La tua azienda è in difficoltà, ma vuoi evitare procedure fallimentari e giudiziarie? Stai cercando una soluzione concreta per gestire i debiti, trattare con i creditori e rilanciare l’attività senza subire pignoramenti o liquidazioni forzate?
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in crisi aziendali, composizione negoziata e accordi stragiudiziali con banche, fornitori e Fisco – ti spiega in modo semplice e pratico quali sono le soluzioni stragiudiziali previste dal Codice della Crisi d’Impresa, come funzionano, e quando conviene attivarle per evitare il tracollo.
Scopri cos’è una ristrutturazione del debito fuori dal tribunale, come predisporre un accordo con i creditori, quando utilizzare la composizione negoziata, come evitare l’intervento giudiziale mantenendo la gestione dell’impresa, e quali sono i benefici di una soluzione riservata, rapida e personalizzata.
Alla fine della guida troverai tutti i contatti per richiedere una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo, valutare la situazione della tua azienda e costruire insieme una strategia stragiudiziale su misura per trattare i debiti, proteggere il patrimonio e salvare l’attività in modo concreto e legalmente sicuro.
Introduzione
Il panorama normativo italiano in materia di insolvenza e gestione della crisi d’impresa è stato rivoluzionato dall’introduzione del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) emanato con D.Lgs. 14/2019. Esso ha sostituito integralmente la vecchia Legge Fallimentare del 1942, segnando il passaggio da un approccio principalmente liquidatorio ad un sistema che privilegia l’emersione precoce della crisi e il risanamento aziendale ove possibile. Il Codice, inizialmente previsto in vigore nel 2020, è stato più volte posticipato (anche a causa della pandemia COVID-19) e ha acquisito piena efficacia il 15 luglio 2022, contestualmente al recepimento della Direttiva UE 2019/1023 (cd. Direttiva Insolvency). Nei mesi successivi, il legislatore è intervenuto con tre decreti correttivi per affinare la disciplina: in particolare, il D.Lgs. 83/2022 (correttivo “bis”) ha introdotto nuovi strumenti di regolazione della crisi in attuazione della direttiva europea, e più di recente il D.Lgs. 136/2024 (correttivo “ter”) ha apportato ulteriori modifiche sostanziali, risolvendo dubbi interpretativi emersi nella prima applicazione e introducendo alcune novità attese dagli operatori.
Il CCII delinea un sistema graduale di gestione delle difficoltà aziendali, dalla fase di allerta preventiva fino agli strumenti di regolazione giudiziale e, in ultima istanza, alla liquidazione. In questo contesto, assumono particolare rilievo le soluzioni stragiudiziali o “procedures di risanamento extragiudiziale”, volte a evitare l’apertura di procedure concorsuali vere e proprie mediante accordi negoziali con i creditori. Tali strumenti – pur differendo per struttura e grado di coinvolgimento dell’autorità giudiziaria – condividono l’obiettivo di ristrutturare l’impresa al di fuori del tradizionale fallimento, mantenendo la continuità aziendale quando possibile e salvaguardando il valore dell’impresa.
È importante distinguere il concetto di crisi d’impresa da quello di insolvenza. Il Codice definisce lo stato di crisi come la probabilità di futura insolvenza – una situazione di squilibrio economico-finanziario che rende probabile il default dell’impresa se non si interviene. L’insolvenza, invece, è lo stadio più grave e ormai conclamato, in cui il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni ed è accertata in sede giudiziale. Gli strumenti di allerta introdotti dal Codice (come l’obbligo per l’imprenditore di dotarsi di assetti organizzativi adeguati ai sensi dell’art. 2086 c.c. e le segnalazioni dei creditori pubblici qualificati) mirano proprio ad intercettare tempestivamente lo stato di crisi prima che esso degeneri in insolvenza irreversibile. In caso di crisi incipiente, il legislatore incentiva il ricorso a soluzioni stragiudiziali e procedure di regolazione negoziata per evitare di arrivare a procedure liquidatorie estreme.
Questa guida esamina in dettaglio tutte le procedure stragiudiziali previste dall’ordinamento italiano (aggiornato a maggio 2025) per la gestione della crisi d’impresa. Tali strumenti comprendono la Composizione Negoziata della Crisi, i Piani Attestati di Risanamento, gli Accordi di Ristrutturazione dei Debiti (incluse varianti come accordi agevolati ed accordi ad efficacia estesa), le Convenzioni di Moratoria, le Transazioni Fiscali e Contributive, nonché gli ulteriori meccanismi introdotti dal Codice della Crisi (ad esempio il nuovo Piano di Ristrutturazione soggetto ad Omologazione). Verranno analizzate le caratteristiche tecniche di ciascuno strumento, i vantaggi e svantaggi comparativi, e la loro applicazione pratica nei principali settori economici (industria, commercio, edilizia, servizi, tecnologia, etc.), attraverso simulazioni settoriali. Il linguaggio utilizzato sarà tecnico-giuridico ma con un taglio divulgativo, per risultare comprensibile sia agli avvocati che agli imprenditori non specialisti in materia legale.
Nel prosieguo della guida, ogni sezione approfondirà uno specifico istituto, con indicazione dei riferimenti normativi aggiornati, delle procedure da seguire, e delle novità normative e giurisprudenziali più recenti. Sono inoltre incluse tabelle riepilogative comparative per un rapido confronto tra le soluzioni, ed una sezione finale di Domande e Risposte per chiarire i dubbi frequenti. L’obiettivo è fornire una visione completa e aggiornata al maggio 2025 di come prevenire e gestire la crisi d’impresa tramite strumenti negoziali, massimizzando le chance di risanamento e minimizzando i rischi di natura legale.
(Nota: tutti i riferimenti normativi e le sentenze citate sono riportati in fondo alla guida, con link diretti alle fonti ufficiali ove disponibili.)
Composizione Negoziata della Crisi
La Composizione Negoziata della Crisi è una procedura volontaria e stragiudiziale introdotta nel 2021 (inizialmente in via transitoria dal D.L. 118/2021, poi stabilizzata nel Codice della Crisi agli artt. 12–25 sexies CCII). Si tratta di uno strumento di natura preventiva, attivabile dall’imprenditore prima di ricorrere alle procedure concorsuali formali, con lo scopo di favorire il risanamento di imprese in situazione di squilibrio. In concreto, l’imprenditore in crisi (o anche già insolvente, purché sussistano ragionevoli prospettive di risanamento) può accedere alla Composizione Negoziata per farsi affiancare da un esperto indipendente nelle trattative con i propri creditori. Le negoziazioni si svolgono in modo riservato e confidenziale, con l’obiettivo di raggiungere un accordo di ristrutturazione o altra soluzione consensuale che eviti il dissesto.
Presupposti e accesso alla procedura
Può richiedere la Composizione Negoziata qualsiasi imprenditore commerciale o agricolo, di qualsiasi dimensione (anche una grande impresa), incluse le imprese già insolventi ma suscettibili di risanamento. In origine vi era incertezza sulla possibilità di accesso per imprese tecnicamente insolventi, ma il correttivo del 2024 ha chiarito espressamente che la Composizione Negoziata è esperibile “indifferentemente quando l’impresa è in crisi o quando è insolvente”, a condizione che vi siano prospettive concrete di recupero. L’istanza di accesso si presenta tramite una piattaforma telematica nazionale gestita dalle Camere di Commercio. L’imprenditore deve caricare sulla piattaforma una serie di informazioni e documenti, tra cui un progetto di piano di risanamento e dati sull’attività, ed effettuare un test pratico volto a verificare la ragionevole perseguibilità del risanamento. La piattaforma fornisce anche una lista di controllo (check-list) per redigere il piano e indicatori per l’autodiagnosi dello stato di crisi.
In seguito alla domanda, un’apposita Commissione (istituita presso le Camere di Commercio) nomina un Esperto Indipendente, scelto tra professionisti qualificati (iscritti in un elenco ad hoc) con competenze in materia di ristrutturazione aziendale. L’esperto ha il compito di assistere e facilitare le trattative tra l’imprenditore e i creditori, cercando soluzioni negoziate per la ristrutturazione dei debiti o il riequilibrio della situazione finanziaria. Importante sottolineare che l’esperto non ha poteri gestori sull’impresa: l’imprenditore mantiene la conduzione dell’azienda durante tutta la procedura. L’esperto opera come figura terza, super partes, e deve assicurarsi che le trattative si svolgano con trasparenza e buona fede, aiutando le parti a individuare una soluzione equa e praticabile.
L’accesso alla Composizione Negoziata non è pubblicizzato inizialmente, ed avviene in modo riservato per evitare pregiudizi reputazionali all’impresa. Su richiesta dell’imprenditore, tuttavia, il tribunale può disporre misure protettive temporanee a tutela del patrimonio durante le trattative (ad es. sospensione o blocco delle azioni esecutive e cautelari da parte dei creditori). In tal caso, viene iscritta una comunicazione al Registro delle Imprese per informare dell’esistenza delle misure protettive (rendendo quindi noto ai terzi che l’azienda è in Composizione Negoziata). Le misure protettive mirano a creare un “ombrello” attorno all’impresa, evitando aggressioni al patrimonio mentre si cerca l’accordo, e possono durare inizialmente fino a 120 giorni, prorogabili dal giudice su richiesta (in ogni caso la durata complessiva della fase negoziata è generalmente non superiore a 180 giorni, estendibili di ulteriori 180 in casi complessi).
Svolgimento delle trattative e ruolo dell’esperto
Nel corso della Composizione Negoziata, l’imprenditore coadiuvato dall’esperto predispone un piano di risanamento e lo propone ai creditori. Le trattative hanno carattere volontario e consensuale: non vi è una votazione formale dei creditori come avviene nel concordato preventivo, né la formazione di classi di voto. Ogni credito viene negoziato con l’obiettivo di raggiungere un consenso individuale o attraverso accordi plurilaterali con gruppi di creditori omogenei. L’esperto convoca le parti, facilita il dialogo, propone soluzioni mediatrici e monitora l’andamento del piano. Egli deve redigere con cadenza mensile una relazione sulle prospettive di successo delle trattative, segnalando eventualmente al tribunale le condotte che possano pregiudicare indebitamente i creditori (ad es. se l’imprenditore assume impegni contrari alla par condicio creditorum).
Uno dei principi cardine è che durante la Composizione Negoziata l’imprenditore resta in possesso della gestione (non c’è spossessamento né nomina di un commissario). Ciò consente di proseguire l’attività aziendale normalmente, sotto la sorveglianza “leggera” dell’esperto. Per incentivare l’imprenditore a utilizzare tempestivamente questo strumento, la legge prevede alcune tutele specifiche: ad esempio, gli atti autorizzati dall’esperto durante la composizione negoziata (come nuova finanza o pagamenti di fornitori strategici) godono di esonero da revocatoria fallimentare in caso di successivo fallimento o concordato. Inoltre, gli apporti di finanza interinale (nuove risorse finanziarie urgenti per la continuità) o di finanza esterna finalizzata al piano possono ottenere la prededuzione o particolari garanzie, purché autorizzati dall’esperto o dal tribunale.
Una novità di rilievo introdotta nel 2024 riguarda il comportamento degli istituti di credito durante la procedura. Il D.Lgs. 136/2024 ha infatti previsto misure a tutela della continuità finanziaria dell’impresa: le banche non possono revocare o ridurre arbitrariamente le linee di fido solo per il fatto dell’avvenuto accesso alla Composizione Negoziata. In particolare, per le linee di credito già concesse, gli istituti hanno l’obbligo di comunicare tempestivamente per iscritto all’impresa ed all’esperto l’eventuale sospensione o revisione degli affidamenti, motivandola adeguatamente, e possono mantenere tale sospensione solo se giustificata da norme di vigilanza prudenziale o da deterioramento del merito creditizio indipendente dall’accesso alla procedura. Questa norma mira ad evitare che l’adesione alla Composizione Negoziata si traduca in un effetto boomerang per l’impresa (ad esempio con le banche che chiudono i rubinetti del credito non appena sanno della crisi), incentivando invece una gestione costruttiva dei rapporti bancari durante il tentativo di risanamento.
Esiti della Composizione Negoziata
La Composizione Negoziata si può concludere in diversi modi, a seconda dell’esito delle trattative:
- Accordo stragiudiziale volontario con i creditori: se le negoziazioni vanno a buon fine, l’imprenditore può sottoscrivere con i creditori uno o più accordi (anche bilaterali o plurilaterali) di ristrutturazione del debito. Tali accordi non richiedono omologazione giudiziale se non si intende beneficiare di effetti protettivi particolari. Possono consistere, ad esempio, in piani di rientro, accordi di moratoria o transazioni stralcio su singoli crediti. L’esperto riferisce all’esito positivo e la procedura si chiude. L’accordo raggiunto avrà natura contrattuale privata, eventualmente assistito dalle esenzioni da revocatoria per gli atti esecutivi del piano (come previsto dall’art. 23 CCII).
- Accesso a uno strumento concorsuale semplificato: qualora le trattative con i creditori abbiano avuto esito negativo o parziale, l’imprenditore può comunque accedere ad una soluzione concorsuale snella, introdotta come “valvola di sfogo” proprio per la Composizione Negoziata. Ci si riferisce al Concordato Semplificato per la Liquidazione del Patrimonio (art. 25-sexies CCII). Questo istituto, introdotto nel 2021, consente all’imprenditore di chiedere direttamente al tribunale l’omologazione di un piano liquidatorio dei propri beni, senza voto dei creditori, all’esito negativo della composizione negoziata. Il concordato semplificato è una procedura giudiziale di rapida liquidazione: non prevede il voto dei creditori (decide il tribunale), né la nomina di un commissario giudiziale, ed è pensato per evitare il fallimento quando le trattative non hanno prodotto un risanamento ma c’è comunque una proposta di liquidazione da formalizzare. Va sottolineato che il concordato semplificato è accessibile solo se la Composizione Negoziata è stata avviata e non ha avuto successo; non è cioè uno strumento utilizzabile ab origine senza prima tentare la via negoziale.
- Istanza di Concordato Preventivo o Accordo di Ristrutturazione: alternativamente, l’imprenditore, anche in corso di composizione negoziata, può presentare domanda di concordato preventivo “classico” (in continuità o liquidatorio) oppure domandare l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell’art. 57 CCII (vedi oltre). Il codice prevede una sorta di comunicazione tra le procedure: se durante la composizione negoziata matura una soluzione che richiede una formale omologazione (ad esempio un accordo con le sole banche che si vuole rendere vincolante erga omnes), l’imprenditore può “traghettare” verso la procedura concorsuale appropriata, beneficiando anche di un canale preferenziale. In pratica, l’esperto nel verbale finale attesta le trattative svolte e ciò può facilitare l’accesso al concordato preventivo o all’accordo di ristrutturazione in tempi brevi. Da notare che, in caso di concordato preventivo avviato successivamente, i creditori che abbiano già aderito ad accordi nella fase negoziata possono essere trattati in continuità con quanto pattuito.
