Ti hanno pignorato la casa o un altro bene e temi che la vendita all’asta non basti a saldare tutto il debito? Ti chiedi cosa succede se il ricavato è inferiore a quanto devi e se dovrai continuare a pagare anche dopo aver perso il tuo immobile?
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in esecuzioni immobiliari, diritto bancario e cancellazione dei debiti – è pensata per spiegarti cosa accade dopo un’asta giudiziaria, quali sono i tuoi diritti e come puoi evitare di restare indebitato anche dopo la vendita.
Scopri cos’è il “residuo debito” post-asta, quando il creditore può continuare il recupero forzato, in quali casi puoi chiedere la chiusura della procedura esecutiva, e quali strumenti legali esistono per ottenere l’esdebitazione totale o parziale del debito residuo.
Alla fine della guida troverai tutti i contatti per richiedere una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo, analizzare la tua situazione debitoria dopo la vendita all’asta e costruire una strategia concreta per uscire definitivamente dal debito, bloccare nuovi pignoramenti e ripartire senza più minacce fiscali o bancarie.
Introduzione
Quando un bene di un debitore viene espropriato e venduto all’asta nell’ambito di una procedura esecutiva, l’obiettivo è soddisfare i creditori con il ricavato. Ma cosa accade se il prezzo ottenuto dall’asta non è sufficiente a coprire integralmente il debito? Il debito residuo – ossia la parte di credito che rimane insoddisfatta dopo la distribuzione della somma ricavata – resta a carico del debitore esecutato. In altre parole, la vendita forzata del bene non estingue automaticamente tutti i debiti: il debitore, pur avendo perso la proprietà del bene pignorato, può ritrovarsi ancora obbligato verso i creditori per la differenza non pagata.
Questo scenario pone rilevanti questioni di tutela del debitore privato, specialmente per chi – come imprenditori individuali o consumatori – rischia di rimanere esposto a procedure esecutive per molti anni dopo l’asta. In questa guida approfondiremo, con riferimenti normativi italiani aggiornati a maggio 2025, dottrina e giurisprudenza, tutti i principali ambiti dell’esecuzione forzata (esecuzione immobiliare, mobiliare, presso terzi, procedure concorsuali fallimentari e di sovraindebitamento, riscossione tributaria, ecc.), per capire cosa succede se la vendita all’asta non soddisfa pienamente i creditori. Analizzeremo come viene trattato il debito residuo in ciascun contesto, quali ulteriori azioni i creditori possono intraprendere, e quali strumenti di legge esistono per proteggere il debitore (come ad esempio l’esdebitazione nelle procedure concorsuali). Dedicheremo inoltre una particolare attenzione agli aspetti fiscali e tributari connessi alla mancata copertura del debito: dal trattamento fiscale delle perdite per i creditori alle conseguenze per il debitore (obblighi dichiarativi, impatto sul calcolo dell’ISEE, ecc.).
Il taglio della trattazione, pur utilizzando il linguaggio tecnico-giuridico appropriato, sarà divulgativo e pratico, rivolto tanto ad avvocati che assistono debitori o creditori, quanto a imprenditori e privati interessati a comprendere i propri diritti e obblighi. Troverete esempi concreti, simulazioni numeriche, tabelle riepilogative per una consultazione rapida e una sezione di domande e risposte sui dubbi più comuni. Al termine, un elenco completo delle fonti utilizzate (normativa, sentenze, articoli autorevoli) vi permetterà di approfondire ulteriormente ogni aspetto.
Il Principio Generale: responsabilità illimitata del debitore e debito residuo
Prima di esaminare i singoli ambiti delle esecuzioni forzate, è importante richiamare il principio cardine del diritto civile italiano in materia di adempimento delle obbligazioni: la responsabilità patrimoniale universale del debitore. L’art. 2740 del Codice Civile stabilisce che il debitore risponde delle sue obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri. Ciò implica che se un credito non viene interamente soddisfatto attraverso l’espropriazione e la vendita di uno specifico bene, il creditore potrà rivalersi su altri beni del debitore per recuperare la parte rimanente del suo credito. In termini semplici: il debitore continua ad essere obbligato per la quota di debito non pagata dal ricavato dell’asta, e il creditore insoddisfatto mantiene il diritto di cercare soddisfazione sul restante patrimonio del debitore.
Questo principio generale comporta che la vendita forzata di un bene non “libera” automaticamente il debitore da tutti i debiti correlati. Salvo accordi particolari o interventi estintivi previsti dalla legge, il debito residuo resta dovuto. Ad esempio, se una casa ipotecata viene venduta coattivamente e il ricavato, dedotte le spese, paga solo in parte il mutuo, l’ex proprietario rimane debitore della banca per la parte di mutuo non coperta dalla vendita. Questo concetto è ben evidenziato dalla Cassazione, la quale ha recentemente ribadito che, anche quando il contratto di mutuo viene risolto per inadempimento e l’immobile è espropriato, il debitore rimane obbligato a rimborsare il residuo; inoltre, il contratto di mutuo (se in forma di atto pubblico) conserva efficacia di titolo esecutivo per procedere coattivamente sul debito residuo. In altri termini, la risoluzione del contratto e la vendita all’asta dell’immobile non eliminano il diritto della banca di perseguire il debitore per la differenza: quest’ultima potrà essere riscossa mediante ulteriori pignoramenti, utilizzando lo stesso titolo esecutivo originario.
Va anche chiarito che il comma 4 dell’art. 510 c.p.c. prevede espressamente cosa fare dell’eventuale eccedenza di ricavato: se dalla vendita forzata risultasse una somma superiore al fabbisogno per soddisfare tutti i creditori, il surplus viene restituito al debitore esecutato. Questo naturalmente accade solo quando il bene è venduto a un prezzo tale da coprire interamente debiti, interessi e spese, producendo un avanzo – ipotesi rara nelle esecuzioni, ma possibile ad esempio se il bene ha valore superiore ai debiti gravanti. Nella situazione opposta – assai più comune – in cui il ricavato non basta a pagare tutti, il debitore non riceve nulla (perché non c’è eccedenza) e i creditori restano insoddisfatti per la parte eccedente. In quest’ultimo caso, confermato dalla stessa norma per implicito, al debitore oltre al danno della perdita del bene rimane anche la responsabilità per il residuo non pagato. I creditori potranno quindi promuovere nuovi atti esecutivi per tentare di recuperare la differenza.
Riassumendo: il debito residuo post-asta è a carico del debitore, in forza del principio generale di cui all’art. 2740 c.c., e può essere oggetto di ulteriori iniziative di recupero da parte dei creditori. Non esiste una norma di carattere generale nel nostro ordinamento che estingua il debito semplicemente perché un bene del debitore è stato espropriato (a differenza di quanto avviene in altri ordinamenti o in casi particolari previsti contrattualmente, come vedremo). Fanno eccezione solo specifiche previsioni di legge – ad esempio nell’ambito delle procedure concorsuali – o patti contrattuali speciali che vedremo più avanti (si pensi al cosiddetto patto marciano, introdotto nel 2016, che consente in certi finanziamenti di estinguere il debito con la sola presa in carico del bene da parte del creditore, senza residui). In mancanza di tali eccezioni, il debitore risponde dell’eventuale scoperto con tutto il restante patrimonio.
Nelle sezioni successive analizzeremo come questo principio si declina nelle varie tipologie di esecuzione forzata: esecuzioni immobiliari, mobiliari, presso terzi, esecuzioni a iniziativa dell’erario (riscossione esattoriale) e procedure concorsuali (fallimenti, concordati, sovraindebitamento). Vedremo inoltre quali sono i rimedi e le possibili vie d’uscita per il debitore gravato da debito residuo (dalla rateazione del debito residuo al saldo e stralcio, fino all’esdebitazione completa dei debiti residuali).
Esecuzione immobiliare: aste giudiziarie di beni immobili e debito residuo
L’espropriazione immobiliare è la procedura esecutiva forzata che ha ad oggetto beni immobili del debitore (case, terreni, fabbricati). È una delle forme di esecuzione più comuni e rilevanti, poiché spesso il bene immobile (ad esempio la casa di abitazione acquistata con mutuo) costituisce la principale garanzia per i creditori. Di seguito esamineremo cosa accade quando, dopo la vendita all’asta di un immobile pignorato, il ricavato non è sufficiente a soddisfare tutti i crediti azionati.
Svolgimento e distribuzione del ricavato. In un’esecuzione immobiliare, una volta venduto l’immobile all’asta, il delegato alla vendita o il giudice predispone un piano di distribuzione del prezzo ricavato, secondo le regole previste dal codice di procedura civile (artt. 596 e 510 c.p.c.). Dalla somma ricavata vengono dapprima detratte le spese di procedura (costi di custodia, compenso del delegato, compenso dell’esperto stimatore, eventuali imposte dovute per legge, spese di cancellazione delle ipoteche, ecc.). La somma netta rimanente (c.d. massa attiva disponibile) viene poi distribuita tra i creditori concorrenti secondo l’ordine delle cause di prelazione applicabili. I creditori privilegiati e ipotecari sono soddisfatti per primi, nei limiti del rispettivo grado e della capienza del ricavato; gli eventuali creditori chirografari (senza privilegio) ricevono solo quanto residua una volta pagati i creditori privilegiati, e proporzionalmente tra loro (se il ricavato non basta a saldarli interamente). Se c’è un unico creditore procedente, l’intera massa (detratte le spese) va a lui fino a concorrenza del suo credito, comprensivo di capitale, interessi e spese legali.
Come detto, se dopo aver soddisfatto tutti i creditori vi fosse ancora un surplus, esso deve essere restituito al debitore esecutato. Questa ipotesi di avanzo a favore del debitore è espressamente contemplata dall’art. 510, comma 4 c.p.c., ed è l’unico caso in cui il debitore ricava qualcosa dalla vendita forzata del proprio bene (in pratica, quando i suoi beni avevano un valore superiore ai debiti, situazione non frequente ma possibile). In mancanza di surplus, invece, il debitore non riceve nulla e anzi rimane esposto per la parte di debito non pagata. Infatti, se il prezzo ricavato dall’asta non copre per intero l’importo dovuto, si genera il debito residuo: la parte del debito che rimane insoddisfatta dopo la distribuzione. Il giudice dell’esecuzione, esaurita la distribuzione dell’importo disponibile, dichiarerà chiusa la procedura esecutiva immobiliare (poiché il bene pignorato è stato venduto e ripartito il ricavato); tuttavia, i creditori non integralmente soddisfatti conservano per legge il diritto di agire ancora nei confronti del debitore per recuperare la differenza. Come osservato in dottrina, il debitore perde il bene ma non viene liberato dal debito residuo, a meno che non intervengano altre cause estintive.
Vediamo più nel concreto cosa ciò significa per le parti coinvolte:
- Per il debitore: l’esecuzione immobiliare si conclude con la perdita della proprietà del bene (trasferito all’aggiudicatario) e con la cancellazione delle ipoteche gravanti su di esso. Tuttavia, il debitore rimane obbligato in via personale per la porzione di credito non soddisfatta. Tale debito residuo non si trasferisce in alcun modo sull’acquirente (l’aggiudicatario ottiene il bene libero dai pesi pregressi e non risponde dei debiti del precedente proprietario), ma resta a carico esclusivo dell’ex proprietario. Ad esempio, se Tizio aveva un mutuo residuo di €200.000 e la casa pignorata è stata venduta all’asta ricavando €150.000 netti per la banca, Tizio rimane debitore verso la banca per i €50.000 mancanti, oltre eventualmente agli interessi maturati su tale importo. Egli dovrà ancora “coprire” quel debito con il proprio patrimonio, secondo le azioni che il creditore riterrà di intraprendere. Inoltre, la presenza di un debito residuo può comportare altre conseguenze indirette per il debitore, ad esempio la segnalazione nelle centrali rischi finanziarie come cattivo pagatore (in genere, quando resta un’insolvenza significativa, il nominativo del debitore viene segnalato in CRIF o presso la Centrale Rischi di Bankitalia, con impatto negativo sulla sua affidabilità creditizia futura). Anche sul piano psicologico e familiare, la perdita della casa unita alla prospettiva di avere ancora un debito può rappresentare un serio aggravio.
