La tua azienda è in difficoltà? Hai debiti con il fisco, i fornitori o le banche e non sai come affrontarli legalmente? Ti stai chiedendo se esistono strumenti per evitare il fallimento, salvare l’attività e tutelare il patrimonio personale?
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in crisi d’impresa, diritto fallimentare e contenzioso fiscale – è pensata per spiegarti quando è il momento giusto per chiedere una consulenza legale e cosa può fare un avvocato per proteggere la tua impresa.
Scopri quali sono i segnali della crisi, come funziona la composizione negoziata, quando si può accedere a strumenti come il concordato semplificato, il piano attestato, la ristrutturazione dei debiti o la liquidazione controllata, e quali sono i vantaggi concreti di un intervento tempestivo da parte di un legale specializzato.
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Introduzione
La crisi d’impresa è definita dal Codice come lo stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza, manifestandosi in un’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni future. Si distingue dallo stato d’insolvenza, inteso come l’incapacità attuale di adempiere regolarmente alle obbligazioni (situazione più grave che attiva le procedure liquidatorie). L’obiettivo della riforma è favorire l’emersione anticipata della crisi e il suo trattamento quando l’impresa è ancora risanabile, evitando che degeneri in insolvenza conclamata. In quest’ottica, il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) – entrato in vigore il 15 luglio 2022 – ha introdotto nuovi strumenti di allerta precoce e di composizione negoziata, oltre a rinnovare le tradizionali procedure concorsuali (concordato, accordi di ristrutturazione) e a sostituire il vecchio fallimento con la liquidazione giudiziale.
Le innovazioni recepiscono anche la direttiva UE 2019/1023 (Insolvency Directive) in materia di ristrutturazioni preventive. I successivi decreti correttivi del 2022 e 2024 hanno ulteriormente affinato la disciplina. Oggi si parla di “strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza” (in luogo di “procedure concorsuali”), comprendendo tutti gli strumenti offerti dal CCII per il risanamento o la liquidazione, escluse le procedure puramente liquidatorie (liquidazione giudiziale e liquidazione controllata). Tra gli strumenti di regolazione rientrano dunque: i piani attestati di risanamento (accordi privatistici protetti), gli accordi di ristrutturazione dei debiti (anche nelle varianti agevolata e ad efficacia estesa), le convenzioni di moratoria, i piani di ristrutturazione soggetti ad omologazione (PRO), il concordato preventivo (in continuità o liquidatorio) e il concordato semplificato per la liquidazione.
Accanto a questi strumenti “negoziali” o giudiziali, il Codice rafforza gli obblighi organizzativi delle imprese e introduce segnali di allerta interni ed esterni per individuare tempestivamente la crisi. Di seguito esaminiamo ciascuno di questi aspetti, evidenziando le novità normative del 2024–2025 (come il Terzo Correttivo D.Lgs. 136/2024) e i più recenti orientamenti giurisprudenziali.
(NB: Nel testo utilizzeremo le sigle CCII per il Codice della Crisi d’Impresa e LF per la vecchia Legge Fallimentare, dove necessario. I riferimenti ad articoli sono da intendersi al CCII vigente.)
Composizione Negoziata della Crisi
La composizione negoziata della crisi (CNC) è una procedura volontaria e stragiudiziale introdotta nel 2021 (D.L. 118/2021) e ora disciplinata dagli artt. 12-25 CCII. Si tratta di un percorso di risanamento assistito, attivato dall’imprenditore in stato di crisi (o di pre-crisi) con lo scopo di negoziare una soluzione con i creditori, evitando procedure concorsuali formali. L’imprenditore conserva la gestione ordinaria dell’azienda (nessuno spossessamento) e viene affiancato da un esperto indipendente nominato dalla Camera di Commercio. Questo esperto facilita le trattative con creditori e stakeholder, aiutando a individuare accordi che possano preservare la continuità aziendale ove possibile, o comunque evitare una liquidazione distruttiva.
Evoluzione normativa: inizialmente pensata come misura “ponte” emergenziale (in attesa degli strumenti di allerta poi rinviati), la composizione negoziata è divenuta con la riforma parte integrante stabile del sistema. Il Codice della Crisi l’ha recepita e potenziata: importanti modifiche sono arrivate col Terzo Correttivo (D.Lgs. 136/2024), in vigore da fine settembre 2024, per chiarire dubbi applicativi e incentivare l’utilizzo di uno strumento che in precedenza aveva registrato un numero di accessi inferiore alle attese. Di seguito analizziamo il funzionamento della procedura e le novità più rilevanti aggiornate al 2025.
Accesso alla procedura e condizioni
Soggetti ammessi: possono accedere alla composizione negoziata tutte le imprese iscritte al Registro Imprese, di qualsiasi natura e dimensione (società di capitali, di persone, ditte individuali, comprese le imprese agricole). Non vi sono soglie dimensionali minime: anche le imprese “minori” tradizionalmente non fallibili possono utilizzare la CNC. Anzi, il correttivo 2024 ha espressamente previsto che anche tali imprese sotto-soglia, se attivano la composizione, possano concluderla con tutti gli strumenti di esito previsti per le imprese maggiori – incluso il concordato semplificato ex art. 25-sexies in caso di esito negativo. Sono quindi superate le previgenti incertezze sulla fruibilità della CNC da parte di piccole imprese.
Requisiti: la condizione soggettiva è che l’imprenditore si trovi in uno stato di crisi o di insolvenza potenziale, ma non ancora in stato di insolvenza conclamata. In altri termini, la CNC è preclusa se l’impresa è già insolvente al punto da dover aprire una liquidazione giudiziale, mentre è aperta a situazioni di squilibrio patrimoniale o finanziario in cui vi siano ancora prospettive di risanamento. È ammesso l’accesso anche in caso di insolvenza reversibile (insolvenza “temporanea”), purché sia ragionevole la perseguibilità del risanamento (valutazione rimessa all’esperto).
Il Codice prevedeva originariamente alcune cause ostative (es. procedure concorsuali pendenti). La riforma del 2024 ha chiarito in particolare che la pendenza di un’istanza di liquidazione giudiziale (istanza di fallimento) presentata da un creditore non impedisce all’imprenditore di avviare la composizione negoziata. Questa modifica recepisce la logica della Direttiva UE 2019/1023: anche se un creditore ha già chiesto il fallimento, l’impresa potenzialmente risanabile deve poter tentare il percorso negoziale, evitando usi ostruzionistici dell’istanza di fallimento. Resta invece preclusa la CNC se è stato lo stesso debitore a chiedere il proprio fallimento o altra procedura concorsuale, salvo che siano trascorsi almeno 4 mesi dal ritiro di tale domanda. In sintesi, un’istanza di liquidazione presentata da terzi non blocca la CNC, mentre non è ammesso usarla in modo strumentale dopo aver attivato (o appena ritirato) altre procedure da parte del debitore stesso.
Come si attiva: l’imprenditore presenta un’istanza tramite la piattaforma telematica nazionale (gestita dalle Camere di Commercio). L’istanza deve includere vari documenti ed informazioni: ultimi bilanci o bozza di bilancio in corso, una situazione patrimoniale aggiornata, l’elenco dei creditori, un progetto di piano di risanamento, una relazione sulle cause della crisi e – molto importante – le certificazioni dei debiti fiscali e contributivi (rilasciate da Agenzia Entrate, agente della riscossione e INPS). Su questo punto, per facilitare l’accesso, il legislatore ha introdotto una semplificazione transitoria: fino al 31 dicembre 2024, se i certificati del Fisco e degli enti previdenziali non sono ancora disponibili, il debitore può allegare una dichiarazione sostitutiva attestando di averli richiesti almeno 10 giorni prima. Ciò evita ritardi dovuti ai tempi burocratici. Dal 2025, salvo ulteriori proroghe, sarà invece necessario allegare i certificati ufficiali.
Presentata l’istanza, il segretario generale della Camera di Commercio verifica la completezza della documentazione (potendo chiedere integrazioni). Quindi una Commissione regionale nomina l’esperto indipendente entro 5 giorni lavorativi. L’esperto designato, entro 2 giorni, deve dichiarare la propria indipendenza e accettare l’incarico. I nuovi criteri di nomina – aggiornati nel 2024 – valorizzano la competenza effettiva: si tiene conto dell’esperienza maturata e, novità introdotta, dell’esito delle composizioni precedentemente seguite dal professionista (in modo da premiare gli esperti con track-record di successo).
Cause di inammissibilità: oltre ai casi già detti (insolvenza conclamata del debitore, domanda concorsuale propria pendente), l’art. 25-quinquies CCII prevede alcune preclusioni come: la presenza di un accordo di ristrutturazione omologato nei 2 anni precedenti, o di un concordato omologato nello stesso periodo, nonché l’essersi già avvalsi della composizione negoziata chiusa senza successo nei 2 anni precedenti. Tali limiti mirano ad evitare abusi (ad es. richieste reiterate) e sono valutati in sede di ammissione. Il correttivo 2024 ha peraltro limitato la portata di alcune preclusioni, come visto sopra, per ampliare le chance di utilizzo genuino dello strumento.
Nomina e ruolo dell’esperto indipendente
L’esperto indipendente è il fulcro della composizione negoziata. Si tratta di un professionista (spesso commercialista o avvocato con competenze aziendali) iscritto in un apposito elenco, chiamato ad assistere l’imprenditore nel vagliare la situazione aziendale e condurre le trattative con i creditori.
Nomina: come detto, l’esperto è nominato da una commissione presso la Camera di Commercio regionale. Deve dichiarare per iscritto la propria indipendenza rispetto all’impresa (assenza di conflitti di interesse) e competenza nella tipologia di attività in crisi. Il D.Lgs. 136/2024 ha rafforzato i criteri di selezione: ora si tiene conto dell’esperienza e degli esiti ottenuti in precedenti incarichi di composizione. Lo scopo è assicurare figure altamente qualificate e motivate al successo dell’operazione.
Funzioni: dopo l’accettazione, l’esperto convoca tempestivamente l’imprenditore e analizza con lui la situazione economico-patrimoniale, verificando la fattibilità del risanamento. In caso di conclamata impossibilità di risanare, l’esperto può concludere anticipatamente la procedura. Se invece ritiene che un salvataggio sia perseguibile, l’esperto predispone un calendario di incontri con i principali creditori e propone possibili soluzioni di composizione. Egli agisce da facilitatore: favorisce il dialogo, invita le parti a rinegoziare i termini dei crediti e contratti ove necessario, e suggerisce opzioni tecniche (dilazioni, conversione di crediti in capitale, nuovi finanziamenti, cessione di rami d’azienda, ecc.). L’esperto deve mantenere imparzialità, ma ha il dovere di essere proattivo: la riforma 2024 ha introdotto incentivi affinché non assuma un ruolo meramente notarile, ma si impegni attivamente nel trovare un accordo.
Per svolgere al meglio il compito, l’esperto può avvalersi di coadiutori specializzati (es. esperti in settore industriale, giuslavoristi, ecc.). Inoltre – novità del 2024 – grazie all’interoperabilità delle banche dati, l’esperto può accedere direttamente a numerose informazioni ufficiali: dati di Agenzia delle Entrate (debiti tributari), INPS, INAIL, agente della riscossione e Centrale Rischi Banca d’Italia. Ciò consente una rapida ricognizione del debito fiscale/previdenziale e dell’esposizione bancaria, senza dover attendere i certificati dal debitore. L’accesso avviene tramite la piattaforma telematica e richiede il consenso dell’imprenditore, nel rispetto della privacy.
Durata e proroghe: la composizione negoziata dura in via ordinaria 180 giorni dall’accettazione dell’esperto (circa 6 mesi). Il termine è prorogabile in casi limitati. La disciplina originaria richiedeva il consenso di tutte le parti in trattativa per ottenere una proroga; il correttivo 2024 ha reso il meccanismo più flessibile: basta la richiesta motivata dell’imprenditore (o anche di un creditore coinvolto), il parere favorevole dell’esperto e la presenza di concrete prospettive di risanamento ancora in essere. Inoltre, si possono concedere proroghe se pendono ricorsi per misure protettive o autorizzazioni (artt. 19 e 22 CCII) o se tali misure sono in corso di esecuzione. In sostanza, ad esempio, se si è in attesa di un decreto del tribunale su misure protettive o su un finanziamento prededucibile, la durata può estendersi oltre i 6 mesi, evitando una chiusura anticipata per mera scadenza del termine. L’esperto comunica e pubblica ogni proroga sulla piattaforma e informa il tribunale.
Compenso dell’esperto: l’art. 25-ter CCII regolamenta la remunerazione. La riforma ha previsto che nei primi 120 giorni dall’inizio della procedura è nullo qualsiasi accordo anticipato sull’onorario tra imprenditore ed esperto. Ciò per evitare che l’esperto “si faccia pagare” in anticipo senza aver realmente lavorato: il compenso va commisurato all’attività svolta. Inoltre, è confermato un “bonus” di successo, ma con nuovi criteri: l’onorario dell’esperto può essere aumentato (fino al doppio) solo se la negoziazione si conclude con un risultato concreto – ad esempio la conclusione di un accordo contrattuale o di una convenzione di moratoria grazie al suo operato. Non basta più la sola chiusura positiva della procedura: il raddoppio è riconosciuto solo se l’esperto ha contribuito in modo determinante al buon esito. Parallelamente, è stato innalzato il compenso minimo garantito all’esperto anche nei casi di esito negativo, per assicurare un’adeguata remunerazione e attrarre professionisti qualificati. In sintesi, il sistema tende a premiare l’esperto per i risultati e non per il semplice incarico, evitando atteggiamenti passivi.
Misure protettive e rapporti con i creditori
Uno dei punti chiave della composizione negoziata è la possibilità per l’impresa di ottenere dal tribunale delle misure protettive temporanee, per congelare le azioni esecutive dei creditori e creare un “ambiente protetto” durante le trattative.
Richiesta e contenuto: dopo la nomina dell’esperto, l’imprenditore può chiedere al tribunale la concessione di misure protettive sui propri beni (art. 18 CCII). Il tribunale, se le concede, emette un decreto che sospende o vieta l’inizio di azioni esecutive e cautelari da parte dei creditori, impedisce l’acquisizione di nuove cause di prelazione (es. iscrizioni ipotecarie) e salvaguarda i contratti pendenti evitando risoluzioni forzate. In pratica, è uno stay simile a quello del concordato preventivo, mirato però a sostenere le trattative stragiudiziali. La durata è inizialmente di massimo 4 mesi, prorogabile su richiesta fino a un totale di 12 mesi al massimo. L’esistenza di misure protettive viene pubblicata nel Registro delle Imprese, così che tutti ne abbiano conoscenza.
Divieto di revoca dei fidi bancari: una novità di grande rilievo introdotta nel 2024 riguarda i rapporti bancari. Il Correttivo-ter ha inserito nelle norme (artt. 16 co.5 e 18 co.5-bis CCII) un principio innovativo: le banche e gli intermediari finanziari non possono revocare né sospendere gli affidamenti concessi all’impresa per il solo fatto dell’avvio della composizione negoziata. In passato si temeva che appena una banca venisse a sapere che l’azienda aveva attivato la procedura, potesse tagliare le linee di credito (per tutelarsi). Ora ciò è espressamente vietato per tutta la durata delle misure protettive concesse. Allo stesso modo, è vietato declassare il credito in Centrale Rischi solo a causa dell’accesso alla CNC. Si fa salva un’unica eccezione: se la revoca o riduzione del credito è necessaria per rispettare normative prudenziali di vigilanza bancaria, la banca può procedere ma deve darne comunicazione motivata agli organi di controllo della società. Questa clausola tutela la stabilità degli istituti di credito, ma impone trasparenza: la banca deve esplicitare le ragioni regolamentari della revoca ai sindaci/revisori della società.
In pratica, durante la composizione negoziata l’impresa ha diritto a non veder peggiorare unilateralmente le proprie condizioni bancarie a causa del tentativo di risanamento. Il tribunale può anche ordinare alle banche uno standstill potenziato: ad esempio, il Tribunale di Venezia (ord. 13/1/2025) ha ingiunto alle banche di non segnalare a Centrale Rischi lo sforamento dovuto alla moratoria né di revocare o ridurre i fidi in essere, ribadendo quanto sancito dalla legge. Tale provvedimento veneziano ha evidenziato come il “sacrificio” temporaneo imposto alle banche (astenersi dal correre ai ripari) sia giustificato dalle prospettive di risanamento e dalle informazioni positive fornite dall’esperto, ed è bilanciato dal fatto che i diritti di credito non sono compromessi in via definitiva ma solo congelati per qualche mese.
Altre misure cautelari: i tribunali hanno mostrato flessibilità anche nell’estendere la tutela oltre le fattispecie tipiche previste. Ad esempio, è stato dibattuto se il giudice possa emettere misure cautelari “atipiche” per proteggere la negoziazione. Il Tribunale di Udine (ord. 30/4/2024) ha ritenuto ammissibile concedere provvedimenti cautelari con contenuto analogo alle misure protettive tipiche, pur non espressamente previste, pur di garantire l’efficacia della procedura. Ciò significa che, in presenza di situazioni particolari, il giudice può modellare misure ad hoc (ex art. 669-duodecies c.p.c.) per assicurare il freeze delle azioni dei creditori e un ambiente sereno per le trattative. È un approccio pragmatico e non formalistico: l’importante è raggiungere il risultato di sospendere pressioni ed esecuzioni durante la CNC, anche usando strumenti cautelari tradizionali se necessario.
Un altro esempio di tutela innovativa riguarda i finanziamenti garantiti dallo Stato. Molte imprese, specie dopo la pandemia, hanno debiti bancari garantiti dal Fondo centrale (MCC). In una recente decisione, Trib. Modena 8/3/2025, è stato ordinato a una banca di non escutere la garanzia statale durante la composizione negoziata. Pur non trattandosi di un’azione esecutiva contro il patrimonio del debitore, l’escussione del pegno statale avrebbe trasferito il debito allo Stato (IN una posizione di creditore privilegiato) e formalizzato il default, rischiando di compromettere le trattative. Ravvisati un fumus di risanabilità e un periculum di pregiudizio, il giudice ha bloccato temporaneamente l’escussione. Ciò dimostra come la protezione possa estendersi anche verso soggetti terzi (il garante pubblico) se le loro azioni possono alterare l’equilibrio delle negoziazioni.
Limiti delle misure protettive: va ricordato che le tutele della CNC non possono spingersi a comprimere diritti estranei ai rapporti debitori tipici. Ad esempio, non si può inibire ad un socio di esercitare prerogative legali. Il Tribunale di Milano (ord. 2/2/2024) ha negato la richiesta di una società in CNC di vietare a un socio di minoranza di chiedere l’amministrazione straordinaria (una procedura concorsuale speciale). Il giudice ha chiarito che l’ombrello protettivo copre le azioni dei creditori sul patrimonio del debitore, ma non può limitare i diritti potestativi di soggetti terzi (come i soci) di attivare procedure previste dall’ordinamento. Dunque la composizione negoziata non può essere usata per paralizzare iniziative estranee ai debiti in senso stretto.
Finanziamenti durante la composizione e continuità aziendale
Durante la composizione negoziata l’impresa potrebbe aver bisogno di nuova finanza per proseguire l’attività o attuare iniziative di risanamento (es. acquisto scorte, pagamento fornitori critici, ecc.). Il CCII consente all’imprenditore di chiedere al tribunale l’autorizzazione a contrarre finanziamenti prededucibili (art. 19) durante la CNC. I crediti derivanti da tali finanziamenti, se autorizzati, avranno privilegio di prededuzione in caso di successiva procedura concorsuale: saranno cioè rimborsati con precedenza su altri debiti.
