Stai pensando di vendere o acquistare un’azienda, ma hai dubbi sui debiti che possono passare da un soggetto all’altro? Ti chiedi se chi compra l’azienda eredita anche le passività fiscali, contributive o verso fornitori?
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto d’impresa, trasferimento aziendale e responsabilità per debiti pregressi – è pensata per aiutarti a capire quali obblighi restano in capo al vecchio titolare e quali invece si trasferiscono a chi subentra.
Scopri cosa prevede la legge in caso di cessione d’azienda o di ramo d’azienda, quali sono i debiti che seguono l’azienda automaticamente, in quali casi il nuovo titolare può essere chiamato a rispondere di obbligazioni precedenti, e come tutelarsi prima della firma con clausole specifiche e strategie legali.
Alla fine della guida troverai tutti i contatti per richiedere una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo, analizzare i documenti dell’operazione e costruire una strategia sicura per acquistare o cedere un’attività senza sorprese e senza rischi di dover pagare debiti non tuoi.
1. Introduzione
La cessione di un’azienda – intesa ai sensi dell’art. 2555 c.c. come il trasferimento a titolo oneroso o gratuito di un complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa – pone delicate questioni circa il destino dei debiti ad essa relativi. Quando un imprenditore vende (o conferisce) la propria azienda, oppure ne concede l’affitto a terzi, occorre stabilire quali obbligazioni restano in capo al cedente e quali, invece, si trasferiscono al cessionario. La problematica interessa molteplici tipologie di debiti – civili, commerciali, bancari, tributari, previdenziali, salariali – e coinvolge sia la disciplina civilistica generale sia normative speciali in materia tributaria, del lavoro e della previdenza sociale. Inoltre, non va trascurato il profilo penale: il trasferimento d’azienda potrebbe essere utilizzato in modo fraudolento per sottrarre garanzie ai creditori o al Fisco, integrando estremi di reato.
Scopo di questa guida è fornire un’analisi avanzata e aggiornata (maggio 2025) di quali debiti “seguono” l’azienda nei vari tipi di operazioni straordinarie: cessione di azienda o di ramo d’azienda, affitto d’azienda, conferimento, fusione e scissione societaria. Si esamineranno in dettaglio le norme rilevanti del Codice Civile, le disposizioni speciali del diritto tributario (D.Lgs. 472/1997, TUIR, ecc.), della previdenza sociale (INPS, INAIL) e del diritto del lavoro (art. 2112 c.c.), nonché la giurisprudenza più significativa della Corte di Cassazione (comprese le pronunce del 2023-2024) e, ove pertinente, della Corte Costituzionale. Saranno inoltre evidenziati i recenti interventi normativi, come le modifiche introdotte nel 2024 in attuazione del Codice della Crisi d’Impresa.
La trattazione avverrà con linguaggio tecnico-giuridico ma con intento divulgativo, rivolta sia a avvocati (che necessitano di riferimenti normativi e giurisprudenziali puntuali) sia a imprenditori (interessati agli effetti pratici e alle precauzioni da adottare nelle operazioni societarie). Vengono presentate tabelle riepilogative per distinguere chiaramente, per tipologia di debito e tipo di operazione, i casi in cui vi è trasferimento dell’obbligazione al nuovo titolare dell’azienda. Una sezione di FAQ risponde ai quesiti più frequenti, mentre specifiche simulazioni pratiche illustrano casi di studio reali con la relativa analisi giuridica degli effetti sui debiti. Infine, tutte le fonti normative e giurisprudenziali citate saranno elencate in una sezione Riferimenti per consentire ulteriori approfondimenti.
2. Disciplina Generale: l’art. 2560 c.c. e la responsabilità per i debiti aziendali
Articolo 2560 c.c. – intitolato “Debiti relativi all’azienda ceduta” – costituisce la norma cardine in materia. Esso prevede due regole fondamentali in caso di trasferimento (a qualsiasi titolo) di un’azienda: (i) il cedente non è liberato dai debiti inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta anteriori al trasferimento, salvo consenso dei creditori; (ii) nell’ipotesi di trasferimento di un’azienda commerciale, risponde di tali debiti anche l’acquirente, in via solidale con il cedente, se i debiti risultano dai libri contabili obbligatori. In altri termini, il compratore subentra ex lege quale co-obbligato per i debiti pregressi dell’azienda, ma solo a condizione che tali passività siano regolarmente annotate nelle scritture contabili obbligatorie del cedente (registro giornale, libro inventari, ecc., ex art. 2214 c.c.). Il cedente rimane comunque obbligato insieme al cessionario (salvo patto di liberazione approvato dai creditori), e il cessionario diviene un nuovo debitore su cui i creditori possono fare affidamento.
Natura dei debiti coperti dalla norma: l’art. 2560 c.c. si riferisce ai debiti inerenti all’esercizio dell’azienda. In dottrina si distingue tra debiti “puri” e obbligazioni derivanti da contratti in corso: l’art. 2560 c.c. si applica ai debiti non bilanciati da corrispettive prestazioni ancora da eseguire da parte del creditore (es. un debito pecuniario verso un fornitore che ha già eseguito la sua prestazione prima della cessione), mentre i rapporti contrattuali non ancora integralmente eseguiti da entrambe le parti rientrano nella disciplina della successione nei contratti di cui all’art. 2558 c.c.. In quest’ultimo caso, il cessionario subentra nel contratto e ne assume obblighi e crediti pendenti: ad esempio, se vi è un contratto di fornitura in corso, l’acquirente dell’azienda ne diviene parte, assumendo l’obbligo di pagare le forniture già ricevute ma non ancora pagate e potendo esigere eventuali controprestazioni residue. Se invece il contratto era già stato eseguito dal terzo e rimane solo un debito inadempiuto del cedente, tale “mero debito” segue la regola dell’art. 2560 c.c.. La distinzione è importante: debiti contrattuali già definiti dal lato del creditore (che ha già fornito la prestazione) sono coperti dall’art. 2560, mentre obbligazioni in contratti in corso seguono art. 2558 (successione integrale nel rapporto contrattuale).
Iscrizione nei libri contabili: la condizione dell’iscrizione del debito nelle scritture contabili obbligatorie è stata interpretata rigidamente dalla giurisprudenza tradizionale. È un requisito essenziale e insostituibile per far sorgere la responsabilità solidale del cessionario. Ne conseguono alcuni principi cardine:
- La semplice conoscenza effettiva, da parte del cessionario, dell’esistenza di un debito non basta a fondare la sua responsabilità, se il debito non risulta formalmente dai libri contabili obbligatori (si veda Cass. civ. 26 settembre 2019 n. 24101). Non conta dunque la buona o mala fede soggettiva del compratore, ma solo l’elemento oggettivo della regolare scritturazione del debito.
- Per “libri contabili obbligatori” si intendono esclusivamente quelli previsti dall’art. 2214 c.c. (registro giornale e inventari), non potendo supplire altri registri o documenti (es. i registri IVA) né prove testimoniali o indiziarie. Ad esempio, un debito risultante solo dal registro IVA acquisti o da fatture non annotate, ma non riportato in contabilità generale, non attiva la responsabilità del cessionario.
- Se per qualsiasi ragione i libri contabili obbligatori mancano o non sono tenuti (ad esempio perché l’impresa ceduta era in regime di contabilità semplificata, oppure in caso di smarrimento/distruzione delle scritture), il cessionario non risponde dei debiti anteriori, stante l’impossibilità di soddisfare la condizione prevista dalla legge. La Cassazione ha chiarito che in tali casi il creditore non può supplire la mancanza di scritture obbligatorie con altre prove: l’art. 2560, comma 2 c.c. avrebbe natura eccezionale e non ammette equipollenti. Ad esempio, Cass. civ. 23 giugno 2016 n. 12984 ha escluso la responsabilità del cessionario quando l’azienda ceduta apparteneva a un’impresa minore esonerata dalla tenuta della contabilità ordinaria.
- L’onere della prova grava sul creditore: è il creditore che intende escutere anche l’acquirente a dover dimostrare che il debito del cedente era regolarmente annotato nei libri. Questa prova può rivelarsi difficoltosa, perché i libri contabili non sono documenti pubblici accessibili ai terzi. Il creditore potrebbe chiedere in giudizio l’esibizione delle scritture, ma il cessionario potrebbe opporsi; inoltre, eventuali elenchi di debiti riportati nel contratto di cessione (ad es. se le parti elencano i debiti accollandone alcuni al compratore) non fanno fede verso i creditori terzi. Pertanto, spesso il creditore ha difficoltà pratiche nel provare l’annotazione contabile e quindi nell’agire contro il cessionario.
- Se un debito non risulta dai libri contabili obbligatori, il cessionario non ne risponde, anche se nel contratto di cessione si fosse eventualmente dichiarato disponibile a farsene carico. Ad esempio, se le parti pattuiscono che taluni debiti restino a carico del cedente, quella pattuizione – pur non potendo di per sé pregiudicare i creditori – conferma che quei debiti non sono stati accollati al cessionario, e se non erano neppure iscritti in contabilità, i creditori non potranno pretenderli dal cessionario. In ogni caso il patto tra cedente e cessionario che escluda il trasferimento di debiti non ha effetto verso i creditori (art. 2560 c.c., ultima parte), i quali potranno comunque agire ai sensi di legge.
Tutela del cessionario vs tutela dei creditori: il meccanismo dell’art. 2560, comma 2 c.c. è concepito per bilanciare due esigenze contrapposte: da un lato, tutelare l’acquirente dell’azienda da passività occulte e non contabilizzate; dall’altro, proteggere i creditori dell’azienda trasferita, che si vedono mutare il patrimonio garante (l’azienda passa ad altro soggetto) e devono poter contare su un nuovo soggetto obbligato. La giurisprudenza ha a lungo privilegiato la posizione del cessionario, ritenendo l’iscrizione a libro come requisito indefettibile e non derogabile, appunto per garantire certezza dei rapporti e “facilità e sicurezza della circolazione dell’azienda”. In tale ottica, la norma evita che l’acquirente sia esposto a sorprese su debiti di cui non poteva avere contezza, e contemporaneamente – in astratto – offre ai creditori un coobbligato in più (il cessionario) purché abbiano diligentemente preteso l’annotazione delle proprie ragioni di credito nei libri della società cedente.
Tuttavia, questa impostazione può prestarsi ad abusi: cedenti poco scrupolosi potrebbero volutamente omettere di iscrivere un debito in contabilità prima di cedere l’azienda, al fine di sottrarlo alla responsabilità del cessionario e quindi rendere più difficile il soddisfacimento del creditore (specie se il cedente, una volta venduta l’azienda, rimane un “guscio vuoto”). Un classico esempio: un imprenditore, sapendo di avere un grosso debito verso un fornitore, cede l’azienda a una nuova società collegata (magari amministrata da un suo prestanome o familiare), assicurandosi di non aver contabilizzato quel debito; in questo modo il creditore, pur vedendo l’azienda proseguire altrove, non può aggredire i beni in mano al cessionario in base all’art. 2560 c.c., e si trova con il solo cedente originario (magari nel frattempo fallito o privo di patrimonio) come debitore.
Evoluzione giurisprudenziale recente: per ovviare a tali comportamenti fraudolenti, alcune pronunce recenti della Cassazione hanno affermato un principio correttivo: quando è evidente che la cessione d’azienda è avvenuta in frode ai creditori, e che il cessionario era consapevole dei debiti dell’azienda sebbene non iscritti a bilancio, allora sorge comunque la responsabilità solidale del cessionario verso quei creditori, anche in deroga al dato formale della mancata annotazione. In sostanza, la norma non può essere utilizzata come strumento di frode: se la cessione ha natura meramente fittizia o simulata tra soggetti sostanzialmente riconducibili al medesimo interesse economico, cade il presupposto stesso dell’art. 2560 (che presuppone un trasferimento tra soggetti realmente distinti, dove l’acquirente “meritevole” di tutela ignora debiti altrui).
Un caso tipico è quello della cessione a una newco con la stessa compagine sociale del cedente, creata al solo scopo di proseguire l’attività sotto altra veste liberandosi dei debiti: qui non vi è la “effettiva alterità soggettiva” tra cedente e cessionario, per cui la giurisprudenza ha ritenuto inapplicabile la limitazione dell’art. 2560, comma 2 c.c.. La Cassazione (Sez. III) ha così affermato che “presupposto indispensabile ai fini dell’applicabilità della norma di cui all’art. 2560 c.c. […] è la sussistenza di una reale ed effettiva dualità dei soggetti cedente e cessionario, che va esclusa quando, a seguito del trasferimento dell’azienda, la compagine sociale dell’impresa e i suoi organi amministrativi siano rimasti immutati”. In tali ipotesi di cessione “solo formale”, il cessionario non può invocare la scusa della mancata iscrizione: la sua responsabilità solidale dovrà estendersi ai debiti aziendali anche se non contabilizzati, per evitare che l’operazione costituisca un mezzo per eludere il pagamento dei creditori. Ad esempio, Cass. civ. Sez. III, 10 dicembre 2019 n. 32134 ha espresso chiaramente che la finalità dell’art. 2560 c.c. non è tanto quella di circoscrivere rigidamente la responsabilità ai soli debiti registrati, quanto di impedire che l’acquirente d’azienda possa sottrarsi ai debiti ben conosciuti o facilmente conoscibili, specie se vi è abuso dello schema negoziale ai danni dei creditori.
In sintesi, la regola generale resta che il cessionario risponde solo dei debiti aziendali iscritti nei libri contabili obbligatori; tuttavia, qualora la cessione sia avvenuta in circostanze di continuità sostanziale tra cedente e acquirente (mancanza di alterità) oppure per fini palesemente fraudolenti, la giurisprudenza può disapplicare la tutela dell’art. 2560(2) al cessionario e garantirne la responsabilità verso i creditori coinvolti. Al di fuori di queste ipotesi estreme, i creditori rimasti insoddisfatti possono comunque esperire altri rimedi: l’azione revocatoria ordinaria (art. 2901 c.c.) per far dichiarare inefficace la cessione d’azienda compiuta in loro pregiudizio, l’azione di nullità per simulazione o fraude ai creditori se ne ricorrono gli estremi, oppure – in sede fallimentare – un’azione di responsabilità contro gli amministratori che abbiano spogliato la società dei beni (ad es. conferendo l’azienda altrove) lesivamente per i creditori. In ambito penalistico, come vedremo (§12), condotte di questo tipo possono integrare reati di bancarotta fraudolenta o sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte.
Prima di entrare nel dettaglio delle singole tipologie di debito, è opportuno chiarire due punti ulteriori riguardanti l’art. 2560 c.c.:
- Liberazione del cedente: come detto, il comma 1 dell’art. 2560 stabilisce che la cessione d’azienda di per sé non libera il cedente dai debiti pregressi, a meno che i creditori acconsentano espressamente alla sostituzione del debitore. Dunque il cedente rimane sempre obbligato in solido col cessionario per i debiti aziendali anteriori (quelli iscritti, se civili; quelli verso lavoratori, come vedremo, per qualsiasi credito maturato; etc.). Ciò significa che il creditore, dopo la cessione, ha due debitori su cui rivalersi (cedente e cessionario) salvo patto liberatorio approvato. Il cessionario risponde in solido ma spesso con beneficio di escussione in alcuni casi particolari (ad es. per debiti fiscali, §3). In mancanza di liberazione, il cedente rimane comunque tenuto: pertanto, qualora il cessionario paghi un debito del cedente, egli non subentra automaticamente nelle ragioni del creditore (non è surrogazione di diritto), ma potrà rivalersi internamente sul cedente se così pattuito nel contratto di cessione.
- Accolli contrattuali interni: nulla vieta che cedente e cessionario regolino tra loro il riparto dei debiti, ad esempio convenendo che l’acquirente si accolli alcuni debiti specifici (di solito sottraendone il valore dal prezzo) e lasci altri in capo al venditore. Tali pattuizioni, tuttavia, non hanno effetto verso i creditori terzi senza il loro consenso. Dunque, un creditore non vincolato dall’accordo può comunque pretendere il pagamento da entrambi (se il debito era nei libri e ricade nella previsione legale), indipendentemente da chi dei due doveva farsene carico secondo gli accordi interni. Gli accordi interni rilevano solo come eventuale diritto di regresso o indennizzo tra le parti: ad esempio, se il cessionario paga un debito che per contratto il cedente aveva dichiarato di mantenere a suo carico, l’acquirente potrà chiedere al venditore la restituzione di quanto pagato. Ma verso il creditore esterno questi accordi non opponibili: “le parti possono escludere il trasferimento dei debiti in capo al cessionario, ma tale pattuizione non ha effetto nei confronti dei terzi creditori”.
Riassumendo: in una cessione d’azienda (o di un ramo di essa) il cedente rimane obbligato per tutti i debiti dell’azienda ceduta antecedenti alla cessione (salvo liberazione consensuale), e il cessionario diviene co-obbligato solo per i debiti che risultino dalle scritture contabili obbligatorie del cedente, fatti salvi i casi particolari in cui la giurisprudenza estende la responsabilità per prevenire abusi. Questa disciplina generale conosce però deroghe importanti per alcune categorie di debiti: in primis i debiti verso i lavoratori (disciplinati dall’art. 2112 c.c., v. §5) e i debiti fiscali (disciplinati dall’art. 14 D.Lgs. 472/1997, v. §3). Inoltre, regole particolari si applicano quando l’azienda è trasferita nell’ambito di procedure concorsuali o strumenti di regolazione della crisi, come esaminato in seguito (§6 e §11).
3. Debiti tributari: responsabilità del cessionario ex art. 14 D.Lgs. 472/1997
Nel campo fiscale vige una disciplina speciale che deroga al principio generale di cui all’art. 2560 c.c. La norma chiave è l’art. 14 del D.Lgs. 18 dicembre 1997 n. 472, che al comma 1 prevede espressamente la responsabilità anche dell’acquirente di azienda per i debiti tributari del cedente, entro determinati limiti temporali e quantitativi. Questa disposizione, collocata nel contesto delle sanzioni tributarie, è però riferita (per espressa interpretazione giurisprudenziale) all’obbligo di pagamento dei tributi in genere e relative sanzioni. Di fatto l’art. 14 ha introdotto un meccanismo di “responsabilità solidale” del cessionario d’azienda per i debiti fiscali del cedente, con finalità di tutela dell’Erario.