- Rinuncia o archiviazione: se l’imprenditore ritiene di non poter raggiungere un accordo soddisfacente e non vuole (o non riesce) accedere ad altre procedure, può sempre rinunciare alla composizione negoziata. L’esperto redige una relazione finale negativa che viene comunicata al Registro delle Imprese (chiudendo la procedura). In questo caso l’impresa resta esposta alle azioni esecutive individuali e, se insolvente, i creditori potranno chiedere l’apertura della liquidazione giudiziale (il “fallimento” secondo la nuova terminologia). Anche il mancato deposito di documentazione da parte dell’imprenditore o la constatazione che mancano concrete possibilità di risanamento possono portare l’esperto a chiudere anticipatamente la procedura segnalando la situazione all’autorità competente.
In sintesi, la Composizione Negoziata è uno strumento flessibile e informale che consente all’imprenditore di tentare il salvataggio dell’azienda con l’aiuto di un esperto e con la possibilità di usufruire di una protezione temporanea dai creditori. Non vi è alcun obbligo di raggiungere un accordo: l’imprenditore mantiene il controllo e può decidere in qualunque momento di passare ad altra soluzione. Se però si individua un accordo sostenibile, la composizione negoziata funge da “incubatore” per formalizzare poi tale accordo (in forma di piano attestato, accordo omologato, ecc. come vedremo) ed evitare così il default. La riservatezza e l’assenza di stigmatizzazione sono ulteriori punti di forza: diversamente da un fallimento o concordato pubblico, qui le parti possono negoziare lontano dai riflettori, limitando i danni reputazionali e di mercato per l’azienda in crisi.
Riferimenti normativi: artt. 12 a 25-quinquies, D.Lgs. 14/2019 (Cod. Crisi) – Composizione Negoziata della Crisi; D.L. 118/2021 conv. in L. 147/2021; D.Lgs. 83/2022; D.Lgs. 136/2024 (modifiche alla disciplina).
Piano Attestato di Risanamento
Il Piano Attestato di Risanamento è uno strumento di regolazione della crisi di natura negoziale e contrattuale, disciplinato dal Codice della Crisi all’art. 56 (trasposizione dell’art. 67, co.3, lett. d) della vecchia Legge Fallimentare). Si tratta di un piano di risanamento aziendale, elaborato dall’imprenditore in accordo con i propri creditori, accompagnato dalla relazione di un professionista indipendente (attestatore) che ne certifica la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità. Il piano attestato non richiede omologazione giudiziaria né il raggiungimento di soglie di adesione predeterminate per legge: è un accordo privatistico, il cui successo dipende dal consenso integrale (o comunque sufficiente) dei creditori coinvolti su base volontaria. In altri termini, a differenza degli accordi di ristrutturazione o del concordato, il piano attestato non può imporre modifiche ai diritti dei creditori dissenzienti: esso vincola solo i creditori che decidono volontariamente di aderirvi.
Caratteristiche e funzione
Il piano attestato di risanamento ha l’obiettivo di risanare l’impresa al di fuori delle procedure concorsuali, attraverso un insieme coordinato di atti e operazioni (quali ristrutturazione dei debiti, aumento di capitale, cessione di asset non strategici, rinegoziazione di contratti, nuovi finanziamenti, ecc.) concordati con i creditori. La caratteristica chiave è la presenza dell’attestazione di un esperto indipendente, obbligatoria per legge, che deve attestare due aspetti fondamentali: (1) la veridicità dei dati aziendali posti a base del piano e (2) la fattibilità del piano stesso, con particolare riguardo alla capacità di assicurare il risanamento dell’impresa e il regolare pagamento dei creditori non aderenti alle condizioni previste. L’attestazione serve a dare credibilità e trasparenza al piano, fungendo da tutela sia per i creditori (che possono fare affidamento su dati controllati e prospettive realistiche) sia per l’imprenditore e gli organi sociali, che in tal modo dimostrano di aver adottato una soluzione seria e ragionevole per superare la crisi.
Il contenuto del piano attestato è libero nella sostanza, ma la prassi e la normativa (aggiornata dal correttivo 2024) individuano alcuni elementi essenziali. Il piano generalmente comprende: un’analisi delle cause della crisi; la descrizione dettagliata delle strategie di risanamento (per esempio, piano industriale con misure di efficientamento, dismissioni, nuovi investitori, ecc.); le proiezioni finanziarie a medio termine (cash flow, conto economico e stato patrimoniale prospettici); i tempi e modi di soddisfacimento dei creditori; le eventuali linee di nuovo finanziamento; e un calendario degli interventi. Il D.Lgs. 136/2024 ha introdotto un riferimento al “contenuto minimo” del piano di risanamento, richiedendo ad esempio che siano esplicitati gli assunti di base, gli indicatori di sostenibilità, nonché gli scenari di stress test in caso di scostamenti sfavorevoli. Questi requisiti puntano a standardizzare e rendere più robusti i piani attestati, dopo che la prassi aveva evidenziato piani a volte generici o eccessivamente ottimistici. Tuttavia, non esiste un format rigido: l’importante è che il piano sia concreto e credibile, e che l’attestatore possa esprimere un giudizio positivo di fattibilità.
Dal punto di vista giuridico, il piano attestato è essenzialmente un accordo contrattuale tra il debitore e uno o più creditori. Può assumere la forma, ad esempio, di un accordo quadro cui aderiscono tutti (o la maggior parte) dei creditori, oppure di una pluralità di accordi bilaterali con singoli creditori. Non è richiesta una percentuale minima di adesione: in teoria, anche accordi con una parte soltanto dei creditori possono costituire un piano attestato, purché risolvano la crisi (ad esempio un accordo con le banche che rifinanziano il debito, mentre i fornitori vengono pagati regolarmente). È evidente però che, perché il risanamento abbia successo, occorre normalmente coinvolgere tutti i creditori strategici. I creditori che rimangono estranei al piano devono comunque essere pagati alle loro scadenze originarie (o secondo i termini pattuiti inizialmente), perché non avendo aderito conservano intatti i loro diritti. L’attestatore, come detto, deve certificare che il piano prevede il soddisfacimento di questi creditori non aderenti almeno in misura non inferiore a quella che otterrebbero in caso di liquidazione, condizione indispensabile affinché il piano sia meritevole di essere eseguito.
Uno degli incentivi fondamentali all’utilizzo del piano attestato è la protezione dai rischi di revocatoria fallimentare (azione revocatoria dei pagamenti e atti pregiudizievoli compiuti in prossimità del fallimento). L’art. 56 CCII prevede espressamente che gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione di un piano attestato di risanamento debitamente pubblicato siano esenti dall’azione revocatoria in caso di successivo fallimento (liquidazione giudiziale). Ciò significa che, se l’impresa omologa un piano credibile e lo deposita presso il Registro delle Imprese (passaggio necessario per ottenere l’esenzione), i pagamenti fatti ai creditori secondo il piano non potranno essere richiesti indietro dal curatore qualora l’impresa fallisca successivamente. Questa esenzione (safe harbor) è un potente incentivo per i creditori ad aderire: sanno che incassare somme nel contesto di un piano attestato è definitivo e non soggetto a future contestazioni, a differenza di quanto accadrebbe con pagamenti extra-procedurali in periodo sospetto. Anche per nuovi finanziatori o investitori il piano attestato offre maggiore certezza giuridica, in quanto i loro apporti non verranno travolti da un’eventuale futura insolvenza, sempre nei limiti del piano pubblicato.
Va sottolineato che il piano attestato non comporta alcuna pendenza davanti al tribunale: il giudice non interviene né per aprire né per chiudere la procedura. L’unico adempimento formale, come accennato, è la pubblicazione del piano presso il Registro delle Imprese (di solito mediante deposito di una attestazione di data certa del piano e della relazione, spesso per atto notarile) al fine di godere delle protezioni di legge. La pubblicità serve a opponibilità ai terzi e soprattutto a garantire trasparenza sul fatto che quell’operazione di risanamento esiste (evitando, ad esempio, che qualche creditore escluso possa dolersi di non essere stato informato). Tuttavia, il piano attestato non è sottoposto al vaglio di merito di alcuna autorità: la sua riuscita dipende unicamente dalla serietà del piano e dalla effettiva esecuzione da parte dell’imprenditore.
Vantaggi e limiti del piano attestato
Vantaggi: Il piano attestato di risanamento è uno strumento rapido, riservato e flessibile. Consente di evitare l’apertura di procedure concorsuali formali (che spesso comportano pubblicità, costi elevati, perdita di controllo da parte dell’imprenditore e possibili danni d’immagine). L’impresa rimane pienamente operativa durante l’attuazione del piano, senza necessità di autorizzazioni giudiziarie per la gestione ordinaria. Il coinvolgimento dell’attestatore conferisce autorevolezza e trasparenza al piano, aumentando la fiducia dei creditori. Inoltre, come visto, il piano offre significative agevolazioni legali: in primis la non assoggettabilità a revocatoria degli atti esecutivi, ma anche importanti benefici fiscali. Infatti, la normativa fiscale (art. 88, co.4-ter TUIR) prevede che le sopravvenienze attive da riduzione dei debiti nell’ambito di un piano di risanamento attestato siano parzialmente detassate, analogamente a quelle derivanti da procedure concorsuali. In concreto, se grazie al piano un creditore rinuncia a parte del credito (es.: stralcio del 30%), la “sopravvenienza” attiva che emerge in capo al debitore può non essere interamente imponibile ai fini IRES/IRPEF, a condizione che il piano sia stato attestato e pubblicato. Ciò riduce l’impatto fiscale del risanamento (che altrimenti potrebbe vanificarne i benefici). Tale esenzione fiscale è stata estesa ai piani attestati proprio per incentivare i risanamenti extragiudiziali. Un ulteriore vantaggio: il piano attestato può essere combinato con altri strumenti; ad esempio, può costituire la base per un accordo di ristrutturazione omologato (si parla di “accordo in esecuzione di piano attestato”), qualora si vogliano rendere vincolanti erga omnes alcune pattuizioni.
Limiti: Di contro, il piano attestato richiede consenso volontario: non esistendo meccanismi di voto o cram-down, se anche un solo creditore rilevante si oppone e pretende il pagamento integrale alle scadenze originarie, l’azienda deve comunque soddisfarlo (o rischia l’azione esecutiva). Questo strumento funziona bene in situazioni in cui c’è un numero limitato di creditori e relativamente cooperativi, oppure dove i creditori non aderenti possono essere comunque pagati integralmente senza compromettere il risanamento. In presenza di un parco creditori ampio e conflittuale, o quando sono necessari sacrifici maggioritari imposti a una minoranza dissenziente, il piano attestato da solo potrebbe non bastare. Inoltre, non essendo prevista la protezione del tribunale (salvo misure cautelari atipiche, difficili da ottenere in mancanza di una procedura formale), i creditori potrebbero comunque avviare azioni esecutive durante l’attuazione del piano se perdono fiducia, mettendo a repentaglio il risanamento. L’assenza di una moratoria legalmente cogente è dunque un elemento di fragilità rispetto, ad esempio, a un concordato preventivo dove i creditori sono bloccati ipso iure. Infine, sebbene il piano attestato sia relativamente economico rispetto a una procedura concorsuale (niente tribunale, commissari, ecc.), ha comunque dei costi: la redazione della piano richiede spesso consulenti finanziari, e soprattutto c’è il compenso dell’attestatore indipendente. Tuttavia, questi costi sono normalmente molto inferiori a quelli di un concordato o di una liquidazione giudiziale e sono ampiamente giustificati dai benefici ottenuti.
Riferimenti normativi: art. 56 D.Lgs. 14/2019 (Piano attestato di risanamento) – già art. 67, co.3, lett. d), R.D. 267/1942; Linee-guida ex D.M. 28/09/2021 (check-list piani di risanamento sulla piattaforma); Art. 88, comma 4-ter, TUIR (trattamento fiscale delle sopravvenienze da accordi di ristrutturazione e piani attestati).
Accordi di Ristrutturazione dei Debiti
Gli Accordi di Ristrutturazione dei Debiti (ARD) rappresentano lo strumento “ibrido” per eccellenza tra la soluzione stragiudiziale e la procedura concorsuale. Previsti dall’art. 57 del Codice della Crisi (che riprende l’art. 182-bis l.fall.), gli accordi di ristrutturazione sono accordi negoziati con i creditori che tuttavia acquistano efficacia legale e talune protezioni solo a seguito di omologazione da parte del tribunale. In sostanza, l’imprenditore in crisi può concludere un accordo con una parte significativa dei creditori (almeno il 60% dei crediti per regola generale) e chiedere al tribunale di omologarlo, estendendone determinati effetti anche ai creditori non aderenti e beneficiando di misure protettive e premiali previste dalla legge. Gli ARD consentono dunque di ristrutturare l’impresa “fuori” dalle classiche procedure concorsuali, ma con un certo grado di controllo giudiziario e di efficacia erga omnes.
Accordo standard (art. 57 CCII) e omologazione
Requisiti di adesione: L’art. 57 CCII stabilisce che gli accordi di ristrutturazione dei debiti sono conclusi dall’imprenditore (anche non commerciale, purché non “minore” ai sensi del Codice) quando abbia raggiunto un’intesa con creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti totali. Questa soglia qualificata di consenso è requisito essenziale per accedere all’omologazione: se non si dispone di almeno il 60% del monte crediti in accordo, l’istanza non può essere accolta dal tribunale. Va precisato che il 60% si riferisce all’ammontare complessivo dei crediti dell’impresa (non al numero di creditori), calcolato in termini di valore nominale. Di regola, tutti i creditori possono aderire (fatta eccezione per talune categorie particolari come i debiti verso fornitori essenziali in continuità, ecc.), ma l’accordo omologato vincola solo i creditori aderenti. I creditori non aderenti restano estranei e mantengono i loro diritti, salvo talune eccezioni di estensione che vedremo. Ciò implica che, per rendere l’operazione fattibile, l’accordo deve comunque prevedere come saranno soddisfatti o garantiti i creditori non aderenti, pena il rischio che questi aggrediscano il debitore post-omologa. Di norma, l’accordo include clausole di salvaguardia secondo cui i creditori estranei verranno pagati integralmente e tempestivamente (ad esempio alle scadenze originarie o immediatamente dopo l’omologa), soprattutto negli accordi “agevolati” dove è previsto il soddisfacimento completo dei non aderenti.
