Quali Debiti Aziendali Posso Cancellare Con Il Codice Della Crisi?

Hai un’impresa sommersa dai debiti e ti stai chiedendo quali puoi cancellare legalmente sfruttando le procedure previste dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza? Vuoi sapere quali sono i limiti, le condizioni e le vere possibilità di azzerare le pendenze fiscali, bancarie e commerciali?

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in crisi aziendale, sovraindebitamento e cancellazione dei debiti – ti spiega in modo chiaro e pratico quali debiti possono essere ridotti, dilazionati o annullati attraverso le procedure di composizione negoziata, concordato preventivo, concordato minore o liquidazione controllata.

Scopri quando è possibile cancellare debiti verso il Fisco, INPS, banche, fornitori o dipendenti, quali strumenti ti consentono di ottenere lo stralcio di sanzioni, interessi o quote di capitale, in quali casi puoi ottenere l’esdebitazione anche se non paghi tutto, e come proteggere i soci e l’amministratore da responsabilità personali.

Alla fine della guida troverai tutti i contatti per richiedere una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo, analizzare la situazione finanziaria della tua azienda e costruire una strategia legale personalizzata per cancellare i debiti ammessi dal Codice della Crisi e salvare concretamente la tua attività.

Introduzione:

Il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019) ha rivoluzionato la gestione delle situazioni di insolvenza e pre-insolvenza in Italia, sostituendo la vecchia Legge Fallimentare. Entrato pienamente in vigore (dopo vari rinvii e correttivi) tra il 2020 e il 2022, questo Codice introduce nuovi strumenti per prevenire e affrontare la crisi aziendale e prevede procedure sia negoziali che giudiziali per risanare l’impresa o liquidarne il patrimonio. Uno degli aspetti centrali è la possibilità di ristrutturare o cancellare (in tutto o in parte) i debiti dell’impresa attraverso tali procedure, bilanciando la tutela dei creditori con l’esigenza di dare all’imprenditore una “seconda chance”. In questa guida avanzata – pensata per avvocati e imprenditori al maggio 2025 – analizzeremo quali debiti aziendali possono essere falcidiati o cancellati utilizzando gli strumenti offerti dal Codice della Crisi e dell’Insolvenza (CCII). Ci rivolgeremo a tutte le tipologie di impresa (dalla s.r.l. alla ditta individuale) e passeremo in rassegna tutte le procedure previste dal Codice, incluse quelle “minori” introdotte più di recente. Verranno esaminati nel dettaglio i trattamenti dei vari debiti in ciascuna procedura – distinguendo per natura del debito (fiscale, previdenziale, bancario, commerciale, ambientale, ecc.) – e segnalando quali debiti non sono in alcun caso liberabili. Non mancheranno approfondimenti sui debiti verso gli enti pubblici principali (Erario – Agenzia Entrate, INPS, INAIL, Comuni), sul tema cruciale delle responsabilità degli amministratori, nonché esempi pratici, casi di studio, tabelle riepilogative e un’utile sezione di domande frequenti (FAQ). Tutte le affermazioni saranno corredate da riferimenti normativi aggiornati (leggi, decreti, circolari) e richiami alla giurisprudenza più rilevante fino a maggio 2025, riportati tra parentesi in formato citazione.

Ambito di Applicazione del Codice e Tipologie d’Impresa Coinvolte

Il Codice della Crisi si applica all’insolvenza e alla crisi di tutte le imprese, seppur con adattamenti a seconda della forma giuridica e delle dimensioni. In via generale:

  • Imprese soggette a liquidazione giudiziale (il nuovo termine per il fallimento): sono gli imprenditori commerciali non piccoli, cioè in sostanza società di capitali (S.r.l., S.p.A., S.a.p.a.), società di persone commerciali (S.n.c., S.a.s.) e imprese individuali sopra determinate soglie di attivo/debiti. Per queste imprese “maggiori” il Codice prevede le tradizionali procedure concorsuali (concordato preventivo, accordi di ristrutturazione, liquidazione giudiziale, ecc.) analoghe a quelle della vecchia legge fallimentare.
  • Imprese minori e altri debitori non fallibili: il Codice disciplina anche la crisi dei soggetti prima regolati dalla legge sul sovraindebitamento (L. 3/2012). Rientrano qui le piccole imprese commerciali sotto soglia, gli imprenditori agricoli, i professionisti e lavoratori autonomi, le start-up innovative e in generale gli imprenditori individuali “sotto soglia”, nonché i garanti personali e i consumatori (sebbene per il “consumatore puro” vi sia una procedura ad hoc). Per costoro il Codice ha introdotto procedure dedicate (il concordato minore, la ristrutturazione dei debiti del consumatore e la liquidazione controllata), che vedremo in dettaglio più avanti.
  • Società di persone con soci a responsabilità illimitata (S.n.c., S.a.s.): una particolarità di queste forme è che i soci illimitatamente responsabili restano personalmente obbligati per i debiti sociali. L’apertura di una procedura concorsuale sulla società può estendersi ai soci: ad esempio, in caso di liquidazione giudiziale di una S.n.c., il tribunale dichiara insolventi anche i soci illimitatamente responsabili, coinvolgendo quindi il loro patrimonio personale (come avveniva nel vecchio art. 147 L.F.). Se invece la società in nome collettivo accede a un concordato preventivo o minore, tale procedura vincola solo la società: i creditori sociali, per la parte di credito non soddisfatta dal concordato, potranno rivalersi sui soci (salvo che anche i soci ottengano a loro volta esdebitazione personale). In sintesi, nelle società di persone i debiti “cancellati” nella procedura della società possono comunque essere richiesti ai soci illimitatamente responsabili al di fuori di essa, a meno che questi ultimi non beneficino di una procedura concorsuale personale.
  • Soci di S.r.l. o S.p.A.: al contrario, godono della limitazione di responsabilità: i debiti aziendali rimangono in capo alla società. Se la società viene liquidata giudizialmente e poi cancellata, i crediti insoddisfatti restano inesigibili (non esiste più il debitore su cui agire), e i soci non ne rispondono (eccetto casi particolari di abusi, sottocapitalizzazione o garanzie personali prestate). Dunque nelle società di capitali la procedura concorsuale può cancellare definitivamente i debiti sociali, fermo restando che i creditori potranno rivalersi su eventuali fideiussori o coobbligati esterni (ad es. un socio o amministratore che avesse garantito un debito sociale con patrimonio personale rimane obbligato per la parte di debito non pagata in procedura).

Riassumendo, il Codice della Crisi estende la possibilità di trattare e cancellare debiti aziendali praticamente a tutte le imprese, grandi e piccole, adattando lo strumento alla natura del debitore. Un artigiano individuale o un professionista in crisi, che prima non poteva fallire ma solo accedere alle procedure di sovraindebitamento, oggi può utilizzare il concordato minore o la liquidazione controllata per gestire i propri debiti. Al contempo, il Codice mantiene distinte le situazioni dei soci in base alla responsabilità limitata o illimitata, come appena visto.

Le Procedure del Codice della Crisi: Panorama Generale

Il CCII prevede un ventaglio di procedure per affrontare la crisi d’impresa, spaziando da strumenti negoziali stragiudiziali fino a procedure concorsuali giudiziarie vere e proprie. Ecco un elenco delle principali procedure (incluse quelle “minori” introdotte di recente) e il loro inquadramento di massima:

  • Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII): è uno strumento stragiudiziale puro. L’imprenditore elabora un piano di risanamento aziendale (es. ristrutturazione dei debiti e rilancio dell’attività) che un professionista indipendente attesta essere fattibile e idoneo a risanare l’esposizione. Il piano può prevedere accordi con alcuni creditori (anche riduzioni del debito) ma non vincola forzatamente tutti i creditori. Il vantaggio principale è l’esenzione da revocatoria fallimentare per gli atti compiuti in esecuzione del piano attestato (pagamenti, concessione di garanzie, ecc.), purché il piano sia pubblicato al Registro delle Imprese. Debiti cancellabili? – Solo quelli per cui si ottiene volontariamente una rinuncia o transazione da parte del creditore: il piano attestato di per sé non impone falcidie ai creditori dissenzienti. È quindi utile se vi è consenso informale di gran parte dei creditori o per guadagnare tempo evitando azioni revocatorie, ma non permette di “forzare” la cancellazione dei debiti senza accordo.
  • Accordo di ristrutturazione dei debiti (Artt. 57, 60-64 CCII): è una procedura para-concorsuale negoziale, basata su un accordo tra l’imprenditore e una quota qualificata di creditori. L’accordo viene omologato dal tribunale (dopo verifica di legalità e fattibilità) e diviene vincolante secondo i termini pattuiti. Richiede l’adesione di almeno il 60% dei crediti (salvo varianti agevolate). I creditori non aderenti non sono formalmente obbligati, ma beneficiano della moratoria delle azioni esecutive una volta omologato e, se il piano li soddisfa integralmente o nei termini di legge, nei fatti subiscono il medesimo trattamento. Il Codice ha introdotto varianti: ad esempio l’accordo agevolato col 30% dei crediti (art. 61 CCII, possibile in alcuni casi) e l’accordo ad efficacia estesa (art. 64 CCII) che permette di estendere gli effetti anche a creditori dissenzienti appartenenti a determinate categorie (in particolare banche o finanziatori) se ricorrono certe condizioni. Debiti cancellabili? – Sì, in misura concordata: l’accordo è un contratto tra debitore e creditori aderenti, quindi può prevedere stralci (rinunce parziali) di crediti, dilazioni, ecc. I debiti dei creditori firmatari vengono definitivamente regolati come da accordo omologato (la parte falcidiata è cancellata). Per i non aderenti l’accordo non impone tagli obbligatori, ma spesso l’impresa li paga per intero fuori accordo o li include comunque su base volontaria. Nota: grazie all’art. 63 CCII (transazione fiscale), anche i debiti tributari e previdenziali possono essere inclusi e falcidiati in un accordo di ristrutturazione, con il placet dell’Erario/INPS. Approfondiremo a breve questa importante possibilità.
  • Piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (c.d. “PRO”) (artt. 64-bis – 64-octies CCII): introdotto con il correttivo D.Lgs. 83/2022 in attuazione della Direttiva UE 2019/1023, è un nuovo strumento concorsuale in cui l’imprenditore propone un piano di ristrutturazione ai creditori, sottoponendolo direttamente all’omologazione del tribunale anche senza il voto dei creditori, purché siano rispettate certe maggioranze eque di adesione per categorie. In sostanza, il “PRO” consente di ottenere dal giudice l’imposizione del piano ai creditori dissenzienti (cram-down) a determinate condizioni. È un ibrido tra l’accordo e il concordato: non c’è una votazione formale in adunanza come nel concordato preventivo, ma i creditori possono essere suddivisi in classi e alcune classi “favorevoli” possono rendere il piano omologabile coattivamente. Debiti cancellabili? – Sì, il piano può prevedere riduzioni di debito (anche non accettate all’unanimità) analogamente a un concordato, purché il tribunale verifichi che nessun creditore dissenziente riceva meno di quanto otterrebbe in una liquidazione giudiziale e che il piano sia equo. Ad esempio, si può imporre una riduzione del 30% sui chirografari con omologazione giudiziale anche se qualche creditore non è d’accordo, a patto di rispettare i requisiti di legge. Il PRO amplia quindi le possibilità di cram-down (abbattimento dei debiti unilateralmente) rispetto al semplice accordo negoziato.
  • Composizione negoziata della crisi (D.L. 118/2021 conv. in L. 147/2021, ora art. 23 e ss. CCII): è una procedura volontaria e riservata di allerta e negoziazione assistita, introdotta nel 2021 al posto delle originarie procedure di allerta poi abrogate. L’imprenditore in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario (anche non ancora insolvente) può chiedere la nomina di un esperto indipendente che lo assista nel tentativo di raggiungere un accordo con i creditori. Durante la composizione negoziata l’impresa può ottenere misure protettive dal tribunale (sospensione di azioni esecutive) e autorizzazioni a finanziamenti prededucibili urgenti. L’obiettivo è concordare soluzioni di risanamento fuori dalle aule giudiziarie: ad esempio accordi stragiudiziali sui debiti, convenzioni di moratoria, richieste di transazione fiscale, vendita di rami d’azienda, ecc. Debiti cancellabili? – La composizione negoziata in sé non impone riduzioni di debito, ma facilita intese volontarie. Se i creditori accettano spontaneamente uno stralcio (es. i fornitori accettano il 50% a saldo e stralcio), quel debito si considera cancellato secondo i termini pattuiti. Inoltre, grazie all’ultimo correttivo (D.Lgs. 136/2024), la transazione fiscale è ora accessibile anche nell’ambito della composizione negoziata: significa che l’imprenditore in composizione può proporre ad Agenzia Entrate e INPS un accordo di riduzione e dilazione dei debiti fiscali/previdenziali, anche senza aver avviato un formale concordato preventivo (il nuovo art. 23 comma 2-bis CCII lo consente dal 2024). In caso di successo, la composizione negoziata si chiuderà con un accordo (privato o omologato come accordo di ristrutturazione) che definisce i debiti; se invece fallisce, l’imprenditore può accedere ad altre procedure concorsuali, in particolare al concordato semplificato (vedi oltre).
  • Concordato preventivo (artt. 84-120 CCII): è la procedura concorsuale “classica” per evitare la liquidazione giudiziale, risalente all’ordinamento previgente ma rivista dal Codice. Il debitore in stato di crisi o insolvenza propone ai creditori un piano che può essere di due tipi:
    • Concordato in continuità aziendale: prevede la prosecuzione dell’attività d’impresa (direttamente dal debitore o tramite cessione/affitto a terzi) e il pagamento dei creditori con i flussi generati nel tempo dalla continuità. Mira al risanamento o alla cessione dell’azienda come going concern. In questo caso la legge consente maggior flessibilità nel trattamento di alcuni crediti privilegiati (possono essere pagati in forma dilazionata entro certi limiti, ad esempio) per favorire il rilancio.
    • Concordato liquidatorio: prevede la cessione o liquidazione di tutti i beni del debitore e la distribuzione del ricavato ai creditori. È simile a un fallimento pilotato, ma con la differenza che è il debitore a proporre come ripartire attivo e passivo e l’iniziativa rimane in mano sua (sotto controllo del tribunale).
    Nel concordato preventivo ordinario, i creditori hanno diritto di voto sul piano: vengono suddivisi in classi omogenee e l’approvazione richiede il voto favorevole di oltre la metà dei crediti di ciascuna classe (o dei crediti ammessi al voto, se non in classi). Se si raggiungono le maggioranze e il tribunale riscontra la regolarità, si passa all’omologazione e quindi all’esecuzione del piano sotto vigilanza di un commissario/liquidatore giudiziale nominato. Debiti cancellabili? – Sì, il concordato consente di falcidiare (ridurre) i crediti chirografari e anche alcuni crediti privilegiati, nei limiti consentiti dalla legge. In generale:
    • I crediti chirografari (non garantiti) possono essere pagati parzialmente, anche in quota molto ridotta (salvo un minimo 20% nei concordati liquidatori, come da art. 84 co.6 CCII). La parte non pagata è definitivamente cancellata per effetto dell’omologazione: dopo l’esecuzione del concordato, il debitore è liberato dal debito residuo verso quei creditori.
    • I crediti privilegiati (garantiti da pegno, ipoteca o privilegio generale) di regola devono essere soddisfatti integralmente per mantenere il diritto di prelazione, oppure il piano deve prevedere che, se non vengono pagati al 100%, essi vengano declassati a chirografari per la parte non coperta dal valore della garanzia. In pratica, un credito ipotecario da €100k con un immobile che vale €60k può essere trattato nel concordato come: €60k privilegiato (pagato integralmente con la vendita dell’immobile) + €40k chirografo (che può essere pagato in percentuale, es. 20%). Anche i privilegiati possono accettare volontariamente una falcidia maggiore rinunciando alla prelazione, ma questa è una loro scelta negoziale.
    • Debiti fiscali e contributivi nel concordato: sono privilegiati per legge (IVA, ritenute, contributi hanno privilegio generale sui beni). La loro falcidia è possibile solo attraverso la procedura di transazione fiscale/previdenziale disciplinata dagli artt. 63 e 88 CCII. Il debitore deve quindi proporre nel piano il pagamento parziale/dilazionato di tali crediti con il placet dell’Erario e degli enti (vedremo nel dettaglio più avanti quali parti di imposte si possono scontare). Importante: il Codice prevede all’art. 48 comma 5 CCII che il tribunale possa omologare il concordato anche senza il voto favorevole del Fisco o dell’INPS, se ritiene che il trattamento proposto a tali crediti non sia inferiore a quello che otterrebbero in una liquidazione giudiziale. In altre parole, Agenzia Entrate o INPS non hanno un potere di veto assoluto: se il piano offre loro almeno l’equivalente del ricavato in caso di fallimento, il giudice può “forzare” l’omologazione (cram-down fiscale) nonostante il loro dissenso. Questo meccanismo, introdotto dal 2020 e confermato dai correttivi (incluso l’ultimo D.Lgs. 136/2024), è fondamentale per consentire la cancellazione di parte dei debiti tributari anche in mancanza di accordo formale, purché in misura equa.
    In sintesi, il concordato preventivo rappresenta il principale strumento per ristrutturare l’indebitamento a livello generale, consentendo di scaricare una parte del peso dei debiti sull’accordo concorsuale. Se il piano viene adempiuto, i creditori non potranno mai più pretendere la parte di credito falcidiata (è giuridicamente estinta dall’omologa).
  • Concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio (art. 25-sexies CCII): si tratta di una nuova procedura concorsuale introdotta nel 2021 (D.L. 118/2021) per i casi in cui la composizione negoziata non abbia prodotto una soluzione. È riservato quindi all’imprenditore che ha tentato senza successo la composizione negoziata della crisi. Il concordato semplificato è detto tale perché non prevede voto dei creditori: il debitore presenta una proposta di concordato liquidatorio direttamente al tribunale, che decide se omologarla dopo aver sentito eventualmente i creditori (i quali possono solo fare opposizione). È dunque una procedura molto più snella e rapida rispetto al concordato preventivo ordinario. Tuttavia ha un ambito limitato: può essere richiesto solo per liquidare i beni dell’impresa e soddisfare i creditori con il ricavato, non per continuare l’attività. In pratica l’imprenditore mette a disposizione tutti i propri cespiti (beni, crediti, anche l’azienda intera se c’è un acquirente) e chiede al tribunale di approvare questo piano di realizzo e riparto senza passare dalle votazioni. Se omologato, il tribunale nomina un liquidatore che vende i beni e ripartisce il denaro come previsto. Debiti cancellabili? – Sì, analogamente a un concordato liquidatorio: i creditori riceveranno probabilmente solo pagamenti parziali e, una volta chiusa la procedura, non potranno più esigere la parte restante. Il decreto di chiusura del concordato semplificato, a esecuzione completata, estingue gli obblighi concorsuali eccedenti: di fatto il debitore ottiene l’esdebitazione concordataria. Ciò significa che i crediti chirografari insoddisfatti vengono falcidiati in via definitiva, mentre i creditori privilegiati sono soddisfatti nei limiti delle garanzie. Se il debitore era una società, questa viene cancellata dal Registro Imprese; se era una persona fisica (imprenditore individuale), i debiti residui diventano inesigibili verso di lui. Resta ferma la possibilità per i creditori di escutere eventuali garanti personali esterni per la parte di debito non pagata in concordato. Ad esempio, se una banca aveva la fideiussione di un familiare dell’imprenditore, potrà rivalersi su di lui per il dovuto non incassato nella procedura. In assenza di garanti, invece, la procedura semplificata chiude la partita debitoria definitivamente.
  • Concordato minore (artt. 74-83 CCII): è la versione “minore” del concordato preventivo, destinata ai debitori sotto-soglia (piccoli imprenditori commerciali, professionisti, imprenditori agricoli, start-up innovative, ecc.) che non potrebbero accedere al concordato preventivo ordinario. Ne sono esclusi i consumatori non imprenditori (che hanno la loro procedura dedicata). Il concordato minore è uno strumento per risolvere il sovraindebitamento dell’imprenditore minore attraverso una proposta di ristrutturazione rivolta a tutti i creditori. Il funzionamento è analogo al concordato preventivo: il debitore può proporre pagamento parziale dei debiti, con eventuale continuazione dell’attività o liquidazione dei beni, e i creditori votano la proposta (serve il voto favorevole della maggioranza dei crediti ammessi al voto). Se il tribunale omologa, il piano diviene vincolante per tutti i creditori anteriori. Debiti cancellabili? – Sì, il concordato minore permette di ridurre i debiti chirografari e, con i dovuti limiti, anche quelli privilegiati, esattamente come nel concordato preventivo (applicando in quanto compatibili gli artt. 84 e ss. CCII). Ad esempio, un professionista sovraindebitato potrà offrire ai creditori chirografari il 30% in 5 anni, ottenendo l’esdebitazione del restante 70% a fine piano. Anche qui è possibile includere una transazione fiscale per i debiti verso Erario/INPS. La differenza è che la procedura è semplificata nei requisiti formali (ad es. non vi è il requisito di insolvenza conclamata ma basta lo stato di sovraindebitamento, definito come incapacità prospettica di pagare regolarmente le obbligazioni). Attenzione però: il concordato minore richiede la meritevolezza del debitore e la fattibilità del piano, sotto controllo dell’Organismo di Composizione della Crisi (OCC) nominato. Se il piano è inammissibile o non viene omologato, si aprirà la liquidazione controllata.
  • Ristrutturazione dei debiti del consumatore (artt. 67-73 CCII): è la procedura riservata al consumatore persona fisica sovraindebitato (cioè non imprenditore, o imprenditore che ha contratto la maggior parte dei debiti come privato). Funziona similmente al concordato minore, ma senza votazione dei creditori: il giudice omologa il piano di ristrutturazione del consumatore dopo aver valutato che non sia gravemente squilibrato a danno dei creditori (che possono fare opposizione). Debiti cancellabili? – Sì, anche qui si possono prevedere pagamenti parziali e stralcio del residuo, ma con criteri di meritevolezza stringenti: il consumatore deve agire in buona fede e offrire ai creditori tutto il ragionevolmente ottenibile. Alcuni debiti, però, non sono falcidiabili neanche in queste procedure (es. debiti alimentari, risarcimenti per danni da fatto illecito e sanzioni penali non accessorie – vedi sezione su debiti non cancellabili).
  • Liquidazione giudiziale (artt. 121-270 CCII): è la procedura per eccellenza di liquidazione giudiziaria dell’impresa insolvente, sostitutiva del “fallimento”. Viene aperta dal tribunale in caso di insolvenza conclamata su ricorso del debitore o di un creditore. Un curatore nominato dal giudice prende in mano l’azienda, ne cessa o prosegue provvisoriamente l’attività secondo convenienza, e liquida tutto l’attivo (beni mobili, immobili, crediti) per distribuire il ricavato ai creditori secondo l’ordine delle cause di prelazione. La liquidazione giudiziale conclude il ciclo di vita dell’impresa: una società viene poi cancellata, un imprenditore individuale cessa l’attività. Debiti cancellabili?Di per sé la liquidazione non “cancella” i debiti: semplicemente li soddisfa in base all’attivo disponibile. Tuttavia, se – come spesso accade – il ricavato è insufficiente a pagare l’intero passivo, i crediti rimasti insoddisfatti sono in pratica irrecuperabili. Per le società ciò coincide con l’estinzione dei debiti, perché la società dissolta non esiste più (i creditori insoddisfatti non hanno più un soggetto giuridico da perseguire). Per l’imprenditore persona fisica, il Codice prevede l’istituto dell’esdebitazione: al termine della liquidazione giudiziale, il debitore persona fisica può ottenere dal tribunale la cancellazione di tutti i debiti residui non pagati, a condizione di aver collaborato lealmente e non aver commesso irregolarità gravi. Nel nuovo Codice l’esdebitazione per le persone fisiche è più ampia e quasi automatica: opera di diritto dopo 3 anni dalla chiusura, senza bisogno di istanza (art. 282 CCII), salvo che il debitore sia stato indegno (condannato per bancarotta fraudolenta, o abbia aggravato dolosamente il dissesto, ecc. – vedi art. 280 CCII e requisiti più avanti). Dunque, dopo la liquidazione giudiziale, l’imprenditore onesto può ripartire da zero senza l’onere dei vecchi debiti. I debiti sociali di società di capitali, come detto, restano insoddisfatti e inesigibili verso chiunque; i debiti di società di persone possono invece ancora essere richiesti ai soci illimitatamente responsabili (che infatti di norma sono dichiarati falliti anch’essi durante la procedura).
  • Liquidazione controllata del sovraindebitato (artt. 268-277 CCII): è la versione “per piccoli” della liquidazione giudiziale, rivolta ai debitori non fallibili (imprese minori, privati, consumatori). Si attiva su ricorso del debitore sovraindebitato o di un creditore, o automaticamente in caso di esito negativo di un concordato minore/ristrutturazione consumatore. La gestione è analoga: un liquidatore vende i beni e ripartisce il ricavato. Debiti cancellabili? – Anche qui vale l’esdebitazione: il debitore persona fisica ottiene la liberazione dai debiti residui a fine procedura (salvo casi di dolo/malafede). Inoltre esiste un istituto speciale per il debitore incapiente (art. 283 CCII): chi non ha alcun patrimonio né reddito per soddisfare i creditori può chiedere al tribunale l’esdebitazione “a zero”, cioè la cancellazione dei debiti anche senza liquidazione, purché meritevole e almeno una volta sola nella vita. Si tratta di una misura di carattere sociale per i casi più disperati, che tuttavia prevede una vigilanza per 4 anni in cui se sopravvengono utilità rilevanti vanno usate per pagare i creditori in parte.