Ambito oggettivo e temporale: il cessionario risponde, solidalmente col cedente ma con beneficio di escussione (cioè in via sussidiaria), dei debiti per imposte e sanzioni riconducibili a violazioni tributarie commesse nell’anno in cui avviene la cessione e nei due anni anteriori, nonché di quelli già accertati e contestati in tale arco temporale anche se riferiti a periodi d’imposta precedenti. In altre parole, il compratore risponde dei debiti fiscali maturati negli ultimi tre anni di attività del cedente, riferiti tanto a imposte quanto a sanzioni amministrative tributarie (es. cartelle, avvisi di accertamento, etc.). Se vi sono violazioni più vecchie, rilevano solo se l’Amministrazione finanziaria le ha già contestate formalmente nel triennio (ad es. un processo verbale di constatazione o atto di accertamento notificato nell’ultimo triennio). Per le violazioni tributarie più risalenti e non ancora contestate all’epoca della cessione, il cessionario non risponde (salvo ovviamente che fossero nei libri contabili e dunque rientrino nel 2560 c.c., ma spesso trattasi di debiti occulti).
Limite quantitativo (“fino a concorrenza del valore”): la legge circoscrive la responsabilità del cessionario ad un importo massimo pari al valore dell’azienda (o del ramo) acquisita. Ciò significa che il Fisco non potrà esigere dal cessionario un importo superiore a quello che è il valore complessivo dell’azienda trasferita. In pratica, il patrimonio acquisito funge da garanzia: il cessionario rischia al massimo di perdere l’equivalente di quanto ha acquistato. Questo limite vuole evitare che chi compra un’azienda possa trovarsi a pagare debiti fiscali sproporzionati rispetto al valore ottenuto, scoraggiando altrimenti la circolazione di aziende indebitate. Esempio: se un’azienda ceduta vale 100, e il cedente aveva debiti fiscali per 150 relativi all’ultimo triennio, il cessionario risponde solo fino a 100; l’eccedenza resta a carico esclusivo del cedente.
Natura della responsabilità: la responsabilità del cessionario è configurata come solidale ma sussidiaria rispetto a quella del cedente. Ciò comporta che l’Erario deve in primo luogo escutere il cedente; solo se il cedente risulta insolvente (in tutto o in parte), il Fisco potrà rivalersi sul cessionario, nei limiti del valore dell’azienda. Questa è la differenza principale rispetto alla responsabilità “paritetica” prevista in ambito civile dall’art. 2560 c.c. (dove il creditore può indifferentemente agire contro cedente o cessionario, essendo coobbligati solidali puri). La responsabilità ex art. 14 ha invece carattere di sussidiarietà legale a favore dell’acquirente.
Certificato dei carichi fiscali pendenti: per consentire all’acquirente di valutare i rischi e usufruire eventualmente di una “liberazione” da responsabilità, l’art. 14 prevede un meccanismo di certificazione. Il cessionario ha diritto di ottenere dall’Agenzia delle Entrate un certificato attestante l’esistenza o meno di contestazioni in corso o di debiti tributari già definiti a carico dell’azienda ceduta (relativi al triennio considerato). Tale “certificato fiscale” (certificato di inesistenza di debiti tributari), disciplinato al comma 3, ha efficacia liberatoria: se risulta negativo (ovvero se attesta che non vi sono debiti fiscali né contestazioni pendenti per il periodo in oggetto), esso libera il cessionario da ogni responsabilità solidale anche per eventuali debiti poi emergenti inerenti a quel periodo. In pratica, l’acquirente che si munisca del certificato negativo si mette al riparo da pretese fiscali relative al passato del cedente. Se invece dal certificato emergono debiti o contestazioni, il cessionario saprà a quali rischi va incontro e potrà, ad esempio, subordinare l’acquisto all’estinzione di tali debiti o decurtare il prezzo. In assenza di richiesta di certificato, la responsabilità resta operante e l’Amministrazione potrà fare accertamenti successivi; ma la prassi commerciale accorta è sempre di richiedere tale documentazione prima di perfezionare la cessione. Il certificato deve indicare anche le violazioni contestate nell’anno stesso della cessione (fino alla data di rilascio). Va ricordato che, qualora l’ufficio non risponda entro 40 giorni dalla richiesta, per silenzio-assenso si considera rilasciato certificato negativo (assenza di debiti) ex art. 14, co. 3.
Cessione in frode al Fisco: il comma 4 dell’art. 14 prevede un’aggravamento di responsabilità in caso di operazione fraudolenta. Se la cessione d’azienda è effettuata al solo scopo di evadere o evitare il pagamento di imposte (cd. cessione in frode dei crediti tributari), il cessionario diviene responsabile in maniera illimitata per tutti i debiti tributari del cedente, senza i limiti ordinari. La norma specifica che tale responsabilità illimitata si applica “anche se la cessione è avvenuta con trasferimento frazionato di singoli beni”, a evidenziare che qualsiasi schema di cessione volto ad eludere il pagamento delle imposte (ad esempio spezzettando l’azienda in beni separati) farà scattare la solidarietà totale. Inoltre il comma 5 presume (salvo prova contraria) che vi sia scopo fraudolento se la cessione (o il frazionamento di beni) è effettuata entro 6 mesi dalla constatazione di una violazione tributaria penalmente rilevante. Ad esempio, se a un imprenditore viene notificato un processo verbale per frode fiscale e questi, nel giro di pochi mesi, cede l’azienda al parente, la legge presume che lo abbia fatto per sottrarre l’azienda alle sanzioni e ai debiti fiscali, e pertanto il compratore sarà chiamato a risponderne senza limiti (salvo dimostrare l’assenza di intenti fraudolenti, prova spesso difficilissima). Questa previsione di presunzione rafforza la tutela erariale e ha anche un risvolto penalistico: condotte di questo tipo possono configurare il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11 D.Lgs. 74/2000), su cui torneremo al §12.
Esclusione di responsabilità nelle procedure di crisi: nel 2021 è entrato in vigore il nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019), che ha dettato una disciplina innovativa per favorire il risanamento delle imprese in difficoltà. Una delle novità è l’esclusione della responsabilità del cessionario per debiti pregressi quando la cessione d’azienda avvenga nell’ambito di procedure concorsuali o di strumenti di regolazione della crisi. Per allineare la normativa tributaria, il legislatore è intervenuto sull’art. 14 D.Lgs. 472/1997 con il D.Lgs. 14 giugno 2024 n. 87 (decreto attuativo della riforma fiscale 2023, cosiddetto “decreto sanzioni”). In particolare è stato introdotto il comma 5-bis all’art. 14, il quale esclude la responsabilità solidale del cessionario se la cessione d’azienda avviene nel contesto di una composizione negoziata della crisi o di uno strumento concorsuale di regolazione della crisi o insolvenza (ad es. un concordato preventivo, una liquidazione giudiziale ex fallimento, un concordato semplificato, un concordato minore). L’esonero si applica anche alle cessioni effettuate da una società controllata da un’impresa in crisi sottoposta a procedura, purché la cessione sia autorizzata dall’autorità giudiziaria o prevista da un piano omologato e sia funzionale al risanamento della controllante o al soddisfacimento dei suoi creditori. In sostanza, se un’azienda viene ceduta come parte di un piano di salvataggio approvato dal tribunale (o nell’ambito di una procedura concorsuale giudiziale), l’acquirente non eredita i debiti tributari del cedente – diversamente da quanto avviene nelle cessioni “ordinarie”. Questa esclusione opera a prescindere dall’esito del certificato dei carichi pendenti: difatti, il nuovo comma 5-bis precisa che in tali casi l’esonero dalla responsabilità fiscale opera indipendentemente dal contenuto del certificato e dall’ammontare dei debiti tributari del cedente. Dunque, l’acquirente non è neppure tenuto a richiedere il certificato fiscale quando la cessione rientra in un concordato o altra procedura di crisi autorizzata. L’intento di questa norma è chiaro: favorire le ristrutturazioni aziendali, eliminando uno dei maggiori deterrenti per i possibili investitori (il timore di doversi accollare i debiti fiscali pregressi dell’impresa in crisi). L’esonero non si applica invece alle cessioni effettuate in esecuzione di strumenti “negoziali” non giudiziali come i piani attestati di risanamento (art. 56 Cod. Crisi) o gli accordi di ristrutturazione omologati (art. 57 e 64-bis Cod. Crisi), fattispecie per le quali – pur perseguendo finalità di risanamento – il legislatore non ha esteso l’esenzione (probabilmente per un difetto di coordinamento, come notato in dottrina).
In conclusione, per i debiti tributari l’acquirente d’azienda:
- In via ordinaria (cessioni al di fuori di procedure concorsuali): risponde in solido col cedente dei debiti per imposte e relative sanzioni limitatamente all’ultimo triennio fiscale, e solo fino a concorrenza del valore dell’azienda, salvi gli effetti liberatori del certificato ex art. 14, co.3 D.Lgs. 472/97.
- Se la cessione è avvenuta in frode al Fisco: risponde illimitatamente di tutti i debiti tributari, anche oltre i limiti temporali e di valore (art. 14, co.4-5).
- Se la cessione avviene in ambito concorsuale o di crisi (concordato preventivo, liquidazione giudiziale, ecc.): non risponde dei debiti tributari del cedente (art. 14, co.5-bis, introdotto nel 2024). Ciò vale anche se la cessione è effettuata da una società controllata la cui controllante è in crisi (purché l’operazione sia autorizzata e volta al risanamento).
Va infine segnalato che, al di fuori dell’ambito di applicazione di tale normativa speciale, continuano ad applicarsi le disposizioni generali: dunque per eventuali debiti fiscali più risalenti (oltre il triennio) che risultino però iscritti nei libri contabili, potrebbe operare l’art. 2560 c.c. (anche se, di regola, imposte e tasse sono sempre oggetto di contestazione formale prima del recupero, quindi la disciplina tipica sarà quella appena descritta).
Un altro aspetto particolare concerne le operazioni di fusione o scissione, dove i debiti tributari seguono regole proprie (v. §§10-11): ad esempio, la scissione parziale comporta, per espressa previsione dell’art. 173, co.13 del TUIR, una responsabilità illimitata e solidale di tutte le società partecipanti per i debiti fiscali antecedenti l’operazione, indipendentemente dalle quote di patrimonio trasferite. Ciò è stato confermato di recente dalla Cassazione (ord. n. 739/2024) e ritenuto legittimo dalla Corte Costituzionale (sent. n. 90/2018). Approfondiremo oltre nel §11.
4. Debiti previdenziali e contributivi (INPS, INAIL)
Per quanto riguarda i debiti verso enti previdenziali (contributi dovuti all’INPS, premi assicurativi INAIL, ecc.), non esiste una norma speciale analoga a quella tributaria. Occorre quindi fare riferimento alle norme generali: in particolare l’art. 2560 c.c. e l’art. 2112 c.c. nel caso di rapporti di lavoro trasferiti. È importante distinguere tra i crediti vantati dai lavoratori (retribuzioni, TFR, ferie, ecc., di cui al §5) e i crediti degli enti previdenziali, che pur originando dal rapporto di lavoro hanno natura propria.
Contributi previdenziali dovuti agli enti (INPS, INAIL): tali obbligazioni sono debiti dell’azienda verso soggetti terzi (gli enti previdenziali appunto), e come tali rientrano nella disciplina di art. 2560 c.c. In altre parole, se il cedente prima della cessione non ha versato contributi dovuti, quei debiti potrebbero trasferirsi in capo al cessionario solo se risultano dai libri contabili obbligatori dell’azienda ceduta. L’art. 2112 c.c. – che vedremo tra poco – prevede sì una responsabilità solidale del cessionario, ma limitatamente ai crediti dei lavoratori. La Cassazione ha chiarito che gli enti previdenziali (INPS, casse professionali, ecc.) non possono essere equiparati ai lavoratori ai fini dell’art. 2112, in quanto il “rapporto contributivo” tra datore di lavoro ed ente è distinto dal rapporto di lavoro dipendente. Ne consegue che la solidarietà legale e automatica di cui all’art. 2112 c.c. non si estende ai debiti verso gli enti previdenziali; per tali debiti “di terzi” continua ad applicarsi la regola generale dell’art. 2560, comma 2 c.c.. Questo orientamento è stato cristallizzato da Cass. Sez. Lav. 24 febbraio 2016 n. 3646, chiamata a decidere proprio sulla sorte di contributi INPGI non versati in un trasferimento d’azienda: la Suprema Corte ha escluso qualunque automatica responsabilità del cessionario verso l’ente, affermando che l’ente previdenziale, essendo soggetto terzo rispetto al rapporto di lavoro, può fare valere i propri crediti contributivi verso il cessionario solo alle condizioni dell’art. 2560 c.c.. In altre parole, il cessionario non risponde dei debiti previdenziali del cedente se non per quelli contabilizzati, e comunque il cedente resta obbligato (non ne viene liberato salvo consenso dell’ente, evenienza solitamente non ricercata). Si è sottolineato che i lavoratori non sono parti del rapporto contributivo: benché i contributi siano corrisposti nell’interesse dei lavoratori, il creditore del datore inadempiente è l’ente (INPS, etc.), soggetto distinto che non gode della tutela speciale dell’art. 2112 c.c.. Dunque, ad esempio, se Tizio cede la sua azienda e aveva omesso versamenti INPS, l’INPS potrà chiedere i contributi arretrati al cessionario solo se questi debiti erano registrati a bilancio (cosa frequente, perché i debiti contributivi dovrebbero figurare tra le passività). In caso contrario, l’INPS dovrà rivalersi su Tizio cedente. In ogni caso, Tizio cedente rimane obbligato principale verso l’ente, non essendovi liberazione automatica.
DURC (Documento Unico di Regolarità Contributiva): sebbene non vi sia una norma specifica, in prassi un acquirente accorto richiede sempre, prima di acquistare l’azienda, il DURC del cedente, ossia la certificazione di regolarità contributiva rilasciata dall’INPS/INAIL. A differenza del certificato fiscale, il DURC non ha un effetto liberatorio di legge (non c’è una norma equivalente all’art. 14 sul punto); tuttavia, ottenere un DURC regolare garantisce che al momento della cessione non vi siano omissioni contributive note. Qualora il DURC non sia regolare, il cessionario solitamente pretenderà che il cedente sani la posizione prima di procedere, o detrarrà l’importo dei debiti contributivi dal prezzo. Se invece la cessione avviene senza controllo DURC e con contributi non versati, l’INPS potrà comunque agire verso il cedente (e, se i debiti erano in contabilità, anche verso il cessionario in solido ai sensi del 2560). Inoltre, il mancato versamento di contributi previdenziali entro certi limiti temporali e soglie d’importo può costituire illecito penale a carico del cedente (v. §12), il che non incide direttamente sul cessionario se non per possibili riflessi reputazionali o di continuità aziendale.
Cessione d’azienda in contesti particolari: analogamente a quanto visto per i debiti fiscali, anche per i debiti contributivi il Codice della Crisi prevede, in alcune procedure, la non trasferibilità. In un concordato preventivo o liquidazione giudiziale, ad esempio, l’azienda può essere ceduta “libera da pesi” includendo i debiti contributivi tra quelli soddisfatti nella procedura e non traslati all’acquirente (art. 368 D.Lgs. 14/2019 prevede l’accollo da parte della procedura di alcuni oneri, ma approfondire sarebbe ultroneo qui). Ciò rientra nel principio generale delineato in §6 e §11: nelle cessioni in sede concorsuale, l’art. 2560 c.c. non si applica affatto, quindi nessun debito (né civile né contributivo) passa all’acquirente, salvo diversa pattuizione.
Riassumendo sui contributi: in via generale il cessionario d’azienda risponde dei debiti verso INPS/INAIL del cedente solo se essi erano regolarmente risultanti dalle scritture contabili (art. 2560 c.c.), non operando la solidarietà di diritto del 2112 c.c. che è limitata ai crediti di lavoro. Il cedente rimane in ogni caso obbligato principale. È opportuno che l’acquirente verifichi sempre la posizione contributiva del cedente (tramite DURC) prima dell’operazione, stante anche la possibile rilevanza penale delle omissioni contributive (che però ricade sul cedente). Se l’azienda viene ceduta nell’ambito di procedure di crisi omologate, si applicano gli esoneri di legge che liberano l’acquirente da tali debiti (analogamente a quelli fiscali, §11).
5. Debiti verso i lavoratori (retribuzioni, TFR, ecc.) – Art. 2112 c.c.
La posizione dei lavoratori dipendenti in caso di trasferimento d’azienda è tutelata in modo particolare dall’art. 2112 c.c., norma di derivazione comunitaria (Dir. 2001/23/CE) che prevale su ogni accordo in contrario. Tale articolo, al comma 2, stabilisce che “il cedente ed il cessionario sono obbligati in solido per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento”. Ciò significa che tutti i crediti di lavoro maturati dai dipendenti fino alla data del trasferimento di azienda (o di ramo) devono essere garantiti anche dal nuovo datore di lavoro, in aggiunta al precedente. Questa è una deroga esplicita alla disciplina generale dell’art. 2560: qui non rileva se tali crediti risultino o meno dai libri contabili, né vi sono limiti di tempo o di valore. La legge presume una responsabilità solidale “senza liberazione” per tutelare i lavoratori, parte notoriamente debole del rapporto. Dunque, se un’azienda viene ceduta e un lavoratore vanta stipendi arretrati, tredicesime, ferie non pagate, trattamento di fine rapporto (TFR) maturato o altre spettanze relative al periodo antecedente la cessione, egli potrà pretendere il pagamento sia dal vecchio titolare sia dal nuovo, a sua scelta o da entrambi (nei limiti ovviamente di un solo pagamento).