Procedimento: Il percorso dell’accordo di ristrutturazione prevede dapprima una fase negoziale privata, in cui l’imprenditore elabora un piano di risanamento e raccoglie le adesioni dei creditori chiave (fino al raggiungimento della percentuale richiesta). Il piano deve essere corredato da una relazione di un professionista attestatore indipendente, analoga a quella del piano attestato, che certifichi la veridicità dei dati aziendali e attesti che l’accordo è tale da assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei al di fuori di esso (almeno nei limiti del valore di liquidazione). Ottenute le firme necessarie, l’imprenditore deposita l’accordo in tribunale, unitamente al piano, alla relazione dell’attestatore e alla documentazione contabile. Da questo momento si apre la fase giudiziale di omologazione: il tribunale verifica la presenza dei presupposti formali (soglia del 60%, completezza documenti) e concede, su richiesta, le misure protettive analoghe a quelle del concordato (sospensione delle azioni esecutive, divieto di acquisire titoli di prelazione, ecc., per 60-120 giorni) per congelare la situazione durante l’omologa. I creditori e terzi interessati possono presentare opposizioni entro 30 giorni dalla pubblicazione dell’accordo nel Registro delle Imprese. Decorso tale termine, il tribunale procede all’udienza e valuta il merito dell’accordo: in particolare deve riscontrare che l’accordo non pregiudica i creditori estranei (i quali, come detto, devono ricevere almeno quanto avrebbero ricavato in un’alternativa liquidatoria, secondo l’attestazione) e che vi sia la fattibilità economica. Se non vi sono opposizioni (o se vengono rigettate) e sussistono i requisiti, il tribunale emette decreto di omologazione, che rende l’accordo efficace erga omnes. Da notare che, a differenza del concordato, non c’è un voto dei creditori in sede giudiziale: il consenso è raccolto extra-giudizialmente, e al giudice spetta solo un controllo di legalità e fattibilità. L’omologazione viene pubblicata e l’accordo omologato è legalmente valido e vincolante per i creditori aderenti (e talora, come vedremo, per alcuni non aderenti).
Effetti dell’accordo omologato: L’effetto primario è che l’accordo acquista efficacia vincolante tra le parti secondo i termini pattuiti. Inoltre, la legge attribuisce alcuni effetti protettivi e premiali. Similmente al piano attestato, gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione dell’accordo omologato non sono soggetti a revocatoria in caso di successivo fallimento. L’accordo omologato consente anche di accedere alla finanza interinale e nuova con preferenza: i finanziamenti in qualsiasi forma erogati in esecuzione dell’accordo (se previsti dal piano e attestati come necessari) sono prededucibili ai sensi dell’art. 100 CCII, cioè verranno rimborsati con priorità in caso di successiva procedura concorsuale. Sul fronte fiscale, pure qui si applica l’esenzione totale delle sopravvenienze attive da stralcio dei debiti: i crediti abbandonati dai creditori nell’accordo omologato non generano reddito imponibile per l’impresa debitrice (salvo utilizzare prima eventuali perdite pregresse). In aggiunta, l’omologazione può comportare – su istanza – la sospensione dei procedimenti esecutivi in corso e l’inibitoria di iniziarne di nuovi durante la fase di adempimento dell’accordo, offrendo quindi un periodo di respiro all’azienda per eseguire le obbligazioni come da piano.
Ambito soggettivo: Possono utilizzare gli accordi di ristrutturazione tutti gli imprenditori “fallibili” (non minori) e oggi, grazie alle modifiche del CCII, anche gli imprenditori agricoli e civili (imprese non commerciali di grandi dimensioni). Restano invece escluse le micro-imprese sotto soglia, i consumatori e altri debitori civili, i quali hanno a disposizione gli strumenti del sovraindebitamento (piani di ristrutturazione minore, concordato minore, ecc.). Di solito l’ARD è utilizzato da società di capitali o imprese medio-grandi che hanno bisogno di un intervento mirato sui debiti finanziari o verso fornitori principali.
Varianti speciali: accordo “agevolato” al 30% e accordo ad efficacia estesa
La disciplina degli accordi di ristrutturazione è stata arricchita, negli anni, da varianti tese a renderli più flessibili e aderenti alle esigenze pratiche. Il CCII recepisce queste varianti:
- Accordo di ristrutturazione “agevolato” (art. 60 CCII): Introdotto dal D.L. 118/2021, consente di ridurre la soglia di adesione al 30% dei crediti (in luogo del 60%) a certe condizioni. In particolare, l’accordo agevolato richiede che i creditori estranei (cioè quel 70% non aderente) siano integralmente soddisfatti in modo tempestivo al di fuori dell’accordo. Ciò significa che il debitore deve disporre di risorse per pagare totalmente e nei termini originari tutti i creditori che non partecipano all’accordo, mentre solo per una minoranza qualificata (30% del debito) viene pattuita una ristrutturazione (dilazione, stralcio, conversione ecc.). In pratica, l’accordo agevolato è utile quando l’impresa ha un problema concentrato su un gruppo ristretto di creditori (ad es. le banche) e può permettersi di non toccare gli altri (pagandoli regolarmente): in tal caso non è necessario ottenere un 60% di adesioni, basta coinvolgere quel 30% “critico”. Questa variante riduce le difficoltà di raccolta firme e velocizza il processo, ma chiaramente non è utilizzabile se l’azienda non è in grado di pagare cash i creditori estranei. È una soluzione praticabile tipicamente quando l’impresa ha pochi creditori rilevanti e molta “polvere” di piccoli crediti che può saldare normalmente, oppure se ottiene nuova finanza per pagare i creditori minori mentre ristruttura i maggiori.
- Accordo di ristrutturazione a efficacia estesa (art. 61 CCII): Questa è una previsione che consente di estendere gli effetti dell’accordo anche ai creditori dissenzienti appartenenti a determinate categorie omogenee, purché nell’ambito di quella categoria si sia raggiunta una maggioranza qualificata (almeno il 75% dei crediti di quella categoria). Introdotta nel 2015 (art. 182-septies l.fall.), tale misura riguarda in particolare i creditori finanziari (banche, intermediari finanziari, obbligazionisti) o eventualmente altri creditori omogenei per posizione giuridica ed interessi economici. In pratica: se l’impresa trova un accordo con, ad esempio, il 75% delle banche esposte, il tribunale può omologare l’accordo imponendolo anche al restante 25% di banche non aderenti, a condizione che queste abbiano avuto possibilità di aderire e che ricevano lo stesso trattamento previsto per le banche aderenti. L’accordo ad efficacia estesa richiede quindi la suddivisione dei creditori in categorie omogenee già nella fase negoziale (es. categoria delle banche chirografarie, categoria degli obbligazionisti, ecc.), e la previsione di trattamenti uniformi per ciascuna categoria. L’attestatore dovrà certificare che il trattamento riservato alla categoria è tale da non discriminare i dissenzienti e che l’accordo è conveniente anche per loro. Questo strumento è prezioso perché supera uno dei limiti degli accordi standard: consente di cramdown settoriali su gruppi di creditori, evitando che poche banche o obbligazionisti “holdout” possano bloccare un accordo altrimenti condiviso dalla larga maggioranza del ceto. Ad esempio, se 3 banche su 4 accettano di riscadenzare i crediti, la quarta banca dissenziente potrà vedersi forzosamente vincolata allo stesso nuovo piano di ammortamento concordato dalle altre, dopo l’omologa. Ciò ovviamente avviene sotto controllo giudiziario e solo se le condizioni di legge sono rispettate (percentuale del 75%, omogeneità della classe, pari trattamento dei membri della categoria). Da notare che l’accordo a efficacia estesa attualmente non permette di imporre un taglio di credito a creditori privilegiati dissenzienti, ma solo moratorie o dilazioni: i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca dissenzienti possono essere inclusi in una classe per dilazionare i pagamenti, ma non per ridurre l’importo del loro credito salvo che rinuncino volontariamente (in caso contrario, devono comunque ricevere 100% del capitale, seppur nel tempo). Questa limitazione, confermata dalla giurisprudenza, è dovuta al principio di parità di trattamento e al rispetto dell’ordine dei privilegi (salvo diversa disposizione in sede di concordato preventivo o PRO, dove è ammesso il cram-down interclassi).
- Convenzioni di moratoria (art. 62 CCII): Rientrano anch’esse nelle fattispecie degli accordi a efficacia estesa, ma con funzione particolare. La convenzione di moratoria è un accordo temporaneo stipulato con i soli creditori finanziari (banche e intermediari) per sospendere o posticipare le scadenze dei crediti durante le trattative di ristrutturazione. Tipicamente è un accordo di standstill: le banche concordano di congelare le azioni di recupero e le scadenze per un certo periodo, in attesa di definire un piano definitivo. La convenzione di moratoria, se sottoscritta da una percentuale qualificata di banche (anche qui almeno il 75% dell’esposizione finanziaria), può essere omologata e resa vincolante anche per le banche dissenzienti. Ciò evita che una singola banca (magari minoritaria in termini di credito) possa “correre allo sportello” e far saltare il tavolo con azioni esecutive. Questa previsione, introdotta anch’essa nel 2015, mira a incentivare accordi di standstill tra istituti di credito e imprese in crisi, garantendo che la maggioranza solidale possa trascinare eventuali istituti dissenzienti verso una moratoria collettiva. La convenzione di moratoria ha natura transitoria: di solito prepara il terreno a un successivo accordo di ristrutturazione più strutturato o a un concordato. Può essere molto utile nelle crisi finanziarie dove serve tempo per negoziare (es. rinegoziazione di un pool bancario), impedendo che nel frattempo il primo creditore che perde la pazienza pignori c/c e beni. In sede di omologazione, il tribunale verifica che la moratoria non danneggi le banche dissenzienti (ad esempio, spesso si prevede che durante la moratoria maturino interessi compensativi) e che vi sia la maggioranza richiesta. La durata della moratoria e gli altri dettagli sono rimessi all’accordo.
Vantaggi e svantaggi degli accordi di ristrutturazione
Riassumendo, gli ARD offrono un equilibrio tra flessibilità negoziale e forza legale. Tra i vantaggi principali:
- Consentono di evitare la dichiarazione di fallimento o l’attivazione di concordati complessi, intervenendo in modo mirato sulla struttura finanziaria.
- Offrono protezione legale una volta avviato il processo (misure protettive durante l’omologa) e soprattutto dopo l’omologa (no revocatorie, esdebitazione parziale, ecc.).
- Permettono forme di cram-down parziale (accordi ad efficacia estesa) che nei piani attestati non sarebbero possibili, così da gestire creditori dissenzienti in categorie specifiche.
- Sono relativamente rapidi: l’omologazione di norma avviene entro pochi mesi, poiché non c’è il lungo iter del voto dei creditori come nel concordato (si deposita l’accordo già firmato) e molte volte le opposizioni sono limitate o assenti.
- Mantengono un certo grado di riservatezza: pur essendo pubblicati al Registro Imprese, non coinvolgono tutti i creditori indistintamente come un concordato (solo i maggiori interessati), e spesso si svolgono senza clamore.
- Anche gli accordi, come i piani attestati, beneficiano di agevolazioni fiscali e dell’attestazione di un professionista, il che tranquillizza gli stakeholder sulla bontà del piano proposto.
Di contro, i limiti e svantaggi includono:
- Necessità di consenso elevato: ottenere il 60% (o 75% per estensioni) di adesione può essere arduo in compagini molto frammentate. Non sempre i creditori sono collaborativi; i piccoli creditori, se pur soddisfatti integralmente, potrebbero ostacolare per ignoranza o paura. L’intero impianto regge sulla capacità di negoziazione del debitore nel convincere la maggioranza qualificata.
- Costo e complessità maggiori rispetto a un piano attestato: qui è necessario attivare un procedimento giudiziario, con relativi costi di giustizia e spese legali. Serve predisporre un fascicolo completo per il tribunale, e l’iter di omologa richiede tempo e formalità (sebbene più snello di un concordato, è pur sempre un mini-processo).
- Coinvolgimento dell’autorità giudiziaria: sebbene contenuto, implica un controllo esterno. Ad esempio, se ci sono opposizioni di creditori dissenzienti, l’esito non è scontato – il giudice potrebbe dar loro ragione e negare l’omologa se ritiene non equo l’accordo. C’è quindi minor autonomia rispetto a un accordo meramente privato.
- Vincolo di esecuzione rigoroso: una volta omologato, l’accordo va eseguito nei termini stabiliti. In caso di inadempimento del debitore, i creditori possono chiedere la risoluzione dell’accordo e si riapre il rischio di fallimento. Non essendoci una vera fase di “vigilanza” come nel concordato (dove c’è il commissario), molto dipende dall’effettiva capacità del debitore di rispettare il piano. Se qualcosa va storto (ad es. il debitore non paga una rata come da accordo), l’intera tutela dell’accordo viene meno e i creditori possono agire immediatamente o chiedere al tribunale la dichiarazione di fallimento.
- Ambito limitato di cram-down: al di fuori delle estensioni settoriali (finanziari, moratorie), non è possibile forzare singoli creditori dissenzienti che non rientrino nelle categorie previste. Ad esempio, un creditore chirografario estraneo non può essere costretto ad accettare uno stralcio: dovrà essere pagato al 100% fuori accordo, oppure occorrerà affrontarlo in un eventuale concordato preventivo. Questo può ridurre l’efficacia dell’accordo se restano fuori creditori “problematici” (come fornitori strategici che non vogliono aderire).
- Possibile attrito con creditori pubblici: storicamente, Erario e enti previdenziali sono stati tra i creditori più difficili da gestire negli accordi, spesso restii ad accettare stralci. Per ovviare, la legge ha introdotto la transazione fiscale (art. 63 CCII) e il meccanismo di cram-down fiscale, di cui parliamo a parte, ma comunque la presenza di ingenti debiti tributari può complicare il percorso di un accordo, specie se l’Agenzia delle Entrate o l’INPS negano l’adesione.
Riferimenti normativi: artt. 57-64 D.Lgs. 14/2019 (Accordi di ristrutturazione dei debiti e varianti); D.L. 118/2021 (introduzione art. 60 CCII, accordo agevolato 30%); D.L. 83/2015 conv. L.132/2015 (introduzione accordi ad efficacia estesa e convenzioni di moratoria, ex art. 182-septies l.f.); art. 63 CCII (transazione fiscale e contributiva negli accordi); art. 44 CCII (misure protettive); art. 88 TUIR (detassazione sopravvenienze da accordo omologato).
Transazione Fiscale e Contributiva
Una componente cruciale in quasi tutte le crisi d’impresa è la gestione dei debiti verso il Fisco e gli enti previdenziali (INPS, INAIL). Questi crediti, spesso rilevanti, godono di privilegi e tutele particolari, e in passato non erano liberamente negoziabili a causa del principio di indisponibilità delle obbligazioni tributarie. Oggi, tuttavia, la normativa consente esplicitamente di includere anche i crediti fiscali e contributivi nelle soluzioni concordate della crisi, attraverso l’istituto della transazione fiscale e contributiva disciplinato dall’art. 63 CCII (già art. 182-ter l.fall.).
