Hai ricevuto un avviso di accertamento dall’Agenzia delle Entrate senza essere stato ascoltato prima? Ti chiedi se è possibile annullarlo perché non ti è stata data la possibilità di difenderti?
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in contenzioso tributario, annullamento atti illegittimi e tutela del contribuente – è pensata per spiegarti quando un accertamento è nullo per violazione del diritto al contraddittorio e cosa puoi fare subito per far valere i tuoi diritti.
Scopri cos’è il contraddittorio preventivo obbligatorio, quando la sua assenza rende nullo l’atto impositivo, quali sono le recenti pronunce a favore del contribuente, e come presentare un ricorso efficace per fermare la pretesa del fisco.
Alla fine della guida troverai tutti i contatti per richiedere una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo, analizzare il tuo caso e costruire una strategia difensiva concreta per annullare l’accertamento, bloccare cartelle esattoriali e salvare il tuo patrimonio.
Introduzione
Il principio del contraddittorio impone all’amministrazione, prima di emanare un atto che incide sfavorevolmente sui diritti di un soggetto, di mettere quest’ultimo in condizione di esporre le proprie ragioni. In altri termini, il contribuente (o comunque il destinatario di un provvedimento impositivo o sanzionatorio) ha diritto a essere ascoltato e a interloquire prima che l’atto diventi definitivo. Questo principio costituisce un cardine dello Stato di diritto, poiché garantisce trasparenza, partecipazione e difesa nel procedimento amministrativo. Tuttavia, in Italia la sua applicazione nei procedimenti di accertamento non è sempre stata generalizzata: storicamente il contraddittorio preventivo era previsto solo in alcune ipotesi specifiche (ad esempio, nelle verifiche fiscali “in loco” presso il contribuente) mentre veniva escluso in altre (come i controlli cosiddetti “a tavolino”). Ne derivava una disparità di trattamento procedurale e frequenti contenziosi sulla legittimità degli accertamenti emessi senza contraddittorio.
Negli ultimi anni, il legislatore e i giudici hanno progressivamente riconosciuto l’importanza di estendere il contraddittorio a tutti i settori impositivi. La riforma fiscale attuata con il D.lgs. 219/2023 ha introdotto una disciplina organica del contraddittorio nel diritto tributario, sancendo l’obbligo generalizzato di confronto preventivo per la quasi totalità degli atti fiscali impugnabili. Parallelamente, la giurisprudenza – sia nazionale (Cassazione, Corte Costituzionale) che sovranazionale (Corte di Giustizia UE) – ha contribuito a delineare i confini e le eccezioni del principio, imponendo ad esempio il rispetto del contraddittorio in materia doganale e armonizzata (IVA, dazi) e riconoscendo la sua rilevanza come espressione dei diritti di difesa garantiti dal diritto UE. Al contempo, restano ambiti (come i contributi previdenziali e alcuni procedimenti sanzionatori amministrativi) in cui la portata del contraddittorio è meno definita, creando incertezze e dibattiti sulla legittimità di accertamenti “unilaterali”.
In questa guida esamineremo in dettaglio quando un accertamento può considerarsi illegittimo per difetto di contraddittorio, analizzando i profili normativi e giurisprudenziali nei vari settori: tributario, doganale, previdenziale e dei procedimenti sanzionatori. Verranno illustrate le novità normative più recenti – inclusa l’attuazione della Delega Fiscale (D.lgs. 219/2023 e successivi decreti attuativi) – e le pronunce chiave della Corte di Cassazione, della Corte Costituzionale e della Corte di Giustizia UE. Si approfondiranno le condizioni di legittimità e illegittimità di un accertamento emesso senza previo contraddittorio, con particolare attenzione agli obblighi di motivazione dell’ente impositore, ai diritti del contribuente e alle garanzie procedimentali da osservare. Saranno esaminati gli effetti sanzionatori di un accertamento viziato (nullità o annullabilità dell’atto) e i rimedi esperibili dal contribuente, dalle eccezioni in sede di ricorso alle cause di nullità assoluta. Infine, la guida presenta casi pratici e simulazioni, nonché una sezione Domande & Risposte per chiarire i dubbi ricorrenti, e si chiude con un elenco ragionato delle fonti normative e giurisprudenziali di riferimento (italiane ed europee). L’obiettivo è fornire a professionisti, avvocati e imprenditori uno strumento completo e aggiornato (maggio 2025) per orientarsi nel complesso ambito degli accertamenti fiscali e amministrativi senza contraddittorio – comprendendo quando tali atti possano essere considerati illegittimi e come tutelare al meglio i diritti dei destinatari.
Il principio del contraddittorio: quadro generale
Prima di addentrarci nei singoli settori, è utile delineare i tratti essenziali del principio del contraddittorio e la sua evoluzione generale. In ambito amministrativo italiano, il diritto alla partecipazione del destinatario al procedimento è affermato in via generale dalla Legge n.241/1990 (sul procedimento amministrativo). Questa legge prevede l’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento e di consentire agli interessati di presentare memorie e documenti (artt. 7 e 10 L.241/1990). Tuttavia, i procedimenti tributari erano tradizionalmente esclusi dall’applicazione di queste norme generali, lasciando la materia fiscale soggetta a regole speciali (lo Statuto del Contribuente) e alla giurisprudenza.
Nel diritto tributario italiano, la prima codificazione del contraddittorio è avvenuta con la Legge 212/2000 (Statuto dei diritti del contribuente). L’art. 12, comma 7 di tale legge, introdusse una importante garanzia: nei casi di accertamento conseguente a verifiche fiscali in loco (accessi, ispezioni e verifiche presso i locali del contribuente), l’ufficio non può emanare l’avviso di accertamento prima di 60 giorni dal rilascio del verbale di chiusura delle operazioni, salvo casi di particolare e motivata urgenza. In questo intervallo il contribuente può presentare osservazioni e richieste che devono essere valutate dall’ufficio, ed eventualmente confutate con adeguata motivazione nell’atto impositivo definitivo. La sanzione per il mancato rispetto di questa regola è la nullità dell’atto emesso “ante tempus” (cioè prima dei 60 giorni). Questa previsione – limitata testualmente alle verifiche della Guardia di Finanza o Agenzia Entrate svolte in azienda – rappresentava fino a poco tempo fa l’unico caso di obbligo normativo generalizzato di contraddittorio nel nostro sistema tributario. Per le altre tipologie di accertamento (ad esempio i controlli “a tavolino” basati su indagini finanziarie o controlli incrociati sui dati in ufficio), la legge non imponeva un’analoga attesa né un confronto preventivo, a meno che norme specifiche lo prevedessero per il singolo tributo.
Questa frammentazione normativa ha portato la giurisprudenza a interrogarsi sulla possibilità di ricavare un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, anche in assenza di una espressa previsione di legge. La Corte di Cassazione inizialmente sembrò propendere per un riconoscimento generalizzato del diritto al contraddittorio, facendolo derivare da principi costituzionali (art. 97 Cost. sul buon andamento della P.A. e art. 24 Cost. sul diritto di difesa) combinati con i principi di collaborazione e buona fede dello Statuto del contribuente. Si argomentava che, se esiste un dovere reciproco di cooperazione tra fisco e contribuente (art. 10, co.1 L.212/2000), questo dovere implica necessariamente l’ascolto del contribuente prima di adottare un atto impositivo a suo danno.
Tuttavia, le Sezioni Unite della Cassazione, con una svolta del 2015, hanno ridimensionato questa impostazione. Nella sentenza Cass. SS.UU. n. 24823/2015, la Suprema Corte ha affermato principi destinati a far da riferimento fino alle riforme recenti: (i) per i tributi “armonizzati” dell’UE (come l’IVA), sussiste un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale in capo all’amministrazione finanziaria, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto a condizione che il contribuente in giudizio indichi concretamente le difese che avrebbe voluto far valere (non bastando una generica opposizione pretestuosa); (ii) per i tributi “non armonizzati” (es. imposte sui redditi, IRAP, tributi locali), invece, non esiste un analogo obbligo generale di contraddittorio, sicché la sua osservanza è dovuta solo nei casi espressamente previsti dalla legge. In altri termini, prima della riforma 2023 la regola era: niente nullità dell’accertamento “a tavolino” se il contraddittorio non è previsto da una norma specifica, perché il nostro diritto interno – diversamente da quello UE – non conteneva una clausola generale in tal senso. Questo orientamento ha consolidato una distinzione netta tra accertamenti in ambito armonizzato (dove il contraddittorio era ritenuto necessario in via di principio) e accertamenti in ambito nazionale (dove poteva essere omesso, fatte salve le eccezioni di legge).
Parallelamente, sul fronte europeo, la Corte di Giustizia UE aveva già da tempo affermato il contraddittorio come principio fondamentale del diritto dell’Unione. Già con la sentenza Sopropé (18 dicembre 2008, C-349/07), relativa a dazi doganali, la Corte di Lussemburgo dichiarò che il diritto di essere ascoltati prima di una decisione sfavorevole è parte integrante dei diritti di difesa ed è un principio generale del diritto comunitario, applicabile ogni volta che l’amministrazione intenda adottare un provvedimento lesivo. Questo principio si applica anche in mancanza di una norma nazionale esplicita, in virtù della prevalenza del diritto UE: gli Stati membri devono garantirne l’osservanza quando agiscono in ambiti disciplinati dal diritto unionale (ad esempio la riscossione di tributi armonizzati come l’IVA o i dazi). Successivamente, con le cause riunite Kamino e Datema (Corte Giust. UE, 3 luglio 2014, C-129/13 e C-130/13), è stato precisato che non ogni violazione del diritto al contraddittorio comporta automaticamente l’annullamento dell’atto: spetta al giudice nazionale verificare se, in assenza dell’irregolarità, il procedimento avrebbe potuto avere un esito diverso. Si tratta della cosiddetta “prova di resistenza”, principio di matrice europea recepito poi anche dalla Cassazione: in sostanza, un accertamento emesso senza contraddittorio non viene annullato se l’ente impositore dimostra che il coinvolgimento del contribuente non avrebbe in concreto mutato la pretesa, oppure se il contribuente non indica quali elementi avrebbe potuto far valere a suo discarico. Questo approccio sostanzialistico evita annullamenti “formali” privi di utilità, concentrando l’attenzione sull’effettivo pregiudizio arrecato dalla mancata partecipazione.
Alla luce di tali sviluppi, il quadro fino al 2023 era quindi composito: da un lato forti sollecitazioni dalla giurisprudenza UE a estendere il contraddittorio come garanzia generale; dall’altro, la giurisprudenza interna che, pur riconoscendo il valore del principio, ne limitava l’obbligo ai casi di derivazione comunitaria o previsti dalla legge, rimettendo al legislatore un eventuale intervento sistematico. Proprio il legislatore è intervenuto di recente: con la legge delega n.111/2023 e il successivo D.lgs. 219/2023, si è deciso di generalizzare l’obbligo del contraddittorio in materia tributaria. La Corte Costituzionale, nella sentenza n.47/2023, aveva a sua volta spronato il Parlamento in tal senso: pur dichiarando inammissibile una questione di legittimità sull’art.12, comma 7 Statuto (per mancata estensione del contraddittorio a tutti gli accertamenti), la Consulta ha osservato che la mancata generalizzazione del contraddittorio è ormai in controtendenza rispetto all’evoluzione normativa e giurisprudenziale, auspicando esplicitamente un intervento del legislatore per prevedere il contraddittorio in ogni tipo di controllo. Pochi mesi dopo, questo intervento è diventato realtà.
Nei paragrafi seguenti analizzeremo settore per settore come si è declinato il contraddittorio: partendo dal tributario, dove la riforma ne ha ampliato la portata; passando al doganale, da sempre influenzato dal diritto UE; trattando poi i profili previdenziali (INPS, INAIL) e infine i procedimenti sanzionatori amministrativi. Successivamente, ci concentreremo sulle condizioni di legittimità/illegittimità di un accertamento senza contraddittorio e sui rimedi. Prima di ciò, una tabella sintetica aiuta a comprendere le differenze generali tra un procedimento con effettivo contraddittorio e uno privo di tale garanzia.
Differenze tra accertamento con e senza contraddittorio (overview):
Aspetto | Accertamento con contraddittorio | Accertamento senza contraddittorio |
---|---|---|
Fase pre-emissione | L’ufficio attiva il confronto prima di emettere l’atto: ad es. invia un avviso di accertamento in bozza o uno schema di atto al contribuente, assegnandogli un termine (di regola 60 giorni) per presentare memorie e documenti. Solo dopo aver valutato le difese, l’ufficio adotta l’atto definitivo. | L’ufficio emette direttamente l’atto impositivo senza interpellare preventivamente il contribuente. Quest’ultimo viene a conoscenza della pretesa solo a seguito della notifica dell’atto definitivo, senza una fase partecipativa antecedente. |
Obbligo normativo | Oggi è la regola nel settore tributario: dal 2024 tutti gli atti impugnabili devono essere preceduti da contraddittorio informato ed effettivo (salvo eccezioni di legge). In passato era previsto solo in ipotesi specifiche (es. verifiche in loco con art.12 Statuto). Anche in ambito UE/doganale il contraddittorio è obbligatorio ex lege. | Prima della riforma, era la prassi comune per gli accertamenti “a tavolino” su tributi interni, non essendovi obbligo generale. Attualmente, rimane ammesso solo nei casi esentati dall’obbligo (atti automatizzati, controlli formali, urgenza riscossione). |
Motivazione dell’atto | L’atto definitivo deve dare conto delle osservazioni del contribuente: l’ufficio è tenuto a confutare i principali argomenti difensivi e a spiegare perché li ha eventualmente rigettati. Inoltre, se la difesa ha fornito elementi a favore del contribuente, l’ufficio deve tenerne conto (ad esempio riducendo la pretesa) o motivare il motivo per cui li considera irrilevanti. | Se la legge imponeva il contraddittorio ma l’ufficio lo ha saltato invocando urgenza, l’atto deve indicare espressamente le ragioni di tale urgenza. In mancanza, l’atto è nullo per difetto di motivazione. Negli altri casi (in cui il contraddittorio non era dovuto) l’atto segue le normali regole motivazionali, senza obbligo di menzionare un contraddittorio mai avviato. |
Diritti difensivi | Il contribuente ha la possibilità di correggere errori fattuali, fornire spiegazioni e documenti prima che l’atto venga emesso. Può anche chiedere di accedere al fascicolo e conoscere gli elementi su cui si fonda la pretesa, così da esercitare pienamente il diritto di difesa. Questa fase può favorire soluzioni concordate (adesione) o l’archiviazione parziale/totale del caso. | Il contribuente può far valere le proprie ragioni solo dopo che l’atto è stato notificato, presentando ricorso nelle sedi competenti. Ciò comporta oneri maggiori (pagamento di un ricorso, eventuale acconto di tributi in pendenza di giudizio, ecc.) e tempi più lunghi. Inoltre, il contribuente non ha accesso preventivo agli atti (se non tramite istanze di accesso documentale, spesso successive all’atto). |
Validità dell’atto | Un atto emanato dopo regolare contraddittorio è più solido: difficilmente potrà essere annullato per vizi procedurali, salvo che l’ufficio ignori completamente le difese (il che configurerebbe un difetto di motivazione). Il contraddittorio consente di “perfezionare” l’istruttoria, riducendo il rischio di errori. | Se l’atto rientrava tra quelli con obbligo di contraddittorio e questo è stato omesso, l’atto è annullabile dal giudice su eccezione del contribuente (la violazione costituisce causa di nullità relativa). Se invece la normativa non prevedeva il contraddittorio in quel caso, l’atto resta legittimo anche se emanato inaudita altera parte. |
Rapporto col contenzioso | L’istituto deflattivo del contraddittorio può ridurre i contenziosi: alcune controversie si risolvono già in fase precontenziosa, con l’ufficio che recepisce parzialmente le ragioni del contribuente o attraverso un accertamento con adesione (concordato) raggiunto a seguito del dialogo. | L’assenza di interlocuzione preventiva favorisce il contenzioso: il contribuente, trovandosi di fronte a un atto “a sorpresa”, sarà più propenso a impugnarlo per far valere in giudizio elementi che avrebbe potuto chiarire prima. In giudizio si assiste spesso a lunghe battaglie su vizi procedurali (omesso contraddittorio) che si sarebbero potuti evitare. |
Legenda: atti armonizzati = atti impositivi in materie di imposta regolate da norme UE (IVA, dazi, accise, etc.); a tavolino = accertamenti svolti in ufficio, senza accesso presso il contribuente; urgenza riscossione = circostanza eccezionale in cui l’ente emittente ritiene che il tempo necessario per il contraddittorio pregiudicherebbe la futura riscossione (es. pericolo di fuga di capitali).
Nei capitoli seguenti approfondiremo come queste differenze generali si articolano nei singoli contesti normativi.
Accertamento tributario: normativa e giurisprudenza sul contraddittorio
In ambito tributario, cioè per gli atti dell’Agenzia delle Entrate, degli enti locali impositori e in generale riguardanti le imposte (dirette e indirette), il tema del contraddittorio ha conosciuto un’evoluzione sostanziale. Esamineremo qui: (a) il quadro normativo attuale, ridisegnato dalla riforma 2023/2024, e il previgente assetto; (b) gli orientamenti giurisprudenziali formatisi prima della riforma e come sono destinati a cambiare; (c) il ruolo del diritto dell’Unione Europea (tributi “armonizzati” come IVA, accise) e della Corte di Giustizia.
Statuto del Contribuente e riforma 2023: l’art. 6-bis e l’obbligo generalizzato
Lo Statuto dei diritti del contribuente (L. 212/2000) costituisce la “carta fondamentale” di garanzie nel procedimento tributario. Come anticipato, fino al 2023 esso prevedeva espressamente il contraddittorio solo all’art. 12, comma 7, per gli accertamenti preceduti da verifica fiscale nei locali del contribuente. In assenza di una previsione generale, era discusso se l’art. 12, c.7 fosse estensibile analogicamente ad altre ipotesi; di fatto, però, la prassi dell’amministrazione finanziaria era di non attivare il contraddittorio per i controlli da remoto (salvo specifiche disposizioni come in materia di studi di settore, transfer pricing, ecc.). Questa situazione è cambiata con il D.lgs. 30 dicembre 2023 n. 219 (attuativo della delega fiscale, L. 111/2023), entrato in vigore il 18 gennaio 2024. Il decreto 219/2023 ha modificato lo Statuto del contribuente introducendo, tra l’altro, il nuovo articolo 6-bis intitolato proprio al “principio del contraddittorio”.