Estensione della solidarietà: la Cassazione ha chiarito che questa solidarietà riguarda esclusivamente i “crediti di lavoro del dipendente”, e non si estende ai crediti di soggetti terzi come gli enti previdenziali (come già visto). Rientrano invece certamente i crediti retributivi in senso lato: salari mensili non corrisposti, straordinari, ferie non godute e monetizzate, tredicesima/quattordicesima maturate e non pagate, indennità varie contrattuali, e il TFR (trattamento di fine rapporto) maturato fino alla cessione. Su quest’ultimo punto si è talora discusso se il TFR debba essere liquidato dal cedente alla data del trasferimento (come se il rapporto si interrompesse) o trasferito al cessionario come obbligazione futura. L’orientamento prevalente è che il rapporto di lavoro prosegue con il cessionario mantenendo l’anzianità: quindi il TFR non viene liquidato al momento del trasferimento, ma il cessionario ne assume la posizione, diventando debitore dell’intero TFR quando il rapporto cesserà in futuro. Tuttavia, per tutelare il lavoratore, art. 2112 impone solidarietà anche sul TFR maturato fino ad allora: se ad esempio il lavoratore poi si dimette anni dopo e il cessionario non paga il TFR, il lavoratore potrebbe chiedere al cedente la quota maturata al momento della cessione. Spesso peraltro, in sede di cessione, le parti regolano questa partita: può accadere che il cedente versi al cessionario la provvista per il TFR maturato, o che altre soluzioni siano previste, ma verso il lavoratore costui ha due debitori.
Eccezioni contrattuali: l’art. 2112 c.c. è norma imperativa: ogni patto tra cedente e cessionario che miri ad escludere la responsabilità di uno dei due verso i lavoratori è nullo (o comunque inefficace verso i lavoratori). Ad esempio, se nel contratto di cessione l’acquirente dichiarasse di non farsi carico degli stipendi arretrati, ciò non impedirebbe al lavoratore di chiedere a lui il pagamento (salvo poi il cessionario rifarsi internamente sul cedente per violazione delle garanzie contrattuali). L’unica eccezione ammessa è se intervengono contratti collettivi o accordi sindacali che prevedano specifiche condizioni per il mantenimento dei diritti (in base al comma 4 dell’art. 2112 c.c. in caso di trasferimento da imprese in crisi, ma è discorso complesso e oltre lo scopo qui).
Campo di applicazione: art. 2112 c.c. si applica a qualsiasi trasferimento d’azienda (o parte di essa) in cui vi sia continuazione dell’attività con mantenimento dei rapporti di lavoro. Questo include, oltre alla vendita, anche l’affitto d’azienda e il conferimento in società, e in generale ogni “trasferimento di un’entità economica organizzata che conserva la propria identità” (formulazione comunitaria). Dunque, ogni qual volta si verifica un “passaggio di dipendenti” al nuovo titolare, scattano: (i) il mantenimento dei contratti di lavoro alle medesime condizioni (art. 2112, co.1: il rapporto di lavoro continua con il cessionario, che deve applicare gli stessi trattamenti contrattuali); (ii) la responsabilità solidale cedente-cessionario per i crediti pregressi dei lavoratori (co.2); (iii) la tutela contro i licenziamenti economici connessi alla cessione (il trasferimento di per sé non è giusta causa di licenziamento, co.4).
Responsabilità solidale “attenuata” dal regime di crisi: va segnalato che, anche per i crediti di lavoro, il Codice della Crisi prevede la possibilità – in sede di concordato preventivo o altre procedure – di attenuare queste tutele. Ad esempio, se un’azienda viene ceduta in un contesto di concordato con continuità, il piano potrebbe prevedere il pagamento parziale dei crediti dei lavoratori a carico della procedura e la liberazione dell’acquirente da parte di essi (ma ciò richiede in genere l’accordo sindacale e autorizzazione del tribunale). Il tema è spinoso e attiene all’art. 2112, co.4 e al nuovo art. 368 D.Lgs. 14/2019 per i concordati con trasferimento d’azienda.
Conclusioni su debiti di lavoro: tutte le somme dovute ai dipendenti per il periodo anteriore alla cessione d’azienda devono essere pagate integralmente e i lavoratori possono rivalersi sia sul precedente datore di lavoro che sul nuovo. Ciò rende fondamentale, per l’acquirente, accertare con precisione eventuali arretrati stipendiali, ferie maturate, ratei di tredicesima, TFR e ogni altro credito vantato dal personale. Spesso tali voci vengono quantificate e detratte dal prezzo, con impegno dell’acquirente a pagarle ai lavoratori (accollandosi di fatto il debito). Anche laddove ciò non avvenga espressamente, comunque, il lavoratore avrà per legge due debitori in solido, il che è una garanzia significativa (oltre a eventuali Fondi di Garanzia INPS che intervengono in caso di insolvenza del datore). L’art. 2112 c.c. costituisce dunque un’eccezione di forte tutela nell’ambito del trasferimento d’azienda, inderogabile se non in melius per il lavoratore.
6. Trasferimenti d’azienda in imprese in crisi o insolventi
Una trattazione a parte merita l’ipotesi in cui l’azienda (o un suo ramo) sia trasferita nell’ambito di una procedura concorsuale o di un accordo di ristrutturazione. Come anticipato, il nuovo Codice della Crisi e dell’Insolvenza (CCI, D.Lgs. 14/2019) prevede che, per favorire il salvataggio di imprese in difficoltà, l’acquirente possa subentrare nell’azienda senza dover rispondere dei relativi debiti pregressi. Si tratta di un importante deroga sia all’art. 2560 c.c. che all’art. 14 D.Lgs. 472/97.
In particolare:
- In caso di concordato preventivo, di liquidazione giudiziale (il “nuovo fallimento”), di concordato semplificato o concordato minore, l’art. 118, co.8 e l’art. 214, co.3 CCI dispongono che l’acquirente dell’azienda ceduta nell’ambito di queste procedure non è responsabile per i debiti inerenti all’esercizio dell’azienda sorti prima del trasferimento. Ciò significa che, ad esempio, se un’azienda fallita viene venduta dal curatore, l’acquirente la prende libera da debiti: tutti i crediti verso l’azienda fallita restano in capo alla procedura fallimentare (liquidazione) e i creditori potranno soddisfarsi solo su quell’attivo ripartito secondo le regole concorsuali, non potendo inseguire l’azienda in mano al nuovo proprietario. Similmente in un concordato preventivo, se il piano prevede la cessione dell’azienda a terzi, su autorizzazione del Tribunale, l’acquirente non risponde dei debiti anteriori (questi saranno trattati nel concordato e il loro soddisfacimento percentuale deliberato dai creditori).
- In caso di composizione negoziata della crisi (procedura stragiudiziale introdotta nel 2021), l’art. 22, co.1 lett. d) CCI consente – con omologazione degli accordi da parte del Tribunale – di trasferire l’azienda o rami senza responsabilità solidale dell’acquirente per i debiti aziendali pregressi. Questo istituto innovativo permette all’imprenditore in crisi di trovare un acquirente per l’azienda in modo agevolato, garantendo a quest’ultimo di non doversi fare carico dei debiti pregressi, purché la misura sia funzionale al risanamento e sia approvata dall’autorità giudiziaria.
- Viceversa, il legislatore (forse per una svista) non ha esteso tale agevolazione ai casi di piano attestato (art. 56 CCI) o accordo di ristrutturazione omologato (art. 57 e 64-bis CCI). Pertanto, se un’azienda viene ceduta in esecuzione di un piano attestato di risanamento (strumento privatistico senza omologazione giudiziale) o di un accordo ex art. 182-bis L.F. (ora art. 57 CCI) non è automatico l’esonero: il cessionario potrebbe in teoria vedersi opporre i debiti, anche se in pratica tali operazioni includono quasi sempre clausole per accollo dei debiti da parte del cedente o altre garanzie.
- Come già visto (§3), l’art. 14, co.5-bis D.Lgs. 472/97 conferma espressamente che in tutti i casi di cessione in ambito di composizione negoziata o procedure concorsuali CCI, il cessionario non è responsabile per i debiti tributari del cedente. Analogamente, l’art. 22 CCI e le altre norme citate escludono la responsabilità per tutti i debiti aziendali (civilistici, contributivi, ecc.).
- Un’estensione importante introdotta nel 2024 (D.Lgs. 87/2024) riguarda la cessione effettuata da una società in bonis controllata da un’impresa in crisi: come visto, se la società A è in grave crisi e ricorre a una procedura di concordato o ristrutturazione, e nel piano viene prevista la cessione dell’azienda di una sua controllata B per contribuire al risanamento, anche in tal caso all’acquirente di B spetta l’esonero dalle responsabilità (purché l’operazione sia autorizzata dal giudice o faccia parte di un piano omologato). Ciò copre le situazioni di gruppi societari dove non tutte le società sono formalmente in procedura, ma se ne aliena una controllata per salvare la capogruppo indebitata.
Riepilogo: nelle cessioni d’azienda in ambito concorsuale o di crisi omologata, il principio generale (art. 2560 c.c. e affini) non si applica. L’acquirente subentra solo nei rapporti contrattuali e nei beni, ma i debiti restano in capo alla procedura o vengono trattati secondo il piano. Ciò rende molto appetibile l’acquisto di aziende in queste sedi, perché si può acquisire “l’attivo” senza il “passivo” (fatta eccezione per eventuali impegni contrattuali che l’acquirente volontariamente assuma). Naturalmente, dall’altro lato, i creditori originari hanno la garanzia solo del patrimonio della procedura, e per questo la legge richiede procedure trasparenti, pubblicità ai creditori e possibilità di opposizione (creditors’ meeting nel concordato, ecc.). Ad ogni modo, va sottolineato che al di fuori di tali ipotesi autorizzate, un accordo tra cedente e cessionario volto a trasferire l’azienda “libera da debiti” non può pregiudicare i creditori (come abbiamo visto), e i creditori potrebbero attaccarlo con revocatoria se fatto in frode.
7. Cessione di ramo d’azienda e affitto d’azienda: particolarità
Cessione di ramo d’azienda: la vendita di un singolo ramo d’azienda (cioè di un’articolazione autonoma di un’impresa) segue esattamente le stesse regole esaminate per la cessione d’azienda in generale. Il ramo ceduto viene considerato come un’azienda in sé, con applicazione di art. 2558, 2559, 2560 c.c. e art. 2112 c.c. per i dipendenti di quel ramo. Una particolarità è data dalla contabilità: se il cedente teneva una contabilità unica per tutta l’impresa, non vi sono “libri separati” del ramo ceduto. Ciò non esclude la responsabilità ex art. 2560, comma 2, del cessionario del ramo per i debiti ad esso inerenti, purché risultino dai libri generali ed effettivamente attengano all’attività trasferita. In pratica, occorre individuare quali debiti del cedente sono riferibili al ramo ceduto: ad esempio, debiti verso fornitori di quel ramo, debiti verso dipendenti di quel ramo, quota di debiti generali imputabile al ramo, ecc. La Cassazione ha affermato che, anche in presenza di contabilità unitaria, l’acquirente del ramo risponde dei debiti pregressi inerenti a quel ramo se risultano dalle scritture contabili obbligatorie del cedente. Il problema è soprattutto fattuale: distinguere i debiti “del ramo” dai debiti relativi ad altre parti dell’azienda. Spesso nel contratto di cessione si allega uno stato patrimoniale del ramo, con l’elenco delle passività attinenti che vengono trasferite o meno. Ma, come detto, tali pattuizioni non vincolano i creditori terzi: se un debito era inerente al ramo ed è nei libri, il creditore potrà agire contro il cessionario del ramo ai sensi di legge anche se il contratto escludeva la cessione di quel debito (salvo rivalsa interna). Viceversa, debiti non afferenti al ramo ceduto (es. debiti della sede centrale non connessi all’attività del ramo) resteranno a carico del cedente.
Un tema particolare riguarda i contratti pluriramo: se l’impresa ha contratti generali (forniture comuni a più rami, debiti bancari garantiti dall’intera azienda etc.), e cede un ramo, di norma quei contratti restano in capo al cedente salvo diverso accordo col terzo (non potendosi dire “relativi al solo ramo”). I creditori il cui credito spazia su tutta l’azienda non potranno agire sul cessionario del ramo a meno che non dimostrino che una parte del loro credito era strettamente connessa al ramo ceduto (cosa non sempre agevole).
Affitto d’azienda: l’affitto di azienda è il contratto col quale l’imprenditore (locatore o affittante) concede ad un altro soggetto (affittuario o affittuario) la gestione della propria azienda per un periodo determinato, dietro corrispettivo periodico (canone di affitto). Nell’affitto non vi è un trasferimento di proprietà dell’azienda, che rimane al locatore, ma solo un trasferimento temporaneo della gestione. Ciò implica differenze importanti sulla sorte dei debiti:
- I debiti anteriori al contratto di affitto rimangono di norma in capo al proprietario/locatore. L’affittuario infatti non è un cessionario proprietario e l’art. 2560 c.c., letteralmente, riguarda il “trasferimento” (in proprietà) dell’azienda. In dottrina si discute se alcune norme della cessione possano applicarsi analogicamente all’affitto; di certo, però, la proprietà dei beni aziendali non cambia, quindi i creditori rimangono creditori del locatore (che resta titolare dell’azienda, sebbene non la eserciti in quel periodo). Non esiste una norma che renda automaticamente responsabile l’affittuario per i debiti pregressi del locatore. Quindi, ad esempio, i debiti verso fornitori sorti prima dell’affitto non passano all’affittuario (salvo diversa pattuizione contrattuale interna). Tali creditori potranno semmai rivalersi sui beni dell’azienda se il locatore ne rimane proprietario – ma questi beni sono dati in godimento all’affittuario, il che potrebbe complicare l’aggressione (in caso di insolvenza del locatore, potrebbero aversi sequestri o pignoramenti sull’azienda affittata, con interferenze nella gestione dell’affittuario).
- I debiti maturati durante il periodo di affitto sull’esercizio dell’azienda sono invece a carico dell’affittuario, che gestisce in proprio l’attività assumendone oneri e ricavi. L’affittuario contrae in nome proprio obbligazioni verso fornitori, banche, dipendenti assunti durante l’affitto, fisco per il periodo di gestione, ecc. Il locatore in quanto tale non risponde dei debiti di gestione dell’affittuario (tranne diverse previsioni contrattuali). L’azienda affittata costituisce però la garanzia patrimoniale anche di questi debiti; in particolare i fornitori dell’affittuario potranno aggredire i beni aziendali (che appartengono al locatore, ma gravati dal possesso dell’affittuario) se l’affittuario non paga.
- Debiti verso i dipendenti in caso di affitto: poiché l’affitto d’azienda è considerato un “trasferimento” ai fini dell’art. 2112 c.c., i dipendenti dell’azienda passano all’affittuario con conservazione di tutti i diritti. Pertanto, l’affittuario (nuovo datore) è obbligato in solido col locatore per i crediti dei lavoratori maturati prima dell’affitto. Ad esempio, se vi erano mensilità arretrate o TFR maturato, i lavoratori possono chiederli anche all’affittuario (oltre che al precedente datore/locatore). Quasi sempre, nel contratto di affitto d’azienda, si inseriscono clausole che pongono a carico del locatore il pagamento di quanto maturato fino alla data di consegna dell’azienda, proprio per evitare controversie; ma, come sappiamo, tali clausole non sono opponibili ai lavoratori senza il loro consenso, quindi di fatto i lavoratori conservano l’azione contro entrambi fino a soddisfazione. Durante l’affitto, i nuovi crediti dei dipendenti (retribuzioni correnti) sono ovviamente a carico dell’affittuario. Al termine dell’affitto, se l’azienda ritorna al locatore e i lavoratori pure, quest’ultimo risponderà in solido dei crediti maturati in capo all’affittuario (in virtù di un secondo trasferimento ex 2112, se i dipendenti ritornano al cedente originario). Dunque i vari passaggi non devono mai pregiudicare i dipendenti.
- Discipline speciali: l’affitto d’azienda è spesso utilizzato come fase transitoria in procedure concorsuali (ad esempio affitto dell’azienda in esercizio provvisorio, in attesa della vendita). In tali casi valgono le regole già viste: l’affitto in sé trasferisce i lavoratori (2112 si applica) ma non trasferisce i debiti antecedenti all’affitto, salvo quelli verso dipendenti. Se poi l’affittuario acquisterà l’azienda, scatteranno allora le regole viste per la cessione definitiva, potendosi valutare esenzioni in ambito di procedura.
In definitiva, l’affittuario d’azienda non risponde dei debiti anteriori del locatore (tranne debiti verso lavoratori ex 2112 c.c.), mentre il locatore rimane obbligato per quelli e non risponde dei debiti contratti dall’affittuario durante la gestione. Il contratto di affitto spesso disciplina obblighi reciproci: ad esempio, l’affittuario può impegnarsi a pagare i debiti correnti per evitare pregiudizi all’azienda (utenze, fornitori abituali) che in caso di mancato pagamento potrebbero interrompere forniture indispensabili; inoltre, il canone d’affitto può essere destinato (in tutto o parte) al soddisfacimento di debiti pregressi. Va ricordato che, per proteggere il patrimonio aziendale, la legge (art. 2562 c.c.) estende all’affitto d’azienda le disposizioni sull’usufrutto d’azienda, che obbligano l’usufruttuario (qui affittuario) a gestire senza modificare la destinazione economica dell’azienda e conservandone l’efficienza dei beni. Al termine dell’affitto, l’azienda torna al locatore e questi ne riprende la gestione con i debiti contratti durante l’affitto rimasti eventualmente insoluti? In linea di principio no, quei debiti restano dell’affittuario (che potrebbe però nel frattempo cessare o essere insolvente). I creditori dell’affittuario potrebbero tentare di rivalersi sull’azienda quando torna al locatore, ma a quel punto l’affittuario non è più titolare e quei crediti possono essere fatti valere solo verso l’affittuario stesso (salvo ipotizzare un’azione revocatoria se l’affitto fosse servito a dissipare risorse e poi farle sparire). In pratica, per prevenire problemi, spesso l’accordo di fine affitto prevede che il locatore trattenga parte dei canoni a garanzia di eventuali debiti dell’affittuario, o che vi sia un conguaglio.