Cos’è la transazione fiscale: In un accordo di ristrutturazione dei debiti (o in un concordato preventivo) l’imprenditore può proporre all’Amministrazione Finanziaria e agli enti previdenziali un trattamento agevolato dei rispettivi crediti, ovvero una dilazione e/o un parziale stralcio degli importi dovuti (comprensivi di sanzioni e interessi). Tradizionalmente, alcune tipologie di tributi erano “intoccabili” (in particolare l’IVA e le ritenute operate e non versate, considerati denaro di terzi): fino al 2020 vigeva il divieto di falcidiare IVA e ritenute neppure nei concordati. La normativa è però evoluta: attualmente qualsiasi tipo di credito tributario o contributivo può essere trattato nella transazione fiscale, purché venga assicurato all’Erario un pagamento almeno pari a quello conseguibile in caso di liquidazione. In pratica, l’Agenzia delle Entrate e gli enti potranno aderire all’accordo accettando una riduzione del credito se ciò è giustificato dalla convenienza rispetto alle prospettive alternative (il mancato risanamento dell’azienda comporterebbe verosimilmente un incasso minore, o nulla, in caso di fallimento).
Procedura di richiesta e omologazione forzata: L’imprenditore, nella proposta di accordo (o di concordato), inserisce una specifica proposta di transazione fiscale, indicando quanto intende pagare su ogni tributo e contributo (capitale, interessi, sanzioni) e in quanto tempo. Deve allegare la relazione di un professionista che attesti la convenienza della proposta per il Fisco rispetto alla liquidazione alternativa. Gli enti hanno 90 giorni per aderire o meno (termine portato a 90 gg dal 2020, prima 60 gg). Se l’adesione arriva, il credito pubblico viene trattato secondo i termini concordati e, dopo l’omologa, l’accordo produce effetto anche su di esso. Ma cosa succede se l’ente rifiuta oppure non risponde? Qui entra in gioco il cosiddetto “cram-down fiscale”. La legge, conformata nel 2020 e poi nel 2022, prevede che se la maggioranza dei creditori non pubblici ha detto sì all’accordo/concordato e la proposta al Fisco garantisce almeno il 10% del credito privilegiato e il 5% dell’eventuale chirografario (limiti introdotti dal 2023 per maggior rigore), il tribunale può omologare ugualmente l’accordo anche senza il voto favorevole del Fisco, ritenendo il suo dissenso ingiustificato. In sostanza, se l’Erario fa orecchie da mercante ma l’offerta del debitore è vantaggiosa (soprattutto supera la c.d. prova di convenienza, ossia dà all’Erario più di quanto otterrebbe da fallimento, e raggiunge quelle soglie minime), il giudice può forzare l’omologazione (cram-down) superando il dissenso erariale. Questo meccanismo è stato confermato e rafforzato dal D.Lgs. 83/2022 e dal D.L. 69/2023, che hanno chiarito che per procedere al cram-down fiscale devono esserci più classi di creditori (non solo il Fisco da solo) e che vanno soddisfatte percentuali minime, come sopra indicato. La Cassazione stessa ha avallato la possibilità del cram-down fiscale negli accordi, riconoscendo che l’adesione pubblica può essere superata se la proposta è vantaggiosa in termini comparativi.
Impatto pratico: La transazione fiscale è spesso determinante per la riuscita di un risanamento, poiché l’accumulo di debiti tributari (IVA non versata, ritenute, imposte sui redditi, contributi) è frequente nelle imprese in crisi. Poterli ridurre (soprattutto sanzioni e interessi) può riportare il debito totale a livelli sostenibili. Ad esempio, il Fisco potrebbe accettare di stralciare totalmente le sanzioni e interessi e parte del capitale, incassando magari il 40-50% dilazionato su 5 anni, piuttosto che rischiare di incassare zero da un fallimento. Anche l’INPS può accettare riduzioni sulle sanzioni civili e interessi di mora, mantenendo più intatto il capitale contributivo. La presenza dell’attestazione di convenienza tutela l’ente: se un domani qualcuno contestasse perché il funzionario ha “abbuonato” imposte, si potrà dimostrare che la scelta era conforme alla legge ed economicamente razionale.
È bene precisare che la transazione fiscale non esiste come procedura autonoma: va inserita all’interno di un accordo di ristrutturazione omologato o di un concordato preventivo. Tuttavia, novità 2024, il D.Lgs. 136/2024 ha previsto la possibilità di stipulare accordi fiscali transattivi anche nell’ambito della Composizione Negoziata. Ciò significa che, pur senza un’omologa formale, durante le trattative assistite dall’esperto l’imprenditore può raggiungere un accordo con l’Agenzia Entrate o l’INPS per regolare i debiti tributari e contributivi. Tale accordo, se conforme alle linee guida ministeriali e attestato conveniente dall’esperto, può essere sottoscritto dalle parti e – benché non omologato da un giudice – dovrebbe essere riconosciuto come valido e vincolante al pari di una transazione ex art.63. In pratica il Fisco viene autorizzato a “trattare” anche fuori dalle procedure formali, per favorire le soluzioni anticipate di crisi. Questo è un passaggio importante: supera la rigidità che obbligava a passare dal tribunale per poter ottenere sconti fiscali. Naturalmente l’accordo fiscale nella composizione negoziata richiederà il rispetto dei criteri di legge (convenienza almeno pari alla liquidazione) e probabilmente un vaglio o autorizzazione interna agli enti (c’è una circolare 34/E 2020 dell’AE che guida i funzionari nella valutazione delle proposte).
Effetti sui crediti erariali e contributivi: Con l’omologa dell’accordo o del concordato contenente transazione fiscale, i crediti pubblici sono definitivamente rideterminati secondo i termini concordati. Le eventuali ipoteche o privilegi dell’Erario vengono mantenuti per la parte di credito che residua da pagare (ad esempio, se l’IVA privilegiata viene falcidiata al 50%, l’ipoteca resta a garanzia di quel 50% che verrà pagato). Se il debitore adempie al piano, alla fine l’Erario rilascerà liberatoria totale. In caso di mancato adempimento, la transazione fiscale decade e l’Amministrazione può riprendere le azioni di recupero sull’intero importo originario al netto di quanto eventualmente incassato in acconto (non c’è infatti esdebitazione automatica fuori dalla procedura concorsuale). Questo è un ulteriore motivo per cui il piano va calibrato bene: un default nel pagamento delle quote concordate con il Fisco lo autorizza a pretendere di nuovo l’importo iniziale (salvo forse nei concordati liquidatori in cui, se chiuso regolarmente, il debitore persona fisica ottiene esdebitazione anche sui debiti erariali residui, ma questa è altra fattispecie).
In sintesi, la transazione fiscale e contributiva è uno strumento ormai indispensabile nei piani di risanamento. Oggi il quadro normativo è più favorevole al debitore rispetto al passato: tutte le componenti del debito pubblico sono negoziabili, e l’ente pubblico non ha più un veto assoluto (può essere superato se la proposta è oggettivamente migliorativa rispetto al fallimento). Questo ha permesso in molti casi di evitare il fallimento di imprese il cui maggiore creditore era proprio l’Erario, trovando soluzioni intermedie di soddisfacimento parziale. Per contro, l’imprenditore deve presentare proposte serie e motivate, perché l’Amministrazione finanziaria è tenuta a valutare la fattibilità e convenienza in base a parametri stringenti (lo impone anche la normativa anti-danno erariale). Da segnalare che nel 2023 sono state inasprite alcune condizioni (soglie minime di pagamento) per evitare abusi: ciò si traduce ad esempio nell’obbligo di offrire almeno una percentuale minima ai debiti fiscali privilegiati in caso di cram-down, e nel richiedere la presenza di almeno un altro creditore diverso dall’Erario coinvolto nell’accordo, per evitare che si usi l’accordo solo per falcidiare debiti fiscali isolati.
Riferimenti normativi: art. 63 D.Lgs. 14/2019 (Transazione su crediti tributari e contributivi); art. 180, co.4 e art. 182-bis, co.4 legge fall. come mod. da L.159/2020 (introduzione cram-down fiscale); D.Lgs. 83/2022 (rafforzamento cram-down fiscale, art. 63 co.2-bis CCII); D.L. 69/2023 conv. L.103/2023 (soglie minime soddisfazione crediti fiscali); Circolare AE n.34/E 2020 (criteri valutazione adesione Fisco); Cass. Sez. I, 28/10/2024 n. 27782 (conferma cram-down fiscale negli accordi).
Piano di Ristrutturazione Soggetto ad Omologazione (PRO)
Il Piano di Ristrutturazione soggetto ad Omologazione, spesso abbreviato in PRO, è un istituto di introduzione relativamente recente nel panorama italiano, derivante dall’attuazione della Direttiva UE 2019/1023 sui quadri di ristrutturazione preventiva. È disciplinato dagli artt. 64-bis, 64-ter e 64-quater CCII. Il PRO si pone come via di mezzo tra un accordo negoziale e un concordato preventivo: esso consente di sottoporre al tribunale un piano di risanamento dell’impresa suddiviso per classi di creditori, anche derogando alle regole ordinarie di parità di trattamento, a condizione che il piano sia approvato dalle varie classi e omologato dall’autorità giudiziaria. In altre parole, è uno strumento molto flessibile sul contenuto – permette infatti di trattare in modo differenziato classi di creditori e persino di alterare l’ordine delle cause di prelazione tra classi diverse – ma richiede un consenso qualificato e un controllo giudiziale assimilabile al concordato.
Caratteristiche principali: Nel PRO, l’imprenditore elabora un piano di ristrutturazione suddividendo i creditori in classi omogenee per posizione giuridica ed interessi economici (similmente a quanto avviene nel concordato in continuità). Il piano può prevedere sia misure di ristrutturazione finanziaria (conversione del debito in azioni, riscadenzamenti, riduzioni parziali) sia operazioni sul capitale o cessioni di asset. Non è richiesto il rispetto integrale della par condicio tra creditori di classi diverse: ad esempio, si potrebbe proporre di pagare al 100% i fornitori strategici chirografari e solo il 20% altri chirografari meno strategici, oppure, in un piano liquidatorio, si potrebbe deviare dalla regola del 20% minimo ai chirografari. Tali deviazioni sono ammesse purché il piano rispetti le condizioni di legge, in particolare la condizione che nessuna classe dissenziente riceva meno di quanto otterrebbe in caso di liquidazione giudiziale (principio di best interest test) e che il piano non violi la priorità assoluta se una classe dissenziente è inferiore di rango (cioè, grosso modo, non si può dare qualcosa agli azionisti se una classe di creditori di livello superiore non è soddisfatta almeno per equivalente, salvo consenso). Il PRO offre quindi la possibilità di ristrutturazioni complesse e creative, come ad esempio piani in cui alcuni asset vengono venduti e altri mantenuti in esercizio, con soddisfacimenti differenziati dei creditori.
Procedimento di approvazione: A differenza del concordato preventivo classico, nel PRO non c’è un voto formalizzato all’adunanza dei creditori. Piuttosto, l’adesione delle classi viene acquisita nelle trattative (un po’ come negli accordi, ma strutturata per classi). È richiesto che tutte le classi di creditori votanti approvino il piano, intendendo con ciò che in ciascuna classe ci sia la maggioranza prescritta (di solito la maggioranza dei crediti e dei creditori in quella classe, analogamente alle regole del concordato). Se anche una sola classe votante non approva, il piano non può essere omologato (non è previsto – almeno al momento – un meccanismo di cram-down interclassi nel PRO, a differenza di quanto la direttiva avrebbe consentito, ma il legislatore italiano ha preferito qui un approccio consensuale totale). Raggiunto il consenso di tutte le classi, il piano viene sottoposto al tribunale per l’omologazione. Il controllo giudiziale verifica: la regolarità del contraddittorio (tutti i creditori interessati sono stati informati e suddivisi correttamente in classi omogenee), il raggiungimento delle maggioranze in ciascuna classe, e il rispetto dei requisiti di merito (fattibilità del piano, rispetto del best interest test e dei criteri di trattamento equo delle classi). Se tutto è in ordine, il tribunale omologa il piano con decreto, rendendolo vincolante per tutti i creditori inclusi (anche per eventuali creditori dissenzienti che però sono rimasti in minoranza nelle proprie classi).
Differenze rispetto al concordato preventivo: Il PRO è definito dal Codice come “strumento di regolazione della crisi” e non come procedura concorsuale in senso stretto, anche se ne condivide molti aspetti. A differenza del concordato:
- Non vi è necessità di uno stato di crisi o insolvenza conclamata per proporre un PRO; può essere utilizzato anche in situazioni di pre-crisi, come strumento meramente preventivo.
- Non c’è la fase di ammissione con commissario giudiziale e voto ufficiale in adunanza; la procedura è più snella e vicina a quella di un accordo ex art.57.
- Non valgono alcuni limiti contenutistici del concordato: ad esempio, nel concordato liquidatorio puro la legge obbliga a soddisfare almeno il 20% dei chirografari, mentre un PRO liquidatorio potrebbe – se approvato da classi – anche prevedere meno del 20% ai chirografari, purché questi abbiano votato a favore oppure se dissenzienti dimostrando che in liquidazione avrebbero preso ancora meno. Questo lo rende uno strumento potenzialmente più flessibile per ristrutturazioni profonde dove non si riescono a rispettare i paletti del concordato tradizionale.
- Nel concordato è possibile l’omologazione anche con classi dissenzienti (cram-down interclassi) se certe condizioni sono soddisfatte, mentre nel PRO italiano attuale si è scelta la via di richiedere il consenso di tutte le classi, come detto. Ciò può sembrare un limite, ma in pratica il PRO è pensato come uno strumento consensuale al 100% (se manca consenso, l’alternativa sarà il concordato preventivo vero e proprio, che offre il cram-down).
- Il PRO non prevede la figura del commissario giudiziale né del giudice delegato: tutta la procedura è per molti versi autogestita dalle parti, con un intervento del tribunale solo in apertura (eventuali misure protettive) e in chiusura (omologa). Ciò riduce burocrazia e costi.
Quando usare un PRO: Questo strumento è indicato in ristrutturazioni complesse dove: (a) si riesce ad ottenere il consenso di tutte le categorie di creditori, magari grazie ad accordi con stakeholder chiave, e (b) si ha necessità di flessibilità estrema sul contenuto (es. violare parzialmente la priorità, coinvolgere soci con operazioni sul capitale, ecc.) che un concordato standard renderebbe difficoltoso. Ad esempio, in presenza di finanziatori mezzanini o fondi disposti a iniettare capitali a condizione di ricevere equity rilevante, il PRO permette di creare classi ad hoc e modulare i ritorni. Oppure in casi di gruppi di imprese, un PRO può facilitare soluzioni unitarie trattando creditori di società diverse in classi coordinate (il CCII prevede anche la possibilità di piani di gruppo soggetti ad omologazione con trattamenti calibrati per creditori di società differenti).
