale durante le trattative (per evitare che la banca incassi dallo Stato e poi persegua comunque l’impresa, vanificando lo standstill).
- Cass., 30 gennaio 2023, n. 2558 – Conferma che la transazione fiscale può essere omologata anche se l’Erario dissente, purché la proposta soddisfi il test di convenienza (norma ora art. 48 co.5 CCII, ex art.180 L.F.).
- Cass., 22 giugno 2023, n. 17834 – In tema di azione di responsabilità: ha precisato che la quantificazione con differenza netti patrimoniali ex art. 2486 co.3 c.c. si applica come criterio sussidiario, non esclude altri criteri se provato danno diverso (orienta applicazione pratica della presunzione di danno).
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Con il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. n. 14/2019) hai finalmente strumenti legali per bloccare le azioni esecutive, gestire i debiti in modo ordinato e salvare l’attività, se sostenibile.
La SRL in difficoltà: segnali da non sottovalutare
✅ Insolvenza nei confronti dell’Agenzia delle Entrate
✅ Conti bloccati da pignoramenti o fermi amministrativi
✅ Fornitori che minacciano azioni legali
✅ Ritardi nei pagamenti di stipendi o TFR
✅ Perdita progressiva del patrimonio netto
⚠️ Se non intervieni in tempo, il rischio è la liquidazione giudiziale (ex fallimento) con responsabilità anche personali degli amministratori.
Le soluzioni previste dal Codice della Crisi per una SRL
🔹 Composizione negoziata della crisi
Permette alla SRL in difficoltà di avviare una trattativa assistita da un esperto indipendente, prima che la crisi diventi irreversibile. Obiettivo: raggiungere accordi con creditori e fermare gli atti esecutivi.
🔹 Concordato preventivo semplificato o ordinario
Utile quando la SRL è insolvente ma ha ancora asset o flussi per offrire un piano.
⚠️ Si possono stralciare i debiti fiscali e previdenziali, in presenza dei requisiti.
🔹 Accordo di ristrutturazione dei debiti
Con almeno il 60% dei creditori consenzienti, la SRL può definire un piano omologato dal Tribunale, valido anche per bloccare l’esecuzione forzata da parte dei creditori dissenzienti.
🔹 Liquidazione controllata
Se l’impresa non è più risanabile, è possibile liquidare l’attivo in modo ordinato e tutelato, evitando il caos della liquidazione forzata.
I vantaggi per l’amministratore che si muove subito
✅ Non risponde coi propri beni se attiva per tempo gli strumenti del Codice
✅ Blocca pignoramenti, ipoteche e azioni giudiziarie
✅ Può proporre il pagamento parziale dei debiti fiscali (Transazione Fiscale)
✅ Mette in sicurezza dipendenti e fornitori
✅ Protegge il know-how e il valore residuo dell’azienda
Come interviene l’Avvocato Giuseppe Monardo
🔍 Analisi della posizione fiscale, contributiva e bancaria della SRL
🧾 Redazione di un piano sostenibile e credibile per la gestione del debito
📞 Attivazione immediata della Composizione Negoziata o di altra procedura
🛡️ Tutela dell’amministratore da responsabilità personali
⚖️ Assistenza in Tribunale fino all’omologazione del piano o chiusura della crisi
Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo
🔹 Avvocato esperto in diritto tributario e crisi d’impresa
🔹 Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia
🔹 Specializzato in responsabilità degli amministratori di SRL indebitate
🔹 Coordinatore nazionale in materia di sovraindebitamento e risanamento aziendale
🔹 Consulente per imprenditori in difficoltà, con oltre 15 anni di esperienza
Conclusione
Il Codice della Crisi rappresenta un’opportunità concreta per le SRL in difficoltà economica, se gestita da subito con l’assistenza legale giusta.
Non aspettare la liquidazione giudiziale: ci sono strumenti legali per evitare il fallimento, ristrutturare i debiti e salvare la tua impresa.
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