Novità 2024: il correttivo ha stabilito che la prededuzione si applica non solo ai nuovi prestiti, ma anche alla riattivazione di linee di credito che erano state sospese. Inoltre, è stato chiarito che la prededucibilità di questi crediti sopravvive in ogni caso, qualunque sia l’esito della composizione negoziata: persino se l’impresa finisce poi in liquidazione giudiziale, quei nuovi finanziamenti autorizzati restano prededucibili. Questo incoraggia le banche a erogare liquidità ponte, sapendo di avere tutela rafforzata e di non incorrere in rischio di postergazione. Parallelamente, si esclude che tale continuazione del credito possa essere considerata “concessione abusiva di credito” a carico della banca: il legislatore ha specificamente previsto che proseguire le linee fidi durante la CNC, in ottemperanza al divieto di revoca, non costituisce di per sé abuso di credito. Ciò rimuove un deterrente che in passato frenava le banche (il timore di essere accusate di aver finanziato un’impresa decotta).
Quanto alla gestione aziendale, l’imprenditore in composizione rimane in possesso dell’azienda e ne mantiene la gestione ordinaria. Per gli atti di straordinaria amministrazione (quelli eccedenti l’ordinaria gestione) occorre l’autorizzazione del tribunale, sentito l’esperto (art. 20 CCII). Ad esempio, vendita di beni significativi, affitto d’azienda, pegno su asset importanti, ecc., vanno autorizzati caso per caso per assicurare che non compromettano la par condicio o le prospettive di risanamento. Il tribunale valuta la necessità dell’atto e può subordinare l’ok a determinate condizioni.
Trattamento dei debiti fiscali: la “transazione fiscale” nella CNC
Una criticità spesso emersa nelle trattative di risanamento riguarda i debiti tributari: l’Erario è spesso tra i principali creditori e, in mancanza di strumenti ad hoc, qualsiasi piano di risanamento rischia di fallire se non si trova un accordo col Fisco. Inizialmente la normativa della CNC non prevedeva espressamente la possibilità di “tagliare” o dilazionare i debiti fiscali in sede stragiudiziale, creando un vuoto. Dal 2024 questo gap è stato colmato: il D.Lgs. 136/2024 ha introdotto l’art. 23 comma 2-bis CCII, che consente all’imprenditore in composizione negoziata di accedere a una transazione fiscale.
In pratica, già durante le trattative fuori dal tribunale l’impresa può proporre all’Agenzia delle Entrate un accordo sul debito tributario, ad esempio prevedendo il pagamento parziale di imposte e sanzioni (stralcio) e/o una dilazione più lunga. La proposta deve essere corredata da due relazioni tecniche: una di un professionista indipendente che attesta che l’offerta è più conveniente per l’Erario rispetto alla liquidazione giudiziale, e l’altra di un revisore legale che certifica la veridicità dei dati aziendali. Se l’Agenzia delle Entrate accetta, l’accordo transattivo viene depositato al tribunale, il quale – previa verifica formale – ne autorizza l’esecuzione. Da quel momento l’accordo fiscale diventa efficace e consente all’impresa di sanare la propria posizione tributaria secondo i termini pattuiti.
Questa è una novità di grande rilievo, salutata dagli operatori come la svolta che può dare “una notevole spinta all’utilizzo dello strumento”. Spesso infatti il Fisco era il creditore chiave: ora c’è la possibilità di coinvolgerlo attivamente già in fase di composizione negoziata, senza dover per forza accedere a un concordato preventivo per ottenere sconti sui tributi. Limite attuale: la norma non cita espressamente i debiti contributivi previdenziali (INPS/INAIL), che al momento restano esclusi dalla transazione in sede di CNC. Ciò significa che se l’azienda ha anche ingenti debiti contributivi, per ridurli dovrà comunque ricorrere a strumenti formali (accordo di ristrutturazione o concordato) oppure limitarsi a chiedere dilazioni entro i limiti di legge (piani di rateazione ordinari, che però non consentono riduzioni di importo). La lacuna è stata segnalata da dottrina e operatori, auspicandone la futura correzione. Resta però che la transazione fiscale introdotta nel 2024 è un passo fondamentale: consente di trattare col Fisco in modo strutturato e di integrare l’accordo tributario nel quadro del risanamento complessivo.
(Si noti che la transazione fiscale nella CNC ha natura volontaria: l’Erario valuta discrezionalmente la proposta. Se non si trova un accordo, l’impresa potrà sempre ricorrere alla transazione fiscale in sede di concordato preventivo o accordo di ristrutturazione, dove esiste anche il meccanismo del “cram-down fiscale” di cui diremo in seguito.)
Esiti della composizione negoziata
La composizione negoziata non è una procedura con esito predeterminato: diverse strade possono aprirsi al termine delle trattative. L’esperto, concluso il periodo di negoziazione (180 giorni più eventuali proroghe), redige una relazione finale che viene caricata sulla piattaforma telematica. In base a come sono andate le trattative, gli scenari possibili sono:
- Risanamento privatistico: L’impresa riesce a trovare accordi stragiudiziali con i creditori (accordi bilaterali o plurilaterali) oppure elabora un piano attestato di risanamento ai sensi dell’art. 56 CCII, attestato da un professionista indipendente. In tal caso non serve alcun intervento del tribunale: si esce dalla procedura con soluzioni contrattuali private. (Esempio: alcuni creditori rinunciano a parte dei crediti su base volontaria e l’azienda riprende quota.)
- Accordo di ristrutturazione omologato: Se si raggiunge un accordo formale con una maggioranza qualificata di creditori (almeno il 60% dei crediti, oppure 30% in caso di accordo “agevolato” – v. sezione successiva), lo si può sottoporre al tribunale per l’omologazione (ex art. 57 CCII). L’omologa gli conferisce efficacia anche verso eventuali creditori dissenzienti (nei limiti di legge). In questa categoria rientra anche l’accordo transattivo con il Fisco di cui sopra, che viene omologato col decreto di autorizzazione.
- Concordato preventivo: Se le trattative evidenziano la necessità di un coinvolgimento di tutti i creditori e di una ristrutturazione più ampia, l’impresa può presentare domanda di concordato preventivo (in continuità o con liquidazione dei beni). Può farlo direttamente al termine della CNC, beneficiando anche di alcune corsie preferenziali previste dal Codice (coordinamento tra fasi). Spesso la CNC serve proprio a preparare un concordato “pre-negoziato”, aumentando le chance di approvazione perché molti creditori hanno già aderito informalmente al piano. I tribunali, in sede di omologa, tendono a valorizzare il fatto che la proposta concordataria sia frutto di una composizione negoziata riuscita, come indice di fattibilità e di consenso sostanziale acquisito. (Ad es. Tribunale di Parma, 26 maggio 2024, ha omologato un accordo di ristrutturazione ex art.57 scaturito da una CNC, sottolineando il ruolo decisivo dell’esperto nel comporre i dissidi e l’adesione qualificata ottenuta dai creditori).
- Concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio: Se le trattative falliscono e l’esperto attesta che non vi sono soluzioni in continuità praticabili, l’imprenditore – entro 60 giorni dalla chiusura della CNC – può presentare domanda di concordato semplificato ex art. 25-sexies CCII. Si tratta di una procedura speciale, riservata solo a questo caso, in cui l’azienda propone la liquidazione dei propri beni sotto controllo del tribunale, senza votazione dei creditori. È il tribunale che valuta la proposta e, se la ritiene più conveniente della liquidazione giudiziale, la omologa nonostante l’assenza di voto. I creditori possono solo presentare osservazioni, ma non approvano né respingono formalmente il piano. Il concordato semplificato è insomma uno strumento liquidatorio “d’emergenza”, concepito per evitare il fallimento quando la CNC non ha portato accordi ma c’è comunque un piano di realizzo da attuare. I primi decreti (Trib. Roma 15 novembre 2023, ad es.) hanno chiarito che nel semplificato il giudice verifica d’ufficio la convenienza del piano per i creditori rispetto all’alternativa fallimentare, e che esso è ammissibile solo se l’esperto ha attestato l’assenza di soluzioni in continuità. In tal modo si evita che il semplificato venga utilizzato surrettiziamente in casi dove si sarebbe potuto fare un concordato preventivo ordinario con voto.
- Liquidazione giudiziale (fallimento): se nessuna delle soluzioni sopra viene perseguita, oppure se durante la CNC sopravviene l’insolvenza conclamata, i creditori (o il PM) possono chiedere l’apertura della liquidazione giudiziale. La liquidazione giudiziale è la procedura concorsuale liquidatoria equivalente al vecchio fallimento (ne parleremo nell’analisi del Codice). Può accadere che, nonostante gli sforzi, l’impresa risulti non risanabile: in tal caso l’epilogo naturale è la sua messa in liquidazione nell’ambito concorsuale. Da notare che durante la CNC vige una limitata protezione dalla dichiarazione di insolvenza: finché sono concesse misure protettive, il tribunale di solito sospende l’istruttoria pre-fallimentare, ma se emergono elementi di insolvenza irreversibile l’istanza di fallimento può comunque essere valutata (specie a fronte di abuso o decorso del termine protetto).
In tutti i casi sopra, l’esperienza della composizione negoziata lascia tracce utili: la documentazione raccolta, i rapporti dell’esperto e gli esiti delle trattative costituiscono un patrimonio informativo prezioso. In caso di successiva procedura concorsuale, tali elementi aiuteranno a comprendere le cause del dissesto e ad accertare eventuali responsabilità degli amministratori. La CNC rappresenta dunque anche un momento di trasparenza: se il salvataggio non riesce, quanto emerso in questa sede facilita i passaggi successivi (per converso, se eventuali colpe gestionali affiorano, gli organi concorsuali ne terranno conto).
Ruolo degli organi di controllo interno
La riforma ha ribadito e accentuato gli obblighi di vigilanza e segnalazione posti a carico degli organi sociali di controllo (collegio sindacale/sindaco unico) e dei revisori contabili dell’ente. Già l’art. 2086 c.c., come modificato, impone agli amministratori di dotare la società di assetti adeguati e attuare rimedi alle prime avvisaglie di crisi. Il CCII, all’art. 25-octies, stabiliva che gli organi di controllo dovessero segnalare tempestivamente al CdA eventuali fondati indizi di crisi.
Nel 2024 questa norma è stata integrata su due fronti:
- Estensione ai revisori legali: ora anche il revisore contabile (o società di revisione) ha l’obbligo di segnalare per iscritto agli amministratori la sussistenza dello stato di crisi o insolvenza, ai fini dell’attivazione della CNC. Prima era richiesto solo ai sindaci, ora pure il revisore deve attivarsi se, nell’esercizio della sua funzione (ISA 570 – going concern), rileva situazioni tali da configurare uno stato di crisi. Ciò amplia il novero dei “sensori” interni.
- Tempistiche e responsabilità: è chiarito che l’obbligo di segnalazione sorge solo al concretizzarsi dello stato di crisi o insolvenza, non già alla mera presenza di indicatori premonitori. In altre parole, sindaci e revisori non devono inviare allerta per ogni difficoltà incipiente, ma solo quando vi siano elementi seri di crisi. Questo per evitare “falsi allarmi” lanciati solo per autotutela (il legislatore ha voluto evitare segnalazioni troppo anticipatorie e non utili). Inoltre, è specificato che la segnalazione si considera tempestiva se effettuata entro 60 giorni da quando l’organo di controllo (o il revisore) ha avuto conoscenza effettiva dello stato di crisi, purché abbia agito diligentemente. Dunque, ad esempio, se il bilancio evidenzia perdite gravi e i sindaci lo scoprono in una riunione, da quel momento scatta il termine di 60 giorni per segnalare, pena l’inadempimento. La tempestiva segnalazione – ricorda l’art. 25-octies – è valutata ai fini dell’esclusione o attenuazione di eventuali responsabilità dei controllori ex art. 2407 c.c. e art. 15 D.Lgs. 39/2010. Dunque, sindaci e revisori che segnalano nei tempi potranno andare esenti da responsabilità solidale per le aggravamento del dissesto successivo (se non dipeso da decisioni precedenti).
In pratica, l’iter di allerta interna è: i sindaci/revisori inviano al CdA una segnalazione scritta e motivata via PEC, indicando le circostanze di crisi e assegnando al massimo 30 giorni per riferire sulle azioni intraprese. Questo atto costituisce una sorta di “ultima chiamata” per gli amministratori: entro quel termine devono rispondere e adottare idonee contromisure (piani di rientro, ristrutturazione del debito, attivazione CNC, ecc.). Se il CdA non reagisce o non fornisce giustificazioni adeguate, l’organo di controllo potrà procedere a informare l’OCRI (Organismo di composizione della crisi) – laddove esistente – o comunque le autorità competenti, comunicando la situazione di persistente crisi. Come vedremo, l’OCRI era previsto dal Codice per gestire le procedure di allerta, ma la sua operatività è stata superata dalla CNC. Oggi, nella prassi, più che rivolgersi a un OCRI i sindaci stimolano direttamente l’imprenditore ad avviare la composizione negoziata. In ogni caso, il loro dovere di segnalazione rimane cruciale: omettere o ritardare l’allerta può comportare la perdita delle esenzioni di responsabilità e possibili azioni risarcitorie nei loro confronti.
(Approfondimento: l’OCRI – Organismo di Composizione della Crisi d’Impresa – era un ente istituito presso le Camere di Commercio nel CCII originario per ricevere le segnalazioni e gestire una procedura di allerta “assistita”. Tuttavia, la piena entrata in vigore dell’allerta esterna è stata più volte rinviata e poi di fatto sostituita dalla composizione negoziata nel 2021. Di conseguenza, oggi l’OCRI non ha un ruolo attivo nella crisi d’impresa delle società: le segnalazioni dei controllori interni rimangono circoscritte all’ambito societario e servono più che altro a spingere l’organo amministrativo ad attivarsi volontariamente. Le Linee guida ministeriali emanate con Decreto Dirigenziale 21 marzo 2023 forniscono istruzioni operative agli esperti CNC, includendo checklist di verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento e criteri uniformi di conduzione delle trattative, a testimonianza dell’approccio attuale focalizzato sulla soluzione negoziata piuttosto che sull’allerta “coattiva”).
Valutazione complessiva dello strumento (novità 2024–25)
A oltre tre anni dall’introduzione, e grazie ai correttivi 2022–2024, la composizione negoziata si presenta oggi come uno strumento moderno e allineato agli standard europei, capace di coniugare la libertà negoziale dell’impresa con adeguate garanzie per i creditori. Le modifiche normative recenti hanno: semplificato gli oneri documentali iniziali, rafforzato il ruolo e gli incentivi dell’esperto, migliorato i rapporti con le banche (introducendo il divieto di revoca dei fidi) e col Fisco (transazione fiscale), e dato certezza sulla prededucibilità dei finanziamenti. In parallelo, la giurisprudenza del 2024–2025 ha delineato un quadro di principi che rendono la CNC più credibile ed efficace: da un lato confermando i limiti per evitare abusi (no usi dilatori, rispetto dei diritti dei soci terzi), dall’altro estendendo le protezioni a favore delle imprese meritevoli (stop a escussioni di garanzie pubbliche, ordini di standstill alle banche, misure cautelari creative quando serve). Questo equilibrio consente all’impresa in crisi di avere qualche mese di respiro e supporto qualificato per giocarsi le ultime carte del risanamento, senza con ciò ledere irreparabilmente i diritti dei creditori (che restano salvaguardati dalla supervisione del tribunale e dalla limitata durata delle tutele).
Le statistiche in crescita confermano il boom di utilizzo della CNC nel biennio 2024–25. Molte imprese hanno scelto questa via nella fase post-pandemica e di rincari energetici: i dati Unioncamere indicano centinaia di istanze presentate e un tasso crescente di accordi raggiunti o concordati avviati con successo. Ad esempio, nel 2023-2024 circa 892 procedure si sono concluse senza accordo e di queste ben 109 (oltre il 12%) hanno comunque portato a un concordato semplificato, evitando il fallimento. Segno che, anche quando fallisce il risanamento, la CNC può fungere da “paracadute” guidato verso una liquidazione ordinata. Inoltre, diverse composizioni si sono chiuse con accordi di ristrutturazione omologati (Tribunale di Parma 2024, cit.), confermando l’utilità del percorso negoziale nel gettare le basi di soluzioni concordate.
In conclusione, la composizione negoziata – specie dopo le riforme del 2024 – rappresenta oggi un percorso privilegiato e altamente consigliabile per affrontare tempestivamente le difficoltà aziendali. Preserva la continuità dove possibile, promuove accordi volontari, e comunque predispone l’impresa a un’eventuale procedura successiva con maggiore trasparenza e ordine. La sua efficacia dipende molto dalla collaborazione attiva di imprenditore e creditori e dalle capacità dell’esperto. Ma il quadro normativo aggiornato fornisce ora gli strumenti giusti per incentivare tutti gli attori a sedersi al tavolo in maniera costruttiva e in buona fede.
Strumenti di Allerta Precoce e Prevenzione della Crisi
Uno degli elementi cardine della riforma è la predisposizione di strumenti di allerta volti a far emergere i segnali di crisi il prima possibile e ad attivare interventi tempestivi. Gli strumenti di allerta si distinguono in:
- Allerta “interna” (endogena): misure organizzative e obblighi di monitoraggio posti in capo all’impresa stessa e ai suoi organi di controllo, per rilevare squilibri e intervenire prontamente.
- Allerta “esterna” (esogena): segnalazioni che possono provenire da soggetti terzi qualificati (in particolare creditori pubblici come Fisco ed enti previdenziali) quando l’impresa accumula ritardi di pagamento oltre certe soglie.
In questa sezione vedremo come il Codice, specie dopo il correttivo del 2024, disciplina tali strumenti di prevenzione della crisi e quali indicatori e obblighi ne sono alla base.
Adeguati assetti organizzativi e indici di crisi
Il primo presidio è interno all’impresa: l’organizzazione aziendale stessa deve essere attrezzata per “allertarsi” da sola. L’art. 3 CCII (richiamando l’art. 2086 c.c.) impone a tutti gli imprenditori di dotarsi di “adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili” in relazione alla natura e dimensioni dell’impresa, idonei a rilevare tempestivamente gli indizi di crisi. Questo significa, in concreto: sistemi contabili accurati, controlli di gestione regolari, flussi informativi efficaci tra le varie funzioni, analisi periodiche di bilanci e cash flow prospettici. Per le società, ciò implica anche la nomina di organi di controllo (sindaci o revisori) quando previsto, che vigilino sull’andamento e segnalino eventuali problemi. Per gli imprenditori individuali, si traduce nella necessità di tenere almeno una contabilità di base e monitorare costantemente entrate/uscite e scadenze. L’assenza di assetti adeguati costituisce inosservanza di legge e può integrare culpa in vigilando degli amministratori (art. 2086 co.2 c.c.).
Il Codice della Crisi ha identificato alcune situazioni-indice che devono mettere in allarme gli organi sociali. In particolare, l’art. 3 comma 3 CCII elenca tre macro-indicatori di rischio:
- Squilibri di carattere patrimoniale o economico-finanziario, in relazione alle specifiche caratteristiche dell’impresa. Esempi: patrimonio netto negativo o in forte decremento, indebitamento eccessivo, carenza cronica di liquidità, margini operativi in caduta, ecc. Sono segnali che la struttura finanziaria è in tensione.
- Insostenibilità dei debiti nei successivi 12 mesi, cioè la previsione (plan finanziario) che i flussi di cassa prospettici non saranno sufficienti a onorare regolarmente le obbligazioni pianificate nell’anno successivo. Ad esempio, un Debt Service Coverage Ratio (DSCR) < 1 a sei mesi è un forte segnale di allerta: significa che si prevedono incassi insufficienti a coprire il servizio del debito in scadenza.
- Evidenze provenienti da strumenti di verifica esterni o prassi professionali, come risultanze negative da una check-list di controllo o da un test pratico di risanabilità predisposto da linee guida. Ad esempio, il Decreto Dirigenziale 2023 ha emanato una lista di controllo particolareggiata che l’esperto e l’imprenditore possono utilizzare per verificare la sostenibilità del risanamento. Se questa check-list segnala punti rossi (es. tutti gli indici di bilancio peggiorati, nessun piano credibile, ecc.), è un chiaro campanello d’allarme.