Esecuzione e risoluzione: Una volta omologato, il PRO vincola tutti i creditori nelle classi così come stabilito. Si procede quindi all’esecuzione del piano sotto la supervisione dell’eventuale monitor (spesso lo stesso attestatore o un professionista nominato a vigilare). Non essendoci commissario o procedura aperta, di norma il debitore esegue spontaneamente. Se però il debitore non adempie agli impegni del piano, i creditori potranno attivarsi per chiedere la risoluzione del piano in tribunale e a quel punto molto probabilmente si aprirà una liquidazione giudiziale (fallimento), con la particolarità che i creditori concorreranno sulla base dei crediti originari ridotti solo per le somme eventualmente già percepite in esecuzione del piano (Cass. 32996/2024 ha chiarito, in analogo contesto di accordi, che il successivo fallimento ammette al passivo i crediti per i valori risultanti dall’accordo omologato, considerando quanto già pagato).
Il PRO, introdotto formalmente a metà 2022, è strumento innovativo e in via di sperimentazione. Vantaggi: massima flessibilità di contenuti, possibilità di soluzioni tailor-made e di coinvolgere tutte le parti interessate (anche soci, potenzialmente, con modifiche di partecipazioni), procedura snella e velocizzata, niente requisiti rigidi come percentuali fisse di soddisfo, ecc. Svantaggi: richiede comunque altissimo consenso (tutte le classi) e un approccio negoziale sofisticato; in pratica è adatto a imprese medio-grandi con creditori organizzati, e con prospettiva di evitare la liquidazione tramite un piano concordato su misura. Per aziende molto piccole o situazioni molto conflittuali non è lo strumento ideale (meglio un concordato classico, che può bypassare il dissenso di qualche classe con l’imposizione giudiziale). Resta comunque un’opzione preziosa nell’arsenale delle soluzioni, in linea con l’approccio europeo di privilegiare ristrutturazioni anticipate e consensuali, anche a costo di rompere schemi tradizionali.
Riferimenti normativi: artt. 64-bis, 64-ter, 64-quater D.Lgs. 14/2019 (Piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione); Direttiva (UE) 2019/1023 (considerando 49-68 e art.9, quadri di ristrutturazione); D.Lgs. 83/2022 (attuazione direttiva, introduzione PRO); Linee interpretative del Comitato CCR sul PRO (2022).
Confronto delle Soluzioni Stragiudiziali
Di seguito, una tabella comparativa che riassume le caratteristiche principali delle diverse soluzioni stragiudiziali di gestione della crisi d’impresa esaminate:
Strumento | Natura (grado di formalità) | Consenso richiesto | Ruolo del Tribunale | Principali Vantaggi | Principali Svantaggi |
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Composizione Negoziata | Procedura stragiudiziale assistita (volontaria). | Consenso individuale e volontario dei creditori (non c’è voto collettivo; accordi bilaterali). | Limitato: tribunale interviene solo per misure protettive ed eventuale concordato semplificato finale. | – Riservatezza iniziale e nessuno spossessamento; – Esperto facilita accordi e fornisce consulenza; – Possibilità di stay delle azioni dei creditori durante trattative; – Può sfociare in varie soluzioni (accordo privato, concordato semplificato). | – Non vincola i dissenzienti (nessun cram-down); – Successo dipende dalla collaborazione volontaria dei creditori; – Meno adatta se ci sono molti creditori conflittuali; – Può comportare pubblicità (se si chiedono misure protettive). |
Piano Attestato | Accordo privato con attestazione indipendente. | Adesione integrale dei creditori coinvolti (accordo contrattuale; i non aderenti restano estranei e vanno pagati a parte). | Nessuna omologazione (solo deposito per pubblicità e protezione). | – Rapidità e flessibilità assoluta, senza iter giudiziario; – Esenzione da revocatorie per gli atti in esecuzione; – Parziale detassazione delle sopravvenienze attive; – Mantiene riservatezza e controllo totale al debitore. | – Necessario accordo volontario di (quasi) tutti i creditori strategici (basta un no per creare problemi); – Nessuna imposizione ai dissenzienti, né misure protettive automatiche; – Efficacia dipende molto dalla credibilità dell’attestazione e dalla buona fede di tutti. |
Accordo di Ristrutturazione (standard 60%) | Accordo omologato dal tribunale (ibrido stragiudiziale/concorsuale). | Consenso di almeno 60% dei crediti totali (vincola solo i creditori aderenti, salvo estensioni particolari). | Omologazione necessaria per efficacia legale; misure protettive disponibili su richiesta in fase di omologa. | – Effetti protettivi e vantaggi legali (stop azioni, revocatorie escluse, prededuzione finanziamenti); – Richiede consenso non unanime (sufficiente maggioranza qualificata); – Procedura più veloce e meno complessa di un concordato preventivo; – Possibilità di cram-down settoriale (banche, ecc.) con efficacia estesa. | – Necessario iter giudiziario (con costi e formalità); – I creditori estranei vanno comunque soddisfatti fuori accordo (impatto finanziario); – Se un creditore chiave non aderisce e non è “cram-downabile”, può far fallire l’operazione; – Rischio di opposizioni in sede di omologa (incertezza sull’esito fino al decreto). |
Accordo “agevolato” (30%) | Accordo omologato (variante soglia ridotta). | Consenso di almeno 30% dei crediti, ma con pagamento integrale e tempestivo del 70% estraneo. | Omologazione come sopra (art.60 CCII). | – Soglia di adesione molto bassa (facilita accordi in caso di pochi creditori critici); – Creditori estranei tutelati perché pagati interamente (meno opposizioni). | – Richiede risorse per pagare tutti i creditori non aderenti al 100% (limitato a casi in cui l’impresa è ancora abbastanza solida da soddisfare il restante); – Poco utile se l’impresa è illiquida o deve necessariamente falcidiare anche la massa restante. |
Accordo a efficacia estesa | Accordo omologato con cram-down settoriale (art.61). | 75% dei crediti in una data categoria (es. finanziari) per estendere l’accordo anche al restante 25% dissenziente. | Omologazione necessaria; il tribunale verifica correttezza categorie e maggioranze. | – Evita che piccole minoranze (spec. banche o bondholder) blocchino l’accordo; – Protegge dal rischio di azioni isolate di dissenzienti; – Migliora l’equità intra-categoria (tutti i pari grado stesso trattamento). | – Applicabile solo a certe categorie (tipicamente banche, finanziari); – Non consente di imporre riduzioni di capitale a creditori privilegiati dissenzienti (solo dilazioni); – Richiede attenzione nel formare le classi e nel garantire parità di trattamento interno. |
Convenzione di moratoria | Accordo di standstill omologato (sospensione pagamenti). | 75% degli intermediari finanziari per vincolare anche i finanziatori dissenzienti. | Omologazione necessaria (verifica percentuali e equità per dissenzienti). | – Stabilizza i rapporti con le banche durante la crisi, bloccando fughe in avanti; – Fornisce tempo all’impresa per negoziare un piano definitivo senza escalation di azioni legali; – Minor impatto su conti (è solo una dilazione temporanea). | – Coinvolge solo banche e affini (non copre fornitori o altri creditori); – Accordo temporaneo: se non segue un vero piano di risanamento, è solo un rinvio del problema; – Le banche dissenzienti possono opporsi in omologa se ritengono pregiudizievole la moratoria (es. per peggioramento garanzie nel frattempo). |
Transazione fiscale (in accordo/concordato) | Parte integrante di accordo o concordato (non autonoma). | Adesione Agenzia Entrate/enti o, in mancanza, requisiti per cram-down fiscale (maggioranza altri creditori e convenienza per Fisco). | Omologa: il giudice può imporre la transazione se condizioni soddisfatte. | – Possibilità di abbattere il debito tributario/previdenziale (anche IVA, sanzioni) rendendo sostenibile il risanamento; – Certezza giuridica su debiti fiscali (una volta omologato, il Fisco è vincolato ai nuovi importi); – Meccanismo di omologazione forzata tutela dal veto ingiustificato degli enti. | – Procedura formale necessaria (non si può fare transazione fiscale senza accordo/concordato, salvo via composizione negoziata da 2024); – Soggetta a criteri stringenti di convenienza (serve attestazione professionale e rispetto soglie minime); – Se l’impresa non rispetta il piano, il debito fiscale “resuscita” in pieno (nessun automatismo di esdebitazione fiscale fuori dal fallimento). |
Piano di Ristrutturazione Omologato (PRO) | Procedura concorsuale flessibile (preventiva, su classi). | Approvazione di tutte le classi di creditori votanti (maggioranza in ciascuna classe). | Sì, omologazione da parte del tribunale (controllo su classi e fairness). | – Massima flessibilità nel contenuto del piano (deroghe a regole concorsuali es. niente soglia 20% ai chirografari); – Possibilità di soluzioni complesse (classi, nuova finanza, equity swap, ecc.) su misura; – Procedura senza voto formale in adunanza: negoziazione più dinamica con singole classi; – Niente commissario, gestione rimane all’impresa (meno costi burocratici). | – Richiede consenso ampio: tutte le classi devono essere a favore (nessun cram-down interclasse previsto attualmente); – È comunque una procedura concorsuale (seppur light): pubblicità, necessaria solidità del piano e controllo giudiziario; – Ancora poco rodato nella prassi (elemento di novità, possibili incertezze interpretative); – In caso di insuccesso o mancata esecuzione, si rischia la liquidazione giudiziale senza appello. |
(Legenda: “misure protettive” = misure di sospensione di azioni esecutive e cautelari concesse dal tribunale; “revocatorie” = azioni revocatorie fallimentari di atti pre-procedura; “prededuzione” = priorità di pagamento in caso di fallimento successivo.)
Come si evince, la scelta dello strumento dipende dalla situazione specifica dell’impresa in crisi: numero e tipologia dei creditori, urgenza di tutela, fattibilità di ottenere consensi, necessità di flessibilità nelle soluzioni. Nella prassi, spesso si utilizza una combinazione di strumenti: ad esempio, la composizione negoziata come fase iniziale esplorativa, che sfocia poi in un accordo di ristrutturazione omologato; oppure un piano attestato per ristrutturare i debiti bancari, lasciando la porta aperta a un eventuale concordato minore per i restanti creditori. È fondamentale valutare vantaggi e svantaggi comparati – come riassunti anche in tabella – per adottare la strategia più adatta al caso concreto.
Simulazioni Pratiche Settoriali
Vediamo ora, in via esemplificativa, come gli strumenti stragiudiziali possono essere applicati nei diversi settori economici. Ogni settore presenta infatti peculiarità nelle cause di crisi e nella composizione del ceto creditorio; di seguito vengono proposti alcuni casi pratici (di fantasia, ma verosimili) per illustrare l’impiego degli istituti descritti.
Settore Industriale (Manifatturiero)
Scenario: Alfa S.p.A. è un’azienda metalmeccanica con 200 dipendenti, specializzata nella produzione di componenti automotive. A causa di una combinazione di fattori – calo di ordini per crisi del settore auto, aumenti dei costi delle materie prime e ritardi nei pagamenti da parte di alcuni clienti – Alfa S.p.A. entra in crisi di liquidità. Accumula debiti verso fornitori di acciaio e plastica, esposizioni bancarie a breve termine (scoperti di c/c e anticipi fatture) e un arretrato con l’erario (IVA non versata per €1 milione). L’azienda ha ancora un portafoglio ordini interessante e know-how distintivo, ma necessita di una ristrutturazione del debito e di nuova finanza per riconvertirsi verso la componentistica per veicoli elettrici.
Soluzione stragiudiziale adottata: Composizione Negoziata iniziale, sfociata in un Accordo di Ristrutturazione dei Debiti con efficacia estesa omologato.
Svolgimento: I vertici di Alfa, assistiti dai consulenti, decidono di attivare tempestivamente la composizione negoziata sulla piattaforma camerale. Viene nominato un esperto. Durante le trattative, l’esperto aiuta Alfa a predisporre un piano industriale di riconversione e un piano finanziario a 5 anni. Si individuano linee d’azione: dilazione dei debiti verso fornitori, accordo con le banche per ristrutturare le linee di credito in un finanziamento a medio termine, ingresso di un investitore di minoranza per apportare capitale fresco. Grazie alle misure protettive richieste ed ottenute dal tribunale, Alfa ha 4 mesi di respiro (nessun fornitore può pignorarle i macchinari nel frattempo).
I fornitori strategici (acciaierie e chimiche) si mostrano disponibili a piani di rientro: accettano di riscuotere il 80% dei crediti in 24 mesi, rinunciando a un 20% di importo e ad ogni azione legale nel frattempo. Le banche, inizialmente riluttanti, vengono convocate in riunioni congiunte con l’esperto: emerge la proposta di un accordo collettivo per cui tutte le esposizioni a breve (circa €5 milioni) verranno consolidate in un mutuo chirografario a 7 anni, con 2 anni di preammortamento, garantito da un’ipoteca su capannoni industriali di proprietà Alfa. Tre banche su quattro (rappresentanti l’85% del credito bancario totale) aderiscono formalmente; una piccola banca locale con il 15% rimane indecisa.
Contestualmente, l’azienda raggiunge anche un’intesa preliminare con l’Agenzia delle Entrate: tramite transazione fiscale, verserà subito il 50% dell’IVA dovuta (€500k) e rateizzerà il restante 50% in 5 anni, ottenendo la cancellazione di sanzioni e interessi (il che riduce di molto il debito fiscale complessivo).
Passaggio all’accordo omologato: Alla luce di questi risultati, l’esperto conclude che si profila un esito positivo e invita l’azienda a formalizzare il tutto in un accordo di ristrutturazione ex art.57. Alfa S.p.A. esce quindi dalla composizione negoziata (con esito concordato) e deposita in tribunale l’accordo sottoscritto da: 100% fornitori strategici (che rappresentano il 50% del debito chirografo); 85% banche (il 100% della categoria banche aderenti tranne la banca locale); l’Agenzia Entrate e l’INPS (che hanno aderito alla transazione fiscale). L’accordo prevede la suddivisione dei creditori in categorie: categoria A (banche finanziatrici), categoria B (fornitori strategici chirografari), categoria C (chirografari residuali vari, estranei). Le banche categoria A hanno aderito all’85%: soddisfano il requisito del 75% e dunque Alfa chiede al tribunale l’estensione ai sensi dell’art.61 CCII per vincolare anche la banca locale dissenziente alle medesime condizioni (mutuo 7 anni). I fornitori categoria B sono tutti aderenti (100%). La categoria C (altri creditori minori non aderenti, es. fornitori secondari) verrà pagata per intero entro 6 mesi dall’omologa, come da clausola di salvaguardia nell’accordo (essendo accordo agevolato per quella parte).