Questo quadro generale evidenzia come il Codice offra numerose opzioni. Nei paragrafi successivi analizzeremo specificamente quali debiti possono essere effettivamente cancellati o ridotti in ciascuna procedura, con particolare riguardo alle varie categorie di crediti (erariali, bancari, ecc.). È importante tenere a mente che ogni procedura ha regole proprie sul trattamento dei crediti, e che esistono limitazioni legali per alcune tipologie di debito che non consentono la falcidia (se non in casi eccezionali). Vediamole.

Debiti Cancellabili e Non Cancellabili: Principi Generali del Trattamento dei Crediti

La possibilità di “cancellare” un debito nell’ambito di una procedura di crisi dipende essenzialmente da due fattori: (1) la natura giuridica del credito (garantito, privilegiato, chirografario, ecc.) e (2) il tipo di procedura e di accordo cui si ricorre. Prima di entrare nel dettaglio per singola categoria di debito, chiariremo alcuni principi generali comuni a tutte le procedure concorsuali:

  • Parità dei creditori e cause legittime di prelazione: Il sistema concorsuale si basa sul principio della par condicio creditorum, ossia il trattamento paritario dei creditori chirografari. Le eccezioni a questa parità sono date dalle cause legittime di prelazione – privilegio, pegno, ipoteca – che attribuiscono ad alcuni creditori un diritto di essere soddisfatti con precedenza su determinati beni o in via generale. Ciò significa che un credito garantito o privilegiato non può essere arbitrariamente ignorato o ridotto in pregiudizio della prelazione, se non nei limiti ammessi dalla legge e dalla capienza dei beni su cui insiste. Ad esempio, un creditore ipotecario ha diritto di ricevere fino al valore dell’immobile ipotecato; se l’immobile vale meno del credito, la parte eccedente diventa chirografaria (perdita della prelazione su quella quota).
  • Crediti prededucibili: Prima ancora dei privilegiati, nella graduatoria di pagamento vengono i crediti prededucibili, ossia quelli sorti in funzione o durante la procedura (es. compensi di professionisti della procedura, finanziamenti autorizzati dal giudice, spese di giustizia). Essi devono essere pagati integralmente con precedenza su ogni altro debito (art. 6 CCII). Non sono “cancellabili” poiché la procedura stessa non può chiudersi senza averli soddisfatti al 100%. Pertanto, quando parliamo di riduzione dei debiti ci riferiamo ai debiti concorsuali anteriori all’apertura della procedura, non ai costi generati dalla procedura stessa.
  • Falcidia dei crediti chirografari: I crediti chirografari (non garantiti) sono in genere quelli che possono subire le maggiori riduzioni nelle procedure concorsuali. In mancanza di attivo sufficiente, essi vengono pagati pro-quota e la parte residua rimane impagata. Nelle procedure concordatarie (concordato preventivo, minore, ecc.), il debitore può proporre di soddisfare i chirografari solo parzialmente (es. 30% di ogni credito) in modo definitivo, cioè estinguendo il debito per la quota restante. Questo “taglio” si chiama falcidia. La legge pone qualche limite: ad esempio, nel concordato preventivo liquidatorio puro è richiesto di garantire almeno il 20% ai chirografari (art. 84 co.6 CCII) per evitare proposte troppo squilibrate. Nei concordati in continuità o nei concordati minori tale soglia non si applica, quindi teoricamente si potrebbe offrire anche meno (purché la proposta sia comunque migliorativa rispetto alla liquidazione e i creditori votino favorevolmente). In concreto, percentuali di soddisfo dei chirografari sotto il 10-15% sono difficilmente omologabili, a meno che la situazione patrimoniale non consenta oggettivamente di più.
  • Trattamento dei crediti privilegiati: I crediti muniti di prelazione godono di protezione: non possono essere intaccati dalla procedura se non entro i limiti della loro capienza. Capienza significa che il valore del bene su cui c’è la garanzia copre per intero il credito. Se c’è capienza, il creditore privilegiato deve essere soddisfatto integralmente (o come minimo ricevere beni/valori equivalenti). Se invece il valore del bene è inferiore al credito, la legge considera il credito parzialmente chirografario per la parte incapiente. Ad esempio, un mutuo ipotecario residuo di €200.000 su un immobile che ne vale €150.000 produce un credito privilegiato capiente fino a €150.000 (protetto dall’ipoteca) e un credito chirografario per i €50.000 eccedenti. Nelle procedure concorsuali si applica proprio questo concetto di degradazione del privilegio: il creditore ipotecario parteciperà come tale fino a €150k (ricevendo ciò che il bene frutta in vendita) e per il resto (€50k) concorrerà con gli altri creditori chirografari, subendo la medesima falcidia di questi. Solo se il creditore privilegiato acconsente espressamente può ricevere meno di quanto coperto dalla garanzia (rinunciando in parte al privilegio). Ciò avviene talvolta in accordi negoziali: ad esempio una banca ipotecaria può concordare di ridurre il proprio credito garantito per agevolare un concordato in continuità, ma è una scelta volontaria di quel creditore. In assenza di consenso, la regola è: intangibilità del privilegio fino a concorrenza dei beni su cui insiste.
  • Debiti non falcidiabili per legge: Alcune tipologie di crediti per loro natura non possono essere ridotti né dilazionati coattivamente attraverso concordati o accordi, se non in presenza di leggi speciali. I più importanti sono:
    • Le ritenute fiscali operate e non versate (es. le ritenute IRPEF sui dipendenti trattenute in busta paga ma non versate dal datore): la legge le considera debiti di natura pubblica indisponibile. Nel regime attuale, non è ammesso stralciare le ritenute non versate: vanno pagate integralmente in prededuzione o come crediti privilegiati nel concordato. Il CCII conferma che tali crediti non possono subire falcidia (sono esclusi dalla transazione fiscale).
    • Gli obblighi di mantenimento e alimentari: se l’imprenditore ha debiti per assegni di mantenimento (verso coniuge, figli) o simili obblighi personali, tali debiti non possono essere cancellati da nessuna procedura (art. 282 co.3 CCII). Allo stesso modo i debiti per risarcimenti di danni da fatti illeciti extracontrattuali (es. danni da reato) non sono esdebitabili. Queste esclusioni riguardano più che altro le persone fisiche (un imprenditore individuale non può liberarsi di debiti per multa penale o alimenti dovuti).
    • Le sanzioni penali e amministrative pecuniarie autonome: una multa o ammenda inflitta a una persona fisica per reato, o una sanzione amministrativa (es. una multa stradale intestata all’azienda, o una sanzione Antitrust), non vengono spazzate via dalla procedura a meno che non siano accessorie a un credito estinto. Il CCII infatti esclude dall’esdebitazione le sanzioni pecuniarie non accessorie. Ciò significa che, ad esempio, le sanzioni tributarie collegate a un tributo falcidiato in transazione fiscale possono ridursi anch’esse (essendo accessorie al credito fiscale), ma una sanzione autonoma (come una contravvenzione ambientale) resta dovuta dal soggetto, anche dopo la chiusura della procedura, nella parte eventualmente non pagata. In ambito societario, se la società viene liquidata e cancellata, anche le sanzioni a suo carico diventano inesigibili per estinzione del soggetto; ma se parliamo di sanzioni a carico di persone fisiche, il debitore non se ne libera con l’esdebitazione.
    • I tributi locali e regionali: sorprendentemente, ad oggi IMU, TARI, addizionali locali e altri tributi dovuti a enti locali non rientrano nella disciplina della transazione fiscale. In sede di concordato, il trattamento di questi crediti rimane un nodo: formalmente sarebbero privilegiati (spesso hanno lo stesso rango dei tributi erariali) ma non c’è una norma che consenta all’ente locale di accettare legalmente una falcidia fuori da un eventuale accordo ad hoc. Nella prassi i Comuni a volte si adeguano alle percentuali offerte nel concordato, ma si tratta di una sorta di adesione di fatto. La legge delega n. 111/2023 prevede di estendere in futuro la transazione fiscale anche ai tributi locali, ma al maggio 2025 ciò non è stato attuato. Pertanto i debiti verso Comuni e Regioni non possono essere formalmente transatti nella proposta concordataria secondo la disciplina speciale statale: se il Comune non partecipa al voto o vota contro, il giudice potrebbe comunque omologare forzosamente ex art.48 co.5 CCII (se offerto il “minimo liquidatorio”), ma resta una zona grigia normativa. In ogni caso, allo stato i tributi locali non sono legalmente falcidiabili se non col consenso dell’ente, consenso che esula dalla procedura standard (serve delibera comunale ad hoc).
  • Esdebitazione finale del debitore persona fisica: Come accennato, l’esdebitazione consente all’imprenditore persona fisica di liberarsi dai debiti residui dopo aver liquidato tutto il patrimonio disponibile. Ci sono però eccezioni importanti elencate nell’art. 278 CCII: oltre ai casi di indegnità del debitore (condanne per bancarotta fraudolenta, ecc.), restano comunque esclusi dalla liberazione quei debiti di natura personale sopra citati (alimenti, risarcimenti danni intenzionali, sanzioni). Dunque, se Tizio imprenditore individuale è esdebitato dopo la liquidazione, non dovrà più pagare fornitori, banche, Fisco ecc. insoddisfatti; ma dovrà comunque continuare a pagare, ad es., l’assegno di mantenimento arretrato alla ex moglie o la multa per abuso edilizio, perché questi non rientrano nell’esdebitazione. Per le società questo problema non si pone perché l’esdebitazione è concetto riferito alla persona fisica; la società che si estingue “cancella” di fatto tutti i debiti senza eccezioni (non esiste più il soggetto giuridico debitore).
  • Garanti e coobbligati: È fondamentale capire che la cancellazione del debito nella procedura riguarda solo il debitore che vi accede. I garanti personali o gli obbligati in solido non sono liberati, salvo che anch’essi siano parte della procedura. Ad esempio, se un debito bancario della società Alfa Srl è garantito personalmente dall’amministratore con fideiussione, il concordato preventivo di Alfa Srl che paga solo il 50% di quel debito estingue l’obbligazione di Alfa Srl per il restante 50%, ma non la fideiussione: la banca potrà chiedere al garante (l’amministratore) il pagamento del restante 50%. Il Codice non prevede un effetto esdebitativo automatico per i terzi garanti. Nella pratica, a volte i garanti ottengono di essere coinvolti nell’accordo (ad esempio offrendo un contributo al concordato in cambio della liberazione, o accedendo anch’essi a procedura di sovraindebitamento). Ma è un dettaglio da non trascurare: le banche e i fornitori con garanzie spesso dissociati dalla procedura cercheranno il rimborso presso il terzo, se il debitore principale paga solo parzialmente.

Abbiamo delineato il quadro generale: i debiti chirografari sono di norma cancellabili (nei limiti dell’accordo concorsuale); i debiti privilegiati sono garantiti fino a capienza; alcuni debiti speciali pubblicistici non si possono comprimere se non con strumenti ad hoc; e vi sono eccezioni per debiti da obblighi personali o sanzioni che non spariscono con l’esdebitazione (per le persone fisiche). Nei prossimi paragrafi passeremo in rassegna, categoria per categoria, i vari debiti aziendali, evidenziando per ciascuno come vengono trattati nelle procedure del Codice e in che misura possono essere ridotti o azzerati.

Analisi per Tipologia di Debito

In questa sezione esamineremo le principali categorie di debito che un’impresa può avere – fiscali, previdenziali, bancari/finanziari, commerciali, verso dipendenti, ambientali, verso enti locali, da sanzioni ecc. – e ne descriveremo il trattamento nei vari strumenti di regolazione della crisi. Verranno indicati i limiti legali e le opportunità di falcidia per ciascuna categoria.

Debiti fiscali (Erario: imposte e tributi statali)

I debiti verso l’Agenzia delle Entrate e gli enti impositori statali (es. Agenzia Riscossione per le cartelle, Agenzia Dogane Monopoli per accise) comprendono imposte come IVA, imposte sui redditi (IRES/IRPEF), IRAP, ritenute fiscali, imposta di registro, bollo, accise, ecc. Questi crediti sono spesso privilegiati nel concorso (hanno privilegio generale mobiliare ex art. 2752 c.c. o privilegio speciale immobiliare per alcune imposte come l’IMU). La normativa italiana, a partire dal 2005 (introd. art. 182-ter L.F.), ha previsto uno strumento specifico per gestire tali debiti in ambito concorsuale: la transazione fiscale. Nel Codice attuale:

  • Transazione Fiscale (art. 63 CCII e art. 88 CCII): consente di includere nel concordato preventivo o nell’accordo di ristrutturazione dei debiti una proposta di pagamento parziale e/o dilazionato dei debiti tributari (e contributivi). In sostanza, l’imprenditore può offrire al Fisco un certo pagamento a saldo dei propri debiti d’imposta, dimostrando che è più conveniente della liquidazione. La proposta va corredata dal piano e da una relazione giurata di un professionista che attesta la convenienza per l’Erario rispetto all’alternativa liquidatoria. L’Agenzia delle Entrate (e gli enti previdenziali, per la parte contributiva) valutano la proposta e, se la ritengono valida, vi aderiscono formalmente. In caso di adesione, la transazione viene omologata insieme al concordato/accordo e diventa vincolante. Se invece l’Erario non aderisce ma il piano offre comunque il “dividendo” minimo, come detto, il tribunale può omologare lo stesso. È importante notare che la transazione fiscale non è una procedura a sé stante: è parte integrante di un concordato o accordo di ristrutturazione (non esiste “il fallimento col fisco che rinuncia” al di fuori di queste sedi).

Nella pratica attuale (dopo vari correttivi fino al 2024), ecco quali debiti tributari si possono effettivamente falcidiare e con quali limiti:

  • IVA e imposte indirette UE: L’IVA è considerata una “risorsa propria” dell’Unione Europea, quindi la normativa passata vietava di falcidiarne il capitale (doveva essere sempre pagata integralmente). Oggi, dopo recepimenti ed evoluzioni giurisprudenziali, anche l’IVA può essere inclusa nella transazione fiscale, ma la prassi consolidata dell’Agenzia Entrate è di pretendere il pagamento integrale dell’imposta (per evitare violazioni del diritto UE). Dunque, nel piano spesso si propone di pagare l’IVA al 100% (magari in rate) e semmai stralciare solo interessi e sanzioni su di essa. Analogamente, altre imposte considerate “protette” (dazi, risorse UE) vanno pagate. In generale, però, si può dilazionare l’IVA e ottenere la remissione di sanzioni e interessi relativi.
  • Imposte sul reddito e altre imposte erariali (IRES, IRPEF, IRAP, Registro, Bollo, Accise): Queste possono essere falcidiate nel loro importo capitale, a condizione di offrire comunque un pagamento migliore di quello ottenibile in fallimento. Ad esempio, se l’impresa è senza attivo e il Fisco in fallimento prenderebbe 0, in un concordato gli si può offrire qualunque percentuale >0 e il giudice potrà omologare anche se l’AdE non fosse d’accordo (perché comunque è più di zero). Se invece c’è attivo, bisognerà garantire che la percentuale proposta al Fisco non sia inferiore a quanto ricaverebbe dalla liquidazione di quell’attivo. Le Circolari AE n.16/E/2018 e 34/E/2020 hanno chiarito che l’AdE valuterà positivamente proposte dove il pagamento è almeno pari al valore di realizzo dei beni su cui vanta privilegio. Quindi sì a stralci, ma non punitivi per l’Erario: di regola si tende a offrire al Fisco una percentuale simile a quella dei crediti con pari grado in fallimento.
  • Ritenute fiscali non versate: Queste, come detto, non sono falcidiabili. Il piano deve prevederne il pagamento integrale (di solito come crediti prededucibili o comunque al 100%). Si tratta di un limite preciso: ad esempio, ritenute IRPEF su stipendi dipendenti o su compensi di professionisti non versate dal sostituto d’imposta devono essere pagate per intero. L’Agenzia Entrate non può legalmente accettare riduzioni su tali somme, perché è come se fossero trattenute indebitamente dal datore di lavoro (che faceva da sostituto).
  • Sanzioni e interessi su debiti tributari: Questi si possono ridurre o azzerare nella transazione. La logica è che sanzioni e interessi sono accessori: l’Erario può rinunciarvi parzialmente per favorire il recupero del tributo principale. È prassi comune nei concordati proporre il pagamento parziale dell’imposta e il taglio totale (o quasi) di interessi e sanzioni. Ad esempio, su un debito fiscale da €100k di cui €70k imposta e €30k tra sanzioni e interessi, si potrebbe proporre di pagare €70k di imposta in 5 anni (integralmente) ma solo il 10% degli accessori (3k su 30k). In molti casi le sanzioni vengono falcidiate al 0-10%. Nota: se però anche l’imposta viene falcidiata (es. si paga il 50% dell’IRES dovuta), allora il taglio di sanzioni/interessi dev’essere valutato rispetto al beneficio reciproco: di solito l’AdE pretende almeno un minimo su questi.
  • Tributi locali: Come evidenziato sopra, non rientrano nella transazione fiscale formale. Ciò significa che l’imprenditore deve negoziare caso per caso con l’ente locale. Tecnicamente, nel piano di concordato può inserire anche i crediti del Comune tra i chirografari offrendo una percentuale, ma il Comune non è vincolato dalle regole della transazione fiscale statale. In mancanza di accordo, il Comune potrebbe votare contro. Tuttavia, se il piano rispetta il “valore di liquidazione” del credito del Comune, il giudice potrebbe comunque omologare (applicando analogicamente il principio dell’art.48 co.5 CCII). In prospettiva, attendiamo un intervento normativo per includere i tributi locali nelle transazioni: la delega 111/2023 lo prevede espressamente. Debiti verso enti locali come IMU, TARI, COSAP restano dunque un punto di attenzione: finché non saranno ricompresi, formalmente non si può obbligare il Comune a un taglio se non convincollo che è il massimo ottenibile.