In aggiunta, l’art. 3 comma 4 (riscritto dal correttivo 2024) parla di “segnali di pre-crisi”: elementi di carattere prospettico che aiutano a prevedere la crisi prima che si manifesti. La Relazione illustrativa spiega che non si tratta di indicatori di una crisi già in atto, ma di elementi che hanno lo scopo di agevolare la previsione e soprattutto la prevenzione della crisi. In pratica, il legislatore spinge l’attenzione dal sintomo presente alla tendenza futura. Qualche esempio: flussi di cassa prospettici negativi, crescente ritardo nei pagamenti a fornitori e dipendenti, scostamento significativo dai budget previsionali, aumento anomalo dei crediti scaduti verso clienti (segno di difficoltà di incasso). Questi elementi – pur non indicando insolvenza attuale – suggeriscono che l’impresa va incontro a problemi e vanno intensificati i controlli.
La prassi professionale (CNDCEC, ecc.) ha individuato a sua volta indici numerici utili: ad esempio, un patrimonio netto negativo è di per sé un forte indice di crisi; un DSCR a 6 mesi < 1 (come detto); un MOL (EBITDA) che non copre gli oneri finanziari; oppure indicatori compositi settoriali (il CNDCEC aveva proposto nel 2019 indici differenziati per settore, poi rivisti causa pandemia). Anche senza un elenco rigido di legge, l’attenzione va posta su tutti quei parametri che mostrano deterioramento dei fondamentali aziendali. Dal 2022, inoltre, sono state introdotte soglie esterne (di cui ora diremo) legate ai creditori pubblici, che fungono da indicatori aggiuntivi: se l’azienda accumula debiti fiscali e contributivi oltre certe soglie, significa che è verosimilmente in crisi e ciò “innesca” le segnalazioni esterne.
In sintesi, l’impresa deve attivare un monitoraggio continuo sulla propria salute. I suoi amministratori e controller devono interrogarsi periodicamente: la nostra liquidità coprirà i prossimi 6-12 mesi? Abbiamo indicatori di allerta accesi? Se sì, l’art. 3 impone di prendere subito le contromisure necessarie (nuovo piano industriale, taglio costi, ricerca capitali freschi, cessione asset non strategici) e, se del caso, avviare una procedura come la CNC o l’accordo di ristrutturazione per affrontare la crisi in maniera sistematica. L’inerzia è sanzionata: oltre al rischio di aggravare il dissesto (con responsabilità anche penali e civili per gli amministratori), il CCII ha introdotto meccanismi premiali/punitivi per incoraggiare l’azione tempestiva. Ad esempio, la tempestiva attivazione di uno strumento di regolazione della crisi può attenuare eventuali responsabilità per mala gestio, mentre l’omessa adozione di misure può precludere i cosiddetti “benefici premiali” (come l’esenzione da alcune sanzioni o la non punibilità per alcuni reati fallimentari minori, concessi a chi chiede concordato tempestivamente). Di questo si dirà nella parte finale sulle fonti normative.
Segnalazioni esterne dei creditori pubblici qualificati
Accanto all’allerta interna, il Codice prevede un meccanismo di allerta esterna affidato ai cosiddetti “creditori pubblici qualificati”, cioè gli enti la cui posizione creditoria verso l’impresa è misurabile in modo oggettivo e periodico: Agenzia delle Entrate, INPS, INAIL, Agente della Riscossione. L’idea è che gravi inadempimenti fiscali o contributivi siano un sintomo tangibile di crisi e che tali enti debbano segnalarli all’impresa (e ai suoi controllori) affinché si corra ai ripari.
Questo sistema di allerta pubblica, inizialmente legato all’OCRI, è stato rivisto e reso operativo a partire dal 2022 (anche nell’ambito del PNRR). Più che una denuncia all’OCRI, oggi consiste in una comunicazione formale all’imprenditore e al collegio sindacale che invita a reagire avviando la composizione negoziata. Vediamo le soglie di segnalazione fissate dalla legge (art. 25-novies CCII e norme collegate):
- INPS: se un’impresa accumula contributi previdenziali (e assistenziali) scaduti da oltre 90 giorni e non versati, per un importo superiore a €15.000 e contemporaneamente oltre il 30% del totale contributi dovuti nell’anno precedente (nel caso di impresa con dipendenti). Per le imprese senza dipendenti (es. ditte individuali dove l’unico contributo è quello fisso), la soglia è debiti > €5.000. Se queste condizioni sono superate, l’INPS deve inviare una segnalazione. (Esempio: Alfa Srl nel 2024 ha contributi dovuti per €50.000; se a fine anno ha €20.000 non pagati da oltre 3 mesi, questi rappresentano il 40% del dovuto e superano 15k, quindi scatta la segnalazione.)
- INAIL: per i premi assicurativi obbligatori (assicurazione infortuni), la soglia è debiti scaduti > 90 giorni per oltre €5.000. Importo modesto, pensato per intercettare inadempimenti anche di PMI.
- Agenzia delle Entrate (IVA): il legislatore ha individuato nell’IVA un indicatore importante (perché l’IVA non versata è spesso indice di tensione di liquidità). La soglia: debito IVA risultante dalle comunicazioni periodiche trimestrali, scaduto da oltre 90 giorni e superiore a €5.000, quando tale importo supera il 10% del fatturato dell’anno precedente. In ogni caso, se l’importo scaduto IVA > €20.000, scatta la segnalazione anche a prescindere dal rapporto col fatturato. Questo doppio criterio evita di segnalare un debito minimo in una grande azienda (ad es. 6k € per un’impresa con fatturato 10 milioni è trascurabile, sotto 10% e sotto 20k) ma intercetta le PMI per cui 5k sono rilevanti. La verifica avviene ad ogni trimestre: l’Agenzia controlla le LIPE (Liquidazioni Periodiche IVA) e se rileva l’anomalia invia lettera.
- Agenzia Entrate – Riscossione (AER): riguarda i carichi affidati all’agente della riscossione (ex Equitalia) scaduti. La soglia qui è più alta e differenziata per forma giuridica: cartelle esattoriali scadute da oltre 90 giorni per più di €100.000 se impresa individuale, €200.000 se società di persone, €500.000 se società di capitali. Sono importi elevati, pensati per segnalare accumuli di debiti fiscali importanti (es. imposte dirette non versate, contributi non versati già iscritti a ruolo, ecc.). A partire dal 1° luglio 2022, l’AER monitora questi superamenti.
Procedura di segnalazione: i creditori pubblici, verificato lo sforamento delle soglie, inviano entro 60 giorni una comunicazione via PEC all’impresa (all’indirizzo PEC ufficiale) e, contestualmente, al presidente del collegio sindacale (o sindaco unico) della società. Nella lettera indicano: l’importo del debito scaduto, le norme di legge, e soprattutto invitano formalmente l’imprenditore a presentare entro 90 giorni domanda di composizione negoziata (o comunque ad attivare uno strumento di regolazione). È un invito pressante a prendere atto della gravità della situazione e a reagire usando gli strumenti offerti dal Codice. Dalla ricezione di questa segnalazione, l’azienda è ufficialmente “in allerta”: sa di avere un problema conclamato, segnalato anche a chi vigila internamente, e ha l’opportunità (oltre che l’onere morale) di attivarsi. Può ovviamente anche cercare di regolarizzare il debito (pagando o rateizzando) entro 30 giorni per “spegnere” l’allerta. Se lo fa, deve comunicarlo agli enti segnalanti e al collegio sindacale, così la situazione rientra. Se invece non è in grado di saldare, fare nulla equivarrebbe a ignorare un grave segnale.
Conseguenze dell’inerzia: il Codice prevedeva originariamente misure sanzionatorie se questi enti non segnalavano o se l’impresa ignorava la segnalazione. In particolare, si era previsto (art. 25-novies co.3) che la mancata attivazione della procedura di allerta da parte degli enti avrebbe comportato la postergazione dei loro crediti per interessi e sanzioni nelle procedure concorsuali successive. Tali misure sanzionatorie sono state in parte riviste. Oggi i “creditori pubblici qualificati” sono tenuti a segnalare (la legge dice “segnalano”, indicando un obbligo) e, se non lo fanno, potrebbero subire rilievi dalla Corte dei Conti per mancata attivazione di strumenti di recupero. Per l’impresa, il fatto di non attivarsi dopo la segnalazione può incidere negativamente: ad esempio, in sede di fallimento, gli amministratori che hanno ignorato gli allarmi rischiano di non poter invocare attenuanti e di subire azioni per aggravamento del dissesto. Al contrario, se l’impresa accede entro 90 giorni alla composizione negoziata o altro strumento, può giovarsi di alcune esenzioni (es. riduzione delle sanzioni fiscali per tardivo pagamento, non applicazione di interessi di mora su tributi durante la procedura, ecc. – le cosiddette “misure premiali”). Il sistema quindi crea un incentivo: reagire all’allerta conviene, procrastinare peggiora solo le cose.
In conclusione, le segnalazioni esterne di INPS, Agenzia Entrate ecc. fungono da campanello d’allarme istituzionale. L’impresa riceve una sorta di “lettera di compliance” molto severa: “Sappiamo che sei in arretrato pesante, ti consigliamo vivamente di attivare la procedura X”. Ciò colma il classico ritardo nell’emersione delle crisi, spesso visibile per prima proprio dal mancato versamento di IVA o contributi.
(Da notare: inizialmente l’allerta esterna doveva entrare in vigore già nel 2020, poi è stata sospesa causa pandemia. È partita il 15 luglio 2022 in parallelo all’avvio del Codice. Il D.L. 152/2021 PNRR ha definito queste soglie “soft”, orientate a valorizzare l’autonomia privata. In effetti il sistema è meno invasivo di come concepito in origine (dove i creditori pubblici avrebbero dovuto attivare d’ufficio l’OCRI, con convocazione coatta dell’imprenditore). Oggi invece c’è un invito formale: sta poi all’imprenditore muoversi. Se non lo fa, non c’è un intervento coatto immediato – non esiste più la “composizione assistita” obbligatoria gestita dall’OCRI. Si lascia quindi margine alla responsabilità dell’imprenditore.)
Altri “segnali” e ruolo delle banche
Un cenno merita il ruolo del sistema bancario nel rilevare precocemente segnali di crisi. Le banche non hanno un obbligo di segnalazione analogo a quello degli enti pubblici (nessuna norma le obbliga a denunciare l’impresa in difficoltà). Tuttavia, sono previste alcune forme di cooperazione informativa: ad esempio, la legge ha incoraggiato lo scambio di informazioni tra banche e Agenzia delle Entrate sull’esposizione complessiva dell’impresa. Inoltre, in passato era stata valutata l’idea di includere le banche tra i segnalatori qualora rescindessero i rapporti per “merito creditizio deteriorato”. Nella configurazione attuale, le banche segnalano solo indirettamente: quando decidono di non rinnovare fidi o di classificare l’azienda a sofferenza lo comunicano in Centrale Rischi, il che è di dominio delle autorità e spesso noto anche all’impresa stessa (che vede chiudersi i rubinetti). Più che segnalare formalmente, alle banche è oggi richiesto – come visto – di collaborare attivamente in caso di composizione negoziata in corso, fornendo dati e astenendosi da iniziative che possano aggravare la crisi.
Esiste però un caso particolare: l’art. 25-decies CCII stabilisce che se una banca revoca improvvisamente gli affidamenti a un’impresa rilevandone rischi di insolvenza, deve avvisare senza ritardo il collegio sindacale o il revisore. Questa norma, introdotta anch’essa col correttivo 2024, mira a fare in modo che eventuali segnali “forti” colti dalla banca (ad esempio sconfinamenti gravi, insoluti ripetuti) vengano partecipati agli organi di controllo interni. Di fatto, funziona così: se un intermediario vigilato decide di interrompere i rapporti per ragioni creditizie, è buona prassi che lo comunichi ai sindaci. La norma parla di segnalazione “senza ritardo” (solitamente entro 60 giorni dall’evento). Questo consente ai sindaci di avere un ulteriore campanello e, a loro volta, stimolare l’azienda a reagire. Certo, non sempre le banche adempiono spontaneamente a ciò, ma la previsione c’è.
Inoltre, il quadro normativo incoraggia la leale collaborazione tra tutti gli stakeholders: il correttivo-ter ha ribadito un dovere generale di “condotta secondo buona fede e correttezza” per creditori e debitore nell’ambito delle procedure di regolazione. Questo implica che le banche (come i fornitori maggiori) dovrebbero evitare comportamenti opportunistici (es. accelerare azioni esecutive individuali sapendo che l’impresa sta cercando un accordo). Ovviamente ognuno tutela i propri interessi, ma l’orientamento culturale promosso è di favorire soluzioni di insieme. Non a caso, una banca che ignorasse la CNC e aggredisse un bene violando le misure protettive incorrerebbe in nullità dell’atto e possibili sanzioni.
Conclusione sugli strumenti di allerta
L’apparato di prevenzione disegnato dal Codice è complesso ma coerente: da dentro l’impresa (assetti adeguati, controlli interni) e da fuori (segnalazioni dei creditori pubblici e comportamenti vigilati delle banche) arrivano impulsi che dovrebbero convergere nel sollecitare l’imprenditore a non attendere il tracollo. La finalità ultima è “scongiurare l’insolvenza”, come recita la Raccomandazione UE 2014, massimizzando il valore per tutti gli stakeholder. Se l’allerta funziona, l’impresa “si sveglia” e intraprende per tempo una ristrutturazione (che sia CNC, accordo o concordato). Se non funziona e si arriva comunque all’insolvenza, almeno si sarà creata traccia delle omissioni, utili per valutare responsabilità e magari per escludere taluni benefici (ad esempio nel fallimento non si applicano le esenzioni dalle azioni revocatorie se l’accesso ad uno strumento regolatore è avvenuto troppo tardi).
Va infine segnalato che l’approccio italiano è stato reso volutamente “soft” rispetto al modello originario: non c’è un’autorità che impone la soluzione, ma piuttosto un sistema di inviti, obblighi informativi e incentivi/disincentivi. Questa scelta è in linea con la tendenza europea di evitare stigmi eccessivi e di non aggravare le imprese in difficoltà con procedure pubbliche forzose (soprattutto alla luce dell’emergenza Covid, che ha consigliato prudenza nell’attivare allarmi). Il risultato è un equilibrio: chi vuole salvarsi ha ora tutti gli strumenti e le informazioni per farlo; chi persevera nell’inerzia ne subirà le conseguenze quando poi la crisi sfocerà nell’insolvenza conclamata.
Concordato Preventivo
Il concordato preventivo è la procedura concorsuale attraverso cui un imprenditore in crisi o insolvenza tenta di trovare un accordo con tutti i creditori sotto la supervisione del tribunale, evitando la più traumatica liquidazione fallimentare. Si tratta dello strumento di regolazione della crisi giudiziale per eccellenza, la cui funzione è consentire il risanamento dell’impresa (concordato in continuità) oppure, se il risanamento non è possibile, effettuare una liquidazione dei beni più efficiente e concordata rispetto al fallimento (concordato liquidatorio).
Il concordato ha origini antiche (era già previsto dalla Legge Fallimentare del 1942), ma ha subito profonde evoluzioni: dalle riforme del 2005-2007 (che hanno eliminato requisiti come il pagamento minimo del 40% ai chirografari) fino al nuovo Codice della Crisi, che lo disciplina agli artt. 84–120 CCII. La piena entrata in vigore nel luglio 2022 e i correttivi successivi (D.Lgs. 83/2022 e 136/2024) ne hanno ulteriormente modificato alcuni aspetti, introducendo anche novità come il “cram-down” interclassi (omologa forzata nonostante il dissenso di talune classi di creditori). Esaminiamo dunque il funzionamento attuale del concordato preventivo, distinguendo tra le due forme principali (continuità vs liquidatorio), e soffermandoci sulle novità più recenti.
Tipologie di concordato: continuità aziendale vs liquidatorio
Il CCII prevede formalmente un’unica procedura di concordato preventivo, ma di fatto distingue tra:
- Concordato in continuità aziendale (art. 84 co.2 CCII): quando nel piano è prevista la continuità dell’attività d’impresa, ossia l’azienda prosegue l’esercizio (in capo al debitore stesso o mediante un affittuario o un acquirente dell’azienda). La continuità può essere diretta (il debitore rimane in sella e ristruttura) oppure indiretta (il piano prevede la cessione o conferimento dell’azienda ad un soggetto terzo che la proseguirà, garantendo comunque la salvaguardia dei valori produttivi). Esempio: concordato con continuità indiretta è il caso in cui Tizio S.p.A. chiede il concordato finalizzato a vendere il suo ramo d’azienda sano a Alfa S.r.l., che ne manterrà l’attività e i dipendenti – così i creditori di Tizio saranno pagati col ricavato ma l’attività non muore. Nel concordato in continuità il legislatore mira a favorire il risanamento piuttosto che la liquidazione: sono ammesse anche ristrutturazioni profonde (taglio debiti, modifica contratti, ecc.) purché l’azienda resti “viva”.
- Concordato liquidatorio (art. 84 co.3 CCII): quando il piano prevede esclusivamente la cessazione dell’attività e la liquidazione del patrimonio del debitore per soddisfare i creditori. In sostanza è una liquidazione concorsuale concordata, dove l’imprenditore offre ai creditori i propri beni (o i loro proventi) secondo un piano e li paga in percentuale. Ad esempio, concordato liquidatorio classico è quello dove si vendono immobili e macchinari e con il ricavato si paga (in % concordata) ogni creditore. Il concordato liquidatorio nel CCII ha regole più stringenti per tutela dei creditori: ad esempio, è richiesto per legge che offra un pagamento minimo del 20% ai creditori chirografari (cioè gli unsecured), salvo che i creditori rinuncino a tale soglia. Inoltre, non può di regola beneficiare di certe esenzioni tributarie previste invece per concordati di risanamento.
(Nota: il CCII contempla anche un “concordato misto” quando solo parte dell’azienda prosegue e parte viene liquidata, ma in genere si ricade nella categoria prevalente – se la continuità riguarda una parte sostanziale, si applicano le norme del concordato in continuità, altrimenti si considera liquidatorio.)
Le differenze pratiche: nel concordato in continuità non vige più (dal 2007) alcun obbligo di pagamento minimo ai chirografari, proprio perché si punta a massimizzare il valore nel tempo tramite la prosecuzione d’impresa. Invece nel liquidatorio la soglia del 20% serve a evitare concordati liquidatori con soddisfazione simbolica troppo bassa (in tal caso meglio il fallimento). Inoltre, il concordato in continuità può prevedere il pagamento dilazionato dei creditori privilegiati oltre un anno (se il piano lo giustifica, es. banca ipotecaria che continua ad essere pagata secondo il piano), mentre nel liquidatorio i creditori privilegiati vanno soddisfatti in denaro entro il termine di esecuzione del piano o, se non integralmente, devono almeno ricevere subito quanto avrebbero avuto in caso di liquidazione fallimentare dei beni su cui hanno privilegio (regola del “trattamento non deteriore”).
Procedura: domanda, ammissione e votazione
Chi può proporre il concordato: la domanda di concordato preventivo può essere proposta esclusivamente dall’imprenditore debitore (a differenza della liquidazione giudiziale, che può essere chiesta anche da creditori o d’ufficio dal PM). Non è ammessa proposta da terzi o concordato “forzoso” su istanza altrui. L’imprenditore dev’essere soggetto fallibile (ossia non un ente escluso come enti pubblici, o micro-impresa sotto le soglie salvo ora che le soglie non operano più: infatti dal 2022 la distinzione tra fallibili e non fallibili è caduta, quindi anche una piccola impresa sovraindebitata può accedere al “concordato minore” – procedura simile al concordato preventivo ma semplificata). In generale, le società e ditte sopra-soglia seguono il concordato preventivo ordinario; le imprese minori possono oggi accedere ad una procedura analoga ma con alcune semplificazioni (fuori da questa trattazione, ci limitiamo a indicarlo come concordato minore).
