Accordo Di Ristrutturazione Del Debito Con Le Banche: Cosa Sapere

Hai un’impresa schiacciata da mutui, affidamenti e scoperti bancari? Ti stai chiedendo se è possibile rinegoziare il debito con le banche prima che la situazione precipiti e diventi irreversibile?

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in crisi d’impresa, ristrutturazioni aziendali e trattative bancarie – ti spiega in modo chiaro e concreto come funziona l’accordo di ristrutturazione del debito con le banche, quando è utile attivarlo e quali vantaggi può offrire per evitare il blocco dell’attività.

Scopri quali debiti puoi includere nell’accordo, come presentare una proposta sostenibile, quali documenti servono, come trattare con più banche contemporaneamente, quali effetti ha l’accordo su rate, garanzie e segnalazioni, e quando può essere omologato anche in presenza di creditori dissenzienti.

Alla fine della guida troverai tutti i contatti per richiedere una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo, analizzare la tua esposizione bancaria e costruire una strategia legale su misura per ristrutturare i debiti, evitare il default e garantire la continuità dell’impresa nel rispetto della legge.

Introduzione

L’accordo di ristrutturazione del debito con le banche è uno strumento giuridico che consente a un’impresa in difficoltà finanziaria di negoziare un’intesa con i propri creditori – in primis gli istituti bancari – per ristrutturare l’esposizione debitoria e scongiurare il fallimento. Tale accordo rientra tra le procedure di soluzione concordata della crisi d’impresa previste dall’ordinamento italiano, accanto al piano attestato di risanamento e al concordato preventivo. Si tratta di un percorso stragiudiziale assistito dall’autorità giudiziaria: l’impresa e le banche definiscono un piano di rientro, eventualmente con riduzione (“stralcio”) di parte dei debiti o una loro riscadenzazione, e questo piano viene poi presentato al Tribunale competente per ottenere un decreto di omologazione (approvazione).

Aggiornata a maggio 2025, la presente guida fornisce una panoramica completa degli accordi di ristrutturazione dei debiti, con particolare riguardo alle novità normative introdotte dal Codice della Crisi e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019, in vigore a regime dal 15 luglio 2022) e alle prassi applicative sino ad oggi. Il taglio dell’analisi è giuridico ma con intento divulgativo: la guida si rivolge sia ad avvocati che assistono imprenditori in crisi, sia a imprenditori (in particolare PMI) che vogliono capire come funzionano questi accordi con le banche, quali vantaggi offrono, quali obblighi comportano e quali conseguenze (civili, fiscali e penali) ne derivano.

Nei paragrafi che seguono verranno illustrati:

  • I riferimenti normativi e le diverse tipologie di accordi di ristrutturazione previsti dal diritto italiano (dall’art. 182-bis e ss. della vecchia Legge Fallimentare agli artt. 57 e ss. del vigente Codice della Crisi, inclusi istituti come l’accordo agevolato e l’accordo ad efficacia estesa);
  • Gli ambiti soggettivi di applicazione (imprese fallibili, PMI, imprese minori e soggetti non fallibili) e le condizioni di accesso;
  • Le fasi procedurali di negoziazione, presentazione e omologazione dell’accordo, e i rapporti con le altre procedure concorsuali;
  • I profili civilistici (natura contrattuale dell’accordo, effetti sugli atti compiuti, tutela dei creditori estranei, rapporti con i contratti in corso, ruolo dell’attestatore, ecc.);
  • I profili fiscali (trattamento delle sopravvenienze attive da riduzione del debito, disciplina della cosiddetta transazione fiscale per i debiti tributari e contributivi, emissione di note di credito IVA, ecc.);
  • I profili penali (come l’accordo interagisce con i reati fallimentari e tributari: esenzione da bancarotta preferenziale e semplice in caso di omologazione, riflessi su eventuali procedimenti penali per omesso versamento di imposte, responsabilità dell’attestatore, ecc.);
  • Alcune simulazioni pratiche basate su casi tipici di applicazione degli accordi di ristrutturazione;
  • Una sezione di Domande e Risposte frequenti (FAQ), che chiarisce i dubbi più comuni;
  • Tabelle riepilogative che sintetizzano i principali tipi di accordo, le relative procedure e gli impatti fiscali;
  • Un elenco finale di fonti normative, giurisprudenziali e dottrinali utilizzate e consigliate per approfondire.

L’obiettivo è di fornire al lettore una guida strutturata e aggiornata su “cosa sapere” riguardo agli accordi di ristrutturazione del debito con le banche: uno strumento sempre più centrale nel diritto della crisi d’impresa, anche alla luce della recente spinta del diritto europeo (Direttiva UE 2019/1023) verso meccanismi di ristrutturazione preventiva delle imprese in difficoltà.

Quadro Normativo: dalla Legge Fallimentare al Codice della Crisi

Per contestualizzare gli accordi di ristrutturazione occorre partire dall’evoluzione normativa italiana in materia di insolvenza. La possibilità per un imprenditore di evitare il fallimento negoziando un accordo con i creditori è stata introdotta nel 2005, quando il legislatore ha inserito l’art. 182-bis nella Regio Decreto 16 marzo 1942 n. 267 (la Legge Fallimentare). L’art. 182-bis L.F. ha previsto per la prima volta in Italia una procedura di accordo di ristrutturazione dei debiti omologato dal tribunale, subordinato all’adesione di una percentuale qualificata di creditori (originariamente almeno il 60% dei crediti). Negli anni successivi, la disciplina è stata arricchita con ulteriori disposizioni:

  • Art. 182-ter L.F. (“transazione fiscale”): introdotto per consentire che l’accordo di ristrutturazione includa un trattamento concordato dei debiti tributari e contributivi (che, in mancanza di adesione dell’Erario, devono comunque essere pagati per intero). Questa norma, più volte modificata, consente all’imprenditore in crisi di proporre il pagamento parziale di imposte e contributi, a condizione che l’Amministrazione finanziaria valuti la proposta più conveniente rispetto alla liquidazione fallimentare;
  • Art. 182-quater L.F.: ha previsto la prededucibilità (priorità di rimborso) per eventuali nuovi finanziamenti ottenuti in esecuzione dell’accordo omologato o concessi in funzione della sua attuazione, così da incentivare l’afflusso di risorse fresche nel risanamento;
  • Art. 182-quinquies L.F.: ha disciplinato la possibilità di ottenere dal Tribunale, durante la pendenza delle trattative sull’accordo, l’autorizzazione a contrarre finanziamenti interinali urgenti o a pagare anticipatamente fornitori strategici, sempre con tutela di prededuzione;
  • Art. 182-sexies L.F.: ha coordinato la disciplina degli accordi con quella del concordato preventivo, in particolare permettendo al debitore di presentare contestualmente una domanda “in bianco” di concordato preventivo riservandosi di depositare un accordo di ristrutturazione (la cosiddetta “domanda con riserva”, per ottenere misure protettive immediate mentre si finalizza l’accordo);
  • Art. 182-septies L.F.: inserito nel 2015, ha introdotto gli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa verso i creditori finanziari dissenzienti appartenenti a una categoria omogenea, purché il accordo sia approvato da almeno il 75% di tali crediti (strumento pensato per superare l’opposizione di singole banche o obbligazionisti minoritari in presenza di larga adesione degli altri finanziatori).