In sintesi, i debiti fiscali sono potenzialmente trattabili nelle procedure di crisi, ma con alcune linee rosse:

  • L’IVA e le ritenute vanno in genere garantite (niente stralcio dell’imposta e delle ritenute);
  • Le altre imposte si possono falcidiare purché convenga rispetto al fallimento;
  • Sanzioni e interessi si possono sforbiciare liberamente (sono i primi candidati al taglio);
  • I tributi locali al momento restano fuori dalla disciplina, servono accordi specifici.

Di fatto, oggi un concordato o accordo di ristrutturazione può prevedere proposte molto articolate al Fisco: ad esempio pagamento del 100% dell’IVA in 6 anni, pagamento del 40% dell’IRES in 4 anni, stralcio totale delle sanzioni, ecc., il tutto formalizzato in un atto di transazione fiscale. L’Erario può accettare queste proposte se rispettano i criteri di legge (convenienza economica). Recenti provvedimenti hanno migliorato l’operatività: il Provvedimento AE 29.1.2024 n. 21447 ha fissato soglie e competenze per approvare transazioni con falcidia >70% o debito >€30 mln; l’INPS con Messaggio 3553/2024 ha dato istruzioni sulle transazioni contributive alla luce della riforma. Inoltre, il DL 13/2023 (PNRR) ha esteso da 72 a 120 il numero di rate possibili per pagare i debiti fiscali transatti, rendendo più agevoli piani dilazionati (10 anni di rateizzazione).

Va segnalato infine che nonostante la falcidia concordataria, il Fisco mantiene alcuni poteri: se la transazione non viene poi rispettata nei pagamenti, la legge prevede la decadenza dai benefici (nel 2023 il DL 69/2023 ha introdotto la revoca automatica dell’omologazione se ritardi oltre 90 giorni i pagamenti dovuti al Fisco, con conseguente conversione in liquidazione giudiziale). Quindi l’imprenditore deve essere prudente nel proporre piani di pagamento sostenibili.

Esempio pratico: Supponiamo una SRL con €500.000 di debiti fiscali (IVA, IRES, IRAP) e pochi asset. In un concordato propone di pagare €200.000 (40%) dilazionati in 5 anni e di stralciare interessi e sanzioni (che ammontano a ulteriori €100.000). Offre quindi al Fisco €200k sui €600k complessivi dovuti (capitale + accessori). Se in caso di fallimento l’Erario stimerebbe di recuperare zero (perché magari i beni andrebbero tutti a soddisfare ipoteche bancarie), la proposta è ammissibile e anzi conveniente. L’Agenzia Entrate presumibilmente insisterà per avere integrale almeno l’IVA: quindi ad esempio €100k su €100k di IVA, e i restanti €100k pro quota sulle altre imposte. Se l’AdE aderisce formalmente, la transazione viene omologata col concordato. A fine concordato, la società avrà pagato €200k e il residuo €300k di imposte sarà cancellato. Se però la società non rispetta le rate, la transazione potrà essere revocata e il Fisco riavrà titolo per l’intero importo (meno quanto versato). Questo esempio mostra sia la possibilità di riduzione del 50% dei debiti fiscali, sia la necessità di un accordo ben congegnato.

Debiti previdenziali e assistenziali (INPS, INAIL, Casse)

I debiti verso enti previdenziali (INPS, INAIL e casse professionali) riguardano principalmente: contributi obbligatori per i dipendenti e per gli autonomi, premi assicurativi INAIL, contributi a Casse di previdenza private (ad es. Cassa Forense per avvocati). Anche questi debiti, nel fallimento, godono di privilegio generale sui beni del debitore (art. 2753 c.c. per INPS, leggi speciali per altri enti). Storicamente, la normativa prevedeva parallelamente alla transazione fiscale la transazione previdenziale (introdotta nel 2007), ma inizialmente essa era limitata. Oggi il Codice unifica la disciplina: l’art. 63 CCII include espressamente i contributi previdenziali tra i crediti falcidiabili nella transazione, grazie alle modifiche apportate dal D.Lgs. 83/2022 e confermate dal D.Lgs. 136/2024. Dunque, in un concordato o accordo l’imprenditore può proporre un trattamento riduttivo anche per debiti verso INPS, INAIL, etc., analogamente alle imposte.

Le regole pratiche sono molto simili a quelle fiscali:

  • Contributi obbligatori (INPS, INAIL): rientrano nella transazione contributiva. Vanno garantiti almeno quanto otterrebbero in caso di fallimento. Il piano deve rispettare il rango di eventuali privilegi (es. i contributi dipendenti ultimi 2 anni sono privilegio di grado elevato, come i stipendi). Non c’è un divieto assoluto di falcidia del capitale (nel 2009 inizialmente l’INPS era restio a scontare il dovuto principale, ma oggi la norma lo consente espressamente). Tuttavia, in presenza di TFR o stipendi non pagati, l’INPS interviene col Fondo di Garanzia e poi si surroga: quelle somme coperte dal Fondo diventano credito INPS con privilegio e non sono falcidiabili (perché coperte integralmente dal Fondo stesso che vuole rimborso). Quindi, di fatto, contributi e premi INAIL possono essere oggetto di stralcio solo nella misura in cui l’ente stesso lo accorda e se non vi è un meccanismo come il Fondo che li garantisce.
  • Sanzioni civili INPS e interessi di mora: analoghe alle sanzioni fiscali, queste possono essere abbattute. L’INPS spesso richiede però almeno il pagamento integrale della quota di contributo e ammette la falcidia quasi totale delle sanzioni civili (che per legge sono tra l’altro equiparate a interessi di mora).
  • Casse professionali: qui la situazione varia da cassa a cassa. Non esiste un chiaro riferimento normativo alla transazione per i debiti verso, ad esempio, la Cassa Geometri o la CNPADC (dottori commercialisti). In mancanza, si tende ad assimilarli a crediti chirografari o privilegiati a seconda dei casi e a trattarli come gli altri crediti concorsuali. Alcune casse potrebbero votare contro riduzioni, ma non hanno poteri diversi da un qualsiasi creditore chirografo in un concordato. Quindi, un debito verso la Cassa Forense potrebbe essere falcidiato come un debito verso un fornitore, salvo che la Cassa chieda – analogamente al Fisco – il rispetto di determinati parametri.

In sintesi, anche i debiti previdenziali possono essere ridotti e dilazionati, con l’ovvia avvertenza che i contributi trattenuti ai dipendenti e non versati (come le ritenute fiscali) sono considerati parte delle ritenute non falcidiabili: vanno pagati per intero. Ad esempio, €5.000 di contributi INPS trattenuti in busta paga e non versati sono assimilati a ritenute e pretendono il 100%. Diverso è il caso di contributi datoriali non versati: quelli rientrano nel calderone transattivo e possono vedere una proposta di pagamento parziale.

Dal 2022, con l’inclusione esplicita e la prassi chiarita (l’INPS ha emanato proprie linee guida), l’imprenditore in crisi può affrontare congiuntamente il problema fiscale e contributivo in sede di piano. Perciò, è possibile presentare un unico piano di transazione fiscale e contributiva che preveda, ad esempio, pagamento del 50% dei contributi arretrati e del 0% delle relative sanzioni entro 2 anni. Anche per l’INPS vale l’omologazione in caso di dissenso se il piano è oggettivamente conveniente (art.48 co.5 come integrato dal D.Lgs 83/2022 ha incluso i “gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie”).

Debiti bancari e finanziari (mutui, finanziamenti, leasing)

Le banche e gli intermediari finanziari sono spesso tra i principali creditori di un’azienda in crisi, per via di mutui, aperture di credito, finanziamenti a medio termine, leasing, factoring, etc. Il trattamento di tali debiti dipende dalla presenza di garanzie:

  • Crediti bancari chirografari: se la banca non ha garanzie reali (ipoteche, pegni) né personali (fideiussioni), il suo credito verso l’azienda è chirografario. In procedure concorsuali, tali crediti possono essere falcidiati liberamente come gli altri chirografari. Nel concordato, la banca voterà come creditore chirografo e subirà la percentuale proposta (es.: prende 30% a stralcio, e il 70% residuo viene cancellato all’omologa). Negli accordi di ristrutturazione, spesso le banche sono le prime a sedersi al tavolo e negoziare: potrebbero accettare una riduzione del credito o una moratoria, magari convertendo parte del debito in partecipazioni (debt-equity swap) se credono nel risanamento. In mancanza di accordo, comunque, la banca chirografa si vede trattata come un qualunque fornitore: se la procedura si chiude con pagamento parziale, perde il diritto sul resto.
  • Crediti bancari ipotecari o pignoratizi: se il credito è assistito da garanzia reale su beni dell’impresa (es. ipoteca su immobili, pegno su titoli/merci), allora la banca è creditore privilegiato sul ricavato di quei beni. Come spiegato, ciò garantisce la banca fino a concorrenza del valore del bene. Pertanto, in un concordato, tipicamente:
    • Il bene gravato dalla garanzia viene destinato alla vendita o alla continuità secondo il piano, e la banca ha diritto di ricevere l’intero ricavato di quel bene (fino a copertura del suo credito).
    • Se il valore stimato del bene è inferiore al debito, la differenza diventa credito chirografario: la banca parteciperà con quella differenza alla massa chirografi, prendendo la stessa percentuale degli altri su di essa.
    • Se invece il bene vale più del debito (ipotesi di credito ipotecario inferiore al valore), la banca verrà pagata tutta e l’eventuale eccedenza di valore andrà a beneficio di creditori inferiori in grado (ad es. altro ipotecario di grado successivo o i chirografari).
    • Riduzioni volontarie: A volte, per favorire la ristrutturazione, la banca garantita può volontariamente accettare di ridurre il suo credito anche oltre la capienza (ad es., rinuncia al 10% nonostante l’immobile coprirebbe tutto). Questo succede se la banca vuole sostenere un concordato in continuità evitando la liquidazione, magari per mantenere il cliente. Ma giuridicamente la banca potrebbe, in mancanza di accordo, esigere il 100% del garantito vendendo il bene all’asta (fuori dal concordato, la banca con ipoteca di primo grado ha anche la facoltà di escutere separatamente il bene in sede esecutiva se la procedura dura troppo, grazie al privilegio concesso ai creditori fondiari).
  • Finanziamenti con garanzie pubbliche (es. Fondo PMI, SACE): se la banca ha una garanzia statale (fideiussione pubblica), allora in caso di falcidia nel concordato, la parte non pagata potrebbe essere risarcita dallo Stato garante. Tuttavia, per la procedura questo non cambia: la banca vota e subisce l’esito, poi escuterà la garanzia per la quota insoluta. Lo Stato subentrerà eventualmente come creditore surrogato (ma spesso chirografo) verso l’impresa, ma se l’impresa è esdebitata, anche lo Stato surrogato perde la pretesa (la garanzia in realtà rimborsa la banca ma non mantiene il credito per surroga in caso di esdebitazione del debitore principale).
  • Leasing finanziario: nei concordati in continuità, il leasing può proseguire (trattandolo come contratto pendente). Nei concordati liquidatori, di norma il bene in leasing viene restituito e il lessor chiede l’indennizzo per la risoluzione. Il credito del leasing si divide: parte chirografa per canoni scaduti e danno emergente, parte eventuale privilegiata se c’è riserva di proprietà (il leasing immobiliare di solito no, quello mobiliare sì). La Legge 124/2017 ha introdotto regole sul calcolo del credito del lessor in fallimento, che il CCII recepisce. In sostanza, il debito da leasing può essere ridotto nel concordato sulla base della valutazione del bene e dei canoni non più dovuti. È un caso molto tecnico, ma rileviamo che il lessor, pur essendo finanziatore, può risultare chirografo in parte (e quindi subire falcidia) o privilegiato sul bene (nel qual caso la regola è come per i garantiti: valore bene = massimale per privilegio).
  • Derivati e debiti verso intermediari finanziari non bancari: vanno trattati caso per caso. Un derivato con mark-to-market negativo per l’azienda è un debito chirografo di natura finanziaria: può essere falcidiato come gli altri. A volte però gli intermediari chiedono la risoluzione dei contratti derivati in caso di procedure concorsuali, cristallizzando il debito (che poi si inserisce al passivo come chirografo). Nulla di speciale: concorrerà e potrà essere ridotto.
  • Obbligazioni e minibond: se l’azienda ha emesso titoli di debito, i portatori di obbligazioni sono creditori chirografari (salvo che i bond fossero garantiti). Nelle procedure, rappresentati dal rappresentante comune, concorrono come massa unica e sono falcidiabili. Casi di ristrutturazione di obbligazioni richiedono di norma un accordo di ristrutturazione o un concordato con classi dedicate agli obbligazionisti.

In generale, i creditori finanziari tendono ad avere un ruolo attivo: spesso sono disposti a concordare manovre di risanamento (estensioni, nuovi finanziamenti in prededuzione, conversioni in equity) piuttosto che accettare passivamente un fallimento dove recupererebbero poco. Il Codice incoraggia questi accordi privati con strumenti come gli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa (per vincolare le minoranze dissenzienti di banche se la maggioranza aderisce). D’altra parte, se non si trova un’intesa, la banca subirà le regole concorsuali come ogni altro: in un fallimento spesso le banche chirografe prendono percentuali minime; in un concordato, meglio prendere il 40% subito che aspettare anni in liquidazione per forse il 20%.

Garanzie personali: Nota particolare: se l’imprenditore (o soci) ha dato fideiussioni su finanziamenti bancari, quelle rimangono efficaci. Quindi, ad esempio, se una Srl falcidia al 50% il debito verso la banca nel concordato, la banca può chiedere all’eventuale fideiussore (spesso l’amministratore) il restante 50%. Questo scenario è molto comune e spesso porta l’imprenditore anche a cercare la propria soluzione sovraindebitamento se la banca si rivalge su di lui.

Conclusione: I debiti verso banche e finanziatori possono essere cancellati in parte notevole attraverso le procedure di crisi, specialmente se sono non garantiti. L’unico limite è la capienza delle eventuali garanzie: la parte coperta da pegno/ipoteca essenzialmente non viene toccata (salvo accordi), mentre la parte eccedente è cancellabile. Le banche sono incentivate a partecipare a piani ragionevoli perché spesso un concordato offre loro più valore attuale di un lungo fallimento.

Debiti commerciali e verso fornitori

Questa categoria comprende tutti i debiti dell’impresa verso i fornitori di beni e servizi, i subappaltatori, i professionisti non pagati, i canoni di locazione commerciali scaduti, le bollette e utenze insolute, ecc. In mancanza di garanzie specifiche (pegno su merci, riserva di proprietà su beni mobili venduti con patto di riservato dominio, ecc.), tali crediti sono chirografari.

  • Falcidiabilità: I debiti commerciali chirografari sono generalmente i primi candidati ad essere falcidiati in qualunque piano di crisi. In un concordato tipico, ai fornitori può essere offerta una percentuale ridotta (es. 20-30%) dei loro crediti, spesso dilazionata. La parte non pagata viene poi cancellata una volta eseguito il concordato. Anche nei fallimenti/liquidazioni giudiziali, storicamente i fornitori recuperano poco (il dividendo fallimentare chirografario medio è spesso sotto il 10-15%), quindi non è raro che essi accettino piani concordatari che offrano qualcosa di più e in tempi più brevi. Ad esempio, se si stima che in liquidazione i chirografari prenderebbero 30% dopo 5 anni di attesa, un concordato che propone 40% in 2 anni può essere appetibile, ed il residuo 60% viene abbonato dai creditori.
  • Classi e trattamenti differenziati: Spesso nei concordati si formano classi separate di creditori chirografari, distinguendo ad esempio fornitori strategici (che magari si vogliono pagare in misura maggiore per continuare i rapporti) da fornitori generici. È ammesso avere trattamenti differenziati purché giustificati da diversa posizione giuridica o interessi economici. Ad esempio, i fornitori indispensabili per la continuità aziendale potrebbero essere pagati al 60%, mentre gli altri al 20%. Questa non è una “discriminazione” illecita se c’è una logica di salvaguardia aziendale. In concordato preventivo, se i fornitori strategici sono in una classe a sé che approva il piano, possono ottenere una percentuale diversa rispetto ad altre classi, e ciò vincola tutti in quella classe.
  • Accordi stragiudiziali: Talvolta l’imprenditore riesce a stringere accordi singoli con alcuni fornitori prima o durante le trattative di composizione negoziata: es. saldo e stralcio di un debito con pagamento immediato del 30%. Questi accordi volontari riducono il debito in via extraconcorsuale. Bisogna però stare attenti all’azione revocatoria: pagamenti eseguiti prima del concordato, quando l’impresa era insolvente, possono essere revocati dal curatore in caso di successivo fallimento. Il Codice attenua le revocatorie rispetto al passato, ma non le elimina del tutto (certi pagamenti anomali nei 6 mesi pre-fallimento rimangono revocabili). Il piano attestato è utile proprio a evitare revocabilità: se fatto a regola d’arte, i pagamenti ai fornitori in esecuzione del piano non saranno revocati. Quindi un fornitore che accetta uno stralcio fuori procedura vuole garanzie (ad esempio l’omologa di un accordo 182-bis o almeno un piano attestato registrato).
  • Credito fornitori con riserva di proprietà: Se un fornitore ha venduto macchinari con patto di riservato dominio, è in una posizione peculiare: il suo credito è privilegiato sul bene venduto (che in sostanza non è di proprietà dell’acquirente finché non paga tutto). In fallimento il fornitore può riprendersi il bene se il curatore non paga il dovuto. Nel concordato, questo fornitore sarà trattato come un privilegiato speciale sul bene venduto. Dunque dovrà ricevere almeno il valore di realizzo del macchinario, oppure riprenderselo. Non potrà essere trattato come un chirografo comune. Lo stesso dicasi per il venditore con diritto di ritenzione su merci non consegnate per insolvenza dell’acquirente. Sono situazioni particolari ma vanno riconosciute: questi fornitori non subiscono la falcidia come gli altri perché tutelati da diritti reali o assimilati.
  • Debiti verso fornitori esteri: Nelle procedure italiane, i creditori esteri non hanno privilegi particolari, concorrono al pari degli italiani. C’è però da gestire le comunicazioni in lingua e spesso possono restare inattivi. In un concordato, i debiti verso fornitori esteri possono essere falcidiati come gli altri. Da notare che se il fornitore estero ha un contratto in corso (es. fornitura continuativa) potrebbe interromperlo se non pagato integralmente – occorre quindi valutare bene quali debiti verso fornitori stranieri ridurre, per non perdere forniture vitali.

Conclusione: I debiti commerciali rappresentano probabilmente la categoria più facilmente “cancellabile” tramite procedure concorsuali, in quanto di norma chirografari e privi di tutele legali speciali. Un’impresa uscita da un concordato preventivo con successo in continuità di solito ha ridotto drasticamente l’esposizione verso fornitori, negoziando magari nuove condizioni per i futuri acquisti. Dal lato dei fornitori, questo è un costo della gestione del rischio di credito: spesso preferiscono incassare subito una percentuale concordataria che attendere un incerto recupero forzoso. Molti fornitori peraltro tutelano il rischio insolvenza con assicurazioni del credito commerciale: in caso di concordato prendono la percentuale e poi l’assicurazione risarcisce parte del resto, accollandosi il diritto di credito residuo (che però è inesigibile post-esdebitazione).

Esempio numerico: Un’azienda edile ha €1 milione di debiti verso 50 fornitori. Nel concordato preventivo liquidatorio offre un pagamento pari al 30%. I fornitori votano sì perché in caso di fallimento stimano di ricavare solo il 10%. A piano omologato, l’azienda liquida i beni e paga €300k totali ai fornitori (divisi pro quota). I restanti €700k di debiti vengono legalmente estinti dall’omologa e dalla successiva chiusura. Nessun fornitore potrà pretendere in futuro quel 70% non pagato (né avviare decreti ingiuntivi, pignoramenti, ecc.). L’azienda si è “pulita” da quella posizione debitoria. I fornitori insoddisfatti registrano la perdita (spesso deducibile fiscalmente, peraltro).