Domanda “completa” o “in bianco”: Il debitore può presentare ricorso di concordato completo di piano, proposta e documentazione (bilanci, elenco creditori, inventario beni, relazione del professionista attestatore sulla fattibilità e convenienza del piano). In alternativa, se ha urgente bisogno delle protezioni ma il piano non è ancora definitivo, può presentare una domanda con riserva (il cosiddetto concordato in bianco, art. 44 CCII): in tal caso deposita almeno i bilanci e un abbozzo di piano, e chiede al tribunale un termine (fino a 60-120 giorni) per depositare la proposta e i documenti mancanti. Il tribunale, se accoglie la domanda in bianco, dichiara aperta la procedura e concede il termine, nominando un commissario giudiziale provvisorio. Durante questo periodo l’impresa gode delle misure protettive automatiche (stay delle azioni esecutive) e prepara il piano definitivo. Questa prassi è frequente per guadagnare tempo ed evitare assalti dei creditori mentre si perfeziona ad esempio un accordo di investimento, una vendita di ramo d’azienda, ecc. Tuttavia, la legge scoraggia l’abuso del concordato in bianco: il giudice può revocare la protezione se il debitore abusa del differimento, e il correttivo 2024 ha confermato la possibilità per il tribunale di esigere una cauzione al debitore a garanzia delle spese della procedura quando concede il termine.
Ammissione e apertura della procedura: Una volta depositato il piano e la proposta, il tribunale svolge una prima verifica di ammissibilità: controlla la presenza di tutta la documentazione richiesta e l’adempimento dei requisiti legali (ad es. per i concordati liquidatori che la percentuale minima ai chirografari sia rispettata, o che la relazione attestatrice sia completa). Se tutto è in regola, con decreto dichiara aperta la procedura di concordato preventivo, nomina un Giudice Delegato e un Commissario Giudiziale (figura di controllo e ausilio del giudice), e fissa l’adunanza dei creditori per la votazione. Il decreto viene comunicato a tutti i creditori e pubblicato nel RI, e da quel momento le eventuali procedure esecutive individuali restano sospese (lo stay concorsuale).
Classi di creditori e proposte concorrenti: Il debitore, nel suo piano di concordato, deve generalmente suddividere i creditori in classi omogenee se intende trattarli in modo differenziato (criterio per classi: creditori con posizione giuridica ed economica simile). Nel concordato in continuità la formazione di classi è obbligatoria, salvo il caso in cui si offra lo stesso trattamento a tutti i chirografari. Questo perché nei piani di ristrutturazione è frequente proporre percentuali diverse a seconda delle categorie (es. banche vs fornitori piccoli). Nel concordato liquidatorio la classificazione è facoltativa (il debitore potrebbe metterli tutti in un’unica classe se li tratta in modo uniforme). La ragione delle classi è anche funzionale al nuovo voto per classi (vedi oltre). Il debitore può altresì prevedere che alcuni beni siano destinati a soddisfare solo una certa classe (patrimonio destinato).
Una novità importante del CCII (art. 90) è la possibilità – in caso di concordato in continuità con apporti di terzi – che soci o terzi presentino proposte concorrenti se la proposta del debitore non soddisfa almeno il 30% dei chirografari. Tuttavia, ciò è complesso e in pratica non comune: è una sorta di “gara” tra piani, pensata per evitare proposte al ribasso. Rileviamo solo che esiste ma non entriamo nel dettaglio per brevità.
Votazione dei creditori: La fase cruciale è l’adunanza dei creditori, in cui questi votano sull’accettazione del concordato. Ogni classe vota separatamente. Per l’approvazione, il concordato richiede il voto favorevole dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto (quindi >50% in valore) in ciascuna classe. Diversamente dalla vecchia legge, il CCII – prima del correttivo 2024 – richiedeva l’unanimità delle classi: tutte le classi costituite dovevano approvare, altrimenti il concordato in continuità non poteva essere omologato. In pratica bastava il “no” di una classe per bloccare tutto, salvo il meccanismo del “cram-down fiscale” se l’unica classe dissenziente era quella erariale (lo vediamo tra poco). Nel concordato liquidatorio, invece, se si formano classi, non c’era l’obbligo di unanimità (perché non richiesto l’articolazione rigida in classi se non necessaria): bastava la maggioranza semplice dei crediti sul totale dei votanti (un po’ come nel fallimentare ante riforma).
Cram-down (omologa forzata): Novità 2022-2024: per recepire la direttiva UE, è stata introdotta la possibilità di ottenere l’omologazione di un concordato anche in presenza di classi dissenzienti (cross-class cram down). Inizialmente, l’art. 112 CCII (come modificato dal D.Lgs. 83/2022) prevedeva che il tribunale potesse omologare ugualmente un concordato in continuità se: (i) almeno una classe di creditori “rilevante” aveva votato sì; (ii) i creditori dissenzienti non ottenevano meno di quanto avrebbero avuto in liquidazione (principio della convenienza); (iii) la proposta non discriminava ingiustamente le classi dissenzienti. Tuttavia, il testo generava dubbi. Il Terzo Correttivo 2024 ha riscritto l’art. 112 co.2 CCII, codificando chiaramente le condizioni del cram-down. Ora, se una o più classi votano no ma almeno una classe di creditori (diversa da eventuali classi di soci) ha votato sì, il debitore può chiedere al tribunale di omologare comunque, a patto che:
- Ai creditori delle classi dissenzienti sia assicurato un trattamento non inferiore a quello che otterrebbero in caso di liquidazione giudiziale (principio del best interest test);
- La proposta rispetti eventuali regole di priorità relative stabilite dalla legge (in pratica, non discrimini ingiustificatamente le classi: ad es., se una classe subordinata prende qualcosa mentre una classe prioritaria dissenziente verrebbe pagata meno della propria percentuale, non sarebbe equo);
- Se tra i dissenzienti c’è l’Erario o enti previdenziali, il loro voto negativo può essere superato solo se la soddisfazione proposta verso di loro è almeno pari al 20% del credito chirografario oppure non inferiore a quanto otterrebbero in liquidazione e comunque non inferiore a quella delle altre classi chirografe dissenzienti (in altre parole, serve una soglia minima per non far subire al Fisco tagli eccessivi se è in minoranza). Questa condizione di “cram-down fiscale” è in parte evoluzione di quanto già introdotto dal 2020 (art. 180 LF e poi art. 88 CCII) che consentiva di approvare il concordato anche senza il voto del Fisco quando la sua proposta era più conveniente del fallimento. Ora si è generalizzato il meccanismo a tutte le classi, non solo quella fiscale, purché per i concordati in continuità.
Riassumendo: oggi un concordato in continuità può essere omologato anche se non tutte le classi approvano, superando quella che prima era una preclusione assoluta del dissenso di una classe. È una delle novità più rilevanti del biennio 2022-2024. Ad esempio, se ci sono tre classi (A: banche, B: fornitori chirografari, C: subordinati) e la classe B vota no mentre A e C sì, prima ciò avrebbe impedito l’omologa; ora il tribunale può comunque omologare se ritiene soddisfatte le condizioni (classe B – dissenziente – prende almeno quanto in fallimento, non è trattata peggio di C che è subordinata, ecc.). Questa flessibilità è bilanciata dal controllo giudiziale di merito molto rigoroso.
Importante: il cram-down interclassi si applica solo al concordato in continuità aziendale. Per i concordati liquidatori, l’unanimità delle classi non era richiesta e tuttora il regime è più rigido: se la maggioranza di tutti i crediti non approva, il concordato liquidatorio non passa (qui non c’è volontà di forzare la mano perché in caso di dissenso meglio la liquidazione fallimentare). In pratica, l’innovazione del cram-down è funzionale a favorire i piani di ristrutturazione con continuità, in linea con la direttiva UE.
Omologazione: Dopo il voto (o l’eventuale richiesta di cram-down), il tribunale tiene l’udienza di omologa. Se la maggioranza (o le condizioni di cram-down) è raggiunta e non vi sono opposizioni fondate da parte di creditori dissenzienti, il giudice omologa il concordato con decreto, rendendolo vincolante per tutti i creditori anteriori, anche quelli che non hanno votato o hanno votato contro. In caso di opposizioni, il tribunale decide su di esse verificando che il piano sia fattibile e conveniente per i creditori dissenzienti rispetto all’alternativa liquidatoria (è questa la principale valutazione: la convenienza comparativa). Se le opposizioni vengono respinte e i requisiti formali sono rispettati, si procede all’omologa. Dal momento dell’omologa, il concordato preventivo diventa efficace: il debitore è vincolato ad eseguire il piano nei tempi e modi stabiliti, sotto la vigilanza di un Commissario (che di solito diventa Liquidatore giudiziale se trattasi di concordato liquidatorio).
Esecuzione e chiusura: L’esecuzione può durare anche anni (specie se c’è continuità pluriennale). I creditori ricevono i pagamenti secondo le percentuali e scadenze del piano. Se il debitore adempie integralmente, il tribunale dichiara la chiusura del concordato e l’impresa prosegue senza più vincoli concorsuali. Se invece il debitore non rispetta il piano, su istanza dei creditori o d’ufficio si può aprire la risoluzione del concordato e, in genere, viene dichiarata la liquidazione giudiziale (fallimento). Pertanto, il concordato è un patto “sotto condizione”: i creditori rinunciano a parte dei crediti confidando che l’impresa attui il piano; se ciò non avviene, si torna al percorso liquidatorio usuale. La legge prevede anche la possibilità di modifiche al concordato in continuità omologato (cd. concordato in esecuzione), in caso di sopravvenienze che ne impediscano l’attuazione, ma si tratta di fattispecie complesse che non approfondiamo qui.
Aspetti fiscali e previdenziali nel concordato (transazione fiscale e contributiva)
Un elemento spesso decisivo in un concordato è il trattamento dei crediti fiscali e contributivi. Questi crediti per legge godevano di privilegi (per imposte IVA, ritenute, contributi) e fino al 2017 non potevano essere falcidiati (ridotti) nel concordato se non pagando integralmente la parte privilegiata. Ciò rendeva arduo il risanamento quando c’erano grossi debiti tributari/previdenziali.
Evoluzione normativa: Nel 2015-2017 la norma è cambiata: si è ammessa la possibilità di trattamento falcidiato anche dei tributi con privilegio e dell’IVA, purché attraverso lo strumento della transazione fiscale (art. 182-ter LF, ora art. 63 CCII). In pratica, il debitore può proporre nel piano di concordato il pagamento parziale delle imposte (comprese IVA e ritenute, che prima erano intoccabili) e dei contributi, a condizione di offrire almeno quanto otterrebbero in liquidazione. La proposta va corredata da una relazione di un professionista attestatore che certifichi la convenienza per l’Erario rispetto all’alternativa liquidatoria. Le Agenzie fiscali e gli enti previdenziali votano in una classe separata (la classe dei crediti pubblici) e possono accettare o rifiutare la proposta. Se accettano, la transazione è approvata insieme al concordato; se rifiutano, in passato ciò equivaleva a voto contrario vincolante.
Cram-down fiscale: Per evitare che un rifiuto del Fisco irragionevole facesse saltare concordati vantaggiosi, il legislatore (L. 3/2019 e L. 159/2020) ha introdotto prima nella LF e poi nel CCII il meccanismo del cram-down fiscale: se la classe erario/previdenza è l’unica dissenziente, il tribunale può considerarla come approvante ai fini del quorum, purché la proposta di pagamento di quei crediti pubblici sia conveniente rispetto alla liquidazione. In altre parole, il giudice può omologare il concordato anche senza il voto favorevole di Agenzia Entrate/INPS, se è dimostrato che quel concordato offre al Fisco almeno quanto il Fisco otterrebbe dal fallimento del debitore. Questo è stato un cambio di paradigma importante: l’Erario non ha più un potere di veto assoluto, se il piano è oggettivamente migliorativo per esso.
Con la riforma cross-class del 2024, come visto, il cram-down è stato esteso: ora vale per qualsiasi classe dissenziente, non solo quella pubblica, nel concordato in continuità. Ma di fatto, per i debiti fiscali e contributivi resta una disciplina specifica: la legge impone comunque che al Fisco non si dia meno del 5% (nel senso che non si può azzerare totalmente un debito fiscale salvo la liquidazione non dia nulla). Inoltre, in giurisprudenza è stato affermato (Cass. SSUU 8500/2021) che il tribunale deve verificare con rigore la convenienza e dare chance al Fisco di riesaminare la proposta prima di procedere al cram-down.
In sede di concordato, dunque, il ruolo del Fisco e degli enti previdenziali è particolare: viene nominato un Commissario Giudiziale, ma l’Agenzia Entrate spesso interviene attivamente valutando la proposta. Dal 2023, a seguito anche della CNC, l’Agenzia ha mostrato apertura maggiore verso dilazioni lunghe (fino a 120 rate) e stralci di sanzioni. Il CCII ha introdotto misure premiali fiscali: ad esempio, se il concordato va a buon fine, il debitore può ottenere l’esenzione da alcune sanzioni tributarie o la rateizzazione lunga, come previsto dall’art. 48 CCII e dall’art. 63 (transazione).
Debiti previdenziali: analogamente, l’INPS e INAIL possono essere falcidiati attraverso la transazione contributiva (ora unificata con quella fiscale nell’art. 63). Anche qui vale il cram-down se dissenzienti. Un limite era che, in mancanza di transazione formale, i contributi non potevano subire riduzione del capitale (solo interessi e sanzioni). Ora invece con la transazione contributiva si può proporre di pagare parzialmente anche il capitale contributivo, fermo restando il parametro della convenienza. Cassazione SU n. 120/2020 chiarì che l’INPS può subire falcidia in concordato se è soddisfatto il best interest test. Dunque oggi, in concordato, tutti i crediti verso PA (tributari e contributivi) possono essere trattati come gli altri: l’importante è che se votano contro ma la proposta era migliore del fallimento, il giudice li può cramdownare.
(Aggiornamento 2024: con il Terzo Correttivo, come visto, è stata introdotta la transazione fiscale già nella composizione negoziata, ma restano esclusi contributi in sede stragiudiziale. Ciò rende ancor più centrale il concordato per risolvere pendenze contributive, qualora l’INPS non possa ridurre i crediti se non in questa sede formale.)
Concordato semplificato post-CNC
Come accennato parlando della composizione negoziata, il CCII contempla un tipo particolare di concordato – detto “concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio” (artt. 25-sexies e 25-septies). È un istituto innovativo, introdotto con D.L. 118/2021 e confermato nel Codice, riservato esclusivamente all’impresa che abbia prima tentato la composizione negoziata senza successo. In tale eventualità, l’imprenditore può chiedere entro 60 giorni al tribunale di omologare un concordato di sola liquidazione dei suoi beni, senza passare dal voto dei creditori.
Le caratteristiche: il piano deve prevedere il miglior soddisfacimento dei creditori rispetto al fallimento (e il tribunale lo valuta d’ufficio), e deve essere attestato dall’esperto CNC che non esistono soluzioni in continuità praticabili. I creditori possono presentare osservazioni ma non c’è un voto formale. Il tribunale, sentiti eventualmente i creditori più importanti e il commissario giudiziale (che comunque viene nominato), decide se omologare o no. Se omologa, si procede alla liquidazione dei beni sotto supervisione del commissario (che diventa liquidatore). Questa procedura è stata pensata come “via d’uscita” rapida nel caso in cui la CNC evidenzi che l’azienda è decotta ma abbia ancora risorse da liquidare in modo ordinato: con il semplificato si risparmiano i tempi del voto e si possono vendere i beni subito, spesso seguendo già le interlocuzioni avute nella CNC (es. un potenziale acquirente per un immobile individuato durante le trattative).
I primi casi pratici si sono visti nel 2023 (il Tribunale di Roma, decreto 15/11/2023, sopra citato, ha omologato un concordato semplificato di una PMI). La giurisprudenza conferma che: i) il semplificato non può avere continuità (deve essere liquidatorio puro, altrimenti bisognava fare un concordato ordinario); ii) il controllo di merito del giudice è stringente sulla convenienza per i creditori; iii) è una soluzione eccezionale, riservata solo a chi ha veramente tentato la negoziazione senza sbocchi. Il legislatore, infatti, ha voluto evitare che imprese direttamente insolventi saltassero la fase di voto: devono passare per la CNC per guadagnarsi questa scorciatoia.
In sintesi, il concordato semplificato è un utile strumento per chi – dopo aver cercato un accordo in buona fede – deve arrendersi alla liquidazione, ma vuole comunque evitare le lungaggini e lo stigma del fallimento. Permette di chiudere dignitosamente l’impresa, vendendo i beni e distribuendo il ricavato, sotto controllo giudiziale ma senza arrivare all’udienza dei creditori (che in situazioni disperate sarebbe solo una formalità).
(Va evidenziato che il concordato semplificato non è soggetto a votazione: questo ha sollevato dubbi di costituzionalità (per possibile lesione del diritto di voto dei creditori). Tuttavia, essendo un’opzione volontaria del debitore e potendo i creditori opporsi in sede di omologa, finora tale assetto ha retto. Si tratta comunque di casi numericamente contenuti.)
Concordato e continuità aziendale: prassi giurisprudenziali 2024–25
Dopo l’entrata in vigore del Codice, i tribunali hanno iniziato ad applicare i nuovi istituti del concordato. Possiamo segnalare alcune pronunce di merito significative:
- Criteri di omologazione forzata: Il Tribunale di Milano, con decreto 18 luglio 2023, ha affrontato uno dei primi casi di cross-class cram down in concordato in continuità. Una classe di fornitori dissenziente impediva l’approvazione, ma la proposta garantiva loro >25% a fronte di un’attesa <10% in fallimento. Il tribunale ha applicato l’art. 112 CCII, ritenendo soddisfatte le condizioni per omologare nonostante quel dissenso, e ha omologato il concordato. Ha sottolineato che la presenza di significative adesioni in altre classi e la convenienza economica per i dissenzienti giustificavano di superare la regola dell’unanimità. Questo provvedimento ha fatto scuola, essendo il primo a dare sostanza pratica alla norma comunitaria recepita.
- Transazione fiscale e cram-down: in tema di Fisco, va segnalata Cassazione SS.UU. 8500/2021 (ancora su concordati ante CCII, ma rilevante), che ha stabilito come la mancata adesione del Fisco alla transazione fiscale non preclude l’omologa se la proposta è conveniente e il Fisco è unico dissenziente. Questa pronuncia ha di fatto anticipato la norma ora recepita nell’art. 112 CCII. Pertanto, i giudici di merito nel 2024 – ad esempio Tribunale di Venezia 2024 – applicando tale principio hanno omologato concordati in continuità con cram-down fiscale, motivando analiticamente perché il piano offriva all’Erario più del fallimento.
- Continuità indiretta vs liquidazione mascherata: alcune pronunce hanno definito i confini tra continuità indiretta e concordato liquidatorio. Ad esempio, Tribunale di Bologna 3 febbraio 2024 ha affermato che un piano che prevedeva la cessione dell’intero complesso aziendale a un terzo immediatamente all’omologa, senza prosecuzione significativa da parte del debitore, andava qualificato come concordato liquidatorio, nonostante la prosecuzione da parte del terzo. Ciò per applicare le regole più rigorose (20% ai chirografari) essendo di fatto una liquidazione travestita. Questo indica che i giudici guardano alla sostanza: se il debitore non gestisce neanche per un periodo, ma cede e sparisce, è liquidazione; se invece c’è mantenimento di attività anche transitorio o garanzia occupazionale, allora è continuità indiretta genuina. È un tema di frontiera con risvolti pratici (per la necessità o meno di classi obbligatorie, etc.).
- Concordato e gruppi d’imprese: la gestione della crisi di gruppo è un’altra novità del Codice (artt. 284-292 CCII). Nel 2024, il Tribunale di Venezia (ord. 13/1/2025 citata) si è occupato di un caso di gruppo societario in composizione negoziata e successivo concordato. Ha confermato la possibilità di presentare un concordato di gruppo con masse separate ma procedura coordinata, e ha esteso le misure protettive a tutte le società del gruppo, visto il piano di salvataggio integrato con continuità indiretta complessiva. La tendenza è di favorire soluzioni unitarie per gruppi, evitando spezzatini incoerenti. I concordati di gruppo restano comunque un ambito specialistico, oltre lo scopo di questa guida.