In udienza, nessuno si oppone (la banca dissenziente era stata informata e comunque viene soddisfatta integralmente a fine piano, solo dilazionata, dunque non impugna). Il tribunale verifica la regolarità del consenso, la presenza dell’attestazione di un professionista che dichiara il piano fattibile e conveniente, e omologa l’accordo. Importante: nonostante una banca non avesse firmato, grazie al meccanismo di efficacia estesa ora tutte le banche sono vincolate. Alfa S.p.A. può così partire con il suo programma: ottiene la nuova finanza (dall’investitore entrato in equity), paga i piccoli creditori estranei subito (togliendosi quel pensiero) e comincia a pagare rate a fornitori e banche secondo accordo.
Esito: In 3 anni Alfa S.p.A. torna in equilibrio: completata la riconversione produttiva, i nuovi ordini aumentano il fatturato e le permettono di rispettare tutte le scadenze dell’accordo. Al termine, l’azienda ha ridotto l’indebitamento del 20% grazie agli stralci concordati, ha diluito l’esposizione residua negli anni senza più crisi di liquidità e ha salvaguardato i posti di lavoro. Tutto ciò è avvenuto senza mai dichiarare fallimento né aprire un concordato preventivo, mantenendo rapporti commerciali e fiducia del mercato (molti clienti nemmeno sono venuti a conoscenza formale della crisi, data la riservatezza con cui è stata gestita tramite composizione negoziata e accordi mirati).
Settore Commerciale (Distribuzione e Retail)
Scenario: Beta S.r.l. gestisce una catena di 15 negozi di abbigliamento. La crisi economica e la crescita dell’e-commerce hanno ridotto i ricavi dei punti vendita fisici del 30%. Beta S.r.l. si trova con elevati costi fissi (affitti dei negozi, personale) e stock di magazzino invenduto. Accumula debiti verso i fornitori di abbigliamento (che vendono a Beta le collezioni) e ha vari affitti commerciali in arretrato con i proprietari dei locali. Le banche hanno esposto Beta per fidi di cassa e finanziamenti scorte. L’azienda è in grado di proseguire l’attività solo se ristruttura la rete, chiudendo i punti vendita meno redditizi e concentrandosi sull’online e su pochi store strategici.
Soluzione stragiudiziale adottata: Piano Attestato di Risanamento con accordi bilaterali chiave, unito a convenzioni di moratoria con il pool di banche.
Svolgimento: Beta S.r.l. si rivolge a un advisor finanziario e prepara un piano di rilancio: chiusura di 5 negozi su 15 (con risoluzione anticipata dei contratti di affitto), liquidazione degli stock invenduti con vendite promozionali, mantenimento di 10 store in location profittevoli e sviluppo parallelo dell’e-commerce. Il piano prevede che l’azienda abbia bisogno di alleggerire il debito per sopportare il calo temporaneo di fatturato dovuto alle chiusure. Beta negozia dunque con i locatori dei negozi da chiudere una risoluzione consensuale delle locazioni: propone il pagamento di 3 mensilità a saldo di tutti gli arretrati e l’immediata restituzione dell’immobile. Tre proprietari su cinque accettano; due grandi società immobiliari invece richiedono tutte le mensilità residue come penale. Beta allora decide di concentrare le risorse sui primi e, per gli ultimi due, mette in conto eventuali contenziosi (comunque i contratti prevedono recesso anticipato con indennizzo limitato, che Beta pagherà con la nuova finanza).
Con i fornitori di merce, Beta riesce a ottenere accordi individuali: quelli strategici (migliori brand) accettano di continuare a fornire merce nuova purché Beta paghi il pregresso (ad esempio €500k) in 18 mesi, magari garantito da effetti cambiari; alcuni fornitori secondari, il cui prodotto Beta non intende più vendere, accettano uno stralcio del 40% immediato a saldo (preferiscono prendere 60% subito su stock che Beta restituirà piuttosto che intraprendere azioni legali e forse nulla). Beta utilizza la liquidazione degli stock e un finanziamento soci per pagare questi accordi transattivi immediati.
Le banche finanziatrici (4 istituti con complessivi €2 milioni di affidamenti) vengono convocate insieme: Beta illustra il piano attestato in preparazione e chiede una moratoria di 12 mesi su rimborso quota capitale dei prestiti e sul rientro degli scoperti, per avere ossigeno nel periodo di ristrutturazione. Le banche, vedendo che Beta ha il supporto dei soci (che hanno immesso nuovi fondi) e dei principali fornitori, sono disponibili. Viene formalizzata una convenzione di moratoria ai sensi dell’art. 62 CCII: con il consenso di 3 banche su 4 (che rappresentano l’80% del credito bancario), la moratoria viene estesa anche alla quarta banca dissenziente. In pratica, tutte le banche congelano le loro richieste di rimborso per 1 anno e si impegnano a non revocare gli affidamenti a Beta nel frattempo. Questa convenzione viene poi omologata dal tribunale, vincolando così anche la banca inizialmente non d’accordo (che pure beneficerà della moratoria, anziché agire da sola e rischiare di provocare il default di Beta).
Attestazione e formalizzazione: Beta redige un piano attestato di risanamento, certificato da un professionista indipendente. Nel piano si riflettono tutti gli accordi raggiunti: i fornitori strategici saranno pagati su 18 mesi come pattuito, i fornitori stralciati accettano la loro percentuale subito, i locatori consenzienti ricevono le 3 mensilità a saldo, per i due locatori restanti Beta accantona in bilancio un fondo rischi con parte della nuova finanza (per coprire eventuali cause). Il professionista attesta che i dati di Beta sono veritieri (situazione patrimoniale e di cash flow dopo chiusura negozi) e che il piano è fattibile, cioè Beta sarà in grado di pagare regolarmente i creditori non aderenti (nel suo caso, praticamente non ne restano di rilevanti non aderenti, salvo quei due locatori che però sono coperti dal fondo rischi). Viene inoltre attestato che il risanamento è credibile: con 10 negozi e l’online, i costi di struttura scendono del 40% e Beta torna utile dal prossimo esercizio.
Beta deposita presso il Registro delle Imprese il piano e la relazione, ottenendo così la pubblicità richiesta dall’art.56 CCII e l’esenzione dalle revocatorie per i pagamenti eseguiti. La moratoria bancaria omologata, complementare al piano, garantisce che durante la fase di attuazione nessuna banca faccia mancare il supporto.
Esito: Beta S.r.l. implementa il piano: chiude i 5 punti vendita meno redditizi (liquidando il personale con accordi bonari e utilizzando ammortizzatori sociali per mitigare l’impatto), concentra il magazzino rimanente nei negozi aperti e sulla nuova piattaforma online. Le vendite complessive calano inizialmente, ma il break-even è ora più basso e dopo 8 mesi Beta torna addirittura in utile mensile. Riesce a rispettare la dilazione ai fornitori (i quali, vedendo che Beta è in regola coi pagamenti del piano, continuano a rifornirla di nuove collezioni). Dopo 12 mesi le banche tolgono la moratoria e Beta riprende a pagare i ratei dei mutui normalmente; ma ormai la situazione cassa è riequilibrata, anche grazie alla riduzione scorte e costi. In definitiva, Beta è riuscita a ristrutturare il debito interamente in via stragiudiziale, senza dover ricorrere a procedure concorsuali, preservando i rapporti con fornitori e proprietari immobiliari grazie ad accordi mirati e utilizzando l’attestazione per dare solidità al piano. I creditori hanno accettato qualche sacrificio (es. gli stralci al 40% per alcuni, o l’attesa di 12-18 mesi per altri) ma hanno evitato il rischio di perdite totali in caso di fallimento. La continuità aziendale è salva e Beta può proseguire sul mercato, sebbene ridimensionata ma sostenibile.
Settore Edile/Immobiliare (Costruzioni)
Scenario: Gamma Costruzioni S.p.A. è un’impresa edile specializzata in appalti pubblici e sviluppo immobiliare. A seguito di rialzi eccezionali dei costi di materiali e ritardi nei pagamenti da parte di alcuni enti appaltanti, Gamma si trova in grave tensione finanziaria. Ha diversi cantieri in corso (due dei quali per opere pubbliche strategiche) e alcuni immobili in costruzione per vendita. I suoi principali creditori sono: le banche, che hanno concesso fidi e soprattutto fideiussioni e garanzie sugli appalti (Gamma ha escussioni in vista se non completa i lavori in tempo); i fornitori di cantiere (calcestruzzo, ferro, impiantisti) che vantano crediti ingenti e alcuni hanno iscritto privilegi edili; l’Erario, poiché Gamma ha sospeso il versamento di ritenute e IVA per far fronte ai cantieri; infine ci sono gli acquirenti di immobili su carta, che hanno versato caparre e anticipi per appartamenti non ancora ultimati (questi soggetti non sono creditori in senso stretto ma soggetti coinvolti a cui bisognerà consegnare o rimborsare, rischio potenziali cause).
Problematica specifica: Nel settore edile, l’apertura di una procedura concorsuale (come un concordato o fallimento) comporterebbe quasi certamente la perdita degli appalti pubblici in corso (le stazioni appaltanti possono risolvere il contratto se l’appaltatore fallisce) e la sfiducia degli acquirenti privati (che magari chiederebbero indietro i soldi). È dunque fondamentale evitare il fallimento e preferibilmente qualsiasi procedura “visibile” per poter proseguire i cantieri.
Soluzione stragiudiziale adottata: Composizione Negoziata con utilizzo di strumenti agevolati nel Codice degli Appalti e successiva risoluzione tramite concordato preventivo in continuità indiretta per i progetti immobiliari. (Questo è un caso in cui la soluzione stragiudiziale pura potrebbe non bastare, ma è comunque predominante la fase negoziale.)
Svolgimento: Gamma Costruzioni richiede la nomina di un esperto indipendente in composizione negoziata. Data la rilevanza pubblica, la crisi di Gamma viene segnalata anche alla Cabina di Regia (essendoci appalti pubblici coinvolti). L’esperto, assieme all’azienda, convoca immediatamente un tavolo con le banche garanti: spiega che se le banche revocassero i fidi o le garanzie, i cantieri collasserebbero e le banche stesse subirebbero perdite peggiori. Si negozia quindi una moratoria sulle linee di garanzia e sull’eventuale escussione delle fideiussioni: le banche concordano (anche con pressione delle autorità pubbliche) di non revocare le garanzie per 6 mesi, dando tempo a Gamma di completare almeno in parte i lavori o trovare un subappaltatore. Si ipotizza anche una linea di finanziamento prededucibile (con garanzia pubblica del Fondo supporto) da erogare se Gamma dovesse entrare in concordato.
Nel frattempo con l’aiuto dell’esperto, Gamma tratta coi committenti pubblici: utilizzando gli strumenti del nuovo Codice Appalti, ottiene delle revisione prezzi straordinarie e proroghe sui termini contrattuali, in virtù dell’aumento costi (alcuni D.L. emergenziali già lo prevedono). Questo migliora i flussi attesi: Gamma incasserà di più sui SAL futuri. I fornitori di cantiere vengono anch’essi coinvolti: l’esperto li riunisce e chiarisce che, se bloccano i cantieri, perderanno tutto; se invece accettano un accordo, possono sperare di essere pagati col completamento delle opere. Si pattuisce che i fornitori proseguano a fornire materiali per terminare almeno le opere pubbliche, e in cambio Gamma – con la revisione prezzi ottenuta – userà quei maggiori incassi per pagare loro progressivamente i vecchi crediti (diciamo 60% del dovuto spalmato in 12 mesi). Si redige una sorta di accordo quadro firmato dall’associazione dei fornitori locali, che però dovrà trovare poi forma legale (forse un accordo di ristrutturazione).
Per i progetti immobiliari privati, Gamma e l’esperto contattano un paio di imprese concorrenti e investitori immobiliari per sondare l’interesse a subentrare nei cantieri in cambio di acquisire parte dei beni. Qui si prefigura una soluzione: vendere il cantiere X (non strategico) ad un developer rivale che si occuperà di consegnare gli appartamenti ai clienti, assumendo alcuni debiti correlati, mentre Gamma potrà così concentrare risorse sul cantiere Y più redditizio.
Esito della negoziazione: Dopo 4 mesi intensi, grazie alla composizione negoziata Gamma riesce a:
- Stabilizzare i cantieri pubblici (nessuna risoluzione appalto; ottiene più soldi e tempo).
- Trovare un accordo con banche e fornitori per continuare l’attività.
- Individuare un investitore per un ramo immobiliare.
A questo punto l’esperto attesta che c’è una via di risanamento. Data la complessità, consiglia a Gamma di formalizzare il tutto in un concordato preventivo in continuità, sfruttando le intese già raggiunte. Gamma dunque presenta domanda di concordato al tribunale, allegando il piano: nei fatti, l’80% del lavoro è già fatto grazie agli accordi presi nella fase negoziale (che vengono recepiti nel piano concordatario). Il concordato prevede: il completamento delle opere pubbliche (continuità diretta su quei contratti, con fornitori e banche accordate), la cessione del cantiere X all’investitore (continuità indiretta), il pagamento ai fornitori al 60% come concordato (classi di chirografari), il pagamento dell’Erario anch’esso dilazionato e falcidiato secondo transazione fiscale (ottenuta col parere favorevole dell’esperto e l’inerzia dell’AE, eventualmente cram-down se serve).
Il concordato viene omologato (i creditori votano a favore in larga maggioranza poiché l’alternativa era il fallimento con cantieri monchi). Gamma esce dalla crisi: completa i lavori pubblici (incassando e pagando i fornitori), evita penali e garantisce servizio pubblico; sistema i clienti privati vendendo il cantiere; riduce drasticamente il debito (grazie a stralci in concordato attuati però in base agli accordi presi prima); e soprattutto non perde completamente la propria attività – continua a operare, sebbene ridimensionata, magari specializzandosi in appalti su cui ora ha margine.
Considerazione: In edilizia spesso è necessario ricorrere a un mix di strumenti. La parte stragiudiziale (composizione negoziata) è servita come “salvataggio in extremis” per evitare che l’impresa collassasse prima di avere un piano. Poi però, per dare forza legale e vincolare tutti (inclusi fornitori minori o creditori disattenti), si è optato per un concordato. Si noti che senza la fase stragiudiziale iniziale, sarebbe stato forse impossibile arrivare a un concordato in continuità: i lavori si sarebbero interrotti, gli appalti persi e probabilmente non vi sarebbe stata materia per un risanamento. Questo esempio mostra bene il valore dell’allerta precoce e della negoziazione: temporeggiare in crisi può essere fatale, soprattutto in settori come l’edilizia dove i contratti in corso sono asset fondamentali che vanno preservati.