Debiti verso i dipendenti (retribuzioni, TFR, contributi)

I debiti che l’impresa ha verso i propri dipendenti e collaboratori includono: stipendi non pagati, TFR (trattamento di fine rapporto) maturato e non versato, ferie non godute, indennità varie, contributi e premi assicurativi (che però abbiamo già trattato nella parte previdenziale), e altre spettanze di lavoro. Questi crediti godono di una tutela particolare:

  • Privilegi sul patrimonio: i crediti per retribuzioni dei dipendenti degli ultimi 12 mesi (fino a un massimale per ciascun lavoratore) e per TFR hanno privilegio generale sui mobili ex art. 2751-bis n.1 e n.2 c.c. (sono considerati tra i privilegiati di primo rango, addirittura vengono dopo solo le spese di giustizia). Ciò significa che in caso di liquidazione giudiziale essi saranno pagati con precedenza su quasi tutti gli altri debiti (secondi solo, in pratica, ai costi procedurali e a eventuali crediti con privilegio speciale su beni specifici).
  • Fondo di garanzia INPS: lo Stato tutela i lavoratori prevedendo che, se l’azienda fallisce o fa concordato e non paga stipendi e TFR, interviene l’INPS – Fondo di Garanzia a coprire:
    • Fino a 3 mensilità di retribuzioni non pagate (per i 3 mesi di lavoro precedenti la data di procedura, entro un massimale mensile)
    • Il TFR maturato e non versato (per intero, salvo alcuni limiti massimali).
      L’INPS poi si insinua al posto del lavoratore in procedura per recuperare quanto pagato, subentrando nei privilegi del lavoratore. Quindi, ad esempio, se un dipendente aveva €10.000 di TFR non incassato, l’INPS glieli versa e diventa creditore privilegiato per €10.000 verso l’azienda.
  • Procedimenti speciali e accelerati: nelle procedure concorsuali i crediti di lavoro sono soddisfatti il prima possibile. In fallimento, ad esempio, il curatore può chiedere al giudice di fare uno stato passivo parziale subito per i lavoratori e ottenere i fondi dal Fondo di Garanzia INPS in tempi brevi. Nel concordato preventivo, il piano deve solitamente prevedere il pagamento integrale dei privilegiati del lavoro, o l’intervento del Fondo.

Falcidia nelle procedure:
In linea di massima, i debiti verso dipendenti non vengono “cancellati” a danno del lavoratore nella stragrande maggioranza dei casi. O vengono pagati dalla procedura (con l’attivo disponibile) oppure dal Fondo di Garanzia. L’eventuale perdita ricade sul sistema di assicurazione sociale (INPS) e, in misura limitata, sul lavoratore solo se superasse i massimali garantiti. Vediamo procedura per procedura:

  • Liquidazione giudiziale (fallimento): Il curatore calcola i crediti di ciascun dipendente. L’INPS interviene: paga al dipendente gli importi dovuti (stipendi arretrati max 3 mesi, TFR, ecc.) secondo le norme. Il dipendente così è soddisfatto (entro i limiti previsti) e non ha più pretese dirette. L’INPS si insinua in privilegio al suo posto. Se l’attivo è sufficiente, il curatore poi paga l’INPS (ma spesso l’attivo non basta a coprire integralmente tutti i privilegi lavoro, comunque l’INPS assorbe la perdita eventuale). Alla fine, il lavoratore ne esce con (quasi) tutto pagato dallo Stato e il debito verso il lavoratore è di fatto cancellato. L’eventuale ammanco è stato “cancellato” in quanto la società estinta non lo pagherà, e il Fondo è rimasto parzialmente scoperto (ma è onere sociale).
  • Concordato preventivo/minore in continuità: Se l’azienda vuole continuare, è imprescindibile che regolarizzi gli stipendi. Di solito i piani in continuità prevedono il pagamento integrale di tutti gli arretrati del personale (magari scaglionato nei primi mesi della procedura) per evitare tensioni e perché il tribunale raramente omologherebbe un concordato che non tutela i lavoratori. Tecnicamente, nulla vieta di proporre ai lavoratori un pagamento parziale del dovuto, ma sarebbe difficilmente approvato (i dipendenti potrebbero fare opposizione forte e c’è il tema dell’art. 2112 c.c. se cessione ramo d’azienda: vanno garantiti i crediti di lavoro). Quindi, in continuità i debiti verso dipendenti vengono pagati integralmente in prededuzione o in privilegio nel piano. Il CCII consente la falcidia del privilegio lavoro solo se al lavoratore è comunque garantito l’intervento del Fondo di Garanzia a copertura (principio di indisponibilità di quel credito).
  • Concordato liquidatorio o accordi di ristrutturazione: Anche qui, formalmente i crediti lavoro hanno privilegio e vanno soddisfatti al 100% salvo diversa adesione del lavoratore. In un concordato liquidatorio, però, capita che il patrimonio non basti nemmeno a pagare tutti i privilegiati lavoro; in tali casi subentra sempre l’INPS. Il piano concordatario spesso prevede: “i crediti privilegiati ex art. 2751-bis saranno pagati per quanto coperto dall’attivo, e per la parte eventualmente eccedente interverrà il Fondo di Garanzia”. Questo è ammesso. Quindi di fatto il lavoratore viene tutelato comunque. È rarissimo che al lavoratore venga proposto un taglio secco senza intervento del Fondo – sarebbe in contrasto con norme imperative.
  • Accordi stragiudiziali: Può succedere che in fase di trattativa l’imprenditore chieda ai dipendenti un sacrificio (es. rinuncia a straordinari o decurtazione premi) per evitare il fallimento. Questo è possibile ma richiede l’accordo sindacale e individuale, e comunque non riguarda i minimi contrattuali. In un contesto concorsuale, la riduzione del costo del lavoro per il futuro è un tema di ristrutturazione aziendale, ma i debiti pregressi di lavoro non possono essere cancellati per accordo se non con consenso dei dipendenti (che raramente lo danno, preferendo l’intervento del Fondo come ultima istanza).

In conclusione: I debiti verso i dipendenti non sono “cancellabili” unilateralmente dalle procedure, se non nel senso che vengono pagati da altri (INPS) o soddisfatti in via prioritaria. Il Codice tutela fortemente tali crediti. La finalità sociale prevale: non si può far pagare al lavoratore le perdite dell’insolvenza, salvo per importi sopra i tetti di garanzia. Un lavoratore che avanza €50.000 di stipendi/TFR in un fallimento, grazie al Fondo ne incasserà magari €45.000 (coperto quasi tutto) e perderà solo €5.000 (la parte eccedente massimali); quella perdita è l’unica “cancellazione” effettiva a suo carico. Se invece fosse un manager con TFR altissimo, la parte eccedente i massimali INPS rimarrebbe come credito chirografo e potrebbe essere falcidiata in concordato. In generale però, a livello di impresa, i debiti verso dipendenti devono essere considerati prioritari e difficilmente comprimibili.

Tabella riepilogativa (semplificata) dei trattamenti lavoro:

Tipo credito lavoroPrivilegio?Pagamento in procedura
Stipendi ultimi 12 mesi (limite ~€13k per lavoratore)Privilegio generale (2751-bis)Pagati 100% (parte dal Fondo di Garanzia se insolvenza)
TFR maturato (limite ~€50k circa)Privilegio generalePagato 100% (Fondo INPS copre se manca attivo)
Stipendi oltre massimali (quadri/dirigenti)Per la parte eccedente = chirografoPuò essere falcidiata come chirografo (di solito minima parte)
Contributi pensionistici (lavoratore)– (trattenute non versate)Da pagare 100% (ritenute non falcidiabili)
Contributi datoriali (INPS)Privilegio generale (2753)Falcidiabili via transazione contributiva (con prudenza)
Ferie non godute/straordinariPrivilegio (come retrib.)Pagati 100% (rientrano nel calcolo Fondo)

Debiti ambientali e obblighi di bonifica

Un’azienda potrebbe trovarsi con passività ambientali, ad esempio: costi per bonifica di siti inquinati causati dall’attività, sanzioni ambientali amministrative, prescrizioni non ottemperate con ordinanze di esecuzione coattiva, ecc. Questi “debiti ambientali” hanno una natura peculiare, poiché spesso non si tratta di un debito pecuniario verso un creditore definito, ma di un obbligo legale di fare (bonificare, mettere in sicurezza) o di un risarcimento del danno ambientale verso la collettività.

In ambito concorsuale, la gestione è complessa:

  • Obblighi di bonifica come oneri reali: Se un’impresa proprietaria di un sito contaminato va in fallimento, la domanda è: il curatore è tenuto a effettuare (e pagare) la bonifica? Oppure tale obbligo ricade sull’ente pubblico con diritto di rivalsa? La giurisprudenza negli anni ha escluso che si possa imporre al curatore fallimentare di eseguire la bonifica a spese della massa, salvo che vi siano fondi nell’attivo specificamente destinati. In particolare, una sentenza del TAR Lombardia ha affermato che il curatore non è per ciò solo responsabile dell’obbligo di bonifica e non gli può essere imposto un piano di indagine ambientale se ciò sottrae risorse ai creditori. La ratio è che la procedura concorsuale liquida i beni per i creditori, non può dirottare attivo per finalità extra concorsuali, a meno che la legge non ponga la bonifica come onere prededucibile (cosa attualmente non prevista in termini generali).
  • Crediti per danno ambientale: Se l’ente pubblico (es. Comune, Regione o Ministero) interviene d’ufficio per bonificare, può insinuare al passivo un credito per danno ambientale o spese di bonifica nei confronti dell’impresa inquinatrice. Questo credito concorsuale di solito è chirografo, a meno che vi siano privilegi speciali (ad es. alcuni costi potrebbero avere privilegio immobiliare se gravanti su immobile specifico per disposizione di legge). Non c’è un privilegio generale per i crediti ambientali nella legge italiana. Ciò significa che se lo Stato spende €1 milione per bonificare e si insinua per quella cifra, finirà in coda con gli altri chirografari: può subire falcidia in un concordato come qualsiasi altro credito non garantito. Di fatto, quindi, una parte del costo ambientale può rimanere insoddisfatta e di conseguenza “a carico della collettività” se l’attivo è insufficiente.
  • Sanzioni ambientali: Se l’impresa è stata multata per violazioni ambientali (es. multe per emissioni o gestione rifiuti), quelle sanzioni amministrative pecuniarie sono crediti dello Stato che, come detto, sono escluse dall’esdebitazione per la persona fisica, ma se parliamo di società esse sono crediti concorsuali. Tipicamente le sanzioni amministrative non hanno privilegio e quindi in fallimento non vengono pagate (o prendono poco). In un concordato, l’impresa può includerle con lo stesso trattamento dei chirografari (es. pagare 10% delle multe ambientali, e il 90% viene falcidiato). Questo può avvenire e il giudice può omologare, in quanto non c’è divieto specifico di falcidia per sanzioni amministrative (diverso per le sanzioni tributarie, che invece rientrano nella transazione fiscale e si riducono secondo quelle regole).
  • Obblighi futuri e in continuità: Se la procedura è in continuità e l’azienda prosegue l’attività, gli obblighi ambientali di legge vanno rispettati. Un piano di ristrutturazione deve prevedere le spese necessarie per conformarsi alla normativa ambientale, altrimenti non sarebbe fattibile né omologabile (sarebbe contro l’ordine pubblico). Quindi un’azienda chimica in concordato in continuità deve comunque sostenere i costi per depurare gli scarichi, gestire i rifiuti, ecc., come costo operativo prededucibile. Non può sperare di “lavarsene le mani” grazie al concorso. Se invece il piano è liquidatorio, l’azienda cessa e può rimanere un’eredità ambientale. In tal caso, può accadere che l’acquirente dei beni sia chiamato a intervenire: ad esempio, se il capannone contaminato viene venduto, l’acquirente sarà tenuto alla bonifica come nuovo proprietario (a meno che non sia “incolpevole” ai sensi dell’art. 242 D.Lgs. 152/06, nel qual caso la P.A. non può costringerlo se non gli vende il sito a prezzo scontato). Sovente nei concordati di aziende con problemi ambientali si cerca un accordo con l’ente: ad esempio, si costituisce un trust con una parte dell’attivo destinata alla bonifica, oppure il Ministero dell’Ambiente rinuncia a parte del credito se l’acquirente si impegna a bonificare.

In definitiva, gli obblighi ambientali non si cancellano “per magia” con la procedura concorsuale. La parte strettamente monetaria (multe, risarcimenti) può subire l’insuccesso del concorso e venire falcidiata come credito chirografo. Ma l’obbligo di bonifica in sé non viene meno: semplicemente, se l’azienda fallisce e non bonifica, l’onere passa all’ente pubblico, che poi avanza (inutilmente) pretesa sul fallimento. Se l’impresa continua, quell’obbligo deve essere adempiuto nell’ambito del piano, altrimenti vi saranno conseguenze (revoca autorizzazioni, interventi coattivi).

Anche le responsabilità penali ambientali dei gestori non si estinguono: il liquidatore di una società non risponde penalmente per i reati commessi prima, ma l’amministratore precedente può essere perseguito per reati ambientali (es. inquinamento) anche post-fallimento. Inoltre, le sanzioni pecuniarie penali (ammende) a carico di persone fisiche non sono oggetto di esdebitazione, come visto. Dunque l’amministratore condannato, anche se ottenesse esdebitazione per i debiti civili, dovrà comunque pagare l’ammenda penale.

Caso esemplificativo: La società “Beta Srl” gestisce un impianto galvanico e ha inquinato il suolo. Viene posta in liquidazione giudiziale. Il curatore verifica che costerebbe €500.000 bonificare ma la massa attiva è di soli €200.000 e servono a malapena a pagare i privilegi. Non effettua la bonifica (né il tribunale glielo impone, riconoscendo che non vi sono fondi). Il sito resta contaminato. Il Comune con ARPA interviene a bonificare d’ufficio con fondi pubblici per €500.000. Il Ministero dell’Ambiente insinua al fallimento un credito di €500.000 per spese di bonifica. Il fallimento però si chiude pagando solo i creditori privilegiati (l’Erario, dipendenti, banca ipotecaria) e nulla va ai chirografi, incluso il Ministero. Quindi, quel debito ambientale di €500k resta di fatto non recuperato e la società viene cancellata. L’amministratore potrebbe essere perseguito per reato ambientale (art. 452-quaterdecies c.p.) e in sede penale il giudice potrebbe disporre una confisca dei beni personali equivalente al costo, ma questo è un altro profilo. Dal punto di vista concorsuale, il debito è rimasto insoluto e perciò, di fatto, cancellato per saturazione della responsabilità patrimoniale della società.

Debiti verso enti locali (Comuni, Province, Regioni)

Questa categoria include: tributi locali (IMU, TARI, ICP, addizionali regionali IRPEF, ecc.), tariffe o corrispettivi locali (es. bollette di acqua rifiuti se gestite da società pubbliche locali), sanzioni amministrative locali (multe per violazioni regolamenti comunali, codice della strada, ecc.), e in generale ogni credito vantato da un ente territoriale.

Per i tributi locali, come già discusso, attualmente non c’è uno strumento normativo specifico di composizione all’interno del concordato:

  • L’ente locale non può aderire a una “transazione fiscale” standard perché la norma (art. 63 CCII) non lo contempla ancora.
  • In pratica però, i Comuni possono partecipare al voto nel concordato preventivo: essendo creditori concorsuali, vengono ammessi al passivo e votano per l’accettazione o meno del piano. Alcuni Comuni hanno adottato delibere per disciplinare come comportarsi (ad esempio, possono deliberare di accettare le proposte se c’è un certo soddisfo).
  • Se il Comune vota no ma il piano gli dà almeno quanto avrebbe da liquidazione, il tribunale può omologare lo stesso per ragioni di equità (ci sono pronunce in tal senso applicando in via estensiva l’art. 48 co.5 CCII, anche se formalmente quello parla di Fisco e INPS, non di Comuni).
  • Dunque i debiti verso enti locali possono essere di fatto falcidiati nel concordato, ma c’è un margine di incertezza giuridica. Ad oggi, molti concordati hanno incluso ad esempio IMU arretrata offrendo percentuali ridotte e i Comuni spesso, stante che altrimenti in fallimento prenderebbero zero, non si oppongono e incassano quel poco.

Per quanto riguarda utenze locali e crediti commerciali verso enti (es. un Comune credito di affitto per un immobile dato all’azienda), questi crediti non differiscono da quelli di un qualunque creditore chirografo: nessun privilegio speciale salvo patto (es. il canone demaniale potrebbe avere garanzia). Quindi, essi possono essere falcidiati e cancellati nelle procedure come qualsiasi altro debito commerciale.

Le sanzioni amministrative locali (tipicamente multe stradali): se l’impresa ha nel passivo multe per infrazioni del CdS relative a veicoli aziendali, quelle sono crediti del Comune (o di altri enti). Questi sono crediti concorsuali, di norma chirografari senza privilegio. In fallimento vengono pagati solo se rimane qualcosa ai chirografi (cosa rara). In un concordato, l’impresa può proporre di pagarli in minima parte. Ad esempio, una società di autotrasporto con €50k di multe stradali accumulate può in concordato offrirne il 10% (5k) insieme agli altri chirografi; il Comune se ne farà una ragione perché altrimenti in fallimento non vedrebbe nulla. L’unico limite è che tali sanzioni, se restano impagate, per la persona fisica non sarebbero esdebitabili; ma qui il debitore è la società, che tanto si estingue, quindi il problema non si pone.

Novità attesa: Come accennato, la delega 111/2023 prevede che il Governo emani disposizioni per includere i tributi locali nelle transazioni fiscali concorsuali. Ciò semplificherebbe la situazione, dando base legale ai Comuni per accordarsi su riduzioni di IMU, TASI, ecc. Fino ad allora, la pratica è gestita in via analogica e con buon senso.

Debiti da sanzioni, ammende e risarcimenti punitivi

Questa categoria riguarda i debiti che derivano da provvedimenti sanzionatori o da condanne:

  • Sanzioni amministrative pecuniarie: come già analizzato, possono provenire da vari enti (Agenzia Entrate per tributi, Comune per multe, Antitrust per violazione concorrenza, ecc.). Nel concorso, se riguardano la società, sono crediti concorsuali normali e in genere chirografari (a meno che la legge attribuisca privilegio, il che è raro: ad esempio, la sanzione Antitrust non ha privilegio, è un credito dello Stato chirografo). Quindi possono essere falcidiate come gli altri crediti chirografari. È comune vedere concordati dove le sanzioni amministrative vengono pagate in minima parte. Per scrupolo, alcuni tribunali hanno scrutinato la conformità di ciò all’ordine pubblico, specie se la sanzione ha carattere punitivo (es. sanzioni 231/2001 per reati d’impresa). Ma la legge non vieta espressamente di includerle, tranne quelle tributarie che seguono la transazione fiscale. Un esempio: un’azienda condannata dall’Antitrust a €1 milione di multa, fallisce: quell’1 milione è insinuato ma probabilmente non verrà pagato; se fa concordato, può offrire 100k (10%) e quell’importo viene soddisfatto, col restante 900k di multa di fatto inesigibile. L’Autorità accetta di fatto il risultato concorsuale.
  • Sanzioni penali pecuniarie (ammende, multe): se sono a carico della persona fisica (l’amministratore), non sono eliminabili dall’esdebitazione. Se invece (caso raro) la sanzione è a carico della società – es. sanzione 231/2001 nei confronti dell’ente – quella segue il regime di un debito concorsuale dell’ente, quindi potenzialmente falcidiabile in concordato (ma attenzione: una sanzione ex D.Lgs.231 non è semplicemente un credito, è più una misura punitiva; in caso di liquidazione dell’ente non viene “passata” ad altri – cessa con l’ente).
  • Obblighi risarcitori per fatti illeciti (danni extra-contrattuali): se l’impresa è condannata a risarcire dei danni (es. per morti sul lavoro, per concorrenza sleale, per inquinamento), questi debiti rientrano nel passivo come crediti di natura risarcitoria. In un fallimento, la vittima si insinua di regola in via chirografaria (a meno che il danno dia luogo a privilegio speciale, ipotesi non usuale se non c’è ipoteca giudiziale precedente). Il CCII però stabilisce che non opera l’esdebitazione per “i debiti dovuti a titolo di risarcimento dei danni da fatto illecito extracontrattuale”, almeno verso la persona fisica. Ciò riflette un principio di non liberazione totale: quindi, se Tizio fallisce e aveva un debito per risarcimento danni da reato, anche dopo l’esdebitazione quella vittima potrebbe teoricamente perseguirlo (anche se non avrà beni). Nel caso di società che si estingue, anche questo debito rimane senza soddisfo e la vittima non può più nulla contro la società (ma può agire contro eventuali co-responsabili persone fisiche).
  • Obblighi di restituzione per reati (confische): non sono propriamente debiti, ma menzioniamo che se c’è stata una confisca penale di somme, quelle restano confiscate e fuori dal concorso (il creditore non le vede più e lo Stato se le tiene). Non attiene alla “cancellazione” di debiti, ma è un aspetto: i proventi illeciti confiscati non tornano ai creditori.

In sintesi: Debiti derivanti da sanzioni o condanne possono spesso essere falcidiati nelle procedure concorsuali dell’impresa, con l’eccezione di quanto la legge riserva (tributi, mantenimento, danni da reato per persone fisiche esdebitate). Dal punto di vista dell’impresa, quindi, è possibile uscire da un concordato avendo “cancellato” anche multe e ammende ricevute, fatto salvo l’eventuale discorso reputazionale o di giustizia. D’altronde, se l’impresa è estinta, quelle sanzioni non avrebbero comunque più un soggetto su cui far leva.