- Per i creditori insoddisfatti: chi non ha ottenuto l’integrale pagamento del proprio credito dall’asta (la maggior parte dei creditori chirografari nelle esecuzioni, e talvolta anche il creditore ipotecario se l’immobile era fortemente depreciato) rimane titolare di un credito per la parte non pagata. A questo punto, il singolo creditore potrà valutare se intraprendere nuove azioni esecutive per recuperare il residuo. La legge non richiede un nuovo titolo esecutivo se il credito era già accertato in sede giudiziale o se era fondato su titolo stragiudiziale esecutivo (come un mutuo fondiario): il titolo esecutivo originario conserva la sua efficacia anche per il debito residuo. Ad esempio, nel caso del mutuo fondiario, il contratto notarile di mutuo (che è titolo esecutivo ex art. 474 c.p.c.) può essere utilizzato dalla banca per notificare un nuovo atto di precetto per la somma residua non pagata e procedere ad ulteriori pignoramenti (ad esempio stipendi, altri immobili, conti correnti, ecc.). Se invece il creditore procedente era munito di una sentenza o di un decreto ingiuntivo divenuto esecutivo, tali titoli rimangono validi e vi si può nuovamente dare esecuzione per la parte ancora dovuta. Insomma, la procedura esecutiva immobiliare conclusa non preclude l’avvio di un’altra procedura esecutiva contro lo stesso debitore per lo stesso credito residuo. In pratica, i creditori potrebbero notificare un nuovo precetto ed effettuare un pignoramento di ulteriori beni (se ce ne sono) fino a concorrenza del dovuto. L’unico vincolo è eventualmente dato dall’art. 2911 c.c., che prevede un limite per i creditori ipotecari: costoro, se vantano un’ipoteca su beni del debitore, non possono pignorare altri beni dello stesso debitore senza aver prima escusso quelli ipotecati. Tale norma intende evitare che il creditore ipotecario trascuri il bene dato in garanzia e aggredisca direttamente altri beni generici, a tutela degli altri creditori. Nel nostro caso, però, il bene ipotecato è già stato venduto; il creditore ipotecario ha escusso quel bene (ottenendo parziale pagamento) ed è quindi legittimato a rivolgersi ora anche ad altri beni. La Cassazione ha chiarito che il divieto di cui all’art. 2911 c.c. opera solo nei confronti dello stesso debitore e dei suoi beni, ma non impedisce al creditore di agire su beni di terzi garanti: ad esempio, se un parente del debitore aveva prestato garanzia ipotecaria o fideiussione, il creditore può pignorare i beni del garante per soddisfarsi sul residuo, non trovando applicazione il limite di cui all’art. 2911. Anzi, la Suprema Corte sottolinea che un fideiussore o terzo datore d’ipoteca finirebbe col rispondere con tutto il suo patrimonio del debito residuo non pagato dal debitore principale. Ciò evidenzia che anche i garanti (coobbligati personali o reali) restano esposti per l’insoluto dopo l’asta.
In sostanza, dopo l’asta immobiliare il creditore può “cambiare bersaglio” ma non rinuncia al credito residuo: venduto il bene, egli potrà colpire altri beni del debitore (stipendi, conti, altri immobili) o di eventuali garanti per recuperare quanto manca.
Esempio pratico 1: Caio ha un debito complessivo verso la banca di €100.000 (capitale residuo di mutuo, interessi e spese) garantito da ipoteca sulla sua abitazione. L’immobile viene espropriato e all’asta si ottengono €70.000 netti, interamente assegnati alla banca. Rimane un debito residuo di €30.000. A questo punto la banca, chiusa l’esecuzione immobiliare, notifica a Caio un atto di precetto per €30.000 oltre interessi e spese, e procede a pignorare il suo stipendio (non avendo Caio altri immobili). Segue un pignoramento presso il datore di lavoro di Caio: gli verrà trattenuto un quinto dello stipendio ogni mese finché il debito non sarà estinto (si veda oltre la sezione sull’esecuzione presso terzi). Se Caio nel frattempo cessasse di lavorare, la banca potrebbe pignorare il suo TFR maturato e, qualora restasse ancora qualcosa da pagare, attivarsi nuovamente in futuro quando Caio avrà un nuovo impiego o altri beni. Viceversa, se Caio avesse avuto anche un altro appartamento o liquidità sul conto, la banca avrebbe potuto pignorare direttamente anche tali beni per accelerare il recupero.
Debiti residui e prescrizione. Un debito residuo derivante da esecuzione non soddisfacente è pur sempre un’obbligazione civile e come tale è soggetto a prescrizione. In genere si applica la prescrizione ordinaria decennale (ad es. per il mutuo residuo), salvo che la natura del credito non comporti un termine diverso. Occorre però fare attenzione: il termine di prescrizione inizia a decorrere dal momento in cui il diritto del creditore può essere fatto valere – nel nostro caso, tipicamente dalla chiusura della procedura esecutiva (o dall’ultimo atto interruttivo successivo). Inoltre ogni atto di messa in mora o esecutivo compiuto dal creditore interrompe la prescrizione, facendo decorrere un nuovo termine decennale. Dunque, nella pratica difficilmente un debito residuo si estinguerà per prescrizione se il creditore è attivo nel recupero: basterà una lettera raccomandata di sollecito, la notifica di un precetto o un nuovo pignoramento per interrompere il decorso dei 10 anni. Solo se il creditore rinuncia tacitamente a qualunque azione e lascia passare 10 anni senza farsi vivo, il debitore potrà eccepire l’intervenuta prescrizione del debito residuo.
Esdebitazione e altre eccezioni: va evidenziato che, nell’ordinamento italiano, non è prevista alcuna liberazione automatica del debitore residuo nelle espropriazioni individuali. In alcuni paesi esistono norme anti-deficiency (ad esempio in certe giurisdizioni statunitensi, per i mutui immobiliari sulla prima casa, la legge impedisce alla banca di reclamare il residuo dopo il foreclosure), ma in Italia no: di regola il residuo rimane e può essere preteso integralmente. Fanno eccezione eventuali accordi transattivi tra creditore e debitore (come il saldo e stralcio, vedi infra) o il caso in cui il debitore acceda a una procedura concorsuale di esdebitazione (ad esempio la liquidazione del patrimonio ex L.3/2012 o la liquidazione giudiziale fallimentare, che permettono di cancellare i debiti insoddisfatti, tema che approfondiremo più avanti). A livello contrattuale, merita menzione il patto marciano, introdotto nel 2016 (D.Lgs. 72/2016, art. 2 comma 4, che ha inserito l’art. 48-bis nel TUB): si tratta di una clausola che può essere inserita nei contratti di finanziamento concessi a imprese garantiti da immobile, in base alla quale, in caso di inadempimento, la proprietà dell’immobile passa al creditore ma questi deve farlo stimare da un perito indipendente; se il valore stimato eccede il debito, il surplus va restituito al debitore, ma se invece il valore è inferiore al debito, la differenza si considera comunque estinta. Questo meccanismo – applicabile in ambito non consumatore e con formalità specifiche – di fatto elimina il debito residuo per la parte non coperta dal valore del bene ceduto. Tuttavia, fuori da tale ipotesi volontaria e circoscritta, la regola generale resta che il residuo va pagato. La Cassazione civile ha confermato nel 2024 che, risolto il mutuo e venduto il bene, il mutuatario rimane tenuto al pagamento del residuo e il mutuo (come contratto di finanziamento fondiario) costituisce titolo esecutivo per il recupero. In conclusione, nella tipica esecuzione immobiliare il debitore continua ad essere esposto verso i creditori insoddisfatti fino a che non paga integralmente il dovuto o non intervenga una causa estintiva del debito (pagamento, transazione, prescrizione o esdebitazione).
Esecuzione mobiliare: vendita di beni mobili e crediti insoddisfatti
Nell’esecuzione forzata mobiliare, il creditore procede a pignorare e vendere beni mobili di proprietà del debitore (ad esempio denaro contante, autoveicoli, arredi, merci, titoli, ecc.) per soddisfare il suo credito. Anche in questo caso può verificarsi che la vendita dei beni mobili pignorati non generi una somma sufficiente a estinguere il debito. Le dinamiche in parte ricalcano quelle viste per gli immobili, ma vi sono alcune peculiarità.
Procedura e risultati tipici. L’espropriazione mobiliare avviene generalmente tramite pignoramento mobiliare (artt. 513 ss. c.p.c.), eseguito dall’Ufficiale Giudiziario nei luoghi appartenenti al debitore (tipicamente la sua residenza/sede o altri luoghi dove si trovano i beni). I beni pignorati vengono in seguito venduti di norma tramite asta pubblica (ex art. 530 c.p.c. per i beni mobili, spesso delegata a istituti autorizzati o tramite portali telematici) oppure, in certi casi, mediante vendita a prezzo concordato se il giudice lo autorizza. Il ricavato della vendita mobiliare è di solito di entità modesta rispetto al valore nominale dei beni: i beni mobili usati infatti tendono a svalutarsi molto e le vendite all’asta spesso avvengono a prezzi ribassati. Non di rado accade che i beni messi all’asta non trovino acquirenti alle prime tornate e il giudice debba ridurre il prezzo base, oppure che alcuni beni rimangano invenduti perché di valore trascurabile (in questi casi il giudice può anche disporre la chiusura anticipata della procedura per infruttuosità, ai sensi dell’art. 532 c.p.c., se appare che dalle vendite non si ricaverebbe abbastanza neppure per le spese).
Quando i beni vengono venduti, il distribuzione del ricavato segue anch’essa l’art. 510 c.p.c.: pagamento delle spese, poi dei creditori secondo l’ordine delle eventuali cause di prelazione. Nelle esecuzioni mobiliari individuali spesso è presente un solo creditore procedente (poiché i terzi interessati intervengono più raramente rispetto alle esecuzioni immobiliari), per cui normalmente il giudice ordina di versare l’intero ricavato a quel creditore fino a concorrenza del suo credito. Se vi sono più creditori intervenuti, si applicano le regole di graduazione (ad esempio, un creditore pignorante con privilegio sui mobili – come l’Erario per alcuni tributi, o il venditore con patto di riserva di proprietà – sarà soddisfatto prima di creditori chirografari).
Debito residuo e ulteriori pignoramenti. Anche nell’espropriazione mobiliare, se la somma ricavata dalla vendita dei mobili non copre l’intero credito (caso frequente), il debito residuo rimane a carico del debitore. Il creditore potrà allora decidere di perseguire altri beni del debitore, se ve ne sono. Ad esempio, supponiamo che un creditore ottenga solo €3.000 dalla vendita all’asta dei mobili pignorati in casa del debitore, a fronte di un credito di €10.000; resteranno insoddisfatti €7.000. Il creditore può allora, terminata questa fase (o anche parallelamente, se autorizzato a procedere su più beni in simultanea), notificare un nuovo atto di pignoramento su altri beni del debitore (ad esempio un’automobile, o somme depositate su un conto corrente). Non è necessario un nuovo titolo esecutivo: il medesimo titolo originario (es. decreto ingiuntivo, sentenza, cambiale, etc.) giustifica l’esecuzione fino a completo soddisfo del credito. In pratica, il creditore può avviare successivi pignoramenti finché il suo credito non è integralmente pagato, analogamente a quanto visto per gli immobili. Del resto, l’art. 497 c.p.c. consente al creditore, entro i termini di efficacia del precetto, di effettuare pignoramenti successivi; e anche dopo, se il credito risulta in parte insoddisfatto, nulla vieta di notificare un nuovo precetto per la somma residua e procedere oltre.
Caso particolare – più pignoramenti contemporanei: in teoria un creditore può pignorare simultaneamente beni mobili diversi per massimizzare le chance di recupero (ad esempio più automezzi di proprietà del debitore, oppure beni mobili e immobili insieme, se autorizzato dal giudice). Se da tali vendite complessivamente derivasse un ricavato eccedente il credito, l’eccedenza verrebbe restituita al debitore; ma se invece, anche cumulando quanto ricavato da più beni mobili, non si copre il debito, si è nella situazione di residuo. Al creditore è precluso incamerare più di quanto dovutogli: ad esempio, se un creditore pignora due autovetture e dai due mezzi ricava più del necessario, il residuo (detratte le spese) torna al debitore. Ma in deficit il problema rimane aperto.