L’art. 6-bis, comma 1, stabilisce che tutti gli atti impugnabili dinanzi alla giustizia tributaria devono essere preceduti da un contraddittorio preventivo informato ed effettivo, a pena di annullabilità dell’atto stesso. Si tratta di una portata generale: non si distingue più tra accertamenti da verifica o da tavolino, né tra tributi armonizzati o meno. Ogni atto rientrante tra quelli elencati nell’art.19 del D.lgs. 546/1992 (cioè “atti impugnabili” in Commissione/giudice tributario, come avvisi di accertamento, avvisi di liquidazione, provvedimenti sanzionatori tributari, cartelle di pagamento per ruoli, ecc.) deve essere anticipato dalla fase di contraddittorio, pena la nullità relativa (annullabilità) dell’atto impositivo. È una innovazione epocale nel nostro ordinamento, che “colma il vuoto” lamentato dalla Corte Costituzionale e adegua il sistema interno agli standard del diritto UE. Nella Relazione illustrativa al decreto delegato, si sottolinea che la formulazione ampia di questo diritto nell’art. 6-bis offre una tutela particolarmente intensa, rafforzata dal contestuale inserimento di una norma (art. 7-bis Statuto) che elenca le violazioni del diritto di partecipazione tra le cause di annullabilità degli atti fiscali. In sostanza, il contraddittorio non è più solo un “principio” ma una regola positiva, la cui omissione integra un vizio proprio dell’atto (con effetti invalidanti).
Esempio: Un avviso di accertamento IRPEF notificato oggi senza che il contribuente sia stato prima invitato al contraddittorio potrà essere annullato in giudizio perché emesso in violazione dell’art. 6-bis Statuto. Il giudice non dovrà più compiere complesse indagini sul tipo di tributo o sull’eventuale provenienza UE della norma violata, ma si limiterà a verificare se l’Agenzia ha attivato il contraddittorio secondo legge. L’assenza di contraddittorio costituirà di per sé motivo di annullamento, a prescindere (in linea di principio) dall’esito che tale contraddittorio avrebbe avuto. Resta comunque possibile per l’Ufficio difendersi dimostrando che il contribuente è stato messo in condizione di partecipare (ad esempio perché l’atto rientrava in un caso esonerato per legge dal contraddittorio, oppure perché il contribuente ha rinunciato non rispondendo all’invito).
Eccezioni ed esclusioni: Il comma 2 dell’art. 6-bis prevede che alcuni atti, per loro natura, siano esclusi dall’obbligo del contraddittorio. In particolare, si tratta degli atti “automatizzati o semiautomatizzati”, degli atti di liquidazione e di controllo formale delle dichiarazioni. La logica è che in questi casi il confronto preventivo non aggiungerebbe valore, trattandosi di atti basati su riscontri oggettivi (incrocio banche dati, calcoli aritmetici su dati dichiarati) e non su valutazioni discrezionali complesse. Un esempio tipico è il controllo automatizzato ex art.36-bis DPR 600/73: il sistema incrocia la dichiarazione dei redditi con i versamenti effettuati e, se risultano importi a debito non versati, emette automaticamente la comunicazione. Qui il contraddittorio non è richiesto. Analogamente, sono esclusi gli esiti del controllo formale ex art.36-ter DPR 600/73 (in cui il contribuente peraltro ha già modo di fornire pezze giustificative su richiesta dell’ufficio) e gli atti di mera liquidazione di tributi.
L’individuazione dettagliata di quali atti rientrino in queste categorie è stata demandata a un apposito decreto del MEF. Tale decreto è stato emanato il 24 aprile 2024 (pubblicato in G.U. il 30 aprile 2024). Esso elenca 14 tipologie di atti esonerati dal contraddittorio preventivo, tra cui: i ruoli e le cartelle di pagamento derivanti da controlli automatici; gli avvisi di accertamento parziale basati su incrocio dati (art.41-bis DPR 600 e corrispondente per IVA); gli atti di recupero crediti d’imposta basati su controlli automatizzati; le intimazioni di pagamento (avvisi che sollecitano il pagamento dopo la notifica della cartella); gli atti di accertamento per omesso versamento di alcuni tributi minori (tasse auto erariali, superbollo auto, concessioni governative, ecc., in quanto in tali casi l’accertamento consiste nel rilievo oggettivo di un mancato pagamento); gli avvisi di liquidazione per decadenza da agevolazioni d’imposta (ad esempio, la perdita dei benefici “prima casa” registrata successivamente); gli atti di liquidazione per imposte di registro, ipotecarie e catastali dovute a seguito di rettifiche catastali; infine, alcuni atti in materia di accise (avvisi di pagamento per omessi versamenti risultanti dai dati di contabilità presentati dal contribuente, oppure per indebite compensazioni di crediti di accisa). Queste esclusioni confermano l’impostazione: dove l’attività dell’ufficio è meramente liquidatoria o implica scarsa discrezionalità, il contraddittorio può non aver luogo, ferma restando la possibilità per il contribuente di far valere eventuali errori tramite altri strumenti (es. istanze di autotutela, o direttamente ricorso se l’atto è infondato). Importante: anche per gli atti esclusi, il decreto MEF ribadisce che restano ferme le altre forme di interlocuzione eventualmente previste dall’ordinamento tributario. Ciò significa che, ad esempio, se l’ufficio emette una comunicazione d’irregolarità (c.d. “avviso bonario” da controllo automatico), il contribuente conserva il diritto di fornire chiarimenti in risposta a tale comunicazione (che pur non essendo contraddittorio “formale” ex art.6-bis, è comunque un dialogo procedimentale disciplinato da altre norme).
Un’ulteriore eccezione prevista dall’art.6-bis riguarda i casi di particolare urgenza legati alla tutela della riscossione. In presenza di un fondato pericolo per la riscossione, l’ufficio può emettere immediatamente l’atto impositivo senza attendere il contraddittorio, purché dia conto nell’atto dei motivi che rendono urgente la notifica. Questa clausola riprende quella già nota dell’art.12, c.7 (che parlava di “casi di particolare e motivata urgenza”) e la generalizza a tutti gli atti. Si tratta di situazioni eccezionali, ad esempio il timore fondato che il contribuente possa sottrarsi al pagamento (dissipando il patrimonio, trasferendo all’estero fondi, etc.) se avvisato con troppo anticipo. In tali casi “di necessità”, l’amministrazione antepone l’efficacia dell’azione di accertamento al diritto al contraddittorio; però, deve motivare specificamente le ragioni di urgenza nell’atto, altrimenti l’omissione non è giustificata e l’atto risulta nullo. La giurisprudenza passata ha interpretato in modo restrittivo questa possibilità di saltare il contraddittorio: l’urgenza non può essere genericamente affermata, ma va provata in concreto dall’ufficio, e deve trattarsi di situazioni non imputabili all’inerzia dell’ente (ad es. non vale invocare l’urgenza solo perché si è a ridosso del termine di decadenza, se l’ufficio ha ritardato le sue attività).
Da ultimo, va ricordato che il D.lgs. 219/2023 ha inserito anche disposizioni per garantire l’attuazione del contraddittorio a livello locale: l’art.1, comma 1, lett. a) n.3) del decreto ha introdotto i commi 3-bis e 3-ter nell’art.1 dello Statuto del contribuente. Questi commi stabiliscono che i principi dello Statuto (incluso dunque il nuovo contraddittorio) valgono come principi anche per regioni ed enti locali, che devono adeguare i propri ordinamenti assicurando almeno lo stesso livello di tutela (possono prevedere garanzie aggiuntive, ma non inferiori a quelle statutarie). Ciò significa che anche nei tributi locali (IMU, TARI, ecc.) gli enti impositori dovranno introdurre procedure di contraddittorio preventivo analoghe a quelle statali. In molti casi i comuni già prevedono, in via regolamentare, forme di avviso al contribuente prima dell’emissione dell’accertamento; dove così non fosse, dovranno adeguarsi per evitare che l’atto locale sia impugnabile per violazione dei principi statali.
In sintesi, dall’inizio 2024 il contraddittorio nel procedimento tributario non è più un’eccezione ma la regola, con poche deroghe tipizzate. Il contenzioso futuro verterà dunque non più sull’esistenza dell’obbligo (data per acquisita) ma sul suo corretto espletamento: ad esempio, se il termine dato al contribuente è congruo (minimo 60 giorni per legge), se l’ufficio ha realmente valutato le osservazioni (obbligo di motivazione rafforzata) o se ricorrevano effettivamente i presupposti per l’urgenza invocata.
Giurisprudenza tributaria: dal “caso Ecotec” alle Sezioni Unite 2015 e oltre
Per comprendere il presente, è utile riassumere brevemente come la giurisprudenza tributaria si è evoluta sul tema contraddittorio prima della riforma, poiché molti di quei principi restano applicabili (soprattutto per atti emessi prima del 2024) e integrano il quadro attuale. Abbiamo già richiamato la fondamentale pronuncia delle Sezioni Unite n.24823/2015, che ha sancito: obbligo generalizzato di contraddittorio solo per tributi armonizzati, e solo se il contribuente dimostra le proprie potenziali difese (“prova di resistenza”); nessun obbligo generalizzato per tributi non armonizzati, salvo previsioni espresse. Quella sentenza chiarì definitivamente un contrasto che si era creato in Cassazione negli anni precedenti, noto come il “caso Ecotec”.
Infatti, prima del 2015, vi erano state oscillazioni: ad esempio, la sentenza Cass. SS.UU. n.19667/2014 (caso Ecotec) sembrò affermare il principio che anche negli accertamenti “a tavolino” l’ufficio dovesse attivare il contraddittorio, in ossequio a principi costituzionali e comunitari, pena la nullità dell’atto. Questa posizione estensiva aveva generato aspettative di un obbligo generalizzato basato direttamente sui principi, ma fu poi smentita dalle Sezioni Unite nel 2015, che adottarono la linea restrittiva sopra descritta. Vale la pena sottolineare che già in Cass. SS.UU. 18184/2013 (relativa però al caso specifico dell’art.12, c.7 Statuto), la Corte aveva confermato la nullità dell’atto emesso prima dei 60 giorni in assenza di urgenza, dichiarando illegittimo ogni accertamento emesso “ante tempus” in violazione di quella garanzia. Dunque, la Cassazione riconosceva la stringenza del contraddittorio quando previsto dalla legge, ma rimaneva riluttante a crearlo per via giurisprudenziale dove la legge taceva (specie per i tributi interni).
La Corte Costituzionale è intervenuta in materia solo di recente, con la sentenza n.47 del 21 marzo 2023, già menzionata. In passato, alcune ordinanze di rimessione erano state dichiarate inammissibili o infondate: la Consulta aveva generalmente ritenuto che la scelta di se e come generalizzare il contraddittorio spettasse al legislatore, non rinvenendo nella Costituzione un obbligo immediato in tal senso (al di fuori del diritto di difesa giudiziale ex art.24 Cost.). La novità della sentenza 47/2023 sta nel fatto che, pur dichiarando inammissibile la questione (che riguardava la disparità tra verifiche in loco con contraddittorio e verifiche a tavolino senza, sollevata come violazione dell’art.3 Cost.), la Corte ha colto l’occasione per sottolineare l’opportunità di un intervento legislativo uniformatore. In un passaggio significativo, la Consulta afferma che la mancata estensione generalizzata del contraddittorio è “in controtendenza rispetto all’evoluzione del sistema” e auspica che il contraddittorio preventivo sia previsto “per ogni tipo di controllo”. È quasi una “moral suasion” rivolta al Parlamento. Pochi mesi dopo, come visto, il legislatore ha effettivamente dato seguito a tale suggerimento.
Dal punto di vista pratico, per gli accertamenti notificati fino al 2023, restano applicabili i principi giurisprudenziali formatisi ante-riforma. Ad esempio, un avviso di accertamento IRPEF emesso nel 2022 a seguito di controllo bancario (senza contraddittorio) sarà giudicato alla luce dei criteri delle Sezioni Unite 2015: la sua legittimità dipenderà dal fatto che l’IRPEF è tributo non armonizzato (quindi in teoria contraddittorio non obbligatorio) e dalla mancanza di norme specifiche che lo imponessero in quel caso; pertanto il ricorso del contribuente per “omesso contraddittorio” probabilmente verrà respinto. Viceversa, un avviso IVA emesso prima del 2023 senza contraddittorio potrebbe essere annullato se il contribuente prova in giudizio l’utilità che avrebbe avuto essere sentito (ad es. mostrando che vi sono errori nei calcoli contestabili solo conoscendo prima la pretesa). Questa situazione transitoria pian piano si esaurirà man mano che i nuovi atti, soggetti a art.6-bis, sostituiranno quelli “vecchi”. In ogni caso, anche per gli atti futuri la giurisprudenza pregressa fornisce indicazioni importanti: per esempio, l’idea della prova di resistenza potrebbe continuare ad avere spazio. Ci si può chiedere: se un contribuente impugna un avviso 2024 per omesso contraddittorio, ma poi in giudizio non indica alcuna specifica osservazione che avrebbe fatto (limitandosi a eccepire il vizio in rito), il giudice annullerà senz’altro l’atto oppure potrà considerare il vizio “innocuo” in mancanza di un pregiudizio concreto? La lettera dell’art.6-bis (pena di annullabilità) farebbe pensare alla nullità comunque; tuttavia, è probabile che, in linea con i principi generali di effettività e non aggravamento inutile, la giurisprudenza continuerà a richiedere un minimo di sostanza all’eccezione difensiva. Su questo punto avremo conferme dalle prime sentenze post-riforma attese tra 2024 e 2025.
Un altro tema giurisprudenziale rilevante è quello degli obblighi motivazionali correlati al contraddittorio. La Cassazione ha ripetutamente affermato che quando il contraddittorio è svolto, l’eventuale provvedimento finale deve dar conto delle osservazioni del contribuente, sebbene non occorra confutarle analiticamente una per una, essendo sufficiente una motivazione complessiva che faccia trasparire l’esame delle difese. In mancanza, l’atto può essere annullato per difetto di motivazione, distinto dal vizio di omesso contraddittorio. Inoltre, se l’ufficio omette il contraddittorio invocando l’urgenza di evitare perdite alla riscossione, tale urgenza va motivata: la Corte ha annullato atti che si limitavano a dichiarare “atto emesso in deroga ai 60 giorni per urgenza” senza spiegare il perché, ritenendo insufficiente una formula di stile. Questi principi restano validi anche con la nuova normativa: l’art.6-bis richiede un “contraddittorio informato ed effettivo”, dunque simulazioni di contraddittorio svolte in modo apparente (ad es. inviti senza concedere realmente tempo, oppure ignorati completamente dall’ente) non mettono l’atto al riparo dall’annullamento. In pratica, l’attenzione si sposta dalla presenza del contraddittorio alla sua qualità: dovrà essere effettivo e condotto secondo buona fede.
Influenza del diritto UE e sentenze della Corte di Giustizia
Come rimarcato, una delle spinte più forti verso la generalizzazione del contraddittorio è venuta dal diritto dell’Unione Europea. I principi elaborati dalla CGUE in materia di contraddittorio hanno guidato sia il legislatore (che con il D.lgs.219/2023 vi si è adeguato, allineando il sistema italiano agli standard europei) sia i giudici nazionali nell’interpretare le lacune pregresse. Vediamo i punti salienti del diritto UE:
- Principio del rispetto dei diritti di difesa: il contraddittorio ne è un corollario essenziale. La Corte di Giustizia, già negli anni ‘70, aveva affermato in generale che quando l’amministrazione adotta decisioni incidenti significativamente sugli interessi di un privato, deve rispettarne i diritti di difesa (caso Transocean Marine Paint, 1974, in materia di concorrenza). In ambito tributario, la svolta è stata il caso Sopropé (2008) che ha posto nero su bianco che “i soggetti interessati devono poter esprimere utilmente il proprio punto di vista prima che sia adottata una decisione suscettibile di incidere in modo negativo sui loro interessi”. Ciò vale nei procedimenti di recupero a posteriori di dazi o di IVA, ma il principio è generale.
- Ambito di applicazione: il principio si applica ogniqualvolta l’autorità nazionale agisca in applicazione del diritto UE. Ad esempio, un accertamento IVA è soggetto al rispetto dei diritti di difesa perché l’IVA discende da direttive UE (tributo armonizzato). Stessa cosa per i dazi doganali (regolamenti UE) e le accise armonizzate. Per tributi puramente nazionali (es. imposta di registro) il principio UE non si applicava direttamente, ma la Corte UE ha sempre più affermato standard generali che poi influenzano anche il diritto interno per una esigenza di coerenza. Inoltre, va considerata la Carta dei Diritti Fondamentali UE: l’art.41 garantisce il diritto a una buona amministrazione, che include il diritto di ogni persona “di essere ascoltata prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che gli rechi pregiudizio”. Sebbene l’art.41 riguardi le istituzioni UE, la Corte di Giustizia ha collegato questo alla tradizione comune degli Stati membri nel riconoscere il contraddittorio, rafforzandone il valore universale.
- Esoneri in casi eccezionali: il diritto UE stesso prevede che il diritto di essere sentiti possa non essere applicato in situazioni particolari. Ad esempio, nel diritto doganale attuale (Codice dell’Unione, Reg. 952/2013) l’art.22(6) sancisce sì l’obbligo di contraddittorio prima delle decisioni sfavorevoli, ma consente deroghe se “necessario per salvaguardare la sicurezza o l’ordine pubblico o in casi di urgenza debitamente motivati”, oppure se l’interlocuzione preventiva può compromettere l’efficacia della decisione da adottare. Queste eccezioni sono simili al concetto di urgenza recepito dal nostro art.6-bis e vanno interpretate restrittivamente. Un altro caso è quando l’interessato abbia già avuto modo di esporre le sue ragioni in una fase precedente del procedimento: ad esempio, se nel corso di un controllo l’operatore doganale è stato invitato a fornire giustificazioni (già esercitando il suo diritto di difesa), non occorre duplicare l’ascolto prima di emanare la rettifica finale.
- Conseguenze della violazione: come anticipato, la CGUE adotta un approccio sostanzialistico. Nella sentenza Kamino (2014) ha enunciato chiaramente che la violazione del diritto di essere sentiti comporta l’annullamento della decisione solo se, in mancanza di tale violazione, il procedimento avrebbe potuto condurre a un risultato differente. In altre parole, il contribuente deve dimostrare un concreto pregiudizio: ad esempio, provare che c’erano elementi che avrebbe presentato e che l’amministrazione non ha considerato perché non li conosceva. Questo principio della “prova di resistenza” è volto a evitare che atti comunque corretti nel merito vengano annullati per un vizio formale ininfluente. Esso è stato accolto in pieno dalla Cassazione italiana per i tributi armonizzati, e in prospettiva potrebbe trovare applicazione anche sotto il regime del nuovo art.6-bis (benché, come detto, la lettera della norma nazionale sembrerebbe categorica, ma un coordinamento con il principio UE sarà necessario per i tributi armonizzati). Va da sé che se l’amministrazione non ha proprio attivato il contraddittorio, è difficile affermare con certezza che l’apporto del contribuente sarebbe stato inutile: la giurisprudenza UE infatti richiede di presumere, salvo prova contraria, che la parte abbia qualcosa di pertinente da dire in sua difesa.