Va evidenziato però che, per le sanzioni penali a carico di persone, l’ordinamento prevede semmai la conversione in giorni di detenzione (in caso di insolvibilità) e non facilita certo lo “sconto” tramite procedure concorsuali. L’amministratore condannato a 100mila € di multa penale non potrà evitare quel pagamento dichiarando bancarotta e esdebitandosi: la legge glielo impedisce.

Riepilogo breve categorie speciali:

  • Multe e sanzioni amministrative verso società: falcidiabili come chirografi.
  • Multe e sanzioni verso persona fisica: non liberabili con esdebitazione.
  • Danni civili da reato verso persona fisica: non liberabili con esdebitazione.
  • Danni civili verso società: concorsuali, tendenzialmente falcidiabili (anche se moralmente discutibile, ma succede).
  • Sanzioni tributarie: falcidiabili in transazione fiscale (spesso ridotte in toto se imposta pagata).
  • Sanzioni penali 231/2001 a carico ente: procedure concorsuali portano a estinzione dell’ente e quindi cessazione del procedimento 231 (art. 46 D.Lgs 231/01), quindi di fatto non vengono eseguite se l’ente si estingue.

Responsabilità degli Amministratori e degli Imprenditori nella Crisi e Insolvenza

Un aspetto cruciale in parallelo alla sorte dei debiti aziendali è la responsabilità personale di chi gestiva l’impresa: amministratori di società, soci di società personali, imprenditori individuali. Affronteremo separatamente le responsabilità patrimoniali (civili) e le responsabilità penali connesse alle procedure di crisi, considerando cosa il Codice della Crisi prevede al riguardo.

Responsabilità patrimoniale e azioni di responsabilità civili

Società di capitali (Srl, Spa) – Gli amministratori di società di capitali di norma non rispondono personalmente dei debiti sociali (vige la separazione patrimoniale). Tuttavia, in caso di insolvenza della società, spesso emergono possibili azioni di responsabilità per mala gestio. Due sono le principali vie:

  • Azione sociale di responsabilità (art. 2393 c.c. per Spa, 2476 c.c. per Srl): gli amministratori rispondono verso la società per i danni causati da violazione dei doveri. In caso di fallimento/liquidazione giudiziale, questa azione può essere esercitata dal curatore (ex art. 146 L.F., ora ripreso dagli artt. 255-256 CCII) in rappresentanza della società e per conto anche dei creditori. Tipicamente, il curatore cita in giudizio gli ex amministratori chiedendo risarcimento per aver aggravato il dissesto o per operazioni dannose (es. distrazione di beni, spese inutili, ecc.). Se condannati, gli amministratori dovranno risarcire il danno al patrimonio sociale e le somme recuperate andranno a beneficio della massa creditoria.
  • Azione dei creditori sociali (art. 2394 c.c.): scatta quando il patrimonio sociale risulta insufficiente a soddisfare i creditori (cioè in insolvenza). Gli amministratori rispondono verso i creditori se non hanno conservato l’integrità del patrimonio sociale. Anche questa, nel fallimento, è esercitata dal curatore cumulativamente all’azione sociale (azione unitaria ex art. 256 CCII). In pratica le due azioni confluiscono in un’unica azione risarcitoria in ambito concorsuale.

Nel Codice della Crisi, tali azioni sono incoraggiate e facilitate. Una novità importantissima è la modifica dell’art. 2486 c.c. attuata proprio dal Codice (art. 378 CCII): essa introduce criteri presuntivi per quantificare il danno da gestione indebita dopo il verificarsi di una causa di scioglimento (tipicamente la perdita del capitale o lo stato di insolvenza). In sostanza, se gli amministratori hanno continuato l’attività oltre il dovuto:

  • Il danno risarcibile si presume pari alla differenza tra il patrimonio netto alla data di apertura della procedura concorsuale (o cessazione amministratore) e il patrimonio netto alla data in cui si doveva sciogliere la società, al netto dei costi di ordinaria amministrazione nel frattempo.
  • Se mancano le scritture o i netti non si possono calcolare, il danno si presume uguale al deficit fallimentare (differenza tra passivo e attivo accertati).

Questa norma crea una presunzione legale di danno a carico degli amministratori inadempienti, salvo prova contraria. Dunque, nel fallimento, il curatore può semplicemente dimostrare che la società era già da sciogliere (es. capitale azzerato) dal tal momento e che poi il dissesto è peggiorato: la legge quantifica automaticamente il danno come quell’aggravio. L’amministratore per discolparsi deve provare che il danno è diverso o che non c’è nesso causale. Ciò normativizza un orientamento già presente in giurisprudenza e rende più efficaci le azioni di responsabilità. Ad esempio, se una Srl aveva patrimonio netto -50k al momento in cui andava liquidata e al fallimento due anni dopo il deficit è -500k, il danno presunto è 450k. L’amministratore rischia di dover risarcire questa somma (se ha beni personali aggredibili).

In sintesi per le società di capitali: mentre i debiti sociali vengono cancellati con la procedura, gli amministratori potrebbero ritrovarsi personalmente debitori verso la massa per importi risarcitori consistenti. Non è un’automatica conseguenza dell’insolvenza, ma se vi è stata cattiva gestione (anche solo ritardare il doveroso ricorso a procedure) ciò può costare caro. Il CCII inoltre impone agli amministratori doveri di attivarsi per rilevare la crisi (art. 3 CCII, art. 2086 c.c. novellato): la mancata istituzione di assetti adeguati e mancata tempestiva azione può costituire un elemento di colpa grave. Esempio: amministratore che ignorando la perdita di capitale prosegue l’attività accumulando debiti col fisco e fornitori, potrà essere chiamato a risarcire il maggior deficit. C’è da dire che la responsabilità patrimoniale è limitata a quanto effettivamente di danno causato e che comunque bisogna escutere il patrimonio personale dell’amministratore – spesso esiguo rispetto ai debiti aziendali – ma in caso di gravi irregolarità (es. patrimoni distratti all’estero) il curatore può agire con efficacia.

Soci di società di persone (SNC, SAS): Qui vige la responsabilità illimitata e solidale dei soci (accomandatari nelle SAS, tutti i soci nelle SNC) per i debiti sociali. In caso di insolvenza della società, i soci diventano anch’essi falliti (liquidazione giudiziale estesa ex art. 147 L.F., confermato nel CCII art. 256). Quindi:

  • Il patrimonio personale dei soci illimitatamente responsabili viene aggredito nella procedura, di fatto a beneficio dei creditori sociali.
  • Se il patrimonio sociale non basta, i creditori sociali possono rivalersi sui soci (anche dopo un concordato della società se i soci non sono stati coinvolti). Ecco perché conviene ai soci attivarsi anch’essi in parallelo (ad esempio presentare concordato esteso ai soci o comunque regolare la propria posizione). Il CCII consente che nel concordato minore di una società di persone vengano inclusi anche i soci illimitatamente responsabili (essendo anch’essi sovraindebitati).
  • Dunque, i debiti aziendali di società di persone non si cancellano per i soci: ricadono su di loro automaticamente salvo procedure personali.

Imprenditore individuale: Non c’è distinzione tra impresa e persona: tutti i debiti (aziendali e personali) fanno capo allo stesso soggetto. Se la persona fallisce, come visto, può ottenere l’esdebitazione dei debiti residui, ma con le eccezioni (alimentari, risarcimenti, sanzioni). Inoltre, se l’imprenditore individuale ha casa o altri beni personali, questi entrano nella procedura a soddisfacimento dei creditori. Ciò significa che eventuali garanzie personali prestate a creditori aziendali sono in realtà irrilevanti (tanto il creditore concorre comunque sul patrimonio unico). Per l’imprenditore individuale, la responsabilità è totalizzante: risponde con tutto per tutti i debiti, e solo l’esdebitazione finale lo libera residuale.

Garanzie personali prestate da amministratori/soci:
Un caso tipico: l’amministratore di una Srl firma fideiussioni a banche, fornitori, locatori. Come detto, la procedura sulla società non copre i garanti. Quindi tali garanti si ritrovano esposti. Se la società fallisce, i creditori andranno a chiedere loro il pagamento integrale. L’amministratore/fideiussore potrà a quel punto dover valutare:

  • Pagare coi propri beni (rischiando magari l’insolvenza personale),
  • Oppure cercare un accordo con i creditori (saldo e stralcio individuale),
  • Oppure aprire una procedura di sovraindebitamento personale (es. un concordato minore o liquidazione controllata per sé). In quest’ultimo caso, potrà ottenere l’esdebitazione anche di quei debiti di garanzia.

Responsabilità verso il Fisco per amministratori/liquidatori: Ci sono poi specifiche norme che rendono personalmente responsabili gli amministratori o liquidatori in certi frangenti. Ad esempio:

  • L’art. 36 D.P.R. 602/1973 prevede che il liquidatore di una società risponde verso l’Erario dei debiti tributari non pagati fino a concorrenza delle somme distribuite ai soci in sede di liquidazione**. In pratica se l’amministratore/liquidatore scioglie la società e paga prima i soci o altri creditori senza soddisfare il Fisco, può essere chiamato a rispondere per quell’importo.
  • Per l’IVA evasa e le ritenute non versate, se ciò integra reato, l’amministratore può essere condannato penalmente e il giudice penale può disporre il risarcimento del danno all’erario a suo carico in sede civile. Quindi di riflesso ha una responsabilità patrimoniale (oltre che penale).
  • In alcune giurisprudenza, i finanziamenti soci postergati (art. 2467 c.c.) non restituiti perché la società fallisce, possono dar luogo a un’azione contro i soci per non aver capitalizzato a sufficienza: i soci devono restituire solo se avevano già incassato rimborsi nei 2 anni precedenti; se semplicemente perdono quel credito, non subiscono altro. Però se i soci prelevarono utili fittizi o si pagarono compensi sproporzionati in periodo di dissesto, il curatore può chiedere la restituzione (azione di mala gestio o riduzione del capitale fittiziamente distribuito).

In pratica, il Codice della Crisi ha voluto rafforzare la cultura della responsabilità degli organi sociali: chi non attiva per tempo gli strumenti di composizione della crisi e lascia aggravare i debiti rischia di risponderne. Il CCII in più ha anticipato l’entrata in vigore della norma su 2486 c.c. già al 2019, mostrando l’urgenza di dissuadere la gestione “rinviatoria” che accumula passività. Insomma, i debiti aziendali possono essere cancellati in concorso, ma il “conto” può presentarsi agli amministratori in altra forma (risarcitoria).

Esempio: Alfa Srl fallisce con passivo €1 milione. Il curatore scopre che gli amministratori, pur avendo perso il capitale sociale tre anni prima, non hanno né ricapitalizzato né liquidato ma hanno continuato l’attività, peggiorando il buco. Inoltre, alcuni beni sociali sono stati venduti sottocosto a parti correlate. Il curatore avvia un’azione di responsabilità chiedendo €600.000 danni. Il giudice, usando l’art. 2486 c.c., calcola che il patrimonio netto era -100k al momento di perdita capitale e è -700k al fallimento; quindi presume €600k di danno. Se condanna gli amministratori per quella somma, il curatore potrà escutere i loro beni personali (case, conti) per restituire soldi alla massa. Così, indirettamente, parte dei debiti “cancellati” del fallimento vengono comunque pagati – dai gestori, a titolo di risarcimento.

Responsabilità penale concorsuale e “strumenti premiali”

Il diritto penale fallimentare (ora reati concorsuali nel CCII Titolo IX) punisce le condotte fraudolente o irregolari dell’imprenditore e di altri soggetti legate all’insolvenza. Il Codice della Crisi ha sostanzialmente confermato le fattispecie tradizionali della vecchia legge fallimentare, traspuntandole nei nuovi articoli 322 e seguenti. Le principali sono:

  • Bancarotta fraudolenta (art. 322 CCII): l’imprenditore (o il socio illimitatamente responsabile) in liquidazione giudiziale che abbia distratto, occultato, dissipato beni della società, o simulato passività, o sottratto libri contabili, ecc., prima o durante la procedura, commette reato punito con reclusione (fino a 6-10 anni a seconda dei casi). È la figura centrale: punisce chi svuota il patrimonio a danno dei creditori. Viene distinta in bancarotta propria (imprenditore individuale o soci di società) e bancarotta impropria a carico di amministratori, direttori generali, sindaci di società (artt. 329-330 CCII). Include anche la bancarotta documentale (falsificazione o mancata tenuta dei libri).
  • Bancarotta semplice (art. 323 CCII): punisce comportamenti meno dolosi ma colposi che hanno aggravato il dissesto (es. spese personali eccessive, speculazioni azzardate) o la mancata richiesta tempestiva di procedura. Meno grave ma comunque reato (fino a 2 anni).
  • Ricorso abusivo al credito (art. 325 CCII): l’imprenditore che, già dissestato, continua a ricorrere al credito causando pregiudizio ai creditori (ex art. 218 L.F.), punito come reato.
  • Preferenze ai creditori (bancarotta preferenziale): l’imprenditore che prima del fallimento paga o collude con taluni creditori privilegiandoli volontariamente su altri, è punito per bancarotta fraudolenta preferenziale (in CCII art. 322 richiamato, credo).
  • Altri reati minori: Vi sono fattispecie contro le false comunicazioni al tribunale, omessa consegna di beni o documenti al curatore (art. 327 CCII), reati di impedimento all’esercizio delle funzioni degli organi concorsuali, reati dei creditori (es. collusioni per alterare l’adunanza, art. 338 CCII), reati commessi dal curatore (artt. 331-334 CCII, es. peculato del curatore). Anche l’esercizio abusivo di attività dopo l’interdizione fallimentare è reato (art. 340 CCII).

È importante notare che tali reati sono configurati in relazione alla liquidazione giudiziale (fallimento). Cioè scattano se c’è la dichiarazione di liquidazione giudiziale. Che succede però se l’imprenditore ricorre a un concordato preventivo? In teoria, i reati di bancarotta si riferiscono al dissesto e non strettamente al fallimento (bancarotta propria richiede lo stato di insolvenza e la procedura aperta). Nel vecchio regime era discusso se la bancarotta si applicasse in caso di concordato poi risolto. Il CCII non ha sciolto tutte le ambiguità: permane la distinzione tra stato di crisi e insolvenza e alcuni reati fanno riferimento al “dissesto” come elemento. In pratica, se un imprenditore ammette il dissesto in un concordato preventivo, certe condotte pregresse (es. distrazioni) potrebbero non essere perseguibili come bancarotta finché non c’è la conversione in fallimento (liquidazione giudiziale). Però, attenzione: il CCII ha previsto reati anche nelle procedure di composizione negoziata e sovraindebitamento:

  • Nel Titolo IX, Capo IV, vi sono “Reati commessi nelle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento” (artt. 341-343 CCII): sanzionano condotte fraudolente del debitore nel concordato minore o piano del consumatore, analoghe alle bancarotte. Ad esempio, l’art. 341 punisce il debitore in concordato minore che sottrae o dissimula parte dell’attivo o dolosamente aumenta il passivo prima o durante la procedura. Quindi anche chi usa le procedure “minori” in modo fraudolento può essere perseguito.
  • Ci sono reati per l’attestatore o l’OCC che rilascino false attestazioni (questo nel Capo IV o V).
  • Il CCII inoltre ha esteso l’applicabilità di alcune norme penali a soggetti non fallibili che ricorrono a procedure (art. 344 CCII e seguenti).

In parallelo, il Codice ha introdotto misure premiali penali:

  • L’art. 324 CCII prevede la non punibilità in casi di concordato: già dal 2010 esisteva (art. 217-bis L.F.) e ora è confermato come esenzione dai reati di bancarotta. In particolare, se il debitore ha ottenuto l’omologa di un concordato preventivo o di un accordo di ristrutturazione con pagamento almeno del 20% ai chirografari (o 40% nel concordato minore) ecc., non è punibile per bancarotta semplice e preferenziale. L’idea è: se c’è un accordo soddisfacente coi creditori, alcuni reati minori di bancarotta decadono. Ad es., pagamenti preferenziali fatti in periodo di crisi non sono puniti se poi c’è un concordato che salva la baracca (fatti salvi ovviamente i casi di frode grave).
  • Inoltre, il CCII, all’art. 25, prevede attenuanti o esimenti per chi attiva tempestivamente gli strumenti di allerta/composizione. In effetti nella relazione si citano “vasta congerie di misure premiali” per chi ha presentato tempestiva istanza di composizione assistita o domanda di concordato preventivo. Tradotto: l’imprenditore che si attiva presto per gestire la crisi invece di nasconderla può beneficiare di:
    • una causa di non punibilità per alcuni reati minori se il suo comportamento evita danni (questo appare nell’art. 324 CCII e seguenti),
    • una circostanza attenuante speciale se condannato (riduzione pena).
    • Il legislatore ha voluto incentivare l’emersione anticipata: ad esempio, se l’imprenditore collabora con l’esperto nella composizione negoziata e poi comunque finisce in fallimento, potrebbe avere attenuanti.

Da segnalare anche il D.Lgs. 14/2019 ha introdotto (in parte su delega):

  • Un’attenuante per bancarotta se prima della sentenza di fallimento il danno è contenuto (ex art. 323 co.4 e 338 CCII mi pare).
  • Ha mantenuto la riabilitazione fallimentare, e il fatto che se si paga integralmente i creditori, è causa di non punibilità in alcuni casi.

Riassumendo le conseguenze penali:

  • Un amministratore che abbia commesso irregolarità gravi (distrazioni di beni, frodi contabili) non evita la responsabilità penale tramite il concordato: se poi fallisce, quelle condotte verranno perseguite come bancarotta fraudolenta.
  • Se riesce a chiudere con un concordato positivo, alcune condotte (specialmente le preferenziali o la mala gestione semplice) non saranno punibili, come da esenzione di legge. Ma restano punibili eventuali distrazioni dolose di patrimonio (che configurano reati anche se c’è concordato, finché c’è insolvenza conclamata).
  • Il Codice prevede che i reati concorsuali tradizionali entrano in gioco con la liquidazione giudiziale. Quindi, evitare la liquidazione giudiziale riduce il rischio penale. Ciò può spingere a cercare soluzioni concordatarie proprio per non incorrere in reati (non è tuttavia un salvacondotto: se uno ha truffato i creditori e fa concordato, potrebbe comunque essere accusato di altri reati quali truffa o false comunicazioni sociali).
  • L’imprenditore piccolo che fa concordato minore e bara (nasconde beni, simula crediti) commette reati specifici (simili alla bancarotta).
  • In composizione negoziata, non essendo procedura concorsuale, non ci sono reati di bancarotta perché manca la procedura concorsuale formale; tuttavia se fallisce dopo, le condotte precedenti rientrano nella bancarotta come al solito. Se invece l’impresa risolve la crisi e non fallisce, certe condotte non verranno perseguite penalmente (non c’è mai fallimento).
  • Il Codice ha introdotto un nuovo reato (art. 340 CCII) di esercizio abusivo di attività d’impresa durante misure interdittive: punisce chi, malgrado interdizioni dai pubblici uffici a seguito di condanna, continua a dirigere imprese.

Consideriamo un esempio penale: Gamma Srl va in liquidazione giudiziale. Si scopre che nei due anni prima il socio-amministratore ha sottratto merce dai magazzini vendendola “in nero” a suoi conoscenti (distrazione di attivo) e ha pagato con i proventi solo alcuni creditori amici (preferenza). Questo configurerà bancarotta fraudolenta patrimoniale e preferenziale. L’amministratore rischia diversi anni di reclusione. Se invece Gamma Srl fosse riuscita a fare un concordato evitando il fallimento, la condotta della preferenza probabilmente sarebbe non punibile (perché se il concordato va a buon fine, la preferenza è sanata dal contesto), ma la distrazione di attivo è un reato che formalmente richiede la dichiarazione di fallimento per compiersi. In assenza di fallimento, non c’è “bancarotta” in senso tecnico; tuttavia, l’amministratore avrebbe potuto rispondere di appropriazione indebita o autoriciclaggio se la situazione fosse venuta a galla in altro modo. Diciamo che evitare la bancarotta riduce molto la probabilità di conseguenze penali, perché i reati fallimentari sono specifici e la loro perseguibilità è spesso condizionata dall’apertura della procedura. Il legislatore di ciò è consapevole e perciò ha calibrato l’assetto per bilanciare: incentivare la via concordataria (con premi di non punibilità per i reati minori), ma punire comunque chi commette frodi gravi.

Misure premiali in pratica:
Il CCII (art. 324 già citato) non punisce l’imprenditore per bancarotta semplice e preferenziale se:

  • ha chiesto tempestivamente l’accesso a strumenti di regolazione della crisi (composizione negoziata o concordato) e ha agito secondo le prescrizioni;
  • oppure ha ottenuto l’omologa di concordato preventivo, accordo di ristrutturazione o piano attestato andato a buon fine (questo era nel vecchio 217-bis).
    Quindi, ad esempio, la Cassazione in passato affermava che l’ammissione a concordato con pagamento del 30% dei chirografi esclude punibilità per eventuali atti di favore fatti prima (nel limite di preferenziale). Questa linea è recepita a livello normativo.