Beni invenduti e chiusura della procedura: spesso nell’esecuzione mobiliare capita che alcuni beni pignorati non vengano aggiudicati perché di scarso interesse (es. mobilio usato di modesto valore). Se appare probabile che la vendita di quei beni sia infruttuosa o che il loro valore di realizzo sia pressoché assorbito dalle spese, il giudice dell’esecuzione può, su istanza, dichiarare improseguibile la vendita e disporre la liberazione dei beni residui (art. 532 c.p.c.) – in pratica il procedimento si chiude lasciando quei beni al debitore. Ciò però non estingue affatto il debito: semplicemente, il creditore ha esaurito quell’iniziativa senza pieno successo e dovrà valutare altre vie. Ad esempio, se vengono pignorati e messi all’asta vari arredi e solo alcuni trovano acquirenti, mentre altri lotti restano invenduti, il giudice può decidere di chiudere anticipatamente la procedura per evitare ulteriori costi inutili. Il debitore riottiene i beni invenduti (che magari hanno un valore commerciale nullo, ma valore d’uso per lui), ma resta comunque debitore per la parte non pagata ai creditori. Anche in questo caso, il creditore conserverà intatto il diritto di agire su altri fronti per il residuo.
Esempio pratico 2: Sempronio deve €5.000 per spese legali a un avvocato. Non avendo pagato spontaneamente, l’avvocato ottiene un decreto ingiuntivo esecutivo e fa pignorare alcuni beni mobili nell’abitazione di Sempronio (TV, computer, mobili). I beni sono messi all’asta e producono un ricavato di soli €2.000 (al netto delle spese). Questo importo viene interamente assegnato al creditore, ma rimangono €3.000 di credito insoddisfatto. L’ufficiale giudiziario aveva però già constatato che in casa non c’erano altri beni di valore. L’avvocato allora scopre che Sempronio possiede un vecchio autoveicolo e decide di pignorare anche quello. L’auto viene venduta all’asta e frutta €1.000. Ora il residuo è sceso a €2.000. L’avvocato potrebbe tentare di pignorare lo stipendio di Sempronio per recuperare il resto. Se Sempronio fosse nullatenente e disoccupato, il creditore dovrebbe attendere tempi migliori o considerare di mettere a perdita il credito rimanente. Passati 10 anni senza atti, quel residuo diverrebbe prescritto, ma nel frattempo qualunque sollecito formale da parte del creditore ne interromperebbe la prescrizione.
In sintesi, nell’esecuzione mobiliare il meccanismo del debito residuo opera allo stesso modo che per gli immobili: la procedura si chiude una volta liquidati i beni pignorati, ma il creditore può promuovere nuovi pignoramenti (mobiliari o di altro tipo) fino a soddisfazione completa. Non c’è alcun automatismo estintivo della parte scoperta. Inoltre, vista la frequente insufficienza dei beni mobili a coprire debiti ingenti, spesso l’esecuzione mobiliare è solo un tassello di un più ampio mosaico di azioni: il creditore può affiancare al pignoramento mobiliare anche un pignoramento immobiliare o presso terzi, se ne ricorrono i presupposti, per colmare il gap.
Esecuzione presso terzi: pignoramento di stipendi, conti correnti e altre somme
L’espropriazione presso terzi è la procedura esecutiva in cui il creditore pignora crediti o beni del debitore che sono nelle mani di un terzo. Gli esempi più comuni sono il pignoramento di crediti del debitore verso terzi come: lo stipendio (credito verso il datore di lavoro), la pensione (verso l’ente pensionistico), il saldo di un conto corrente bancario (credito verso la banca), i canoni di locazione dovuti dall’inquilino, i crediti verso clienti, ecc. In questi casi non c’è una vendita all’asta tradizionale: l’esecuzione consiste nel bloccare le somme dovute al debitore dal terzo e farle assegnare al creditore (artt. 543 ss. c.p.c.). Vediamo come si configura il “debito residuo” in tali ipotesi.
Pignoramento di conto corrente: se il creditore pignora un conto bancario del debitore, la banca – quale terzo pignorato – è tenuta a vincolare le somme fino all’udienza davanti al giudice. Supponiamo che il debitore avesse €5.000 sul conto, ma il debito ammonta a €15.000. Il giudice dell’esecuzione, all’udienza ex art. 549 c.p.c., emetterà un’ordinanza di assegnazione a favore del creditore, nei limiti delle somme disponibili: assegnerà cioè l’importo di €5.000 (o quel che è presente fino a concorrenza del credito) al creditore. Tale pagamento parziale estingue il debito solo per €5.000; rimangono €10.000 insoddisfatti. Il pignoramento del conto corrente finisce qui, perché la banca non detiene altro denaro del debitore oltre a quello importo. Il creditore, per recuperare il residuo, dovrà dunque cercare altrove. Potrà ad esempio pignorare un altro conto corrente se ve n’è notizia, oppure beni mobili o immobili, oppure lo stipendio. Non esiste alcuna norma che estingua il debito per il solo fatto che il conto conteneva meno del dovuto. Dunque, se il saldo del conto non è sufficiente a coprire l’intero importo del debito, il creditore può avviare ulteriori azioni di pignoramento su altri beni del debitore. Il meccanismo è analogo a quello già illustrato: l’ordinanza di assegnazione parziale non priva il creditore del diritto di agire sulla differenza.
Pignoramento di stipendio o pensione: se il creditore pignora l’emolumento periodico del debitore (stipendio mensile, salario o pensione), la caratteristica peculiare è che la legge consente di pignorare solo una quota parziale e continuativa di ciascuna mensilità, tipicamente un quinto (20%) per crediti ordinari, con eventuali differenze se concorrono altri tipi di crediti (alimentari, erariali) – secondo i limiti di impignorabilità di cui all’art. 545 c.p.c. e leggi speciali. In tal caso, diversamente dal pignoramento di un conto che è evento istantaneo, il pignoramento dello stipendio dà luogo a una soddisfazione rateale nel tempo: ogni mese il datore di lavoro trattiene la quota stabilita e la versa (una volta dichiarata l’assegnazione) al creditore. Questa modalità prosegue fino a integrale soddisfazione del credito oppure fino a che cessa il rapporto di lavoro. Pertanto, se il debito è molto alto e lo stipendio modesto, la trattenuta mensile proseguirà per molti anni. Ad esempio, un debito di €20.000 su uno stipendio netto di €1.500 potrà comportare una rata di pignoramento di €300 al mese (20%): occorreranno circa 67 mesi (oltre 5 anni) per estinguere il debito, interessi esclusi. Se il debitore cambia lavoro durante il periodo, il pignoramento dovrà essere rinnovato presso il nuovo datore, non essendo automatico il trasferimento (il creditore dovrà notificare un nuovo atto di pignoramento al nuovo datore). Se il debitore viene licenziato o cessa la propria attività, il pignoramento sullo stipendio si interrompe (non potendo più essere eseguito). In tal caso, il creditore può ottenere dal datore il pagamento del TFR (trattamento di fine rapporto) maturato, nei limiti del quinto o del residuo credito – il TFR, infatti, è pignorabile anch’esso entro il 20% se il debito residuo è inferiore a tale quota. Se dopo l’incasso del TFR esiste ancora un debito residuo, il creditore dovrà attendere che il debitore percepisca nuovi redditi pignorabili o individuare altri beni. È importante sottolineare che la cessazione del lavoro non cancella il debito residuo: se rimane una parte di credito insoddisfatta, il creditore potrà farsi avanti appena il debitore riavrà uno stipendio o una pensione pignorabile. Ad esempio, La Legge per Tutti chiarisce che quando un debitore cambia lavoro, il pignoramento riprenderà presso il nuovo datore non appena il creditore lo attiverà, giacché il debito non si estingue per il mero fatto del cambio di impiego. Pertanto, finché il credito non è pagato per intero (o finché non intervenga prescrizione o altro accordo), il residuo rimane esigibile. In caso di pignoramento di pensione, vale lo stesso discorso: se il debitore pensionato muore prima che il credito sia saldato, la trattenuta termina e l’eventuale residuo diviene un debito verso gli eredi (salvo che rinuncino all’eredità). Se invece sopravvive, il pignoramento continuerà sino a pagamento completo.
Limiti e protezioni del debitore: nell’esecuzione presso terzi, il legislatore ha previsto alcune tutele quantitative per il debitore, soprattutto in materia di pignoramento di stipendi e pensioni, per evitare che il debitore resti privo dei mezzi di sussistenza. Ad esempio: non si può pignorare la parte di stipendio o pensione inferiore all’assegno sociale aumentato della metà (circa €1.000 circa nel 2025) – questa soglia è impignorabile (art. 545, commi 7 e 8 c.p.c.); oltre tale minimo vitale, la parte eccedente può essere pignorata al massimo per il quinto (salvo concorso di cause diverse). Nel pignoramento del conto corrente, se su di esso viene accreditato lo stipendio/pensione del debitore, la legge tutela un importo pari al triplo dell’assegno sociale se gli accrediti sono anteriori al pignoramento, o l’intero ultimo stipendio se accreditato dopo il pignoramento (art. 545, commi 8-9 c.p.c.). Queste norme fanno sì che il debitore, pur soggetto a esecuzione, mantenga un minimo di mezzi. Tuttavia, ciò non influisce sull’esistenza del debito residuo: semplicemente ne regola la modalità di riscossione. Ad esempio, se un debitore ha uno stipendio basso, la frazione pignorabile sarà piccola e il debito impiegherà molto tempo ad essere saldato; se poi dovesse trascorrere un tempo molto lungo, bisognerà considerare la possibile prescrizione degli interessi o del titolo, ma normalmente l’assegnazione continua interrompe la prescrizione del credito man mano.
Conclusione sul debito residuo presso terzi: anche nell’espropriazione presso terzi, un insufficiente soddisfacimento comporta la sopravvivenza del debito per la parte non pagata. Ad esempio, se dal pignoramento del conto il creditore ricava X ma il debito era X+Y, il debitore resta obbligato per Y e il creditore potrà agire ulteriormente. Se il pignoramento di stipendio viene meno prima del saldo, il residuo Y rimane e potrà essere oggetto di nuove esecuzioni future. Come sottolineato, il creditore può combinare diversi tipi di pignoramento: spesso, per crediti ingenti, si procede sia su beni mobili/immobili sia su redditi, così da colmare progressivamente il debito. Finché permane un debito residuo, il debitore non può dirsi al sicuro: potrebbe subire nuovi atti di precetto e pignoramento finché non abbia pagato ogni euro dovuto (o finché il creditore non rinunci formalmente al credito).
Esempio pratico 3: Mario ha un debito di €25.000 risultante da un decreto ingiuntivo. Il creditore pignora il suo conto in banca, trovando €5.000, che vengono assegnati. Residuo €20.000. Allora pignora lo stipendio: Mario guadagna €1.200 netti al mese, ne vengono trattenuti €240 (1/5). Dopo un anno (€2.880 versati) Mario perde il lavoro con un TFR di €4.000. Il creditore ne ottiene il 20% (€800) perché il residuo debito è più alto. Ora Mario deve ancora circa €20.000 – €2.880 – €800 = €16.320 (tralasciando interessi). Il pignoramento si interrompe. Due anni dopo Mario trova un nuovo impiego; il creditore notifica un nuovo atto di pignoramento al nuovo datore: ripartono trattenute mensili finché il debito (aumentato di interessi) non sarà finalmente estinto. Se Mario non avesse mai ritrovato lavoro, il creditore avrebbe potuto provare a pignorare altro (un’auto, ecc.) o avrebbe atteso, rinnovando magari ogni tanto la notifica per interrompere la prescrizione.
Esecuzione esattoriale (riscossione coattiva tributaria) e debito residuo
Un ambito particolare di esecuzione forzata è quello della riscossione coattiva di tributi e altre entrate pubbliche, affidata all’Agente della Riscossione (Agenzia delle Entrate–Riscossione, ex Equitalia) secondo le regole del D.P.R. 602/1973. La domanda è: cosa accade se un bene del contribuente debitore, venduto all’asta per saldare cartelle esattoriali, non copre interamente il debito tributario iscritto a ruolo? Anche qui possiamo parlare di “debito residuo”, con alcune peculiarità proprie del diritto tributario.