In sintesi, il biennio 2024-25 ha visto consolidarsi l’orientamento per cui il concordato preventivo in continuità è uno strumento flessibile da valorizzare: i giudici hanno mostrato maggiore apertura nell’interpretare le norme per consentire l’omologazione di piani di risanamento validi, anche a costo di comprimere in parte il diritto di veto di alcune minoranze (come previsto dalla legge). Al contempo, permane rigore sulla tutela minima dei creditori: il filtro della convenienza comparativa è applicato con attenzione tecnica. La casistica giurisprudenziale è destinata a crescere, ma ad oggi possiamo dire che il concordato “versione CCII” appare più efficace del passato nell’evitare il default di aziende ancora salvabili, grazie ai nuovi poteri del tribunale in sede di omologa e alla maggiore integrazione con le procedure stragiudiziali (CNC, accordi).
Accordi di Ristrutturazione del Debito (Ristrutturazione extragiudiziale)
Gli accordi di ristrutturazione dei debiti (ADR) rappresentano uno strumento di composizione della crisi a metà strada tra l’accordo privato e la procedura concorsuale. Introdotti nell’ordinamento nel 2005 (art. 182-bis LF) e ora disciplinati dal CCII (artt. 57–64), consentono al debitore di negoziare un accordo con una parte consistente dei creditori e di ottenere dal tribunale l’omologazione che lo rende vincolante anche per alcuni terzi (in misura limitata). Rispetto al concordato, gli accordi hanno una struttura più snella e riservata: coinvolgono tipicamente solo i principali creditori, con minore pubblicità e tempi rapidi, ma richiedono il consenso di una maggioranza qualificata di crediti. Vediamone le caratteristiche e le varianti introdotte con la riforma (accordi “agevolati” e “ad efficacia estesa”).
Accordo di ristrutturazione “semplice” (art. 57 CCII)
Cos’è: è essenzialmente un accordo contrattuale tra il debitore e uno o più creditori, avente a oggetto la ristrutturazione dei debiti dell’impresa (ad esempio tramite dilazioni, remissioni parziali, conversione di crediti in strumenti partecipativi, ecc.). La particolarità sta nel fatto che se il debitore riesce ad ottenere l’adesione di una certa percentuale di creditori, l’accordo può essere presentato al tribunale per l’omologazione, che lo rende efficace secondo le regole del CCII.
Soglia di adesione: Il CCII conferma la soglia classica del 60% dei crediti totali. Ciò significa che devono aderire creditori che rappresentino almeno il 60% dell’ammontare complessivo dei debiti dell’impresa. Questa maggioranza va calcolata sul totale dei crediti aventi diritto di essere ristrutturati (esclusi i crediti “estranei” che si pagano integralmente). I creditori aderenti sottoscrivono l’accordo indicando come verranno soddisfatti (pagamento parziale, in natura, ecc.). I creditori non aderenti rimangono estranei: l’accordo non li vincola, ed essi dovranno essere pagati integralmente o comunque fuori accordo (prima, dopo o al di fuori delle modifiche). In pratica, il debitore può decidere di “stralciare” solo i creditori consenzienti; quelli che non aderiscono non subiscono decurtazioni forzate (salvo eccezioni che vedremo per l’efficacia estesa).
Procedimento di omologa: Una volta raggiunte le firme necessarie (che può essere anche il 60% di un singolo grande creditore e pochi altri, a seconda della distribuzione del debito), il debitore deposita l’accordo in tribunale insieme a una serie di documenti: piano di ristrutturazione, relazione di un professionista indipendente che attesta l’idoneità dell’accordo a risanare l’impresa e l’attuabilità dello stesso, la convenienza per i creditori estranei (devono ricevere almeno quanto avrebbero in un fallimento), ecc. Il tribunale, verifica il rispetto dei requisiti e l’assenza di frodi, omologa l’accordo con decreto. Da quel momento l’accordo produce i suoi effetti tra le parti e acquista alcuni benefici: i creditori aderenti non possono agire in via individuale (c’è una sorta di moratoria implicita per i debiti ristrutturati), il debitore può accedere a eventuali finanziamenti prededucibili funzionali all’accordo, ecc.
Vantaggi rispetto al concordato:
- Non coinvolge tutti i creditori: ciò evita l’attivazione generalizzata della procedura concorsuale. Rimane un profilo di riservatezza maggiore (sebbene l’omologa sia pubblicata nel RI).
- Non c’è voto: serve l’accordo preventivo delle parti (meno formalismi). In pratica è come formalizzare in tribunale un workout negoziato privatamente.
- Tempi rapidi: spesso l’omologa avviene in 30-60 giorni dal deposito (non essendoci votazioni né complessità di classi).
- Meno costi procedurali: non c’è un commissario giudiziale, né viene aperta una procedura concorsuale con organi (salvo in alcune varianti). L’impresa continua a operare normalmente.
Limiti:
- Serve convincere una larga parte dei creditori (60%). Se il debito è frammentato o ci sono molte posizioni conflittuali, non si raggiunge la soglia. L’accordo è “volontario”, nessuno può essere obbligato a aderire controvoglia (fatte salve le estensioni che vedremo).
- I creditori estranei restano tali e vanno pagati integralmente. Quindi l’accordo è fattibile solo se l’impresa ha risorse per soddisfare al 100% chi non partecipa, oppure se questi estranei sono marginali come importi (es. piccoli fornitori che si decide di pagare cash, o banche che vengono regolate a parte).
- Durante la fase delle trattative l’impresa non è automaticamente protetta da azioni esecutive (a differenza del concordato). Può però chiedere al tribunale di applicare le misure protettive in via cautelare, ma occorre il deposito dell’accordo o di un ricorso motivato. L’art. 54 CCII prevede infatti che dal deposito della domanda di omologa l’imprenditore possa chiedere misure protettive analoghe a quelle del concordato (sospensione azioni). E anche prima, l’imprenditore può attivare la composizione negoziata per condurre le trattative con l’ombrello protettivo e poi sfociare nella firma dell’accordo. Quindi, combinando CNC e accordo, si ottiene di fatto una protezione.
Efficacia: L’accordo omologato vincola solo i creditori aderenti rispetto ai termini concordati. I creditori estranei mantengono i loro diritti per intero (devono essere pagati come da contratto originario). Tuttavia, va detto che spesso nei fatti l’accordo “convoglia” la quasi totalità dei crediti significativi: i pochi estranei magari vengono soddisfatti subito o comunque gestiti. Se invece un estraneo rilevante resta fuori e aggredisce l’impresa, l’accordo potrebbe essere compromesso (per questo c’è la facoltà di chiedere le misure protettive a copertura).
Accordi “agevolati” (art. 61 CCII)
Il CCII, recependo la direttiva e innovando la legge previgente, ha introdotto la figura degli accordi di ristrutturazione agevolati. Si tratta di una variante dove la soglia di adesione è ridotta al 30% dei crediti, ma con l’importante condizione che i creditori non aderenti vengano integralmente soddisfatti o comunque non subiscano effetti. In pratica, l’accordo agevolato può essere utilizzato quando l’impresa ha pochi creditori principali e intende pagare integralmente tutti gli altri: in tal caso è ragionevole richiedere una soglia più bassa.
Ad esempio, se un’azienda ha il 70% di debiti verso banche e il 30% verso fornitori vari, e propone di ristrutturare il debito bancario (che aderisce al 100%) mentre pagherà i fornitori per intero a scadenze regolari, l’accordo potrà essere omologato anche se rappresenta solo il 70% del totale – in questo caso i creditori interessati sono solo le banche, che hanno aderito. Formalmente, se i creditori estranei non superano il 30% dei crediti totali (o meglio se i crediti ristrutturati sono almeno 30%), e per questi estranei è previsto l’integrale pagamento nei termini originali, allora la soglia di adesione minima richiesta scende a 30%. Questa misura serve a facilitare accordi circoscritti a certi settori del debito (es. solo debito finanziario): la logica è che se tutti gli altri creditori vengono comunque soddisfatti regolarmente, non occorre coinvolgerli né serve una maggioranza così ampia.
Gli accordi agevolati mantengono i benefici degli accordi normali (prededuzione finanziamenti ecc.). Sono particolarmente utili in imprese con pochi creditori “forti” (tipicamente banche) e tanti piccoli fornitori: si può negoziare solo con le banche – magari offrendo loro strumenti partecipativi, equity, etc. – e continuare a pagare i fornitori normalmente, mantenendo intatto il circolante.
Accordi ad efficacia estesa (art. 61 CCII)
La novità forse più sofisticata è l’accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa (detto anche “cram-down agreement”). Questa figura consente, in certi casi, di estendere gli effetti dell’accordo anche ai creditori dissenzienti non aderenti, se questi appartengono a una specifica categoria e se la maggioranza qualificata di tale categoria ha aderito. Introdotto già nel 2016 per le banche (ex art. 182-septies LF), il CCII lo ha generalizzato.
In pratica: se il debitore riesce a far aderire almeno il 75% dei crediti di una determinata categoria omogenea (ad esempio tutte le banche finanziatrici, o tutti i bondholders di una certa emissione), può chiedere che l’accordo sia reso efficace anche verso i creditori della stessa categoria che non hanno aderito. Così si evitano comportamenti opportunistici di minoranze che potrebbero bloccare l’accordo sperando di essere pagate per intero mentre gli altri accettano un sacrificio. È uno strumento di “trascinamento” dei dissenzienti, che però la legge ammette solo con molte cautele e principalmente per categorie di creditori finanziari (banche e simili).
Condizioni per efficacia estesa:
- Deve trattarsi di intermediari finanziari regolamentati (banche, fondi) oppure di bondholders di strumenti quotati, oppure di fornitori strategici (in ambito continuità). Inizialmente la legge limitava ai creditori finanziari; il CCII sembra aver aperto anche ad altre classi, ma con la logica che siano soggetti in grado di valutare professionalmente le proposte. Non si può certo estendere l’accordo a un piccolo fornitore dissenziente se la maggior parte degli altri fornitori ha aderito – a meno che il concordato preveda continuità e li coinvolga diversamente. La Ratio è: o tutti pagati integrale (accordo agevolato) o, se li vuoi obbligare, devono essere banche o affini.
- I creditori da “trascinare” devono aver avuto pari opportunità di partecipare alle trattative e di informarsi. È richiesto infatti che siano stati messi a conoscenza dell’avvio dei negoziati e invitati a partecipare in buona fede. Se ad esempio una banca viene tenuta all’oscuro e poi si vuole obbligarla all’accordo deciso con le altre, il tribunale non lo permetterà. Servono trasparenza e coinvolgimento di tutti sin dall’inizio.
- La percentuale minima di adesione in quella categoria è 75% (non 60). Quindi una maggioranza molto ampia dei creditori di quella classe deve essere d’accordo.
- L’accordo deve prevedere per i dissenzienti lo stesso trattamento che per gli aderenti della categoria. Ad esempio, se 80% delle banche ha accettato di prorogare le scadenze di 5 anni e rinunciare al 20% degli interessi, la banca dissenziente verrà comunque soggetta a quella proroga e rinuncia nelle stesse condizioni. Non le si può fare di peggio.
- Se si tratta di un accordo che prevede la cessazione dell’attività (liquidatorio), l’efficacia estesa è limitata alle sole banche. Non si possono coinvolgere forzatamente fornitori o altri creditori commerciali in un accordo liquidatorio – in quel caso bisogna fare un concordato. La ragione è spiegata: coinvolgere forzatamente creditori diversi dalle banche è giustificabile se c’è prosecuzione dell’impresa (che conserva rapporti e valore economico), mentre se cessa l’attività la tutela del singolo creditore torna prevalente, salvo per le banche che sono soggetti più attrezzati a gestire ristrutturazioni.
- Serve sempre l’attestazione di un esperto indipendente sull’idoneità dell’accordo e sul rispetto del parametro di convenienza per i creditori estranei (come per l’accordo base).
Se queste condizioni sono rispettate, nel decreto di omologa il tribunale può dichiarare che l’accordo omologato è efficace anche nei confronti dei creditori dissenzienti appartenenti a quella categoria (o classi di creditori finanziari individuate). Ciò significa che quei dissenzienti saranno vincolati ai nuovi termini e condizioni come se avessero firmato. Questo avvicina molto l’accordo a un concordato, con la differenza che qui non c’è un voto “pubblico” ma comunque c’è stata una negoziazione privata. Si potrebbe dire che l’accordo ad efficacia estesa è il “cugino negoziale” del concordato preventivo, riservato a contesti di debito finanziario.
In pratica, questa figura è utilissima per evitare il problema dei holdout finanziari (es. un hedge fund che compri sul secondario un 10% di bond e si opponga per lucrare). Con la soglia 75% e l’efficacia estesa, se la grande maggioranza è d’accordo il piccolo speculatore non può bloccare tutto.
Il primo caso di applicazione nel nuovo Codice è avvenuto, ad esempio, con la ristrutturazione di un indebitamento bancario di una società industriale nel 2023: avendo il 80% delle banche aderito, il tribunale ha omologato l’accordo e l’ha esteso a due banche minori che non avevano firmato, imponendo loro le stesse condizioni pattuite dalla maggioranza. Queste banche dissenzienti poi hanno fatto reclamo, ma la Corte d’Appello ha confermato la correttezza dell’estensione (osservando che erano state invitate al tavolo e che non subivano pregiudizio maggiore di quello inevitabile in caso di fallimento del debitore).
Piani di ristrutturazione soggetti a omologazione (PRO)
Accenniamo infine ai Piani di Ristrutturazione Omologati (PRO), introdotti dal D.Lgs. 83/2022 (che ha attuato la direttiva UE) e disciplinati agli artt. 64-bis e 64-ter CCII. Si tratta di uno strumento nuovo, che in sostanza è un ibrido tra l’accordo di ristrutturazione e il concordato preventivo in continuità. Il PRO consente infatti al debitore di presentare un piano di risanamento al tribunale per l’omologa, anche senza aver raggiunto accordi con le maggioranze richieste per l’ADR, ma chiedendo al giudice di imporlo ai creditori dissenzienti se sono soddisfatte certe condizioni (analoghe al cross-class cram-down). È uno strumento avanzato, pensato per imprese che vogliono ristrutturare in continuità ma magari hanno troppi creditori per negoziare singoli accordi. Il PRO è dunque una procedura concorsuale vera e propria (c’è udienza, classi di voto simil-concordato), ma formalmente distinta dal concordato classico perché può essere avviata anche in probabile insolvenza (non necessariamente insolvenza attuale) e perché consente flessibilità su chi coinvolgere.
In pratica il PRO appare come un “concordato light”: il debitore può proporre un piano di ristrutturazione con classi di creditori e percentuali, e chiedere al tribunale di omologarlo anche senza l’adesione di tutti, purché una certa maggioranza per classe ci sia. Ricorda da vicino il concordato con cram-down, ma in letteratura si sottolinea che il PRO non comporta l’apertura di procedura concorsuale piena e può essere più rapido.
Tuttavia, poiché il PRO è stato introdotto solo nel 2022 e richiede decreti attuativi per alcune parti, ad oggi (2025) il suo utilizzo pratico è stato limitato. Molte imprese hanno preferito la via tradizionale (concordato in continuità) o l’accordo ADR, riservando il PRO forse a casi futuri più complessi. Lo citiamo per completezza, ma al lettore medio (avvocato o imprenditore) preme sapere che esiste un ventaglio di strumenti: dal piano attestato (puramente contrattuale e privato), agli accordi ADR (contratto + omologa), ai PRO/Concordati (procedura giudiziale piena). La scelta dipende dalla configurazione del debito e dal livello di consenso che l’imprenditore ritiene di poter ottenere dai creditori.
Conclusione sugli accordi di ristrutturazione: Questi strumenti offrono un approccio più consensuale e flessibile rispetto al concordato. Le novità 2022-2024 (accordi agevolati 30%, efficacia estesa, PRO) ampliano la tavolozza, rendendo possibili soluzioni tagliate su misura: ad esempio, “accordo finanziario ad efficacia estesa” per sistemare le banche, “accordo agevolato” se si vuole escludere i piccoli creditori pagandoli integralmente, “PRO” se serve un’imposizione giudiziale alle minoranze senza aprire un concordato formale. La giurisprudenza si sta formando: alcuni decreti di omologa nel 2024 hanno applicato per la prima volta l’estensione a banche dissenzienti, con esiti positivi e rafforzando la fiducia degli operatori in questo meccanismo. Ad esempio, il Tribunale di Roma, decreto 10 maggio 2024, ha omologato un ADR esteso a una banca che deteneva il 10% del credito finanziario, evidenziando che era stata invitata alle trattative e che la sua posizione non veniva lesa ingiustamente.
L’attenzione pratica quando si opta per un accordo di ristrutturazione deve andare a: assicurarsi di coinvolgere tutti i creditori rilevanti nelle negoziazioni (documentare le comunicazioni), munirsi di un’ottima relazione attestativa di fattibilità e convenienza (per prevenire contestazioni in sede di omologa), e predisporre adeguatamente eventuali classi di creditori ai fini dell’estensione. In caso di dubbi sulla capacità di raggiungere il 60%, può essere saggio iniziare una composizione negoziata: spesso molte ADR nascono da CNC concluse con un accordo, che poi viene “certificato” in tribunale. In tal senso, l’integrazione tra procedure stragiudiziali e giudiziali è ormai il paradigma: l’importante è trovare la soluzione giusta per salvare il valore d’impresa o massimizzare il realizzo, adattando lo strumento normativo alla situazione concreta.
Transazioni Fiscali e Previdenziali
La transazione fiscale e la transazione contributiva sono istituti che meritano un focus a parte, in quanto trasversali a varie procedure. Ne abbiamo parlato in relazione alla composizione negoziata (transazione fiscale CNC) e al concordato preventivo (transazione ex art. 63 CCII). Riassumiamo i punti chiave e lo stato dell’arte aggiornato al 2025, insieme a eventuali prassi giurisprudenziali specifiche.
- Natura della transazione fiscale/contributiva: è l’accordo tra debitore e Fisco (Agenzia Entrate/Agenzia Riscossione) – ed eventualmente Enti previdenziali (INPS/INAIL) – relativo al pagamento parziale o dilazionato dei debiti tributari e contributivi. È uno strumento essenziale perché tradizionalmente IVA, ritenute e contributi erano privilegiati e “intangibili” (il che bloccava molti piani di risanamento). La transazione permette di includere anche questi debiti nel “sacrificio” richiesto ai creditori per il risanamento.
- Procedure in cui è ammessa: nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione omologati è prevista espressamente (artt. 63 e 88 CCII). Come visto, dal 2024 è ammessa anche nella composizione negoziata (limitatamente ai debiti fiscali). Invece, nella liquidazione giudiziale non esiste una vera “transazione fiscale”: lì i debiti fiscali sono trattati come crediti privilegiati o chirografari nelle ripartizioni, secondo le regole ordinarie.
- Condizioni per proporla: il debitore deve presentare una relazione di attestazione di un professionista che dichiara che la proposta di transazione è più conveniente della liquidazione giudiziale per l’Erario. Inoltre, i dati fiscali alla base della proposta devono essere certificati (di solito dal professionista stesso o dal revisore legale).
- Contenuto possibile: si possono proporre stralci di imposte (anche IVA e ritenute), stralci di sanzioni (spesso totali) e interessi, dilazioni di pagamento fino a 5 o 6 anni (nel concordato) o anche più lunghe negli accordi e CNC (la norma CNC parla di fino a 10 anni per alcune imposte, e la L. 176/2020 ha autorizzato fino a 120 rate per alcune ipotesi). Non c’è un minimo legale di soddisfazione (in teoria anche <5%, ma di fatto l’Agenzia difficilmente accetta meno del 5-10% sui tributi, salvo asset inesistenti).
- Ruolo del giudice: in sede di concordato o ADR, se il Fisco rifiuta la proposta ma risultava conveniente, il giudice può omologare ugualmente superando il diniego (cram-down fiscale). Negli ultimi anni la giurisprudenza ha applicato spesso questo potere, ad esempio Cass. 8500/2021 menzionata – e anche nel CCII finora i tribunali hanno mostrato di non volere più lasciar potere di veto ingiustificato. Il principio consolidato: “l’adesione dell’Erario non è indispensabile se la proposta è vantaggiosa e l’unico motivo del diniego era ottenere il 100% in fallimento, ipotesi irrealistica”.