Confronto affitto vs cessione in sintesi: l’affitto d’azienda non fa subentrare l’affittuario nei debiti commerciali e fiscali pregressi (che restano al proprietario cedente), a differenza della cessione dove invece l’acquirente può ereditare parte dei debiti ex lege. Tuttavia, l’affitto attiva la tutela dei lavoratori (art. 2112) come la cessione. Per contro, nella cessione la proprietà passa e con essa anche i rischi per i beni (in caso di insolvenza del venditore, i creditori chirografari non possono più aggredire i beni aziendali venduti, se non tramite revocatoria entro certi termini), mentre nell’affitto la proprietà resta al cedente, il quale rimane esposto ai creditori (che potrebbero chiedere la risoluzione dell’affitto o il pignoramento dei canoni, etc., se non soddisfatti).
8. Conferimento d’azienda in società
Il conferimento di un’azienda in una società è un’operazione in cui l’imprenditore (individuale o societario) apporta la sua azienda a una società (preesistente o di nuova costituzione), ricevendone in cambio partecipazioni (quote o azioni) della società stessa. Si tratta dunque di un trasferimento di azienda a titolo oneroso (l’onere consiste nell’attribuzione di partecipazioni sociali invece che di denaro), disciplinato anch’esso dall’art. 2560 c.c. e norme correlate, con alcune particolarità quanto ai soggetti coinvolti.
Dal punto di vista degli effetti, il conferimento è equiparabile a una cessione: l’azienda passa in proprietà alla società conferitaria, che ne diventa titolare a tutti gli effetti, mentre il conferente ottiene la posizione di socio. Quindi:
- Debiti dell’azienda conferita: la società conferitaria (cessionaria) ne risponde in base all’art. 2560, comma 2 c.c. se risultano dai libri contabili obbligatori del conferente. Il conferente (cedente) non è liberato dai debiti anteriori salvo consenso dei creditori, come regola generale. Dunque, i creditori dell’azienda conferita potranno fare affidamento sia sulla società conferitaria sia sul conferente (che tipicamente rimane in vita come persona fisica socio o come società-madre). Anche qui, art. 2112 c.c. si applica se vi sono dipendenti (continuità dei rapporti di lavoro e solidarietà per crediti verso i lavoratori). Non vi è ragione di differenziare conferimento e cessione quanto a questi principi.
- Alterità soggettiva: un punto peculiare concerne la situazione in cui un imprenditore individuale conferisce la propria azienda in una società unipersonale di cui egli stesso è l’unico socio (o comunque ne mantiene il controllo totalitario). In questo caso, la Cassazione ha ritenuto che manchi la “dualità soggettiva” richiesta dall’art. 2560 c.c.. Infatti, prima del conferimento l’imprenditore individuale rispondeva dei debiti con tutto il suo patrimonio, non essendovi separazione tra patrimonio dell’azienda e persona fisica; dopo il conferimento in una SRL unipersonale, in teoria i debiti dovrebbero gravare sulla società (patrimonio separato), ma poiché il soggetto di controllo è lo stesso e non c’è un nuovo terzo realmente distinto, la giurisprudenza tende a escludere l’applicabilità della limitazione dell’art. 2560(2). In tal caso, come affermato da Cass. Sez. I, 26 febbraio 2024 n. 5088, “quando l’azienda dell’impresa individuale viene conferita in una società di persone o di capitali, si determina un fenomeno traslativo […] ma [il conferente] non è liberato dai debiti inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta, salvo consenso dei creditori, perché nell’impresa individuale la persona fisica è contemporaneamente imprenditore […] sicché non vi è autonomia patrimoniale distinta”. In pratica, se Tizio conferisce la sua ditta individuale nella Tizio S.r.l. unipersonale, i suoi creditori rimangono garanti sul patrimonio personale di Tizio oltre che su quello della SRL, e l’eventuale mancata iscrizione di un debito nei libri non può essere opposta ai creditori perché Tizio ne era comunque a conoscenza essendo lo stesso soggetto economico. Questa interpretazione evita che un imprenditore individuale possa “scaricare” i propri debiti su una società neo-costituita di fatto senza un vero cambiamento di gestione.
- Conferimento in società partecipata dal conferente: se invece il conferimento avviene in una società con alterità (es. più soci, oppure conferimento in una società terza già esistente), allora si ricade nella situazione tipica di cessione a terzi, e valgono integralmente art. 2560 c.c., art. 2112 per i dipendenti, art. 14 D.Lgs. 472 per i debiti tributari (in un conferimento d’azienda, l’Agenzia Entrate considera applicabile art. 14 poiché c’è trasferimento d’azienda a tutti gli effetti). Da notare che spesso il conferimento è utilizzato in riorganizzazioni societarie (scissioni, creazione di società-veicolo, ecc.), e può essere finalizzato a isolare asset e debiti. Anche qui, quindi, possono sorgere profili di abuso: ad esempio conferire un ramo attivo lasciando debiti in capo al conferente che poi non li paga. Se il conferente è società, si applicheranno le norme su scissione (se conferisce un ramo a una nuova società); se il conferente è persona fisica, i creditori personali di quest’ultima possono tentare la revocatoria del conferimento se lede le loro ragioni (in quanto atto a titolo oneroso verso società partecipata dallo stesso debitore, la revocatoria è possibile provando la partecipatio fraudis della società). Inoltre, in caso di fallimento (liquidazione giudiziale) dell’imprenditore conferente entro 2 anni, il curatore può revocare d’ufficio il conferimento come atto a titolo oneroso tra parti correlate se pregiudizievole.
Sintesi sul conferimento: dal punto di vista dei debiti, non c’è differenza sostanziale rispetto alla cessione: il conferitario risponde delle passività aziendali se iscritte a libro (salvo eccezioni di frode/continuità soggettiva come visto), il conferente resta obbligato salvo liberazione; i dipendenti godono di solidarietà ex 2112; i debiti fiscali ricadono nella disciplina dell’art. 14 D.Lgs. 472/97 (tant’è che la norma parla di “cessione” includendo giuridicamente anche conferimenti e fusioni come trasferimenti d’azienda ai fini fiscali, v. art. 15, co.2 D.Lgs. 472/97). In caso di conferimento con finalità di risanamento in contesto di crisi, varranno le esclusioni di responsabilità viste (§6).
9. Fusioni societarie e successione universale nei debiti
Diverso approccio serve per le fusioni tra società. La fusione (sia per unione che per incorporazione) non è un contratto di trasferimento a terzi, bensì un’operazione in cui due o più società si fondono dando vita a un unico soggetto. Giuridicamente, la fusione realizza una successione universale di un soggetto in tutti i rapporti (attivi e passivi) dell’altro. L’art. 2504-bis c.c. dispone infatti che, con effetto dalla fusione, la società risultante dalla fusione (o quella incorporante, in caso di fusione per incorporazione) succede in tutti i rapporti giuridici delle società partecipanti alla fusione, proseguendo in essi. Ciò significa che tutti i debiti (di qualsiasi natura) delle società che si fondono divengono automaticamente debiti della società risultante/incorporante. Non vi è alcuna condizione di iscrizione nei libri, né limiti temporali: la società risultante si accolla ex lege l’intero patrimonio attivo e passivo delle società fuse. In un certo senso, la fusione è paragonabile alla morte di un soggetto con contestuale trasferimento dell’eredità ad un altro soggetto (ma qui i soggetti sono società). Perciò, sotto il profilo dei creditori:
- I creditori della società incorporata (o fuse in nuova società) conservano tutti i loro diritti, ma il loro debitore diventa la società risultante o incorporante. Quest’ultima risponde con il proprio patrimonio, arricchito di quello delle società fuse.
- Non esiste concetto di “liberazione” del precedente debitore, perché di fatto i precedenti soggetti si estinguono (nel caso di incorporazione, la incorporata si estingue; nel caso di fusione in nuova società, tutte le precedenti si estinguono). Quindi l’unico soggetto su cui far valere i crediti è il successore.
- Non c’è possibilità per la società risultante di invocare ignoranza di debiti occulti: se emergono passività non note, ne risponde comunque. Questo impone grande attenzione alla due diligence pre-fusione, e spiega perché spesso le fusioni sono precedute da garanzie o clausole di conguaglio tra i soci delle società coinvolte, per tenere conto di eventuali passività non evidenti. Ma verso terzi, queste intese interne sono irrilevanti: ogni credito verso una società fusa può essere fatto valere integralmente verso la società risultante.
Esempio: se Alfa Srl e Beta Srl si fondono in Gamma Srl, e Beta aveva un debito verso un fornitore non contabilizzato, Gamma ne risponderà comunque (non c’è una norma analoga a 2560 per la fusione). L’eventuale mancata rilevazione in contabilità di Beta potrebbe al più dare luogo a un’azione di responsabilità dei soci di Alfa (se ingannati) contro gli ex amministratori di Beta, ma il fornitore potrà chiedere il 100% del suo credito a Gamma. Anche eventuali debiti contestati o potenziali (es. una causa legale in corso contro Beta per risarcimento danni) divengono automaticamente oneri di Gamma post-fusione.
Norme a tutela dei creditori nella fusione: proprio perché la fusione trasferisce in toto i debiti su un altro soggetto e può alterare le garanzie patrimoniali (ad es. due società con patrimonio separato diventano una, il creditore di una vede il patrimonio confuso con l’altra, o viceversa un patrimonio a garanzia di più creditori ora è unico), la legge prevede:
- L’obbligo di pubblicare il progetto di fusione e i bilanci per informare i creditori.
- Il diritto dei creditori delle società partecipanti di opposizione alla fusione (art. 2503 c.c.), entro 60 giorni dalla iscrizione del progetto, se temono un pregiudizio. Se un creditore si oppone, la fusione non può essere attuata finché il creditore non sia soddisfatto o garantito, salvo che il tribunale disponga diversamente. Questo meccanismo tutela i creditori da fusioni “spregiudicate” (es. la società debitrice vuole fondersi con un’altra per confondere le acque o spostare asset).
- In presenza di opposizione, spesso si offre una garanzia (es. fideiussione bancaria) al creditore per farlo desistere.
- Se i creditori non si oppongono nei termini, la fusione produce i suoi effetti e i creditori devono accettare il nuovo scenario (non potranno più separare i patrimoni).
Debiti fiscali nelle fusioni: le fusioni sono disciplinate anche dal TUIR ai fini fiscali (artt. 172-173 TUIR): le società fuse non realizzano plusvalenze tassabili sui beni ma i debiti tributari seguono la regola generale: la società risultante subentra in tutti gli obblighi tributari (versamenti, ruoli, contenziosi) delle società fuse. Non c’è limite triennale come per la cessione; quell’istituto non si applica qui perché non c’è “cedente” che resta obbligato. Dunque l’Erario (e gli enti previdenziali) conservano intatti i loro crediti ma con un debitore diverso. Vale la pena notare che, contrariamente alla cessione dove Fisco e INPS hanno rischi perché il cedente potrebbe restare insolvente dopo aver venduto i beni, nella fusione i patrimoni si sommano, quindi in genere i creditori hanno semmai un coobbligato più solido (salvo il caso di fusione con società di comodo per far perdere tracce, ma restano azioni di nullità in casi estremi).
Profili di abuso nella fusione: se una società molto indebitata si fonde con una pulita per “diluirne” i debiti, i creditori di quella pulita potrebbero lamentarsi. La legge consente opposizione come visto. In ambito tributario, esiste la possibilità che la fusione sia usata per eludere la riscossione – ad es. incorporare una società indebitata con il Fisco in un’altra e poi spostare altrove attivi. In passato, c’era il fenomeno delle “fusioni distrattive” legato alla responsabilità penale amministratori: oggi, la normativa antievasione (anche D.Lgs. 74/2000) punisce atti fraudolenti diretti a rendere inefficace la riscossione, e una fusione effettuata poco prima della formazione di ruoli potrebbe essere indagata. Inoltre, in ambito di responsabilità 231/2001 delle società (reati societari), la legge prevede espressamente che la fusione non estingue la responsabilità amministrativa della società per illeciti commessi prima: la società risultante ne risponde ed anzi se la fusione era volta ad eludere sanzioni, il giudice può applicare sanzioni pecuniarie fino al doppio (art. 30 D.Lgs. 231/2001). Si tratta di un parallelo dell’art. 14 co.4-5 D.Lgs. 472/97 in ambito penale-amministrativo.
Conclusione sulle fusioni: in una fusione, tutti i debiti (civili, commerciali, tributari, contributivi, ecc.) delle società che si fondono vengono automaticamente trasferiti alla società risultante/incorporante, senza limiti e senza necessità di iscrizione contabile (che peraltro esisteva comunque, ma irrilevante ai fini di responsabilità). I creditori hanno come unico nuovo debitore la società post-fusione, potendo beneficiare del suo patrimonio cumulato. Non esiste quindi il concetto di “debito che non si trasferisce” nella fusione: si trasferiscono tutti i rapporti attivi e passivi (il termine usato “succede in tutti i rapporti giuridici” è eloquente). L’unico scampo per un creditore contrario alla fusione è opporsi prima; una volta avvenuta la fusione, non potrà evitare che il debitore originario sia estinto. Non potrà neppure chiedere la “separazione” dei patrimoni ex post. Può però attivare rimedi se la fusione è stata dolosa nei suoi confronti (ad es. far dichiarare nulla la fusione se manca una causa lecita, ipotesi rara, o agire in responsabilità contro gli amministratori se la fusione era pregiudizievole senza adeguata motivazione industriale).
10. Scissione societaria e responsabilità per debiti pregressi
La scissione è l’operazione inversa alla fusione: una società (scissa) divide il suo patrimonio, in tutto o in parte, trasferendolo a una o più società beneficiarie (esistenti o di nuova costituzione). La società scissa può estinguersi (scissione totale) o rimanere in vita con patrimonio ridotto (scissione parziale). Anche qui vi è una successione di rapporti, ma frammentata. L’art. 2506-quater c.c. disciplina gli effetti sui debiti, distinguendo i due casi:
- Scissione totale: la società scissa si estingue e tutto il suo patrimonio (attivo e passivo) è assegnato alle beneficiarie secondo criteri stabiliti nel progetto di scissione. In tal caso, essendo analoga a una “eredità giacente” divisa fra più eredi, la legge prevede che tutte le società partecipanti alla scissione (cioè le beneficiarie) siano solidalmente responsabili per i debiti della società originaria non soddisfatti. Questa responsabilità tuttavia non è illimitata per le obbligazioni civili: ciascuna beneficiaria può essere tenuta a pagare i debiti originari entro il limite del valore effettivo del patrimonio netto ad essa assegnato con la scissione. In sostanza, se la scissa si è divisa in Alpha e Beta, e ad Alpha sono andati 40 di attivo e a Beta 60, un creditore antecedente potrà chiedere fino a 40 ad Alpha e fino a 60 a Beta; se uno paga tutto, eventualmente regresso, ma non potrà chiedere 100 a una sola se l’altra ha ancora attivo. Questo per equità tra beneficiarie. La norma comunque tutela il creditore dandogli più soggetti da aggredire: se un debito non è soddisfatto da una beneficiaria (magari perché la parte assegnata a quella è insufficiente a coprire), può rivolgersi all’altra fino al suo limite. Per i debiti tributari, però, vige una regola diversa (v. oltre).
- Scissione parziale: la società scissa continua ad esistere con parte del patrimonio, mentre uno spicchio va a una beneficiaria. Qui la legge (art. 2506-quater, co.3) prevede che la società beneficiaria è solidalmente responsabile con la scissa per i debiti di quest’ultima anteriori alla scissione, nei limiti del patrimonio netto ad essa assegnato. Quindi il creditore originario può chiedere prima alla società scissa (che resta debitrice principale per intero) e, se questa non paga, alla beneficiaria fino a concorrenza del valore ricevuto. La società scissa rimane dunque obbligata illimitatamente, la beneficiaria funge da garante limitato pro quota. Anche qui se più beneficiarie, analogamente ciascuna entro limite della parte avuta.
In entrambi i casi, come per la fusione, i creditori sociali hanno diritto di opposizione (art. 2506-ter rinvia all’art. 2503) entro 60 giorni, per impedire la scissione se temono pregiudizio.
Debiti tributari nelle scissioni: la normativa tributaria (art. 173, co.13 TUIR e art. 15, co.2 D.Lgs. 472/97) detta una disciplina più favorevole all’Erario: in caso di scissione (anche parziale) tutte le società, sia beneficiarie che eventualmente la scissa, sono solidalmente responsabili senza alcun limite per i debiti fiscali della società originaria. Ciò significa che il Fisco può esigere l’intero da qualunque entità risultante, indipendentemente dal valore del patrimonio assegnato. La Cassazione (Sez. V, ord. n. 739/2024) ha confermato che tale regime diverge da quello civilistico proprio per garantire un’agevole riscossione dei tributi e che questa disparità di trattamento non è incostituzionale, come stabilito dalla Corte Costituzionale n. 90/2018. Dunque, se X scinde parte in Y, e X aveva un debito IVA di 100, l’Agenzia Entrate può chiedere 100 a Y anche se Y ha avuto asset minori, e Y non potrà opporre il limite proporzionale. Per i debiti contributivi verso INPS la legge non prevede specifiche, ma per analogia con i tributi (anche essi privilegiati per interesse pubblico) la giurisprudenza tende ad applicare responsabilità illimitata simile.
Contratti e rapporti nella scissione: I debiti “assegnati” a una specifica società secondo il progetto di scissione possono essere oggetto di accordi differenti tra le parti, ma verso i creditori vale la legge: se un debito era assegnato alla società A e A non paga, il creditore può colpire anche B (nei limiti suindicati per civili, illimitatamente per tributari). Va considerato che spesso negli atti di scissione si individua quale società si accolla quale debito, per organizzare la contabilità, ma ciò non vincola il creditore salvo accettazione.