Procedura speciale esattoriale: l’Agente della Riscossione, munito di ruolo e cartella esattoriale (che costituisce titolo esecutivo), procede al pignoramento e vendita secondo il D.P.R. 602/1973, con alcune differenze rispetto al codice di procedura civile. Ad esempio, per i beni immobili: l’art. 76 D.P.R. 602/73 impone condizioni stringenti (il debito deve superare certi importi minimi, e soprattutto vieta il pignoramento della prima casa del debitore se è l’unico immobile di sua proprietà ad uso abitativo e vi risiede anagraficamente, a meno che non sia di lusso). Questa è una tutela specifica per i debiti tributari: la Cassazione ha confermato nel 2024 che la regola dell’impignorabilità della prima casa (non di lusso) vale nelle esecuzioni tributarie, ma non si estende alle esecuzioni civili ordinarie promosse da banche o privati. In pratica, ciò che il Fisco non può pignorare (la prima casa), un creditore bancario invece può farlo. Tenendo conto di ciò, spesso l’Agente della Riscossione interviene su altri beni: conti correnti, stipendi, seconde case, veicoli, ecc., analogamente ai privati ma con alcune facilitazioni procedurali (ad es. il fermo amministrativo auto, la procedura di pignoramento presso terzi semplificata).
Espropriazione immobiliare esattoriale insufficiente: se nonostante i limiti di legge, viene messo all’asta un immobile (ad esempio una seconda casa o un immobile commerciale) del debitore per debiti fiscali, e il ricavato non copre l’intero debito tributario, il residuo rimane a carico del contribuente. Non vi è alcuna norma nel 602/1973 che dischiuda un condono automatico: l’Erario rimarrà creditore per la differenza. Ad esempio, se l’Agenzia delle Entrate Riscossione (AER) vende un magazzino per €50.000 ma il debitore aveva cartelle per €80.000, resteranno €30.000 da riscuotere. AER potrà proseguire con altri mezzi (pignorare conti, stipendi, ecc.) finché non sia tutto riscosso. Nel frattempo, su quel residuo continueranno a maturare gli interessi di mora previsti per le cartelle. Non c’è concetto di “esdebitazione” automatica per incapienza nella riscossione coattiva ordinaria. Tuttavia, va detto che la riscossione tributaria è soggetta a sue prescrizioni (spesso 5 anni per i tributi locali, 10 anni per quelli erariali salvo atti interruttivi) e che il legislatore, nel corso del tempo, ha introdotto vari strumenti deflativi: rateizzazioni fino a 10 anni, rottamazioni e stralci di cartelle. Ad esempio, la Legge di Bilancio 2023 ha previsto lo stralcio automatico dei debiti fino a €1.000 affidati a ruolo dal 2000 al 2015, e una definizione agevolata (“rottamazione-quater”) per i debiti dal 2000 al 2022 con pagamento senza sanzioni e interessi. Inoltre, per i contribuenti in grave difficoltà economica (ISEE inferiore a €20.000), nel 2023 è stato previsto un pagamento ridotto (anche al 16%) di alcune cartelle con stralcio del resto. Queste misure, però, non sono automatiche e soprattutto sono frutto di scelte legislative contingenti: il debitore deve aderire e pagare la quota prevista perché il residuo sia annullato. Se tali misure non vengono (o non possono essere) sfruttate, il debito fiscale residuo resta dovuto per intero.
Esecuzioni esattoriali mobiliari e presso terzi: similmente ai creditori privati, AER può pignorare conti correnti, stipendi/pensioni (nei limiti di 1/10, 1/7 o 1/5 a seconda dell’importo della pensione/stipendio), e altri crediti. Se dal pignoramento del conto o dello stipendio non recupera tutto, il residuo continua a essere iscritto a ruolo. L’amministrazione finanziaria terrà il debito residuo come credito inesigibile ma ancora esistente, eventualmente da riscuotere quando si presentino occasioni (nuovi impieghi, liquidazioni, vincite, ecc.). In alcuni casi, dopo infruttuosi tentativi e decorso molto tempo, l’Agenzia potrebbe classificare il residuo come “inesigibile” e non perseguito attivamente (specie per importi piccoli o debitori irreperibili/nullatenenti), ma ciò non equivale a cancellazione formale del debito se non interviene un provvedimento normativo di discarico o il termine di prescrizione.
Prescrizione dei debiti tributari residui: i debiti fiscali seguono regole di prescrizione peculiari, spesso di 5 anni per imposte periodiche come IVA, IRPEF, contributi (in assenza di atti interruttivi), o di 10 anni in alcuni casi di titoli definitivi. Ogni volta che l’Agente notifica un sollecito, un’intimazione o compie un atto esecutivo, il termine ricomincia. Quindi un debito tributario residuo può rimanere pendente per decenni. A differenza dei crediti civili, l’Amministrazione ha periodicamente attuato stralci per pulizia di bilancio su crediti molto datati o di modesto importo. Ad esempio, nel 2021 c’è stato l’annullamento automatico di cartelle fino a €5.000 relative agli anni ’00-’10 per contribuenti sotto una certa soglia reddituale. In generale, però, il contribuente rimane obbligato al pagamento integrale finché non intervenga un atto di remissione del debito da parte dell’ente creditore (evento raro, di solito correlato a procedure concorsuali) o una misura legislativa.
Conclusione sull’esecuzione esattoriale: se la vendita di un bene effettuata dal Fisco non copre tutto, il residuo del debito d’imposta resta dovuto. Il Fisco potrà proseguire la riscossione con altri mezzi, salvo che il debitore acceda a una delle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento (che possono coinvolgere anche debiti fiscali e prevederne la falcidia o l’esdebitazione) o benefìci di condoni. Inoltre, particolare menzione va fatta del caso in cui il debitore sia una società fallita: in sede di fallimento, l’Agente della Riscossione si insinua al passivo come creditore privilegiato/chirografario a seconda del credito. Se dalla liquidazione fallimentare non ricava tutto, il residuo non può più essere preteso dalla società (che si estinguerà) ma può essere eventualmente richiesto ai coobbligati personali (es. soci garanti) o a terzi obbligati in solido (es. un co-dichiarante per imposte). Tuttavia, per le persone fisiche, vale quanto segue.
Procedure concorsuali e sovraindebitamento: fallimento, liquidazione controllata ed esdebitazione
Finora abbiamo esaminato le esecuzioni forzate individuali promosse dai singoli creditori su specifici beni. Diverso è il caso delle procedure concorsuali (come il fallimento – ora liquidazione giudiziale – e le procedure da sovraindebitamento per soggetti non fallibili), in cui tutti i beni del debitore vengono liquidati collettivamente a favore di tutti i creditori. In tali procedure, è la legge fallimentare o il Codice della Crisi (D.Lgs. 14/2019) a disciplinare come trattare l’eventuale insufficienza dell’attivo rispetto alle passività. Si tratta proprio della situazione usuale: difficilmente il patrimonio liquidato copre il 100% dei debiti, anzi spesso i creditori ricevono percentuali molto basse (il cosiddetto dividendo fallimentare). Cosa accade ai debiti non pagati in questi casi?
Fallimento (Liquidazione giudiziale) di società
Se il soggetto insolvente è una società di capitali o comunque un imprenditore collettivo, a seguito della liquidazione fallimentare (oggi liquidazione giudiziale) la società viene di norma cancellata dal Registro delle Imprese e si estingue. I crediti insoddisfatti nei confronti della società diventano inesigibili poiché l’obbligato non esiste più (art. 2495 c.c. per le società di capitali; inoltre la chiusura del fallimento comporta la fine della personalità giuridica). Quindi, se una S.r.l. fallisce e dalla vendita dei suoi beni i creditori recuperano ad es. il 20%, il restante 80% di debiti resta privo di un soggetto obbligato – in pratica, i creditori subiscono la perdita e non possono più agire (salvo responsabilità di garanti o amministratori). Possiamo dire che per la società il debito residuo dopo il fallimento non è esigibile perché la società non c’è più. Attenzione però: ciò non è tecnicamente una “esdebitazione” in senso soggettivo (come vedremo per le persone fisiche), ma una conseguenza dell’estinzione dell’ente. Se vi erano soci con responsabilità illimitata (es. SNC, SAS socio accomandatario), essi rimangono invece personalmente obbligati: il creditore potrà far valere il residuo su di loro, magari proseguendo l’esecuzione individuale dopo la chiusura del fallimento nei limiti consentiti. Lo stesso vale per eventuali fideiussori o coobbligati estranei alla procedura: essi non beneficiano della chiusura del fallimento altrui e restano pienamente responsabili per la quota di credito non soddisfatta nella procedura (principio della separazione delle masse). La Cassazione, ad esempio, ha affermato che la chiusura del fallimento del debitore principale non impedisce al creditore ipotecario di agire nei confronti del terzo datore d’ipoteca per l’importo residuo, perché la liberazione ex art. 120 della L.F. riguarda il debitore fallito, non i coobbligati. Dunque i garanti sono sempre esposti “fino in fondo”.
Fallimento (Liquidazione giudiziale) di persona fisica e esdebitazione
Se l’insolvente è una persona fisica (un imprenditore individuale o un consumatore ammesso alle procedure), la situazione del debito residuo è più delicata, poiché la persona sopravvive alla procedura e quei debiti potrebbero gravarla vita natural durante, scoraggiandone il rientro nell’economia legale. Per questo il nostro ordinamento, già con la riforma del 2006 e ancor più con il nuovo Codice della Crisi e dell’Insolvenza (CCI, in vigore dal 15 luglio 2022), ha introdotto l’esdebitazione: un istituto che consente al fallito persona fisica, a certe condizioni, di ottenere la liberazione dai debiti residui non pagati durante la procedura. In altre parole, l’esdebitazione realizza ciò che in contesti anglosassoni si chiama fresh start, cancellando le obbligazioni non soddisfatte e dando al debitore “onesto ma sfortunato” la possibilità di ripartire senza zavorra.
Nel Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCI), l’esdebitazione è disciplinata agli artt. 278-283 (Capo X). In generale, consiste nella liberazione dai debiti residui e nell’inesigibilità dei crediti rimasti insoddisfatti all’esito di una liquidazione concorsuale. Per ottenerla, il debitore persona fisica deve essere meritevole, ovvero aver collaborato, non aver occultato attivo, non aver ritardato o frodato i creditori, etc., e non deve essere stato già esdebitato nei 5 anni precedenti (ora 3 anni dopo le modifiche del 2022). Nel fallimento classico (ora liquidazione giudiziale), la legge prevedeva che il debitore potesse chiedere l’esdebitazione al tribunale dopo la chiusura del fallimento. Con il CCI si è semplificato il procedimento: l’esdebitazione può essere concessa anche d’ufficio al termine della liquidazione giudiziale, senza necessità di istanza formale, purché ricorrano i presupposti (art. 279 CCI modificato dal D.Lgs. 83/2022). In sostanza, se l’imprenditore fallito si è comportato correttamente, i debiti che non hanno trovato capienza nell’attivo liquidato vengono cancellati. I creditori chirografari insoddisfatti non potranno più pretendere nulla dal debitore esdebitato; i privilegiati potranno pretendere solo l’eventuale parte non pagata per incapienza del loro bene? In realtà l’esdebitazione non opera sui debiti per cui il creditore avrebbe potuto escutere beni esclusi dalla procedura (es. beni non compresi nell’attivo) salvo particolari casi, ma in via generale copre tutti i crediti anteriori.
Per fare un esempio: un imprenditore individuale fallisce con debiti per €500.000; i suoi beni liquidati fruttano €100.000 di riparto (20%). Se è meritevole, al termine il tribunale lo esdebita e i residui €400.000 vengono annullati nei suoi confronti – i creditori perdono il diritto di esigere quel residuo. L’esdebitazione non riguarda però eventuali obbligazioni risarcitorie per fatti illeciti o debiti di mantenimento, alimenti e simili (art. 280 CCI ricalca i limiti dell’art. 142 L.F.), che restano comunque dovuti. Inoltre, sono esclusi i debiti verso obbligati in solido non falliti (ad es. fideiussori, che restano obbligati verso i creditori). Per il debitore principale, comunque, l’esdebitazione costituisce una piena liberazione personale dai debiti concorsuali.