Conclusione sul penale: Gli amministratori devono temere fortemente:

  • la bancarotta fraudolenta, se fanno sparire beni o falsificano conti – perché ciò è reato grave inevitabilmente punito in caso di fallimento;
  • la bancarotta semplice, se gestiscono male – rischiano reato ma attenuato e magari non punito se si attivano presto;
  • in generale la perdita della propria fedina penale e possibili interdizioni (l’interdizione dai pubblici uffici e l’incapacità di esercitare imprese per 10 anni conseguente a condanna per bancarotta).

Il Codice incoraggia la compliance: amministratori diligenti che attivano subito la composizione negoziata appena vedono segnali di crisi potranno evitare sia gran parte delle sanzioni penali (perché magari non si arriva al fallimento) sia le azioni risarcitorie (perché non aggravano il buco). Amministratori che, viceversa, nascondono la testa sotto la sabbia e portano l’azienda al collasso violando i doveri, vedranno i debiti cancellati per la società ma potrebbero pagare loro con il patrimonio e con la libertà personale in sede civile e penale.

Esempi Pratici e Casi di Studio

Di seguito presentiamo alcuni esempi concreti (basati su situazioni simulate ma realistiche) per illustrare come i principi esposti si applicano nella pratica. Sono stati scelti scenari diversi: il caso di un piccolo imprenditore individuale, il caso di una società di persone familiare e il caso di comportamenti fraudolenti scoperti in ritardo.

Caso 1: Ditta individuale artigiana – concordato semplificato e cancellazione dei debiti
Mario Rossi è titolare di una piccola falegnameria individuale, Impresa Rossi, a conduzione familiare. Negli ultimi anni il fatturato è crollato e Mario ha accumulato debiti significativi. Al 2024 la situazione è: debiti verso fornitori €80.000 (per legname e materiali), un mutuo bancario residuo €50.000 garantito da ipoteca su un laboratorio (valore immobile stimato €60.000), debiti fiscali €20.000 (IVA non versata e imposte dirette, parte di questi privilegiati), debiti verso INPS €5.000 (contributi dipendenti arretrati, anch’essi privilegiati). Non ha dipendenti fissi (usa collaboratori saltuari).

Attivo dell’impresa: il laboratorio di proprietà (valore ~€60k), attrezzature e macchinari (valore realizzo ~€15k), magazzino legname €10k, crediti verso clienti €20k (di cui forse €15k esigibili), e un vecchio furgone €2k. In totale si stima circa €100k di beni/crediti realizzabili (esclusa l’eventuale iniezione di liquidità esterna).

Mario capisce di essere prossimo all’insolvenza: non riesce più a pagare regolarmente fornitori e rate. Nel 2024 si rivolge alla Composizione Negoziata presso la Camera di Commercio. Gli viene assegnato un esperto. Durante i 3 mesi di trattative:

  • Mario propone ai fornitori un pagamento del 40% dilazionato, ma alcuni rifiutano sperando di recuperare di più pignorando il laboratorio.
  • La banca con ipoteca non accetta di ridursi il credito: vuole il valore pieno dell’immobile (punta ad escutere l’ipoteca e recuperare ~€50k).
  • Mario cerca un investitore per cedere l’attività intera, ma data la crisi nessuno offre di rilevare la falegnameria come going concern.
  • Valuta un piano attestato di risanamento, ma l’esperto concorda che l’attività non genera flussi sufficienti a risanare il debito; il mercato del mobile su misura è in forte calo.

Alla fine, l’esperto conclude (maggio 2024) che le trattative non hanno prodotto alcun accordo né soluzione di risanamento attuabile. In base al D.L. 118/2021, questo apre la porta al concordato semplificato. Mario, preso atto che non c’è via di salvataggio, decide di ricorrere al concordato semplificato per liquidazione del patrimonio: ultima spiaggia per evitare il fallimento e regolare la chiusura. Con il supporto di un legale e un commercialista, predispone la domanda in tribunale entro 60 giorni dalla relazione finale dell’esperto.

Proposta di concordato semplificato – Impresa Rossi: Mario propone di liquidare tutti i beni entro 6 mesi dall’omologazione. In particolare:

  • Vendere tramite procedura competitiva il laboratorio (base d’asta €55k; c’è già un interessamento di un artigiano vicino pronto a offrire €60k).
  • Vendere le attrezzature (€15k stimati), il magazzino (€10k) e il furgone (€2k) immediatamente dopo l’omologa.
  • Raccogliere i crediti attivi dai clienti (€15k previsti incassabili).
  • Il fratello di Mario si offre di apportare €10.000 di denaro a fondo perduto per aiutare (essendo cointeressato a chiudere dignitosamente la vicenda).

Massa attiva attesa: €60k dal laboratorio + €15k attrezzature + €10k magazzino + €2k furgone + €15k crediti + €10k apporto familiare = circa €112k disponibili per i creditori (stime prudenti). Il passivo totale è circa €155k.

Distribuzione proposta ai creditori:

  • Banca (ipotecaria): credito €50k garantito da ipoteca sul laboratorio. Valore presunto ricavato immobile €60k. Si propone di soddisfare la banca integralmente: con €60k incassati, si pagherà la banca €50k (100%) e il residuo €10k andrà a disposizione degli altri creditori chirografari.
  • Erario (Agenzia Entrate) e INPS: credito complessivo €25k tra IVA, imposte e contributi, di cui gran parte privilegiati. Il piano prevede di destinare loro una parte del realizzo dei beni mobili: ad esempio €12k ricavati dalla vendita di magazzino + furgone vanno a soddisfare parzialmente questi crediti privilegiati. Ciò copre circa il 48% dei loro crediti privilegiati (12k su 25k). La parte restante (€13k) viene trattata come chirografa, degradando il privilegio per l’incapienza. In più, su quella parte degradada e sugli eventuali debiti fiscali non privilegiati, riceveranno la percentuale chirografaria (che vedremo essere ~48%).
    • In numeri: AE prende, supponiamo, €10k su €20k di imposte dovute; INPS prende €2k su €5k di contributi dovuti, in privilegio. Residuo fisco €10k e INPS €3k passano a chirografo.
  • Fornitori chirografari: credito €80k. A loro andrà il rimanente attivo dopo aver pagato banca e privilegi parziali. Stimiamo rimangano €45k da distribuire sul monte chirografo totale di circa €93k (fornitori €80k + fisco degradato €13k). Questo produce una percentuale di soddisfo chirografario di ~48%. In pratica, ogni fornitore prende circa la metà del proprio credito.
  • Sintesi pagamenti: Banca 100% (€50k); Fisco/INPS privilegiato ~48% (€12k su 25k); Fornitori ~48% (€38k su 80k, provenienti dai €45k pro-quota insieme a fisco degradato). Totale pagato ~€107k su 155k, che coincide con l’attivo disponibile.
  • Classi di creditori: Formalmente, si creano due classi per trasparenza: Classe A – banca ipotecaria e creditori privilegiati (che di fatto sono soddisfatti entro i limiti delle prelazioni); Classe B – fornitori e parti chirografarie (che prendono il 48%). Le classi servono solo ad evidenziare il diverso trattamento, ma non c’è voto dei creditori in questo concordato semplificato; il tribunale valuta se il piano è equo.

Esiti e confronto con fallimento: Con tale piano, tutti i creditori ricevono qualcosa: la banca il 100%, il Fisco/INPS ~48% (sui privilegi; l’IVA residua non pagata tecnicamente è falcidiata, ma l’AdE potrà contabilizzarla come perdita per incapienza, come avviene in transazione fiscale), i fornitori ~48% invece di forse 30% o zero in un fallimento. Inoltre ottengono i soldi in tempi molto rapidi (entro 1 anno) anziché aspettare magari 5 anni di procedura fallimentare per un dividendo minore. Dunque il piano è vantaggioso rispetto al fallimento: è “conveniente” per i creditori e nessuno è pregiudicato.

Mario deposita la domanda di concordato semplificato e chiede misure protettive (sospensione di un pignoramento già avviato da un fornitore sul laboratorio). Il tribunale esamina e, riscontrata la regolarità formale e la buona fede (anche l’esperto negoziatore attesta che Mario ha agito correttamente), ammette la procedura. Nomina un ausiliario indipendente per una verifica (questi conferma che le valutazioni dei beni sono realistiche, ad es. l’immobile effettivamente vale ~€60k). Nessun creditore fa opposizione: è evidente che il concordato conviene anche a loro rispetto a un’incerta esecuzione individuale.

Il tribunale quindi omologa il concordato semplificato. Da qui:

  • Si procede alla vendita dell’immobile (che viene aggiudicato a €61k) e degli altri cespiti secondo il piano.
  • Il liquidatore giudiziale nominato dal tribunale effettua i riparti: paga integralmente la banca (€50k + interessi legali), paga €12k all’Erario/INPS, distribuisce €45k ai chirografari (fornitori e quota fisco degradato).
  • Una volta completate le liquidazioni e pagati anche i costi procedurali residui, il liquidatore presenta il rendiconto finale.

Il tribunale emette il decreto di chiusura della procedura. Trattandosi di impresa individuale, Mario non viene cancellato (è persona fisica), ma i debiti insoddisfatti restano inesigibili verso di lui. In pratica, grazie all’omologazione concordataria e al soddisfo parziale concordato, i creditori non possono pretendere oltre quanto ricevuto. Il concordato liquidatorio, analogamente a un fallimento con esdebitazione, comporta la definitiva falcidia dei crediti concorsuali eccedenti. Mario Rossi può così ricominciare da zero senza l’onere dei vecchi debiti, avendo regolato la situazione concordatariamente. La banca ha avuto tutto, il Fisco e i fornitori hanno accettato la loro parte. Eventuali fideiussori esterni rimangono obbligati per le parti non pagate: nel caso di Mario, però, non c’erano garanti terzi, dunque nessuno subirà rivalse. Se invece, ipotesi, suo fratello avesse garantito un debito, il creditore avrebbe potuto chiedergli la differenza non pagata nel concordato.

Conclusione del Caso 1: tramite il concordato semplificato, la ditta individuale ha cancellato circa €80k di debiti (fornitori €42k non pagati + fisco/INPS €13k non pagati + eventuali interessi/sanzioni ulteriori), sacrificando tutti i beni ma evitando il fallimento. Mario ha perso il laboratorio e i beni aziendali, ma ha evitato procedure esecutive disordinate e, soprattutto, grazie alla procedura ha ottenuto l’esdebitazione immediata dei restanti debiti. Questo gli permette eventualmente di cercare un nuovo inizio (magari come dipendente altrove), libero dai vecchi creditori.

Caso 2: Società in nome collettivo familiare – concordato minore negato e liquidazione
La società Alfa & Co. SNC è gestita dai fratelli Gianni e Luigi Alfa. Opera nel commercio all’ingrosso ed è in dissesto. Ha debiti tributari per €300.000 (IVA non versata e imposte arretrate) e pochissimi altri debiti privilegiati; gli altri debiti sono con fornitori per €50.000. I fratelli presentano una domanda di concordato minore (procedura di sovraindebitamento) proponendo un piano triennale in continuità, con pagamento parziale al 50% dei debiti fiscali e magari 20% ai fornitori. Sperano così di salvare l’attività dilazionando il carico fiscale.

Il tribunale però, esaminando la proposta, la considera inammissibile: emergono gravi carenze. Il piano presentato manca di un’analisi realistica dei flussi di cassa futuri; la gestione pregressa è stata negligente (i soci hanno accumulato debiti senza prendere misure). Inoltre, i ricavi prospettici sono incerti e manca la documentazione di costi/ricavi futuri dell’attività, fondamentale in un concordato in continuità. In base al principio di affidabilità del debitore (art. 80 CCII, analogo al 162 L.F. per concordato preventivo) e alla necessità di dettagliare i flussi, il tribunale rigetta l’omologazione. In pratica, il piano viene respinto perché non sostenibile economicamente e il debitore è ritenuto poco diligente (non ha dato sufficienti garanzie di serietà). Dato il rigetto, la società Alfa & Co. finisce in liquidazione controllata (essendo un sovraindebitato non fallibile). I soci illimitatamente responsabili Gianni e Luigi rispondono con i loro beni personali per i debiti residui, salvo chiedere anch’essi procedure personali (possono richiedere l’esdebitazione dell’insolvenza a fine liquidazione).

Morale del caso 2: Non tutti i tentativi di concordato vanno a buon fine. Un piano irrealistico o una gestione disordinata possono portare al diniego dell’omologa. In tal caso, i debiti non verranno falcidiati via concordato, ma si aprirà la liquidazione d’ufficio. I creditori di Alfa & Co. probabilmente recupereranno poco (qualche percento in liquidazione), e il resto dei debiti sarà eventualmente scaricato sui soci (che però potranno chiedere esdebitazione personale, se meritevoli). Questo caso sottolinea che la cancellazione dei debiti con il Codice della Crisi non è automatica: bisogna presentare piani credibili e comportarsi correttamente. L’istituto non è un bancomat per malintenzionati.

Caso 3: Frode nel concordato minore – revoca dell’esdebitazione
Il sig. Marco Bianchi (imprenditore individuale) presenta un concordato minore con un piano decennale di ristrutturazione che viene approvato dai creditori e omologato dal tribunale. Durante l’esecuzione, però, emergono elementi gravi: il tribunale scopre che Bianchi aveva occultato un rilevante credito verso l’erario (gli spettava un rimborso fiscale che non aveva dichiarato). Un creditore insoddisfatto o il Pubblico Ministero segnala la cosa chiedendo la revoca dell’omologazione per frode ex art. 82 CCII. Il tribunale accerta l’inganno: Bianchi ha mentito sui dati patrimoniali per far apparire la situazione peggiore e ottenere uno stralcio maggiore. A questo punto, viene disposta la revoca del concordato minore e l’apertura della liquidazione controllata. Bianchi perde i benefici del piano: tutti i debiti risorgono per intero, e dovrà affrontare la liquidazione dei beni residui. Potrà eventualmente chiedere l’esdebitazione solo a fine liquidazione controllata, e comunque la sua malafede potrebbe essergli d’ostacolo (il giudice può negare l’esdebitazione a chi ha frodato). Inoltre, Bianchi rischia conseguenze penali: occultare un attivo nel concordato minore costituisce reato di frode concorsuale (paragonabile a bancarotta fraudolenta documentale).

Morale del caso 3: Il Codice tutela i creditori dalle frodi. Se un debitore cerca di far cancellare i debiti barando, perde ogni protezione. La revoca dell’omologa è un potente deterrente: chi mente può veder annullato l’effetto esdebitativo della procedura e finire peggio di prima (perde tempo e fiducia del tribunale). Anche nei concordati preventivi “maggiori” esiste un istituto simile (revoca ex art. 119 CCII, già art. 138 L.F., in caso di atti in frode ai creditori scoperti post-omologa). Ciò ribadisce che la cancellazione dei debiti aziendali è concessa solo a chi rispetta le regole e la trasparenza: diversamente scattano revoche e sanzioni.

Domande Frequenti (FAQ)

D1: Un’impresa in crisi può cancellare i debiti fiscali con il Codice della Crisi?
Sì, il Codice della Crisi consente di gestire e anche ridurre i debiti fiscali, ma con certi limiti. Attraverso il concordato preventivo o un accordo di ristrutturazione, si può proporre una transazione fiscale (art. 63 CCII) che preveda il pagamento parziale/dilazionato di imposte e contributi. Ad esempio, si può offrire di pagare solo il 50% di alcune imposte e magari azzerare sanzioni e interessi. Tuttavia, l’IVA e le ritenute non versate devono in generale essere pagate per intero (non è ammesso tagliarne il capitale), mentre su altre imposte è possibile lo stralcio purché lo Stato ottenga almeno quanto ricaverebbe dalla liquidazione. Quindi non c’è una “cancellazione totale” arbitraria delle tasse: c’è negoziazione e occorre l’assenso del Fisco (o quantomeno il rispetto del trattamento minimo per ottenere l’omologa forzata). In concreto, molti debiti fiscali possono essere ridotti o resi inesigibili dalla procedura (soprattutto interessi e sanzioni, e parte delle imposte se l’alternativa è zero in fallimento). Ma aspettative come “non pagare l’IVA” o “azzerare le ritenute dipendenti” non sono realistiche – quelle voci vanno saldate. Il Codice comunque offre strumenti molto più efficaci di prima per alleggerire il peso fiscale in caso di crisi.

D2: Che succede ai debiti verso i fornitori se l’azienda fa un concordato o fallisce?
In un concordato, i debiti verso fornitori (che sono crediti chirografari) vengono normalmente pagati solo in parte, secondo la percentuale offerta nel piano, e la quota restante è definitivamente cancellata dopo l’omologazione. Ad esempio, se un fornitore ha credito €100.000 e il concordato prevede il 30% ai chirografi, riceverà €30.000 e i restanti €70.000 saranno estinti: non potrà più pretenderli in futuro. Nel fallimento (liquidazione giudiziale), i fornitori partecipano al riparto finale: spesso recuperano poco (diciamo 5-10-20%, dipende dall’attivo). Ciò che non viene pagato rimane insoddisfatto, ma se il debitore è una società, quella somma di fatto diventa inesigibile perché la società sparisce; se è una persona, quell’importo può essere stralciato dall’esdebitazione concessa al fallito. In sintesi: in concordato c’è un taglio concordato dei crediti dei fornitori (che votano a favore tipicamente se conviene loro più del fallimento), nel fallimento c’è un taglio “di fatto” determinato dalla mancanza di attivo (i creditori prendono solo una percentuale e il resto è perso). Il vantaggio del concordato è che spesso offre percentuali migliori e in tempi minori, formalizzando la cancellazione del residuo. Dunque, dal punto di vista del fornitore, i debiti verso di lui vengono eliminati nella misura non pagata sia in fallimento sia in concordato – ma il concordato di solito è un percorso più ordinato e potenzialmente più soddisfacente (se approvato, almeno qualcosa incassa).

D3: I debiti con l’INPS e l’INAIL si possono tagliare in una procedura concorsuale?
Sì, entro certi limiti. Oggi la legge permette di includere anche i debiti contributivi in una proposta di ristrutturazione: la cosiddetta transazione contributiva è parte della transazione fiscale. Ciò significa che in un concordato o accordo si può offrire, ad esempio, di pagare l’80% dei contributi dovuti e di stralciare le sanzioni per ritardato pagamento. L’INPS può aderire e l’omologa rende l’accordo vincolante. Un limite importante: i contributi trattenuti ai dipendenti e non versati (che sono come le ritenute) non possono essere falcidiati – vanno versati integralmente. In più, il piano deve rispettare il privilegio dell’INPS: se ad esempio i contributi hanno privilegio e l’attivo li copre al 30%, non si può offrire meno di quel 30%. Quindi un po’ di negoziazione c’è, ma l’INPS non può accettare meno di quanto incasserebbe liquidando i beni. Va anche detto che se la procedura è fallimentare, interviene il Fondo di Garanzia INPS: i dipendenti prendono stipendi/TFR dal Fondo e l’INPS subentra come creditore privilegiato. In un concordato, di solito si preferisce pagare i debiti verso i lavoratori e l’INPS integralmente o quasi, perché sono prioritari. Tuttavia, soprattutto sui debiti INPS dell’azienda (contributi datoriali) e sulle sanzioni civili c’è margine per riduzioni. In conclusione: sì, anche i debiti previdenziali possono essere oggetto di accordo e parziale “cancellazione”, ma l’INPS esige un trattamento equo. Non si può sperare di non pagare i contributi per niente: al minimo, occorre dare all’INPS una percentuale congrua (spesso elevata) ed eventualmente dilazionata, e solo le sanzioni/aggi possono sparire quasi del tutto.

D4: Se la mia società ha debiti verso il Comune (IMU, TARI), posso includerli in un concordato?
Puoi includerli nel senso di elencarli e prevedere di pagarli parzialmente come gli altri, però c’è una complicazione: non esiste ad oggi una “transazione” formale per i tributi locali. Il Comune non è tenuto ad accettare riduzioni dell’IMU perché l’art. 63 CCII non lo riguarda (vale solo per tributi erariali e contributi). Ciò detto, nella pratica molti concordati hanno incluso i Comuni tra i creditori chirografari e hanno falcidiato i loro crediti. Il Comune partecipa alla votazione: se vede che nel fallimento prenderebbe zero e nel concordato gli offri, ad esempio, il 20%, spesso non si oppone e quindi di fatto accetta il taglio (anche senza una norma ad hoc). Se però il Comune votasse contro, c’è un’area grigia: alcuni tribunali hanno omologato comunque (per analogia col cram-down fiscale), altri potrebbero richiedere il pagamento integrale per prudenza. Da notare che è in arrivo una norma per includere i tributi locali nella transazione fiscale, così da sanare questo vuoto. Nel frattempo, , puoi inserire i debiti col Comune nel concordato: mettendoli ad esempio tra i chirografari al tot%. Nella migliore delle ipotesi, il Comune aderirà o non si opporrà e quindi pagherai solo quella percentuale, cancellando il resto. Nella peggiore, il giudice potrebbe chiederti di garantire un po’ di più per il Comune. In fallimento invece il Comune si comporta come un creditore qualunque: se c’è attivo prende la sua parte, altrimenti nulla. Quindi, di base, sì è possibile ridurre i debiti verso enti locali nelle procedure, ma serve un certo tatticismo perché manca una procedura standard di accordo. È consigliabile coinvolgere l’ente locale nelle trattative (ad esempio, alcuni Comuni aderiscono informalmente a convenzioni).