Dal 15 luglio 2022 è entrato in vigore il nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII), emanato con D.Lgs. 14/2019 e successivamente modificato da vari decreti correttivi (da ultimo il D.Lgs. 136/2024). Il CCII ha riordinato l’intera materia, abrogando la vecchia Legge Fallimentare. Gli accordi di ristrutturazione dei debiti trovano oggi disciplina principalmente negli articoli 57-64 del CCII (Titolo IV, Capo I). Pur confermando l’impianto generale dell’istituto, il Codice ha introdotto alcune novità rilevanti:

  • Ha tipizzato tre categorie di accordi di ristrutturazione: l’accordo ordinario (art. 57 CCII) con soglia di adesione del 60%, l’accordo agevolato (art. 60 CCII) con soglia ridotta al 30% ma a condizioni più stringenti, e l’accordo ad efficacia estesa (art. 61 CCII) estendibile ai dissenzienti di una categoria omogenea al ricorrere di determinate condizioni;
  • Ha previsto espressamente la possibilità di misure protettive temporanee (stay delle azioni esecutive) a tutela del patrimonio del debitore durante le trattative o in pendenza di omologazione (strumento analogo alla sospensione automatica nel concordato preventivo), salvo rinuncia nel caso di accordi agevolati;
  • Ha integrato la disciplina della transazione fiscale all’interno degli accordi, coerentemente con la Direttiva UE 2019/1023, eliminando alcuni vecchi limiti (ad esempio oggi è ammessa la proposta di stralcio anche dell’IVA e delle ritenute, purché il trattamento offerto all’Erario sia almeno pari a quello ottenibile in liquidazione giudiziale);
  • Ha introdotto procedure di allerta e composizione assistita della crisi (come la composizione negoziata della crisi istituita nel 2021) che possono facilitare la negoziazione di accordi tra debitori e banche al di fuori delle aule di tribunale, pur rimanendo strumenti distinti dall’accordo di ristrutturazione in senso stretto;
  • Ha confermato e rafforzato le tutele per i creditori non aderenti (pagamento integrale entro termini brevi) e per gli atti esecutivi dell’accordo (esenzione da revocatoria fallimentare), oltre a recepire nel nuovo contesto normativo le disposizioni penali di esenzione dai reati di bancarotta semplice e preferenziale in caso di risanamento concordato (ora nel Titolo IX CCII).

Va sottolineato che il vecchio art. 182-bis L.F. continua ad applicarsi ai procedimenti di accordo avviati prima dell’entrata in vigore del Codice, ma per le nuove procedure si applica la normativa del CCII. Le numerose pronunce giurisprudenziali formatesi su casi regolati dalla legge fallimentare restano comunque valide, in quanto i principi generali non sono mutati (salvo adattamenti alle nuove previsioni). Di seguito esamineremo nel dettaglio le varie tipologie di accordo e il loro funzionamento pratico.

Tipologie di Accordi di Ristrutturazione dei Debiti

L’ordinamento italiano prevede diversi tipi di accordi di ristrutturazione, caratterizzati da soglie di adesione dei creditori e da condizioni differenti. In generale tutti mirano a ottenere un consenso negoziale dei principali creditori e una successiva omologazione giudiziale che attribuisce efficacia legale all’accordo. Ecco le principali categorie:

Piano Attestato di Risanamento (strumento stragiudiziale)

Il piano attestato di risanamento non è un accordo di ristrutturazione in senso tecnico, bensì un strumento stragiudiziale disciplinato dall’art. 67, co.3, lett. d) L.F. (oggi trasfuso nell’art. 56 CCII). Consiste in un piano di risanamento predisposto dall’imprenditore in stato di crisi, corredato dalla relazione di un professionista indipendente che attesta la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano. A differenza degli accordi di cui all’art. 182-bis/CCII, il piano attestato:

  • Non richiede una soglia legale di adesione dei creditori: esso viene negoziato informalmente con chi di dovere (ad esempio con le banche principali) e messo in atto con il semplice accordo privato tra debitore e creditori coinvolti;
  • Non richiede omologazione in tribunale né pubblicità obbligatoria (salvo la possibilità, introdotta dal 2015, di pubblicare il piano nel registro delle imprese per accedere a taluni benefici fiscali);
  • Ha come vantaggio primario la protezione da azioni revocatorie fallimentari per gli atti, pagamenti e garanzie poste in essere in esecuzione del piano. In caso di successivo fallimento, infatti, la legge esclude che tali atti possano essere revocati se il piano era stato validamente attestato e, se richiesto, pubblicato.

Il piano attestato è uno strumento flessibile, spesso utilizzato dalle PMI quando la crisi non è ancora troppo grave e si confida di poterla risolvere con un accordo mirato (ad esempio con la sola banca principale) senza passare per il tribunale. Tuttavia, non offrendo misure protettive automatiche né effetti vincolanti per i creditori dissenzienti, il suo successo dipende interamente dalla volontaria adesione di tutti i creditori chiave. Dal punto di vista fiscale, la pubblicazione del piano attestato nel registro imprese permette di applicare il regime agevolato dell’art. 88, comma 4-ter TUIR anche alle riduzioni di debito in esso previste (si veda oltre la sezione fiscale).

Accordo di ristrutturazione “ordinario” (art. 182-bis L.F. / art. 57 CCII)

L’accordo di ristrutturazione ordinario è la forma “base” disciplinata inizialmente dall’art. 182-bis L.F. e ora dall’art. 57 CCII. Esso richiede che l’imprenditore in crisi raggiunga un accordo con creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti totali. I punti qualificanti di questo tipo di accordo sono:

  • La soglia del 60% dei crediti: il calcolo considera l’ammontare complessivo dei crediti vantati verso il debitore e verifica che i creditori sottoscrittori dell’accordo rappresentino almeno i 3/5 di tale importo. Non occorre il consenso di tutti i creditori: quelli non aderenti resteranno estranei all’accordo;
  • L’accordo deve essere depositato in tribunale per l’omologazione. Il tribunale, dopo aver verificato la completezza della documentazione e l’adesione della percentuale richiesta, provvede a pubblicare il ricorso al Registro delle Imprese, aprendo un termine (di regola 30 giorni) entro cui eventuali creditori o terzi interessati possano proporre opposizione;
  • Se non vi sono opposizioni (o queste vengono rigettate), il tribunale emette il decreto di omologa, che rende l’accordo efficace erga omnes limitatamente ai creditori aderenti (ossia vincola solo chi ha firmato). I creditori estranei non sono vincolati a riduzioni o dilazioni, ma l’accordo deve prevedere il loro pagamento integrale entro precisi termini di legge: entro 120 giorni dall’omologazione per i crediti già scaduti a tale data, ovvero entro 120 giorni dalla scadenza originaria per i crediti non ancora scaduti. In tal modo la legge tutela i creditori che non hanno partecipato all’accordo, assicurando che essi ricevano comunque quanto dovuto per intero entro un breve termine;
  • È obbligatorio presentare un piano economico-finanziario a corredo dell’accordo, contenente le misure di risanamento e le modalità di soddisfacimento dei creditori. Il piano deve essere attestato da un professionista indipendente (revisore legale o figura assimilata) che certifichi la veridicità dei dati aziendali e la sostenibilità dell’accordo, in particolare la capacità di pagare i creditori estranei nei termini di legge. L’attestazione è un elemento cruciale: funge da garanzia di serietà e fattibilità del piano, sia per il tribunale sia per i creditori (anche quelli non aderenti);
  • A differenza del concordato preventivo, l’accordo di ristrutturazione non prevede la nomina di organi concorsuali (commissario giudiziale o liquidatore) né spossessa l’imprenditore dalla gestione: l’azienda continua ad operare sotto la gestione ordinaria degli amministratori. Tuttavia, dalla data di pubblicazione del ricorso per omologa, la legge prevede alcuni effetti protettivi: i creditori non possono iniziare o proseguire azioni esecutive individuali né acquisire titoli di prelazione senza autorizzazione del tribunale (salvo quelli estranei, per i quali lo stay opera solo se specificamente richiesto). Queste misure protettive temporanee possono essere concesse dal giudice su istanza del debitore, ma comportano che la soglia di adesione rimanga al 60% (vedremo oltre che l’accordo “agevolato” ne presuppone la rinuncia).