Il Codice della Crisi ha previsto anche un’esdebitazione semplificata per il debitore persona fisica incapiente (esdebitazione del sovraindebitato incapiente, art. 283 CCI): si tratta di chi non ha alcun patrimonio né reddito da liquidare, ma merita comunque di essere liberato dai debiti per ricominciare. È una sorta di esdebitazione a costo zero, concessa una tantum al debitore onesto ma sfortunato che non può offrire nulla ai creditori. In tali casi, il tribunale – verificati i requisiti – cancella i debiti subito, salvo revocare il beneficio se nei 4 anni successivi il debitore acquista beni di valore (in tal caso i creditori possono essere soddisfatti su quelli). Questa norma è pensata per evitare che persone totalmente rovinate restino escluse a vita dal circuito economico per debiti che mai potrebbero pagare. Si pensi a un ex piccolo imprenditore che, escussi tutti i beni, debba ancora somme ingenti: se non ha prospettive di pagamento, può chiedere l’esdebitazione da incapiente. Attenzione: questa procedura dell’art. 283 CCI è un’innovazione del 2021/2022 e richiede la dimostrazione della totale incapienza e della buona fede del debitore. È concessa una sola volta. L’effetto, se accordata, è la cancellazione immediata di tutti i debiti residui ex art. 283.
In definitiva, nel contesto concorsuale:
- Per le società: dopo la liquidazione, i crediti residui sono insoddisfatti ma inesigibili per estinzione del soggetto (salvo garanti).
- Per le persone fisiche (imprenditori o consumatori): i crediti residui possono essere dichiarati inesigibili verso il debitore tramite esdebitazione. Se concessa, il debitore viene liberato dai debiti anteriori non pagati e i creditori non possono più agire in alcuna sede per quei residui. Se invece l’esdebitazione viene negata (ad es. per frodi o mancanza di requisiti), i debiti residui tornano esigibili individualmente: chiuso il fallimento, i creditori potrebbero riprendere le azioni esecutive sul debitore (anche se spesso costui rimane nullatenente, quindi le azioni sarebbero infruttuose; ma giuridicamente il debito permane). Va detto che casi di diniego di esdebitazione sono rari se il debitore ha tenuto condotta regolare, in linea con la finalità della norma di dare una seconda chance.
Procedure di sovraindebitamento per soggetti non fallibili (privati e piccoli imprenditori)
Un capitolo a parte meritano le procedure ex L. 3/2012 (oggi incorporate nel CCI) destinate ai debitori civili non fallibili: consumatori, professionisti, ditte sotto soglia di fallibilità, start-up innovative, enti non commerciali, ecc. Queste procedure – il piano del consumatore (ora piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore), l’accordo di ristrutturazione dei debiti minore e la liquidazione controllata – hanno anch’esse l’obiettivo di gestire l’insolvenza del debitore con un approccio globale. Il denominatore comune è che, se il debitore adempie al piano o subisce la liquidazione del patrimonio, egli può ottenere l’esdebitazione finale, liberandosi dei debiti residui.
In particolare, il piano del consumatore (ora ridenominato, ma concetto analogo) e l’accordo con i creditori permettono di pagare solo una percentuale dei debiti con le risorse disponibili, prevedendo la cancellazione del restante una volta eseguiti gli accordi omologati dal tribunale. Ad esempio, un consumatore con €100.000 di debiti potrebbe, tramite OCC (Organismo di Composizione Crisi) e omologazione del giudice, concordare di pagarne il 20% in 4 anni, dopodiché il residuo 80% viene esdebitato. Oppure un piccolo imprenditore potrebbe offrire ai creditori, magari con l’aiuto di un terzo garante, il 30% delle somme e ottenere l’esdebitazione per la parte eccedente una volta rispettato l’accordo. Tali piani si fondano sul consenso dei creditori (tranne il piano del consumatore che può essere imposto se equo), e producono effetto esdebitativo al completamento: i creditori sono obbligati a rinunciare definitivamente alla quota falcidiata dei loro crediti. In pratica, la riduzione concordata dei debiti diviene definitiva e il debitore è liberato dalla parte tagliata.
La liquidazione controllata del sovraindebitato (corrispondente alla vecchia liquidazione del patrimonio ex L.3/2012) è invece una procedura in cui tutti i beni del debitore (non fallibile) sono venduti e il ricavato distribuito. Essa funziona molto similmente a un fallimento, pur senza dichiarazione di fallimento. Al termine, se il debitore ha cooperato e soddisfa le condizioni, ottiene l’esdebitazione dei debiti residui non soddisfatti. Ad esempio, se un privato in liquidazione controllata vede liquidare la casa per pagare i creditori, e ciò copre solo il 50% dei debiti, il giudice, chiusa la liquidazione, gli cancellerà il restante 50% (salvo eccezioni per debiti alimentari, da dolo, ecc.). Proprio la L.3/2012 è stato il primo contesto in Italia dove si è affermata la regola che “una volta esaurito il patrimonio liquidabile, il debitore viene liberato anche dal debito residuo”. Questo concetto ora è pienamente recepito nel CCI: l’art. 282, comma 2 CCI prevede l’esdebitazione a seguito della liquidazione controllata, con condizioni analoghe a quelle del fallimento ma adattate alla figura del debitore civile.
In generale, le procedure di sovraindebitamento sono un fondamentale strumento di tutela del debitore privato oberato da debiti, proprio perché consentono di evitare che, dopo aver subito esecuzioni e perduto i beni, rimanga anche il “residuo” a vita. Naturalmente non sono soluzioni leggere: richiedono di mettere a disposizione l’intero patrimonio e/o reddito per un periodo ai creditori e passare da un vaglio giudiziale. Ma in cambio, il debitore onesto ottiene la pace debitoria. Anche i debiti verso il Fisco e gli enti pubblici possono essere inseriti in questi piani (previa eventuale transazione fiscale). Con la riforma del 2020-2021, persino l’agente della riscossione può essere coinvolto con la falcidia delle pretese fiscali, purché il pagamento offerto non sia inferiore a quello ottenibile liquidando coattivamente i beni (principio del best interest of creditors).
Esempio pratico 4: Debora, consumatrice sovraindebitata con €200.000 di vari debiti (banche, fornitori, Fisco), possiede solo un piccolo appartamento e un’auto. Attraverso l’OCC presenta un piano del consumatore in cui propone di vendere l’appartamento (stimato €100.000) e destinare tutto il ricavato ai creditori, che così riceveranno circa il 50% ciascuno. Il giudice omologa il piano (valutata la sua meritevolezza) e la casa viene venduta. I creditori incassano quel 50%. A questo punto, il piano si considera eseguito: il giudice con decreto dichiara esdebitata Debora dal residuo 50% di ogni debito. Ciò significa che le banche e il Fisco non potranno più pretendere il restante, e Debora potrà ripartire senza quel peso. Se invece Debora fosse incapiente e non avesse nemmeno casa da vendere, potrebbe chiedere l’esdebitazione dell’incapiente: qualora il tribunale gliela accordi, i suoi €200.000 di debiti verrebbero cancellati del tutto subito, dandole una seconda chance, pur restando annotate per 4 anni possibili sopravvenienze attive (che andrebbero ai creditori qualora emergessero).
Importante nota fiscale: nelle procedure concorsuali (fallimenti, concordati, accordi di ristrutturazione, piani del consumatore), la legge fiscale prevede che le rinunce o riduzioni di crediti accordate in tali sedi non costituiscono sopravvenienze attive imponibili per il debitore. Ad esempio, se in un concordato il 70% dei debiti viene stralciato, l’impresa non deve pagare IRES su quel 70% “risparmiato”. Ciò per evitare che il debitore risanato si trovi addirittura a dover pagare tasse su debiti cancellati. Approfondiremo questi aspetti nella prossima sezione fiscale.
In conclusione di questa parte, possiamo schematizzare la sorte del debito insoddisfatto nelle varie procedure:
- Liquidazione concorsuale di società: i crediti residui restano formalmente insoddisfatti ma la società, estinta, non può più esserne obbligata (salvo soci illimitatamente responsabili).
- Liquidazione concorsuale di persona fisica (fallimento, liquidazione controllata): i crediti residui possono essere estinti tramite esdebitazione del debitore, liberatoria per tutti i debiti concorsuali non pagati.
- Piani/accordi di ristrutturazione: i crediti vengono ridotti per accordo e la parte eccedente è rinunciata dai creditori in via definitiva (parere del giudice e vincolo per dissenzienti se omologato). Il residuo quindi è annullato dall’omologazione (il credito si riduce legalmente alla parte concordata).
- Sovraindebitamento – esdebitazione incapiente: tutti i crediti pregressi vengono cancellati dal decreto, senza attivo, con eventuale condizione risolutiva di sopravvenienze entro 4 anni.
Queste procedure concorsuali rappresentano dunque l’unica vera ipotesi di “cancellazione legale” del debito residuo nell’ordinamento italiano: al di fuori di esse (o di accordi stragiudiziali), il debitore rimane obbligato. Nella sezione successiva vedremo in dettaglio gli aspetti fiscali e tributari dei debiti inesigibili: sia dal lato creditore (perdite deducibili), sia dal lato debitore (eventuali tassazioni di somme non pagate, impatto su ISEE, ecc.).
Profili fiscali del debito non integralmente recuperato
Quando un credito non viene soddisfatto integralmente – ad esempio perché l’esecuzione forzata ha fruttato meno del dovuto – si pongono questioni fiscali rilevanti sia per il creditore (che subisce una perdita) sia per il debitore (che ottiene di fatto un “beneficio” dall’aver pagato meno del debito iniziale, se il residuo viene poi stralciato). Analizziamo separatamente i due fronti.
Il trattamento fiscale delle perdite su crediti per il creditore
Un creditore che non riesce a recuperare interamente il proprio credito subisce una perdita. Dal punto di vista fiscale, per un creditore imprenditore (società o impresa individuale) tale perdita può tradursi in un componente negativo deducibile dal reddito d’impresa, ma a precise condizioni. L’art. 101, comma 5 del TUIR (D.P.R. 917/86) stabilisce che le perdite su crediti sono deducibili se risultano da elementi certi e precisi e, in ogni caso, quando il debitore è assoggettato a procedure concorsuali. In pratica, l’impresa creditrice deve poter provare che quel credito è definitivamente inesigibile.
La giurisprudenza tributaria (Cass. Sez. Trib. 8 gennaio 2025 n. 303) ha recentemente ribadito che per dedurre fiscalmente una perdita su credito occorre dimostrare sia l’esistenza del credito, sia la definitività della perdita, e tale onere probatorio grava sul contribuente. Non basta quindi che il debitore non paghi spontaneamente; è necessario provare che è impossibile recuperare il credito nemmeno per via coattiva. Ad esempio, se un creditore omette di intraprendere azioni esecutive disponibili e poi cancella il credito dalle scritture, il fisco potrebbe negare la deducibilità, sostenendo che il mancato recupero è dipeso dall’inerzia del creditore e non dall’oggettiva inesigibilità. Viceversa, se il creditore esperisce l’esecuzione forzata e questa risulta parzialmente infruttuosa (come nel caso di asta che non copre il debito), quell’esito può costituire elemento certo della perdita per la parte residua. In particolare, costituiscono elementi certi e precisi di inesigibilità eventi quali: la chiusura di una procedura concorsuale con insufficienza (fallimento del debitore con riparto parziale), un pignoramento negativo (il verbale dell’ufficiale giudiziario che attesta di non aver trovato beni da pignorare), un accordo transattivo in cui il creditore rimette una parte del credito, la morte del debitore privo di eredi accettanti, oppure – nel caso di crediti di modesta entità – il semplice trascorrere di un periodo (6 mesi) dalla scadenza senza pagamento può presumere la perdita entro certe soglie (art. 101 comma 5 ultima parte TUIR).