Abusi tramite scissione: la scissione è potenzialmente pericolosa per i creditori: si può infatti separare attività e passività. Un abuso tipico è la “scissione sleale”: la società sana e attiva viene scissa trasferendo l’azienda (asset) a una beneficiaria nuova, lasciando nella scissa originaria i debiti e pochi asset; così i creditori restano con un guscio vuoto (scissa), mentre la beneficiaria prosegue il business senza debiti. La legge contrasta ciò con la responsabilità solidale e con l’opposizione preventiva. Inoltre, se la scissione avviene in prossimità di insolvenza, può essere oggetto di azione revocatoria fallimentare o ordinaria, essendo atto a titolo gratuito (per la società beneficiaria nuova) o comunque potenzialmente frodatorio se peggiora la posizione creditoria. Numerose sentenze hanno dichiarato inefficaci o nulle scissioni simulate fatte per evadere creditori (es. scissioni con compagini identiche e unico scopo di separare debiti). Dal 2021 la riforma del Codice della Crisi consente anche scissioni nell’ambito di piani di risanamento, in quel caso protette (ma se fatte in malafede fuori contesto, restano revocabili). Anche penalmente, come vedremo (§12), gli amministratori che dispongono scissioni distrattive possono rispondere di bancarotta fraudolenta patrimoniale se poi la società fallisce.
Scissione parziale vs conferimento vs cessione: spesso c’è sovrapposizione. Ad esempio conferire un ramo in una nuova società a totale capitale della scissa è equivalente a fare una scissione parziale (tecnicamente il conferimento seguito dalla distribuzione delle quote ai soci è la modalità attuativa di molte scissioni). Ai fini di responsabilità, la scissione è più incisiva perché prevista dal codice con effetti specifici, mentre un conferimento isolato e vendita di partecipazioni ai soci può sottostare a revocatoria come atto dispositivo. La scissione ha efficacia erga omnes definita.
Conclusioni sulla scissione:
- In scissioni parziali: i creditori anteriori hanno come debitori sia la società scissa (rimasta) sia la beneficiaria, ma quest’ultima solo fino a concorrenza del patrimonio ricevuto.
- In scissioni totali: i creditori dell’originaria hanno come debitori tutte le beneficiarie, ognuna per la parte di patrimonio acquisita (solidarietà limitata pro quota).
- Fanno eccezione i debiti tributari (e similari): in ogni caso di scissione, tutte le società coinvolte sono responsabili in solido e illimitatamente per i debiti fiscali precedenti. Questo speciale regime è confermato dalla Cassazione e ritenuto legittimo costituzionalmente.
- Anche per eventuali sanzioni amministrative pecuniarie (es. illeciti 231/2001), la norma (art. 34 D.Lgs. 231/01) prevede che in caso di scissione le sanzioni si ripartiscono tra beneficiarie in base alla quota di patrimonio netto, con solidarietà fino a concorrenza di tale quota (una formula analoga al regime civilistico dei debiti). Quindi qui non c’è illimitatezza come per tributi, ma c’è solidarietà relativa.
In ogni caso, chi contrae rapporti con società scisse deve tener conto che potrebbe trovarsi di fronte a più soggetti debitori. I creditori sociali informati di una scissione devono attivarsi subito se ritengono di essere pregiudicati (ad esempio, se vedono che la scissione destina quasi tutto l’attivo a una beneficiaria e lascia la loro controparte con poco, conviene opporsi entro 60 giorni per ottenere garanzie).
11. Profili penali connessi alla cessione o trasferimento d’azienda
Il trasferimento di azienda può implicare conseguenze penali in diversi scenari, specie quando è finalizzato a eludere obblighi verso creditori o Fisco, o quando avviene in contesti di insolvenza fraudolenta. Esaminiamo i principali profili:
Reati fallimentari (bancarotta fraudolenta): se il cedente versa in stato d’insolvenza e successivamente fallisce (oggi liquidazione giudiziale), eventuali atti di disposizione del suo patrimonio compiuti prima del fallimento con dolo di recare pregiudizio ai creditori costituiscono bancarotta fraudolenta patrimoniale (artt. 216 e 223 R.D. 267/1942, ancora in vigore come reato). La vendita a prezzo irrisorio o il dismettere l’azienda a un soggetto compiacente poco prima del fallimento, privando così i creditori di una garanzia, è un tipico atto di bancarotta fraudolenta per distrazione. Gli amministratori o imprenditori che attuino simili cessioni “sospette” possono essere perseguiti penalmente. Ad esempio, vendere l’azienda sottovalutandola per “sfilare” beni ai creditori configura distrazione; oppure affittare l’azienda incassando canoni non di mercato con l’intento di congelare la disponibilità ai creditori può essere ricondotto a bancarotta preferenziale o distrattiva, a seconda dei casi. Anche un’operazione di fusione o scissione usata per isolare asset a danno dei creditori fallimentari può implicare responsabilità penale per bancarotta (gli organi concorsuali spesso denunciano tali atti come distrazioni). Va detto che non è reato vendere l’azienda prima del fallimento se fatto a valori congrui e nell’ottica di salvare la continuità aziendale; ma se fatto con frode e per sottrarre asset, la rilevanza penale è netta.
Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11 D.Lgs. 74/2000): è un reato tributario che si configura quando, al fine di evadere o evitare il pagamento di imposte, un soggetto compie atti fraudolenti sui propri beni per renderne inefficace la riscossione. La cessione di un’azienda (o di una ditta individuale) subito dopo un accertamento fiscale o l’iscrizione a ruolo di imposte, con lo scopo di “svuotare” il patrimonio su cui il Fisco potrebbe rivalersi, rientra in questo reato. Ad esempio, la Cassazione Penale n. 45914/2021 ha confermato la condanna di un imprenditore che, dopo un decreto ingiuntivo esecutivo e un pignoramento avviato dalla creditrice, aveva ceduto la propria ditta a una neocostituita società per sottrarsi a quei pagamenti. Questo comportamento è stato inquadrato nell’art. 388 c.p. (mancata esecuzione dolosa di provvedimento del giudice) perché c’era già un decreto ingiuntivo, ma se analogamente si cerca di sottrarsi al pagamento di cartelle esattoriali o avvisi, scatta l’art. 11 D.Lgs. 74/2000. La pena prevista per la sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte è la reclusione (fino a 4-7 anni se ricorrono le circostanze più gravi), perciò non è da sottovalutare. Esempio tipico: un imprenditore riceve una cartella di €500.000, allora cede l’azienda a una società di comodo gestita da un prestanome, svuotando la propria posizione. Questo è un classico caso che la Guardia di Finanza/polizia tributaria persegue come reato ex art. 11. Lo stesso art. 14 co.4 D.Lgs. 472/97, come visto, presuppone la rilevanza penale di certe violazioni (citando violazioni penalmente rilevanti come presupposto di frode nella cessione).
Mancata esecuzione dolosa di provvedimenti del giudice (art. 388 c.p.): strettamente legato al precedente, punisce chi, dopo una sentenza o un provvedimento esecutivo (es. un decreto ingiuntivo definitivo), compie atti simulati o fraudolenti sui propri beni per impedire l’esecuzione. La cessione dell’azienda dopo l’emissione di un titolo esecutivo rientra in questa fattispecie. Ad esempio, se un imprenditore perde una causa e deve pagare un risarcimento, e invece di pagare cede l’azienda a terzi per risultare nullatenente all’atto del pignoramento, commette reato ex art. 388 c.p. Questo reato tutela specificamente l’autorità delle decisioni giudiziarie, mentre quello tributario tutela il credito erariale: nella sostanza, la condotta è simile (sottrarre beni ai creditori). La pena è reclusione fino a 3 anni.
Responsabilità del cessionario “di comodo”: se l’acquirente dell’azienda è consapevole di partecipare a un disegno criminoso (ad es. è una società schermo creata ad hoc per ricevere l’azienda e occultarla ai creditori), i suoi amministratori o prestanomi possono rispondere penalmente come concorrenti nel reato (favoreggiamento reale o concorso in bancarotta/frode fiscale). Quindi non solo il cedente rischia, ma anche chi “presta” la propria figura per acquisire l’azienda e agevolare la frode ai creditori. La Cassazione Penale ha più volte condannato amministratori di società compiacenti per concorso in bancarotta fraudolenta quando hanno ricevuto asset a prezzo vile da società poi fallite, consapevoli dello scopo illecito.
Omesso versamento di contributi e retribuzioni: non esistono specifici reati per “cessione d’azienda e mancato pagamento di stipendi”, perché il codice penale non punisce il datore inadempiente verso dipendenti salvo casi estremi. Tuttavia, omesso versamento di ritenute previdenziali oltre soglie (attualmente €10.000 annui, ex art. 2 co.1-bis D.L. 463/1983) è reato contravvenzionale punito con arresto o ammenda, salvo estinzione se si paga entro termini. Quindi, se un imprenditore cede l’azienda senza aver pagato i contributi dei dipendenti e non li paga poi, rischia la denuncia per questo reato (a suo carico personale, non del cessionario). L’omesso versamento IVA oltre soglia e l’omesso versamento di ritenute fiscali sono delitti (artt. 10-bis e 10-ter D.Lgs.74/2000), ma riguardano il cedente inadempiente. Il cessionario non ne risponde penalmente, a meno appunto di aver concorso a occultare il dovuto (torna l’art. 11 citato prima).
Reati societari e 231/2001: infine, un cenno alla responsabilità amministrativa degli enti (D.Lgs. 231/2001). Se una società ha tratto vantaggio da reati (es. corruzione) e è soggetta a procedimento 231, una cessione di azienda non la estingue né trasferisce quella responsabilità al cessionario (che è un soggetto distinto). Tuttavia, l’ente originario rimane in vita e risponde con il suo patrimonio (che però se ha ceduto l’azienda, si è impoverito!). Per evitare che la società possa eludere le sanzioni 231 trasferendo attività e poi estinguendosi, la legge prevede che in caso di cessione dell’azienda in cui è stato commesso il reato 231, l’acquirente dell’azienda è solidalmente obbligato al pagamento delle sanzioni pecuniarie 231 comminate al cedente, entro il limite del valore dell’azienda ceduta e salvo beneficio d’escussione sul cedente (art. 33 D.Lgs. 231/01). È una previsione peculiare: quindi se Tizio Srl commette reati 231 e poi vende l’azienda a Caio Srl, quando Tizio Srl verrà sanzionata con una multa 231, Caio Srl potrà essere chiamata a pagare se Tizio non paga, fino a concorrenza del valore dell’azienda acquistata (salvo cautele se era in buona fede). Ciò è un caso specifico di successore nei debiti penali-amministrativi, e serve a impedire cessioni elusive. Anche qui però c’è tutela di buona fede: la responsabilità non opera se prima dell’acquisto c’è stata la certificazione dell’assenza di illeciti amministrativi, oppure se il cessionario prova di non essere a conoscenza (e non conoscibile) dei reati precedenti (questi dettagli esulano comunque dallo scopo di questa guida).
In conclusione sul penale: la cessione o affitto d’azienda può diventare uno strumento criminale se volto a frodare creditori o Fisco. Le norme penal-tributarie e fallimentari offrono diversi strumenti repressivi:
- Art. 216 L.F. (bancarotta fraudolenta) per chi distragga aziende a danno di creditori pre-fallimento.
- Art. 388 c.p. per chi dopo una condanna/ingiunzione cede beni (azienda inclusa) per non pagare.
- Art. 11 D.Lgs. 74/2000 per chi aliena beni o aziende per non pagare imposte.
- Concorso in tali reati per gli eventuali acquirenti compiacenti.
- Art. 33 D.Lgs. 231/01 che impone all’acquirente di rispondere di sanzioni pecuniarie 231 del cedente (nei limiti) per evitare vendite fittizie.
- Responsabilità ex art. 14 D.Lgs. 472/97 (comma 4-5) di natura “amministrativa” ma con presupposto di violazioni penal-tributarie, che rende l’acquirente illimitatamente responsabile di debiti fiscali se la cessione è fatta dopo accertamenti per reati tributari.
Il consiglio, ovviamente, è di non utilizzare mai la vendita di un’azienda come mezzo per sottrarsi illegalmente a obblighi: oltre a non giovare civilisticamente (molte tutele ai creditori possono vanificare il disegno, come visto), si rischia seriamente il penale. Dal lato di chi acquista un’azienda, è prudente verificare che il venditore non abbia intenti elusivi/criminogeni: ad esempio, se l’azienda è carica di debiti e il prezzo è stracciato, l’acquirente deve interrogarsi sul perché, per non trovarsi coinvolto ex post in azioni revocatorie o penali. La figura del prestanome che acquisisce aziende per schermare patrimoni altrui è spesso bersaglio di inchieste giudiziarie: anche se personalmente non beneficiato, risponde come complice (con aggravanti per reati tributari se professionale).
Tabella riepilogativa – Trasferibilità dei debiti nelle varie operazioni:
Per comodità, riportiamo di seguito alcune tabelle di sintesi che distinguono il regime dei debiti in base alla loro tipologia e alla forma di trasferimento dell’azienda.
Tabella 1: Debiti commerciali, bancari e verso fornitori (ordinari)
Tipo di operazione | Debiti commerciali/bancari (fornitori, banche, ecc.) trasferiti al nuovo titolare? |
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Cessione d’azienda (o ramo) | Sì in parte – Cessionario risponde in solido col cedente dei debiti inerenti all’azienda se risultano dalle scritture contabili obbligatorie (art. 2560, co.2 c.c.). Se non contabilizzati, restano a carico del cedente (salvo frode). Cedente comunque non liberato salvo consenso creditori. |
Affitto d’azienda | No – I debiti sorti prima dell’affitto restano al proprietario (locatore); l’affittuario non subentra (eccetto debiti verso dipendenti, v. Tab. 4). I nuovi debiti contratti dall’affittuario durante la gestione non coinvolgono il locatore. (Si tratta di un godimento temporaneo, non di un trasferimento di proprietà). |
Conferimento d’azienda | Sì in parte – La società conferitaria risponde dei debiti conferiti alle stesse condizioni della cessione (art. 2560 c.c.). Particolare: se conferimento a società unipersonale del medesimo imprenditore, niente alterità soggettiva, dunque cessionario di fatto non esente neppure per debiti non iscritti. |
Fusione societaria | Sì, tutti – La società risultante/incorporante subentra in universum ius: tutti i debiti delle società fuse diventano suoi (art. 2504-bis c.c.). Non rileva iscrizione o meno; nessun limite. Creditori delle fuse possono agire solo verso la società risultante (salvo diritto di opposizione pre-fusione). |
Scissione societaria | Sì, tutti – Obbligazioni civili: nelle scissioni parziali, società beneficiarie rispondono in solido coi limiti del patrimonio netto ricevuto; in scissioni totali, tutte beneficiarie in solido pro-quota (limite del valore assegnato a ciascuna). Obbligazioni tributarie: v. tabella fiscale. Scissa originaria resta obbligata (se non si estingue). Creditori antecedenti hanno azione verso tutti i soggetti risultanti, nei limiti suddetti (salvo che per tributi, illimitatamente). |
Tabella 2: Debiti tributari (Erario)
Tipo di operazione | Debiti verso il Fisco (imposte, tasse, sanzioni) trasferiti? |
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Cessione d’azienda (ordinaria) | Sì, con limiti – Cessionario risponde in solido col cedente entro i limiti del valore dell’azienda ceduta e per i debiti relativi a violazioni nell’anno della cessione e due precedenti (ultimi 3 anni). Responsabilità sussidiaria (beneficio escussione) e circoscritta a imposte/sanzioni triennio. Debiti di periodi anteriori esclusi se non contestati nel triennio. Possibile esonero totale tramite certificato fiscale liberatorio (art. 14, co.3 D.Lgs. 472/97) se negativo. In caso di cessione fraudolenta (per evadere imposte), cessionario responsabile illimitatamente di tutti i debiti tributari (presunzione se cessione entro 6 mesi da constatazione reato tributario). |
Affitto d’azienda | No (di regola) – Il locatore resta titolare della posizione fiscale: i debiti tributari precedenti all’affitto rimangono a suo carico; l’affittuario non subentra né ha obblighi solidali (salvo eventuali accordi). I debiti fiscali sul periodo di gestione in affitto competono all’affittuario (nuovo soggetto d’imposta per IVA, redditi da quel periodo, etc.). Attenzione: se affitto prelude a cessione, prima di cessione andrà richiesto certificato fiscale. |
Conferimento d’azienda | Sì, con limiti – Equiparato alla cessione: la società conferitaria risponde dei debiti fiscali del ramo conferito con gli stessi limiti (triennio, valore azienda) ex art. 14 D.Lgs. 472/97. Anche per conferimento vale il certificato liberatorio. Se conferimento in frode al Fisco (es. per isolare debiti), possibile qualificazione come sottrazione fraudolenta (penale) e responsabilità illimitata del cessionario per quei debiti (art. 14, co.4). |
Fusione societaria | Sì, tutti – La società risultante/incorporante succede a quella/e originarie anche per obblighi tributari, senza limiti di importo o tempo (tutti i debiti fiscali pregressi diventano a suo carico). Non c’è norma tipo art. 14 perché la fusione non è cessione tra due soggetti distinti ma continuità; dunque imposte dovute dalle società fuse sono dovute dalla società risultante. (Creditori fiscali tutelati da diritto opposizione pre-fusione). |
Scissione societaria | Sì, tutti (illimitato) – Disciplina speciale: tutte le società coinvolte (beneficiarie e, se parziale, anche la scissa) sono responsabili in solido e illimitatamente per i debiti tributari anteriori alla scissione. Nessun limite proporzionale si applica all’Erario. Ciò è sancito da art. 173, co.13 TUIR e art. 15, co.2 D.Lgs. 472/97, confermato da Cass. e ritenuto costituzionalmente legittimo. Il Fisco può riscuotere l’intero da una qualsiasi delle società risultanti, indipendentemente dalle quote di patrimonio ricevute. |
Tabella 3: Debiti previdenziali e contributivi (INPS, INAIL)
Tipo di operazione | Debiti verso enti previdenziali (contributi, premi) trasferiti? |
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Cessione d’azienda (o ramo) | Possibilmente, se iscritti – Non esiste solidarietà automatica ex 2112 (enti previdenziali ≠ lavoratori). Cessionario risponde dei debiti contributivi solo se essi risultano dai libri contabili obbligatori (art. 2560 c.c.). Cedente resta obbligato principale. In pratica, contributi omessi normalmente risultano a bilancio come debiti verso INPS, quindi cessionario ne risponde in solido (e sussidiario per legge 612/96 sulla riscossione contributi, ma questa è questione esattoriale). Se non erano contabilizzati, cessionario non è tenuto. Sempre ammessa l’azione dell’ente contro il cedente. Nota: spesso l’acquirente richiede un DURC regolare per evitare sorprese; se DURC irregolare, può pretendere sanatoria pre-cessione. |
Affitto d’azienda | No – Il rapporto con l’ente resta in capo al proprietario (locatore) per i periodi pre-affitto; l’affittuario assume obblighi contributivi solo per il periodo di sua gestione. Non vi è disposizione di legge che li solidarizzi. (Salvo art. 2112 per crediti dei lavoratori, v. Tab.4, ma l’ente è soggetto terzo). Quindi, contributi non versati prima restano a carico del locatore; l’affittuario dovrà però versare regolarmente i propri durante l’affitto per non incorrere in violazioni. |
Conferimento d’azienda | Possibilmente, se iscritti – Anche qui, società conferitaria responsabile dei debiti contributivi dell’azienda conferita se risultanti da contabilità (art. 2560). Caso tipico: ditta individuale conferisce e aveva debiti INPS → se a bilancio, INPS può chiedere anche a società conferitaria; se no, solo al conferente persona fisica (che comunque rimane obbligato come coobbligato mai liberato). |
Fusione societaria | Sì, tutti – La società risultante/incorporante subentra in tutti i debiti contributivi delle precedenti. INPS, INAIL e casse varie possono rivalersi sulla nuova società per l’intero credito. (Come per tributi, fusione = continuità universale). Inoltre, in caso di fusione, eventuali sanzioni civili contributive restano dovute. L’opposizione creditori tutela anche enti previdenziali pre-fusione. |
Scissione societaria | Sì, tutti (tendenza illimitata) – La legge non esplicita come per tributi, ma la giurisprudenza per analogia tende ad assimilare i contributi ai tributi per tutela pubblica. Dunque è ragionevole ritenere che INPS/INAIL possano far valere i loro crediti verso tutte le società post-scissione solidalmente e anche oltre i limiti proporzionali (Corte Conti ha suggerito ciò in alcune interpretazioni). In mancanza di norma espressa, comunque, almeno nei limiti del valore assegnato le beneficiarie sono sicuramente obbligate (ex art. 2506-quater). In pratica l’ente può chiedere a beneficiarie pro quota, e potrebbe invocare un trattamento paritario ai tributi per eventuale illimitata solidarietà (questo scenario è in evoluzione giurisprudenziale). |
Tabella 4: Debiti verso dipendenti (retribuzioni, TFR, ecc.)