Settore Servizi (Società di servizi B2B)
Scenario: Delta Consulting S.r.l. è una società di consulenza aziendale che offre servizi IT e di organizzazione. Ha 50 dipendenti altamente qualificati. Negli ultimi due anni ha subito perdite per aver praticato tariffe troppo basse e per investimenti in software proprietari non andati a buon fine. La crisi di liquidità la porta ad accumulare debiti verso: lo Stato (tasse e contributi non versati per finanziare la gestione), un istituto di factoring a cui aveva ceduto crediti poi risultati inesigibili, e alcuni fornitori tecnologici (licenze software, servizi cloud). Delta ha pochi debiti verso banche (nessun mutuo, solo scoperti di conto modesti). Il valore principale sono i contratti in essere con clienti importanti, ma se la notizia di difficoltà trapela, c’è rischio che i clienti revochino gli incarichi (nel settore servizi la reputazione è tutto).
Soluzione stragiudiziale adottata: Accordo di Ristrutturazione “agevolato” (30%) accompagnato da transazione fiscale e piano attestato per asseverare il rilancio.
Svolgimento: Delta negozia individualmente con i suoi tre maggiori creditori:
- L’istituto di factoring (che vanta €500k) accetta di aderire a un accordo di ristrutturazione in cui gli verrà pagato il 40% del dovuto in 12 mesi, riconoscendo che i crediti ceduti non recuperati non sono colpa intera di Delta e preferisce incassare almeno parzialmente subito.
- Il fornitore di servizi cloud (credito €200k) è disposto a uno stralcio del 30% immediato, essendo fornitore secondario e volendo mantenere Delta come cliente su basi ridotte.
- Lo Stato (Agenzia Entrate e INPS, totale €300k fra IVA e contributi) tramite transazione fiscale concorda: pagamento del 50% in 5 anni, abbuono restante (soprattutto sanzioni).
Gli altri creditori (dipendenti, piccoli fornitori) verranno pagati regolarmente (Delta riesce ancora a far fronte a stipendi e piccole spese correnti, la crisi ha colpito i grandi debiti).
Fatto ciò, Delta si trova con il consenso di oltre il 30% dei crediti (in realtà circa il 60%, contando factoring + cloud + Fisco). Ma nel formulare l’accordo, opta per usare l’art.60 CCII (accordo agevolato) perché prevede di pagare integralmente e tempestivamente tutti gli altri creditori estranei, che in effetti sono soprattutto i dipendenti (che non subiranno tocchetti) e qualche fornitore minore. Dunque la soglia per omologare è 30%, ampiamente superata.
Si prepara un accordo di ristrutturazione agevolato con attestazione annessa: il professionista conferma che i creditori estranei (dipendenti e piccoli fornitori) saranno pagati puntualmente fuori accordo (Delta infatti, liberandosi di gran parte del debito con factoring e Fisco, può onorarli), e che il piano di ristrutturazione (che prevede un ridimensionamento dell’azienda, taglio di 5 consulenti e chiusura di una sede secondaria per ridurre costi) è sostenibile. La transazione fiscale viene inclusa nell’accordo e l’attestatore certifica che la proposta al Fisco è più conveniente del fallimento (visto che in caso di fallimento i consulenti se ne andrebbero e valore residuo molto basso, mentre con l’accordo l’Erario incassa metà). L’Agenzia Entrate formalmente aderisce (magari perché la relazione evidenzia chiaramente che conviene, e inoltre Delta versa subito un 10% di acconto).
Omologa “silenziosa”: Delta deposita l’accordo in tribunale chiedendo l’omologa. Non ci sono creditori dissenzienti rilevanti: il factoring e il grosso fornitore hanno firmato, il Fisco è dentro, i restanti (dipendenti ecc.) non subiscono pregiudizio. Nessuno fa opposizione. Il tribunale omologa l’accordo agevolato rapidamente. L’intera operazione passa quasi inosservata sul mercato: Delta informa magari confidenzialmente i clienti che ha riorganizzato la struttura finanziaria, ma non c’è clamore pubblico, perché l’accordo non prevede neanche misure protettive estese (non servivano, Delta ha negoziato in tempi brevi con poche controparti).
Esito: Delta Consulting torna ad essere solvibile: con il taglio del 60% del debito factoring, la dilazione fiscale e qualche stralcio, il suo bilancio si alleggerisce e il cash flow mensile torna positivo. Continua a servire i clienti senza interruzioni, anzi rilancia la sua immagine puntando sul fatto che ha nuovi soci (nel frattempo i soci originari hanno ricapitalizzato con €100k per dare un segnale) e un piano industriale focalizzato su consulenza IT ad alto margine. Grazie all’accordo agevolato, Delta ha ottenuto il risultato in pochi mesi e con costi limitati, evitando un lungo concordato che l’avrebbe esposta alla fuga di cervelli e clienti.
Questo caso illustra come per imprese di servizi, con pochi creditori principali, un accordo stragiudiziale omologato può essere più indicato: minima pubblicità, preservazione del valore umano (i dipendenti non hanno visto i loro stipendi toccati, quindi restano motivati) e relazionale (clienti quasi all’oscuro). È fondamentale in questi settori muoversi discretamente e velocemente, e lo strumento dell’accordo agevolato unito alla transazione fiscale permette proprio di fare una sorta di “chirurgia finanziaria” rapida ed efficace.
Settore Tech (Startup e imprese innovative)
Scenario: Epsilon Tech S.r.l. è una startup innovativa che sviluppa una piattaforma SaaS (software as a service). Ha ricevuto finanziamenti da venture capital per 2 milioni, bruciati in 3 anni di sviluppo prodotto senza aver ancora raggiunto il break-even. Ora i ricavi mensili ci sono (abbonamenti SaaS in crescita) ma non coprono i costi operativi. I venture capital che avevano finanziato tramite strumenti partecipativi convertibili esitano a immettere altro denaro. Epsilon ha debiti principalmente verso fornitori di marketing e servizi cloud, ma soprattutto ha impegni con gli stessi investitori: i contratti di investimento prevedevano che in mancanza di determinati risultati, la società avrebbe riacquistato le loro quote o restituito parte del capitale (clausole di uscita che ora Epsilon non può onorare). Inoltre i soci fondatori hanno dato garanzie personali su un prestito bancario di €200k ottenuto con garanzia Fondo PMI. La crisi qui è più che altro crisi di crescita insufficiente, tipica delle startup quando finiscono la liquidità.
Problematica specifica: Una startup innovativa in crisi rischia di perdere valore velocemente – i dipendenti (ingegneri) se ne vanno, i clienti perdono fiducia nel servizio, i fornitori chiave (cloud provider) possono sospendere l’accesso. Occorre trovare una soluzione magari ibrida: nuova finanza e riduzione del debito pregresso.
Soluzione stragiudiziale adottata: Composizione Negoziata “semplificata” seguita da un Piano Attestato con intervento di un nuovo investitore e accordo transattivo con i venture capital.
Svolgimento: I fondatori di Epsilon decidono di attivare la composizione negoziata anche se insolvenza conclamata non c’è ancora, ma vedono che fra 6 mesi cassa finisce (stato di crisi prospettica). In piattaforma nominano un esperto con competenze nel settore startup. L’esperto aiuta a stilare un business plan credibile su come Epsilon potrebbe diventare profittevole con un ulteriore sviluppo e con tagli a spese non essenziali (ad esempio riducendo il marketing costoso e puntando su crescita organica). Vengono contattati potenziali investitori terzi: una società più grande del settore SaaS interessata ad acquisire la tecnologia di Epsilon. Dopo negoziati, questa società propone di investire €1 milione in Epsilon in cambio di una quota del 51% e di alcune garanzie (vuole una “cap table” pulita e senza contenziosi con i vecchi investitori).
I venture capital attuali, che detengono complessivamente il 30%, accettano di buon grado di convertire i loro strumenti partecipativi in equity a una valutazione ridotta (quindi diluirsi) piuttosto che rischiare zero in caso di fallimento. Chiedono però di inserire una clausola di earn-out: se la società tra 3 anni raggiungerà certi obiettivi, riceveranno un extra in denaro dal nuovo socio. L’esperto struttura questo accordo e lo fa mettere per iscritto: in pratica i vecchi investitori rinunciano alle clausole di rimborso immediato e accettano di restare soci minoritari, in cambio di questa prospettiva futura e della salvaguardia dell’azienda.
I debiti verso fornitori (circa €150k) vengono negoziati uno per uno: trattandosi di partner tech e consulenti, credono nel progetto e molti accettano un pagamento a lungo termine (24 mesi) sul 100% se Epsilon trova l’investitore (preferiscono attendere ma essere pagati integralmente). Il cloud provider minaccia sospensione servizio, ma dietro commitment dell’investitore che coprirà le fatture future, accetta che i debiti pregressi (€50k) siano messi in coda e pagati in 18 mesi, con garanzia del nuovo socio. La banca con 200k di prestito garantito accetta di postergare il rimborso per ultimi 2 anni (visto che c’è garanzia pubblica, non teme troppo, e comunque con la nuova equity l’azienda sarà più solida).
Formalizzazione piano: Con tutti questi accordi in mano (investitore nuovo pronto, venture capital consenzienti, fornitori allineati, banca disponibile), l’esperto dichiara conclusa la composizione negoziata con successo. Epsilon a questo punto elabora un piano attestato di risanamento dove si elencano:
- L’ingresso di €1M di equity fresca (che verrà formalizzato in un aumento di capitale riservato).
- L’utilizzo di quei fondi per sostenere il circolante e gli investimenti chiave.
- L’impegno a pagare i debiti pregressi secondo i nuovi calendari negoziati (tutti i creditori hanno accettato, quindi nessuno resta estraneo rilevante).
- La nuova struttura societaria e l’assenza di contenziosi (i vecchi soci firmano un accordo di waiver per rinunciare a cause).
- Previsioni economico-finanziarie che mostrano break-even in 18 mesi grazie al boost finanziario e alle misure di efficienza.
L’attestatore (lo stesso esperto o altro professionista) certifica che il piano è veritiero e fattibile, e che l’azienda può soddisfare i creditori residui regolarmente. Il piano viene pubblicato a registro imprese per assicurare data certa e protezione legale. In parallelo, contestualmente all’attuazione del piano, Epsilon conclude l’aumento di capitale con il nuovo investitore.
Esito: Epsilon Tech evita la dissoluzione: grazie al nuovo partner, prosegue l’attività, conserva i talenti chiave (anzi, l’investitore porta anche know-how manageriale). I vecchi investitori limitano le perdite e mantengono una chance di recupero. I fornitori vengono pagati più tardi ma integralmente, continuando a collaborare. Non c’è stato bisogno di tribunale (se non la leggera supervisione durante la composizione negoziata con misure protettive minime, tipo il cloud provider ha evitato di staccare la spina perché l’esperto era lì a garantire buona fede). La reputazione sul mercato di Epsilon addirittura migliora: l’operazione non è stata pubblicizzata come “crisi”, ma come “Epsilon fa partnership strategica con BigTech Inc.” – il messaggio ai clienti è positivo. In definitiva, uno startup turnaround riuscito grazie a strumenti negoziali.
Domande Frequenti (FAQ)
D: Quando è opportuno iniziare ad attivarsi per gestire la crisi?
R: Il prima possibile. La normativa incoraggia l’emersione tempestiva della crisi: obblighi di adeguati assetti organizzativi e sistemi di allerta servono proprio a cogliere i segnali precoci. Prima ci si attiva (ad esempio tramite la composizione negoziata o consultando professionisti), maggiori sono le opzioni di risanamento. Intervenire su una “crisi” rende spesso possibile il salvataggio; aspettare l’“insolvenza conclamata” riduce drasticamente le chance, perché l’erosione di liquidità e fiducia può diventare irreversibile. Quindi, appena si percepisce uno squilibrio significativo (incapacità di pagare qualche scadenza, perdite ricorrenti, tensione di cassa), è il momento di valutare uno strumento stragiudiziale.
D: Qual è la differenza tra un piano attestato di risanamento e un accordo di ristrutturazione?
R: Il piano attestato è un accordo privato senza intervento del tribunale, basato sul consenso totale (o comunque sufficiente) dei creditori coinvolti e sul supporto di un attestatore indipendente che valida il piano. È più flessibile e confidenziale, ma non vincola i creditori che non aderiscono e non offre misure coercitive (es. sospendere azioni esecutive). L’accordo di ristrutturazione invece richiede l’omologazione del tribunale ed è efficace erga omnes per i creditori aderenti (e talvolta per alcuni dissenzienti), a fronte però di una procedura più formale e della necessità di raggiungere soglie di adesione qualificate (es. 60%). In breve: piano attestato = procedura stragiudiziale pura, nessuna omologa, massima libertà ma solo se c’è accordo spontaneo di (quasi) tutti; accordo di ristrutturazione = soluzione ibrida, c’è il giudice che omologa, servono maggioranze, però si ottengono effetti protettivi e si può imporre l’accordo a certe minoranze.
D: La composizione negoziata è pubblica? I miei concorrenti/fornitori lo verranno a sapere?
R: L’accesso alla composizione negoziata è inizialmente riservato e confidenziale. La domanda si presenta su piattaforma telematica e non viene iscritta subito presso il Registro Imprese. Solo se l’imprenditore chiede al tribunale misure protettive (ad es. il blocco dei pignoramenti), allora viene pubblicata un’annotazione nel Registro delle Imprese. Inoltre, i soggetti coinvolti (creditori, esperto) hanno un obbligo di riservatezza. In pratica, dunque, nella fase iniziale si può negoziare lontano dai riflettori. Naturalmente, se per esempio si convoca un grande numero di creditori, qualche voce può circolare; ma formalmente la procedura non è di dominio pubblico. Anche l’eventuale esito negativo non viene registrato a meno di misure protettive concesse. Dunque la composizione negoziata consente di gestire la crisi con discrezione, proteggendo la reputazione dell’impresa.
D: Cosa succede se i creditori non vogliono trovare un accordo?
R: Se i creditori (o alcuni di essi) rimangono ostinatamente contrari a qualsiasi proposta ragionevole, l’imprenditore ha comunque alcune opzioni:
- Adattare lo strumento: ad esempio, passare da un piano attestato (che richiede consenso unanime di fatto) a un accordo di ristrutturazione dove basta il 60% e si possono forzare alcune minoranze. Oppure, se solo una categoria è problematica (es. banche), usare l’accordo ad efficacia estesa al 75%.
- Ricorrere a una procedura concorsuale: se proprio manca il consenso necessario, si può considerare il concordato preventivo. Nel concordato, a differenza degli strumenti stragiudiziali puri, i creditori dissenzienti possono essere crammati (se il piano è approvato dalle maggioranze di legge, il tribunale può omologare anche contro il voto contrario di alcune classi). Certo, il concordato è più lungo e complesso, ma è l’ultima risorsa se il negoziato fallisce.