In sintesi, l’accordo ordinario è uno strumento di natura negoziale ma con efficacia rafforzata dal provvedimento giudiziale di omologa. Esso consente di ristrutturare la posizione debitoria coinvolgendo solo una parte (qualificata) dei creditori, tipicamente quelli finanziari come le banche, mentre i restanti creditori devono essere soddisfatti integralmente ma possono essere tenuti in stand-by per il breve periodo previsto. Per le imprese debitrici, il vantaggio è di evitare la procedura concorsuale vera e propria (concordato o fallimento) attraverso un accordo mirato, meno costoso e meno stigmatizzante; per le banche e altri creditori aderenti, il beneficio è di poter gestire il recupero del credito in modo concordato, magari accettando un sacrificio (es. un taglio del credito o una moratoria sugli interessi) in vista di una maggiore probabilità di soddisfazione rispetto all’incerto scenario di una liquidazione fallimentare. L’accordo omologato offre inoltre importanti tutele legali: i pagamenti e le garanzie dati in sua esecuzione non potranno essere revocati in caso di successivo fallimento del debitore, e gli amministratori sono esentati da responsabilità penale per eventuali pagamenti preferenziali effettuati nel contesto dell’accordo.

Di seguito una tabella riepiloga le principali caratteristiche dei diversi strumenti di risanamento negoziale previsti:

StrumentoNormativaSoggetti ammessiPercentuale creditori richiestaOmologazione giudizialeEffetti per creditori dissenzienti
Piano attestato di risanamentoart. 67 co.3, lett. d) L.F. (art. 56 CCII)Imprese in crisi (incluse PMI e non fallibili)Nessuna soglia legale (accordo contrattuale libero)No (atto stragiudiziale, facoltativa la pubblicazione)Nessun effetto vincolante: i non aderenti non sono toccati dal piano; atti esecutivi non revocabili ex post se piano attestato
Accordo di ristrutturazione ordinarioart. 182-bis L.F. (art. 57 CCII)Imprese in crisi o insolventi fallibili (esclusi piccoli imprenditori)60% dei crediti totali (decreto di omologa del tribunale)I non aderenti devono essere pagati al 100% entro 120 gg dall’omologa (o dalla scadenza); nessuna riduzione imposta a dissenzienti (salvo adesione ex post volontaria)
Accordo di ristrutturazione agevolato– (art. 60 CCII, introdotto nel 2022)Imprese in crisi o insolventi fallibili30% dei crediti totali (soglia dimezzata) (come sopra)Come accordo ordinario: estranei da pagare integralmente (qui però senza facoltà di moratoria né misure protettive, v. testo)
Accordo ad efficacia estesaart. 182-septies L.F. (art. 61 CCII)Imprese in crisi o insolventi fallibili75% dei crediti di una categoria omogenea (come sopra)Estende effetti dell’accordo anche ai creditori della stessa categoria non aderenti (sono forzati a subire il trattamento concordato se condizioni di legge rispettate); altri creditori estranei fuori categoria restano da pagare al 100%

(Nota: per completezza, esistono strumenti affini per soggetti “non fallibili” – es. consumatori, imprenditori minori – come l’accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento ex L. 3/2012, ora nel CCII: anch’esso richiede il 60% dei consensi ed è omologato dal tribunale, ma riguarda debitori al di sotto delle soglie di fallibilità. In questa guida tuttavia ci concentriamo sulle procedure riservate alle imprese soggette a fallimento e alle PMI in generale.)

Accordo di ristrutturazione “agevolato” (art. 60 CCII)

Il Codice della Crisi ha introdotto un’interessante variante semplificata dell’accordo di ristrutturazione: l’accordo agevolato, disciplinato dall’art. 60 CCII. Esso consente di abbassare la soglia di adesione dei creditori dal 60% al 30%, ossia dimezzarla, a fronte però di alcune rinunce da parte del debitore. In particolare, per beneficiare di questa soglia ridotta, l’imprenditore deve rispettare due condizioni cumulative:

  1. Nessuna moratoria per i creditori estranei: nell’accordo agevolato il debitore non può avvalersi della facoltà di dilazionare il pagamento dei creditori non aderenti entro i 120 giorni post-omologa. In pratica deve prevedere che tutti i creditori estranei siano pagati senza alcun ritardo rispetto alle scadenze originarie (o immediatamente se già scaduti). Questo elimina ogni pregiudizio temporale per i non aderenti;
  2. Nessuna richiesta di misure protettive temporanee: il debitore rinuncia a chiedere al tribunale il blocco delle azioni esecutive individuali durante la trattativa e fino all’omologa. Ciò significa che, nel periodo in cui si negozia l’accordo e pende il ricorso, i creditori potranno – in teoria – proseguire eventuali pignoramenti o azioni (anche se di fatto, se l’accordo è imminente, spesso essi attendono l’esito).

Se queste condizioni sono rispettate, la legge “premia” il debitore richiedendo solo il consenso del 30% dei crediti totali per poter accedere all’omologazione. Al di là di queste differenze, la procedura di omologa e gli effetti dell’accordo agevolato sono analoghi a quelli di un accordo ordinario:

  • Il piano deve garantire comunque il pagamento integrale dei creditori estranei (qui senza neppure poterli posticipare di 120 giorni);
  • È richiesta l’attestazione di un professionista sulla veridicità dei dati e fattibilità del piano;
  • In caso di omologa, gli atti compiuti in esecuzione sono protetti dalle azioni revocatorie e trova applicazione l’esenzione penale ex art. 217-bis L.F. (ora riflessa nel CCII).

L’accordo agevolato è pensato per situazioni in cui il debitore non necessita di protezione urgente dai creditori (ad esempio perché questi sono collaborativi o la situazione di liquidità è ancora sotto controllo) e non intende posticipare i pagamenti dei non aderenti. In tali casi “rinunciare allo scudo” consente un accordo con pochi creditori rilevanti (30%) pur avendo molti creditori minori da soddisfare integralmente. Questa formula rende più accessibile l’istituto alle PMI che talvolta faticano a raggiungere la maggioranza del 60% (specie se vi sono molti piccoli creditori dispersi) ma possono più facilmente coinvolgere una minoranza qualificata (es. le banche) che fornisca la finanza o le risorse necessarie per pagare gli altri.

Accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa (art. 182-septies L.F. / art. 61 CCII)

Gli accordi ad efficacia estesa rappresentano un meccanismo speciale per ovviare al problema del creditore dissenziente che, pur appartenendo a una classe omogenea di crediti, potrebbe impedire un risanamento concordato. Introdotti nell’ordinamento nel 2015 (art. 182-septies L.F., poi ripresi dall’art. 61 CCII), essi consentono di estendere gli effetti dell’accordo omologato anche ai creditori non aderenti che appartengono alla medesima categoria di quelli aderenti. In concreto, questa possibilità riguarda tipicamente le banche o altri finanziatori finanziari: spesso le imprese hanno più banche esposte, e può capitare che la stragrande maggioranza accetti la ristrutturazione mentre uno o pochi istituti rifiutano, magari sperando in un trattamento di favore.

Per evitare che un singolo istituto dissenziente (holdout) faccia fallire l’intera operazione di risanamento, la legge consente, a certe condizioni, di sottoporre comunque a omologazione un accordo che vincolerà anche il creditore dissenziente, come se avesse aderito. Le condizioni chiave per l’efficacia estesa sono:

  • I creditori aderenti appartenenti a quella categoria (es. categoria “banche chirografarie” oppure “obbligazionisti”) devono rappresentare almeno il 75% dei crediti della categoria. Dunque la larga maggioranza della categoria deve essere favorevole;
  • Tutti i creditori della categoria devono essere stati informati e coinvolti nelle trattative in buona fede, con piena trasparenza sui dati dell’impresa e sulle proposte avanzate;
  • L’accordo deve prevedere la continuità aziendale (prosecuzione dell’attività d’impresa in via diretta o tramite cessione d’azienda) e non essere meramente liquidatorio. Questo requisito riflette lo spirito della direttiva UE: le ristrutturazioni con cram-down forzoso sono giustificate soprattutto se volte a mantenere in vita l’impresa;
  • Ai creditori dissenzienti della categoria deve essere garantito, nell’accordo, un trattamento non inferiore a quello che avrebbero in caso di liquidazione giudiziale (principio della best interest of creditors). In altre parole, il sacrificio imposto non può renderli più insoddisfatti di quanto non sarebbero in un fallimento;
  • Il debitore deve notificare individualmente a ciascun creditore non aderente l’accordo depositato, la domanda di omologa e la richiesta di estensione degli effetti, così che essi possano eventualmente opporvisi davanti al tribunale.