Nel nostro contesto, se un creditore (es. una banca) a seguito di esecuzione immobiliare recupera solo una parte del mutuo, il residuo diventa una perdita su crediti per la banca. Essa potrà dedurla dal reddito imponibile solo quando la perdita sarà considerata definitiva. Spesso le banche, soggette a regole contabili IFRS, contabilizzano subito una svalutazione, ma ai fini fiscali devono attendere evidenze come la conclusione di tutte le azioni di recupero possibili. Un’azione tipica è la cessione del credito residuo a società specializzate (c.d. società di recupero o “fondi NPL”): se la banca cede il credito residuo pro-soluto per un importo simbolico, realizza una perdita deducibile pari alla differenza con il valore nominale. In alternativa, se la banca mantiene il credito residuo a bilancio e lo considera irrecuperabile (ad es. perché il debitore è nullatenente e lo segnala a sofferenza), deve comunque poter giustificare la deduzione con atti comprovanti l’impossibilità di incasso. La Cassazione ha sottolineato che serve la prova che il credito è irrecuperabile non solo per mancato pagamento spontaneo, ma anche per infruttuosa esecuzione. Nel caso di specie della vendita all’asta insufficiente, l’elemento certo è documentato: c’è stato un procedimento esecutivo e ha prodotto un riparto finale; l’eventuale credito residuo non soddisfatto può ragionevolmente considerarsi di difficile (o nulla) esazione ulteriore, a meno di future fortune del debitore. Per scrupolo, spesso il creditore tenterà ancora un ultimo atto (un precetto post-fallimento, o un pignoramento stipendio) così da rendere ancora più evidente l’inesigibilità, oppure attenderà di insinuarsi in un’eventuale procedura concorsuale del debitore.
Dal punto di vista fiscale:
- Imprese e società: la porzione di credito non riscossa costituisce una perdita deducibile quando è definitiva. Se la procedura esecutiva si conclude e il debitore non ha altri beni, la perdita è certa. Se il debitore va in fallimento e il credito risulta non pagato al 100%, la perdita è deducibile nell’esercizio di chiusura del fallimento (certezza legale). Se c’è transazione e si accetta parziale pagamento, la differenza è deducibile nell’esercizio di accordo (perché c’è un atto formale di remissione del debito).
- Soggetti non imprenditori (privati): per un creditore persona fisica che vanta un credito personale (non d’impresa) non esiste una deduzione fiscale della perdita – le perdite patrimoniali private non sono deducibili dall’IRPEF. Ad esempio, se un privato presta €10.000 a un amico e ne recupera solo €3.000, i €7.000 persi non rilevano fiscalmente. Diverso se quel credito era legato a un reddito già tassato (es. affitto non pagato su cui magari aveva già dichiarato il reddito): in alcuni casi si può rettificare il reddito dichiarato se il canone non è stato percepito (per le locazioni abitative, la legge consente dal 2020 di non dichiarare i canoni non riscossi se c’è ingiunzione di sfratto per morosità). Ma in generale, la perdita su credito tra privati è neutrale: un dolore economico ma senza meccanismi di sollievo fiscale.
IVA sui crediti non riscossi: un aspetto spesso collegato per i creditori fornitori di beni/servizi è l’IVA. Se una fattura non viene pagata a causa di insolvenza del cliente, la legge IVA (art. 26 DPR 633/72) consente al fornitore di emettere una nota di credito IVA per recuperare l’IVA versata allo Stato su quella fattura mai incassata, purché si verifichino determinati eventi (procedura concorsuale del cliente, pignoramento negativo, accordo di ristrutturazione omologato, ecc.). Nel caso di espropriazione infruttuosa, oggi la normativa permette la rettifica IVA già dall’inefficacia del pignoramento (trascorsi 6 mesi senza soddisfacimento, art. 26 comma 3-bis). Ad esempio, se la nostra azienda fornitrice aveva emesso fattura €10.000 + IVA €2.200 e ne incassa solo €5.000 tramite pignoramento, può emettere nota di credito per l’IVA proporzionale al non incassato, una volta constatata l’inesigibilità sul resto. Questa è una tutela per il creditore fiscale.
Conseguenze fiscali per il debitore residuo
Dal lato debitore, bisogna chiedersi se il fatto di non pagare una parte del debito possa generare per lui un qualche obbligo fiscale (paradossalmente, “tassare” il beneficio di cui ha goduto nel non pagare integralmente i creditori). Nel nostro ordinamento non esiste una norma che qualifichi come reddito imponibile la parte di debito non pagata in un’esecuzione forzata. Il debitore, in sostanza, non realizza un “provento” tassabile semplicemente perché non ha pagato un debito (differenza rispetto, ad esempio, all’ordinamento statunitense, dove il forgiveness of debt può essere tassato come cancellation of debt income).
Ci sono però alcune situazioni da considerare:
- Remissione volontaria del debito (saldo e stralcio): se il creditore e il debitore raggiungono un accordo transattivo in base al quale il creditore rimette (condona) una parte del debito residuo, questa è un’attribuzione patrimoniale in favore del debitore. Civilisticamente è un contratto di remissione del debito ex art. 1236 c.c., che estingue l’obbligazione se il debitore vi acconsente (art. 1236-1237 c.c.). Fiscalmente, tale remissione non viene considerata automaticamente una donazione (liberalità) – soprattutto se fatta da un creditore estraneo (es. una banca non “regala” ma rinuncia per ragioni economiche) – ma è soggetta a imposta di registro in misura proporzionale dello 0,5%. Ciò significa che se, ad esempio, una banca concorda un saldo e stralcio riducendo un debito di €50.000, l’atto di remissione (la scrittura privata transattiva) dovrà essere registrato pagando lo 0,5% di €50.000 = €250 di imposta (di solito a carico del debitore beneficiario). Non c’è invece applicazione dell’imposta di donazione perché manca l’animus donandi (è un accordo transattivo e spesso oneroso per il debitore, che paga una parte). Dunque, il debitore non paga IRPEF su quei €50.000 condonati, ma l’atto sconta l’imposta fissa o proporzionale come negozio a contenuto patrimoniale.
- Sopravvenienze attive per il debitore imprenditore: se il debitore è un’impresa (ditta individuale o società) e ottiene una riduzione dei debiti (per transazione, concordato, ecc.), contabilmente rileverebbe una sopravvenienza attiva (in quanto diminuiscono le passività). L’ordinamento ha però previsto – come visto – che non sono imponibili le sopravvenienze attive derivanti da riduzione dei debiti accordata in concordato o accordo di ristrutturazione omologato. Se invece la riduzione di debito avviene al di fuori di tali procedure (es. trattativa privata senza dichiarazione di crisi formalizzata), allora la parte di debito abbuonata costituisce in linea di principio una sopravvenienza attiva tassabile per l’impresa, salvo l’utilizzo di eventuali perdite pregresse a copertura. Ad esempio, un’azienda che ottiene dalla banca uno stralcio di €100.000 di debito fuori da piani concorsuali dovrà portare €100.000 a tassazione come componente positivo (salvo che abbia perdite fiscali da compensare, cosa frequente se era in difficoltà).
- Debitore persona fisica (non imprenditore): per un privato consumatore, la remissione di debito non genera un reddito classificabile nelle categorie IRPEF. Non è un reddito da lavoro, né un reddito di capitale, né rientra nei redditi diversi tassabili (i redditi diversi includono vincite, plusvalenze, ma non vantaggi derivanti da mancato pagamento di debiti). Pertanto, se un individuo ottiene la cancellazione di parte dei suoi debiti tramite esdebitazione o saldo e stralcio, non deve dichiarare nulla di imponibile ai fini IRPEF. L’unico adempimento, come detto, può essere la registrazione dell’accordo se c’è un atto. Un caso peculiare potrebbe essere se il debitore stesso fosse creditore d’imposta di qualcosa: ma ciò esula. Dunque, nessuna “tassa sul debito perdonato” per le persone fisiche private.
- Isee e debiti residui: l’ISEE (Indicatore Situazione Economica Equivalente) è un parametro che serve a misurare la condizione economica del nucleo familiare per l’accesso a prestazioni sociali. Ci si chiede se un grosso debito residuo possa influire abbassando l’ISEE (in quanto passività). In generale, i debiti non riducono direttamente il reddito o il patrimonio ai fini ISEE. L’ISEE considera infatti i redditi (somma dei redditi IRPEF di due anni prima) e il patrimonio (mobiliare e immobiliare al 31/12 di due anni prima) al netto di alcune franchigie. Non è previsto di detrarre eventuali debiti in corso, con una fondamentale eccezione: per l’abitazione principale, dal valore ai fini ISEE dell’immobile si sottrae l’ammontare del mutuo residuo in essere. Ciò significa che, prima della vendita all’asta, se il debitore aveva ancora mutuo da pagare sulla casa, il suo patrimonio immobiliare ai fini ISEE era considerato al netto di quel debito. Dopo la vendita all’asta, il soggetto probabilmente non possiede più la casa (quindi azzera il patrimonio immobiliare) e il mutuo residuo diventa un debito chirografario non collegato ad un immobile prima casa – quindi non rientra più nelle deduzioni ISEE. In un certo senso, la situazione ISEE del debitore che perde la casa ma resta col debito potrebbe paradossalmente migliorare: prima aveva un immobile magari con un certo valore e un mutuo residuo, dunque un patrimonio netto ai fini ISEE; dopo, non ha più l’immobile (patrimonio zero) e il debito residuo essendo non garantito non viene contato (il calcolo ISEE non sottrae debiti personali, a parte il mutuo sulla prima casa). In definitiva, avere debiti personali non riduce l’ISEE, se non in quell’unico meccanismo del mutuo prima casa. Dunque un debitore fortemente indebitato ma senza proprietà e con reddito basso risulterà avere un ISEE basso (perché conta reddito e patrimonio bassi), ma non perché ha debiti, bensì perché non ha attivi. Per contro, se un debitore ha ancora una casa di proprietà e un debito residuo ipotecario, quell’ipoteca residua viene scalata dal valore dell’immobile ai fini ISEE, il che è un bene. Se poi l’immobile viene espropriato, l’ISEE futuro non includerà né l’immobile (che non ha più) né il debito (che non è rilevante): quindi potrebbe anche scendere ulteriormente (in quanto prima magari aveva patrimonio netto >0, dopo patrimonio=0). In ogni caso, il debito residuo in sé non compare come voce a decremento nell’ISEE. Non c’è obbligo di dichiarare i propri debiti personali nella DSU ai fini ISEE, se non appunto l’eventuale quota di mutuo sulla casa. Un’eccezione potrebbe essere se il debitore versa somme per un pignoramento sul reddito: ma l’ISEE prende il reddito lordo dichiarato due anni prima, non interessa se una parte fu pignorata – in realtà l’ISEE non sconta il fatto che parte del reddito non fosse disponibile. Dunque, paradossalmente, un debitore che subisce un pignoramento del quinto risulta comunque con il reddito pieno ai fini ISEE (non c’è una correzione a riguardo). Ciò è stato criticato come una distorsione (persone che formalmente hanno stipendio 1500 ma ne percepiscono 1200 perché 300 vanno al creditore, tuttavia per ISEE contano 1500). Ma allo stato non vi è un meccanismo correttivo.
Obblighi dichiarativi del debitore: generalmente, il debitore non deve “dichiarare” nulla relativamente a un debito residuo non pagato. Nei modelli fiscali (dichiarazione dei redditi) non esiste campo per indicare debiti personali (eccetto alcuni oneri detraibili come interessi mutuo, ma quelli sono spese). Solo in caso di procedura concorsuale conclusa con esdebitazione, spesso il tribunale comunica l’avvenuta esdebitazione al registro debitori e ai creditori; il debitore non ha da fare comunicazioni al fisco (a meno che sia un soggetto IVA per il discorso delle note di variazione ma quello attiene al creditore). Se il debitore fosse un’azienda, nelle annotazioni di bilancio indicherà la parte di debiti stralciati come sopravvenienze attive non tassabili se in concordato (come da art. 88 TUIR). Ma per la persona fisica consumatore, no. C’è solo un possibile riflesso: se un grande debito viene cancellato, il suo indice patrimoniale migliora e quindi, ad esempio, potrebbe riflettersi in minori passività da segnare nel bilancio familiare – ma ripetiamo, non c’è posta fiscale diretta.
Infine, un aspetto tributario locale: a seguito di un’esecuzione immobiliare o concorsuale, il debitore può chiedere la riduzione dell’IMU (imposta municipale) eventualmente dovuta sull’immobile per i mesi in cui era pignorato e non posseduto, ma questo è marginale. Quanto al registro, abbiamo detto dello 0,5% sulla remissione di debito. Inoltre, se il debitore cede un bene ai creditori (dazione in pagamento) per chiudere il debito, quell’atto sconta imposta di registro (o IVA se è soggetto IVA) come una vendita.