Tipo di operazione | Debiti verso lavoratori (stipendi arretrati, TFR maturato, ecc.) trasferiti? |
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Cessione d’azienda (o ramo) | Sì, tutti (solidale) – Cessionario e cedente obbligati in solido per tutti i crediti che i lavoratori avevano al momento del trasferimento (art. 2112, co.2 c.c.). Nessun limite o condizione di iscrizione: include stipendi, straordinari, ferie maturate e non pagate, mensilità aggiuntive maturate, TFR maturato sino alla data di cessione, ecc. Lavoratore può chiedere l’intero sia al vecchio sia al nuovo datore. (Eventuali accordi interni su chi paga cosa non rilevano verso il lavoratore). |
Affitto d’azienda | Sì, tutti (solidale) – Anche l’affitto è trasferimento ai sensi art. 2112: i dipendenti passano all’affittuario conservando diritti. Locatore e affittuario in solido per tutti i crediti di lavoro maturati prima dell’affitto. Esempio: se ci sono 3 mensilità arretrate prima dell’affitto, i lavoratori possono pretenderle anche dall’affittuario. Al termine dell’affitto, se l’azienda torna indietro col personale, scatterà nuovamente solidarietà per crediti maturati durante l’affitto (affittuario e nuovo/vecchio datore in solido per crediti al momento del ret raso). |
Conferimento d’azienda | Sì, tutti (solidale) – Il conferimento comporta successione nei contratti di lavoro ex art. 2112 c.c. come la cessione: dunque lavoratori trasferiti alla società conferitaria con tutela integrale. Conferente e conferitaria obbligati in solido per i crediti dei dipendenti maturati pre-conferimento. (Di solito si formalizza il passaggio come cessione ramo d’azienda ai fini giuslavoristici, quindi art. 2112 pieno). |
Fusione societaria | Sì, tutti – Nella fusione non c’è neppure interruzione del rapporto: i dipendenti delle società incorporate continuano automaticamente con la incorporante, per cui eventuali crediti vantati verso la società originaria sono ora verso la società risultante. Non serve neppure invocare art. 2112 (che tecnicamente si applica a trasferimenti tra soggetti distinti): qui c’è un unico soggetto successore che risponde di tutti gli obblighi contrattuali, inclusi quelli di lavoro. Dunque la società incorporante risponde di stipendi arretrati e TFR maturati presso l’incorporata, senza eccezioni. |
Scissione societaria | Sì, tutti (solidale) – La scissione comporta di norma un trasferimento parziale di personale alle beneficiarie (per continuity of employment). I dipendenti trasferiti alla beneficiaria mantengono diritti: la beneficiaria e la società scissa originaria restano solidalmente obbligate per i crediti maturati prima della scissione (situazione analoga all’affitto/cessione). I dipendenti rimasti nella scissa mantengono il loro datore, ma se in futuro magari sono trasferiti ancora i diritti restano. Insomma, art. 2112 c.c. si applica al perimetro di personale trasferito a ciascuna società. Pertanto, ogni lavoratore che passa a una beneficiaria potrà chiedere a entrambe (beneficiaria e originaria) gli arretrati pre-scissione. |
(Legenda: “cedente” = precedente titolare, “cessionario” = nuovo titolare)
Le tabelle sopra delineano il quadro generale. Va tenuto presente che in alcune situazioni specifiche (ad es. cessioni in contesti di crisi omologata) vigono esenzioni particolari già illustrate (v. §§6, 3): in tal caso l’analisi generale viene soppiantata dalle norme speciali.
12. FAQ – Domande Frequenti
Di seguito una serie di domande e risposte comuni, sia in ottica imprenditoriale che legale, sulle questioni relative ai debiti nel trasferimento d’azienda:
D1: Se acquisto un’azienda, devo pagare tutti i debiti che aveva il vecchio proprietario?
R: Non necessariamente tutti, ma alcuni sì. In base all’art. 2560 c.c. risponderai in solido dei debiti dell’azienda che risultano dai libri contabili obbligatori del cedente. Ciò in pratica comprende i debiti commerciali e bancari noti e registrati. Inoltre, sarai coobbligato per tutti i debiti verso i dipendenti maturati fino alla cessione (stipendi arretrati, TFR, ecc.) a norma dell’art. 2112 c.c., nonché, per legge, potresti dover rispondere di alcuni debiti fiscali del triennio scorso del cedente (entro il valore dell’azienda). Invece, i debiti personali del venditore non inerenti all’esercizio dell’azienda (es. un mutuo personale, una multa intestata a lui, ecc.) non ti riguardano. E i debiti “occulti” non contabilizzati di regola non ti ricadono, salvo eccezioni in caso di frode. Quindi, comprando un’azienda non ti accolli automaticamente tutto il passivo del venditore, ma solo alcune categorie secondo legge. Puoi comunque negoziare col venditore clausole di manleva (indennizzo) per tutelarti da eventuali debiti non noti che emergessero dopo.
D2: Come posso, da acquirente, tutelarmi dai debiti fiscali e contributivi pregressi del cedente?
R: La legge prevede strumenti specifici. Prima di acquistare, dovresti richiedere al venditore di procurarsi il certificato dei carichi pendenti fiscali (art. 14 D.Lgs. 472/97) dall’Agenzia Entrate. Se tale certificato risulta “pulito” (nessun debito né contestazione negli ultimi 3 anni), allora sarai esonerato da responsabilità per eventuali imposte non versate in quel periodo. Allo stesso modo, chiedi il DURC (Documento Unico Regolarità Contributiva) da INPS/INAIL: se regolare, significa che non ci sono contributi arretrati (anche se il DURC non ha un effetto liberatorio normativo come il certificato fiscale, è comunque rassicurante). Inoltre, inserisci in contratto delle dichiarazioni e garanzie del cedente sull’assenza di debiti occulti, con previsione che se emergono poi dovrà rimborsarti (clausole di indennizzo). Ricorda però che, a prescindere dal contratto, l’Agenzia Entrate potrà comunque chiedere a te eventuali imposte del triennio (salvo certificato negativo), e i lavoratori potranno sempre chiamarti in causa per arretrati. Quindi, fondamentale è fare una due diligence accurata: esamina bilanci, libri contabili (per verificare debiti iscritti), verifica cartelle esattoriali o rateizzazioni in corso, cause pendenti, ecc. Più conosci prima, meno sorprese poi.
D3: Cosa succede se nel contratto di cessione d’azienda io e il venditore pattuiano che i debiti restano tutti a carico suo?
R: Una clausola del genere vale solo tra di voi, ma non vincola i creditori. Se per legge alcuni debiti “seguono” l’azienda (es. debiti in contabilità, ultimi 3 anni di imposte, crediti lavoratori), i creditori potranno comunque chiederli a te. Quella pattuizione avrà effetto di farti rivalere sul venditore: in pratica se tu paghi al creditore un debito che contrattualmente doveva restare al venditore, poi potrai chiedere al venditore di restituirti quanto pagato (azione di regresso o indennizzo contrattuale). Ma non potrai opporre il patto al creditore per rifiutare il pagamento. Quindi queste clausole servono più che altro come tutela interna: se il venditore è solvibile, tu paghi al creditore e poi ti fai rimborsare da lui. Se invece il venditore non paga o è insolvente, purtroppo il patto resta sulla carta e ti rimarrà il danno (e magari un credito verso il venditore difficilmente esigibile). Ecco perché la due diligence e magari trattenere parte prezzo a garanzia è importante.
D4: I debiti verso fornitori che mi accollo influenzano il prezzo di acquisto?
R: Sì, di solito in fase di contrattazione si tiene conto del passivo. Esistono due approcci: acquisto “cash-free/debt-free” dove tu paghi solo per l’attivo e il venditore si mantiene tutti i debiti (facendosene carico separatamente), oppure accollo dei debiti dove decidi di assumerti alcuni debiti e ciò riduce il prezzo. Ad esempio, se l’azienda ha €100 di debiti verso fornitori e lo hai considerato nel prezzo, potresti pagarli tu dopo la cessione ma aver pagato €100 in meno al venditore. In ogni caso, attenzione: anche se non vi accordate sull’accollo esplicito, se i debiti sono nei libri i fornitori potranno cercare di farsi pagare anche da te. Quindi conviene sempre quantificarli e stabilire espressamente nel contratto come vanno trattati, in modo da non pagarli due volte (una volta nel prezzo e una direttamente).
D5: Se acquisto solo un ramo d’azienda, devo comunque rispondere dei debiti dell’intera azienda del venditore?
R: No, solo dei debiti inerenti a quel ramo che stai acquisendo. Ad esempio, se compri il ramo “produzione” di una società che ha anche un ramo “vendite” con debiti propri, i debiti legati a contratti, fornitori, personale del ramo produzione potranno ricadere su di te (stesse regole di cessione), ma i debiti del ramo rimasto al venditore no. In pratica bisogna delimitare cosa è “afferenza” del ramo: se un debito non è specificamente connesso al ramo ceduto, resta al cedente. A volte non è netto il confine (debiti generali tipo fido bancario comune): lì occorre negoziare col venditore e magari con la banca una ripartizione (es. il fido lo trattiene il cedente, tu ne aprirai uno nuovo). Di sicuro tu non rispondi dei debiti estranei alla gestione del ramo che hai comprato. Da notare però: se la contabilità del venditore era unica, un debito “afferente al ramo” risulta nei libri generali comunque, quindi il creditore potrebbe farsi avanti e poi starà a evidenziare se era del ramo o no. Conviene predisporre insieme al venditore un elenco dettagliato dei debiti che si considerano del ramo e di quelli che non lo sono, come linea guida (non opponibile a terzi, ma utile fra di voi e come prova nelle eventuali controversie).
D6: Se vendo la mia azienda, dopo non avrò più niente: perché dovrei restare responsabile dei debiti?
R: Perché la legge tutela i creditori originali. Vendere l’azienda non significa automaticamente liberarsi dei debiti, a meno che i creditori accettino una liberazione (ad esempio novando il debito in capo al compratore). Normalmente, tu venditore rimarrai co-obbligato per tutti i debiti fino alla vendita. È vero che avendo venduto potresti svuotarti: ma proprio per questo i creditori possono aggredire il corrispettivo che hai incassato dalla vendita. Inoltre, se dopo aver venduto l’azienda “sparisci” e non paghi i debiti, rischi azioni di revocatoria (la cessione potrebbe essere revocata come atto a titolo oneroso con partecipazione fraudolenta dell’acquirente entro 5 anni, se provano che volevate frodare creditori) o addirittura imputazioni di bancarotta fraudolenta se fallisci o di reato ex art. 388/CP se c’era un decreto ingiuntivo (vedi §12). Quindi vendere e non pagare i creditori può mettere nei guai. Meglio è utilizzare il ricavato della vendita per soddisfarli o accordarsi con essi. In alternativa, puoi chiedere ai creditori di liberarti formalmente (magari offrendo un pagamento parziale con la vendita): se accettano, allora sarai esonerato. Senza consenso, resti obbligato; e se poi il compratore non paga quei debiti, i creditori possono tornare su di te.
D7: Sto affittando la mia azienda a un altro per qualche anno, i debiti con le banche e i fornitori restano a me?
R: Sì, l’affitto non trasferisce la titolarità, quindi tutti i debiti contratti prima dell’affitto rimangono tuoi (locatore). L’affittuario non è obbligato a pagare i tuoi debiti arretrati verso fornitori o banche. Tuttavia, verifica il contratto: spesso si prevede che l’affittuario paghi le spese correnti (es. forniture di utenze, materie prime durante l’affitto) altrimenti i fornitori potrebbero interrompere il servizio che serve anche a lui. Ma quelli sono debiti che nascono durante l’affitto, non quelli pregressi. Per i debiti di lavoro, invece, come visto i dipendenti passati all’affittuario possono rivalersi anche su di lui per arretrati. Se quindi avevi stipendi non pagati, l’affittuario rischia di doverli sborsare (e poi fare conguagli con te). Spesso nel contratto di affitto si inserisce l’obbligo per te di pagare tutti gli arretrati dipendenti prima di trasferire l’azienda in affitto, proprio per evitare all’affittuario rogne con il personale. In sintesi: sì, i debiti verso terzi restano i tuoi, l’affittuario risponderà solo di quelli che lui stesso contrarrà (oltre ai dipendenti come eccezione). Ma attenzione: i creditori, pur non potendo aggredire l’affittuario, potrebbero provare a pignorare i beni aziendali (ancorché in affitto) se restano di tua proprietà. Questo può complicare la gestione dell’affittuario. Per questo spesso si concorda che i canoni d’affitto vengano destinati a pagare i debiti, o che il locatore non sia completamente estraneo. Se hai molti debiti e affitti l’azienda, i creditori potrebbero impugnare quell’affitto come atto in frode (pensando tu voglia blindare i beni). Quindi agisci sempre con trasparenza verso i creditori (magari informandoli della manovra e rassicurandoli sul pagamento con i canoni, etc.).
D8: Se una società si fonde con un’altra, chi paga i debiti pregressi?
R: La società risultante (o incorporante) paga tutto. Nella fusione, la società A e B diventano una sola, quindi i creditori di A e di B ora hanno come debitore la nuova AB (o la A incorporante). Non c’è più separazione. Ad esempio, se A aveva un debito e si è fusa in B, ora B (post fusione) risponde di quel debito completamente. Non c’è liberazione di nessuno, è come se i debiti confluissero tutti in un unico calderone. Questo è il motivo per cui chi eredita tramite fusione deve controllare bene i conti dell’altra società prima. Ci sono procedure di opposizione dei creditori proprio per dar loro garanzie (ad es. se una piccola società con pochi asset volesse fondersi in una enorme indebitata, i creditori della piccola potrebbero opporsi temendo di venire “dopo” quelli grandi su un patrimonio confuso). Ma una volta avvenuta la fusione, legalmente tutti i debiti sono a carico della società risultante/incorporante. Se questa non paga, i creditori possono agire sul suo patrimonio (che contiene gli ex patrimoni di entrambe le fuse).
D9: Ho scisso la mia società in due: la “good company” con l’attivo e la “bad company” con i debiti. I creditori possono attaccare anche la good company?
R: Sì, la legge lo impedisce. Nella scissione parziale, la società beneficiaria (goodco) è responsabile in solido con la società scissa (badco) per i debiti antecedenti, entro il limite del patrimonio trasferito. Quindi se la goodco ha preso 80% dell’attivo, risponde dei debiti fino a quell’80%. In più, per i debiti fiscali, come visto, la goodco risponde illimitatamente. Quindi il tuo piano di isolare i debiti solo in badco potrebbe non funzionare: i creditori “privati” potranno chiedere alla goodco solo la loro parte proporzionale (se la badco non paga), ma se hai lasciato la badco priva di tutto, la goodco sarà chiamata al massimo di quella quota (diciamo 80%). I creditori fiscali invece possono chiedere tutto alla goodco, non essendoci limite. Inoltre, se la scissione è avvenuta con intento fraudolento (far perdere le tracce ai creditori), possono fare causa per farla dichiarare inefficace (revocatoria) o per ottenere risarcimento dagli amministratori. Nei casi peggiori, se segue un fallimento, gli amministratori rischiano accusa di bancarotta. Insomma, la scissione non è uno strumento per “farla franca”: serve per riorganizzare, ma i creditori sono tutelati da normative ferree, e se li danneggi deliberatamente quasi sicuramente reagiranno legalmente.