Se il tribunale verifica queste condizioni, con l’omologa dichiara l’accordo vincolante anche per i creditori dissenzienti di quella categoria, i quali saranno obbligati ad accettare quanto l’accordo prevede (ad esempio potrebbero subire una riduzione o dilazione del credito, al pari delle banche aderenti). Si noti che questa forma di “cram down” circoscritto ai creditori finanziari è un’eccezione al principio generale di relatività del contratto (artt. 1372 e 1411 c.c.), espressamente consentita dalla legge.

Nella pratica, l’efficacia estesa è stata utilizzata soprattutto per ristrutturazioni di esposizioni bancarie o bond dove quasi tutti i finanziatori erano d’accordo salvo una minoranza. Ad esempio, se un’azienda ha 5 banche creditrici e 4 su 5 accettano un accordo (rappresentando magari il 90% del debito bancario) mentre una banca dissenziente ha il 10%, il tribunale può omologare l’accordo e imporlo anche a quella banca riluttante (purché la banca dissenziente non riceva meno di quanto le spetterebbe in caso di fallimento dell’azienda). Va sottolineato che l’efficacia estesa opera solo all’interno della categoria omogenea proposta (di solito “banche chirografarie”): i creditori di altre categorie che non aderiscono restano estranei e vanno soddisfatti integralmente come di consueto. Pertanto, questo strumento è un corollario dell’accordo ordinario o agevolato, non una categoria a sé stante, e richiede comunque il raggiungimento delle percentuali di adesione previste per la categoria finanziaria (75%).

Procedura: come si svolge l’accordo di ristrutturazione

Esaminiamo ora le fasi procedurali tipiche per concludere un accordo di ristrutturazione del debito con le banche:

1. Decisione degli amministratori e avvio delle trattative: Gli amministratori dell’impresa in crisi devono innanzitutto valutare la praticabilità di un accordo. Il Codice della Crisi prescrive che la decisione di accedere a uno strumento di regolazione della crisi (come l’accordo) sia deliberata e formalizzata dall’organo amministrativo e comunicata agli organi di controllo (art. 120-bis CCII). Ottenuto il mandato a trattare, l’imprenditore avvia colloqui riservati con i creditori principali, in primis le banche se queste detengono la quota più consistente del debito. Spesso si stipula un accordo di riservatezza (NDA) e, se le banche sono più d’una, può essere formato un comitato ristretto di creditori per facilitare le negoziazioni (ad esempio le banche possono nominare un “bank facility agent” o coordinatore). In questa fase l’impresa prepara uno schema di piano con l’ausilio dei consulenti (legali e finanziari) e inizia a sondare l’adesione dei creditori alle possibili misure: ristrutturazione dei finanziamenti bancari (allungamento delle scadenze, riduzione dei tassi), eventuale taglio del debito (stralcio su parte di capitale o interessi), cessione di asset non strategici per fare cassa, conversione di debiti in capitale (operazioni di debt-equity swap), ecc.

2. Redazione del piano e relazione dell’attestatore: Una volta delineati i punti dell’accordo con i creditori chiave (ad es. le banche concordano di trasformare i fidi a breve in mutui a lungo termine, magari rinunciando a una percentuale di credito), l’azienda deve formalizzare il piano di ristrutturazione. Questo documento descrive in dettaglio lo stato di crisi dell’impresa, le cause, e soprattutto le strategie di risanamento e le proiezioni economico-finanziarie per i prossimi anni, mostrando come l’impresa potrà tornare equilibrata e pagare i debiti secondo l’accordo. Sul piano è necessaria la relazione di un professionista indipendente (detto attestatore), iscritto a un albo di revisori o categorie similari, che abbia i requisiti di indipendenza previsti (assenza di conflitti di interesse, non aver lavorato per il debitore di recente, ecc.). L’attestatore verifica i dati aziendali e giudica la fattibilità del piano, rilasciando una relazione giurata. In particolare deve attestare che l’accordo è idoneo ad assicurare il pagamento integrale dei creditori estranei entro i termini di legge e che le ipotesi di risanamento sono plausibili. Questa relazione è un elemento chiave: funge da garanzia di trasparenza e credibilità sia verso il tribunale che verso gli stessi creditori (i quali spesso la esigono prima di aderire formalmente).

3. Adesione formale dei creditori: Parallelamente, il debitore raccoglie le adesioni all’accordo da parte dei creditori. Tecnicamente l’adesione avviene tramite la sottoscrizione di un testo di accordo contrattuale dove ogni creditore firmatario accetta le nuove condizioni (es: rinuncia al X% del credito, nuova scadenza per il resto, mantenimento delle garanzie esistenti o concessione di nuove garanzie, ecc.). Spesso le banche formalizzano la loro adesione con delibere interne e poi firmano l’accordo quadro. È fondamentale raggiungere la percentuale minima di legge: ad esempio, se si mira a un accordo ordinario ex art.57 CCII, occorre raccogliere almeno il 60% dei crediti; se si intende beneficiare dell’accordo agevolato, serve almeno il 30% ma alle condizioni già viste (niente stay né moratorie). La soglia può includere anche creditori non bancari (fornitori, obbligazionisti) qualora essi aderiscano e confermino formalmente il proprio assenso.

4. Deposito della domanda di omologazione in Tribunale: Raccolte le firme necessarie e predisposti piano e attestazione, l’imprenditore (assistito dall’avvocato) deposita il ricorso per omologazione dell’accordo presso il Tribunale competente (quello del luogo della sede principale dell’impresa). Al ricorso vanno allegati: il testo dell’accordo sottoscritto, il piano di ristrutturazione, la relazione dell’attestatore e tutti i documenti richiesti (bilanci, elenco dei creditori, una relazione sulla situazione dell’impresa, ecc., analoghi a quelli richiesti per un concordato preventivo). Se l’accordo include una proposta di transazione fiscale su debiti tributari o previdenziali, bisogna documentare il parere favorevole della Agenzia delle Entrate e/o degli enti previdenziali (laddove previsto dalla legge). Nel ricorso il debitore può chiedere l’emissione di misure protettive a tutela del patrimonio: tipicamente il blocco delle azioni esecutive e cautelari da parte dei creditori per il tempo necessario all’omologazione (massimo 4 mesi prorogabili a 6). Questa richiesta, se accolta dal Tribunale, viene comunicata a tutti i creditori tramite apposito provvedimento. (Se però si tratta di un accordo agevolato ex art.60 CCII, il debitore non chiede misure protettive, per coerenza con la rinuncia imposta da quella norma).

5. Pubblicazione e opposizioni: Il Tribunale, verificata la regolarità formale della proposta, ordina la pubblicazione del ricorso nel Registro delle Imprese (atto che dà pubblicità legale alla pendenza della procedura e attiva gli effetti protettivi generali). Da quel momento decorre un termine (30 giorni) entro cui qualsiasi creditore o terzo interessato può proporre opposizione all’omologazione, se ritiene che l’accordo leda i suoi diritti. Le opposizioni tipiche potrebbero essere sollevate da:

  • un creditore non aderente, lamentando ad esempio che l’accordo pregiudica la sua posizione (evenienza rara, perché i non aderenti per legge vanno pagati integralmente, ma potrebbero contestare la tempistica di pagamento o l’attuabilità del piano);
  • un creditore aderente dissenziente su qualche modifica, oppure che dica di essere stato indotto in errore da informazioni non corrette;
  • la Procura della Repubblica presso il tribunale, nel ruolo di vigilanza sull’interesse pubblico, se sospetta ad esempio frodi ai creditori o violazioni di legge.