In sintesi dal lato debitore: non c’è tassazione IRPEF sulla quota di debito “risparmiata” tramite insolvenza o esdebitazione; c’è un possibile costo fiscale indiretto (registro 0,5%) se la remissione avviene tramite atto scritto tra le parti. Il debitore esdebitato non deve dichiarare il debito tolto come reddito. L’ISEE considera solo la riduzione del patrimonio (cosa che di per sé abbassa l’indicatore) ma non conteggia i debiti residui. Dunque, dal punto di vista fiscale il debitore, una volta liberato dal debito residuo (legalmente o di fatto), non ha ulteriori conseguenze fiscali se non magari il venir meno di oneri deducibili come gli interessi sul mutuo (perché estinto o chiuso l’immobile). Invece, per il creditore c’è la consolazione di poter dedurre la perdita e recuperare l’IVA sul non incassato, a patto di aver esperito le vie legali e formali previste.
Strategie di tutela del debitore: come affrontare un debito residuo
Dal punto di vista del debitore privato che si trova con un debito residuo dopo un’asta o un’esecuzione infruttuosa, esistono alcune strategie e strumenti di legge per gestire questa situazione e cercare di limitare i danni. Eccone alcune, combinando spunti giuridici e pratici:
- Negoziare un saldo e stralcio con i creditori: Spesso, soprattutto se il debitore non ha altri beni aggredibili o ha prospettive finanziarie modeste, i creditori (in particolare banche o finanziarie) possono essere disponibili a transigere il debito residuo, accettando un pagamento parziale immediato in cambio della liberatoria sul resto. Questa pratica, nota come saldo e stralcio, permette al debitore di chiudere la posizione debitoria a fronte di uno sconto significativo (talvolta si paga il 20-30% del residuo). Dal lato del creditore, può convenire incassare subito qualcosa e dedurre la perdita. Dal lato del debitore, significa liberarsi definitivamente del debito residuo (di solito con atto scritto). È importante, se si percorre questa strada, coinvolgere un professionista per negoziare e mettere per iscritto la rinuncia dei crediti (ottenendo magari l’accordo di tutti i creditori con un’unica somma, se c’erano più creditori). Inoltre, verificare l’impatto fiscale: come visto il creditore rinunciante può dedurre la perdita e il debitore dovrà pagare lo 0,5% di registro sulla quota condonata. Molte banche su crediti deteriorati accettano saldi a stralcio se ritengono il debitore in difficoltà reale; a volte, cedono il residuo a società terze che, a loro volta, sono disponibili a stralciare (magari rateizzando l’importo ridotto). Consiglio: muoversi preferibilmente prima che il debito passi a società di recupero aggressive; in ogni caso far calcolare cosa si può offrire realisticamente (anche supportati dall’OCC in un contesto negoziale protetto, volendo).
- Rateizzare o dilazionare il residuo: Qualora il creditore non conceda stralci ma sia aperto a facilitazioni, si può chiedere una dilazione del pagamento del residuo in comode rate, magari con remissione degli interessi di mora. Ad esempio, un residuo di €30.000 potrebbe essere spalmato in 10 anni senza interessi. Ciò evita al debitore pignoramenti sullo stipendio e gli consente di pianificare meglio le uscite. Spesso i creditori preferiscono un accordo rateale spontaneo piuttosto che lunghe esecuzioni: ad esempio il datore di lavoro del debitore potrebbe preferire evitare la gestione di un pignoramento e accettare di trattenere volontariamente una quota similare, in accordo col creditore e col dipendente. È sempre bene formalizzare l’accordo di rateizzo indicando che, se le rate sono pagate regolarmente, il creditore si astiene da azioni esecutive. Attenzione: se si concorda un piano di rientro, la prescrizione si interrompe e decorre dal termine dell’ultima rata.
- Opporsi legalmente se vi sono irregolarità nelle procedure: Verificare con un avvocato se l’esecuzione forzata è avvenuta regolarmente. In alcuni casi, soprattutto con le riforme attuali, potrebbe emergere che l’asta è stata viziata o il credito non era ben quantificato. Se si potesse annullare o sospendere la vendita, magari si riuscirebbe a vendere privatamente a prezzo maggiore e coprire più debito. Ci sono stati casi di successo (ad esempio ricorsi ex art. 615 o 617 c.p.c. su aspetti formali sostanziali). Tuttavia, a posteriori dell’asta conclusa, queste possibilità sono molto limitate (non si può revocare un’aggiudicazione definitiva salvo vizi gravissimi). È più che altro un consiglio pre-asta: se il debitore riesce a fermare o rinviare la vendita (ad esempio chiedendo la conversione del pignoramento ex art. 495 c.p.c. o trovando un accordo all’ultimo momento col creditore procedente), può guadagnare tempo per vendere il bene sul mercato libero a prezzo migliore. Una vendita volontaria prima dell’asta, con il consenso del creditore ipotecario, spesso permette di ricavare più denaro e magari coprire l’intero debito, evitando residui. Per questo, se la situazione lo consente, vendere privatamente l’immobile pignorato (utilizzando la sospensione di 45 giorni ex art. 624-bis c.p.c. su accordo con i creditori) è una strategia da tentare: quando ci si riesce, il debitore paga i creditori col ricavato e se avanza qualcosa se lo tiene. Purtroppo molte volte la situazione è già compromessa e non resta che l’asta, ma val la pena menzionarlo.
- Sfruttare le procedure di sovraindebitamento (piani, liquidazione): Come ampiamente spiegato, se il debito residuo è ingente e il debitore è un privato o piccolo imprenditore, rivolgersi all’Organismo di Composizione della Crisi (OCC) competente e valutare l’accesso ad una procedura di sovraindebitamento può essere risolutivo. Ad esempio, se Tizio dopo l’asta ha ancora €100.000 di debiti vari e reddito modesto, può presentare un piano del consumatore offrendo quello che realisticamente può (es. €300 al mese per 5 anni, quindi €18.000, magari coadiuvato da parenti). Se il giudice omologa, il resto del debito (€82.000) verrà cancellato. Oppure, se Tizio non è in grado di offrire nulla (nessun reddito né beni), può chiedere l’esdebitazione da incapiente ex art. 283 CCI: con l’aiuto dell’OCC, prova la sua meritevolezza e ottiene dal tribunale il decreto che lo libera da tutti i debiti. Queste procedure richiedono di aprirsi con i propri creditori e un po’ di tempo, ma offrono la soluzione definitiva. Il tasso di successo dei piani del consumatore è in crescita, e con la fresh start di art. 283 ora anche i casi più disperati hanno uno spiraglio. Attenzione: bisogna includere tutti i debiti nel piano/liquidazione; non si può scegliere di esdebitarsi solo da uno. Ma se c’è debito residuo verso banche, è probabile che ci siano anche altri debiti (spese legali, scoperti, ecc.), quindi conviene risolverli in un colpo solo.
- Proteggere il patrimonio residuo: Un debitore che ha perso un bene all’asta, ma ne possiede altri (es. altra casa non ancora pignorata), potrebbe considerare di tutelare quei beni da future aggressioni dei creditori residui. Strumenti come il fondo patrimoniale o il trust spesso vengono in mente, ma bisogna essere molto cauti: se posti in essere quando i debiti già ci sono, possono essere revocati (azione revocatoria ex art. 2901 c.c.) e addirittura considerati atti in frode ai creditori. Spostare beni ai familiari a debiti insorti è inefficace e sconsigliabile legalmente. Un consiglio invece è gestire bene la successione ereditaria: se il debitore ha debiti residui ingenti e un patrimonio modesto, dovrebbe pianificare che i suoi eredi eventualmente rinuncino all’eredità per non accollarsi quei debiti un domani (i debiti infatti si trasmettono agli eredi pro quota). Oppure, se possiede ancora qualcosa, magari predisporre liquidità per pagare in futuro. Sono considerazioni extra-giuridiche, ma nella “tutela del debitore privato” rientra anche la consapevolezza che i debiti non muoiono con il debitore, a meno di esdebitazione o incapienza: passano agli eredi salvo rinuncia.
- Occhio alla prescrizione e alle comunicazioni: Se si decide di non prendere iniziative attive (nessun piano, nessun saldo, si lascia il debito in sospeso sperando di non essere escussi), bisogna comunque essere consapevoli che in genere il creditore residuo non dimenticherà il credito. Tuttavia, può accadere in casi di crediti frammentati o passati di mano che per qualche ragione il creditore non si attivi per 10 anni. In tal caso scatta la prescrizione estintiva del debito (decennale, se il credito deriva da contratto o sentenza). Il debitore deve però eccepirla se poi il creditore tardivo cercasse di riscuotere. Ad esempio, poniamo che dopo l’asta nel 2015 la banca non faccia più nulla fino al 2026; nel 2026 il debito residuo sarebbe prescritto, ma se la banca mandasse comunque una diffida, il debitore dovrebbe rispondere eccependo la prescrizione maturata, altrimenti un pagamento anche parziale la interromperebbe e riattiverebbe tutto. Quindi, una strategia passiva è: attendere e sperare che il creditore molli la presa; tenere il profilo finanziario basso (non detenere beni facilmente aggredibili, evitare di avere grosse somme su conti nominativi, ecc.) finché il termine legale non scada. Questo però non è garantito e comporta restare per anni con la spada di Damocle di possibili pignoramenti.
In generale, la migliore tutela del debitore è agire per tempo: appena intravede che il bene all’asta non coprirà il debito, dovrebbe cercare di negoziare con i creditori soluzioni alternative, o preparare l’accesso a una procedura concorsuale minore. Spesso infatti i debitori rimangono paralizzati dalla perdita subita e “subiscono” gli eventi, ma esistono vie d’uscita come abbiamo visto. Ad esempio, la legge consente ora di presentare un Piano del Consumatore anche dopo l’espropriazione della casa, includendovi eventuali altri debiti e il residuo del mutuo, ottenendo la liberazione. Ciò può essere fatto prima che i nuovi creditori (es. la banca per residuo mutuo) inizino un altro pignoramento – evitando così ulteriori traumi.
Un ulteriore strumento di supporto è rivolgersi a professionisti e associazioni specializzate nella gestione del sovraindebitamento (esistono sportelli presso i Consigli degli Ordini degli Avvocati o delle Camere di Commercio in collegamento con gli OCC). Questi soggetti possono aiutare a elaborare un piano realistico e portarlo in Tribunale, o a mediare coi creditori.
In sintesi, per il debitore privato:
- Non ignorare il debito residuo: esso non sparirà da solo (se non forse dopo 10 anni di inattività del creditore, cosa incerta).
- Valutare le soluzioni legali disponibili (saldo e stralcio, esdebitazione sovraindebitamento, ecc.) e scegliere quella più adatta alla propria condizione.
- Prevenire è meglio: se possibile, evitare di arrivare alla situazione di residuo vendendo prima il bene o trovando accordi durante la procedura esecutiva. Dopo, il potere contrattuale del debitore è minore, ma può ancora chiedere “pace” ai creditori offrendo qualcosa.
- Mantenersi informato sui propri diritti: sapere, ad esempio, che non gli possono pignorare più di 1/5 dello stipendio, che non possono togliergli la prima casa per debiti fiscali di natura ordinaria, che può opporsi ad eventuali abusi (come pignoramenti oltre il limite o su beni impignorabili).
- Pianificare il futuro finanziario: se il debito residuo è molto grande e le capacità reddituali scarse, considerare l’esdebitazione come investimento per ripartire pulito (anche se comporta entrare in procedura concorsuale, ne vale la pena).
Domande Frequenti (FAQ) sul debito residuo post-asta
- D: La vendita all’asta estingue automaticamente il debito del mutuo o di altri finanziamenti?
R: No. La vendita forzata del bene pignorato non estingue automaticamente il debito residuo verso i creditori. Il debito si considera estinto solo fino alla concorrenza dell’importo ricavato e distribuito ai creditori. L’eventuale parte di credito non pagata (debito residuo) rimane dovuta dal debitore, salvo specifiche cause estintive (accordi transattivi, prescrizione, esdebitazione concorsuale). In pratica, se il ricavato dell’asta è insufficiente, il debitore continua ad essere obbligato per la differenza. - D: Chi paga il debito residuo dopo un’asta immobiliare?