D10: Quando un atto di trasferimento d’azienda può essere dichiarato nullo o inefficace per frode?
R: Può accadere principalmente in due modi: tramite azione revocatoria (art. 2901 c.c.) o, nel caso di fallimento, tramite gli strumenti fallimentari (azione revocatoria fallimentare, art. 166 e segg. L.F. per atti a titolo oneroso entro 1 anno con consapevolezza danno, ecc.). La revocatoria ordinaria richiede di provare che tu (debitore) hai compiuto la cessione danneggiando i creditori e che l’acquirente ne era consapevole (scienter). Se riescono, il tribunale dichiarerà l’atto inefficace verso il creditore attore: ciò significa che quel creditore potrà pignorare i beni ceduti come se la cessione non fosse avvenuta. Ad esempio, vendi l’azienda a Tizio per non farla pignorare da Caio creditore: Caio fa revocatoria, la cessione diventa inefficace per Caio, e Caio può far eseguire sul complesso aziendale anche se ora è di Tizio. Questo richiede una causa civile, con prove di dolo, etc. In caso di fallimento, il curatore può revocare la cessione se avvenuta nell’anno prima a prezzo incongruo, o in 6 mesi se a prezzo giusto ma con intenzione preferenziale, etc. In più c’è il profilo penalistico: nullità per causa illecita. Se la cessione è solo fittizia (simulata) per coprire beni, potrebbe essere considerata nulla ex art. 1344-1418 c.c., ma di solito si percorre la via revocatoria. Ad ogni modo, se un giudice penale accerta che la cessione era strumentale a reato (es. bancarotta), può adottare misure (sequestro dei beni ceduti, confisca). Quindi, benché formalmente valida, la cessione può essere neutralizzata. Morale: se vendi, vendi a valori di mercato, alla luce del sole e possibilmente sistema i creditori con quel ricavato. Se compri, e fiuti che vendono sottocosto per scappare dai debiti, stai attento: potresti perderti i beni per revocatoria e magari venire coinvolto.
D11: Che differenza c’è tra comprare le quote di una società e comprare la sua azienda quanto ai debiti?
R: Se compri le quote societarie (es. azioni di una srl), stai di fatto acquisendo la società “dall’interno”: la società rimane la stessa, solo con un nuovo proprietario. Ciò significa che tutti i debiti della società restano dove sono (nella società stessa) e non cambiano soggetto obbligato. Semplicemente, cambiando i soci, tu ne diventi proprietario ma i debiti rimangono della società e i creditori possono sempre colpire il patrimonio sociale. Dunque una compravendita di partecipazioni non attiva articoli 2560 o 2112, perché l’azienda non è trasferita a terzi, è la stessa azienda dentro la stessa società. I lavoratori neanche se ne accorgono (datore stesso, solo i soci diversi). Il rischio per te, acquirente di quote, è indiretto: ereditare una società indebitata significa che se poi la società non paga, i creditori potranno farle causa o chiederne il fallimento, colpendo il patrimonio sociale (non il tuo personale salvo garanzie prestate). Se invece compri l’azienda (asset deal), stai lasciando i debiti in capo al venditore. Apparentemente ti separi dal venditore e prendi solo l’attivo, ma come visto alcuni debiti potranno seguirti per legge. In un share deal (comprare quote) prendi tutto implicitamente (debiti compresi, all’interno della società), in un asset deal (comprare azienda) prendi l’attivo ma alcuni debiti seguono per previsione di legge. Spesso chi vuole evitare di prendere passività sconosciute preferisce un asset deal perché ha la protezione di art. 2560 (nessuna responsabilità per debiti non contabilizzati), mentre comprando le quote di una società, se c’erano debiti anche occulti, te li ritrovi tutti nella società. In caso di incognite, si preferisce asset deal con certificate liberatorie, ecc. Viceversa, un share deal è più pulito sui contratti (non serve trasferire contratti, non c’è 2112 perché i datori non cambiano) ma erediti anche eventuali gatte da pelare (cause legali pendenti, passività potenziali). Sono valutazioni di due diligence.
D12: Sto acquisendo un ramo d’azienda da una società in amministrazione straordinaria: devo preoccuparmi dei debiti?
R: In operazioni in contesti concorsuali (fallimento, amministrazione straordinaria, concordato, ecc.), generalmente no, non devi preoccuparti, perché la legge esclude la tua responsabilità per debiti pregressi (come visto in §6). Se la procedura è autorizzata dal tribunale e prevede la cessione dell’azienda o di un ramo, normalmente gli unici debiti che potresti assumere sono quelli che volontariamente concordi di prendere (ad esempio per continuità di forniture, a volte l’acquirente si accolla contratti e pagamenti relativi a ultime forniture per tenere buoni i fornitori strategici). Ma per legge, specialmente nel nuovo Codice della Crisi, se compri da un fallimento o da un concordato, acquisti l’azienda libera da debiti. Anche i lavoratori: di solito vige l’art. 2112 lo stesso, ma in alcuni casi di procedure si può derogare (nel senso che non tutti i lavoratori passano o che alcuni crediti vengono soddisfatti dal fondo di garanzia). Comunque, acquistare da procedure concorsuali è considerato più sicuro proprio perché ti danno un “pacchetto” ripulito (il rovescio è che i creditori vecchi spesso patiscono tagli nelle procedure, ma tu come acquirente non ne rispondi). Dunque nel tuo caso specifico l’amministrazione straordinaria (che è una procedura concorsuale per grandi imprese) cederà il ramo probabilmente con decreto ministeriale che esonera l’acquirente da passività (è previsto nel D.Lgs. 270/99, legge Prodi-bis). Fai comunque verificare al notaio/legale che nell’atto di cessione sia citata l’esenzione di responsabilità ex art. 63 del D.Lgs. 270/99, tanto per stare sicuro.
13. Casi pratici e simulazioni
In questa sezione analizziamo alcune situazioni concrete (ispirate dalla prassi) per applicare le regole esposte e comprenderne gli effetti giuridici.
Caso 1: Vendita d’azienda con debito fiscale non dichiarato
Scenario: L’impresa individuale di Mario cede la propria azienda (un negozio) a Luisa in data 1 giugno 2024. Mario, però, ha un debito IVA relativo all’anno 2022 di cui non ha informato Luisa; l’importo è di €30.000 e Mario non lo ha né contabilizzato regolarmente (la contabilità è molto lacunosa) né risultava da cartelle esattoriali al momento della cessione (l’accertamento verrà notificato solo a settembre 2024). Luisa non ha richiesto il certificato fiscale prima dell’acquisto. Dopo la cessione, Mario sparisce senza pagare il debito IVA. L’Agenzia delle Entrate, a dicembre 2024, notifica a Luisa (cessionaria) un avviso di recupero di €30.000.
Analisi: In questo caso, il debito IVA rientra fra quelli di natura tributaria riferiti a violazioni (omessi versamenti) avvenute nei due anni precedenti la cessione (2022 rientra nel triennio 2022-2024). Quindi, in linea di principio, Luisa sarebbe responsabile in solido ai sensi dell’art. 14 D.Lgs. 472/97, entro i limiti del valore dell’azienda. Supponiamo che Luisa abbia pagato l’azienda €50.000; il valore trasferito è €50.000, quindi il limite di escussione è €50.000, sufficiente a coprire i €30.000. L’Agenzia può quindi legittimamente chiedere a Luisa i €30.000. Luisa potrebbe eccepire di non essere stata a conoscenza, ma ciò è irrilevante perché la norma fiscale non richiede la conoscenza (a differenza dell’art. 2560, qui non c’è il filtro “risultano dai libri contabili”, basta che siano debiti fiscali del triennio). Tuttavia, un appiglio c’è: quell’omesso versamento non era ancora stato contestato né risultava da atti dell’amministrazione al momento della cessione. L’art. 14 comma 1 dice che per debiti di periodi precedenti non risultanti da scritture, la responsabilità scatta se vi sia stata precedente contestazione nel triennio. In questo caso al 1.6.2024 non c’era stata. Ciò potrebbe esonerare Luisa, ma attenzione: l’omesso versamento IVA è di per sé evidente dal bilancio (creditore erariale). Se Mario teneva i libri male, Luisa poteva non vederlo. L’Agenzia può comunque sostenere che rientra nel “violazioni commesse nell’anno della cessione e due precedenti” (2022 è due anni prima del 2024). Probabilmente, in mancanza di certificato liberatorio (che Luisa non ha), Luisa dovrà pagare. Avrebbe potuto evitarlo: se avesse richiesto il certificato fiscale ex art. 14 co.3 prima dell’acquisto, l’Agenzia avrebbe rilevato il debito (c’era dichiarazione IVA non versata) e glielo avrebbe comunicato; Luisa avrebbe potuto scontarlo dal prezzo o pretendere pagamento da Mario. Non avendolo fatto, ne risponde. Dal lato art. 2560 c.c., questo debito non era neanche iscritto nei libri (Mario aveva contabilità irregolare), quindi se fosse stato un debito civile Luisa se ne sarebbe liberata. Ma per i tributi la contabilità non conta, vige la norma speciale. Dunque: Luisa dovrà pagare €30.000, ma potrà agire contro Mario (sempre che lo trovi/che abbia beni) per farsi rifondere, sulla base del fatto che nel contratto Mario dichiarava l’azienda “libera da pesi”. Se Mario ha frodato Luisa tacendo il debito, potrebbe configurarsi anche un dolo contrattuale, ma realisticamente se Mario è insolvibile, a poco serve. L’Agenzia comunque ottiene il suo da Luisa.
Caso 2: Cessione di ramo d’azienda e debiti contestati verso fornitori
Scenario: La S.p.A. Alfa opera nei settori X e Y. Nel 2025 vende il ramo d’azienda relativo al settore X alla S.r.l. Beta. Tra i debiti di Alfa ce n’è uno di €200.000 verso un fornitore di materie prime utilizzate nel settore X, oggetto però di contestazione (Alfa sostiene che la fornitura era difettosa e non intende pagare). Questo debito è regolarmente registrato in contabilità, ma accantonato a fondo rischi perché Alfa ritiene di dover pagare meno. Nel contratto di cessione, Beta esclude espressamente di accollarsi questo debito specifico, che rimane formalmente ad Alfa. Un anno dopo, Alfa fallisce e il fornitore, che nel frattempo ha vinto la causa sull’esistenza del credito, si rivolge a Beta chiedendo pagamento.
Analisi: Trattandosi di debito inerente al ramo X ceduto (forniture per quel ramo) e risultante dai libri obbligatori di Alfa, l’art. 2560 c.c. comma 2 si applica: Beta cessionaria del ramo risponde solidalmente. Il fatto che fosse “contestato” e sub iudice non lo rende un debito “potenziale”? Forse Beta potrebbe sostenere che al momento della cessione era un debito eventuale, non certo. Tuttavia, la giurisprudenza considera debiti puri anche quelli derivanti da inadempimenti già avvenuti ancorché litigiosi. Quindi è probabile che sia coperto da 2560 c.c. La clausola contrattuale di esclusione di quell’obbligo non ha effetto verso il fornitore. Questi, risoltasi la causa a suo favore, può pretendere l’intero da Beta (che a sua volta è più solvibile di Alfa fallita). Beta dovrà pagare, potrà insinuarsi al passivo di Alfa fallita per provare a recuperare qualcosa (essendo condebitore solidale che ha pagato, surroga nei diritti del creditore, seppur contrattualmente avevano pattuito diversamente, Beta può provare ad avere ammissione al passivo). Beta potrebbe anche eccepire che mancando l’alterità soggettiva (forse Beta e Alfa avevano socio di maggioranza comune? Non detto, se fosse il caso, Beta potrebbe tentare la carta che 2560 non si applica per mancanza di alterità, come nel caso di cessione infragruppo con stessi amministratori, ma non è indicato qui). Se Alfa e Beta erano indipendenti, nessuna scappatoia: Beta paga. Avrà un danno perché pensava di averlo escluso. L’insegnamento: se c’è un contenzioso con un fornitore, il cessionario di ramo farebbe bene a: o farsi manlevare con una garanzia dal cedente (ma qui Alfa è fallita, garanzia inutile), oppure depositare in escrow qualcosa. Beta non l’ha fatto ed è rimasta esposta. Dal lato del fornitore, notiamo che il fallimento di Alfa di per sé gli avrebbe dato un dividendo forse basso; grazie a 2560 c.c. lui può ottenere soddisfazione piena da Beta. La Cassazione in un caso simile (Cass. 21561/2020) ha confermato che anche se Beta fosse stata a conoscenza del debito contestato, doveva pagare comunque, salvo agire in revocatoria se la cessione fu in frode, ma qui Beta era terzo in buona fede e la cessione era legittima.
Caso 3: Scissione parziale elusiva e debiti fiscali
Scenario: La società Gamma Srl, pesantemente indebitata con il Fisco (€500.000 tra IVA e IRPEF trattenuta dipendenti), nel 2023 attua una scissione: costituisce una newco Delta Srl a cui trasferisce tutto il ramo operativo (macchinari, dipendenti, contratti commerciali), lasciando in Gamma solo i debiti tributari e pochi spiccioli. I soci di Gamma diventano soci di Delta (stessa proporzione). Gamma poi non paga il Fisco e di fatto è un guscio vuoto. L’Agenzia Entrate avvia azioni di recupero nel 2024. Delta obietta di essere estranea ai debiti, avendo acquisito solo attivi e zero passivi.
Analisi: Qui ci troviamo in piena applicazione di art. 173, co.13 TUIR: la scissione parziale non libera affatto la beneficiaria Delta dai debiti fiscali di Gamma. L’Agenzia Entrate può pretendere l’intero €500.000 da Delta, illimitatamente e direttamente, indipendentemente dal fatto che Delta avesse ricevuto attivi per (poniamo) €400.000. Delta quindi si illude se pensa di cavarsela: la normativa fiscale la considera responsabile solidale senza limiti. Delta potrebbe contestare la legittimità, ma la Corte Costituzionale ha già detto che va bene così. Quindi l’Agenzia iscriverà a ruolo Delta e potrà pignorarle beni/conti. Delta potrà casomai rifarsi su Gamma (che però è vuota). Dal punto di vista civilistico, i creditori privati di Gamma (se ce ne sono) avrebbero potuto chiedere a Delta solo pro-quota (limite valore trasferito). Ma il Fisco no. Inoltre, la scissione appare fatta in frode: un curatore fallimentare (se Gamma fallisse) la attaccherebbe per inefficacia ai sensi art. 2506-bis c.c. e revocatoria fallimentare. Anche penalmente, i rappresentanti rischiano imputazioni (sottrazione fraudolenta ex art. 11 D.Lgs. 74/2000, come spostamento di patrimonio per non pagare imposte, e bancarotta fraudolenta se Gamma fallisce). In conclusione, Delta Srl dovrà pagare il Fisco o trovare un accordo transattivo. Questo caso evidenzia perché la legge fiscale ha quella norma: impedire questi spacchettamenti fittizi.
Caso 4: Affitto d’azienda e stipendi arretrati
Scenario: L’azienda Omega (150 dipendenti) versa in temporanea crisi di liquidità e non paga alcune mensilità nel 2024. Per evitare il tracollo, a gennaio 2025 Omega affitta l’intera azienda alla società Theta, controllata da un investitore che intende traghettare l’azienda fuori dalla crisi. Al momento dell’affitto, i dipendenti di Omega passano in Theta ex art. 2112 c.c. Omega però non ha saldato le due mensilità di novembre-dicembre 2024. A febbraio 2025 i lavoratori, ora dipendenti di Theta, citano Theta per ottenere quei pagamenti arretrati.
Analisi: I lavoratori hanno ragione: cedente e cessionario (nel trasferimento in forma di affitto) sono solidalmente responsabili per i crediti che i lavoratori avevano al tempo del trasferimento. Le retribuzioni di nov-dic 2024 erano crediti certi maturati “al tempo del trasferimento” (gennaio 2025). Dunque Theta, pur non essendo il datore in quei mesi, è obbligata in solido a pagarle. I lavoratori possono agire contro entrambi, ma Omega probabilmente non ha soldi (da qui la crisi). Theta essendo in bonis deve pagarle per evitare decreti ingiuntivi e tensioni. È presumibile che nel contratto di affitto Omega avesse dichiarato gli arretrati e magari Theta avesse trattenuto dal canone un importo per pagarli. Se così non fosse, Theta comunque deve pagarli per legge e poi può rivalersi su Omega (ma Omega è insolvente, quindi Theta ci rimette). Questo esempio mostra perché spesso chi subentra pretenda che prima dell’affitto il locatore paghi almeno gli stipendi arretrati, o decurta l’ammontare dei primi canoni per pagarli lui. In mancanza, Theta si trova a dover sborsare mensilità extra non considerate, con i lavoratori nel giusto. Da notare: Theta non risponde invece, ad esempio, di eventuali debiti bancari o verso fornitori di Omega: quelli restano a Omega. Ma per i dipendenti la tutela è massima. Anche contributi INPS relativi a quei stipendi arretrati? Essendo contributi, l’ente è terzo, quindi formalmente Inps potrebbe inseguire Omega o Theta? I contributi di periodi pre-affitto sono a carico di Omega, però se i lavoratori fanno decreto ingiuntivo anche per il netto, Theta paga il netto a loro e Omega resta debitrice dei contributi corrispondenti verso INPS. Tuttavia, spesso succede che Theta paga anche i contributi per poter ottenere DURC regolare, magari compensandoli col canone. Legalmente non obbligata ex 2112 (INPS no lavoratore), ma di fatto per regolarizzare sì.
Caso 5: Fusione societaria e causa risarcitoria imprevista
Scenario: La società Sigma SpA incorpora nel 2025 la società Pi SpA. Dopo la fusione, Sigma viene citata in giudizio perché nel 2024 Pi aveva fornito un prodotto difettoso che ha causato danni ingenti a un cliente, il quale chiede €1 milione di risarcimento. Sigma non sapeva nulla di questa vicenda durante la due diligence (Pi non aveva segnalato la lettera di reclamo). Ora Sigma si trova convenuta e rischia di pagare se perde.