D5: I soci di una S.r.l. devono pagare i debiti residui dopo il concordato o fallimento della società?
No, i soci di una società di capitali (S.r.l., S.p.A.) non rispondono personalmante dei debiti sociali insoluti, salvo abbiano prestato garanzie o commesso particolari abusi. Quindi se la società chiude con un fallimento e lascia il 70% dei debiti insoddisfatti, i creditori non possono chiederli ai soci (a meno che riescano a “fare velo” dimostrando che la società era una fittizia e ottengano una responsabilità extra-contrattuale, cosa rara e complessa). Il principio è che la società di capitali è un soggetto giuridico autonomo: se i debiti non vengono pagati e la società è cancellata, finisce lì. I soci avranno perso il capitale investito e magari crediti verso la società, ma non devono farsi carico dei debiti residui con il loro patrimonio personale. Eccezioni: Se un socio aveva firmato una fideiussione per un debito (es. garanzia su mutuo), allora come garante rimane obbligato: non per “colpa di essere socio”, ma perché ha stipulato un contratto di garanzia. Oppure, se i soci hanno goduto di pagamenti illegittimi (tipo utili distribuiti fittiziamente mentre c’erano debiti), in teoria il curatore potrebbe chiedere la restituzione di quelle somme. Ma in generale, no: i soci non pagano i debiti sociali. Diverso è il caso delle società di persone (S.n.c., S.a.s.): lì i soci illimitatamente responsabili sì, rispondono in proprio. In una S.n.c., se dopo il concordato restano debiti, i creditori possono aggredire i beni personali dei soci. Ma per S.r.l., S.p.A., no. Ad esempio, Beta Srl fa un concordato e paga i fornitori al 30%: i fornitori non possono chiedere ai soci il 70% mancante.

D6: Se un’azienda in concordato preventivo continua l’attività, i debiti verso i dipendenti vengono pagati? Possono essere falcidiati?
I debiti verso i dipendenti (stipendi arretrati, TFR) devono essere pagati integralmente o garantiti dal Fondo di Garanzia nella quasi totalità dei casi. Nelle procedure, questi crediti hanno privilegio altissimo e una tutela speciale. In un concordato in continuità, è prassi che gli arretrati dei dipendenti siano soddisfatti al 100% (magari in tempi brevi dopo l’omologa) perché per continuare l’attività bisogna avere il personale “dalla propria parte” e la legge di fatto impone di soddisfarli salvo consenso contrario. Non si può chiedere ai dipendenti di votare sì a un concordato dove perdono una parte significativa delle loro spettanze – sarebbe ingiusto e difficilmente ammissibile. Tecnicamente, la legge consente la falcidia solo sulla parte eccedente il privilegio. E il privilegio copre circa gli ultimi 12 mesi di retribuzioni e l’intero TFR. Quindi l’unico scenario in cui un dipendente subisce una riduzione è se aveva crediti molto grandi oltre il limite (es. un dirigente con €300k di TFR, di cui solo circa €50k protetti da privilegio: la parte eccedente può essere tagliata). Ma per i normali lavoratori, stipendi e TFR sono privilegiati e vanno pagati al 100%. Se la procedura non ha fondi, interviene l’INPS a pagare (nel fallimento lo fa regolarmente). Nel concordato, spesso l’azienda si impegna a pagare direttamente almeno quanto il Fondo garantirebbe. Insomma, i dipendenti non vengono lasciati a mani vuote dalle procedure concorsuali. Anzi, la maggior parte delle volte prendono tutto (o tramite il Fondo) e i loro crediti non restano insoluti. Non a caso, raramente si sente di proteste forti dei lavoratori in sede di concordato, perché sanno di essere protetti. Quindi: no, non si può decidere unilateralmente di tagliare gli stipendi dovuti del 50% nel concordato. O li paghi, o il Fondo li paga e poi diventa creditore (che comunque dovrai soddisfare), oppure i lavoratori devono espressamente accettare (cosa improbabile). Ad esempio, l’azienda in concordato potrà dilazionare il pagamento del TFR, ma dovrà pagarlo integralmente entro un certo termine, altrimenti l’INPS interviene. Dunque, i debiti verso dipendenti non vengono “cancellati” – vengono onorati, se non dall’azienda dallo Stato.

D7: Cos’è l’esdebitazione? Chi può beneficiarne e quali debiti non copre?
L’esdebitazione è l’istituto che permette al debitore persona fisica, dopo aver liquidato tutto il suo patrimonio, di ottenere la liberazione dai debiti residui non pagati nella procedura. In pratica è il fresh start: il debitore esce “pulito” e i creditori non possono più pretendere nulla di quanto è rimasto insoddisfatto. Possono beneficiarne:

  • L’imprenditore individuale fallito (ora in liquidazione controllata o giudiziale). Nel Codice attuale l’esdebitazione opera di diritto dopo la chiusura della procedura o anche dopo 3 anni dall’apertura, se il debitore è stato cooperativo e onesto.
  • I soci illimitatamente responsabili falliti (parificati a imprenditori).
  • I debitori civili sovraindebitati (consumatori, piccoli imprenditori) in liquidazione controllata: anch’essi possono chiedere l’esdebitazione a fine procedura.
  • Perfino il debitore incapiente totale (nullatenente) può chiedere l’esdebitazione “a zero” una volta nella vita, come introdotto dal 2020 e confermato (art. 283 CCII).

Le società di capitali invece non “beneficiano” di esdebitazione – semplicemente si estinguono e i debiti spariscono con loro (ma non c’è un soggetto a cui dare un fresh start, la società cessa). L’esdebitazione è concetto riferito alla persona che può ricominciare.

Debiti esclusi dall’esdebitazione: Come da art. 278 CCII, alcuni debiti restano anche dopo l’esdebitazione:

  • Obblighi di mantenimento e alimentari (es: gli alimenti dovuti all’ex coniuge, gli assegni familiari arretrati).
  • Debiti per risarcimenti danni da fatti illeciti extracontrattuali (es: se il debitore era responsabile di lesioni personali e doveva un risarcimento alla vittima, quello rimane).
  • Sanzioni penali e amministrative pecuniarie non accessorie a debiti estinti (quindi, ad es., multe stradali, ammende per reati – rimangono dovute).
    Quindi l’esdebitazione non cancella certe categorie di debiti “sensibili” e personali. Tutto il resto sì: debiti commerciali, fiscali, bancari ecc. rientrano nella liberazione (salvo che il giudice la neghi per indegnità del debitore, ad esempio un condannato per bancarotta fraudolenta non può essere esdebitato). In generale, la stragrande maggioranza dei debiti viene cancellata. E infatti è uno strumento fondamentale per dare all’imprenditore onesto ma sfortunato la possibilità di ripartire senza essere perseguitato a vita dai creditori.

D8: Qual è la differenza tra concordato preventivo e concordato semplificato?
Il concordato preventivo è la procedura “ordinaria” di regolazione della crisi, aperta a imprenditori non piccoli in stato di crisi o insolvenza, caratterizzata dalla votazione dei creditori: i creditori esprimono il loro voto sul piano proposto e servono maggioranze per approvarlo. Ci sono organi nominati (commissario giudiziale) e può perseguire sia la continuità aziendale sia la liquidazione. Ha una procedura più lunga e complessa (ammissione, adunanza, voto, omologa). Il concordato semplificato, invece, è riservato ai casi di composizione negoziata fallita ed è senza voto dei creditori. È molto più rapido: decide tutto il tribunale in sede di omologa, i creditori possono solo fare opposizione ma non votano. Inoltre, il semplificato è solo liquidatorio (non consente la continuazione diretta dell’impresa oltre la vendita eventuale a terzi). Altre differenze:

  • Nel preventivo c’è un commissario giudiziale e un giudice delegato durante la procedura; nel semplificato no, c’è solo eventualmente un esperto ausiliario e poi un liquidatore nominato all’omologa.
  • Il preventivo è accessibile solo a imprenditori soggetti a fallimento (no piccoli) e in stato di insolvenza (per la domanda normale); il semplificato è accessibile anche ai piccoli, perché la composizione negoziata è aperta a tutti (anche imprese “minori” possono farla) e dunque il semplificato può coinvolgere anche loro.
  • Il semplificato nasce come “piano B” dopo composizione negoziata: non ci si può accedere direttamente senza aver prima tentato la negoziazione, mentre il preventivo si può chiedere subito appena c’è crisi.

In breve: concordato preventivo = procedura standard, con voto creditori, più garantista e strutturata, anche per continuare l’azienda; concordato semplificato = procedura speciale introdotta nel 2021, senza voto, solo per liquidare in fretta, successiva a composizione negoziata fallita. Dal punto di vista del risultato per i creditori, nel semplificato possono subire ugualmente la falcidia dei loro crediti senza aver votato, per decisione del giudice. Questo rende il semplificato un’arma a doppio taglio: ottimo per velocizzare laddove ogni accordo è fallito, ma richiede molta attenzione da parte del tribunale nel valutare la convenienza del piano per evitare abusi.

D9: La composizione negoziata mi tutela dai creditori subito? Cosa succede se durante le trattative qualcuno vuol fare pignoramenti?
La composizione negoziata di per sé non blocca le azioni dei creditori automaticamente. Tuttavia, l’imprenditore che deposita l’istanza può chiedere al tribunale l’applicazione di misure protettive (art. 18 CCII), ossia un decreto che sospende o vieta l’inizio di azioni esecutive o cautelari dei creditori durante le trattative. Queste misure sono simili al “automatic stay” di altre procedure. Quindi, se teme pignoramenti, l’imprenditore in composizione negoziata dovrebbe:

  • depositare l’istanza di composizione e contestualmente l’istanza di misure protettive al tribunale competente;
  • il tribunale, se concede le misure, emette un provvedimento che viene comunicato ai creditori (anche via PEC, registro imprese ecc.);
  • da quel momento e per la durata (massimo inizialmente 4 mesi prorogabili di 4, come nel concordato pre fallimentare), i creditori non possono iniziare o proseguire pignoramenti sul patrimonio dell’impresa. Eventuali pignoramenti in corso restano sospesi;
  • attenzione: le misure protettive non riguardano però i diritti di credito in sé (es. non impediscono compensazioni, non fanno venir meno le cause di scioglimento dei contratti se legate a inadempimenti, etc.). Servono solo a congelare l’aggressione giudiziale.

Quindi la composizione negoziata può proteggere dai creditori, ma devi richiederlo e il giudice valuta se c’è una prospettiva concreta di risanamento (non vengono date a cuor leggero per evitare solo dilazioni). Nel frattempo, ai creditori è anche impedito di non fornire più beni/servizi pattuiti per il solo motivo dei precedenti inadempimenti (c’è una norma che agevola la continuità dei contratti essenziali). Se non chiedi misure protettive, i creditori potrebbero proseguire azioni (il che magari complica le trattative).

La negoziazione in sé è riservata (non pubblica finché non chiedi protezioni), perciò alcuni scelgono di non attivare misure per non far sapere a tutti che sono in crisi. Va valutato caso per caso. Se i creditori sono collaborativi, magari non serve il “ombrello” giudiziale; se qualcuno minaccia un’esecuzione che comprometterebbe tutto, allora conviene farlo.

D10: Che rischi corre l’amministratore di una società insolvente?
L’amministratore rischia su più fronti:

  • Azioni di responsabilità patrimoniale: se con la sua gestione ha violato i doveri e causato un danno ai creditori o alla società, potrà essere citato in giudizio dal curatore (o dai creditori stessi in alcuni casi) per risarcimento. Rischia di dover pagare di tasca propria parte del buco, in particolare per la tardiva emersione della crisi. Il Codice ha introdotto una presunzione di danno pari all’aggravamento del dissesto causato dal proseguire l’attività oltre il dovuto. Quindi, se ha tardato a chiedere il concordato/fallimento e i debiti sono cresciuti, gli potranno chiedere almeno quell’aggravio. Esempio: doveva liquidare quando i debiti erano 1 milione, ha tirato avanti fino a farli diventare 2 milioni; potrà dover risarcire 1 milione. Ovvio, se ha beni personali o assicurazioni D&O, saranno escussi. Se è nullatenente, quell’azione potrà essere infruttuosa ma la condanna può rovinarlo a vita (divieto di assumere altre cariche, ecc.).
  • Responsabilità per specifiche violazioni verso Fisco/terzi: se, ad esempio, in fase di liquidazione ha pagato i soci e non il Fisco, potrà risponderne (art. 36 DPR 602/73). Se non ha versato IVA e ritenute oltre soglie, ha commesso reati tributari (omesso versamento) e ne risponde penalmente a livello personale.
  • Responsabilità penale concorsuale: se si apre il fallimento, scatta la possibilità di incriminazione per reati fallimentari. L’amministratore rischia:
    • Bancarotta semplice (fino a 2 anni di pena) se ha aggravato la crisi per colpa (es. non ha tenuto contabilità, ha fatto spese imprudenti).
    • Bancarotta fraudolenta (fino a 6-10 anni) se ha fatto atti distrattivi, preferenze dolose, frodi contabili. Ad esempio se ha nascosto merce, se ha pagato un creditore amico preferendolo, se ha falsificato i bilanci per ottenere credito ingannando le banche – tutte condotte che in caso di fallimento sono reati seri.
    • Reati ulteriori: false comunicazioni sociali, omessi versamenti IVA (reati tributari) – anche questi spesso emergono in un fallimento e portano a condanne.
  • Incapacità e interdizioni: una condanna per bancarotta fraudolenta porta come pena accessoria l’interdizione dai pubblici uffici e dall’esercizio di impresa per 10 anni. Significa che l’amministratore condannato non potrà fare l’amministratore altrove per lungo tempo. Anche senza condanna, il semplice fatto di aver portato la società a fallimento comporta per lui l’annotazione nel registro dei falliti (che però oggi è in disuso e l’esdebitazione la cancella, ma rimane traccia).
  • Perdita del capitale investito e conseguenze civili: oltre ai debiti risarcitori e penali, l’amministratore di solito è spesso socio. Quindi vede azzerarsi il valore delle proprie quote, magari perde eventuali finanziamenti soci (che sono postergati, quindi irrimediabilmente persi in insolvency). Se aveva dato garanzie personali, verrà escusso come fideiussore. Quindi il danno economico personale può essere notevole.

Il Codice cerca di “salvare” l’amministratore virtuoso: se lui si attiva presto con la composizione negoziata, collabora con l’esperto e magari si arriva a un concordato, alcune punizioni penali non scattano (v. esenzione reati di bancarotta semplice/preferenziale). E anche in sede civile, se adempie ai doveri di assetto e allerta (nuovo art. 2086 c.c.), difficilmente gli verrà imputato aggravamento. Quindi un amministratore diligente che ammette la crisi per tempo e cerca soluzioni, in genere non verrà perseguitato, a meno che non abbia commesso frodi.

Riassumendo: l’amministratore rischia molto se gestisce male una crisi: da dover rispondere coi propri beni a finire in galera nei casi peggiori. Al contrario, usando bene gli strumenti del Codice (allerta precoce, concordati trasparenti) può evitare gran parte di questi guai. Il legislatore ha voluto spingerlo in questa seconda direzione.

D11: Quali sono i vantaggi di risolvere la crisi con strumenti come accordi o concordati rispetto a lasciare che l’azienda fallisca?
Ci sono vari vantaggi:

  • Per l’imprenditore/debitore: Un concordato (o accordo) consente di gestire attivamente la crisi invece di subirla. Può salvare la continuità aziendale (nel concordato in continuità) e quindi preservare valore, posti di lavoro e magari la propria fonte di reddito. Permette anche di negoziare condizioni migliori con i creditori (dilazioni, stralci, nuova finanza) di quelle che subirebbe in un fallimento liquidatorio. Inoltre, un concordato riuscito evita lo stigma del fallimento e alcune conseguenze penali (vedi premialità di cui sopra). Dà anche maggiore controllo: nel fallimento arriva un curatore e spossessa completamente l’imprenditore, mentre nel concordato l’imprenditore spesso rimane in carica (con la vigilanza) se in continuità, o comunque concorda lui come liquidare. Infine, l’esdebitazione in caso di fallimento arriva solo dopo anni a fine procedura, mentre con un concordato l’esdebitazione (implicita) dei debiti avviene subito con l’omologazione. Esempio: col concordato Mario Rossi ha chiuso con i creditori in 1 anno e poi era libero; col fallimento magari sarebbero serviti 5-6 anni per arrivare a esdebitazione.
  • Per i creditori: Paradossalmente, possono trarre vantaggio: un accordo può offrire loro una soddisfazione maggiore e più rapida che non il fallimento. Nel caso pratico, i fornitori in concordato semplificato hanno preso 48% in 1 anno; se Mario fosse fallito, forse avrebbero preso 20% dopo 5 anni. Inoltre, nel concordato i creditori hanno voce (voto), mentre nel fallimento subiscono passivamente le decisioni del curatore. Certo, nel semplificato non votano, ma almeno vedono una prospettiva di incasso rapida – se fosse troppo sfavorevole possono fare opposizione. Quindi spesso i creditori (almeno quelli non privilegiati) preferiscono un buon concordato a un fallimento: minor incertezza, minor durata, costi procedurali minori (il fallimento erode attivo con spese legali, curatore ecc. per anni).
  • Per il sistema economico: Concordati e accordi tendono a recuperare valore. Una continuità aziendale evita la dispersione di avviamento e know-how; anche una liquidazione concordataria competitiva di solito è più efficiente di un fallimento frammentato. Si pensi ai grandi concordati dove si cede l’azienda in esercizio: i creditori recuperano più che in una vendita fallimentare a pezzi, e i dipendenti mantengono il lavoro col nuovo acquirente. Dunque c’è un valore aggiunto sociale.
  • Costi reputazionali e procedurali: Il fallimento è un marchio pesante per l’imprenditore (anche se oggi mitigato dall’esdebitazione). Un concordato concluso con successo può lasciare l’imprenditore con la dignità di aver pagato almeno in parte e di non essere fallito. Anche per i creditori, partecipare attivamente a una soluzione concordata può portare a rapporti migliori (un fornitore che ottiene 50% in concordato e continua a lavorare con l’azienda risanata potrà recuperare in futuro il resto su nuove forniture – se l’azienda fosse fallita, avrebbe perso il cliente e incassato poco).

Naturalmente, i concordati non sono sempre migliori per tutti. Se il debitore è disonesto, un fallimento con un curatore tosto può recuperare attivo nascosto (azioni revocatorie, ecc.) e punire condotte scorrette – i creditori a volte preferiscono ciò. Ma in genere, specie con il nuovo Codice che premia trasparenza, conviene provare le soluzioni di regolazione concordata.

Tabelle Riepilogative

Di seguito proponiamo alcune tabelle riassuntive per fissare i punti chiave emersi.

Tabella 1 – Tipologie di debiti e possibilità di falcidia (riduzione) nei piani di crisi

Categoria di DebitoTrattamento / FalcidiabilitàNote
Debiti chirografari (fornitori, trade, banche senza garanzie)Sì, falcidiabili liberamente nei limiti della convenienza del piano. Parte non pagata è cancellata all’omologa.Di solito soggetti a voto creditori. Minimo 20% se concordato liquidatorio.
Debiti privilegiati (ipotecari, pignoratizi, privilegi generali)Parziale. Devono essere pagati integralm. fino a capienza del bene o valore privilegio. L’eccedenza oltre il valore bene diventa chirografa e può essere falcidiata.Privilegiati possono volontariamente accettare riduzioni maggiori, ma non si può imporre senza declassamento.
Debiti fiscali (Erario – imposte)Sì, con limiti. Possibile falcidia tramite transazione fiscale, ma IVA e ritenute vanno pagate 100% (no stralcio sul capitale). Altre imposte falcidiabili se offerto ≥ valore di liquidazione. Sanzioni e interessi , falcidiabili quasi totalmente.Necessario accordo con AE o cram-down ex art.48 co.5 CCII. Enti locali esclusi formalmente (al 2025).
Debiti previdenziali (INPS, INAIL)Sì, con limiti. Inclusi in transazione contributiva (dal 2022). Principio analogo al Fisco: contributi falcidiabili se rispetto convenienza. Contributi lavoratori trattenuti no, da pagare full. Sanzioni civili falcidiabili.L’INPS richiede almeno pagamento quota privilegiata pari a liquidazione. Possibile dilazione fino 120 rate (PNRR 2023).
Debiti verso dipendenti (salari, TFR)No, non riducibili. Devono essere pagati integralmente (tramite procedura o Fondo di Garanzia INPS). Eventuale eccedenza oltre limiti di privilegio = chirografa, ma casi rari (dirigenti con super TFR).Privilegio altissimo (2751-bis). Concordati in continuità prevedono pagamento 100% arretrati. Fondo INPS copre 3 mesi salari + TFR se insolvenza.
Debiti finanziari garantiti (mutui ipotecari, leasing)Limitatamente. Falcidiabili solo per la parte non coperta dalla garanzia (parte chirografa dopo stima bene). Garanzia su bene va rispettata: creditore prende valore bene.Si può modulare pagamento (es. interessi ridotti, dilazione). Banche a volte accettano stralci parziali su parte garantita, ma è su base volontaria.
Debiti finanziari chirografari (prestiti, obbligazioni)Sì, falcidiabili al pari degli altri chirografari (spesso classi dedicate per obbligazionisti).Obbligazionisti votano per classe. Credito derivati idem (chirografo).
Debiti da garanzie prestate (fideiussioni)N/A (non debito impresa, ma impegno socio/ammin.). Il debitore principale può falcidiare il suo debito; il garante esterno resta obbligato sul residuo non pagato.Se garante paga, subentra con surroga (ma credito surrogato spesso chirografo tardivo). Garanti possono fare proprio concordato minore se travolti.
Debiti ambientali (bonifiche)Non falcidiabili come obbligo di fare. Se P.A. interviene, suo credito per spese è chirografo (falcidiabile, ma di solito c’è poco attivo = resta scoperto).Procedura non può estinguere obbligo bonifica: se impresa continua, deve attuare bonifiche; se liquida, P.A. sostituisce e poi tenta insinuazione.
Sanzioni amministrative (multe, ammende, etc.)Sì per l’impresa. Crediti chirografari dello Stato/ente. Possono subire falcidia come altri chirografi nel concordato (nessun privilegio di solito). No per persona fisica esdebitata: restano esclusi (non cancellati da esdebitazione).Esempio: multa Antitrust €1M → concordato paga 100k (10%), 900k persi per Stato. Multe stradali idem. Ma se a carico persona (es. titolare ditta indiv.), esdebitazione non copre e restano dovute post-procedura.
Risarcimenti danni extracontrattualiSì per società (chirografo). Crediti vittime concorrono chirografo → falcidia possibile. No per persona fisica esdebitata: esclusi (es. debiti da reato, lesioni).Società: se condannata a danni ambientali, crediti chirografi falcidiati in concorso. Persona: se condannato a risarcire, quel debito resta anche dopo esdebitazione (creditore può inseguirlo ancora, sebbene spesso inutilmente).