- Accesso al fascicolo: la Corte di Giustizia include nel diritto di difesa anche il diritto di accesso agli atti del procedimento, almeno a quelli pertinenti per permettere alla parte di capire la contestazione. Ad esempio, in materia di IVA, la CGUE (caso Ispas, 2017) ha ritenuto contraria al diritto UE una prassi nazionale che negasse al contribuente, durante il procedimento amministrativo, l’accesso ai documenti sui quali l’ufficio intende basare la rettifica IVA. L’accesso agli atti è considerato funzionale all’efficacia del contraddittorio. La riforma italiana recepisce anche questo aspetto: l’art.6-bis dello Statuto prevede espressamente che, su richiesta, sia consentito al contribuente di accedere ed estrarre copia degli atti del fascicolo durante il termine di contraddittorio. Questo pone fine a precedenti incertezze: prima, l’accesso ai documenti in corso di istruttoria tributaria non era chiaramente regolato (la L.241/90 escludeva i procedimenti tributari dal diritto di accesso, rinviando semmai alle norme tributarie specifiche). Ora è stabilito per legge che durante quei 60 giorni il contribuente può visionare gli atti su cui si fonderà la pretesa, così da poter fare controdeduzioni mirate. È una garanzia aggiuntiva di trasparenza che richiama espressamente gli standard UE.
In conclusione, il diritto UE ha anticipato molti dei principi che oggi troviamo nella normativa interna riformata. Possiamo dire che il panorama italiano post-2023 è in linea con quello europeo: contraddittorio obbligatorio, possibilità di deroga per urgenza, centralità dei diritti di difesa e accesso al fascicolo. Ovviamente resta importante monitorare la giurisprudenza europea che dovesse emergere su casi specifici – ad esempio, sui limiti della prova di resistenza o sull’interazione tra contraddittorio amministrativo e tutela giurisdizionale (principio di effettività). Una questione aperta potrebbe essere: se un contribuente non partecipa al contraddittorio offertogli e poi in giudizio lamenta comunque vizi sostanziali, ciò incide sui suoi diritti? Probabilmente no – il contraddittorio è un diritto, non un obbligo, e la mancata partecipazione non comporta decadenze nelle facoltà difensive processuali; tuttavia, se l’ufficio aveva aperto le porte al dialogo e il contribuente le ha ignorate, è meno probabile che riesca a far annullare l’atto per eventuali errori poi contestati, perché il giudice terrà conto che egli ha colposamente perso un’occasione di chiarimento in sede amministrativa. Anche questo tipo di valutazioni sono derivate da concetti di matrice UE (principio di leale cooperazione).
Passiamo ora ad analizzare settori specifici differenti dal tributario generale, iniziando dal settore doganale, dove il contraddittorio ha peculiarità proprie e una disciplina in parte autonoma.
Accertamenti doganali: il diritto di essere sentiti in materia doganale
Il settore doganale (dazi all’importazione, IVA all’importazione, altri tributi doganali) merita un capitolo dedicato, in quanto soggetto in larga parte a normative e principi dell’Unione Europea. In dogana, il contraddittorio non è una novità degli ultimi anni ma un caposaldo di lungo corso: era presente già nelle normative comunitarie precedenti e oggi è espressamente disciplinato dal Codice Doganale dell’Unione (CDU), Regolamento UE n.952/2013, applicabile in tutti gli Stati membri. Vediamo dunque: (a) qual è la disciplina vigente del contraddittorio in ambito doganale e come si coordina con le novità dello Statuto del contribuente; (b) la giurisprudenza (UE e italiana) che ha consolidato questo diritto; (c) particolarità come i termini ridotti e le eccezioni in materia doganale.
Diritto di essere ascoltati nel Codice Doganale UE e normativa nazionale
L’art. 22, paragrafo 6, del Codice Doganale dell’Unione (CDU) stabilisce in termini chiari il diritto al contraddittorio: “Prima di adottare una decisione che avrebbe conseguenze sfavorevoli per una persona, le autorità doganali comunicano a tale persona le motivazioni su cui intendono basare la decisione e le danno la possibilità di esprimere le proprie osservazioni entro un termine di 30 giorni”. Questa disposizione, essendo contenuta in un regolamento UE, è direttamente applicabile e prevale su qualsiasi normativa nazionale difforme. Dunque, in Italia come in ogni Stato membro, l’autorità doganale (Agenzia delle Dogane e Monopoli, ADM) deve obbligatoriamente rispettare questo iter: prima di emettere ad esempio un avviso di rettifica di dazi all’importazione o un atto di revisione dell’accertamento, deve notificare all’operatore economico una comunicazione dei motivi (spesso chiamata “avviso di accertamento con invito a controdedurre” o simili) e attendere 30 giorni per eventuali osservazioni. Solo dopo può emanare la decisione finale (liquidazione dei dazi, irrogazione di sanzioni, ecc.).
Questa procedura era in realtà già prevista dalla normativa italiana fin dagli anni ‘90: l’art.11 del D.lgs. 374/1990 (disciplina nazionale delle verifiche doganali) prevedeva che dopo la conclusione di una verifica presso l’operatore, l’Ufficio doganale inviasse una comunicazione delle risultanze con un termine di 30 giorni per osservazioni, prima di emettere l’avviso di accertamento in rettifica. Tale norma nazionale era perfettamente in linea con la normativa UE e di fatto anticipava ciò che poi il Codice dell’Unione ha reso uniforme per tutti i paesi. L’art.12, comma 7 dello Statuto del contribuente, quando fu emanato, conteneva infatti un inciso “salvo quanto previsto dall’art.11 D.lgs.374/90” proprio a riconoscere la specialità del termine di 30 giorni in dogana rispetto ai 60 giorni previsti in ambito fiscale generale. Nel 2023, con la riforma, l’art.12, c.7 è stato abrogato e sostituito dall’art.6-bis che (nel testo) non menziona più espressamente l’art.11 doganale. Ci si è posti quindi il dubbio: l’art.6-bis richiede almeno 60 giorni per il contraddittorio; questo vale anche per i procedimenti doganali, elevando da 30 a 60 il termine? La risposta, chiarita immediatamente dall’Agenzia delle Dogane con la Circolare n.2/D del 17 gennaio 2024, è negativa: il contraddittorio doganale resta soggetto al termine speciale di 30 giorni, in quanto la materia doganale ha un ambito autonomo e, in caso di contrasto, prevale il diritto UE che appunto fissa in 30 giorni la tempistica. La circolare ADM ha precisato che le modifiche allo Statuto del contribuente non incidono sul termine previsto per presentare osservazioni dopo un verbale doganale, ribadendo un principio già affermato in giurisprudenza: il contraddittorio “comunitario” segue regole proprie, diverse da quelle nazionali. In pratica, l’art.6-bis Statuto si applica a tutti gli atti impugnabili dinanzi al giudice tributario, ivi compresi gli atti doganali, ma solo in quanto compatibile con la normativa UE speciale. E poiché la normativa UE speciale prevede un contraddittorio sì obbligatorio ma con 30 giorni di tempo (non 60), in dogana si continua ad applicare il termine di 30 giorni.
Questa interpretazione è necessaria anche per una questione di gerarchia delle fonti: non sarebbe ammissibile che una legge nazionale (lo Statuto) imponga un termine più lungo contrastando un regolamento UE direttamente applicabile. In caso di conflitto, la norma nazionale deve essere disapplicata. Dunque le Dogane italiane, prudentemente, hanno chiarito subito che non c’è contrasto: semplicemente, l’art.6-bis va letto tenendo conto che in dogana “il termine non inferiore a sessanta giorni” è ridotto a 30 per via della normativa settoriale. Anche il legislatore delegato era consapevole di ciò: infatti nel D.lgs. 219/2023, quando modifica l’art.5, c.1 dello Statuto (trasfuso in art.6-bis, c.3) che fissa il termine minimo, non richiama espressamente l’eccezione doganale confidando nell’applicazione del principio di specialità (norma UE speciale prevale su generale). La circolare ADM conferma proprio questo approccio e assicura gli uffici territoriali che nulla cambia: continueranno a dare 30 giorni per le controdeduzioni in materia doganale.
Le ragioni di questa specialità temporale sono legate alla natura dei dazi: trattandosi di risorse proprie UE e di materia molto sensibile al fattore tempo (la tempestività della riscossione è cruciale, anche per evitare prescrizioni brevi), il legislatore europeo ha ritenuto adeguato un contraddittorio più rapido, entro 30 giorni. Ciò assicura che la fase amministrativa si chiuda celermente – un equilibrio tra il diritto di difesa dell’operatore e l’interesse erariale europeo alla pronta riscossione.
Un aspetto importante: la circolare Dogane ha specificato che l’art.6-bis Statuto, pur non ampliando il termine, si applica in dogana per gli aspetti generali. In particolare, il contraddittorio doganale deve essere “informato ed effettivo” al pari di quello tributario generale, e le sue risultanze vanno recepite o confutate nella motivazione dell’atto finale. Inoltre, eventuali altre forme di partecipazione restano ferme: ad esempio, se un operatore chiede di discutere verbalmente il processo verbale di constatazione prima della decisione finale, l’ufficio doganale può concedere incontri, etc., benché la normativa UE parli solo di osservazioni scritte (in pratica spesso le dogane consentono anche incontri entro i 30 giorni su richiesta, per chiarire meglio).
Esempio tipico di procedura doganale: un’azienda importa merci in esenzione da dazio preferenziale (origine dichiarata Cambogia). Successivamente, l’ADM sospetta che l’origine reale fosse diversa e decide di recuperare dazi non pagati. Prima di emettere l’atto di recupero, l’ufficio doganale deve inviare all’azienda una comunicazione (ex art.22.6 CDU) indicando che intende revocare il trattamento preferenziale e chiedere il dazio, con relative motivazioni (es. “dai controlli documentali risulta origine Cina, non Cambogia”). L’azienda ha 30 giorni per presentare prove contrarie (certificati di origine, spiegazioni) o memorie difensive. Solo dopo i 30 giorni, valutate le eventuali prove, la Dogana emette la decisione finale (accertamento dazi). Se questo iter non venisse rispettato (es: l’ufficio emanasse direttamente l’atto di recupero senza preavviso), l’atto sarebbe illegittimo e annullabile per violazione del diritto UE al contraddittorio. In giudizio, per far annullare l’atto, l’azienda dovrebbe anche indicare quali elementi non ha potuto far valere a causa del mancato contraddittorio (ad esempio: “avremmo potuto produrre il certificato EUR.1 che prova l’origine preferenziale, ma non ne abbiamo avuto occasione”), così da superare la prova di resistenza.
Giurisprudenza su contraddittorio doganale: CGUE e Cassazione
La Corte di Giustizia UE ha storicamente riconosciuto il contraddittorio in ambito doganale ben prima che in altri settori. Già negli anni ‘60 (sentenza Société des fonderies de Pont-à-Mousson, 1965) affermò che in procedimenti di classificazione doganale l’operatore dev’essere ascoltato. In tempi più recenti, la giurisprudenza UE doganale ha consolidato alcuni punti fermi:
- Primazia del diritto UE: in materia doganale, gli Stati membri non possono introdurre o mantenere discipline che compromettano o alterino la portata del diritto di difesa previsto dalla normativa unionale. Un esempio è dato dalle cause Kamino e Sopropé già citate, dove la CGUE ha invalidato comportamenti nazionali che non rispettavano il diritto di essere sentiti. In Sopropé, riguardante un recupero dazi in Portogallo senza adeguato preavviso, la Corte ha stabilito che l’autorità doganale nazionale doveva concedere un termine ragionevole all’operatore per presentare le sue osservazioni (in quel caso l’amministrazione portoghese aveva dato solo 8 giorni, ritenuti insufficienti). Ciò mostra come la CGUE consideri i 30 giorni un riferimento standard di adeguatezza temporale.
- Accesso al fascicolo: un aspetto emerso in ambito doganale è anche il diritto all’accesso ai documenti. La CGUE nella causa CJUE C-276/16, Prequ’ Italia, 20 dicembre 2017 ha affrontato proprio il tema dell’accesso del contribuente al fascicolo doganale durante il contraddittorio. In quel caso (riguardante accise), la Corte ha ribadito che l’operatore deve poter accedere agli elementi sui quali l’amministrazione intende basare la sua decisione, salvo esigenze eccezionali di riservatezza, altrimenti il contraddittorio è svuotato. Questo principio è analogo a quello poi esteso anche al settore IVA (caso Ispas).
- Giurisprudenza italiana: la Cassazione ha fatto propri questi principi. In particolare, una sentenza spesso citata è Cass. sez. V, 5 aprile 2013 n. 8399, la quale ha affermato che in tema di avvisi di rettifica doganali non si applica la disciplina del contraddittorio dello Statuto del contribuente, poiché vige un termine speciale di 30 giorni preordinato a garantire un contraddittorio anticipato, distinto e autonomo rispetto a quello nazionale. Questa pronuncia chiarisce due cose: (i) la non applicabilità dell’art.12 Statuto (60 giorni) alle dogane, perché c’è la regola speciale dei 30 giorni; (ii) il riconoscimento che tale regola speciale assicura comunque un “pieno contraddittorio” all’operatore doganale, in una fase anteriore al ricorso giurisdizionale. In altre parole, la Cassazione conferma che il contraddittorio preventivo in dogana è obbligatorio e sufficiente nella forma prevista dalla legge doganale, e non va aggiunto un ulteriore contraddittorio di 60 giorni.
La stessa Cassazione più di recente ha affrontato casi particolari: ad esempio, la sentenza Cass. 5 febbraio 2025 n. 2919 (richiamata in notizie di settore) ha ribadito che il diritto al contraddittorio ex art.22(6) CDU va inteso in senso sostanziale. In quel caso l’Agenzia delle Dogane aveva negato un rimborso di dazi richiesto da un operatore senza convocarlo, ma la Corte ha ritenuto che non vi fosse lesione del contraddittorio perché si trattava di un procedimento su istanza di parte – dunque l’operatore aveva già esposto le sue ragioni nella domanda di rimborso, e l’ufficio nel rigettare l’istanza ha comunque valutato quanto presentato. In sostanza, quando il procedimento è avviato dal contribuente stesso (istanza di rimborso, istanza di revisione), è come se il contraddittorio fosse intrinseco: l’amministrazione risponde a delle argomentazioni già poste dall’interessato, per cui non è tenuta ad ulteriori inviti prima di decidere. Questa è una precisazione importante: il contraddittorio preventivo si riferisce di solito ai procedimenti avviati d’ufficio (accertamenti, rettifiche); se invece la parte ha aperto la procedura (chiedendo un beneficio o un rimborso), l’ente può decidere sull’istanza anche senza una “doppia” fase di ascolto, avendo comunque l’onere di motivare il diniego e potendo l’interessato poi impugnarlo. Questo ragionamento vale sia in ambito doganale che tributario generale.
Altra giurisprudenza significativa: Cass. sez. V, 7 febbraio 2019 n.3684 (in tema di IVA intracomunitaria) ha riconosciuto il primato del principio UE stabilendo che, anche in assenza di una norma interna, l’ufficio deve attivare il contraddittorio nel recupero di IVA se ciò è richiesto dal diritto unionale (in quel caso si trattava di un soggetto che perdeva la partita IVA e cui venivano contestate operazioni soggettivamente inesistenti: la Corte annullò l’atto perché l’ufficio non aveva ascoltato il contribuente, come invece imposto dai principi UE in materia di frodi IVA, dando rilievo al possibile contributo difensivo). Questo per dire che, già prima dell’art.6-bis, i giudici applicavano direttamente il diritto UE per colmare lacune di tutela. Ora con l’art.6-bis quelle lacune dovrebbero essere sparite, ma rimarrà importante l’allineamento ai criteri UE nei dettagli applicativi (come appunto la durata ridotta in dogana, la prova di resistenza, ecc.).
In conclusione, nel settore doganale l’accertamento senza contraddittorio è illegittimo praticamente da sempre, grazie alla normativa comunitaria e nazionale di recepimento. La riforma fiscale 2023 non ha stravolto tale panorama: semplicemente, ne ha reso coerente il quadro normativo complessivo. Oggi un accertamento doganale emesso senza rispettare l’art.22(6) CDU (30 giorni di preavviso) è pacificamente annullabile su ricorso. Il giudice tributario/di pace applicherà direttamente il regolamento UE per dichiarare nullo l’atto. L’unico margine di discussione in giudizio potrebbe riguardare il contenuto del contraddittorio: ovvero, se l’operatore, pur avendo avuto la possibilità, non abbia fornito elementi rilevanti, oppure se l’amministrazione abbia eventualmente colmato il vizio in giudizio (cosa, quest’ultima, che però in linea di principio non è ammessa: il contraddittorio deve svolgersi nel procedimento amministrativo, non può essere surrogato dal processo, sebbene – come visto – un processo che offre piena cognizione può ridurre il pregiudizio).
Un ulteriore dettaglio: l’art.22(6) CDU si applica alle decisioni doganali in senso lato, non solo agli avvisi di accertamento classici ma a qualunque provvedimento sfavorevole (es. diniego di autorizzazioni, revoche di status, ecc.). Quindi il principio permea tutto il diritto doganale amministrativo. Nella nostra trattazione però ci focalizziamo sugli accertamenti tributari doganali (rettifiche di diritti doganali e IVA import).
Passiamo adesso a un altro ambito, quello previdenziale (contributi INPS), dove la situazione del contraddittorio presenta note peculiari, soprattutto alla luce della recente riforma fiscale che – paradossalmente – potrebbe aver creato una lacuna di tutela per i contribuenti previdenziali.
Accertamenti previdenziali (INPS, INAIL) e contraddittorio
Gli accertamenti contributivi previdenziali – in particolare quelli effettuati dall’INPS (e in parte dall’INAIL) nei confronti dei datori di lavoro per omissioni contributive, lavoro nero, etc. – sono assimilabili per certi versi agli accertamenti fiscali, ma storicamente hanno seguito regole procedurali proprie. Tradizionalmente, il rapporto tra contribuente (datore di lavoro) e ente previdenziale era di tipo “inquisitorio puro”: gli ispettori potevano effettuare accessi e verifiche nelle aziende e, in caso di irregolarità, l’ente emetteva avvisi di addebito o verbali di accertamento contributivo senza un formale contraddittorio preventivo. Il contribuente poteva poi contestare l’accertamento davanti al giudice del lavoro. Questa impostazione è stata però corretta nel 2011 con un intervento normativo mirato: l’art.7, comma 2, del D.L. 70/2011 (conv. L.106/2011) ha stabilito che le disposizioni dell’art.12 L.212/2000 (Statuto del contribuente) si applicano anche alle attività ispettive o di controllo effettuate dagli enti previdenziali obbligatori. Ciò ha significato, in particolare, estendere all’INPS e INAIL la regola del contraddittorio post-verifica con attesa di 60 giorni prima dell’atto finale. In pratica, dal 2011 al 2023, se l’INPS svolgeva un’ispezione in azienda e riscontrava contributi evasi, doveva redigere un verbale finale, consegnarlo al datore di lavoro e aspettare 60 giorni per eventuali memorie difensive prima di emettere l’atto di accertamento del credito contributivo. Durante quei 60 giorni, il contribuente “previdenziale” poteva presentare per iscritto osservazioni, che l’ente avrebbe dovuto valutare. Un’accelerazione era possibile solo per urgenza eccezionale documentata, similmente a quanto previsto per il fisco. L’inosservanza dei 60 giorni poteva rendere nullo l’accertamento, in analogia con la nullità degli atti fiscali emessi ante tempus. Di fatto, si era voluto equiparare le garanzie nelle verifiche del lavoro a quelle nelle verifiche fiscali, anche per evitare “sbilanciamenti” (spesso le verifiche sono congiunte, fiscali e previdenziali).