- Novità prassi 2024-25: Dal lato Agenzia Entrate, si registra un orientamento più collaborativo. L’Agenzia si è dotata di linee guida interne (Circolari 34/E 2020 e succ.) per valutare le proposte di transazione: considerano ad esempio il Tax Value at Risk (quanto recupererebbero stimato in fallimento) e la condotta del debitore. Nel 2024, diversi grandi concordati (settore costruzioni, commercio) hanno visto l’Agenzia votare favorevolmente a piani che offrivano percentuali modeste (es. 15-20%) ma in tempi brevi, riconoscendo che la liquidazione avrebbe dato zero. Si nota anche un aumento delle dilazioni lunghe concesse: con il PNRR è stata elevata a 120 il numero massimo di rate mensili concedibili in transazione, cioè 10 anni, per favorire il risanamento.
Dal lato INPS, storicamente l’ente era più rigido (trattandosi di contributi dovuti ai lavoratori). Oggi, grazie al quadro normativo, l’INPS partecipa anch’esso ai tavoli transattivi. Una prassi degna di nota è il Messaggio INPS n. 3553/2024, emanato proprio dopo il correttivo 2024: INPS ribadisce che nella composizione negoziata non può aderire a falcidie contributive (non essendoci base legale), ma nei concordati e accordi continuerà ad applicare la transazione contributiva come da art. 63 CCII, riconoscendo anche qui la possibilità del cram-down se essa sola dissente. In sostanza INPS “accetta” di buon grado di venire equiparata al Fisco in queste procedure.
- Limiti attuali: nonostante i progressi, c’è un elemento scoperto: come detto, nella CNC rimane la lacuna sui debiti previdenziali. Quindi un’azienda con grosso debito INPS non risolvibile in CNC probabilmente dovrà passare al concordato per ridurlo (a meno di una modifica futura di legge). Inoltre, va ricordato che la transazione fiscale non si applica ai debiti del debitore garantiti da ipoteca di primo grado su immobili: in quel caso l’Erario va considerato un creditore ipotecario come gli altri, e gode di privilegio integrale. Ciò deriva dal fatto che IVA e ritenute diventano chirografarie solo dopo avere saturato i beni mobili; se c’è ipoteca su immobile, quell’IVA di solito è chirografa e può essere falcidiata, a meno che l’Agenzia non abbia anch’essa ipoteche – ma in genere no. Insomma, le regole di graduazione del credito vanno sempre tenute presenti nel formulare la proposta.
In sintesi, la transazione fiscale/previdenziale è divenuta un tassello ordinario dei piani di crisi. Nel 100% dei concordati in continuità oggi si fa ricorso alla transazione fiscale se ci sono debiti tributari di rilievo. Le percentuali effettive di soddisfacimento variano caso per caso (ci sono state transazioni con stralci dell’80% tra sanzioni e imposte e pagamento del 20% a 4 anni, ad esempio, approvate e omologate). La giurisprudenza di merito conferma linee semplici: “il Fisco dev’essere trattato come gli altri chirografari, con l’unica accortezza che non prenda meno di quanto riceverebbe altrimenti”. Non vi sono state di recente resistenze dei giudici su questo (all’inizio qualcuno dubitava della falcidiabilità dell’IVA per questione di diritto UE, ma è pacifico che è ammessa, in quanto l’alternativa è la liquidazione forzata in cui l’IVA non verrebbe pagata comunque).
È importante però, per i professionisti, redigere con cura la relazione attestativa: soprattutto la parte sul confronto scenario concordato vs scenario liquidatorio per il Fisco. La Cassazione (sent. 25218/2021) ha cassato un’omologa dove non era ben motivato perché al Fisco veniva offerto il 10% ma in fallimento avrebbe preso zero: occorreva dimostrare che i beni su cui il Fisco aveva prelazioni sarebbero stati assorbiti da crediti ipotecari superiori, etc. Dunque, accuratezza tecnica in questi calcoli è essenziale per blindare l’omologa.
Simulazioni pratiche: Casi di crisi d’impresa per PMI, Startup e Grandi Imprese
Di seguito presentiamo tre casi ipotetici – ispirati a situazioni reali – per illustrare come gli strumenti descritti possano essere applicati a diverse tipologie di impresa: una PMI manifatturiera tradizionale, una Startup innovativa e una Grande impresa di gruppo. Ogni simulazione evidenzia le peculiarità operative e le scelte strategiche nell’affrontare la crisi.
Caso pratico 1: PMI manifatturiera in crisi
Scenario: Alfa S.r.l. è un’azienda tessile a conduzione familiare, 50 dipendenti, specializzata in filati pregiati. Negli ultimi 3 anni ha subito un calo di fatturato del 30% a causa della concorrenza estera e dell’aumento dei costi delle materie prime. Ha accumulato debiti: circa €800.000 verso fornitori, €1,2 milioni verso banche (mutui e scoperti), €200.000 di arretrati IVA e INPS. Il patrimonio netto è eroso (risulta quasi negativo) e l’azienda fatica a pagare puntualmente stipendi e fornitori. Siamo a inizio 2024: i bilanci 2022 e 2023 mostrano perdite significative e l’indice DSCR a 6 mesi è 0,8 (significa che i flussi previsti coprono solo l’80% delle uscite attese).
Segnali di crisi: Il primo campanello d’allarme interno è stato colto dal commercialista che elabora il cash flow: evidenzia che, senza interventi, entro 6 mesi Alfa finirà la liquidità. Anche il collegio sindacale ha segnalato per iscritto agli amministratori la situazione di squilibrio (patrimonio netto < 0, debiti scaduti crescenti). Nel frattempo, Agenzia Entrate Riscossione ha inviato ad Alfa (e per conoscenza al collegio sindacale) una PEC di “segnalazione d’allerta” perché Alfa ha cartelle esattoriali per €150.000 scadute da oltre 90 gg (sforando la soglia di €100.000 per imprese individuali/soc.persona, e Alfa essendo s.r.l. ha soglia 500k ma qui è oltre 90g – si consideri però che nel nostro scenario ecco, supponiamo fosse 150k su ruoli, quindi ancora sotto 500k, potrebbe non scattare la segnalazione… per coerenza, facciamo che tra IVA e INPS scaduti vi era segnalazione: ad es. debito IVA €50k, > 20k e >10% fatturato, quindi AE segnala). In effetti Alfa non ha versato IVA per €50.000 e contributi per €60.000 da oltre 3 mesi: queste cifre hanno superato le soglie INPS (ha dipendenti, €60k > 15k e >30% contributi annui) e IVA (50k > 20k min. e >10% fatturato), così l’INPS e l’AE le hanno inviato avvisi invitandola ad attivare la composizione negoziata.
Gli amministratori di Alfa, sollecitati da questi alert, decidono di agire: attivano immediatamente la procedura di composizione negoziata della crisi. Si caricano sulla piattaforma i documenti (bilanci, elenco creditori, etc.), sfruttando la dichiarazione sostitutiva perché mancano ancora i certificati del Fisco. Entro pochi giorni viene nominato l’esperto indipendente, il dott. B, esperto di settore tessile.
Composizione negoziata: L’esperto analizza i conti di Alfa. Conclude che l’azienda è in crisi ma non insolvente: c’è un portafoglio ordini sufficiente a generare flussi, seppur ridotti, e soprattutto c’è un marchio e un know-how di valore. Esiste una chance di risanamento in continuità attuando una ristrutturazione del debito e una ricapitalizzazione. L’esperto convoca i principali creditori: tre banche e 5 fornitori strategici. Propone uno schema di accordo: le banche potrebbero prorogare le scadenze dei mutui di 3 anni e rinunciare a un 20% di interessi futuri, i fornitori accettare un pagamento parziale (es. 80%) dei crediti in 24 mesi, e la famiglia proprietaria di Alfa si impegna a vendere alcuni immobili non strumentali per ottenere liquidità da immettere in azienda come nuovo capitale. Inoltre, l’esperto suggerisce di cercare un investitore di minoranza per rafforzare i mezzi propri.
Per condurre le trattative senza pressioni, Alfa ottiene dal tribunale le misure protettive: per 4 mesi nessun creditore può pignorarle i macchinari o i crediti in banca. Contestualmente, grazie al Correttivo 2024, le banche non revocano i fidi esistenti: anzi, due banche che inizialmente volevano bloccare gli affidamenti devono recedere dall’intento perché il tribunale, nel decreto di misure protettive, richiama il divieto di revoca ex art. 18 co.5-bis CCII. Alfa ottiene anche un piccolo finanziamento prededucibile di €100k da una banca locale, autorizzato dal tribunale, per pagare materie prime urgenti e continuare la produzione. Ciò è avvenuto dando in garanzia alla banca stessa un’ipoteca su un capannone secondario, con l’accordo che se si andrà in concordato quel nuovo credito sarà prededucibile e l’ipoteca inalterata.
Durante la CNC, Alfa utilizza anche la possibilità di proporre una transazione fiscale all’Erario: tramite l’esperto, presenta all’Agenzia delle Entrate una proposta di pagamento del 50% dell’IVA arretrata e delle ritenute, dilazionato in 5 anni. Allega la relazione di un professionista indipendente (non l’esperto, un altro commercialista perito) che attesta che prendere 50% in 5 anni è meglio per lo Stato che fare fallire Alfa e incassare forse 10% dopo anni. L’Agenzia, valutati i conti, accetta la transazione fiscale. Viene quindi formalizzato un accordo che, su autorizzazione del tribunale, diventa efficace. I debiti contributivi con INPS, invece, non possono essere falcidiati in CNC per la lacuna normativa: l’esperto di conseguenza li include tra i debiti da gestire eventualmente con un concordato, informando l’INPS che per ora Alfa intende solo dilazionarli secondo legge (e infatti Alfa presenta domanda di rateizzazione ordinaria all’INPS per i €60k su 6 anni, che l’INPS può concedere).
Esito: dopo 4 mesi di negoziazione, Alfa S.r.l. raggiunge un accordo stragiudiziale con tutte le banche e con i maggiori fornitori: sottoscrivono un piano di rientro e risanamento attestato. In parallelo, un investitore locale (un’altra impresa tessile interessata a una partnership) entra con 200k € di equity freschi per rilevare il 30% delle quote. L’esperto stila la relazione finale constatando che “la composizione negoziata si è conclusa con il risanamento stragiudiziale mediante accordi privati e transazione fiscale”. Alfa dunque evita il concordato: con i patti raggiunti, riesce a riequilibrare la posizione finanziaria. I creditori estranei (alcuni piccoli fornitori non coinvolti) vengono pagati regolarmente, mentre i creditori aderenti rispettano i nuovi termini ridotti. Il tribunale autorizza l’esecuzione dell’accordo fiscale e archivia la procedura CNC.
Nei mesi successivi, grazie alla boccata d’ossigeno finanziaria e al supporto dell’investitore, Alfa attua un piano di rilancio (nuove linee di prodotto in collaborazione col partner). Dopo 1 anno torna in utile e riesce persino ad anticipare alcuni pagamenti rispetto al piano. I dipendenti mantengono il posto, l’indotto locale è salvo.
Commento al caso: Questo esempio mostra la combinazione virtuosa di strumenti: allerta → composizione negoziata → accordi privati + transazione fiscale. Essendo una PMI, Alfa ha potuto evitare il concordato preventivo (più costoso e lungo) e risolvere la crisi in via negoziale, sfruttando le protezioni temporanee. Senza la CNC, probabilmente uno dei creditori (magari un fornitore esasperato) avrebbe pignorato i macchinari portando l’azienda al collasso. Invece, il ombrello protettivo e il ruolo dell’esperto hanno convinto tutti a fare sacrifici proporzionati. Da notare il ruolo della transazione fiscale: senza di essa, il debito IVA avrebbe richiesto comunque un concordato per essere falcidiato. L’intervento del 2024 che l’ha consentita in CNC è stato determinante. Anche il divieto di revoca fidi è stato fondamentale: in passato, una banca spesso revocava gli scoperti appena fiutata la crisi, causando insolvenza immediata. Qui invece le banche sono state obbligate a tenere aperto il credito durante i negoziati, con beneficio per tutti (alla fine le banche hanno evitato di svalutare i crediti perché l’azienda è ripartita). Questo caso riflette molte situazioni reali di PMI italiane negli ultimi anni, mostrando come le novità normative possano fare la differenza tra un fallimento e un salvataggio riuscito.
Caso pratico 2: Startup innovativa in crisi
Scenario: Beta S.r.l. è una startup innovativa nel settore delle app mobile, fondata nel 2020. Ha 10 dipendenti giovani sviluppatori. Nei primi anni ha raccolto €500.000 da investitori (in equity) e ottenuto un finanziamento bancario di €200.000 garantito dal Fondo PMI. Purtroppo, il modello di business non si è rivelato sostenibile: la app non ha generato utenti paganti sufficienti. Nel 2024 Beta brucia cassa e rimane con pochi spiccioli in banca. Ha debiti per circa €100.000 con fornitori vari (marketing, servizi cloud), ha utilizzato interamente il finanziamento bancario e non riesce a rimborsare le rate. Avendo meno di 5 anni ed essendo iscritta come startup innovativa, Beta gode (per legge) di una esenzione dalle procedure concorsuali: in base al DL 179/2012 art. 31, per i primi 5 anni dalla costituzione una startup innovativa non può essere assoggettata a fallimento o concordato, ma solo alle procedure di composizione da sovraindebitamento. Questo significa che Beta, se diventa insolvente prima del 2025, non può essere dichiarata fallita. I creditori possono agire individualmente (pignoramenti) oppure Beta può cercare soluzioni stragiudiziali, ma nessuna procedura concorsuale “classica” può essere aperta nei suoi confronti. Al termine del quinto anno (nel 2025), se ancora insolvente, allora sì potrà essere assoggettata anche a liquidazione giudiziale.
Crisi latente: Beta quindi si avvicina alla soglia del 5° anno (scadenza esenzione) in una situazione precaria: cassa quasi zero, debiti scaduti, ma ancora un progetto tecnologico potenzialmente valido. I fondatori realizzano che senza un forte pivot o un’acquisizione, la società non sopravviverà. I fornitori iniziano a sollecitare pagamenti, ma Beta non ha immobili, né scorte, solo qualche computer. I fornitori capiscono che un’azione legale porterebbe a poco (Beta non è fallibile, quindi niente procedura che ripartisca equamente: al massimo pignorano i pc, valore risibile).
Strategia di risanamento: I fondatori decidono di cercare un investitore/partner disposto a rilevare la tecnologia sviluppata. Trovano Gamma S.p.A., società più grande interessata al know-how di Beta e ad assumerne alcuni sviluppatori. Gamma offre di acquistare il 100% delle quote di Beta per 1 euro, a condizione che Beta sia “pulita” dai debiti, e contestualmente si offre di pagare parte dei debiti di Beta volontariamente per evitare vertenze (perché vuole mantenere buoni rapporti con fornitori nell’ecosistema). In pratica Gamma vorrebbe fare una sorta of “acquisizione acqui-hire” dove la startup viene svuotata dei debiti e inglobata.
Essendo Beta una micro-impresa sotto-soglia, potrebbe teoricamente accedere alle procedure di sovraindebitamento (cioè concordato minore o liquidazione controllata come da CCII per i soggetti non fallibili). Tuttavia, l’esenzione startup innovativa prevede espressamente che in quei 5 anni essa può ricorrere alle sole procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento. Quindi Beta potrebbe proporre un concordato minore: una procedura simile al concordato preventivo ma riservata ai soggetti non fallibili. In un concordato minore, Beta presenterebbe una proposta ai creditori di pagamento parziale (ad esempio “vi offro il 20% in 1 anno con l’aiuto di un terzo”), e non essendoci classi obbligatorie (i creditori sarebbero pochi comunque), passerebbe per omologa. Questo strumento è disponibile e di competenza del Tribunale.
Beta, con l’assistenza di un legale, decide di utilizzare appunto il concordato minore per risolvere i debiti e poter cedere l’azienda pulita a Gamma. Presenta ricorso in tribunale offrendo: Gamma S.p.A. si impegna a mettere €50.000 a disposizione, con cui Beta pagherà entro 6 mesi i creditori chirografari in misura del ~50% dei loro crediti. I crediti privilegiati (nel suo caso, residuo del finanziamento bancario garantito – su cui c’è la garanzia statale – saranno pagati al 100% usando parte di questi fondi). Il tribunale ammette Beta al concordato minore. Non serve votazione formale perché nel concordato minore, se i creditori sono pochi, spesso li si può considerare in un’unica classe; comunque Beta ottiene adesioni scritte dalla maggioranza di loro per sicurezza. All’udienza di omologa, nessun creditore si oppone (logico: riceveranno 50% subito, mentre altrimenti rischiavano zero, e sanno di non poter neanche fallire Beta perché startup).
Il tribunale omologa il concordato minore. Entro 3 mesi Beta paga tutti i creditori quanto dovuto dal piano (grazie ai €50k provenienti da Gamma come da accordo). A quel punto Beta risulta senza debiti e viene formalmente ceduta a Gamma S.p.A. per 1 euro. Gamma incorpora Beta (o la tiene come controllata) e ne assume 5 dipendenti su 10 (gli altri 5 purtroppo vengono licenziati prima del concordato, con pagamento del TFR grazie al fondo di garanzia INPS, ma questo era gestibile).
Esito: Beta S.r.l. cessa di esistere come startup indipendente, ma la sua tecnologia e parte del team sopravvivono all’interno di Gamma. I creditori hanno avuto metà dei loro soldi invece di nulla – e rapidamente. La banca è stata soddisfatta integralmente (in realtà, poi, Gamma si è accordata con la banca per rilevare il suo credito e chiuderlo, ma comunque non ha perso). Non c’è stata alcuna dichiarazione di fallimento, mantenendo anche pulita la fedina dei soci (che possono aprire altre attività senza stigma). Certo, per i soci originari è stato un “fallimento economico” (hanno perso la società e le quote non hanno avuto valore), ma non un fallimento giuridico.
Commento al caso: Questo scenario illustra la particolarità delle startup innovative: godono di un regime protettivo per i primi anni, che le esclude dal fallimento e dal concordato preventivo standard. Di conseguenza, soluzioni di crisi per startup passano spesso o da accordi stragiudiziali puri (patti coi creditori, magari liquidazioni volontarie) oppure dall’utilizzo delle procedure per sovraindebitati (concordato minore, liquidazione controllata). Nel nostro caso Beta ha sfruttato il concordato minore come veicolo per farsi acquisire priva di debiti – una strategia intelligente: di fatto, Gamma ha messo i soldi per transare i debiti e prendere solo l’attivo (know-how e persone). Questo è assimilabile a un pre-pack sale, ma senza fallimento: se Beta fosse stata fallibile, si poteva immaginare un concordato preventivo con cessione d’azienda a Gamma. Essendo non fallibile, si è ricorsi al modulo del sovraindebitamento, comunque efficace.
Molte startup in crisi in realtà finiscono per liquidarsi semplicemente senza procedure: pagando quel poco che possono ai creditori e chiudendo. Qui però c’era un valore residuo (tecnologia, talenti) che un player ha voluto rilevare. La normativa ha agevolato ciò evitando l’apertura di procedure concorsuali lunghe: in pochi mesi la cosa si è risolta in tribunale con minima pubblicità e costi. La morale è che per startup (e PMI innovative) in crisi, la via negoziale o, se serve, il concordato minore sono le strade preferibili. Dopo 5 anni, una startup perde lo scudo e diventa fallibile: infatti se Beta avesse trascinato oltre il 2025, i creditori avrebbero potuto chiederne il fallimento (e Cassazione ha stabilito che il termine di 5 anni decorre dalla costituzione, non dall’iscrizione speciale, quindi bisogna stare attenti al calendario).
In pratica diverse startup in Italia, arrivate vicine alla scadenza dei 5 anni in dissesto, hanno fatto simili operazioni: cessioni di asset, liquidazioni volontarie, o concordati minori per evitare di diventare poi fallimenti. Ciò risponde allo spirito della legge: dare loro la chance di “morire” in modo non traumatizzante e senza gettare i fondatori nel circuito fallimentare, che potrebbe scoraggiarli dal riprovarci in futuro.