Tabella 2 – Principali procedure del Codice della Crisi e relative caratteristiche

ProceduraChi può accedereCome funzionaEffetti sui debitiDurata tipica
Piano attestato di risanamento (stragiudiziale)Imprese di ogni tipo (anche individuali).Accordo privato con creditori, con piano asseverato da esperto indipendente. Nessuna omologazione tribunale (solo pubblicazione ai fini esimenti).Non vincola i non aderenti. Debiti ridotti solo per chi firma accordi. Protezione da revocatoria sugli atti eseguiti come da piano.N/D (nessuna procedura giud.). Pochi mesi per predisporlo; esecuzione secondo piano (anche anni).
Accordo di ristrutturazione dei debiti (ex 182-bis)Imprenditori commerciali e agricoli, di norma soggetti a fallimento (ma dal 2021 anche sotto-soglia con concordato minore analogo).Contratto con ≥60% creditori (o 30% in accordo agevolato). Omologato dal tribunale. Creditori dissenzienti non aderenti: formalmente non vincolati, ma soggetti a moratoria e se integralmente soddisfatti per legge, di fatto subiscono il piano. Possibili estensioni a categorie (accordo ad efficacia estesa).Debiti ridotti secondo accordo per aderenti (parte falcidiata stralciata definitivamente). Non aderenti: devono essere pagati per intero se non si estende efficacia. Possibile transazione fiscale (art. 63 CCII) per debiti Erario/INPS.~3-6 mesi per negoziare e raccogliere adesioni; omologa in pochi mesi (procedimento non complesso se requisiti ok). Esecuzione secondo scadenze concordate (può durare anni).
Piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (PRO)Imprenditori in crisi/insolvenza. Introdotto 2022.Procedura giudiziale senza voto assembleare, con possib. di cram-down su classi dissenzienti. Debitore forma classi e chiede omologa con adesione di certe maggioranze o comunque rispetto condizioni di legge per imporre il piano.Debiti ristrutturati secondo piano omologato dal giudice, che può imporlo ai dissenzienti. Quindi falcidia possibile su crediti anche senza consenso di tutti (basta consenso di maggioranze qualificate). In pratica simile a concordato ma con più flessibilità di classi e niente voto formale generale.Tempi simili a un concordato preventivo breve (2-4 mesi per omologa).
Composizione negoziata (procedura di allerta/soluzione stragiudiziale assistita)Qualsiasi imprenditore (anche “piccolo” non fallibile) con segnali di squilibrio potenziale (non serve insolvenza conclamata).Procedura volontaria, riservata. Nomina di un esperto indipendente che aiuta a negoziare con creditori. Possibili misure protettive su istanza (stop azioni esecutive) e autorizzazioni a finanziamenti prededucibili. Esito: accordo stragiudiziale, o accordo di ristrutturazione, o accesso ad altra procedura (concordato, ecc.), oppure nessun esito.Di per sé non riduce i debiti coattivamente (nessun effetto se non si raggiunge un accordo). Se riesce, porta a accordi volontari (saldo e stralcio, moratorie) o incanala verso concordato semplificato. Può includere accordi con Fisco/INPS grazie a art.23 c.2-bis CCII dal 2024 (trattative per transazione fiscale anche qui).Periodo negoziazione: 3 mesi + eventuali 3 di proroga. Se fallisce, entro 60 gg si può proporre concordato semplificato.
Concordato preventivo (artt. 84+) – in continuità o liquidatorioImprenditori commerciali non piccoli (soggetti a fallimento) in stato di crisi o insolvenza. (Professionisti e imprese sotto-soglia vanno nel concordato minore analogo).Procedura giudiziale con controllo tribunale. Debitore propone piano a creditori, suddivisi in classi se opportuno, e sottopone a voto. Se maggioranze >50% crediti (per classe o tot) raggiunte, si va a omologa tribunale (con eventuale cram-down minoranze dissenzienti se classi approvano). Durante la procedura gestione attività sotto vigilanza commissario.Ampi effetti su debiti: quelli anteriori all’omologa restano congelati durante la procedura, poi sono soddisfatti secondo piano e la parte non pagata è definitivamente cancellata (salvo eccezioni legali). Privilegiati da pagare salvo degradazione a chirografo per parte incapiente. Debiti fiscali/transazione fiscale possibile. Ai garanti esterni i debiti non pagati restano dovuti (nessun effetto liberatorio per fideiussori).Procedimento pre-omologa: ~4-6 mesi (dipende da complessità, votazioni, possibili opposizioni). Esecuzione del piano: variabile (può durare anni se pagamenti dilazionati). Concordato in continuità può prevedere adempimenti fino a 5 anni o oltre.
Concordato semplificato (art. 25-sexies) – liquidatorio senza votoSolo imprenditore che ha tentato composizione negoziata senza esito. Anche piccolo imprenditore. Deve essere insolvente o in crisi conclamata.Procedura giudiziale espress, no voto creditori. Debitore propone piano di liquidazione patrimoni. Tribunale valuta e omologa direttamente se ritiene equo, dopo aver sentito eventuali opposizioni creditori. Niente commissario pre-omologa; nominato liquidatore giudiziale post-omologa per eseguire vendite. Nessuna continuazione attività salvo funzionale a vendita beni.I creditori sono soddisfatti coi ricavi liquidazione secondo prelazioni. Anche senza il loro voto, l’omologa rende vincolante il piano: gli importi non pagati restano inesigibili verso il debitore. Effetto esdebitazione per debitore persona fisica al termine; se società, estinzione società. Garanti terzi rimangono obbligati per residui.Veloce: omologa in ~2-3 mesi (niente adunanza). Liquidazione poi dipende da beni (qualche mese se beni mobili, 1-2 anni se ci sono immobili da vendere). Tendenzialmente più rapido di fallimento equivalente (meno burocrazia, creditori coinvolti prima).
Concordato minore (Titolo IV Capo II, art. 74+) – sovraindebitamentoDebitori “sotto soglia” non fallibili: piccoli imprenditori, professionisti, imprenditori agricoli, start-up innovative, enti non commerciali, consumatori imprenditori (non il consumatore puro). Stato di sovraindebitamento (incapacità di adempiere regolarmente).Procedura simile al concordato preventivo ma semplificata. Necessaria relazione di un OCC (Organismo Composizione Crisi) che attesta fattibilità e veridicità. Creditori votano (maggioranza >50% crediti), omologa del tribunale. Può prevedere continuità o liquidazione. Principi analoghi al concordato maggiore, adattati.Debiti falcidiabili come in concordato preventivo (anche fiscali con transazione). Previsto cram-down fisco/INPS analogo: se voto contrario decisivo, giudice può omologare se trattamento ≥ liquidazione. Esdebitazione del sovraindebitato alla fine (automatica per persona fisica). Se frodi, revoca omologa e si apre liquidazione controllata.Procedura snella: niente commissario (c’è OCC). Tempistiche 3-4 mesi per omologa tipicamente. Esecuzione piano come concordato (può durare fino a 4-5 anni se continuità).
Ristrutturazione dei debiti del consumatorePersona fisica consumatore non imprenditore in sovraindebitamento.Simile a concordato minore ma senza voto creditori (il tribunale omologa se ritiene il piano equo e fattibile, i creditori possono solo opporsi).Debiti falcidiabili, salvo quelli esclusi per legge (alimentari, risarcimenti, sanzioni – che restano dovuti post esdebitazione). Richiede meritevolezza: se consumatore ha colpa grave nell’indebitarsi, niente omologa.~2-3 mesi procedura. Pagamenti secondo piano (max 7 anni di norma).
Liquidazione giudiziale (ex fallimento)Imprenditori commerciali non piccoli insolventi; soci illimitatamente responsabili.Procedura concorsuale classica liquidatoria. Tribunale nomina curatore che gestisce e liquida tutto. Creditori concorrono secondo prelazioni. Stop a tutte le azioni individuali.I debiti sono soddisfatti per quanto possibile con l’attivo. Esdebitazione: debitore persona fisica ottiene liberazione residui a fine procedura (o dopo 3 anni) se onesto. Società si estingue e residui debiti restano senza soggetto. Garanti terzi restano obbligati.Lunga: durata media 5-7 anni per completare vendite e riparti, ma può variare (fallimenti complessi durano anche >10 anni).
Liquidazione controllata (sovraindebitamento)Debitori civili e piccoli non fallibili insolventi (inclusi consumatori). Anche aperta d’ufficio se fallisce un concordato minore o piano consumatore.Procedura simile a fallimento ma sotto controllo OCC/giudice. Nomina liquidatore che vende beni e paga creditori secondo cause prelazione.Come fallimento: riparto attivo secondo gradi. Persona fisica chiede esdebitazione finale (più facile, spesso automatica). Prevista anche esdebitazione “incapiente” senza attivo (art. 283 CCII).Durata 4-5 anni tipica (ma si cerca di chiudere prima se patrimonio modesto).
Liquidazione coatta amministrativa (procedura speciale)Imprese particolari (banche, assicurazioni, cooperative) soggette a LCA ex legge.Nominato commissario liquidatore dall’autorità di vigilanza. Procedura amministrativa, vigilanza ministeriale.Simile a fallimento per effetti su debiti (concorsualità). Leggi speciali prevedono a volte trattamenti di favore per certe categorie (es. depositanti bancari rimborsati da FITD). Esdebitazione persona fisica ammessa come in fallimento.Variabile a seconda settore. Non trattata in dettaglio in questa guida (fuori Codice della Crisi per banche e assicurazioni).

Fonti Normative e Giurisprudenziali Utilizzate

(In questa sezione elenchiamo i principali riferimenti normativi e giurisprudenziali citati o rilevanti, aggiornati a maggio 2025, che hanno informato la guida.)

Normativa primaria (leggi e decreti):

  • Regio Decreto 16 marzo 1942 n. 267 – Vecchia Legge Fallimentare. In particolare art. 182-ter L.F. (transazione fiscale), art. 160 L.F. (divieto falcidia IVA, poi superato), art. 216-217 L.F. (reati di bancarotta). Abrogata e sostituita dal Codice della Crisi, ma citata per riferimenti storici e in giurisprudenza pre-riforma.
  • D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII). Fonte principale. Contiene:
    • Parte sulle procedure di allerta e composizione assistita (poi modificata dal DL 118/21),
    • Procedure di regolazione della crisi: piano attestato (art. 56), accordi di ristrutturazione (57-64), concordato preventivo (84-120), liquidazione giudiziale (121-270), sovraindebitamento: concordato minore (74-83), ristrutturazione consumatore (67-73), liquidazione controllata (268-277), esdebitazione (278-283).
    • Transazione fiscale e contributiva: art. 63 CCII disciplina transazione su tributi e contributi; art. 88 CCII per il trattamento dei crediti fiscali nel concordato; art. 48 co.5 CCII (cram-down Fisco/enti).
    • Composizione negoziata: Art. 23 CCII (come modificato) sulle misure protettive e estensione transazione fiscale.
    • Responsabilità e doveri organi sociali: art. 3 CCII (adeguati assetti); art. 375 CCII (riforma art. 2086 c.c.); art. 378 CCII (nuovo comma 3 art. 2486 c.c. – criteri quantificazione danno).
    • Titolo IX – Disposizioni Penali: art. 322 CCII (bancarotta fraudolenta), 323 (semplice), 324 (esenzioni di pena), 325 (ricorso abusivo credito), 327 (fatti di falso/inadempimento documentale), 329-330 (bancarotta impropria organi societari), 338-339 (reati dei creditori e terzi), 341-342 CCII (reati nelle procedure di sovraindebitamento, es. frode del debitore sovraindebitato), 344 (falsa attestazione).
    • Art. 389 CCII (entrata in vigore anticipata art. 378 CCII).
  • Decreto Legge 24 agosto 2021 n. 118, conv. in L. 147/2021 – Ha introdotto la Composizione negoziata della crisi e il Concordato semplificato. Inserito poi nel CCII tramite D.Lgs. 83/2022. Rilevante: art. 2 DL 118/21 (istituzione composizione negoziata), art. 11 (concordato semplificato, poi trasfuso come art. 25-sexies CCII).
  • D.Lgs. 17 giugno 2022 n. 83Primo correttivo/attuazione Direttiva UE 2019/1023. Ha modificato varie parti del CCII: introdotto il Capo I-bis (art. 64-bis e ss.) sul Piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (PRO); ampliato la transazione contributiva (ha incluso contributi in art. 63 CCII); esteso il cram-down fiscale anche agli enti previdenziali (ha modificato art. 48 co.5 CCII).
  • D.Lgs. 28 settembre 2023 n. 136Secondo correttivo (c.d. correttivo-ter). Ha ulteriormente modificato il CCII: confermato contributi in transazione fiscale, introdotto art. 23 co.2-bis CCII (estensione transazione fiscale alla composizione negoziata), aggiustato norme su concordati minori e consumatori. Entrato in vigore nel 2023.
  • Legge 5 agosto 2022 n. 122 (Legge di delegazione UE) e Direttiva UE 2019/1023 – Base dell’implementazione del secondo correttivo (PRO, misure protettive uniformi, ecc.). Citata per contesto.
  • Legge 27 gennaio 2012 n. 3 (vecchia legge sovraindebitamento) – Abrogata dal CCII, ma alcune categorie (esdebitazione incapiente) introdotte lì e recepite. Citata per background.
  • Codice Civile, disposizioni rilevanti modificate dal CCII: art. 2086 c.c. (duty amministratori di assetti adeguati per rilevare crisi, mod. dal D.Lgs. 14/2019); art. 2486 c.c. (gestione dopo causa scioglimento – aggiunto co.3 presunzione danno dagli amministratori inerte); art. 2476 c.c. (responsabilità amministratori srl verso soci/terzi).
  • Leggi speciali tributarie: D.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, art. 36 (responsabilità liquidatore per versamento tributi) – citato in FAQ; D.L. 119/2018 e L. 159/2020 (modifiche transazione fiscale: L.159/20 ha esteso transazione a composizione negoziata brevemente).
  • Leggi emergenziali 2020-2023: menzione di DL 34/2023 conv. L. 56/2023 (cd “Decreto Bollette” – non punibilità penale tributaria con adempimento rottamazione); DL 69/2023 conv. L.103/2023 (misure PNRR, revoca automatica transazione se inadempimento 90 gg); DL 13/2023 conv. L. 41/2023 (estensione rate 120 e accordi transattivi in comp. negoziata).
  • Legge 30 luglio 2010 n. 122 (conv. DL 78/2010) – Introduzione art. 217-bis L.F. (ora art. 324 CCII) esenzione penale concordato.
  • Legge 21 ottobre 2021 n. 147 – delega al Governo per estensione transazione fiscale a tributi locali (art. 16 L.147/21, sfociato poi in Legge delega 111/2023 citata sotto).
  • Legge 14 maggio 2005 n. 80 – Riforma L.F. 2005, introdotto art. 182-ter L.F. (transazione fiscale). Citata in tavole normative storiche.
  • Legge 19 ottobre 2017 n. 155 – Legge Delega riforma crisi, art. 15 lett. f prevedeva introduzione misure premiali penali (attuata poi con art. 324 CCII e modifiche).
  • Legge 21 giugno 2023 n. 111 – Delega al Governo per aggiustamenti Codice (c.d. “Correttivo-bis”, non ancora attuata al 5/2025). Prevede espressamente estensione transazione fiscale a tributi locali.

Normativa secondaria / Prassi:

  • Circolare Agenzia Entrate n. 16/E del 23 luglio 2018 – Istruzioni su transazione fiscale e valutazione convenienza per Erario.
  • Circolare Agenzia Entrate n. 34/E del 29 dicembre 2020 – Ulteriori chiarimenti su trattamento IVA in transazione fiscale dopo sentenze Cass. 2020.
  • Messaggio INPS n. 3353 del 13/10/2024 – Chiarimenti INPS post correttivo 2022 su competenze per accordi di ristrutturazione contributi.
  • Provvedimento Agenzia Entrate 29/01/2024 n. 21447 – Procedura interna AE per approvazione transazioni fiscali con abbattimenti >70% o importi >30 mln (fissa competenza DC di AE in questi casi).

Giurisprudenza (sentenze) – settore tributario e civile:

  • Cass., Sezioni Unite civili, 14 dicembre 2016 n. 25632 – Ha stabilito la differenza tra transazione fiscale concorsuale ex art. 182-ter L.F. e rottamazione dei ruoli (transazione extra-fallimentare), affermando che la transazione concorsuale non può ricomprendere crediti già iscritti a ruolo se non con quel rito speciale. Rilevante per inquadramento giurisdizione (citata la massima sulle “risorse UE” IVA come intangibili, poi superata dalle norme).
  • Cass. Civ., Sez. I, 13 dicembre 2023 n. 34865 – Ha confermato che le controversie sul diniego dell’Agenzia Entrate a transazione fiscale rientrano nella giurisdizione del giudice fallimentare (tribunale civ.) e non tributario.
  • Cass. Civ., Sez. V, ord. 30 settembre 2021 n. 26515 – In tema IVA e transazione fiscale: ha confermato diritto a detrazione IVA per cessionario se l’IVA relativa all’operazione è stata interamente versata dal cedente in adempimento di transazione fiscale omologata.
  • Cass. Civ., Sez. VI-5, ord. 12 marzo 2020 n. 7080 e Cass. Civ. Sez. V, ord. 30 settembre 2020 n. 20843 – Pronunce che confermano principi di neutralità IVA anche per operazioni oggetto di transazione fiscale, ecc. (cit. da fonte, non dettagliate qui).
  • Corte Costituzionale 25 luglio 2014 n. 225 – Ha dichiarato infondate le questioni di legittimità su art. 182-ter L.F. (transazione fiscale) sollevate per pretesa violazione par condicio e principio capacità contributiva. In pratica ha “salvato” la normativa transazione fiscale dal dubbio di incostituzionalità.
  • Cass. Civ., Sez. I, 6 maggio 2022 n. 14980 – (Non citata sopra ma implicitamente rilevante) su applicabilità art. 2486 c.c. novellato, afferma criteri presunzione danno applicabili anche a giudizi pendenti – giurisprudenza oscillante come citato in dottrina.
  • Tribunale di Livorno, Linee guida 21 marzo 2023 – (citato in ricerca) indicazioni su composizione negoziata, misure protettive; non citato direttamente ma segno di prassi uniforme emergente.

Giurisprudenza – settore penale e amministrativo:

  • Tribunale di Milano, Sez. Fall., 9 gennaio 2017 n. 38 (T.A.R. Lombardia) – Ha stabilito che il curatore fallimentare non è obbligato a farsi carico della bonifica di siti inquinati dell’azienda fallita salvo sua responsabilità diretta. Non gli si può imporre ordinanza di bonifica come mera posizione (caso cit. news Reteambiente).
  • Cass. Pen., Sez. III, 24 luglio 2012 n. 30127 – Principio del “proprietario incolpevole”: il proprietario non responsabile dell’inquinamento, se bonifica, ha diritto di rivalsa; se no, non è punibile solo per fatto altrui (citato in banca dati ambientale, non in testo diretto).
  • Cass. Pen., Sez. Unite, 27 gennaio 2011 n. 22474 (dep. 2012) – Riconosce l’estensione dei reati di bancarotta anche a liquidatori di fatto e soggetti esterni (caso Cirio, etc). Indirettamente rilevante per capire l’ambito soggettivo.
  • Cass. Pen., Sez. V, 15 aprile 2010 n. 12388 – Sancisce che il beneficio di non punibilità ex art. 217-bis L.F. (ora 324 CCII) si applica alla bancarotta preferenziale se il concordato ha soddisfatto i creditori in misura non inferiore a quella di legge (all’epoca 40% creditori chirografari, poi abbassato a 30%). Conferma ratio premiale.

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