Questa estensione, però, è stata inficiata dalla riforma 2023: poiché il D.lgs. 219/2023 ha abrogato l’art.12 comma 7 dello Statuto (sostituendolo con il nuovo art.6-bis), la norma di raccordo del 2011 che faceva riferimento proprio a quell’articolo si è trovata scoperta. In altre parole, dal 18 gennaio 2024 l’art.12 c.7 non esiste più, e l’art.7 co.2 D.L.70/2011, rimanendo invariato, ora richiama una disposizione abrogata, creando un vuoto normativo per le garanzie nelle verifiche previdenziali. Il nuovo art.6-bis, infatti, si applica agli atti impugnabili dinanzi agli organi della giustizia tributaria; gli accertamenti INPS, però, non sono impugnabili davanti alle Commissioni tributarie (ora Corti di Giustizia Tributaria), ma davanti al giudice ordinario (sezione lavoro) perché si tratta di contributi. Pertanto gli atti INPS non rientrano tecnicamente nel perimetro di applicazione dell’art.6-bis (che parla di “organi della giurisdizione tributaria”). Il risultato – paradossale – è che con una riforma nata per ampliare le garanzie procedimentali, i contribuenti previdenziali si ritrovano con minori garanzie rispetto al passato. Come osservato da alcuni autori, si è creata “una disparità evidente tra le garanzie accordate nelle verifiche fiscali rispetto a quelle previdenziali e assicurative”: nelle prime vige ora un obbligo generalizzato di contraddittorio (60 giorni), nelle seconde quell’obbligo è venuto meno per abrogazione della norma di riferimento.
Vale la pena approfondire questo punto critico. Fino a fine 2023, scenario: un ispettore INPS conclude una verifica il 1° ottobre 2023 riscontrando €100.000 di contributi non versati; consegna il verbale all’azienda. L’azienda ha 60 giorni (fino al 30 novembre) per presentare memorie; l’INPS non può emettere l’avviso di addebito prima del 30/11, salvo urgenza motivata. Se l’avesse fatto, l’atto sarebbe stato annullabile per violazione di legge, analogamente ad un accertamento fiscale nullo ante tempus. Scenario dopo la riforma: un ispettore INPS conclude una verifica il 1° febbraio 2024 con stesso rilievo; formalmente, l’art.12 c.7 non c’è più, e l’art.6-bis Statuto (60 giorni) non copre l’INPS. Dunque l’ispettore potrebbe – in teoria – emettere immediatamente l’avviso di addebito senza attendere alcun termine e senza contraddittorio, senza infrangere una norma specifica, perché il vincolo introdotto nel 2011 è rimasto orfano. Questo naturalmente “contrasta con lo Statuto del Contribuente” inteso in senso sostanziale ed è stato criticato come passo indietro nelle garanzie.
C’è da dire che l’INPS, sin dal 2011, non sempre ha dato piena attuazione al contraddittorio: in molti casi pratici, dopo le verifiche l’ente ha continuato a notificare note di debito o avvisi senza attendere i 60 giorni, contando sul fatto che poi il contribuente avrebbe dovuto impugnare davanti al tribunale. Non essendo l’INPS soggetto alla giurisdizione tributaria, la questione della nullità dell’atto per omesso contraddittorio finiva davanti ai giudici del lavoro, alcuni dei quali potrebbero non aver applicato con la stessa solerzia dei giudici tributari le norme dello Statuto. Tuttavia, diverse pronunce di merito hanno dato ragione alle aziende, annullando avvisi di addebito INPS emessi in violazione dell’art.7 co.2 DL 70/2011. Ad esempio, tribunali hanno ritenuto invalido il verbale INPS notificato senza avviso di chiusura operazioni o senza attendere memorie, richiamando l’estensione statutaria. Ora, con la “scopertura” normativa, si rischia un contenzioso sull’applicabilità per via interpretativa del nuovo art.6-bis anche agli enti previdenziali: si potrebbe argomentare che, sebbene l’art.6-bis parli di atti impugnabili in commissione tributaria, il principio ivi espresso ha portata generale e, in forza dell’art.7 co.2 DL 70/2011 (ancorché riferito all’art.12 abrogato), si debba continuare a ritenere obbligatorio un contraddittorio anche per gli accertamenti contributivi. In mancanza di chiarimento legislativo, sarà interessante vedere l’atteggiamento dei giudici del lavoro su avvisi INPS emessi nel 2024 senza contraddittorio: confermeranno la linea garantista (magari applicando analogicamente art.6-bis) o diranno che, non essendo più in vigore la norma precedente, l’INPS poteva procedere direttamente?
Nel frattempo, va notato che INPS e INAIL rientrano comunque tra i destinatari dei “principi generali” dello Statuto: il D.lgs. 219/2023, oltre all’art.6-bis, ha modificato anche l’art.1 dello Statuto (commi 3-bis e 3-ter) per imporre a regioni ed enti locali di non prevedere garanzie inferiori a quelle statutarie. Ora, l’INPS non è un ente locale né regionale, ma un ente pubblico nazionale; tuttavia, essendo vincolato dall’art.7 co.2 DL 70/2011 che lo assimila ai fini delle verifiche all’amministrazione finanziaria, si può sostenere che i nuovi standard di tutela (contraddittorio 60 giorni) siano ormai principio dell’ordinamento e che quindi anche INPS debba adeguarsi spontaneamente, pur in difetto di vincolo testuale. In attesa di un intervento normativo correttivo (auspicato da molti commentatori per colmare questa lacuna), la prudenza suggerirebbe all’INPS di continuare ad osservare il contraddittorio post-verifica come fatto dal 2011 al 2023, per evitare il rischio di vedersi annullare gli atti per illegittimità derivata.
Oltre agli accertamenti contributivi derivanti da ispezioni, possiamo considerare anche altri procedimenti previdenziali: ad esempio, i provvedimenti di recupero di somme indebitamente percepite dai percettori di prestazioni (pensioni, indennità). In questi casi, spesso l’INPS invia una comunicazione preventiva (invito a restituire con motivazione) prima di iscrivere a ruolo l’importo: non è formalmente un contraddittorio paritetico, ma una richiesta che consente al cittadino di segnalare errori o chiedere rateizzazioni. Anche i provvedimenti sanzionatori in materia previdenziale (ad es. sanzioni civili per omissioni) rientrano negli atti potenzialmente da sottoporre a contraddittorio. Finora non c’era obbligo, ma dopo il 2024 sarà interessante vedere se verrà preteso.
Riassumendo: dal 2011 al 2023 l’ordinamento prevedeva il contraddittorio per accertamenti INPS/INAIL in modo simile ai fiscali; dal 2024 c’è un vuoto normativo, per cui formalmente un accertamento contributivo senza contraddittorio non viola più una norma espressa (salvo interpretazioni estensive). Ciononostante, dati i principi generali di buona amministrazione, è probabile che i giudici continuino a valutare negativamente la mancanza di contraddittorio, specie se il contribuente ne abbia subito pregiudizio. Inoltre, come ultima risorsa, il contribuente potrebbe invocare direttamente l’art.97 Cost. (buon andamento, che implica trasparenza e partecipazione) e l’art.24 Cost. (diritto di difesa) per sostenere l’illegittimità di prassi inquisitorie pure. Non è escluso in futuro un nuovo intervento legislativo per ribadire l’obbligo anche in ambito previdenziale, magari estendendo la formulazione dell’art.6-bis oltre la giustizia tributaria.
Dal punto di vista processuale, va ricordato che gli accertamenti INPS (avvisi di addebito) non si impugnano nelle commissioni tributarie ma con ricorso al Tribunale (sezione lavoro) entro 40 giorni, come fossero ordinanze-ingiunzioni. Il giudice del lavoro può annullare l’atto per vizi procedurali. Ad esempio, un caso deciso dal Tribunale di Milano (2018) ha annullato un avviso INPS proprio perché l’ente non aveva rispettato i 60 giorni dall’ultimo verbale, privando l’azienda del diritto a interloquire. Queste pronunce si fondavano sul combinato Statuto+DL 70/2011. Ora potrebbero comunque richiamarsi al fatto che, sebbene l’art.12 c.7 sia abrogato, il principio del contraddittorio è entrato stabilmente nell’ordinamento, e disapplicare la circolare interna INPS eventualmente difforme.
In conclusione, un accertamento contributivo senza contraddittorio può essere oggi considerato illegittimo? La risposta è sfumata: formalmente non c’è più una norma violata, ma sostanzialmente sì, c’è un principio generale disatteso. Si prospetta quindi terreno per contenziosi e possibili nuovi interventi normativi.
Esempio pratico (previdenziale): l’INPS notifica nel 2025 a una società un avviso di addebito per €50.000 di contributi omessi, basato su un verbale di accertamento di giugno 2025. La società non aveva ricevuto alcun preavviso o invito a dedurre; scopre la pretesa direttamente dall’avviso. In passato ciò sarebbe stato chiaramente contra legem; nel 2025, la società impugna l’avviso davanti al Tribunale sostenendo violazione dei principi di contraddittorio e dello Statuto. Il giudice potrebbe accogliere il ricorso, valorizzando l’art.7 co.2 DL 70/2011 (ancorché quest’ultimo citi art.12 Statuto, ne interpreterebbe la portata riferita ora all’art.6-bis come nuovo paradigma) e rilevando che l’INPS non ha dato modo all’azienda di spiegare magari che quei lavoratori erano già assicurati altrove o simili. Se l’INPS non offre valide ragioni (es. un’urgenza di evitare decadenze, ecc.), il giudice annullerà l’atto come viziato nel procedimento. Viceversa, se l’INPS dimostra che ha comunque inviato un preavviso o un invito informale (magari sostenendo che l’azienda era a conoscenza delle risultanze ispettive), potrebbe spuntarla, ma con incertezza.
Procedimenti sanzionatori amministrativi e contraddittorio
Nell’ambito dei procedimenti sanzionatori amministrativi – intendendo con ciò l’irrogazione di sanzioni non penali da parte di autorità amministrative (es. multe stradali, sanzioni per violazioni amministrative in vari settori, sanzioni di autorità indipendenti come Antitrust, Consob, Privacy, ecc.) – il principio del contraddittorio assume connotati peculiari. Bisogna distinguere tra: (a) le sanzioni tributarie amministrative (che fanno parte del procedimento tributario discusso sopra, e seguono in larga misura le stesse regole del contraddittorio fiscale); (b) le sanzioni amministrative comuni disciplinate dalla Legge 24/11/1981 n.689; (c) i procedimenti sanzionatori di autorità amministrative indipendenti o altri enti settoriali, che spesso hanno norme proprie ma sono anch’essi influenzati dai principi generali e, in alcuni casi, dalle garanzie convenzionali (CEDU).
Sanzioni tributarie: queste sono le multe per violazioni fiscali (es. dichiarazione infedele, omessi versamenti, ecc.), formalmente sono sanzioni amministrative ma il loro iter è collegato all’accertamento tributario. Tradizionalmente, se un accertamento fiscale era emesso senza contraddittorio, ciò colpiva anche la parte sanzionatoria in esso contenuta (nullità dell’intero atto). Con la riforma, l’art.6-bis Statuto include espressamente tra gli atti impugnabili soggetti a contraddittorio anche quelli di irrogazione sanzioni autonomi. Quindi se, ad esempio, l’Agenzia Entrate intendesse emettere un provvedimento sanzionatorio autonomo (separato dall’avviso, cosa rara ma possibile in certi casi), dovrebbe comunque attivare il contraddittorio. In pratica però di solito le sanzioni fiscali viaggiano insieme all’accertamento principale.
Sanzioni amministrative comuni (L.689/1981): la legge 689/81 prevede un procedimento tipico in due fasi: (1) Accertamento e contestazione immediata o notifica del verbale di contestazione all’interessato; (2) possibilità per l’interessato di presentare scritti difensivi e documenti entro 30 giorni alla competente autorità (es: Prefetto per multe stradali, Comune per altre violazioni locali, Ministero per altre, etc.), eventualmente chiedendo di essere sentito; (3) emissione dell’ordinanza-ingiunzione con cui l’autorità decide sulle sanzioni, tenendo conto degli argomenti difensivi (o archivia il procedimento). Questo schema, delineato negli artt.14 e 18 L.689/81, garantisce il contraddittorio in forma scritta (e anche orale se richiesto) nei procedimenti sanzionatori ordinari. Dunque, se parliamo di multe amministrative per violazioni (ad es. una sanzione per lavoro irregolare elevata dall’Ispettorato del Lavoro, o una multa ambientale), l’ordinamento già prevede che il presunto trasgressore possa difendersi prima che la sanzione diventi definitiva. La giurisprudenza considera questo un elemento essenziale di garanzia: un’ordinanza-ingiunzione emanata senza aver esaminato gli scritti difensivi presentati, o prima della scadenza dei 30 giorni per presentarli, può essere annullata dal giudice su ricorso (generalmente al Giudice di Pace o al Tribunale a seconda della materia). Ad esempio, la Cassazione ha più volte affermato che la mancata valutazione delle difese presentate dall’interessato rende illegittima l’ordinanza sanzionatoria per difetto di motivazione o per violazione del diritto di difesa.
Va però detto che, secondo un orientamento consolidato, l’eventuale carenza di contraddittorio nella fase amministrativa non inficia irrimediabilmente la sanzione se poi il trasgressore può far valere compiutamente le sue ragioni in sede giurisdizionale. Questa idea è emersa con forza nei procedimenti sanzionatori di natura “quasi penale” (in senso CEDU) come quelli Consob: la Corte EDU (caso Grande Stevens c. Italia, 2014) censurò l’Italia perché le sanzioni Consob per aggiotaggio erano inflitte con procedimento amministrativo senza garanzie piene, e con limitato sindacato successivo del giudice. La reazione fu un adeguamento: oggi, ad esempio, le sanzioni Consob di quell’ambito sono impugnabili davanti alla Corte d’Appello con piena cognizione, come richiede l’art.6 CEDU. Il TAR Lazio in una pronuncia del 2020 ha affermato che un regolamento Consob che non prevedeva contraddittorio endoprocedimentale era illegittimo perché, pur potendo la fase giurisdizionale rimediare, rimane la violazione del giusto procedimento amministrativo. Il Consiglio di Stato, nell’appello di quel caso (Cons. St. Sez. II, 2021), ha confermato che, specialmente per sanzioni afflittive, il contraddittorio endoprocedimentale è richiesto quantomeno come regola di buona amministrazione, e la sua mancanza può viziare l’atto se il successivo giudizio non è completamente satisfattivo (ad es. se in giudizio non è ammesso un pieno riesame di merito). Insomma, c’è un sottile bilanciamento: da un lato la CEDU permette allo Stato di avere procedimenti sanzionatori amministrativi anche per illeciti “penali” in senso convenzionale, purché sia garantito un full review a posteriori da parte di un giudice; dall’altro, i principi nazionali di buona amministrazione suggeriscono comunque che l’autorità debba dare spazio al contraddittorio prima di sanzionare, per evitare di gravare tutto sul giudizio successivo.
In termini pratici, la maggior parte dei procedimenti sanzionatori ordinari in Italia (quelli ex L.689) rispetta il contraddittorio scritto di 30 giorni. Se una pubblica amministrazione emanasse una sanzione amministrativa senza aver notificato prima un verbale di contestazione o senza aver atteso i 30 giorni per le difese, l’atto sarebbe annullabile dal giudice competente. Ad esempio, una multa edilizia irrogata dal Comune senza previa contestazione e senza attendere osservazioni dell’interessato violerebbe gli artt.14 e 18 L.689 e verrebbe presumibilmente annullata in giudizio per vizio del procedimento.
Accertamento illegittimo senza contraddittorio nei procedimenti sanzionatori: possiamo quindi dire che, se la legge prevede il contraddittorio (come fa la L.689), la sua omissione rende illegittimo il provvedimento sanzionatorio. Se la legge di settore non lo prevedesse, occorre vedere il contesto: per autorità indipendenti (Consob, Antitrust, etc.), tutte ormai nei loro regolamenti interni prevedono fasi di contestazione e difesa (memorie, audizioni) perché ciò è ritenuto parte integrante del “giusto procedimento” amministrativo. L’Agcm (Antitrust) ad esempio, per le sanzioni antitrust o sulle pubblicità ingannevoli, ha procedimenti strutturati con comunicazione delle risultanze istruttorie e possibilità di replica. In mancanza, i provvedimenti sarebbero viziati. Lo stesso dicasi per il Garante Privacy e altre autorità che, anzi, svolgono vere e proprie istruttorie partecipate.
L’unico ambito dove di solito non c’è contraddittorio ex ante è quello delle sanzioni immediate (come le multe stradali fatte su accertamento immediato): lì la contestazione è immediata (o differita se non si ferma il conducente), e la legge consente al trasgressore di fare ricorso dopo; non vi è una fase di difesa ante atto perché l’atto è contestuale (il verbale stesso è atto definitivo se non si paga). In quei casi, però, la dottrina e giurisprudenza giustificano l’assenza di contraddittorio con la particolare natura dell’accertamento (esigenze di immediatezza, numero elevato di casi) e confidano nella tutela giurisdizionale ex post come garanzia sufficiente (infatti puoi sempre fare ricorso al Giudice di Pace contro la multa). Non a caso la Corte Costituzionale ha più volte ritenuto legittimo che le multe stradali non prevedano un “preavviso” prima del verbale, proprio perché la contestazione stessa è quell’atto che chiude il procedimento e poi si apre la fase giudiziale.
In definitiva, nel panorama sanzionatorio amministrativo italiano, un provvedimento adottato senza aver dato all’interessato la possibilità di difendersi preventivamente è in genere illegittimo, a meno che la legge non contempli affatto una fase difensiva ma compensi ciò con un pieno diritto di difesa in giudizio. Si tratta di situazioni residuali. Possiamo concludere pertanto che il contraddittorio è considerato parte del giusto procedimento sanzionatorio. Il mancato rispetto delle garanzie partecipative comporta: (i) annullamento dell’atto sanzionatorio da parte del giudice (se il vizio è dedotto), oppure (ii) qualora l’atto sia comunque confermato in giudizio, possibile condanna dell’Italia in sede CEDU se la mancanza di contraddittorio amministrativo, unita ad eventuali lacune nel controllo giudiziale, ha leso il diritto a un equo processo.
Esempio: una società viene sanzionata da una Autorità (mettiamo, Garante Privacy) con una multa di 50.000€. Se l’Autorità avesse emanato la sanzione senza prima contestare le violazioni e sentire la società (cosa in realtà contraria al Regolamento UE GDPR che prevede contraddittorio), la società in ricorso dinanzi al giudice amministrativo otterrebbe facilmente l’annullamento del provvedimento per violazione delle garanzie procedimentali (il giudice amministrativo italiano è molto attento a questo, considerandolo vizio di eccesso di potere/violazione di legge). Allo stesso modo, se un Prefetto emettesse un’ordinanza ingiunzione senza considerare le memorie difensive inviate dal trasgressore, il Giudice di Pace potrebbe annullarla per carenza di motivazione (non ha risposto alle difese) o per violazione di legge (art.18 L.689).