Le opposizioni si propongono con ricorso e vengono trattate in camera di consiglio. Il tribunale, sentite le parti, decide con decreto motivato. Se le opposizioni sono respinte (o se nessuno si oppone entro il termine), si passa alla fase finale.

6. Omologazione dell’accordo: Verificati i presupposti (percentuale di consensi raggiunta, regolarità della documentazione e, in caso di opposizione, accertata l’assenza di pregiudizio per i creditori estranei), il Tribunale emette il decreto di omologazione. Con esso l’accordo acquista efficacia erga omnes limitatamente al perimetro previsto: vincola contrattualmente i creditori aderenti secondo i nuovi termini concordati e, nel caso di accordo ad efficacia estesa, vincola anche i creditori dissenzienti della categoria omogenea indicata. Il decreto di omologa è subito esecutivo. Da questo momento l’accordo entra nella fase di esecuzione: l’impresa deve porre in essere le azioni previste dal piano (pagamenti, dismissioni, aumenti di capitale, operazioni straordinarie, ecc.) nei tempi concordati.

7. Esecuzione e vigilanza: Diversamente dal concordato preventivo, nell’accordo di ristrutturazione non viene nominato un commissario o liquidatore per vigilare sull’esecuzione. L’onere di eseguire l’accordo ricade integralmente sugli amministratori dell’impresa, secondo il principio dell’autonomia negoziale. Tuttavia, il Codice della Crisi prevede che il debitore depositi periodicamente in tribunale una relazione sullo stato di esecuzione dell’accordo (art. 64 CCII) redatta da un professionista, per aggiornare sull’adempimento del piano. Inoltre, se l’accordo coinvolge una pluralità di creditori finanziari, spesso i contratti di ristrutturazione designano un agent o un collegio di esperti cui il debitore deve fornire informazioni periodiche.

8. Adempimento o eventuale risoluzione: Se l’impresa esegue regolarmente tutte le obbligazioni previste, l’accordo si considera adempiuto e i debiti si intendono definitivamente sistemati secondo i termini concordati (ad esempio le banche incassano i pagamenti ridotti e rinunciano alla quota stralciata). In caso di inadempimento sostanziale da parte del debitore (es: mancato pagamento di rate importanti), i creditori potranno attivarsi per tutelarsi: in assenza di un organo vigilante ufficiale, saranno i singoli creditori a poter intimare l’adempimento o considerare risolto l’accordo per grave inadempimento. La legge, a differenza che per il concordato, non disciplina espressamente la “risoluzione” dell’accordo omologato; tuttavia, la giurisprudenza ha chiarito che se interviene un fallimento in seguito, l’accordo si risolve automaticamente per impossibilità sopravvenuta (il fallimento prevale come procedura concorsuale superiore) e i crediti dei partecipanti tornano al loro importo originale, dedotti gli importi eventualmente già incassati in esecuzione dell’accordo. Al di fuori dell’ipotesi di fallimento, un creditore insoddisfatto dall’inadempienza potrà presentare istanza di fallimento, facendo valere il venir meno del presupposto di risanamento.

Va notato che in caso di modifiche necessarie in corso d’opera, il CCII (art. 58) consente al debitore di presentare al tribunale accordi modificativi o nuovi accordi rinegoziati con i creditori, per ottenerne l’omologazione. Questo copre situazioni in cui, ad esempio, sopravvengono eventi che rendono necessario rivedere il piano (si pensi a shock economici): serve comunque il nuovo consenso dei creditori richiesto dalla legge e un nuovo esame di omologazione.

Tabella 2: Fasi principali della procedura di accordo di ristrutturazione

FaseDescrizioneRiferimenti
PreparazioneAnalisi della crisi, delibera degli amministratori di tentare l’accordo; contatti riservati con banche e creditori principali; predisposizione bozza di pianoArt. 120-bis CCII (decisione organi societari)
Accordi con i creditoriNegoziazione dei termini con i creditori chiave (banche, obbligazionisti, fornitori maggiori); eventuale accordo preliminare (term sheet) e NDA– (fase stragiudiziale)
Piano e attestazioneRedazione del piano di ristrutturazione dettagliato; incarico al professionista attestatore e rilascio della relazione di attestazione sulla veridicità dei dati e fattibilità del pianoArt. 57 co.2-3 CCII (contenuto piano e attestazione)
Firma dell’accordoRaccolta formale delle adesioni dei creditori: sottoscrizione dell’accordo da creditori ≥ soglia di legge (60% o 30%); eventuali atti di transazione fiscale con Agenzia Entrate/INPSArt. 57 co.1 CCII (soglia 60%); Art. 60 CCII (soglia 30%)
Deposito in tribunaleDeposito ricorso per omologa presso il tribunale competente, con accordo, piano, attestazione e documentazione annessa; richiesta eventuale di misure protettive (salvo accordo agevolato)Art. 44 CCII (deposito); Art. 54 CCII (misure protettive)
Pubblicazione & opposizioniIl tribunale dispone la pubblicazione del ricorso al Registro Imprese; da tale data: effetti protettivi (stop azioni esecutive) e decorrenza del termine per opposizioni (30 giorni); eventuali opposizioni di creditori/terzi decise in camera di consiglioArt. 48 CCII (omologa e opposizioni)
OmologazioneIl tribunale, constatato il rispetto dei requisiti e l’assenza di opposizioni fondate, omologa l’accordo con decreto motivato immediatamente esecutivo. Se richiesto, estende l’efficacia ai creditori non aderenti della categoria omogenea (accordo ex art.61 CCII)Art. 48 CCII; Art. 61 CCII (accordo ad efficacia estesa)
Esecuzione dell’accordoL’impresa (organi sociali) dà attuazione al piano: paga i creditori estranei entro 120 gg (se ordinario) o alle scadenze (se agevolato); realizza aumenti di capitale, nuovi finanziamenti, dismissioni o altre operazioni previste; paga le quote concordate ai creditori aderenti secondo il calendario stabilito; invia relazioni periodiche sullo stato di attuazioneArt. 57 co.3 CCII (pagamento estranei); Art. 64 CCII (relazioni periodiche)
ConclusioneSe tutti gli adempimenti sono eseguiti, l’accordo si perfeziona: l’impresa esce formalmente dalla condizione di crisi risanata (salvo ovviamente obblighi residui su debiti eventualmente solo ristrutturati a lungo termine). In caso di inadempimento significativo, i creditori possono agire (anche chiedendo il fallimento) e l’accordo potrà risolversi ex lege all’eventuale apertura di liquidazione giudizialeArt. 64 co.3 CCII (chiusura anticipata se eseguito); Cass. 32996/2024 (risoluzione per fallimento sopravvenuto)

Profili civilistici degli accordi con le banche

Dal punto di vista civilistico, l’accordo di ristrutturazione è essenzialmente un contratto tra debitore e creditori, seppur connotato da aspetti di diritto concorsuale. Ciò comporta varie implicazioni:

  • Natura contrattuale e relatività: L’accordo vincola solo i creditori che vi hanno aderito (salvo i casi di efficacia estesa limitata visti sopra). Questo riflette il principio generale dell’autonomia negoziale: un creditore non può essere obbligato a subire modifiche del suo credito senza consenso, a differenza di quanto avviene nel concordato preventivo dove la maggioranza può imporre la ristrutturazione anche ai dissenzienti. Nell’accordo ex art.182-bis/CCII, quindi, ogni creditore è libero di aderire o meno. I creditori estranei conservano intatti i loro diritti di credito (capitale, interessi, garanzie) e li vedono soddisfatti integralmente. Solo se l’accordo rientra nei casi di efficacia estesa, taluni creditori dissenzienti di una categoria vengono eccezionalmente coinvolti obtorto collo, in forza della legge.
  • Obblighi contrattuali e buona fede: Una volta omologato, l’accordo acquista forza di legge tra le parti (art. 1372 c.c.). I creditori aderenti sono tenuti a rispettare le nuove condizioni (ad esempio non potranno pretendere subito le rate rinviate né agire esecutivamente salvo inadempimento), mentre il debitore deve eseguire puntualmente il piano. Trova applicazione il principio di buona fede contrattuale: le parti devono cooperare per il successo del piano e astenersi da condotte che ne vanifichino gli obiettivi. Ad esempio, se l’accordo prevede che una banca eroghi nuova finanza, questa dovrà attivarsi diligentemente; viceversa, l’impresa non dovrà aggravare la propria esposizione oltre quanto concordato.
  • Effetti sugli atti dispositivi e garanzie: Durante le trattative e dopo l’omologa, l’impresa può trovarsi a dover compiere atti di straordinaria amministrazione (vendere beni, rilasciare garanzie sui nuovi finanziamenti, ecc.). In generale può farlo, ma se le misure protettive sono attive dovrà ottenere l’autorizzazione del tribunale per atti eccedenti l’ordinaria amministrazione (simile a quanto avviene nel concordato). Le garanzie prestate in esecuzione dell’accordo (es. un’ipoteca data a una banca che concede nuova finanza “fresh money”) godono di protezione: non saranno revocabili e sono pienamente valide. Anche eventuali operazioni di aumento di capitale o conversione di credito in partecipazioni attuate per effetto dell’accordo seguono le regole societarie ordinarie (es: delibera assembleare con diritto di opzione eventualmente escluso per far entrare una banca come socio, se previsto come parte dell’accordo).
  • Prededuzione dei nuovi finanziamenti: Per incentivare il sostegno finanziario esterno, la legge prevede che i crediti derivanti da finanziamenti concessi all’impresa in esecuzione dell’accordo omologato (o anche nei 60 giorni precedenti il deposito) siano considerati prededucibili in caso di successivo fallimento (art. 111 L.F. e oggi art. 101 CCII). Ciò significa che tali creditori verranno soddisfatti con precedenza assoluta sugli altri (anche prima dei crediti privilegiati) nella malaugurata ipotesi che la società fallisca nonostante l’accordo. Questa tutela – introdotta dall’art. 182-quater L.F. e confermata nel Codice – è cruciale per convincere le banche a erogare nuova finanza nel contesto del risanamento (ad esempio credito per liquidità immediata o per pagare i fornitori estranei).
  • Revocatoria fallimentare: Uno degli ostacoli nei piani di risanamento “fai da te” è sempre stata la paura che, se la società poi fallisce, tutti i pagamenti fatti e le garanzie concesse durante la crisi possano essere revocati dal curatore (art. 67 L.F.), lasciando i creditori con un nulla di fatto. Per gli accordi di ristrutturazione omologati ciò non accade: l’art. 67, co.3, lett. e) L.F. (ripreso dal Codice) esclude dalla revocatoria gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione di un accordo omologato. Dunque, se l’impresa esegue l’accordo pagando parte dei debiti e poi fallisce dopo un anno, il curatore fallimentare non potrà chiedere la restituzione di quei pagamenti ai creditori (come invece farebbe per pagamenti preferenziali extra-procedurali). La Cassazione ha di recente confermato che, in caso di fallimento successivo all’omologa, gli atti eseguiti restano definitivi e i creditori potranno insinuare al passivo solo il residuo non pagato, senza restituire quanto ricevuto.
  • Interferenze con i contratti in corso: A differenza del concordato preventivo, l’accordo di ristrutturazione non prevede una disciplina ad hoc per i contratti pendenti (es. forniture continuative, leasing, locazioni). Tali contratti proseguono secondo i termini originari, salvo che le parti non negozino a latere modifiche consensuali. Il debitore in accordo non ha il potere di sciogliere unilateralmente contratti (come invece ora concesso in certi concordati). Le banche, ad esempio, se avevano contratti di finanziamento con covenant violati, potrebbero tecnicamente risolverli, ma in genere firmano l’accordo proprio per rinegoziarli. I fornitori strategici non coinvolti formalmente nell’accordo potrebbero mantenere i loro rapporti invariati, se l’impresa continua a pagarli regolarmente: l’accordo con le banche spesso migliora la liquidità e quindi indirettamente tutela anche i fornitori.
  • Effetti sugli strumenti di allerta e doveri degli amministratori: Con l’introduzione degli strumenti di allerta (come la composizione negoziata della crisi) vi sono interazioni con l’accordo: se l’impresa ha attivato la composizione negoziata, la conclusione positiva di un accordo di ristrutturazione può essere uno degli esiti auspicati. Gli amministratori, secondo il Codice, hanno il dovere di attivarsi tempestivamente per gestire la crisi (duty to act): proporre un accordo è un modo per adempiere ai propri doveri evitando la colpevole inerzia che potrebbe configurare mala gestio e responsabilità. In caso di insolvenza irreversibile, però, i medesimi amministratori devono valutare se l’accordo sia realistico o se sia invece necessario optare subito per la liquidazione: proporre un accordo irrealistico al solo scopo di guadagnare tempo potrebbe esporli a censure (ad esempio, in sede fallimentare, come atto in frode ai creditori se finalizzato a procrastinare la decozione).

Riassumendo, sotto il profilo civilistico l’accordo con le banche è uno strumento contrattuale negoziato ma incardinato in una procedura legale. Esso consente ampia flessibilità nella modulazione di nuovi termini contrattuali (tassi, garanzie, scadenze, covenants), pur all’interno di alcuni vincoli normativi (percentuali di consenso, obbligo di piena soddisfazione dei non aderenti, tempi di pagamento massimi). Se correttamente impostato, offre stabilità giuridica agli stakeholder: le banche ottengono un titolo (decreto omologa) che rende l’accordo incontestabile e protetto da azioni di terzi, mentre l’impresa ottiene il beneficio di ristrutturare il debito senza le conseguenze di una procedura concorsuale giudiziale ordinaria.

Profili fiscali e contabili

La ristrutturazione del debito mediante accordo può avere implicazioni fiscali di rilievo, sia per l’impresa debitrice sia per i creditori (ad esempio le banche stesse). Esaminiamo i principali aspetti:

1. Sopravvenienze attive da riduzione dei debiti: Se nell’accordo è previsto un stralcio parziale dei debiti (es. le banche rinunciano al 20% del credito capitale, accontentandosi dell’80%), per l’impresa si genera contabilmente una sopravvenienza attiva, cioè un ricavo straordinario corrispondente alla parte di debito che non dovrà più pagare. In linea generale, tali sopravvenienze sarebbero imponibili come reddito (art. 88 TUIR). Tuttavia, l’ordinamento fiscale prevede un regime agevolativo proprio per favorire le ristrutturazioni: l’art. 88, comma 4-ter del TUIR dispone che, in caso di concordato preventivo di risanamento, di accordo di ristrutturazione dei debiti omologato o di piano attestato pubblicato, la riduzione dei debiti dell’impresa non costituisce sopravvenienza attiva imponibile nei limiti delle perdite fiscali pregresse (e dell’eventuale deduzione ACE). In altre parole:

  • L’impresa può utilizzare le proprie perdite fiscali pregresse e di periodo in misura piena (senza il limite dell’80% annuo) per assorbire l’utile derivante dallo stralcio dei debiti;
  • La parte di debito cancellato che eccede le perdite disponibili non viene tassata (non concorre a formare il reddito imponibile).