R: Il debito residuo resta a carico del debitore esecutato (l’ex proprietario), che ne risponde con i propri beni futuri e redditi. L’aggiudicatario dell’asta non deve farsi carico dei debiti del precedente proprietario: egli paga il prezzo d’asta e ottiene il bene libero da ipoteche e pignoramenti. Eventuali garanti del debitore (fideiussori, terzi datari d’ipoteca) sono anch’essi tenuti a pagare il debito residuo qualora il debitore principale non lo soddisfi. Ad esempio, se un parente aveva garantito il mutuo, la banca potrà chiedere a lui la parte non coperta dall’asta. - D: Cosa possono farmi i creditori se rimane un debito dopo l’asta?
R: Possono promuovere nuove esecuzioni forzate su altri beni o redditi. Ad esempio, potranno pignorare stipendi, pensioni, conti correnti, altri immobili o mobili di sua proprietà, fino a soddisfare il credito residuo. Se il debitore non possiede nulla al momento, i creditori possono monitorare negli anni successivi e attivarsi se il debitore acquisisce nuovi beni (un’eredità, una casa, un lavoro regolare). Il debito residuo, di per sé, può essere riscosso come qualsiasi altro debito: con precetto e pignoramento, nel rispetto dei limiti di legge (es. massimo 1/5 dello stipendio, impignorabilità di beni minimi, ecc.). Inoltre, i creditori possono iscrivere il debitore negli elenchi dei cattivi pagatori (CRIF, Centrale Rischi) per il debito insoluto, rendendogli difficile ottenere nuovi finanziamenti. - D: Dopo quanti anni si prescrive il debito residuo?
R: In genere il termine di prescrizione è di 10 anni (ordinario) dal momento in cui il credito residuo può essere fatto valere. Spesso si considera decorre dalla data di chiusura della procedura esecutiva o dalla formazione del piano di riparto finale. Tuttavia, ogni atto con cui il creditore richiede il pagamento (lettera raccomandata, atto di precetto, pignoramento…) interrompe la prescrizione, facendo decorrere un nuovo termine decennale. Quindi, nella pratica, se il creditore è diligente, la prescrizione può non maturare mai, perché il creditore si attiva periodicamente. Solo se il creditore resta completamente inerte per 10 anni consecutivi, senza alcun sollecito, il debitore può eccepire la prescrizione e rifiutare legalmente il pagamento. - D: Posso essere dichiarato fallito per un debito residuo?
R: L’eventuale procedura fallimentare (oggi liquidazione giudiziale) richiede che il debitore sia un imprenditore assoggettabile a fallimento e si trovi in stato d’insolvenza. Se il debitore è un privato consumatore, professionista o piccolo imprenditore sotto soglia, non può essere dichiarato fallito. Se invece è un imprenditore, la banca o altro creditore potrebbe chiederne il fallimento se sussistono i presupposti (debiti > €30.000, insolvenza conclamata). Nella pratica però, dopo l’esecuzione immobiliare, raramente si procede a un fallimento a carico della persona fisica per il residuo, a meno che non vi siano altri crediti rilevanti e un’attività d’impresa. Più frequente è che il debitore stesso ricorra a una procedura di sovraindebitamento (piano del consumatore o liquidazione controllata) per risolvere globalmente la situazione debitoria post-asta. - D: Il debitore può liberarsi del debito residuo con il fallimento o con altre procedure?
R: Sì, se il debitore è ammesso a una procedura concorsuale e ottiene l’esdebitazione. Ad esempio, un imprenditore individuale dopo la chiusura del fallimento può chiedere al tribunale la liberazione dai debiti residui non pagati (esdebitazione ex art. 279 CCI) e, se accordata, non dovrà più pagarli. Un consumatore sovraindebitato può presentare un piano del consumatore o subire la liquidazione del patrimonio e al termine ottenere l’esdebitazione: in entrambi i casi, i debiti residui (compreso il residuo mutuo) vengono cancellati. Esiste anche l’esdebitazione “a zero” per il debitore incapiente (senza beni né redditi) prevista dall’art. 283 CCI. Fuori dalle procedure concorsuali, il debitore può liberarsi del residuo solo pagando (integralmente o parzialmente a saldo e stralcio) o sperando nella prescrizione. Non c’è altra causa di estinzione automatica. - D: L’aggiudicatario dell’asta risponde dei debiti residui verso condominio, banca, ecc.?
R: No, l’aggiudicatario acquisisce l’immobile libero da ipoteche e da pignoramenti (che vengono cancellati). Non è personalmente obbligato verso i creditori del precedente proprietario. Fa eccezione solo l’obbligo pro quota di pagare eventuali spese condominiali non pagate dall’ex proprietario relative all’anno in corso e all’anno precedente la vendita (art. 63 disp. att. c.c.), ma questo è un onere legato all’immobile, non un debito residuo in capo al vecchio proprietario. In sintesi, il nuovo acquirente non paga i debiti residui, essi restano all’esecutato. Se l’aggiudicatario fosse stato parente o persona vicina al debitore, e questi volesse aiutarlo, potrebbe volontariamente destinare parte del prezzo pagato a saldare creditori, ma non vi è obbligo giuridico. - D: Ho un debito residuo verso la banca dopo l’asta: la banca può impormi un’ipoteca su un altro mio immobile?
R: La banca non può “imporre” un’ipoteca se non siete d’accordo. Può però, come creditore chirografario sul residuo, pignorare un altro immobile di tua proprietà e metterlo all’asta per soddisfarsi. In alternativa, se il debitore fosse disponibile, potrebbe volontariamente concedere un’ipoteca su un altro immobile come garanzia per una dilazione (ma raramente conviene al debitore offrire altre garanzie, a meno di ottenere grossi vantaggi). Si noti che esiste una norma (art. 2911 c.c.) che impedisce al creditore ipotecario di ignorare il bene ipotecato e pignorare direttamente altri beni del debitore; tuttavia, una volta che il bene ipotecato è stato venduto, quel vincolo non opera più. Quindi la banca, esaurita l’azione ipotecaria sul primo immobile, per il residuo può aggredire altri beni del debitore come fosse chirografaria. - D: Il debito residuo comprende ancora interessi e spese legali?
R: Sì, il debito residuo è costituito dalla parte di capitale non pagata, più eventuali interessi maturati e spese non coperte. Nella pratica, nel calcolo finale, prima si imputano le somme ricavate dall’asta agli interessi di mora e alle spese legali (perché privilegiati) e poi al capitale. Se il ricavato non basta al capitale, gli interessi matureranno ancora sul capitale residuo fino al saldo. Tuttavia, una volta chiusa la procedura esecutiva, gli interessi legali o contrattuali sul residuo continuano a maturare ma senza più il “privilegio” ipotecario (ad esempio, gli interessi ipotecari erano garantiti fino a certo periodo, oltre diventano chirografari). Se il debitore finisce in un piano del consumatore o fallimento, spesso questi interessi moratori vengono tagliati o non ammessi oltre una certa data. Ma se nulla interviene, formalmente il debito residuo continua a produrre interessi (al tasso contrattuale o legale, a seconda del titolo originario). Quindi, col passare degli anni, il saldo richiesto dal creditore potrebbe anche aumentare. Conviene quindi risolvere la questione il prima possibile per evitare la lievitazione per interessi. - D: Cosa succede se l’asta va deserta e il bene non viene venduto?
R: Se nessuno compra il bene pignorato neppure dopo diversi tentativi, il creditore potrebbe chiedere l’assegnazione del bene o, in mancanza, la procedura potrebbe essere chiusa per infruttuosità. In tal caso il bene rimane al debitore, il pignoramento viene revocato, ma il debito ovviamente resta integralmente dovuto (nessun ricavato, nessuna soddisfazione). Il creditore potrà in futuro rifare un pignoramento sul medesimo bene (magari sperando in tempi migliori) o su altri beni. In pratica è la situazione peggiore: il debitore conserva il bene, ma ancora gravato dall’ipoteca (che resta iscritta) e con il debito intatto. Spesso però, se l’asta va deserta molte volte, i creditori e il debitore cercano soluzioni alternative (vendita privata, saldo e stralcio). Da notare che a fine 2021 è stata introdotta la possibilità per il debitore di evitare la svendita chiedendo, dopo aste deserte e prima della chiusura della procedura, di cercare un acquirente a un prezzo non inferiore al minimo (art. 41 comma 5 DL 124/2019 conv. L.157/2019): se riesce, bene; se no, la procedura si chiude e passati 2 anni il creditore può riprovarci. In sintesi: asta deserta non estingue debito, e il bene potrebbe tornare libero ma ipotecato, col rischio di future esecuzioni. - D: Se muore il debitore con debito residuo, gli eredi devono pagare?
R: Sì, i debiti si trasmettono agli eredi insieme ai beni. Se un debitore decede avendo ancora un debito residuo verso la banca o altri, i creditori potranno rivolgersi agli eredi (pro quota, in base alla quota ereditaria) per il pagamento. Gli eredi però hanno la facoltà di rinunciare all’eredità se i debiti superano i beni lasciati, evitando così di accollarsi l’obbligo. Oppure possono accettare con beneficio d’inventario per limitare la responsabilità ai beni ereditari. Quindi, i figli o altri successori dovranno valutare: se il defunto non aveva più nulla perché già escusso, tanto vale rinunciare (nessun patrimonio da ereditare, solo debiti). In caso di rinuncia, i creditori non possono pretendere nulla dagli eredi rinuncianti. Va ricordato che se il debitore aveva avviato una procedura di esdebitazione e muore, gli eredi possono proseguirla in certi casi per ottenere comunque l’esdebitazione del patrimonio.
Fonti e Riferimenti
(Tutte le fonti normative citate – Codice Civile, Codice Procedura Civile, DPR 602/1973, DPR 917/1986 TUIR, Codice della Crisi D.Lgs.14/2019 – sono da intendersi aggiornate alle modifiche in vigore a maggio 2025. Le sentenze della Corte di Cassazione richiamate (nn. 24942/2024, 32759/2024, 9789/2024, 303/2025 ord., SS.UU. 5968/2025, 5841/2025) forniscono l’orientamento giurisprudenziale attuale sui temi trattati.)
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⚠️ Attenzione: se la vendita all’asta non basta a saldare quanto devi, il debito non si estingue automaticamente. Il creditore può pretendere la parte restante. Ma ci sono soluzioni legali che puoi attivare per bloccare tutto e tutelarti da nuove aggressioni.
Dopo l’asta, il debito può continuare
In molti casi, il ricavato dell’asta è inferiore al valore originario del debito. Succede spesso perché:
❌ L’immobile viene venduto a un prezzo ribassato
❌ Il giudice autorizza la vendita al minimo d’asta per chiudere il procedimento
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E se il ricavato non basta?
Il creditore potrà tornare a colpire il tuo stipendio, conto corrente o altri beni.
Il problema non è finito.
Come difenderti in modo legale e tempestivo
✅ È possibile bloccare la procedura prima della vendita, avviando una ristrutturazione del debito o una procedura di composizione della crisi
✅ Se l’asta è già avvenuta, si può chiedere l’esdebitazione del debito residuo secondo il Codice della Crisi
✅ Per le persone fisiche non fallibili, è attivabile la procedura da sovraindebitamento
✅ Per le imprese, si può agire con concordati minori, preventivi o piani di risanamento
Cosa può fare per te l’Avvocato Giuseppe Monardo
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🔹 Attiva procedure legali per ottenere l’esdebitazione e liberarti dai debiti residui
🔹 Protegge il tuo patrimonio residuo: conto, stipendio, pensione e nuovi redditi
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Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo
✔ Avvocato esperto in esecuzioni immobiliari e diritto tributario
✔ Gestore della crisi iscritto al Ministero della Giustizia
✔ Negoziatore della crisi – abilitato ex D.L. 118/2021
✔ Fiduciario di OCC – Organismo di Composizione della Crisi
✔ Coordinatore nazionale per la tutela debitori sottoposti a procedure esecutive
Perché devi agire subito
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📉 Rischi reali: blocco del conto corrente, stipendio, nuove ipoteche, danni alla reputazione
Conclusione
La vendita all’asta non cancella automaticamente il tuo debito. Se il ricavato non basta, sei ancora esposto. Ma hai il diritto di difenderti e di ottenere una liberazione legale, definitiva e sostenibile.
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