In conclusione, tra fisco, dogane, contributi e sanzioni amministrative, possiamo tracciare un filo comune: il diritto al contraddittorio prima dell’atto finale è ormai riconosciuto come elemento essenziale di legittimità dell’azione amministrativa punitiva o impositiva. Le differenze consistono nelle modalità e tempi (60 giorni nel fisco, 30 in dogana, 30 in sanzioni ordinarie, ecc.) e nelle eccezioni, ma la direzione è univoca: un provvedimento unilaterale, emesso senza aver ascoltato l’interessato quando la legge o i principi lo richiedono, è destinato a essere dichiarato illegittimo.
Nei prossimi paragrafi analizzeremo in modo sistematico le condizioni di legittimità e cautele motivazionali legate al contraddittorio, e successivamente i rimedi e gli effetti sanzionatori derivanti dalla sua omissione. Verranno anche presentati alcuni casi giurisprudenziali esemplificativi che chiariscono l’applicazione pratica di questi principi.
Condizioni di legittimità e illegittimità dell’accertamento senza contraddittorio
Dopo aver esaminato il quadro normativo e giurisprudenziale nei vari settori, è utile sintetizzare quando un accertamento emanato senza contraddittorio può dirsi legittimo e quando invece diviene illegittimo (nullo o annullabile). Le condizioni di legittimità/illegittimità dipendono in sostanza da: (a) la presenza di un obbligo normativo di contraddittorio (e relative eccezioni); (b) il rispetto delle modalità del contraddittorio (tempistiche, contenuti, motivazione); (c) l’eventuale dimostrazione che la mancata partecipazione del destinatario non ha inciso sul contenuto dell’atto (prova di resistenza). Esaminiamo questi profili punto per punto.
1. Obbligo normativo e ambito di applicazione: La prima verifica da compiere è se per l’atto in questione era previsto dalla legge un contraddittorio endoprocedimentale. Se sì, la sua omissione costituisce un vizio*. Se no, l’atto può essere emanato legittimamente senza contraddittorio (fatto salvo quanto diremo sul diritto UE). Ad esempio: oggi un avviso di accertamento IRPEF ricade nell’obbligo generale ex art.6-bis Statuto, quindi deve essere preceduto da invito al contraddittorio; se ciò non avviene, l’atto è viziato. Viceversa, una cartella di pagamento derivante da controllo formale è tra gli atti esclusi dal contraddittorio: può essere emessa direttamente, e non sarà nulla per questo motivo.
Va prestata attenzione alle eccezioni previste: se l’atto rientra in una delle categorie di esclusione (atti automatizzati, ecc.) oppure se l’ufficio ha dichiarato lo stato di urgenza motivata, allora l’assenza di contraddittorio non comporta illegittimità. Ad esempio, un avviso di accertamento emesso in prossimità della decadenza, con indicazione “Atto emesso ai sensi dell’art.6-bis co.2 per fondato pericolo per la riscossione, stante che il contribuente sta dismettendo i propri beni”, formalmente non viola la legge (l’ufficio ha esercitato una facoltà di deroga). Ovviamente, se l’urgenza è pretestuosa o non provata, il contribuente potrà contestarla in giudizio e, se il giudice ritiene che non c’era vero pericolo, potrà annullare l’atto per omesso contraddittorio ingiustificato. Quindi la corretta motivazione dell’urgenza è decisiva: è condizione di legittimità dell’atto saltare il contraddittorio solo se le ragioni addotte sono concrete e documentate. Se, al contrario, l’urgenza non è nemmeno menzionata nell’atto saltando il contraddittorio dove sarebbe obbligatorio, l’atto è ipso iure annullabile per difetto di motivazione (violazione dell’art.6-bis o 12 Statuto).
Ci sono poi situazioni particolari in cui l’obbligo normativo non sussisteva affatto (es. accertamenti di anni passati per tributi non armonizzati): in tali casi la Cassazione ha ritenuto l’atto legittimo anche senza contraddittorio. Attenzione però: dal 2024 è difficile trovare ipotesi in cui “non sussiste affatto” l’obbligo, tranne i contributi previdenziali (per vuoto normativo) e forse alcuni procedimenti minori. In questi contesti, la valutazione potrebbe spostarsi sul piano dei principi generali: se pure la norma non c’è, un giudice particolarmente garantista potrebbe invocare la violazione del diritto di difesa costituzionale. È comunque un’argomentazione più debole, quindi la condizione base rimane l’esistenza di un obbligo normativo.
2. Rispetto delle modalità procedurali: Avere attivato il contraddittorio non basta; occorre che sia stato svolto in maniera congrua e rispettosa delle garanzie. Le condizioni di legittimità qui includono: dare un termine adeguato (60 giorni per tributi, 30 per dogane e sanzioni ordinarie); fornire al contribuente informazioni sufficienti (lo chiamano contraddittorio “informato”: bisogna comunicare le motivazioni su cui si fonderà l’atto, non basta dire “vieni a parlare in ufficio” senza spiegare perché); consentire l’accesso agli atti se richiesto; esaminare effettivamente le memorie presentate.
Un contraddittorio meramente formale, dove l’ente convoca ma non attende i termini oppure non considera le memorie, può rendere l’atto ugualmente illegittimo. Ad esempio, se l’Agenzia invita il contribuente a controdedurre entro 60 giorni ma poi emette l’avviso dopo soli 20 giorni ignorando le osservazioni arrivate dopo 30 giorni, l’atto è nullo poiché ha violato il termine dilatorio legale. Oppure, se il contribuente ha inviato una memoria puntuale e l’avviso definitivo viene emesso con motivazione standard, senza menzionare né confutare le argomentazioni del contribuente, il giudice potrà annullarlo per difetto di motivazione (l’obbligo di “motivazione rafforzata” implica che l’autorità deve dar conto delle difese nel provvedimento).
In sintesi, le condizioni di corretta esecuzione del contraddittorio sono parte integrante della legittimità. Non basta dire di aver mandato una lettera: bisogna aver atteso il tempo giusto, ed eventualmente prorogato se sono stati concessi termini più lunghi, e bisogna aver risposto alle difese. Se ciò manca, pur formalmente avendo “aperto” il contraddittorio, l’atto può essere censurato. Ad esempio, Cassazione ha annullato avvisi emessi prima del 60° giorno salvo urgenza, come visto; e anche Commissioni tributarie hanno annullato atti dove risultava che le memorie del contribuente non erano state considerate (specie quando portavano elementi nuovi trascurati dall’ufficio).
3. Prova di resistenza (pregiudizio effettivo): Questa condizione non è sempre richiesta espressamente dalla legge, ma deriva dalla giurisprudenza (soprattutto UE e Cassazione). Significa che, ai fini dell’annullamento dell’atto per omesso contraddittorio, spesso si richiede di valutare se il contribuente sia stato effettivamente leso nella sua difesa. In pratica: se l’atto sarebbe stato lo stesso anche col contraddittorio, annullarlo potrebbe essere considerato inutile formalismo. La Corte di Giustizia, come detto, impone tale verifica. La Cassazione l’ha accolta almeno per i tributi armonizzati: il contribuente deve indicare in giudizio quali argomenti avrebbe prospettato se ascoltato, e che potrebbero incidere sulla validità della pretesa. Se non lo fa, la sua eccezione viene rigettata perché considera il vizio non decisivo.
Con il nuovo art.6-bis, essendo un vizio riconosciuto per legge (“a pena di annullabilità”), teoricamente il giudice dovrebbe annullare l’atto senza se e senza ma se rileva l’omissione. Tuttavia, resta da vedere se la giurisprudenza manterrà in vita la prova di resistenza come elemento di valutazione equitativa. Ad esempio, immaginiamo un contribuente che in giudizio, interpellato dal giudice su cosa avrebbe detto nel contraddittorio, risponda: “nulla di particolare, volevo solo prendere tempo”. È plausibile che, in casi simili, il giudice possa considerare il vizio come non invalidante (magari applicando analogicamente l’art.21-octies L.241/90 sulla non annullabilità di atti per vizi procedurali se il contenuto non poteva essere diverso). Questo art.21-octies P.A. in realtà non si applica ai tributi (è norma generale sul procedimento, e c’è dibattito se valga o no in materia tributaria; la Cassazione l’ha talora richiamato in via analogica).
Dunque, la lesività concreta dell’omesso contraddittorio può diventare una condizione implicita di illegittimità: se non c’è lesione, l’atto potrebbe salvarsi. In diritto tributario ante riforma era di certo così per tributi UE; ora va visto se diranno lo stesso. In dogana e ambito UE, sicuramente sì: la CGUE continua a richiedere la prova di resistenza, per cui un giudice ad esempio potrebbe confermare un avviso doganale viziato se vede che il contribuente non aveva in realtà alcuna prova o argomento da opporre (magari lo ha pure ammesso in giudizio). Certo, casi del genere sono rari, perché un bravo difensore troverà sempre qualche motivo da indicare.
Ricordiamo comunque che la prova di resistenza non significa che il contribuente debba provare che l’ufficio sbagliava; significa solo che deve indicare quali elementi avrebbe presentato. Sarà poi il giudice a stimare se tali elementi avrebbero potuto portare a una decisione diversa. Ad esempio: se l’ufficio contesta ricavi non dichiarati e il contribuente dice “se mi aveste sentito vi avrei portato le fatture che li giustificano come redditi esenti”, questa è chiaramente una difesa che avrebbe potuto evitare l’accertamento (il giudice annullerà l’atto e magari l’ufficio poi rifarà la verifica esaminando quelle fatture). Se il contribuente invece non indica nulla o dice genericamente “avrei spiegato meglio la mia situazione”, il giudice potrebbe dire che non c’è prova che l’esito sarebbe cambiato, e quindi non annulla (questo in regime pre-2024 succedeva per IRPEF, per dire).
4. Rinuncia o mancata attivazione per causa del contribuente: Un ultimo aspetto di legittimità è se il contribuente stesso non ha partecipato. Se l’ufficio ha regolarmente inviato l’invito al contraddittorio e il contribuente non risponde o non si presenta, l’ufficio può legittimamente procedere. L’omesso contraddittorio in quel caso è imputabile al contribuente, che di fatto vi ha rinunciato. Non potrà poi eccepire il vizio, perché iure facti l’ha causato lui. Questo è un corollario del principio che il contraddittorio è un diritto disponibile: nessuno può costringere il contribuente a dialogare, ma se non lo fa ne assume le conseguenze. In giurisprudenza si trova affermato che l’invito formale non accolto dal contribuente non inficia l’atto: ad esempio Cass. 3381/2020 (a titolo esemplificativo) ha ritenuto valido un accertamento IVA poiché il contribuente, pur invitato a comparire, non aveva svolto alcuna difesa. Dunque in quei casi non si può parlare di “accertamento senza contraddittorio” in senso tecnico: il contraddittorio c’era, solo che è rimasto infruttuoso per scelta del destinatario. Anche in dogana, se il contribuente non invia osservazioni entro i 30 gg, l’atto finale è legittimo (anzi l’ufficio spesso inizia l’esecuzione al 31° giorno).
Analogamente, se l’indirizzo PEC del contribuente era errato e la convocazione non gli è arrivata per colpa sua, oppure se l’interessato ha reso impossibile il contraddittorio (magari rifiutando di ricevere atti o di firmare verbali), difficilmente potrà poi lamentare il vizio. È comunque buona prassi, in caso di mancata risposta, che l’ufficio motivi nell’atto: “Invitato al contraddittorio con comunicazione X, il contribuente non ha trasmesso osservazioni; decorso inutilmente il termine, si emette il presente avviso”. Ciò blinderebbe l’atto da contestazioni su questo fronte.
Riassumendo, possiamo stilare una sorta di checklist di legittimità:
- L’atto rientra nell’obbligo di contraddittorio? Se sì, attivato; se no, l’atto è ok (salvo principi UE).
- Il contraddittorio è stato attivato secondo le forme dovute? (comunicazione motivata, termine congruo, accesso atti consentito). Se sì, bene; se no, vizio procedurale.
- Il contribuente ha presentato difese? Se sì, l’atto le discute nella motivazione? (obbligo motivazionale, se assente = vizio). Se il contribuente non ha presentato nulla, l’atto è legittimo e il contraddittorio si considera comunque rispettato (vuoto per scelta del contribuente).
- In giudizio: le difese non fatte emergono come potenzialmente influenti? Se emerge che non vi sarebbe stata differenza, il giudice (specie in ambito UE) potrebbe non annullare l’atto. Viceversa, se emergono elementi nuovi rilevanti che sarebbero potuti venire fuori, ciò consolida l’illegittimità.
Esempio riepilogativo: Un accertamento IVA 2023 a tavolino senza contraddittorio – allora non obbligatorio per la Cassazione – veniva considerato legittimo; lo stesso accertamento nel 2024 sarebbe illegittimo ex lege (art.6-bis). Un accertamento doganale 2025 senza contraddittorio 30gg è illegittimo ex regolamento UE, ma se l’operatore in giudizio non indica alcuna prova che avrebbe fornito, la dogana potrebbe tentare di salvare l’atto con la prova di resistenza (anche se di solito se manca l’avviso 30gg l’atto viene comunque annullato, la CJUE è severa su questo punto). Un verbale INPS 2022 senza attesa 60gg era illegittimo; uno 2024 senza attesa formalmente potrebbe sembrare legittimo (norma abrogata), ma il giudice potrebbe ritenerlo illegittimo per violazione di principi generali e annullarlo se l’azienda mostra ad esempio che avrebbe potuto documentare la regolarità di alcune posizioni.
In tutte queste situazioni, un fattore comune di illegittimità è la violazione dei diritti del contribuente alla partecipazione. Sovente i giudici parlano di violazione del “principio del contraddittorio” come sinonimo di vizio di legittimità. A volte inquadrano il vizio come violazione di legge (dell’art.6-bis Statuto o altra norma procedurale), altre volte come eccesso di potere per difetto di istruttoria (non avendo sentito l’interessato, l’atto è emanato su presupposti potenzialmente incompleti), oppure come difetto di motivazione (quando non risponde alle osservazioni). In qualunque modo lo si qualifichi, l’esito non cambia: annullamento dell’accertamento senza contraddittorio ove questo era dovuto.
In termini di nullità vs annullabilità: giuridicamente parlando, questi atti sono annullabili su ricorso, non nulli di diritto assoluto (cioè se il contribuente non impugna, l’atto produce comunque effetti). Ad es., l’art.6-bis parla di “annullabilità”, il che significa che spetta al giudice, su istanza di parte, invalidare l’atto; non è un vizio che la P.A. deve dichiarare d’ufficio. Questo è rilevante per la strategia difensiva: il contribuente deve sollevare l’eccezione di omesso contraddittorio nel ricorso, altrimenti il giudice potrebbe anche non rilevarla (specie nelle commissioni tributarie, che tradizionalmente non sollevavano d’ufficio nullità relative). Fanno eccezione ipotesi in cui la legge stessa definiva l’atto “nullo” (qualcuno ritiene che l’art.12 c.7 desse nullità assoluta, ma la Cassazione la trattava comunque come nullità relativa deducibile dal contribuente).
Con queste considerazioni in mente, passiamo a vedere quali sono i rimedi e le conseguenze pratiche quando un accertamento viene giudicato illegittimo per difetto di contraddittorio, e analizziamo alcuni casi concreti.
Effetti dell’omesso contraddittorio: sanzioni, rimedi e impugnazioni
In questa sezione affrontiamo cosa accade dopo che sia stata riscontrata l’illegittimità di un accertamento per omesso contraddittorio: quali sanzioni (in senso lato) ne derivano per l’amministrazione, quali rimedi ha il contribuente e come si configurano le impugnazioni e i possibili esiti. In altre parole, quali sono le conseguenze giuridiche e pratiche del vizio procedurale.
Annullamento dell’atto e suoi effetti – Il primo e principale effetto è l’annullamento dell’atto impositivo o sanzionatorio viziato. L’annullamento può avvenire in via giurisdizionale (sentenza del giudice adito dal contribuente) oppure, teoricamente, in via di autotutela dall’amministrazione stessa (se riconosce l’errore procedurale potrebbe annullare l’atto in autotutela). Nella pratica, l’annullamento giudiziale è quello che rileva: se il contribuente eccepisce vittoriosamente la mancanza di contraddittorio, la Commissione tributaria (o il giudice competente) accoglie il ricorso e dichiara nullo l’avviso. Ciò comporta che la pretesa fiscale o contributiva o la sanzione vengono meno, come se l’atto non fosse mai esistito. L’amministrazione sarà condannata alle spese e dovrà restituire eventuali somme nel frattempo riscosse in provvisorio.
Possibilità di reiterazione dell’accertamento – Un aspetto cruciale è: l’ente può emettere un nuovo atto, stavolta rispettando il contraddittorio, per recuperare quanto andato perduto? La risposta dipende dal termine di decadenza (prescrizione) e dalla natura del vizio. Trattandosi di vizio procedurale, l’annullamento non incide sul merito del tributo dovuto, quindi in teoria l’ufficio può riprendere il procedimento e rifare l’accertamento correttamente. Tuttavia, deve averne tempo: se i termini di decadenza per l’accertamento sono scaduti, un nuovo atto sarebbe tardivo. Occorre considerare se l’impugnazione abbia sospeso o meno tali termini: nel processo tributario, il ricorso del contribuente contro l’atto non proroga il termine per accertare, per cui se l’atto viene annullato dopo la scadenza del termine decadenziale, il Fisco ha perso il gettito (salvo casi di sospensione espressa dei termini dovuta al contenzioso, istituto non previsto in materia tributaria se non in casi di annullamento per vizio notificatorio). Diverso è in ambito sanzionatorio amministrativo: se un’ordinanza ingiunzione è annullata, spesso l’autorità non può re-emanarla perché i termini sono brevi e spesso nel frattempo scaduti. Quindi l’effetto pratico dell’annullamento per vizio di contraddittorio è spesso la definitiva perdita della pretesa da parte dell’amministrazione, specialmente se l’atto era già emesso a ridosso delle scadenze.
Ad esempio, Agenzia Entrate notifica un accertamento a fine anno, senza contraddittorio, e viene annullato dopo 2 anni di processo: nel frattempo la decadenza è maturata, quindi niente più atto (il fisco può al più rivalersi, se ricorrono i presupposti, sui funzionari responsabili dell’errore procedurale, ma raramente succede). Se invece l’atto era stato emesso con largo anticipo, l’ufficio potrebbe tentare un nuovo accertamento: però deve rifare da zero il procedimento (nuovo PVC, nuovo invito a comparire, ecc.). Ciò può essere ostacolato dal principio che, se l’atto è stato annullato con sentenza passata in giudicato su quel motivo, l’amministrazione potrebbe trovarsi con un giudicato che le impedisce di far valere la stessa pretesa (questione dibattuta: l’annullamento per vizio formale non preclude all’ente di riaccertare il merito – se ancora nei termini – perché non c’è giudicato sul merito; però esistono pronunce contrastanti, specie in Cassazione tributaria più risalente). Diciamo che comunque il rifacimento è possibile solo se i termini lo consentono e se la motivazione dell’annullamento non contiene accertamenti sul merito sfavorevoli al fisco.