Questo significa che in molti casi la società non paga tasse sul beneficio economico ottenuto riducendo i propri debiti, se dispone di perdite pregresse sufficienti. Esempio: Tizio S.p.A. aveva perdite fiscali riportabili per €500.000; ottiene con l’accordo uno stralcio debiti di €600.000. Potrà compensare €500.000 con le perdite (interamente utilizzabili) e il residuo €100.000 non sarà imponibile per la parte eccedente le perdite. Questa norma, introdotta nel 2015 e confermata dalla prassi recente (v. Agenzia Entrate risposta interpello n. 222/2024), intende evitare che un’azienda risanata si trovi a dover pagare imposte elevate proprio nell’anno della ristrutturazione, cosa che ne vanificherebbe gli effetti.

Occorre precisare che il beneficio spetta solo se l’accordo è omologato dal tribunale (o il piano attestato è almeno pubblicato). Se l’azienda e le banche facessero un mero accordo privato di riduzione debiti senza passare dal tribunale né pubblicare nulla, la sopravvenienza attiva sarebbe pienamente imponibile (salvo poter usare le perdite con i limiti ordinari). È quindi uno dei motivi per cui conviene formalizzare la ristrutturazione come accordo ex lege.

2. Trattamento fiscale delle banche (creditori): Dal lato delle banche che accettano un taglio del credito, la parte rinunciata è una perdita su crediti deducibile dal reddito d’impresa. Le banche sono soggette a regole IFRS e di vigilanza prudenziale: l’accordo di ristrutturazione generalmente comporta per loro la classificazione del credito come ristrutturato (forborne), con accantonamenti ed effetti sul conto economico. Fiscalmente, le perdite da crediti verso imprese in procedura concorsuale o accordo omologato sono deducibili nell’esercizio in cui sono contabilizzate (art. 101 TUIR). Inoltre, la parte di interessi eventualmente rinunciati non concorre a tassazione. Insomma, dal punto di vista fiscale la banca non subisce penalizzazioni: la rinuncia al credito riduce l’utile tassabile e libera anche eventuali accantonamenti già dedotti.

3. IVA e note di credito: Un altro aspetto importante riguarda l’IVA in caso di crediti commerciali non incassati. Se tra i creditori vi sono fornitori o altre imprese che vantano crediti per forniture (soggetti ad IVA) e nell’accordo questi creditori accettano un pagamento parziale, la normativa IVA consente loro di emettere una nota di variazione in diminuzione (nota di credito) per recuperare l’IVA relativa alla parte di corrispettivo rimasta impagata. Ad esempio, un fornitore aveva emesso fattura di €100 + IVA €22, totale €122; se con l’accordo accetta di ricevere solo €60, potrà emettere nota di credito per €40 + IVA €8.8 per stornare l’imponibile non incassato e detrarre l’IVA corrispondente. Fino al 2021 la regola era che la nota di variazione IVA, in caso di accordo ex 182-bis, potesse essere emessa solo dopo l’omologazione dell’accordo. Ciò per avere certezza giuridica sull’infruttuosità parziale del credito. Con la spinta della giurisprudenza UE (Corte di Giustizia, sentenza C-246/16), l’Italia ha anticipato i tempi: oggi l’Agenzia delle Entrate conferma che il creditore può emettere la nota di credito a partire dalla data del decreto di omologa (nel caso di “piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione”). Dunque i fornitori non devono più attendere l’eventuale completamento dell’accordo o l’esito finale del fallimento, ma possono recuperare l’IVA non incassata subito all’omologa. Similmente, se il creditore è parte di un piano attestato pubblicato, la nota di credito si può emettere dalla data di iscrizione del piano al Registro Imprese. Questo allineamento ai principi comunitari assicura che l’IVA sia dovuta solo sul corrispettivo effettivamente ricevuto dal creditore, e non su un importo maggiore mai incassato, coerentemente col principio che l’erario non deve riscuotere l’Iva per un ammontare superiore a quello percepito.

Per il debitore, l’emissione di una nota di variazione da parte del creditore comporta una corrispondente variazione in aumento della detrazione IVA: in sostanza l’IVA sul debito stralciato cessa di essere dovuta, quindi l’impresa non fallita rettifica a suo vantaggio l’IVA sugli acquisti dedotta in precedenza (ma attenzione: nei casi di procedure concorsuali spesso il debitore insolvente non ha liquidato l’IVA a suo tempo, quindi la questione riguarda soprattutto il creditore attivo).

4. Transazione fiscale e contributiva: Quando l’accordo di ristrutturazione coinvolge debiti verso Erario o enti previdenziali (ad esempio debiti IVA, ritenute, IRAP, INPS), il debitore può proporre il loro trattamento agevolato attraverso la transazione fiscale, ora regolata dall’art. 63 CCII (già art. 182-ter L.F.). In pratica, l’Agenzia delle Entrate e gli enti previdenziali possono aderire all’accordo accettando:

  • la dilazione dei crediti fiscali/contributivi;
  • e/o la falcidia (riduzione) di tali crediti, anche di parte del tributo, purché sia rispettato il principio di convenienza (lo Stato non deve ricevere meno di quanto otterrebbe in caso di fallimento liquidatorio del debitore).

In passato c’erano limiti, ad esempio l’IVA e le ritenute potevano solo essere dilazionate ma non falcidiate. Oggi, a seguito delle modifiche normative e dell’attuazione della direttiva UE, anche l’IVA e i contributi possono essere oggetto di stralcio nell’ambito di un accordo, a condizione che ciò avvenga in un contesto di continuità aziendale o comunque sia motivato dalla migliore soddisfazione dell’Erario rispetto all’alternativa liquidatoria. Il DL 69/2023 ha introdotto criteri più stringenti per l’adesione dell’Erario: ad esempio, per accordi e concordati in continuità, è previsto che la proposta debba assicurare almeno il 30% del credito tributario (innalzabile al 40% in caso di precedenti ruoli impagati), salvo deroghe se il creditore pubblico risulterebbe soddisfatto in misura inferiore. Inoltre, per i casi di stralcio superiore al 70% e debito erariale oltre 30 milioni, la competenza decisionale è stata accentrata presso la Direzione centrale dell’Agenzia, con pareri vincolanti dell’Ufficio tutela crediti.

In ogni caso, l’adesione formale dell’ente pubblico si concretizza in un atto di transazione che entra a far parte integrante dell’accordo. Se l’accordo viene omologato, la transazione fiscale omologata produce effetti anche sul piano penale: la Cassazione ha di recente stabilito che, qualora un’imposta non versata (ad esempio l’IVA) sia oggetto di un accordo di ristrutturazione omologato che ne riduce l’importo da pagare, ciò comporta una rideterminazione del “profitto del reato” nei procedimenti penali per omesso versamento. In parole povere, se la società e l’Erario trovano un accordo per cui, a fronte di €100 di IVA evasa, la società paga €50 e ottiene lo stralcio di €50, allora il profitto illecito da considerare ai fini della confisca penale si riduce a €50 e la confisca per equivalente dovrà essere abbassata di conseguenza. Questo non elimina la punibilità del reato (che permane, essendo stata comunque omessa parte dell’imposta), ma evita che l’Erario recuperi due volte la stessa somma (una volta come incasso dall’accordo, e un’altra come confisca penale). È un incentivo indiretto a trovare un’intesa anche sul fronte fiscale.

5. Aspetti contabili: Dal punto di vista del bilancio, la sottoscrizione di un accordo di ristrutturazione comporta per il debitore di dover applicare i principi contabili sulla ristrutturazione del debito. In particolare, l’OIC 19 prevede che se vi è un accordo con modifica sostanziale delle condizioni di un debito, il debitore rilevi la differenza tra il valore attuale del debito ristrutturato e il valore contabile originario come una sopravvenienza attiva a conto economico (corrispondente allo stralcio concesso, se presente). Tale utilità, come detto, viene poi rettificata fiscalmente secondo l’art. 88 TUIR. Le banche dal canto loro contabilizzano il nuovo valore di libro del credito secondo IFRS9, con eventuale perdita immediata a conto economico (se stralcio) o con modifica del piano di ammortamento (se solo variazione tassi/scadenze).