Analisi: In una fusione, Sigma “succede in tutti i rapporti giuridici” di Pi, inclusa la posizione passiva in questa controversia. Quindi Sigma è legittimamente chiamata in giudizio al posto di Pi e ne sopporta il rischio. Non può dire “io non c’entro, fusione non era una cessione con limiti, ergo ti prendi tutto, noto o ignoto”. Se Sigma perderà la causa, dovrà pagare €1 milione. Potrà eventualmente rivalersi sugli ex soci di Pi se nel contratto di fusione c’erano garanzie su assenza di contenziosi, imputando una violazione delle dichiarazioni: di solito negli accordi di fusione c’è clausola di conguaglio, ma una volta incorporata Pi, l’unico debitore è Sigma. Magari Sigma potrà far causa agli amministratori ex Pi per aver taciuto la causa (responsabilità extracontrattuale), ma intanto deve pagare il terzo danneggiato. Questo scenario dimostra che nella fusione l’acquirente non ha scudo: prende tutto, e infatti la due diligence dev’essere accurata. A differenza del caso Beta-Alfa (cessione ramo con contenzioso), dove Beta poteva sperare di cavarsela se non nei libri (ma poi non se l’è cavata), qui Sigma non ha neppure quell’argomento perché l’obbligo non dipende dai libri, è successione universale. In Cass. 21561/2020 citata, un passaggio parlava della ratio di 2560 di evitare che la vendita azienda sia alea per acquirente: ecco, nella fusione quell’alea c’è e come, perciò le valutazioni vanno fatte bene e magari ricorrendo ad assicurazioni R&W (Representations & Warranties insurance).
Caso 6: Cessione d’azienda in concordato preventivo
Scenario: La società Rho Srl in concordato preventivo omologato vende l’intera azienda a Tau Spa nel 2025 come da piano approvato. Rho aveva debiti per €2 milioni (bancari, fornitori, fisco, ecc.). Tau paga €1 milione che va nel concordato a parziale soddisfazione creditori. Dopo la cessione, un fornitore di Rho tenta comunque di chiedere a Tau il saldo fattura pregressa di €50.000, asserendo che risulta dai libri e quindi Tau sarebbe solidale.
Analisi: Tau non deve pagare nulla al fornitore. La cessione è avvenuta nel contesto di un concordato, quindi per precisa previsione di legge l’art. 2560 c.c. non si applica. I creditori di Rho possono soddisfarsi solo nell’ambito del concordato (dove magari prendono il 50%); non possono bypassare il concordato inseguendo Tau. Allo stesso modo, l’Erario non potrà pretendere da Tau le imposte pregresse (art. 14 co.5-bis D.Lgs.472/97 lo esclude). Questo rende Tau tranquilla: ha pagato il suo prezzo e non avrà altre pretese. Naturalmente, affinché sia blindata, la cessione deve essere avvenuta con le forme corrette: autorizzazione del Tribunale, menzione nel piano, ecc. Dalla prospettiva del fornitore, se non soddisfatto potrà solo lamentarsi nel concordato (che però essendo omologato è immodificabile). Non potrà neanche revocare la cessione (le cessioni in concordato sono protette da esenzioni di revocatoria). Questo caso mostra che acquisire da procedure concorsuali è vantaggioso per il compratore (nessun debito pregresso), mentre i creditori subiscono falcidie controllate ma non possono farvi nulla.
14. Conclusioni
Il trasferimento di un’azienda porta con sé una complessa interazione di norme civilistiche e speciali che disciplinano il destino dei debiti pregressi. La regola generale dell’art. 2560 c.c. offre al cessionario un’importante salvaguardia rispetto ai debiti non evidenziati contabilmente, ma non lo immunizza completamente dalle obbligazioni del cedente. Abbiamo visto come alcune categorie di debiti “seguono” comunque l’azienda per inderogabile dettato legislativo: in primis, i crediti dei lavoratori (a tutela del lavoro), e inoltre i debiti fiscali entro certi limiti (a tutela dell’Erario), nonché – in casi di abusi – persino debiti non registrati. Le operazioni societarie straordinarie come fusioni e scissioni implicano addirittura una continuità universale o plurima di rapporti debitori, che possono talvolta sorprendere chi non sia ben assistito.
Per imprenditori e professionisti legali emergono alcune best practice:
- Due Diligence e Trasparenza: chi acquista un’azienda o un ramo deve svolgere approfondite verifiche su tutti i debiti e potenziali passività (contratti in corso, contenziosi, posizioni verso Erario e enti). Documenti come il certificato liberatorio fiscale e il DURC devono diventare standard nelle trattative. Ogni debito individuato va considerato in sede di determinazione del prezzo o di pattuizioni ad hoc.
- Clausole contrattuali di garanzia: inserire nel contratto di cessione dettagliate dichiarazioni del cedente sull’assenza (o l’ammontare) di debiti per ogni categoria, con previsione di indennizzo in favore del cessionario in caso di passività non dichiarate. Anche se non opponibili ai creditori, offrono tutela risarcitoria tra le parti.
- Gestione dei dipendenti: assicurarsi che alla data di trasferimento non vi siano arretrati retributivi; se vi sono, l’acquirente dovrebbe trattenerne l’importo dal prezzo per pagarli, poiché ne sarà comunque responsabile solidale. Analogamente, prevedere il trattamento del TFR maturato (trasferimento dei fondi al nuovo datore o accordo con dipendenti).
- Coinvolgimento dei creditori chiave: nelle operazioni complesse, spesso è saggio comunicare proattivamente ai principali creditori l’operazione e negoziare con loro possibili consensi alla liberazione del venditore o dilazioni (es. chiedere alle banche di trasferire fidi e mutui all’acquirente liberando il cedente, magari con nuove garanzie).
- Procedure concorsuali come soluzione: se un’azienda è troppo indebitata, la vendita in sede concorsuale (fallimento, concordato) può essere preferibile: l’acquirente sarà esonerato dai debiti pregressi, pagando di fatto solo l’attivo, e i creditori si soddisfano nella procedura (evitando rischi di azioni successive contro l’acquirente e assicurando a quest’ultimo “pace legale”).
- Pianificazione societaria: in riorganizzazioni (fusioni, scissioni, conferimenti) valutare bene l’impatto sui debiti. Ad esempio, una fusione per incorporazione di una società indebitata porterà automaticamente debiti in capo all’incorporante; se ciò è sgradito, alternative possono essere l’acquisto di un ramo o di asset isolati (perimetro asset deal invece di fusione). Una scissione di separazione tra debiti e attivi non mette al riparo i patrimoni “puliti” a causa della responsabilità solidale (specialmente verso Fisco); meglio perseguire accordi con creditori o un concordato piuttosto che affidarsi a schemi elusivi che difficilmente reggono.
In definitiva, la materia dei debiti nel trasferimento d’azienda richiede un approccio integrato legale-finanziario. Avvocati e consulenti d’impresa devono conoscere sia i meccanismi giuridici (articoli di legge, pronunce giurisprudenziali chiave) sia gli strumenti pratici (certificati, clausole contrattuali, garanzie) per proteggere i propri clienti, siano essi cedenti o acquirenti, o terzi creditori coinvolti. L’aggiornamento costante è fondamentale: come si è visto, le normative evolvono (si pensi alle novità 2024 sul Codice della Crisi che agevolano cessioni “pulite” nelle ristrutturazioni) e la giurisprudenza affina gli orientamenti (ad es. sul requisito dell’alterità soggettiva nelle cessioni intra-gruppo).
Operare con consapevolezza di queste regole consente di evitare gravi sorprese: ad esempio, un imprenditore che compra un’azienda senza verificare i debiti previdenziali può trovarsi con ingiunzioni INPS inaspettate; viceversa, un venditore che cede a un prestanome credendo di liberarsi dei debiti rischia comunque l’azione dei creditori e forse pure una condanna penale.
In conclusione, quali debiti si trasferiscono con l’azienda?: in linea generale, tutti quelli inerenti all’azienda di cui il nuovo titolare aveva o avrebbe potuto avere conoscenza dagli atti contabili, nonché quelli verso lavoratori e Fisco per espressa disposizione di legge, salvo eccezioni protettive in contesti di crisi formalizzata. La materia è ricca di sfumature e di condizioni, ma il principio ispiratore è la tutela dell’affidamento dei creditori e dei lavoratori, bilanciata con l’esigenza di certezza per gli acquirenti. Trovare questo equilibrio non è semplice: spetta all’operatore giuridico interpretare e applicare queste norme al caso concreto, predisponendo all’occorrenza gli strumenti contrattuali e processuali per salvaguardare i diritti di tutte le parti in gioco.
Riferimenti Bibliografici e Normativi
- Codice Civile:
– Art. 2555 c.c. – Nozione di azienda.
– Art. 2558 c.c. – Successione nei contratti aziendali non completamente eseguiti.
– Art. 2559 c.c. – Cessione dei crediti relativi all’azienda (efficacia verso terzi con iscrizione registro imprese).
– Art. 2560 c.c. – Debiti relativi all’azienda ceduta (comma 1: cedente non liberato salvo consenso creditori; comma 2: acquirente d’azienda commerciale risponde dei debiti risultanti dai libri contabili obbligatori).
– Art. 2562 c.c. – Affitto di azienda (richiama norme sull’usufrutto d’azienda).
– Art. 2112 c.c. – Mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d’azienda (continuità rapporti e solidarietà cedente-cessionario per crediti dei lavoratori).
– Artt. 2501-2504-quater c.c. – Disciplina della fusione di società (effetti: successione universale, estinzione società incorporate).
– Artt. 2506-2506-quater c.c. – Disciplina della scissione di società (effetti: assegnazione attività/passività e responsabilità solidale beneficiarie: limite valore patrimonio netto attribuito).
– Art. 2901 c.c. – Azione revocatoria ordinaria (atti in frode ai creditori). - Legislazione Tributaria:
– D.P.R. 29/09/1973 n. 602, art. 14 (ora art. 15 D.Lgs. 472/97) – Responsabilità solidale dei soci in scioglimento; art. 36-bis D.P.R. 602/73 – (eventuali norme su trasferimento aziende e riscossione).
– D.P.R. 22/12/1986 n. 917 (TUIR), Art. 173 co.12-13 – Effetti fiscali della scissione: co.13 responsabilità solidale illimitata per imposte antecedenti la scissione.
– D.Lgs. 18/12/1997 n. 472, Art. 14 – Cessione di azienda e obbligazioni tributarie:
comma 1: cessionario d’azienda responsabile in solido col cedente, salvo beneficio escussione, entro limite valore azienda, per imposte e sanzioni riferite a violazioni nell’anno cessione e due precedenti (e quelle contestate in detto periodo).
comma 3: diritto del cessionario ad ottenere certificato attestante l’assenza di contestazioni/pendenze: tale certificato fiscale liberatorio esonera da responsabilità.
comma 4: responsabilità illimitata del cessionario per debiti fiscali se la cessione è compiuta in frode ai crediti tributari (anche se attuata frazionando beni).
comma 5: presunzione di frode se cessione entro 6 mesi da constatazione di violazione tributaria penalmente rilevante.
comma 5-bis: (introdotto da D.Lgs. 87/2024) esclusione della responsabilità solidale del cessionario per debiti tributari del cedente se l’azienda è trasferita nell’ambito di composizione negoziata o procedure concorsuali/regolazione crisi ex D.Lgs. 14/2019. Estensione dell’esclusione anche a cessione da parte di società controllata da impresa in crisi, se autorizzata e funzionale al risanamento.
– D.Lgs. 10/03/2000 n. 74, Art. 11 – Reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte: punisce atti fraudolenti (es. alienazione simulata di beni) volti a evitare il pagamento di imposte ed accessori. Cessione d’azienda per frodare il Fisco rientra in tale fattispecie (Cass. Pen. 45914/2021).
– Legge 30/12/2004 n. 311, art. 1 co. 423 – (Omesso versamento contributi previdenziali oltre soglia €10.000 annui torna reato contravvenzionale ex art. 2 D.L. 463/1983 conv. L. 638/83). - Normativa del Lavoro e Previdenza:
– R.D. 16/03/1942 n. 267, Art. 2112 c.c. come sopra, recepito dalla Dir. 2001/23/CE.
– D.Lgs. 19/12/2007 n. 223, (DURC obbligatorio in appalti pubblici, indirettamente rilevante per vendite, ma non normative dirette su cessioni).
– Cass. Civ. Sez. Lav. 24/02/2016 n. 3646: la solidarietà ex art. 2112 c.c. è limitata ai crediti di lavoro e non si estende ai crediti degli enti previdenziali, per i quali vale art. 2560 c.c..
– INPS Circolare n. 126/2017 (sul DURC e cessione d’azienda in regime agevolato, eventuale). - Giurisprudenza Civile (Corte di Cassazione):
– Cass. Civ. Sez. III, 21/12/2012 n. 23828: è richiesto che i dati nei libri contabili siano completi e specifici (indicazione creditore) perché operi la responsabilità del cessionario; in caso di scritture confuse/incomplete, il cessionario non risponde.
– Cass. Civ. Sez. I, 23/06/2016 n. 12984: in assenza di libri contabili (es. impresa in contabilità semplificata) non può applicarsi art. 2560 co.2; la responsabilità del cessionario è esclusa.
– Cass. Civ. Sez. I, 26/09/2017 n. 22418: onere della prova a carico del creditore di dimostrare che il debito risultava dai libri; difficoltà di accesso non cambia la regola.
– Cass. Civ. Sez. III, 26/09/2019 n. 24101: la conoscenza effettiva del cessionario non vale in assenza di iscrizione contabile; ribadita la natura non surrogabile del requisito.
– Cass. Civ. Sez. III, 10/12/2019 n. 32134: orientamento pro-creditori – la responsabilità solidale del cessionario prevale se la norma (art. 2560) verrebbe altrimenti usata in modo fraudolento; la finalità è impedire che l’acquirente possa sottrarsi a debiti che conosceva.
– Cass. Civ. Sez. III, 07/10/2020 n. 21561: conferma orientamento tradizionale – i creditori, se debito non iscritto, non possono agire sul cessionario nemmeno se questi ne era al corrente, salvo rimedi come revocatoria; evidenzia rischi di abusi ma rimette a rimedi extra art. 2560.
– Cass. Civ. Sez. I, 10/02/2023 n. 4248: chiarisce distinzione tra debiti puri ex art. 2560 e obblighi contrattuali in essere ex art. 2558; un debito da clausola penale per inadempimento pre-cessione è debito puro soggetto ad art. 2560.
– Cass. Civ. Sez. V, 09/01/2024 n. 739: in scissione parziale, per i debiti fiscali ante-scissione la responsabilità di tutte le società partecipanti è solidale e illimitata, divergendo dal regime civile che limita al valore assegnato; ciò è legittimo. Principio di diritto confermato citando Corte Cost. 90/2018.
– Cass. Civ. Sez. I, 26/02/2024 n. 5088: (Conferimento impresa individuale in società unipersonale) – afferma che manca alterità soggettiva, il conferente non è liberato dai debiti (resta responsabilità illimitata persona fisica imprenditore), e l’art. 2560 co.2 sulla condizione dei libri non opera in assenza di alterità. - Giurisprudenza Penale:
– Cass. Pen. Sez. VI, 14/12/2021 n. 45914: confermata condanna ex art. 388 c.p. a titolare d’azienda che aveva ceduto la propria ditta a società neocostituita dopo decreto ingiuntivo e pignoramento, per sottrarsi all’esecuzione. Il reato di mancata esecuzione dolosa di provvedimento del giudice può configurarsi nella cessione d’azienda fraudolenta post-sentenza.
– Cass. Pen. varie (es. n. 12242/2018): in tema di bancarotta fraudolenta, la cessione di beni o rami azienda a prezzo incongruo a soggetti collegati prima del fallimento integra distrazione patrimoniale.
– Corte Costituzionale, sent. 90/2018: ha dichiarato non fondata la questione di legittimità dell’art. 173 co.13 TUIR che prevede responsabilità illimitata per debiti fiscali in caso di scissione parziale, rispetto al diverso trattamento di cui all’art. 2506-quater c.c., ritenendo la disparità giustificata da esigenze di tutela dell’erario e pareggio di bilancio.
Debiti Che Si Trasferiscono Con L’Azienda: Fatti Aiutare Da Studio Monardo
Hai acquistato o stai per acquistare un’azienda e ti preoccupa il rischio di ereditare vecchi debiti?
Hai ceduto la tua impresa ma temi che il nuovo acquirente possa rivalersi su di te per obbligazioni pregresse?
⚠️ La legge italiana prevede che il trasferimento d’azienda comporti anche il trasferimento di alcuni debiti, ma non tutti.
Il rischio è alto per chi compra senza una verifica preventiva: potresti ritrovarti a pagare debiti fiscali, previdenziali o verso i dipendenti che non hai mai contratto.
Cosa si trasferisce e cosa no?
🔍 Si trasferiscono i debiti “aziendali” (art. 2560 c.c.), cioè quelli risultanti dalle scritture contabili al momento del trasferimento.
❌ Non si trasferiscono i debiti personali del cedente, né quelli non legati all’esercizio dell’impresa.
⚠️ In ambito fiscale, tuttavia, l’Agenzia delle Entrate può agire anche nei confronti del cessionario se dimostra che egli era a conoscenza di irregolarità tributarie gravi.
Cosa può fare per te l’Avvocato Giuseppe Monardo
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Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo
🔹 Avvocato esperto in diritto commerciale, fiscale e procedure di trasferimento aziendale
🔹 Gestore della crisi – Ministero della Giustizia
🔹 Esperto in contenzioso tributario e responsabilità patrimoniali
🔹 Coordinatore nazionale in materia di crisi e ristrutturazione del debito d’impresa
Perché agire prima del passaggio
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📉 Se firmi senza controlli, rischi accertamenti retroattivi, sanzioni e pignoramenti
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Conclusione
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