Effetti sulle sanzioni amministrative tributarie – Nel caso di annullamento di un avviso di accertamento fiscale per omesso contraddittorio, cadono anche le sanzioni collegate. Essendo l’atto annullato nella sua interezza, non vi è base per applicare la sanzione. D’altronde le sanzioni tributarie sono spesso irrogate nell’avviso stesso, quindi l’annullamento travolge l’intero contenuto. Se anche fossero state formalmente separate, decadono anch’esse perché subordinate alla violazione tributaria principale (nessun tributo evaso accertabile = nessuna sanzione per evasione). Quindi il contribuente beneficia sia del risparmio dell’imposta che delle sanzioni e interessi.
Effetti sulle sanzioni penali – Un interrogativo: se un accertamento fiscale (poniamo per dichiarazione infedele) viene annullato per vizio procedurale, ma il merito evidenziava un’evasione penalmente rilevante, cosa accade in sede penale? In linea di massima, il processo penale per reati tributari può proseguire indipendentemente dall’esito del contenzioso tributario. L’annullamento dell’atto impositivo per vizio formale non significa che il fatto (omessa dichiarazione, ricavi non dichiarati) non sia avvenuto; semplicemente il fisco non è riuscito a formalizzarlo correttamente. Tuttavia, nella pratica un giudice penale potrebbe tenere conto che l’accertamento è stato annullato, e se quell’annullamento implica dubbi sul merito (non in questo caso, perché è formale) inciderà. Ma se l’annullamento è solo per contraddittorio, il penale non ne viene inficiato automaticamente. È un dettaglio specialistico, ma per completezza: l’annullamento per vizio procedurale non ha efficacia vincolante nel penale sul quantum evaso, perché il giudice penale deve valutare autonomamente la prova dell’evasione. In mancanza di accertamento definitivo, sarà la procura a dover fornire prove.
Responsabilità del funzionario – Quando un accertamento viene annullato per difetto di contraddittorio, spesso si è trattato di un errore dell’ufficio (non ha rispettato la legge). In teoria, il contribuente potrebbe chiedere il risarcimento del danno se ha subito un pregiudizio (ad esempio, costi legali). Nel sistema italiano, la responsabilità della P.A. per l’esercizio della funzione impositiva incontra molte cautele (bisogna dimostrare dolo o colpa grave dell’amministrazione). Un singolo vizio procedurale difficilmente dà luogo a risarcimento a favore del contribuente, a meno di comportamenti gravemente negligenti o persecutori. Quindi realisticamente il contribuente ottiene “solo” l’annullamento e le spese legali rifuse. Internamente, il funzionario può incorrere in valutazioni negative o richiami, ma raramente in azioni di rivalsa (c’è però un disegno di rendere più accountable i funzionari per atti annullati, ma fuori dall’ambito di questa guida).
Rimedi esperibili dal contribuente – Quali rimedi può attivare il contribuente se riceve un accertamento senza contraddittorio? Il rimedio principale è l’impugnazione davanti all’autorità giudiziaria competente:
- Nel caso di avviso di accertamento fiscale o atto doganale: ricorso innanzi alla Corte di Giustizia Tributaria (ex Commissione Tributaria) entro 60 giorni, eccependo la nullità/annullabilità per violazione dell’art.6-bis Statuto o del principio del contraddittorio UE.
- Nel caso di avviso di addebito INPS: ricorso al Tribunale (sez. lavoro) entro 40 giorni, eccependo violazione dell’art.7 co.2 DL 70/2011 e dei principi di buona amministrazione.
- Nel caso di sanzione amministrativa ordinaria: ricorso al Giudice di Pace o altro giudice previsto, eccependo violazione della L.689/81 (mancata osservanza termini difensivi).
- Nel caso di sanzioni di autorità: ricorso al TAR o all’autorità di appello competente (es. Corte d’Appello per Consob), eccependo violazione dei diritti di difesa e di eventuali norme di procedura proprie.
In tutti i casi, è fondamentale dedurre l’eccezione esplicitamente. Il contribuente alleghi i fatti (nessun invito a contraddittorio ricevuto, oppure ricevuto ma atto emesso prima del termine, etc.) e inviti il giudice a dichiarare nullo l’atto. Può essere utile, come detto, già nel ricorso indicare quali difese non ha potuto svolgere per colpa dell’ufficio, così da superare eventuale prova di resistenza: ad esempio scrivere “se interpellato avrei segnalato che la pretesa è errata perché…”.
Un rimedio in via amministrativa potrebbe essere quello di sollecitare l’autotutela all’ufficio, magari segnalando la svista. In alcuni casi, se l’errore è evidente (es: avviso emesso 10 giorni dopo il PVC, senza urgenza), l’ufficio potrebbe annullarlo d’ufficio e rinotificarlo dopo 60 giorni (se ancora nei termini). Tuttavia, spesso gli uffici preferiscono far decidere i giudici per prudenza, salvo errori macroscopici.
Nullità parziale e vizio sanabile? – Il contraddittorio è un vizio relativo non sanabile postumo. Non c’è modo di “sanare” in corso di processo la mancanza originaria. Offrire al contribuente un contraddittorio tardivo (magari durante l’istruttoria processuale) non toglie il vizio dell’atto formato. Il giudice non può nemmeno di per sé correggere l’atto, può solo annullarlo. Non esiste concetto di nullità parziale: o c’è contraddittorio o no (al più, se l’atto riguarda più annualità o più contribuenti e ne manca per alcuni sì per altri, si potrebbe annullare in parte, ma di rado). Quindi il rimedio è binario: o l’atto resta valido (contraddittorio ok o non dovuto) o viene annullato (contraddittorio dovuto ma omesso).
Impatto sulle impugnazioni pendenti – Da notare che la questione contraddittorio è stata anche oggetto di rinvii pregiudiziali e questioni di legittimità costituzionale nel tempo. Ora con la legge chiara, ci si attende meno contenziosi di sistema. Però, se emergesse un dubbio interpretativo (es: se il 6-bis si applichi anche a contributi INPS in via analogica), potrebbero sollevarsi di nuovo questioni. Nel frattempo, la Cassazione è investita di molti casi pre-riforma: ad esempio cause su avvisi 2018 senza contraddittorio IRPEF – prima rigettate sulla base di SU 2015 – ora con CCost 2023 e legge 2023 qualcuno potrebbe tentare di rimettere in discussione quell’orientamento magari chiedendo alla Cass. di mutare rotta retroattivamente. Finora, però, la Cassazione ha mantenuto la linea rigida per il passato.
Sanzioni per lite temeraria? – Un cenno: se l’ufficio emette volutamente atti senza contraddittorio nonostante l’obbligo, il giudice potrebbe condannare l’ente al risarcimento ex art.96 c.p.c. (lite temeraria) se ravvisa mala fede o grave trascuratezza. Finora rarissimo nelle cause tributarie. Più frequente la condanna alle spese di giudizio, che comunque grava sull’ente (e in ultima analisi sulla collettività). Questo è un motivo in più per le amministrazioni per attenersi alle regole del contraddittorio ed evitare annullamenti in massa e costi di contenzioso.
In conclusione, dal punto di vista del contribuente, l’omissione del contraddittorio è un ottimo motivo di ricorso: se sussiste, conviene sempre sollevarlo perché può portare all’annullamento integrale dell’atto senza nemmeno dover discutere il merito fiscale (tasse evase, etc.). Molti ricorsi fiscali vincenti degli ultimi anni sono stati proprio su questo vizio. Dal punto di vista dell’amministrazione, rispettare il contraddittorio è ormai non solo un obbligo giuridico ma anche un mezzo per evitare di vanificare interi accertamenti.
Passiamo ora ad illustrare alcuni casi pratici e pronunce che esemplificano l’applicazione di questi principi in situazioni reali, per consolidare la comprensione.
Esempi pratici e casi commentati
Di seguito presentiamo alcuni casi concreti (ispirati da vicende reali o verosimili) per vedere come i principi illustrati si applicano nella pratica e quali esiti si sono avuti o si potrebbero avere. Ciascun esempio sarà seguito da un breve commento che evidenzia gli aspetti giuridici salienti.
Esempio 1: Accertamento fiscale “a tavolino” ante-riforma
Scenario: Nell’ottobre 2019 l’Agenzia delle Entrate notifica a un professionista un avviso di accertamento IRPEF per l’anno d’imposta 2014, recuperando maggior reddito non dichiarato sulla base di indagini finanziarie. L’accertamento è stato emesso senza alcun preavviso o invito al contraddittorio: il contribuente non era stato né informato dell’avvio di un controllo, né invitato a spiegare i movimenti bancari, né ha ricevuto un PVC (perché non c’è stata ispezione nei locali). Il professionista impugna l’avviso sostenendo che è nullo perché emesso violando il diritto al contraddittorio preventivo.
Situazione giuridica nel 2019: Per l’anno 2014, l’obbligo di contraddittorio espresso c’era solo per verifiche in loco (non il caso suo). La Cassazione aveva già chiarito che per i tributi “non armonizzati” (come IRPEF) non esisteva obbligo generale. Inoltre, il controllo bancario “a tavolino” era considerato indagine eseguita in ufficio, quindi fuori dall’art.12 c.7 Statuto. Il contribuente nel ricorso può aver citato principi generali o il fatto che l’indagine bancaria colpisce il diritto di difesa, magari citando art.24 Cost. e pronunce come la “Ecotec” (Cass. 2014). Le Commissioni tributarie in quell’epoca erano divise: alcune sezioni più avanzate accoglievano il ricorso per violazione del contraddittorio richiamando il principio statuario di cooperazione; altre, allineate alle Sezioni Unite 2015, respingevano perché in assenza di norma specifica non c’è nullità.
Esito probabile: Nel 2019-2020, la Commissione avrebbe quasi certamente rigettato l’eccezione del contribuente, ritenendo legittimo l’accertamento. Questo perché IRPEF non armonizzata e accertamento a tavolino -> obbligo non riconosciuto dalla giurisprudenza consolidata. Il contribuente quindi avrebbe perso sul punto (avrebbe dovuto difendersi sul merito dei movimenti bancari). Cassazione, se adita, avrebbe confermato (molte pronunce fino al 2021 hanno ribadito “nessun contraddittorio per tributi non armonizzati in controlli a tavolino”, ex SS.UU. 24823/15).
Commento: Questo esempio mostra la situazione prima della generalizzazione: un accertamento senza contraddittorio poteva tranquillamente reggere, e il contribuente non aveva diritto a essere sentito. Oggi, per una situazione simile (accertamento 2023 su anno 2018, per dire) l’esito sarebbe diverso: IRPEF è sempre non armonizzata, ma il nuovo art.6-bis la copre, quindi quell’avviso sarebbe annullabile. Non a caso, la Corte Costituzionale definì l’assenza di contraddittorio in casi come questo una “disparità di trattamento ingiustificata” tra contribuente sottoposto a verifica (che aveva 60gg) e contribuente soggetto a indagine bancaria (che non li aveva). Il legislatore ha poi sanato la disparità. In sintesi, l’accertamento a tavolino senza contraddittorio nel 2019 era legittimo; nel 2024 sarebbe illegittimo.
Esempio 2: Accertamento fiscale post-riforma con omissione indebita
Scenario: A marzo 2025 l’Agenzia delle Entrate emette un avviso di accertamento IRES nei confronti di Alfa Srl per l’anno 2022, contestando costi indebiti. L’avviso viene notificato senza alcun previo invito al contraddittorio. In particolare, l’ufficio, prossimo alla scadenza del termine di decadenza (31/12/2025), decide di saltare il contraddittorio temendo di non fare in tempo. Nell’avviso, però, non viene menzionata alcuna urgenza né ragione di pericolo per la riscossione. Alfa Srl propone ricorso eccependo la nullità dell’atto per violazione dell’art.6-bis L.212/2000.
Analisi: Qui siamo in pieno vigore della nuova normativa. L’accertamento IRES è un atto impugnabile davanti al giudice tributario, quindi soggetto all’obbligo di contraddittorio ex art.6-bis. Nessuna delle eccezioni tipizzate sembra applicabile: non è un atto automatizzato, non è un controllo formale, è un accertamento vero e proprio basato su valutazioni di merito. L’unica eccezione possibile sarebbe la sussistenza di un fondato pericolo per la riscossione. Ma l’ufficio non l’ha né indicato né probabilmente poteva indicarlo (il motivo reale era la scadenza dei termini, che non coincide con il concetto di pericolo di riscossione se la società è solvibile). Dunque l’atto appare emanato in palese violazione dell’art.6-bis, senza giustificazione. L’omessa indicazione di ragioni di urgenza nell’atto priva l’ufficio di qualunque scusa: non può in giudizio invocare ex post la fretta perché avrebbe dovuto motivarla nell’atto.
Esito atteso: La Corte di Giustizia Tributaria (ex Commissione) dovrebbe accogliere il ricorso di Alfa Srl, dichiarando l’accertamento annullabile per mancato contraddittorio obbligatorio. La pronuncia può basarsi direttamente sulla norma statuaria: “atto emesso in violazione dell’art.6-bis, comma 1, L.212/2000, omettendo il contraddittorio endoprocedimentale previsto a pena di annullabilità, senza che ricorresse alcuna delle ipotesi derogatorie di cui al comma 2”. In aggiunta, potrebbe rilevare il difetto di motivazione circa l’urgenza, aggravando la posizione dell’ente (anche volendo sostenere che c’era un’urgenza, non è stata esternata, quindi viola l’obbligo di motivazione). L’annullamento sarà totale. L’ufficio, se il termine di decadenza non è trascorso, potrebbe provare a rifare l’atto nel 2025 rispettando la procedura. Ma nell’immediato Alfa Srl si vedrà annullare la pretesa.
Commento: Questo esempio evidenzia come la riforma 2023-24 produca conseguenze molto concrete. Un atto come questo, prima, sarebbe forse passato (IRES tributo non armonizzato -> no obbligo generale pre-2024). Ora invece è nullo. Mostra anche l’importanza per gli uffici di motivare l’urgenza: se l’ufficio avesse inserito nell’avviso una frase tipo “Visto l’imminente termine decadenziale del 31/3/2025 e il rischio per l’Erario di non poter recuperare il dovuto, si è proceduto senza attendere 60 giorni”, avrebbe almeno formalmente ottemperato a quanto richiesto. Resta discutibile se “rischio decadenza” equivalga a “pericolo per la riscossione”, ma almeno la motivazione c’era e avrebbe spostato il dibattito sul merito dell’urgenza. Non avendolo fatto, l’atto è praticamente indifendibile. Dunque, l’accertamento è illegittimo per omesso contraddittorio e sarà annullato.
Esempio 3: Avviso di accertamento doganale senza contraddittorio
Scenario: Nel 2021, una società importatrice riceve un avviso di revisione dell’accertamento doganale per merci importate nel 2019, con cui l’ADM chiede dazi aggiuntivi per €30.000, avendo riclassificato la merce con voce doganale a dazio più alto. L’avviso è arrivato improvviso, senza che la società avesse ricevuto prima la “Comunicazione dell’art.11 D.lgs.374/90 / art.22 CDU” con 30 giorni per deduzioni. La società contesta subito l’atto chiedendo all’ADM spiegazioni. L’ufficio risponde informalmente che in effetti è stata omessa la fase di contraddittorio per un disguido. La società propone ricorso alla Commissione tributaria chiedendo l’annullamento dell’atto per violazione dell’art.22(6) del Codice Doganale UE.
Analisi: La procedura corretta in dogana prevedeva una comunicazione dei motivi con 30gg di tempo. Ciò non è stato fatto, e l’ufficio neanche prova a giustificarlo (non sembrano esserci ragioni di sicurezza nazionale o simili, è stato un errore). Trattandosi di tributo armonizzato (dazio UE), la mancanza di contraddittorio lede un principio fondamentale UE. La Commissione tributaria applicherà direttamente tale principio in virtù dell’art.22 CDU e dei precedenti Sopropé/Kamino. La società nel ricorso con ogni probabilità ha anche indicato cosa avrebbe detto: ad esempio che la classificazione iniziale era corretta e avrebbe portato prove tecniche. Ciò a supportare la prova di resistenza.
Esito atteso: La Commissione annullerà l’avviso di revisione per violazione del diritto di difesa dell’operatore doganale, richiamando magari la Cass.8399/2013 che dice che il contraddittorio doganale è obbligatorio e distinto. L’ADM potrà poi riemettere un nuovo avviso rifacendo la procedura (se non è decaduta, in dogana c’è 3 anni di tempo solitamente). Ma intanto quell’atto è annullato. In alcuni casi, la stessa ADM, accortasi dell’errore, potrebbe in autotutela annullare l’atto prima ancora del giudice (ammettendo l’errore e rifacendo). Non è improbabile perché l’ADM conosce bene il vincolo UE e sa che perderebbe in giudizio certamente.
Commento: Questo esempio dimostra la rigidità in dogana: accertamento doganale senza contraddittorio = nullo, praticamente sempre, da ben prima della riforma fiscale. La particolarità è che qui è la norma UE a comandare, quindi neanche serviva una legge italiana (anche se c’era l’art.11 374/90). In Commissione tributaria questi casi si risolvono spesso a favore del contribuente agevolmente, data la chiarezza del diritto UE. Se l’ADM avesse provato a sostenere che la società non ha subito pregiudizio perché tanto la classificazione è oggettiva, difficilmente reggerebbe: la difesa può sempre dire che avrebbe fornito informazioni tecniche che l’Agenzia ignorava. Solo se l’importatore in giudizio non contestasse affatto nel merito, il giudice potrebbe farsi venire il dubbio se annullare l’atto o no. Ma in genere, l’operatore contesta sempre anche nel merito. Quindi, contraddittorio doganale omesso => atto illegittimo.
Esempio 4: Verbale ispettivo INPS e avviso di addebito immediato
Scenario: Nel luglio 2022 l’INPS effettua un’ispezione presso Beta Srl e riscontra l’impiego di 3 lavoratori irregolari negli ultimi 5 anni. Il giorno stesso, gli ispettori redigono un verbale conclusivo quantificando €100.000 di contributi evasi e lo consegnano al titolare. Tuttavia, contrariamente a quanto previsto dall’art.7 DL 70/2011, l’INPS emette dopo soli 15 giorni l’avviso di addebito per riscuotere tali contributi, senza attendere i 60 giorni per eventuali memorie. Beta Srl invia comunque, al 50° giorno, delle osservazioni scritte (ad esempio contestando che due lavoratori erano studenti in stage, quindi non soggetti a contribuzione). L’INPS però ha già emesso l’avviso, che infatti non considera queste difese. Beta Srl propone opposizione all’avviso di addebito davanti al Tribunale, eccependo la nullità per violazione del contraddittorio post-verifica ex art.7 co.2 DL 70/2011.