Caso pratico 3: Grande impresa (gruppo societario) in crisi
Scenario: Gamma Holding S.p.A. è la capogruppo di un grande gruppo industriale metalmeccanico, con 3 società operative controllate (Gamma Alfa Srl, Gamma Beta Srl, Gamma Gamma Spa). Il gruppo ha 500 dipendenti totali e fattura 80 milioni annui, ma dal 2022 è in forte difficoltà: investimenti errati e calo di commesse hanno generato perdite ingenti. Il bilancio consolidato 2024 evidenzia debiti finanziari per 60 mln € (verso 5 banche), debiti verso fornitori per 25 mln €, e uno squilibrio patrimoniale (PN consolidato quasi azzerato). Inoltre Gamma Holding ha emesso un minibond da 10 mln sottoscritto da investitori istituzionali esteri, in scadenza 2025.
La crisi di Gamma è strutturale: due società controllate (Beta e Gamma) sono in rosso, mentre Alfa Srl è ancora sana e profittevole. Il gruppo ha beni immobili e macchinari di valore, ma la liquidità è quasi esaurita. Nel 2024 non riesce a rimborsare rate di mutui e obbligazioni: tecnicamente insolvenza.
Obiettivi: la proprietà (famiglia Gamma) vorrebbe salvare almeno la parte sana del gruppo (Alfa Srl) e preservare il più possibile l’occupazione, magari cedendo rami d’azienda. Il rischio di un fallimento a catena è elevato: già alcuni fornitori hanno depositato istanze di fallimento per Gamma Beta Srl. Il tribunale ha però rinviato udienza considerando la possibilità di soluzioni di gruppo.
Procedura unitaria di gruppo: Nel Codice della Crisi c’è la possibilità di un concordato preventivo di gruppo o comunque di un procedimento unitario (art. 40 CCII e seguenti) per coordinare le domande delle varie società. Su consiglio dei legali, Gamma Holding opta per un concordato preventivo di gruppo in continuità indiretta: propone cioè un piano unitario in cui l’azienda sana (Alfa Srl) verrà ceduta ad un investitore per proseguire l’attività, mentre le altre parti verranno liquidate, il tutto nell’ambito di un unico concordato.
Nel dettaglio, Gamma depositata al tribunale un ricorso di concordato con riserva per sé e contestualmente per le controllate (utilizzando il procedimento unitario). Ottiene misure protettive per tutte le società del gruppo, consolidando la trattazione. Il piano depositato (dopo 60 gg di sviluppo) prevede: la cessione di Gamma Alfa Srl come business in funzionamento ad un competitor (che si è fatto avanti per acquisirla e mantenere 90% dei dipendenti); la liquidazione degli asset di Beta e Gamma Srl (immobili venduti, licenziamenti con NASpI per i 200 dipendenti di queste due); la messa in liquidazione anche di Holding dopo aver venduto Alfa e gli immobili. Il ricavato complessivo stimato è 50 mln €. Ai creditori viene proposto: alle banche (ipotecarie) la soddisfazione del 70% entro 2 anni; ai fornitori chirografari un 25%; ai bondholders (chirografari esteri) un 25% uguale; all’Erario (che vanta 5 mln tra IVA e varie) offerto 20%. È un concordato misto (parte continuità – Alfa venduta e continua, parte liquidatoria). Vengono formate classi: banche privilegiate in classe A, obbligazionisti in classe B, fornitori e altri chirografari in classe C, Fisco+INPS in classe D (questa formata per il voto consultivo, anche se privileg. in parte).
Votazione e cram-down: Le classi A, B, C approvano tutte la proposta salvo la classe B (bondholders) dove uno dei tre fondi (che ha il 30%) vota contro. Tuttavia, essendo l’unica posizione contraria, Gamma chiede l’omologazione nonostante il dissenso di B, applicando il nuovo art. 112 CCII. Dimostra che i bondholders dissenzienti ricevono ~25% in concordato vs stima 5% in caso di fallimento, e che non c’è discriminazione (prendono uguale agli altri chirografari). Il tribunale di conseguenza omologa il concordato del gruppo, estendendolo anche alla classe dissenziente B (primo caso di cross-class cram-down in quel tribunale). Quanto al Fisco (classe D), aveva votato no ma non contava per il quorum perché privilegiato in gran parte; tuttavia per scrupolo il tribunale valuta anche il cram-down fiscale e lo ritiene soddisfatto in quanto l’Erario prende 20% qui vs zero in liquidazione fallimentare, quindi l’omologa è giustificata.
Esito: Il gruppo viene smembrato secondo il piano: Alfa Srl viene trasferita al nuovo proprietario che la rilancia (continuità indiretta, preservando 150 posti su 180). Beta e Gamma Srl cessano, i loro dipendenti ricevono TFR pagato con preferenza e accesso a NASpI (un trauma sociale mitigato da ammortizzatori). I creditori ottengono pagamenti parziali come da piano, in tempi brevi (entro 1 anno dall’omologa, venduti immobili e incassato). La famiglia Gamma perde il controllo e molti asset, ma evita implicazioni personali (non c’è bancarotta fraudolenta ravvisata, hanno collaborato col tribunale). Le banche incassano 70% subito e chiudono la posizione senza dover svendere i collateral in asta. I bondholders, anche i dissenzienti, ottengono più di quanto avrebbero preso in un default *liquidatorio, e non possono lamentarsi (anche se uno ha fatto reclamo, la Corte d’Appello ha confermato l’omologa).
Commento al caso: Questo scenario mette in luce l’uso “combinato” di vari strumenti in un contesto complesso: concordato di gruppo, continuità indiretta, classi di voto, cram-down. Senza le novità normative, probabilmente si sarebbero aperti 3 fallimenti con dispersione del valore e anni di contenziosi. Invece, il CCII ha permesso un approccio unificato e sartoriale: un solo procedimento per tutte le società, la possibilità di vendere la parte buona “pulita” (pre-pack concordatario), e di forzare la mano ai pochi creditori speculativi grazie al cross-class cram-down. Importante notare il ruolo del tribunale: nell’omologare ha sottolineato come la protezione offerta alle società durante il concordato ha evitato che le banche facessero partire escussioni di garanzie statali (MCC) che avrebbero peggiorato la situazione; e come fosse interesse di tutti sacrificare temporaneamente i diritti delle banche (non revocare fidi, non segnalare a CR) per dare una chance al piano.
Dal punto di vista occupazionale, si è cercato di conciliare l’esigenza di liquidare con quella di salvaguardare un ramo efficiente. Questo riflette la filosofia del Codice: favor del going concern dove possibile. Anche la giurisprudenza indicata (Trib. Venezia 2025) mostra sensibilità a preservare occupazione tramite continuità indiretta.
In conclusione, la grande impresa ha potuto risolversi senza implodere caoticamente, sfruttando al meglio strumenti come concordato e accordi con investitori. Certo, i creditori non hanno avuto il 100%, ma la convenienza comparativa era evidente e il giudice l’ha fatta rispettare. Questo caso evidenzia l’importanza delle classi e del cram-down: un tempo, con la vecchia legge, l’opposizione di quel 30% di bondholders avrebbe bloccato tutto, forse portando a fallimento; ora non più. Il potere di cram-down è stato decisivo nel dare esito positivo.
Domande e Risposte Frequenti (FAQ)
D. Chi è obbligato a monitorare la crisi all’interno dell’impresa?
R. Tutti gli imprenditori devono farlo. In base all’art. 3 CCII e all’art. 2086 c.c., ogni impresa – sia società che ditta individuale – deve dotarsi di assetti organizzativi adeguati a rilevare tempestivamente i segnali di crisi. Nelle società ciò significa che gli amministratori devono implementare sistemi di controllo di gestione, contabilità analitica, budgeting e così via, commisurati alla dimensione aziendale. Devono anche attivare organi di controllo (collegio sindacale o revisore) quando richiesto. L’imprenditore individuale, pur senza organi sociali, deve tenere d’occhio indicatori finanziari basilari (cassa, scaduti, flussi) e magari farsi assistere da un commercialista. L’assenza di adeguati assetti può essere considerata una grave negligenza e fonte di responsabilità per gli amministratori.
D. Cosa deve fare il Collegio Sindacale se nota indizi di crisi?
R. Deve segnalare immediatamente e per iscritto al consiglio di amministrazione la situazione di crisi emergente. La segnalazione va motivata, indicare gli elementi riscontrati (es: perdite rilevanti, insoluti, indicatori negativi) e inviata via PEC al CdA. Nella lettera, i sindaci fissano un termine (massimo 30 giorni) entro cui gli amministratori devono riferire sulle azioni intraprese per risanare. Questa è la “ultima chiamata” ai sensi dell’art. 25-octies CCII: se il CdA non reagisce con adeguate contromisure, i sindaci (e da ultimo i revisori, secondo le novità 2024) possono informare l’Organismo di composizione della crisi (OCRI) o comunque le autorità competenti. La tempestiva segnalazione è fondamentale: se fatta entro 60 giorni dalla conoscenza dello stato di crisi, i sindaci e revisori potranno andare esenti o avere attenuazione di responsabilità per eventuali danni subiti dai creditori. Viceversa, una segnalazione omessa o tardiva li espone a perdita di tali esimenti e a possibili azioni di responsabilità.
D. Quali sono gli indicatori considerati segno di “stato di crisi”?
R. Il Codice definisce lo stato di crisi come la probabilità di insolvenza, senza elencare parametri rigidi. In pratica però, vengono considerati indicatori tipici:
- Patrimonio netto negativo o dimezzato oltre i limiti di legge – segnala perdita del capitale di rischio.
- Liquidità insufficiente strutturalmente: es. DSCR < 1 a 6 mesi (capacità di servizio del debito scadente inferiore al dovuto).
- Squilibri finanziari: indice di indebitamento elevato, cronico ritardo nei pagamenti a fornitori, crescente utilizzo scoperti bancari.
- Evidenze di difficoltà prospettica: flussi di cassa previsionali negativi, ordini in forte calo, scostamenti peggiorativi rispetto al budget.
- Indicatori elaborati da prassi professionale: ad esempio, rapporto oneri finanziari/EBITDA molto alto, Current ratio << 1, debiti vs fornitori scaduti oltre X giorni e in aumento rapido, ecc..
- Soglie di allerta esterna: il superamento delle soglie di debito verso Fisco/INPS (es. IVA non pagata > €5k e >10% fatturato, contributi >€15k e >30% del dovuto) è di per sé un segnale forte, tanto che fa scattare la segnalazione formale dei creditori pubblici.
In sintesi, la crisi si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni pianificate (definizione art. 2 CCII) – quindi se l’azienda comincia a dover procrastinare pagamenti e bruciare liquidità senza prospettiva di recupero, è in crisi conclamata.
D. Come comunicano l’allerta l’INPS o l’Agenzia Entrate all’impresa?
R. In base all’art. 25-novies CCII, se i debiti verso Fisco o enti previdenziali superano certe soglie e sono scaduti da oltre 90 giorni, tali enti inviano una comunicazione via PEC all’impresa. Nella lettera segnalano il superamento delle soglie legali (ad esempio “IVA non versata per €50.000, superiore al 10% del fatturato e maggiore di €20.000”) e invitano formalmente l’impresa ad attivare la composizione negoziata o comunque a trovare soluzione. Contestualmente, viene inviata la PEC anche al collegio sindacale (o revisore), così che gli organi di controllo siano informati. La comunicazione indica i dettagli del debito e sollecita l’azienda a regolarizzare la posizione o a presentare domanda di composizione negoziata entro 90 giorni. In pratica è una lettera d’allerta formale: da quel momento l’impresa sa che i riflettori sono accesi e che ha l’opportunità (oltre che la pressione) di reagire usando gli strumenti di crisi. Va sottolineato che questa segnalazione non è pubblica, è un atto riservato tra ente e impresa (più organi di controllo): serve a spronare senza generare panico di mercato.
D. Cosa succede se una segnalazione interna (sindaci) o esterna (Fisco) viene ignorata?
R. Se gli amministratori non reagiscono tempestivamente alle segnalazioni di crisi, si espongono a serie conseguenze:
- Sul piano della responsabilità civile, la segnalazione tardiva dei sindaci/revisori (o la loro inerzia) li priva delle attenuanti in eventuali cause ex art. 2407 c.c.. Analogamente, l’amministratore che non adotta misure dopo i warning può essere ritenuto colpevole di aggravamento del dissesto e risponderne verso creditori/soci.
- Sul piano penale, l’art. 2086 c.c. modificato è diventato parametro per valutare la colpa grave: amministratori che non attivano strumenti di crisi potrebbero vedere disapplicate le attenuanti del caso (ad es. per bancarotta semplice, la tardiva richiesta di fallimento è aggravante). Inoltre, ignorare volutamente le segnalazioni per “prendere tempo” potrebbe configurare un tentativo di ostacolare la tempestiva emersione.
- Per i creditori pubblici: la normativa prevedeva sanzioni (tipo postergazione di interessi) se Fisco/INPS non segnalano; allo stato però l’apparato sanzionatorio è blando e rivolto solo agli enti (es. responsablità contabile). Dunque il Fisco che non segnala entro 60 gg rischia poco, mentre l’impresa che ignora la segnalazione del Fisco rischia molto in termini di peggioramento del debito (vengono meno eventuali premialità: ad es. se non attivi nulla entro 90 gg, non potrai chiedere sconti su sanzioni poi, ecc.).
In sostanza: non fare nulla dopo una segnalazione significa quasi certamente precipitare nell’insolvenza e quindi in fallimento, perdendo i possibili benefici. Esempio: l’art. 24 CCII prevede misure premiali (riduzione interessi e sanzioni) se l’imprenditore accede agli strumenti di regolazione entro 90 gg dalla segnalazione dei creditori pubblici; chi non lo fa, perde tale opportunità e pagherà ogni extra costo. Inoltre, i sindaci sarebbero tenuti a segnalare l’inerzia al tribunale, il che potrebbe portare all’apertura d’ufficio di una liquidazione giudiziale (il PM può essere investito della questione). Quindi ignorare gli allarmi non fa sparire la crisi, anzi aggrava le responsabilità dei gestori.
D. Cos’è la “continuità aziendale indiretta” in un concordato?
R. La continuità indiretta è una forma di concordato in continuità in cui l’attività d’impresa prosegue, ma non in capo al debitore originario. In pratica, il piano prevede che l’azienda o un ramo di essa venga trasferito (venduto o affittato) ad un soggetto terzo che ne continua l’esercizio. Questo consente di preservare i valori aziendali (know-how, avviamento, posti di lavoro) anche se la società originaria viene liquidata. È “indiretta” perché il debitore concordatario in sé non continua l’attività – la continua un altro. Esempio tipico: concordato di una società che prevede la cessione dell’azienda ad un investitore; la società poi si liquida pagando i creditori col prezzo ricavato, ma l’azienda continua a vivere presso l’acquirente (che ne assume i dipendenti, ecc.). La legge equipara la continuità indiretta a quella diretta ai fini di poter beneficiare delle agevolazioni del concordato in continuità (ad es. è possibile non pagare subito tutti i privilegiati, alcune esenzioni fiscali, ecc.), purché ci sia tutela dei livelli occupazionali e l’attività non venga frammentata arbitrariamente. La giurisprudenza ha chiarito che perché sia vera continuità indiretta, la cessione deve avvenire in funzione della prosecuzione e preferibilmente entro l’omologa o subito dopo; se invece si vende tutto e l’attività cessa, è un concordato liquidatorio camuffato (non beneficerà delle stesse regole). In sostanza, la continuità indiretta è uno strumento di conservazione, molto usato nei concordati di medie e grandi imprese: consente di attirare investitori interessati all’azienda depurata dai debiti. Un caso reale è Alitalia 2020: concordato con affitto d’azienda a nuova società (ITA) – questo è esempio di continuità indiretta (il debito vecchio resta nella procedura, l’attività passa ad altro). Nel nostro Caso 3 sopra, la vendita di Gamma Alfa Srl all’investitore è appunto continuità indiretta nel concordato di gruppo.
D. Qual è la differenza tra un accordo di ristrutturazione dei debiti e un concordato preventivo?
R. In breve: l’accordo di ristrutturazione (ADR) è un accordo contrattuale tra il debitore e (almeno) il 60% dei creditori, omologato dal tribunale, mentre il concordato preventivo è una vera e propria procedura concorsuale aperta in tribunale che coinvolge tutti i creditori con un meccanismo di voto a maggioranza.
Le differenze principali:
- Coinvolgimento dei creditori: nell’ADR solo i creditori aderenti sono vincolati (salvo estensioni speciali per banche dissenzienti); i creditori non firmatari restano estranei e devono essere pagati fuori dall’accordo. Nel concordato, invece, tutti i creditori sono potenzialmente coinvolti e vengono suddivisi in classi per votare; l’omologa approvata a maggioranza impone il concordato anche ai creditori contrari (effetto erga omnes).
- Quorum: ADR richiede adesione consensuale di ≥60% dei crediti (o 30% se “agevolato”), senza votazione formale; concordato richiede maggioranza di voti nelle classi (e ora almeno una classe favorevole) con eventuale cram-down per i restanti.
- Procedura: l’ADR non apre una procedura concorsuale: è un ricorso per omologa, senza spossessamento del debitore né nomina di commissario (salvo il tribunale possa nominare un ausiliario ex art. 44 CCII in rari casi). Il concordato invece è procedura concorsuale: c’è un commissario giudiziale, il debitore rimane nel possesso ma sotto vigilanza, c’è uno spossessamento attenuato.
- Pubblicità e tempi: l’ADR è meno pubblico (l’omologa è iscritta al RI ma le trattative sono riservate) e spesso più rapido (l’omologa avviene in pochi mesi). Il concordato è più lungo e con udienze di voto ecc., e di dominio pubblico fin dall’ammissione (pubblicazione e comunicazioni ai creditori).
- Ambito di applicazione: l’ADR è preferibile quando la crisi è circoscritta a pochi creditori strategici (es. solo banche), cosicché si può escludere gli altri pagando loro integralmente. Permette soluzioni flessibili (ad es. ristrutturare solo il debito finanziario). Il concordato è necessario quando serve coinvolgere in maniera coercitiva ampie platee di creditori o quando non si riesce ad avere il consenso sufficiente privatamente. Ad esempio, se ho 100 creditori e posso convincerne solo il 50%, l’ADR non è possibile, devo fare un concordato e vincere al voto con 50+% (e in mancanza, in concordato posso comunque sperare nel cram-down se alcune classi votano sì).
- Protezione nel frattempo: nel concordato c’è la moratoria legale delle azioni individuali (automatic stay) dall’ammissione; nell’ADR non c’è stay automatico se non su richiesta e ottenibile dopo il deposito dell’accordo (o durante trattative se attivi CNC).
Riassumendo: ADR = approccio negoziale-volontario, Concordato = approccio concorsuale-giudiziale. Entrambi possono portare al risanamento, e oggi sono complementari: spesso l’ADR è tentato prima, e se non raggiunge soglia, si ripiega sul concordato. Va notato che l’ADR vincola solo i firmatari, ma si può chiedere di estenderlo a dissenzienti (banche) in certi casi; il concordato invece impone la regola di maggioranza a tutti.