- Liquidazione ordinata: in casi estremi, se nessun accordo è fattibile e l’impresa non è più salvabile, conviene prendere atto della realtà e optare per la liquidazione (meglio se volontaria o tramite concordato liquidatorio, evitando l’ex fallimento).
In sintesi, un singolo creditore non può bloccare qualsiasi soluzione: gli strumenti come l’accordo omologato e il concordato servono proprio a superare opposizioni isolate purché la maggioranza sia d’accordo. Tuttavia, se la maggioranza dei creditori rifiuta ogni proposta, probabilmente vuol dire che il livello di fiducia è molto basso o che la situazione dell’impresa è troppo compromessa, e in tal caso la via giudiziale diventa inevitabile.
D: Posso includere i debiti fiscali e contributivi in questi accordi?
R: Assolutamente sì, tramite la transazione fiscale e contributiva. Come spiegato, oggi il Codice consente di ristrutturare anche i debiti verso Erario e INPS nell’ambito di accordi di ristrutturazione o concordati, con il vantaggio che anche l’Erario può rinunciare a una parte del credito (soprattutto sanzioni e interessi). Serve la relazione dell’attestatore che dimostri che la proposta è conveniente per loro (cioè il Fisco prende più del valore di liquidazione). Se l’ente non aderisce ma la proposta è buona, il tribunale può omologare lo stesso (cram-down fiscale). Da fine 2024, addirittura, è possibile stipulare accordi fiscali transattivi anche durante la composizione negoziata, senza aspettare la procedura formale. Quindi sì, i debiti fiscali possono essere “tagliati” o dilazionati legalmente, purché si usino gli strumenti corretti. Non è invece possibile, ad esempio, fare un semplice piano attestato privato che riduca l’IVA senza coinvolgere formalmente l’Agenzia delle Entrate – quello non sarebbe opponibile al Fisco. Occorre passare per la transazione fiscale.
D: Chi nomina l’attestatore o l’esperto indipendente? Posso sceglierlo io imprenditore?
R: Dipende dallo strumento. Nell’attestazione di un piano o accordo, è l’imprenditore che propone un professionista di fiducia, purché abbia i requisiti di indipendenza di legge (iscritto albo revisori o professionisti, con esperienza). Di solito lo sceglie l’azienda con i suoi consulenti, ma quello deve svolgere il lavoro in modo imparziale. Nel caso invece della Composizione Negoziata, l’Esperto indipendente viene nominato da una commissione presso la Camera di Commercio tra gli iscritti nell’elenco nazionale. L’imprenditore quando fa istanza può indicare preferenze o caratteristiche (es. meglio esperto del settore), ma la scelta finale è dell’ente terzo, per garantire neutralità. In ogni caso, sia attestatore sia esperto devono agire con obiettività e verificare i dati: la loro relazione è fondamentale e se mancasse di veridicità o indipendenza, l’accordo potrebbe non venire omologato (la Cassazione ha annullato accordi con attestazioni carenti).
D: Durante queste procedure posso continuare a gestire la mia azienda?
R: Sì, in tutti gli strumenti stragiudiziali la gestione resta all’imprenditore (principio del “debtor in possession”). Non c’è nessun commissario che prende il controllo, a differenza del fallimento dove arriva il curatore. Nell’accordo di ristrutturazione e nel piano attestato, l’imprenditore mantiene pieni poteri, salvo l’obbligo di non compiere atti che pregiudichino i creditori rispetto al piano. Anche nella composizione negoziata, l’imprenditore conserva la gestione ordinaria e straordinaria, sebbene debba coordinarsi con l’esperto per gli atti di maggiore rilievo e l’esperto può segnalare condotte pregiudizievoli. Solo qualora si passi a un concordato preventivo allora subentra un commissario, ma fino a quel punto l’organo amministrativo rimane in sella. Inoltre, nelle soluzioni in continuità l’imprenditore spesso continua a gestire l’impresa anche dopo l’omologazione, eventualmente sotto vigilanza (nel concordato in continuità, ad esempio, l’azienda prosegue sotto la gestione del debitore con affiancamento di un commissario). Insomma, nessuno ti porta via l’azienda durante un percorso stragiudiziale; anzi, la filosofia è aiutare l’imprenditore a rimetterla in sesto, non sostituirlo.
D: Cosa si intende per esenzione da revocatoria fallimentare?
R: La “revocatoria fallimentare” è l’azione del curatore fallimentare per farsi restituire pagamenti o atti compiuti prima del fallimento, ritenuti preferenziali o anomali (entro certi termini). Ebbene, gli strumenti di cui abbiamo parlato offrono protezione dalle revocatorie: in particolare, i pagamenti eseguiti in coerenza con un piano attestato pubblicato o con un accordo omologato non possono essere successivamente attaccati dal curatore. Esempio: se pago un fornitore durante l’esecuzione di un piano attestato e poi dopo 1 anno fallisco, quel pagamento (che normalmente essendo avvenuto a ridosso dell’insolvenza sarebbe revocabile come preferenziale) è al sicuro, il curatore non può chiederlo indietro al fornitore. Ciò perché la legge riconosce che era un pagamento funzionale al risanamento. Questo vantaggio è cruciale per convincere i creditori a sostenere l’accordo: incassano con “garanzia” che quei soldi resteranno loro. Senza esenzione, molti creditori avrebbero paura di prendere soldi prima di un eventuale fallimento (perché poi dovrebbero restituirli). Quindi l’esenzione da revocatoria serve a cristallizzare gli atti attuativi del piano/accordo, dando stabilità giuridica alle operazioni di risanamento.
D: Alla fine di un accordo di ristrutturazione o di un concordato, i debiti residui vengono cancellati?
R: Sì, se l’accordo o concordato è adempiuto correttamente, il debitore esce liberato dai debiti oggetto dello stesso (esdebitazione). Ad esempio, se l’accordo prevede che pagherò ai chirografari il 60% a saldo, una volta pagato quel 60% nei termini pattuiti, non potranno più pretendere il restante 40%, che è stralciato. L’omologazione dell’accordo/concordato e il suo completo adempimento producono la liberazione integrale del debitore secondo i patti. Anche i debiti fiscali stralciati con transazione fiscale, se l’accordo è eseguito, vengono definitivamente annullati dall’Erario. Discorso diverso se l’accordo non viene eseguito: in caso di inadempimento rilevante, l’accordo può risolversi e i creditori riacquistano i loro diritti per intero (dedotti eventuali acconti ricevuti). Se dopo un concordato l’impresa fallisce perché non ha pagato le rate, i creditori partecipano al fallimento per la quota non pagata (perdendo però quanto già incassato che rimane acquisito). Quindi la regola è: soddisfi quanto promesso = debito residuo cancellato; non adempi = si torna al debito originario ridotto di ciò che hai pagato. Da notare che per le persone fisiche, anche in caso di fallimento o liquidazione c’è la possibilità di esdebitazione personale a fine procedura, ma questo esula dal nostro focus (che è sulle imprese in continuità).
D: In concreto, quanto tempo richiede un’operazione di risanamento stragiudiziale?
R: Molto dipende dalla complessità del caso e dallo strumento scelto. Indicativamente:
- Una composizione negoziata ha una durata standard di 3-6 mesi (prorogabile a 12 in casi eccezionali). Lì dentro si gioca gran parte delle trattative.
- Un piano attestato può essere elaborato e finalizzato anche in 2-3 mesi se i creditori principali collaborano (il tempo di predisporre il piano e farlo attestare).
- Un accordo di ristrutturazione dalla presentazione in tribunale all’omologa può richiedere 4-6 mesi (i termini delle opposizioni, l’udienza, ecc.). Prima però c’è la fase negoziale privata che può durare anch’essa diversi mesi. In totale da avvio negoziazioni a omologa si va facilmente sui 6-10 mesi.
- Un concordato preventivo ha tempistiche più lunghe: solo per arrivare al voto/omologa spesso servono 6-9 mesi dall’ammissione, e prima ancora c’è la fase preparatoria (a volte protetta dal “concordato in bianco”) di 2-3 mesi. Quindi un anno è frequente.
- Accordi più snelli come accordi agevolati, se pochi creditori, possono chiudersi in 3-4 mesi totali (metà negoziazione e metà fase omologa).
In sintesi, le soluzioni stragiudiziali riducono i tempi rispetto a procedure concorsuali: in alcuni casi un accordo privato si chiude in poche settimane, mentre un fallimento può trascinarsi anni. Tuttavia, convincere tanti creditori richiede comunque un po’ di tempo; raramente si risolve tutto in meno di 2 mesi, a meno di situazioni molto semplici. Un tempismo agile è comunque possibile, specialmente utilizzando misure protettive per congelare la situazione e lavorare sul piano senza pressioni quotidiane (pignoramenti etc.). L’importante è avere un cronoprogramma chiaro e gestire il processo con disciplina. Molto aiuta prepararsi in anticipo con un diagnosi della crisi e magari bozze di piano, così da non improvvisare all’ultimo.
Fonti Normative e Giurisprudenziali (aggiornate al 2025)
- D.Lgs. 12 gennaio 2019, n.14 – Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII). Articoli rilevanti: artt. 2 (definizioni di crisi e insolvenza), 12-25-quinquies (Composizione negoziata e concordato semplificato), 56 (Piano attestato di risanamento), 57-64 (Accordi di ristrutturazione dei debiti, convenzioni di moratoria, transazione fiscale), 64-bis e seguenti (Piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione), 84 e segg. (Concordato preventivo in continuità), 88 TUIR richiamato (detassazione sopravvenienze). (Testo vigente consolidato con modifiche fino al D.Lgs. 136/2024 disponibile su Normattiva).
- Decreto-Legge 24 agosto 2021, n.118, conv. in L.147/2021 – Misure urgenti crisi d’impresa: ha introdotto la Composizione Negoziata al posto delle procedure di allerta OCRI, e l’accordo di ristrutturazione agevolato (soglia 30%, art. 60 CCII), nonché il Concordato semplificato (art.25-sexies CCII) per esito negativo composizione. Ha inoltre rinviato l’entrata in vigore del Codice al 15/07/2022.
- D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83 – “Correttivo-bis” al CCII: attuazione della Direttiva UE 2019/1023. Ha modificato varie disposizioni del Codice: rafforzato il cram-down fiscale negli accordi (art. 63 CCII, introdotto comma 2-bis imponendo la presenza di pluralità di creditori), introdotto il Piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (PRO) (artt. 64-bis e seg.) e apportato miglioramenti tecnici. (G.U. n.152 del 01/07/2022).
- Decreto-Legge 13 giugno 2023, n. 69, conv. in L.103/2023 – Ha ulteriormente ritoccato la disciplina del cram-down fiscale negli accordi/concordati: introdotto soglie minime di soddisfacimento dei crediti fiscali privilegiati (ad es. almeno 30%) e richiesto espressamente la pluralità di classi per l’omologazione forzata (recependo osservazioni UE). (Cd. “Decreto PNRR 2” – G.U. n.186 del 10/08/2023).
- D.Lgs. 13 settembre 2024, n. 136 – “Correttivo-ter” al CCII: dispone integrazioni e correzioni al Codice. Novità principali: chiarito che Composizione Negoziata attivabile anche da imprese già insolventi se con prospettive di risanamento (introdotto art. 12-quinquies CCII); previste tutele per le linee di credito in composizione (divieto di revoca/sospensione arbitraria affidamenti bancari salvo motivazione prudenziale); ammessa la stipula di accordi transattivi fiscali nella composizione negoziata; specificato il contenuto minimo del piano attestato di risanamento; varie altre ottimizzazioni (es. sull’allerta, sull’esdebitazione). (G.U. n.227 del 27/09/2024).
- Direttiva (UE) 2019/1023 del 20/06/2019 – Direttiva Insolvency: ha ispirato molte innovazioni del Codice. Stabilisce i principi dei quadri di ristrutturazione preventiva, tra cui la possibilità di suddivisione in classi e cram-down interclassista (considerando 52 e art.9), la protezione dei finanziamenti interinali, ecc. Recepita in Italia col D.Lgs. 83/2022.
- Cass., Sez. I, 28/10/2024 n. 27782 – Ha confermato la legittimità del cram-down fiscale negli accordi di ristrutturazione: se la proposta al Fisco è conveniente e gli altri creditori approvano, il tribunale può omologare l’accordo anche senza adesione dell’Erario.
- Cass., Sez. I, 13/12/2023 n. 34865 – In materia di transazione fiscale, ha statuito che le controversie sul credito tributario nell’accordo (es. contestazione importi) attengono al giudice tributario, ma la valutazione sulla convenienza della proposta e sulla conferma del cram-down resta al giudice ordinario (competenza ripartita).
- Cass., Sez. I, 20/07/2023 n. 13154 – Ha sancito che un accordo di ristrutturazione non è omologabile se la relazione dell’attestatore è carente o priva degli accertamenti richiesti. La relazione ex art.57 CCII è condizione essenziale: in quel caso l’omologa è stata negata poiché l’attestazione non garantiva la veridicità dei dati.
- Cass., Sez. I, 17/12/2024 n. 32996 – Riguardo agli effetti di un fallimento successivo all’omologazione di un accordo di ristrutturazione: ha chiarito che i creditori che erano parte dell’accordo vanno ammessi al passivo fallimentare solo per la parte di credito residua secondo l’accordo (tenendo conto di quanto eventualmente già incassato). Dunque l’accordo parzialmente eseguito riduce il debito anche in fallimento, salvo risoluzione formale.
- Tribunale di Bologna, Sez. IV, 30/01/2024 – (decisione di merito citata) – Ha ammesso un accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa stipulato con alcuni obbligazionisti di una società, confermando che la classazione dei creditori finanziari e l’estensione ai dissenzienti è applicabile anche a obbligazioni non quotate, purché rispettati i quorum e l’attestatore ne certifichi la parità di trattamento.
- Agenzia Entrate – Risposta a interpello n.49/E del 22/02/2024 – Ha fornito chiarimenti sul regime fiscale delle sopravvenienze attive in caso di modifica di un accordo di ristrutturazione omologato senza nuova omologa: ha ribadito che l’esenzione di cui all’art.88 TUIR non si applica ad eventuali ulteriori riduzioni di debito intervenute fuori dall’omologa originaria. Ciò significa che se dopo l’omologa si fanno sconti aggiuntivi non convalidati da giudice, quelle nuove sopravvenienze sono tassabili.
- Agenzia Entrate – Circolare n.34/E del 29/12/2020 – Istruzioni sulla valutazione delle proposte di transazione fiscale da parte degli uffici: stabilisce che l’adesione va concessa se la proposta garantisce un ritorno non inferiore a quello liquidatorio, obbligo di motivare l’eventuale diniego (pena possibile giudizio di abuso). Questa circolare guida il Fisco nel partecipare alle ristrutturazioni secondo logiche di convenienza economica.
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Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo
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