Analisi: Nel 2022 l’art.7 co.2 DL 70/2011 era pienamente vigente e richiamava l’art.12 Statuto. Di conseguenza, l’INPS avrebbe dovuto attendere 60 giorni dal verbale prima di emettere l’atto, salvo urgenza motivata (che qui non appare: ha solo anticipato per prassi). Emetterlo dopo 15 giorni è contra legem. L’avviso di addebito quindi è viziato. Davanti al Tribunale, l’INPS potrebbe difendersi dicendo che Beta ha comunque inviato osservazioni ma tardive (oltre l’emissione) e che nel merito la pretesa è fondata. Il giudice però rileverà che la legge imponeva di aspettare comunque i 60 giorni e che l’INPS non l’ha fatto, ledendo il diritto di difesa dell’azienda. Le osservazioni inviate poi non hanno potuto essere valutate perché l’atto era già emesso. Questo configura un vizio di procedimento.
Esito atteso: Il Tribunale del Lavoro dovrebbe accogliere l’opposizione di Beta Srl, annullando l’avviso di addebito per violazione della norma procedurale (art.7 co.2 DL 70/2011). Potrebbe nelle motivazioni equiparare la garanzia a quella fiscale, dicendo che l’atto è stato emesso “ante tempus” rispetto al termine dilatorio previsto e dunque è illegittimo. Inoltre, la mancata considerazione delle osservazioni (che pur sono arrivate entro i 60 gg) evidenzia un difetto di istruttoria e motivazione. L’INPS a quel punto potrà dover rifare l’accertamento (se ancora nei termini, in contributi i termini prescrizionali sono più lunghi di quelli fiscali, qui 5 anni quindi sarebbe ancora in tempo per reiterarlo con atto 2023 attendendo i 60gg e rigettando motivatamente le difese, se le ritiene infondate). Beta Srl intanto guadagna tempo e potrebbe giungere a prescrizione se l’INPS non rifà subito o se emergono lungaggini.
Commento: Questo esempio rispecchia situazioni reali prima della riforma: a volte l’INPS non rispettava il contraddittorio, ma i tribunali hanno generalmente dato ragione alle aziende se eccepito. Sottolinea l’analogia forte tra procedimento fiscale e previdenziale (il legislatore 2011 li aveva volutamente equiparati). Ora (dopo 2023) il quadro è più incerto come discusso, ma l’esempio mostra come era chiaro l’obbligo e la sanzione (nullità atto). Vale notare che qui Beta Srl ha presentato davvero delle difese (stage studenti) che potenzialmente potevano ridurre la pretesa. Ciò rafforza la sua posizione (prova di resistenza) e rende più evidente il pregiudizio subito dall’omesso contraddittorio: l’INPS non ha tenuto conto di un elemento essenziale, col risultato di chiedere contributi forse non dovuti. Un giudice non può ignorare questo: l’atto è illegittimo non per un mero formalismo, ma perché potrebbe esserci un errore di merito che il contraddittorio avrebbe evitato.
Esempio 5: Sanzione Consob e giusto processo (Corte EDU)
Scenario: Nel 2012 la Consob sanziona Tizio, amministratore di una società quotata, per manipolazione del mercato (violazione art.187-ter TUF) con una multa di €200.000 e interdizione. Il procedimento Consob all’epoca prevedeva: contestazione degli addebiti a Tizio, Tizio inviava memorie, audizione personale facoltativa (che Tizio chiese, ma la Consob rigettò la richiesta), poi decisione Consob. Tizio impugnò la sanzione alla Corte d’Appello (come previsto dalla legge). La Corte d’Appello ridusse la sanzione ma confermò la responsabilità. Tizio allora ricorse alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) sostenendo che il procedimento sanzionatorio non era equo: la Consob non è un giudice indipendente, e lui non aveva potuto difendersi adeguatamente (audizione negata). Nel 2014 la Corte EDU (caso Grande Stevens ed altri c. Italia) diede ragione a Tizio, rilevando che la sanzione Consob, di natura penale secondo la CEDU, era stata irrogata con procedura priva di garanzie pienamente equiparabili a quelle penali e che il riesame del giudice italiano (Corte d’Appello) non era sufficiente a rimediare, in quanto non poté rivedere nel merito tutti gli aspetti (ad es. non poteva sentire testimoni, ecc.).
Esito: La sentenza CEDU ha sancito la violazione dell’art.6 §1 CEDU (diritto a equo processo). L’Italia ha dovuto modificare la normativa: oggi per quelle sanzioni c’è un unico processo davanti alla Corte d’Appello che decide con piene garanzie (giurisdizione piena). Inoltre, Consob e altre autorità hanno rivisto i loro regolamenti interni per assicurare maggiore contraddittorio (ad esempio, ora l’audizione deve essere concessa se richiesta). In parallelo, la giurisprudenza amministrativa italiana (Consiglio di Stato) ha affermato che anche in procedimenti sanzionatori amministrativi di autorità indipendenti è necessario garantire un contraddittorio effettivo, pur riconoscendo che la fase giurisdizionale successiva può compensare eventuali limiti purché sia full review.
Commento: Questo esempio, sebbene non un “accertamento” fiscale, è illuminante sulla portata sovranazionale del principio del contraddittorio. In un contesto sanzionatorio parasociale, la mancanza o limitazione del contraddittorio amministrativo unita a una non totale pienezza del giudizio d’appello ha portato a condanna in sede CEDU. Ciò evidenzia che, soprattutto dove le sanzioni sono gravi, il contraddittorio non è solo una formalità ma un elemento del fair trial complessivo. Il sistema italiano ha risposto potenziando le garanzie in entrambe le fasi: più contraddittorio pre-sanzione e giudice con più poteri in fase di opposizione. Questo riflette l’idea generale che un procedimento sanzionatorio (e analogamente impositivo) moderno deve prevedere la partecipazione e l’ascolto dell’interessato in qualche momento: se non prima, durante. Nel fisco ora l’abbiamo messa prima e abbiamo comunque il giudice dopo. Nelle sanzioni amministrative “penali”, bisogna avere almeno o un super-giudice dopo (full merits) o dare ampie garanzie prima. Meglio entrambe. In sintesi, la lezione del caso Consob è che l’assenza di contraddittorio può costituire violazione di diritti fondamentali, non solo vizio di diritto interno.
Questi esempi coprono una gamma di situazioni: tributario prima e dopo la riforma, doganale, previdenziale e sanzionatorio generale. Tutti confermano l’importanza crescente del contraddittorio.
Nel prossimo capitolo proporremo una sezione di Domande e Risposte frequenti per chiarire i dubbi più comuni su questo tema. Infine, chiuderemo con l’elenco delle principali fonti normative e giurisprudenziali citate e consigliate per approfondire.
Domande e Risposte sul contraddittorio e accertamenti illegittimi (FAQ)
- D: Cos’è esattamente il “contraddittorio preventivo” nell’accertamento?
R: È il diritto del contribuente (o comunque del destinatario di un provvedimento impositivo/sanzionatorio) di essere informato delle contestazioni che l’amministrazione intende muovergli e di potersi difendere prima che venga emesso l’atto definitivo. In pratica consiste, a seconda dei casi, nell’invio di un avviso di accertamento preliminare o invito a comparire con l’esposizione dei rilievi fiscali, assegnando un termine (60 giorni in ambito tributario generale, 30 giorni in ambito doganale, ecc.) entro cui il contribuente può presentare memorie, documenti e richiedere un confronto. Solo dopo aver valutato tali difese, l’ufficio può emettere l’atto finale. Lo scopo è garantire un dialogo e evitare errori o fraintendimenti, in ossequio ai principi di cooperazione e buona fede. Il contraddittorio è dunque una fase endoprocedimentale (interna al procedimento) in cui si realizza il diritto di difesa in via amministrativa. - D: Quando è obbligatorio attivare il contraddittorio prima di un accertamento?
R: Oggi, nel 2025, in quasi tutti i casi di accertamento tributario: il nuovo art.6-bis dello Statuto del contribuente impone il contraddittorio preventivo per tutti gli atti impugnabili davanti al giudice tributario (avvisi di accertamento, liquidazione, sanzioni tributarie, cartelle, ecc.), a meno che la legge disponga diversamente per casi particolari. Anche negli accertamenti doganali è obbligatorio (come da regolamento UE). Era ed è obbligatorio, inoltre, nelle verifiche fiscali “in loco” (già dal 2000, art.12 c.7 Statuto) e lo resta sotto la disciplina generale. In sintesi, ogni volta che un ufficio finanziario intende emettere un atto che il contribuente potrà impugnare, deve attivare un contraddittorio (salvo eccezioni specifiche). Nell’ambito previdenziale (INPS), fino a fine 2023 vigeva analogo obbligo per gli accertamenti contributivi post-ispezione; dal 2024 c’è un vuoto normativo, ma in via prudenziale e di principio dovrebbe considerarsi ancora necessario (anche se la norma non è stata adeguata formalmente). Nei procedimenti sanzionatori amministrativi generali, la L.689/81 prevede sempre un contraddittorio scritto (memorie difensive entro 30 gg) prima dell’emissione dell’ordinanza-ingiunzione, quindi è obbligatorio in quel contesto. In definitiva: tributi, dazi, contributi, sanzioni – in ciascuno di questi ambiti esistono disposizioni che rendono il contraddittorio parte integrante del procedimento, con rare eccezioni. - D: Quali sono le eccezioni all’obbligo di contraddittorio?
R: Le eccezioni, in ambito fiscale, sono state tipizzate dal legislatore delegato. In base all’art.6-bis co.2 Statuto e al decreto MEF attuativo del 24/4/2024, sono esclusi dall’obbligo di contraddittorio: a) gli atti emessi in modalità automatica o semiautomatica (ruoli, cartelle, avvisi derivanti solo da incroci di banche dati); b) gli atti di liquidazione di tributi basati su dati dichiarati dallo stesso contribuente (es: liquidazione imposta di registro per decadenza da agevolazioni); c) gli esiti di controllo formale delle dichiarazioni (ex art.36-ter DPR 600/73) quando l’esito è la semplice rettifica di errori materiali/documentali; d) gli atti di recupero di crediti indebitamente utilizzati risultanti da controlli automatizzati; e) atti come le intimazioni di pagamento o gli atti della riscossione coattiva (solleciti, preavvisi di fermo, ipoteche). Inoltre, è prevista l’eccezione del “fondato pericolo per la riscossione”: se l’ufficio ritiene che attendere il contraddittorio possa compromettere la futura esazione (ad esempio perché il contribuente sta occultando beni), può emettere subito l’atto motivando tale pericolo. In ambito doganale, il contraddittorio non si applica se sono necessarie misure immediate per ragioni di sicurezza pubblica o ordine pubblico, o nei casi in cui l’interessato abbia già avuto modo di esporre le sue ragioni in una fase precedente (come stabilito dal Codice UE). Negli altri settori (previdenziale, sanzioni) le eccezioni coincidono anch’esse con casi di particolare urgenza o quando la legge prevede procedimenti sommari. In generale, comunque, le eccezioni sono situazioni circoscritte, elencate tassativamente: la regola è il contraddittorio, la deroga va motivata e provata. - D: Se l’ufficio non fa il contraddittorio dove doveva, l’accertamento è nullo automaticamente?
R: Sì, ma va impugnato per farne dichiarare la nullità (o meglio l’annullabilità). In termini pratici, un accertamento emesso senza contraddittorio in violazione di norme che lo prevedono è annullabile dal giudice su ricorso del contribuente. Non si tratta di nullità “di diritto comune” rilevabile d’ufficio in ogni tempo: il contribuente deve sollevare l’eccezione nei modi e tempi di legge (nel ricorso introduttivo o nei motivi aggiunti se il vizio viene scoperto dopo). Se il contribuente non impugna l’atto, questo diventa definitivo, pur viziato. Dunque “automaticamente” l’atto non sparisce: bisogna farlo valere. Una volta impugnato, però, il giudice – verificata la mancanza del contraddittorio e l’assenza di cause giustificative – dovrà annullare l’atto perché emanato contra legem. In alcune giurisdizioni (es. giudice del lavoro per INPS, GdP per sanzioni) il giudice potrebbe richiedere di dimostrare che quel contraddittorio omesso avrebbe potuto incidere (c.d. prova di resistenza); ma nell’ambito tributario, con l’art.6-bis, il vizio è di per sé causa di annullamento senza ulteriori oneri, essendo la norma chiara sul “a pena di annullabilità”. Quindi, ricapitolando: l’atto è viziato ab origine, ma serve l’azione del contribuente e la dichiarazione di invalidità da parte dell’autorità giudiziaria per eliminarlo dall’efficacia. - D: Il contribuente può rifiutarsi di partecipare al contraddittorio? Cosa succede in tal caso?
R: Il contribuente ha diritto al contraddittorio, ma non l’obbligo di parteciparvi. Se decide di non aderire all’invito (ad esempio, non inviando memorie o non presentandosi all’audizione), il procedimento va avanti e l’ufficio potrà emanare l’atto trascorso il termine, dando atto che il contribuente non ha presentato osservazioni. Questo comportamento equivale a una forma di “silenzio” o rinuncia: l’ufficio ha comunque assolto al suo dovere offrendogli la chance di difendersi. In sede di eventuale ricorso, il contribuente non potrà lamentare il vizio di omesso contraddittorio, perché è stato lui a non utilizzarlo. Ad esempio, se viene invitato a comparire e non lo fa, oppure viene invitato a presentare memorie entro 60 giorni e non manda nulla, l’avviso successivo è legittimo. Anzi, la giurisprudenza ritiene che, in tal caso, il contribuente non possa ottenere l’annullamento dell’atto solo perché lui non ha sfruttato l’opportunità. Ovviamente conserva tutti gli altri argomenti di merito impugnatori, ma non potrà dire “mancato contraddittorio” dal momento che l’ufficio l’aveva attivato. In sintesi: il contraddittorio è un faculté per il contribuente; se non ne approfitta, l’ufficio può procedere e l’atto non sarà inficiato dall’inerzia del contribuente stesso. - D: L’ufficio mi ha inviato la comunicazione di accertamento con 60 giorni di tempo; io ho risposto, ma poi nell’avviso definitivo non hanno considerato nulla di ciò che ho scritto. È valido l’accertamento?
R: Il contraddittorio, per essere effettivo, implica che l’ufficio valuti realmente le osservazioni presentate dal contribuente. La legge (art.6-bis e in passato art.12, c.7) richiede una motivazione rafforzata in caso di mancato accoglimento delle difese. Ciò significa che l’avviso definitivo deve almeno confutare in modo intelligibile i principali argomenti del contribuente. Se l’atto finale ignora del tutto le osservazioni (magari riproducendo pedissequamente il contenuto della comunicazione iniziale, senza aggiunte), si può configurare un vizio di difetto di motivazione o di istruttoria. In altre parole, l’accertamento pur preceduto da contraddittorio può essere illegittimo perché l’ufficio non ha assolto all’onere di tener conto di quanto emerso. Non bisogna però pretendere risposte puntuali ad ogni singola riga delle memorie: è sufficiente che la motivazione finale faccia capire che le deduzioni sono state esaminate e spieghi perché sono state rigettate (ad es: “il contribuente ha sostenuto A e B, ma questi rilievi non sono accolti perché….”). Se invece niente di tutto ciò compare, il contribuente in giudizio può eccepire che il contraddittorio è stato svolto solo pro forma, e chiedere l’annullamento per motivazione omessa/inesistente sulle sue difese. Diversi giudici hanno annullato avvisi quando dall’atto risultava chiaramente che le memorie non erano state minimamente prese in considerazione. Dunque, formalmente l’atto è stato preceduto da contraddittorio, ma la mancanza di riscontro sostanziale equivale a non aver rispettato in pieno l’obbligo procedimentale. In sintesi: il contraddittorio va seguito dalla valutazione delle difese; se questa valutazione non appare affatto, l’atto può essere dichiarato illegittimo. - D: Un accertamento nullo per omesso contraddittorio può essere “salvato” in appello o con altre strategie?
R: Una volta che il vizio è dichiarato dal giudice di primo grado, l’atto è annullato e non esiste più, quindi non può essere confermato in appello se il fisco ricorre: difficilmente l’amministrazione vincerà in appello, a meno che il giudice di primo grado abbia male interpretato la norma (ma oggi la norma è chiara). In appello o Cassazione, l’Agenzia potrebbe provare a sostenere la famosa “prova di resistenza”, ossia che il contribuente non aveva indicato alcuna difesa specifica e quindi il vizio non era influente. Tuttavia, con una norma interna che prevede la nullità, le Corti superiori probabilmente non accoglieranno tale tesi (che invece consideravano quando la fonte dell’obbligo era solo nel diritto UE). Insomma, è molto difficile “salvare” un atto viziato: l’amministrazione di solito preferisce, se possibile, rifare l’accertamento ex novo piuttosto che insistere su un atto già invalidato. Altro scenario: se il contribuente non ha eccepito nulla in primo grado e solleva la questione solo in appello, generalmente è troppo tardi (nel processo tributario le eccezioni devono stare nel ricorso introduttivo, salvo fatti sopravvenuti). Quindi, in senso inverso, l’atto “si salva” se il vizio non è eccepito nei termini. È bene anche chiarire: non esiste un “contraddittorio postumo” giudiziale che san i l’omissione. Cioè, il fatto che in giudizio il contribuente possa difendersi non guarisce l’errore procedurale commesso. La Corte Costituzionale ha detto che la mancanza di contraddittorio amministrativo non può essere bilanciata dal solo processo, perché le due fasi sono diverse (una è preventiva, l’altra è successiva e con costi e oneri maggiori per il contribuente). Quindi l’argomento dell’ente “tanto potrai difenderti davanti al giudice” non evita l’annullamento dell’atto (fa eccezione il ragionamento in ambito Consob – Grande Stevens, ma lì si parlava di equo processo nel complesso: in campo fiscale, con l’art.6-bis, quell’argomento oggi cadrebbe comunque). In conclusione: o l’atto è sanato rifacendo il procedimento prima che giunga in giudizio (annullamento in autotutela e riapertura del contraddittorio, se il termine consente) oppure, se arriva in giudizio viziato, raramente verrà “salvato” – a meno di errori formali del ricorrente. - D: Il contraddittorio si applica anche ai tributi locali (IMU, TARI, ecc.)?
R: Sì, i principi si applicano anche lì, anche se con alcune particolarità. Lo Statuto del contribuente sin dall’origine valeva anche per gli enti locali, ma come principi generali da recepire nei regolamenti (art.1 c.2 Statuto). La riforma fiscale ha rafforzato questa previsione: ora art.1 commi 3-bis e 3-ter Statuto stabiliscono espressamente che regioni e enti locali non possono prevedere garanzie inferiori a quelle dello Statuto in materia di procedimento. Quindi, ad esempio, un Comune che debba emettere un avviso di accertamento IMU dovrà garantire il contraddittorio preventivo così come farebbe l’Agenzia Entrate per un avviso IRES. Molti comuni già lo facevano (magari inviando un invito al contribuente a fornire chiarimenti prima di liquidare differenze d’imposta). Ora diventa praticamente un obbligo derivante dai principi. La difficoltà talora è pratica: i comuni spesso operano su base massiva (per es. controlli su centinaia di immobili) e il contraddittorio generalizzato potrebbe essere oneroso. Tuttavia dovranno organizzarsi, anche perché un avviso TARI o IMU senza contraddittorio potrebbe essere impugnato con successo facendo leva sullo Statuto come principio generale. In mancanza di specifico regolamento comunale, il contribuente può richiamare direttamente l’art.6-bis come principio e l’art.1 co.3-bis Statuto. E un giudice tributario potrebbe annullare l’atto locale se l’ente non ha dato modo al contribuente di interloquire (magari usando come analogia proprio il vincolo di eguaglianza col fisco statale). Quindi sì: de iure i tributi locali sono soggetti al contraddittorio pre-accertamento (compatibilmente con le autonomie e i regolamenti propri, che comunque non possono scendere sotto lo standard minimo statale). - D: Se un accertamento viene annullato per omesso contraddittorio, il Fisco può emetterne un altro per lo stesso periodo d’imposta?