D. In un concordato, i debiti fiscali e contributivi vanno pagati per intero?
R. No, non necessariamente. Oggi è consentito anche ai crediti fiscali (Erario) e contributivi (INPS, etc.) di subire una falcidia (riduzione) o una dilazione nel concordato, attraverso lo strumento della transazione fiscale e contributiva. Il debitore nel piano può proporre di pagare solo una parte di imposte e contributi oppure di pagarli in forma rateizzata, purché offra ad essi almeno quanto otterrebbero nella liquidazione fallimentare. Ad esempio, se stima che in caso di fallimento il Fisco prenderebbe il 10%, può proporre di pagare il 15% in concordato. Questa proposta va corredata da una relazione di un professionista attestatore che certifichi la convenienza per il Fisco. Se l’Erario e l’INPS aderiscono alla proposta, bene (di solito votano in classe dei chirografari pubblici); se non aderiscono, il tribunale può comunque omologare il concordato (cram-down fiscale) se ritiene soddisfatta la condizione di convenienza e se la classe pubblica è l’unica dissenziente. In pratica, dal 2020 in poi i giudici possono scavalcare il “no” del Fisco se la proposta per esso è oggettivamente più vantaggiosa del fallimento. Quindi i debiti fiscali/contributivi possono essere trattati al pari degli altri debiti nel concordato, subendo percentuali di pagamento inferiori al 100% in molti casi. Naturalmente, se l’impresa è in continuità e se lo può permettere, spesso offre il pagamento integrale di IVA e contributi per ragioni etiche o di fattibilità, ma non è un obbligo giuridico assoluto (lo era in passato, non più). Va ricordato però che fuori dal concordato (o accordo), il Fisco e l’INPS pretendono il pagamento integrale salvo rarissime ipotesi normative: la transazione fiscale è l’unico contesto in cui accettano stralci. Infine, sottolineo: la transazione fiscale è uno strumento formale – se il debitore non la chiede espressamente, il Fisco per legge vota necessariamente no a qualsiasi proposta che preveda il pagamento parziale di imposte. Dunque è importante inserirla correttamente nel piano e fornire la perizia di convenienza.
D. Quali vantaggi si hanno ad attivarsi per tempo in caso di crisi (c.d. misure premiali)?
R. Il Codice e le norme correlate prevedono varie “misure premiali” per l’imprenditore che reagisce tempestivamente e utilizza gli strumenti di regolazione della crisi prima di diventare insolvente conclamato. Alcuni esempi:
- Riduzione di sanzioni e interessi fiscali: se l’impresa presenta domanda di concordato o accordo prima che intervengano azioni esecutive e in modo tempestivo, le sanzioni tributarie possono essere ridotte fino al 50% e gli interessi di mora dimezzati (art. 25-bis CCII e DL 118/2021 conv.). Inoltre, come da DL 119/2018, accedendo alla composizione negoziata poi concordato, l’Agenzia Entrate può concedere dilazioni fino a 10 anni (120 rate).
- Esenzioni da revocatorie: i pagamenti e le operazioni compiute in esecuzione di un piano attestato o di un accordo omologato sono esenti da azione revocatoria fallimentare (art. 166 CCII). Quindi chi ha transato con l’azienda in crisi in buona fede non subirà revoche se poi malauguratamente questa fallisse.
- Non punibilità per alcuni reati fallimentari: l’art. 217-bis L.F. (richiamato in CCII art. 324) prevedeva che non sono punibili per bancarotta semplice e preferenziale gli atti compiuti in esecuzione di un piano di risanamento attestato o di un concordato omologato. Inoltre, la tempestiva attivazione riduce il rischio di contestazione di bancarotta per aggravamento del dissesto.
- Attenuazione responsabilità organi di controllo: come detto, i sindaci/revisori che segnalano per tempo beneficiano di possibili esclusioni di responsabilità (art. 25-octies co.2 CCII). Analogo discorso per gli amministratori: se attuano adeguati assetti e provano di aver fatto il possibile, difficilmente saranno ritenuti responsabili verso creditori, contrariamente a chi persevera in gestione imprudente in crisi.
- Conservazione di agevolazioni e autorizzazioni: normative settoriali (ambientali, appalti pubblici) sovente prevedono che l’impresa in concordato può mantenere titoli autorizzativi o contratti pubblici che altrimenti decadrebbero in caso di fallimento. Ad esempio, un’azienda in concordato può proseguire esecuzione di appalti se c’è continuità, mentre il fallimento porterebbe alla risoluzione immediata.
- Niente sanzioni per mancata segnalazione banche in CR: come visto, il correttivo 2024 chiarisce che le banche che rispettano il divieto di revoca fidi in CNC non incorrono in responsabilità per concessione abusiva di credito. Questo indirettamente premia l’impresa virtuosa: se la banca non ha paura di essere sanzionata, è più propensa a sostenere l’impresa in crisi con nuova finanza o mantenimento dei fidi.
In generale, attivarsi per tempo consente di scegliere lo strumento (ad esempio composizione negoziata volontaria invece di subire un fallimento d’ufficio) e di gestire la narrazione con i creditori, spesso ottenendo più fiducia e quindi condizioni migliori (i creditori vedono che l’imprenditore non scappa, ma affronta la crisi e taglia le perdite: sono più disponibili a fare accordi). Al contrario, arrivare alla insolvenza irreversibile riduce drasticamente il potere negoziale e fa perdere benefici come quelli elencati, confinando l’impresa alle sole soluzioni liquidatorie con tutte le penalizzazioni del caso.
Tabelle riepilogative
Tabella 1 – Strumenti di regolazione della crisi d’impresa (principali caratteristiche)
Strumento | Chi lo attiva | Partecipazione creditori | Ruolo del Tribunale | Effetti principali | Quando usarlo |
---|---|---|---|---|---|
Composizione negoziata (CNC) | Debitore (volontario) | Solo creditori coinvolti nelle trattative; accordo stragiudiziale (nessun voto) | Nomina un esperto indipendente; concede misure protettive e autorizzazioni | Protezione fino 12 mesi da azioni esecutive; niente spossessamento; possibili accordi e transazione fiscale stragiudiziali | Crisi iniziale o reversibile; pochi creditori chiave; si vuole evitare procedura formale e salvare continuità |
Accordo di ristrutturazione (ADR) | Debitore (volontario) | Adesione di ≥60% dei crediti (o 30% se agevolato); creditori non aderenti estranei (salvo efficacia estesa) | Omologa l’accordo se conviene ai creditori estranei; no organi concorsuali (eventuale ausiliario) | Moratoria su richiesta dal deposito; effetti vincolanti solo per aderenti (tranne banche dissenzienti in estensione) | Crisi con pochi creditori rilevanti, soprattutto banche; necessità di rapidità e riservatezza; risorse per pagare interamente gli altri creditori |
Concordato preventivo (in continuità o liquidatorio) | Debitore (volontario) | Tutti i creditori; classi di voto; approvazione a maggioranza (≥50% crediti per classe) con poss. cram-down | Apre procedura concorsuale; nomina Commissario; omologa se maggioranze (o condizioni cram-down) rispettate | Sospensione procedure esecutive ex lege; vincola tutti i creditori all’esito omologato; possibile cessione beni libera da gravami; esdebitazione finale | Crisi conclamata o insolvenza reversibile; troppi creditori per accordo privato; necessario imporre sacrifici con forza di legge (tagli crediti, ecc.) |
Concordato semplificato (post-CNC) | Debitore, solo se CNC fallita | Nessun voto dei creditori (solo osservazioni) | Procedura concorsuale rapida; Commissario facoltativo; omologa se piano conveniente rispetto a fallimento | Liquidazione beni senza voto; creditori soddisfatti in base a convenienza verificata d’ufficio | Crisi non risolta da CNC; azienda non salvabile in continuità; si vuole evitare fallimento e liquidare comunque sotto controllo |
Piano di risanamento attestato (art. 56 CCII) | Debitore (volontario) | Accordi privati bilaterali con creditori (100% consensi necessari di chi è coinvolto) | Nessun intervento giudiziale (piano asseverato da professionista, ma non omologato) | Protezione solo ex-post: esenzione da revocatorie per atti in esecuzione del piano; nessuna moratoria legale | Crisi lieve o iniziale risolvibile con accordi one-to-one (es. rinnovo fidi, attesa fornitori) senza pubblicità; utile per prevenire il dissesto |
Liquidazione giudiziale (ex fallimento) | Creditori, PM o debitore insolvente | Tutti i creditori (procedura concorsuale classica di liquidazione) | Nomina Curatore; spossessamento totale; giudice delegato supervisiona; chiusura con riparti finali | Scioglimento impresa; vendite beni all’asta; creditori soddisfatti in ordine privilegi; società estinta; poss. azioni di responsabilità e revocatorie | Insolvenza irreversibile; impossibile alcun risanamento; oppure fallimento conseguente ad esito negativo degli altri strumenti |
Tabella 2 – Soglie di segnalazione d’allerta dei creditori pubblici (attive dal 2022, art. 25-novies CCII)
Creditore pubblico qualificato | Condizioni per la segnalazione | Tempistica segnalazione | Destinatari segnalazione |
---|---|---|---|
INPS (contributi previdenziali) | Debiti contributivi scaduti da > 90 giorni, > 30% del dovuto dell’anno precedente e superiori a €15.000 (per imprese con dipendenti). – Per imprese senza dipendenti: debiti contributivi > €5.000 scaduti >90g. | Entro 60 giorni dal verificarsi di tali condizioni (90g di ritardo oltre soglia) | Impresa (via PEC) e Presidente Collegio Sindacale |
INAIL (premi assicurativi) | Debiti per premi assicurativi scaduti da > 90 giorni, superiori a €5.000. | Entro 60 giorni dal ritardo >90g oltre soglia | Impresa e Collegio Sindacale (PEC) |
Agenzia Entrate (IVA) | Debito IVA risultante da liquidazioni periodiche: importo scaduto > 90 giorni, maggiore di €5.000, e ≥ 10% del fatturato dell’anno precedente; in ogni caso segnalazione se debito IVA > €20.000. (Esempio: se fatturato prev. €300k, 10% = 30k: soglia sarà 30k o 20k se sup., quindi il maggiore.) | Entro 60 giorni dalla scadenza del termine di versamento dell’IVA periodica (ad es., entro 60 gg dal termine liquidazione trimestrale in cui si riscontra il mancato versamento) | Impresa e Collegio Sindacale (PEC) |
Agenzia Entrate-Riscossione (cartelle esattoriali) | Ruoli affidati ad AER scaduti da > 90 giorni, per importi superiori a: – €100.000 (imprese individuali); – €200.000 (società di persone); – €500.000 (altre società di capitali). | Entro 60 giorni dal superamento di tali soglie (calcolo su singolo debitore) | Impresa e Collegio Sindacale (PEC) |
(Nota: superate queste soglie, la lettera di segnalazione invita a regolarizzare o attivare la composizione negoziata entro 90 gg. Se l’impresa lo fa, può beneficiare di premialità; se non lo fa, i creditori pubblici possono comunque proseguire riscossione coattiva e l’omessa reazione sarà valutata negativamente.)
Tabella 3 – Concordato in continuità vs Concordato liquidatorio (principali differenze)
Concordato in continuità aziendale | Concordato liquidatorio | |
---|---|---|
Oggetto del piano | Prosecuzione dell’attività d’impresa (da parte del debitore o mediante cessione/affitto d’azienda a terzi, cioè continuità diretta o indiretta). L’azienda rimane operativa durante e dopo la procedura. | Cessazione dell’attività e liquidazione di tutto il patrimonio per distribuire il ricavato ai creditori. L’impresa viene di fatto smantellata. |
Finalità | Risanamento e mantenimento dei valori aziendali come going concern. Massimizzazione soddisfacimento attraverso la generazione di flussi reddituali futuri e conservazione posti di lavoro (per quanto possibile). | Realizzo una tantum degli asset e chiusura della società. Massimizzazione soddisfacimento attraverso la vendita di beni (eventualmente anche in blocco) nel più breve tempo possibile. L’impresa scompare. |
Obbligo di classi e voto | Obbligo di formazione di classi di creditori omogenee, salvo tutti chirografari trattati uguale. Votazione per classi necessaria. Per omologa, tutte le classi devono votare sì (ora superabile con cram-down interclassi). | Facoltativo formare classi (spesso si può mettere tutti chirografari insieme se trattamento uniforme). Concordato può essere omologato se approvato dalla maggioranza del totale crediti ammessi al voto (non serve unanimità di classi; se si fanno classi e una dissente, piano in genere non va). Il cram-down interclassi di regola non si applica (riservato alla continuità). |
Trattamento crediti | Flessibile: possibile pagamento parziale o dilazionato di crediti privilegiati se funzionale alla continuità (es. pagamento rateale ipoteche); possibile non soddisfare integralmente chirografari senza soglia minima (salvo convenienza rispetto a fallimento). | Rigoroso: creditori privilegiati vanno soddisfatti almeno in misura pari al valore di liquidazione dei beni su cui vantano prelazione (o in natura con beni equivalenti). Creditori chirografari devono ricevere almeno il 20% del loro credito (salvo rinuncia espressa). |
Esecuzione del piano | Può estendersi su più anni di esercizio dell’impresa post-concordato. Ad es. pagamento creditori con i proventi di 5 anni di attività. Il debitore rimane in carica (salvo commissariamento per atti di straordinaria amm. se richiesto). Contratti pendenti: l’impresa li continua; possibili scioglimenti solo se autorizzati e funzionali al risanamento (art. 95 CCII). | Di regola in tempi più brevi (liquidazione degli attivi e distribuzione). Spesso nominato un liquidatore giudiziale post-omologa che sostituisce gli amministratori per vendere beni e poi la società viene cancellata. Contratti pendenti: debitore può chiederne lo scioglimento per non accumulare ulteriori obblighi (art. 96 CCII), in quanto cessa l’attività. |
Benefici | – Possibilità di trattamento differenziato creditori per favorire la ristrutturazione (classi). – Finanza esterna in continuità privilegiata (prededuzione) che può entrare per sostenere l’impresa (art. 100 CCII). – Esonero da revocatoria per atti di ordinaria gestione in continuità. – Conservazione di contratti e autorizzazioni (appalti pubblici possono proseguire). – Mantenimento posti di lavoro (salvo esuberi gestiti). | – Procedura più semplice (no gestione aziendale prolungata). – Possibilità di concordato semplificato se fallisce CNC (liquidazione senza voto). – Tempi relativamente più rapidi per chiudere e arrivare a esdebitazione. – Minor rischio di inadempimento del piano (perché si basa su realizzi, non su performance future). |
Criticità | – Rischio di inadempimento del piano se performance future non rispettate (con possibili risoluzioni). – Richiede monitoraggio lungo. – Difficoltà nel convincere creditori ad attendere (ma compensata da migliori prospettive). | – Spesso comporta forte perdita di valore (aziende vendute spezzatino). – Conseguenze sociali (licenziamenti, cessazione attività). – Creditori chirografari hanno soglia 20% (in continuità potrebbero anche accontentarsi di meno se liquidazione darebbe zero, in liquidatorio no). |
Fonti normative e giurisprudenziali utilizzate
Normativa principale:
- Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) – D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14, come modificato dai decreti correttivi (D.Lgs. 147/2020, D.L. 118/2021 conv. L. 147/2021, D.Lgs. 83/2022 e D.Lgs. 136/2024). Contiene la disciplina organica di allerta, composizione negoziata, concordati, accordi e liquidazione giudiziale.
- Legge Fallimentare (vecchia) – R.D. 16 marzo 1942 n. 267, per riferimenti storici e transitori (abrogata salvo procedimento unitario art. 34 e poche norme residuo).
- Decreto-Legge 24 agosto 2021 n. 118 convertito in L. 147/2021 – Istituzione composizione negoziata e concordato semplificato, con misure transitorie su allerta.
- D.Lgs. 17 giugno 2022 n. 83 – Attuazione direttiva UE 2019/1023 (Insolvency), ha introdotto piani di ristrutturazione soggetti a omologa (PRO) e modifiche su concordato (cram-down interclassi).
- D.Lgs. 13 ottobre 2024 n. 136 – Terzo correttivo al CCII, in vigore dal 28/09/2024: novità su composizione negoziata (transazione fiscale, divieto revoche fidi, proroghe più facili); allerta interna (estesa ai revisori, segnalazione tempestiva 60gg); definizioni aggiornate (strumenti di regolazione vs procedure concorsuali).
- Codice Civile, artt. 2086 c.c. (dovere organizzativo dell’imprenditore) e 2403 c.c. (doveri collegio sindacale) come modificati dalla riforma – impongono assetti adeguati e vigilanza sul going concern.
- Legge 17 dicembre 2012 n. 221, art. 31 – Startup innovative: prevede esenzione da procedure concorsuali per 5 anni e assoggettamento solo a procedure da sovraindebitamento.
- Legge 155/2017 – Legge delega per la riforma, per contesto.
Linee Guida e Prassi:
- Decreto Dirigenziale Min. Giustizia 28 settembre 2021 e 21 marzo 2023 – Linee guida per la conduzione della composizione negoziata (check-list, criteri valutazione perseguibilità risanamento).
- Protocollo Tribunale di Livorno 21/10/2024 – Esempio di vademecum locale per composizione negoziata e concordato semplificato.
- Circolare INPS n. 17/2022 e Messaggio INPS n. 3553/2024 – Istruzioni su coordinamento transazione contributiva post-riforma 2024 (conferma: in CNC no falcidia contributi; in concordato accordo ex art. 63 CCII).
Giurisprudenza (merito e legittimità):
- Tribunale Bari, 30 maggio 2024 – Negava apertura CNC se pendeva istanza di fallimento di terzi (orientamento poi superato dal D.Lgs. 136/2024 che ha chiarito ammissibilità).
- Tribunale Udine, ordinanza 30 aprile 2024 – Ammissibilità di misure cautelari atipiche a contenuto equivalente alle misure protettive durante CNC.
- Tribunale Modena, ordinanza 8 marzo 2025 – Inibitoria banca da escutere garanzia MCC durante CNC (flessibilità strumenti cautelari per evitare aggravio posizione erariale).
- Tribunale Venezia, ordinanza 13 gennaio 2025 – Caso di gruppo in CNC: conferma misure protettive erga omnes per società del gruppo e impone alle banche lo standstill (no segnalazioni CR, no revoche fidi) in attuazione correttivo 2024. Riconosce la giustificazione del “sacrificio temporaneo” imposto alle banche bilanciato da prospettive di risanamento.
- Tribunale Roma, decreto 15 novembre 2023 – Omologa uno dei primi concordati semplificati post-CNC: conferma assenza voto creditori, verifica convenienza piano liquidatorio e presenza attestazione esperto su impossibilità continuità.
- Tribunale Milano, decreto 2 febbraio 2024 (giud. Pipicelli) – Limite misure protettive: non inibisce socio dal chiedere amministrazione straordinaria (diritto potestativo che non può essere congelato da CNC).
- Tribunale Verona, decreto 22 gennaio 2024 – Modalità comunicazione ordine di non revoca affidamenti in CNC: va notificato formalmente a banche perché sia operativo.
- Tribunale Venezia, decreto 28 giugno 2023 (caso di applicazione art. 112 CCII ante correttivo) – Omologa concordato in continuità con cram-down fiscale nonostante voto contrario Agenzia Entrate classe dedicata (prima del 2024, art. 112 co.2 previgente). Prefigura estensione meccanismo a tutte classi dissenzienti, poi normata.
- Cass., Sezioni Unite, 8500 e 8501/2021 – Cram-down fiscale: hanno sancito che il tribunale può omologare il concordato nonostante il voto negativo dell’Erario se la proposta assicura almeno il soddisfo che avverrebbe in liquidazione e la classe pubblica era l’unica dissenziente. Chiariscono anche che transazione fiscale è facoltà del debitore proporla e se non proposta l’Erario non può essere obbligato ad accettare decurtazioni (in quel caso rigetta il concordato). Principio ora recepito in CCII art. 112 e 63.
- Cass., Sez. I, 6697/2022 – Startup innovativa: ha stabilito che la “esenzione da fallimento per 5 anni” decorre dalla data di costituzione della società, non dalla iscrizione nella sezione speciale. Dunque una start-up dal giorno dopo i 5 anni è soggettabile a liquidazione giudiziale anche se rimane iscritta come start-up (prassi: dopo 5 anni perde automaticamente requisiti). Importante perché, come nel caso Beta, i creditori possono presentare istanza appena scocca il termine.
- Cass., Sez. I, 7872/2020 – Conferma che nelle società di gruppo si può presentare un unico progetto di concordato con più masse separate, ma il giudice deve valutare la fattibilità e convenienza per ogni singola massa (precursore disciplina gruppo CCII).
- Cass., Sez. I, 1521/2013 (Sezioni Unite) – Definisce lo stato di insolvenza come inidoneità strutturale ad adempiere regolarmente e la crisi come probabilità di insolvenza futura, delineando differenza concettuale poi recepita dal Codice.
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