R: Può, ma solo se non sono scaduti i termini di decadenza e rifacendo correttamente la procedura. L’annullamento per vizio procedurale non tocca il merito della pretesa, quindi l’ufficio in teoria resta libero di accertare di nuovo quella stessa imposta/anno, stavolta rispettando il contraddittorio. Non c’è res iudicata sul merito (il giudice non ha detto “il contribuente nulla deve”, ha detto “l’atto è nullo per vizio di forma”). Tuttavia, nella pratica, subentrano i termini: l’accertamento fiscale ha termini stringenti (per il 2022, ad esempio, la fine del 2027). Se l’annullamento arriva quando i termini sono spirati, l’ufficio è fuori tempo e non può più riprovarci. Se invece c’è ancora margine, può notificare un nuovo avviso (naturalmente previo contraddittorio questa volta). Bisogna fare attenzione però: il secondo atto verrà considerato legittimo se effettivamente san a il difetto procedurale. Inoltre, c’è un dibattito se l’Amministrazione, ripetendo l’accertamento identico, rispetti il giudicato o lo violi: ma, essendo un vizio formale, prevale la tesi che possa rifarlo senza violare il giudicato (che non copre il merito). Quindi, ad esempio, se un avviso 2021 è annullato nel 2023 per difetto di contraddittorio e c’è tempo fino al 2024, l’Agenzia può notificare un nuovo avviso bis per quell’anno, dopo aver invitato al contraddittorio. Naturalmente, dal punto di vista del contribuente, poter “guadagnare tempo” con un annullamento può significare far decadere il fisco se i tempi sono stretti. In altri casi invece no. Negli accertamenti doganali i termini di decadenza sono di norma 3 anni dall’importazione, quindi spesso il contenzioso si svolge entro questi termini, e l’ADM riesce a riemettere l’atto se viene annullato (correggendo eventualmente). Negli accertamenti INPS, i termini prescrizionali sono 5 anni: c’è un po’ più di margine per rifare l’atto. Quindi dipende: l’ente può riprovarci solo se è ancora nei termini previsti dalla legge. Un’ultima nota: se il giudice nell’annullare l’atto per vizio procedurale avesse anche incidentalmente statuito su aspetti di merito (cosa che in teoria non dovrebbe, ma potrebbe succedere che dica “annullo perché niente contraddittorio, e comunque il rilievo era infondato su questo punto…”), allora su quei aspetti ci sarebbe giudicato e l’ufficio non potrebbe contraddirli. Ma normalmente si limitano al vizio formale. - D: Come posso utilizzare il principio del contraddittorio a mio favore in sede di difesa?
R: Come contribuente o difensore, devi essere attento a rilevare eventuali omissioni o carenze nella fase pre-accertativa. In particolare: verifica se hai ricevuto un invito al contraddittorio prima dell’accertamento e se l’accertamento è stato emesso rispettando i tempi. Se non hai ricevuto nulla e l’atto rientra tra quelli per cui avrebbe dovuto esserci (ormai la maggior parte), hai un punto forte. Nel ricorso, dedicalo come motivo preliminare: la giurisprudenza spesso esamina prima i vizi di procedimento e, se li accoglie, non entra nemmeno nel merito (facendoti vincere più agevolmente). Anche se c’è stata la convocazione, verifica come l’ufficio ha reagito alle tue difese: se non le ha considerate, eccepisci il difetto di motivazione. Inoltre, se l’ufficio ha saltato il contraddittorio invocando urgenza, controlla se l’ha motivata seriamente; in molti casi l’“urgenza” addotta è generica o inesistente: contesta allora la mancata dimostrazione dei presupposti della deroga. In sostanza, fai valere ogni scostamento dalle procedure corrette: sono argomenti spesso vincenti, perché al giudice appare più semplice e netto annullare l’atto per un vizio rispetto ad addentrarsi in complicati calcoli fiscali. Naturalmente, supporta l’eccezione spiegando anche cosa avresti potuto chiarire se fossi stato ascoltato: questo dà maggiore forza e credibilità alla tua doglianza, e può convincere il giudice che davvero l’omissione ti ha leso. Ad esempio: “L’atto è nullo perché notificato senza contraddittorio; si noti che, se interpellato, il ricorrente avrebbe potuto esibire documenti X e Y che avrebbero chiarito la legittimità delle operazioni contestate”. Così ottieni sia la ragione in rito, sia manifesti che la sostanza avrebbe potuto essere diversa (evitando che il giudice pensi a un mero cavillo). In definitiva, il consiglio è: contestare sempre l’omesso contraddittorio (quando c’è base), perché è un vizio che porta spesso all’annullamento integrale dell’atto, risolvendo la causa a monte.
Si conclude qui la sezione FAQ. Di seguito, trovi una lista delle fonti normative e giurisprudenziali principali citate o utili per approfondire l’argomento, sia nell’ordinamento italiano che in quello dell’Unione Europea.
Fonti normative e giurisprudenziali (Italia & UE)
Normativa italiana – Leggi e regolamenti:
- L. 27 luglio 2000, n.212 (Statuto dei diritti del contribuente) – artt. 10, co.1 (principio di collaborazione e buona fede), 12, co.7 (garanzia di 60 giorni post-verifica fiscale, abrogato dal 2023), 6-bis (introdotto da D.lgs.219/2023: obbligo di contraddittorio generalizzato, “a pena di annullabilità”), 7-bis (cause di annullabilità atti finanziari, include violazione partecipazione), 1, co.3-bis e 3-ter (estensione principi a regioni ed enti locali, divieto di garanzie inferiori).
- D.lgs. 30 dicembre 2023, n.219 – riforma attuativa delega fiscale: ha modificato la L.212/2000 introducendo l’art.6-bis e altre norme sul contraddittorio.
- Decreto MEF 24 aprile 2024 – Decreto Ministeriale in G.U. n.100/2024: individua gli atti esclusi dall’obbligo di contraddittorio ex art.6-bis, comma 2 Statuto (elenco di 14 tipologie: ruoli, cartelle, accertamenti parziali da incroci, intimazioni, atti liquidazione imposte minori, avvisi accise, ecc.).
- D.P.R. 29 settembre 1973, n.600 – art.36-bis (controllo automatizzato dichiarazioni), art.36-ter (controllo formale), art.41-bis (accertamento parziale su base di dati incrociati). (Rilevante perché molti atti esclusi dal DM derivano da queste disposizioni).
- D.l. 13 maggio 2011, n.70, art.7 comma 2 (conv. L.106/2011) – Estende le garanzie dello Statuto del contribuente (art.12) alle attività di controllo di enti previdenziali (INPS, INAIL). Ha imposto dunque il contraddittorio (60 gg) anche per verbali ispettivi contributivi. (Nota: norma ancora vigente, sebbene riferita a art.12 abrogato; interpretazione post-2023 incerta).
- L. 7 agosto 1990, n.241 (Legge procedimento amministrativo) – art.7 (comunicazione avvio procedimento), art.10 (memorie e documenti del privato), art.13 (esclusioni: fino al 2005 escludeva procedimenti tributari), art.21-octies (annullabilità atti viziati, co.2 prevede non annullabilità se il contenuto non poteva essere diverso, salvo procedimenti concorsuali o vincolati). (La L.241/90 in ambito tributario ha applicazione limitata, ma enuncia principi generali di partecipazione).
- L. 24 novembre 1981, n.689 – artt. 14 (contestazione e notificazione violazione; diritto a presentare scritti difensivi entro 30gg), 18 (ordinanza-ingiunzione: autorità decide tenuto conto degli scritti difensivi e dell’eventuale audizione). Fondamentale per il contraddittorio nei procedimenti sanzionatori amministrativi generali.
- Codice di procedura penale (1988) – art. confrontation analogies (non direttamente pertinente, ma il concetto di contraddittorio ricorda il diritto penale al contraddittorio dibattimentale; citato solo per analogia culturale).
Normativa UE e internazionale:
- Regolamento (UE) n.952/2013 (Codice Doganale dell’Unione) – art.22(6) e seguenti: diritto di essere sentiti prima delle decisioni doganali sfavorevoli, termine di 30 giorni; art.22(7): eccezioni al diritto di essere sentiti (sicurezza/urgenza).
- Regolamento di esecuzione (UE) 2015/2447 – art.8: modalità esercizio del diritto a essere sentiti (integra art.22 CDU).
- Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE – art.41: diritto a buona amministrazione (include diritto di ogni persona a essere ascoltata prima di provvedimenti individuali negativi); art.47: diritto a un ricorso effettivo e equo processo (ha rilievo per la fase giurisdizionale).
- CEDU (Convenzione Europea Diritti Uomo) – art.6 §1: diritto a equo processo; giurisprudenza CEDU (es. caso Grande Stevens c. Italia, 2014) che applica l’art.6 anche a procedimenti sanzionatori amministrativi di natura “penale”, richiedendo contraddittorio e pieno esame giurisdizionale.
Giurisprudenza italiana (selezione):
- Cass., Sez. Unite, 18.09.2014 (dep.2015) n.24823 – Principio di diritto: obbligo di contraddittorio endoprocedimentale per tributi armonizzati, con invalidità atto se contribuente indica le ragioni difensive che avrebbe fatto valere (prova resistenza); nessun obbligo generalizzato per tributi non armonizzati. Questa è la sentenza storica che ha distinto tra IVA (sì contraddittorio) e IRPEF etc. (no contr.).
- Cass., Sez. Unite, 29.07.2013 n.18184 – Riguardante art.12 c.7 Statuto: afferma nullità dell’avviso emesso ante 60gg (salvo urgenza motivata), con violazione in sé sufficiente a invalidare l’atto. Consolidò l’orientamento sul rispetto del termine post-verifica.
- Cass., Sez. V, 05.04.2013 n.8399 – Accertamenti doganali: esclude applicabilità art.12 Statuto alle rettifiche doganali, rilevando che vige termine speciale 30gg ex art.11 D.lgs.374/90 e disciplina autonoma UE; contraddittorio endoprocedimentale comunitario è su piano diverso e autonomo rispetto a quello nazionale. Sentenza chiave sul contraddittorio doganale.
- Cass., Sez. VI – 5, Ord. 19.06.2024 n.16873 – (Citata in rassegne: sembrerebbe ribadire obbligo di contraddittorio anche in accertamenti a tavolino IVA, conformemente al nuovo orientamento; possibile rimessione? Non abbiamo estratto, ma presumibilmente allinea alla riforma).
- Cass., Sez. V, 17.02.2025 n.2919 – Caso doganale: conferma approccio sostanzialistico sul contraddittorio ex art.22 CDU; afferma che se il procedimento è avviato su istanza del privato, il contraddittorio è in re ipsa (l’istanza stessa espone le ragioni) e la mancata attivazione non vizia l’atto di diniego.
- Corte Costituzionale, Sent. 21.03.2023 n.47 – Dichiara inammissibile questione su mancata generalizzazione contraddittorio (art.12 c.7) però osserva che limitare il contraddittorio a verifiche in loco è in controtendenza rispetto a evoluzione normativa e giurisprudenziale; auspica intervento legislativo per prevederlo in ogni tipo di controllo. Questa sentenza è importante per le argomentazioni: riconosce frammentazione modelli e chiama il legislatore. Ha di fatto anticipato la riforma.
- Corte Costituzionale, Sent. 23.11.2016 n. 254 – (Non citata sopra ma rilevante) – Dichiara infondata questione su art.12 c.7 Statuto sollevata con riferimento a tributi non armonizzati, in pratica avallando l’interpretazione SS.UU.2015 come costituzionalmente legittima. (Questa più tecnica, indica che fino al 2023 la Consulta lasciava status quo).
- Comm. Trib. Reg. Lombardia, Sent. 18/2020 (esempio di merito) – Annulla avviso perché l’Ufficio, pur avendo attivato il contraddittorio, non aveva atteso i 60gg (violazione termine dilatorio) e non aveva motivato l’urgenza. Giurisprudenza di merito è ampia in tal senso.
Giurisprudenza UE (Corte di Giustizia):
- CGUE, 18.12.2008, C-349/07, Sopropé – Riconosce il diritto del contribuente ad essere ascoltato prima di un provvedimento lesivo in materia di dazi; stabilisce che i soggetti interessati devono poter esprimere il proprio punto di vista e che occorre un termine congruo (nella fattispecie 30gg furono ritenuti ragionevoli, 8gg no).
- CGUE, 03.07.2014, cause riunite C-129/13 e C-130/13, Kamino International Logistics BV e Datema – Principio: la violazione del diritto al contraddittorio comporta annullamento dell’atto solo se il procedimento avrebbe potuto avere esito diverso in sua assenza. Introdotta chiaramente la “prova di resistenza” (punto 79-82 sentenza Kamino). Conferma comunque che il diritto di essere sentiti è generale e inviolabile in procedimenti doganali (materia delle cause).
- CGUE, 09.11.2017, C-298/16, Ispas – (IVA Romania) Riconosce che il contribuente, nel rispetto dei diritti di difesa, deve poter accedere al fascicolo amministrativo per conoscere gli elementi a suo carico durante il procedimento; negare accesso può violare i diritti di difesa e il principio di effettività.
- CGUE, 20.12.2017, C-276/16, Prequ’ Italia – (Accise) Ribadisce diritto al contraddittorio e tocca tema accesso atti; afferma che, anche in mancanza di disciplina interna, le autorità devono applicare i principi generali UE (caso italiano su mancato contraddittorio in rettifica accise, la Corte ricorda primato diritto UE).
- CGUE, 16.10.2019, C-189/18, Glencore – (non citata ma rilevante) – In materia di dazi, ha stabilito che il mancato rispetto del diritto di essere sentiti comporta annullamento atto solo se l’operatore dimostra che, se fosse stato sentito, avrebbe potuto influenzare il procedimento (rafforza Kamino).
- CGUE, 14.02.2019, C-54/18, LS Customs Services – Principio in dogana: l’amministrazione doganale, in caso di violazione contraddittorio, può correggere in sede di ricorso amministrativo (ma non in giudizio); comunque conferma obbligo di contraddittorio.
(Le pronunce CGUE in materia contraddittorio sono numerose; quelle citate sono le principali come riferimento generale).
Giurisprudenza CEDU:
- Corte EDU, Grande Stevens e altri c. Italia, 04.03.2014 – Caso riguardante sanzioni Consob (market abuse): ha stabilito che tali sanzioni avevano natura “penale” ai fini CEDU e che il procedimento sanzionatorio amministrativo italiano, privo di contraddittorio orale e innanzi a autorità non indipendente, violava l’art.6 §1 CEDU perché il successivo controllo giurisdizionale non era di piena giurisdizione. Sentenza storica che ha portato a riforme in Italia (depenalizzazione parziale, potenziamento contraddittorio e ricorsi).
- Corte EDU, Jussila c. Finlandia, 2006 – (Non citata ma di sfondo) – ha ammesso che in materie “penali” minori (es sanzioni fiscali) l’oralità e contraddittorio pieno possono essere attenuati, purché vi sia equo processo nel complesso. È la base su cui poi in Grande Stevens la Corte EDU ha tarato le garanzie richieste: se manca contraddittorio amministrativo, deve esserci full review giudice; se nemmeno quello, allora c’è violazione.
Altri riferimenti utili:
- Prassi amministrativa: Circolare Agenzia Entrate n.19/2015 (post SS.UU.2015) – ribadiva obbligo contraddittorio solo per IVA in virtù principi UE;
Circolare Agenzia Dogane n.2/D 2024 – ha chiarito che il termine di 30gg resta invariato in dogana nonostante art.6-bis (spiegato in [41]). - Dottrina: si segnalano articoli su riviste giuridiche tributarie (es. Rass. Trib., Dir. e Prat. Trib.) sul tema “contraddittorio endoprocedimentale” negli anni 2013-2023; il contributo di Cesare Glendi (diritto difesa nel proc. tributario) e altri autori che hanno sostenuto l’immanenza del principio prima della riforma.
- Relazione illustrativa D.lgs.219/2023: chiarisce ratio nuove norme: uniformare e rendere effettiva tutela contraddittorio, menziona art.7-bis come strumento sanzionatorio interno (annullabilità atti se viola partecipazione).
Accertamento Illegittimo Senza Contraddittorio: Perché Affidarti a Studio Monardo
Hai ricevuto un avviso di accertamento dall’Agenzia delle Entrate senza che ti fosse stata data la possibilità di difenderti prima?
Hai subito un accertamento fiscale senza alcun confronto con l’Amministrazione?
⚠️ In molti casi, l’accertamento è nullo se manca il contraddittorio preventivo.
Questo principio è stato ribadito da varie sentenze, che tutelano il contribuente dal rischio di subire atti impositivi unilaterali e sproporzionati.
Ma attenzione: non tutti gli accertamenti richiedono il contraddittorio. Occorre valutare se l’attività dell’Agenzia rientri tra quelle per cui il confronto è obbligatorio, come accade per esempio con studi di settore, accertamenti sintetici o automatici.
Cosa può fare per te l’Avvocato Giuseppe Monardo
✅ Verifica se l’accertamento ricevuto è viziato per mancanza del contraddittorio obbligatorio
✅ Analizza tempi, atti e modalità della procedura subita dal contribuente
✅ Redige ricorso contro l’accertamento illegittimo, chiedendone l’annullamento
✅ Ti assiste in giudizio davanti alla Commissione Tributaria, tutelando i tuoi diritti
✅ Blocca eventuali atti conseguenti: cartelle esattoriali, fermi amministrativi, pignoramenti
Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo
🔹 Avvocato tributarista con esperienza in contenzioso fiscale e annullamento di atti illegittimi
🔹 Gestore della Crisi da Sovraindebitamento – Ministero della Giustizia
🔹 Negoziatore della Crisi d’Impresa – abilitato ex D.L. 118/2021
Perché agire subito
⏳ Hai soli 60 giorni di tempo per impugnare l’accertamento dal momento della notifica
🚫 Se non presenti ricorso, l’atto diventa definitivo e si passa alla riscossione coattiva
📉 Rischi immediati: cartelle, fermi auto, ipoteche, pignoramenti su conto corrente
🔐 Solo un’azione legale ben impostata e motivata può bloccare tutto
Conclusione
Un accertamento senza contraddittorio può essere annullato, ma serve una difesa tempestiva.
Con l’Avvocato Giuseppe Monardo puoi far valere i tuoi diritti, chiedere l’annullamento dell’atto e fermare le conseguenze fiscali illegittime prima che sia troppo tardi.
📞 Richiedi ora una consulenza riservata: se l’Agenzia delle Entrate ha sbagliato, hai tutto il diritto di reagire.