6. Regolarità fiscale e contributiva: Un effetto positivo dell’accordo omologato è che consente all’impresa di ottenere il DURC regolare e certificazioni di regolarità fiscale se rispetta la transazione approvata. Infatti, l’omologazione del tribunale e l’adesione degli enti competenti fanno sì che i debiti tributari e contributivi inclusi nell’accordo non siano più esigibili al di fuori delle scadenze ivi previste. Questo è importante per l’operatività dell’impresa post-risanamento: potrà partecipare a gare, ottenere finanziamenti pubblici, ecc., senza essere bloccata da irregolarità formali, a patto di adempiere puntualmente alla transazione concordata.

In sintesi, la normativa fiscale italiana negli ultimi anni si è evoluta per favorire i risanamenti: da un lato alleviando il carico fiscale sulle imprese che beneficiano di riduzioni dei debiti (con esenzione delle sopravvenienze attive, in pratica trasformando in tax free il “guadagno” da accordo), dall’altro concedendo ai creditori e in particolare al Fisco strumenti per partecipare attivamente agli accordi (transazione fiscale) e per non essere penalizzati (recupero IVA rapido, deducibilità delle perdite). La pianificazione fiscale diventa quindi parte integrante della struttura di un buon accordo di ristrutturazione.

Per chiarezza espositiva, ecco una tabella che confronta il trattamento fiscale di alcune voci chiave nei diversi scenari di risanamento:

Voce fiscaleAccordo omologato / ConcordatoPiano attestato pubblicatoRistrutturazione privata (no omologa)
Sopravvenienze attive da stralcio debiti (debitori)Non imponibili per la parte eccedente le perdite pregresse (perdite utilizzabili al 100% senza limiti). L’eventuale eccedenza non coperta da perdite non concorre al reddito.Stesso regime dell’accordo, se il piano è stato pubblicato al Registro Imprese (equiparato a procedura concorsuale).Interamente imponibili (il debitore può usare perdite pregresse solo con limite 80% annuo). Nessuna agevolazione specifica.
Perdite su crediti (creditori)Deduzione fiscale integrale nell’esercizio di omologa (per crediti chirografari) o nei limiti di legge (per crediti già svalutati). Banche: allineamento a IFRS9.N/A (il piano attestato non vincola i creditori se non ad adesioni private). Se la banca aderisce volontariamente a una remissione, comunque deduce la perdita.Deduzione fiscale possibile solo a certe condizioni (es. elementi certi e precisi, assoggettamento del debitore a procedura concorsuale non c’è, quindi si rischia indeducibilità salvo comprovare inesigibilità).
IVA su crediti inesigibiliCreditore può emettere nota di variazione IVA dalla data di omologa; debitore rettifica IVA detratta. (Concordato: da data apertura concorsuale dopo DL 73/2021)Creditore può emettere nota di variazione dalla data di pubblicazione del piano.Creditore può emettere nota di variazione solo a esito infruttuoso di escussioni esecutive individuali (in pratica quando il credito è definitivamente non recuperabile). Tempi lunghi e incertezza.
Transazione fiscale (debiti tributari/contributivi)Possibile includere pagamento parziale di tributi e contributi con adesione AE/INPS: se omologata, l’Erario è vincolato alla riduzione accordata. Confisca penale ridotta proporzionalmente allo stralcio concesso.Non applicabile (il piano non è procedura concorsuale omologata; eventuali accordi con Fisco restano informali e non proteggono da azioni esecutive dell’Erario).Non applicabile se non tramite accordi ad hoc non vincolanti per l’Erario (che in mancanza di norma deve riscuotere l’intero dovuto). Il debitore rischia comunque l’iscrizione a ruolo e le azioni esecutive per i tributi non pagati per intero.

Profili penali

La scelta di gestire la crisi d’impresa tramite un accordo di ristrutturazione comporta conseguenze anche sul piano penale, in particolare rispetto ai reati fallimentari e tributari eventualmente configurabili nel contesto della crisi. Occorre evidenziare sia gli “scudi penali” offerti dalla legge agli imprenditori che compiono atti di risanamento concordato, sia i rischi che permangono in caso di condotte illecite.

Esenzione dai reati di bancarotta preferenziale e semplice: Una delle norme più rilevanti è l’art. 217-bis L.F., introdotto nel 2007, che ha stabilito una sorta di “esimente” per gli imprenditori che pongono in essere atti di pagamento o di disposizione patrimoniale in esecuzione di un concordato preventivo, di un accordo di ristrutturazione omologato o di un piano attestato. In particolare, non sono punibili come bancarotta preferenziale (art. 216, co.3 L.F.) né come bancarotta semplice (art. 217 L.F.) i pagamenti e le operazioni compiuti in esecuzione:

  • di un concordato preventivo omologato;
  • di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ex art. 182-bis L.F.;
  • di un piano attestato di risanamento ex art. 67 L.F. (pubblicato);
  • di un accordo omologato di composizione della crisi da sovraindebitamento (per i soggetti non fallibili);
  • nonché i pagamenti e le operazioni di finanziamento autorizzati dal giudice nell’ambito di tali procedure (es. finanziamenti ponte ex art. 182-quinquies L.F.).

Questa disposizione, ora riflessa nel nuovo Codice (Titolo IX), implica che se l’imprenditore durante la crisi paga alcuni creditori e non altri in base a un accordo di risanamento omologato, tali pagamenti non potranno costituire reato di bancarotta preferenziale nemmeno se poi la società dovesse fallire. Similmente, la scelta di indebitarsi ulteriormente o aggravare il dissesto per tentare il risanamento concordato non sarà considerata bancarotta semplice (art. 217 L.F. punisce l’aggravamento del dissesto per tardiva richiesta di fallimento, ma l’art. 217-bis esclude la rilevanza penale se si è agito in buona fede nel quadro di un accordo approvato). Questa protezione penale è fondamentale per incentivare gli amministratori ad adottare soluzioni negoziali senza il timore di essere poi accusati di preferenze indebite.

Va però chiarito che l’esenzione copre solo le fattispecie di reato “tecniche” legate a pagamenti preferenziali o a ritardi non fraudolenti. Restano invece pienamente perseguibili:

  • le condotte di bancarotta fraudolenta (artt. 216 e 223 L.F.), ad esempio distrazione di beni sociali, falsificazione di scritture contabili, frode ai creditori. Se l’imprenditore, prima o durante l’accordo, occulta attivo o simula passività, ciò costituirà reato se successivamente interviene il fallimento (o liquidazione giudiziale nel CCII). L’accordo non sterilizza queste condotte dolose;
  • le eventuali responsabilità per reati societari (false comunicazioni sociali, false attestazioni, ecc.) commessi dagli amministratori nel rappresentare lo stato dell’azienda. Ad esempio, presentare un piano attestato con dati falsi potrebbe configurare reati di falso in bilancio o aggiotaggio informativo se società quotata, indipendentemente dall’esito dell’accordo;
  • gli illeciti di false attestazioni da parte del professionista: l’attestatore che rilasci con dolo una relazione mendace sulla fattibilità del piano può rispondere di concorso in bancarotta fraudolenta o di reati propri (come falsità ideologica se pubblica fede, anche se la giurisprudenza dibatte sulla qualifica dell’attestazione). In generale il professionista attestatore è soggetto a possibili sanzioni penali e disciplinari se viene accertata malafede o grossolana negligenza nella sua relazione. Ad esempio, in passato alcuni attestatori sono stati indagati per concorso in bancarotta per aver avallato piani irrealistici volti solo a procrastinare il default.

Omesso versamento di imposte e contributi: Spesso le imprese in crisi accumulano debiti fiscali (IVA, ritenute) e contributivi. Il diritto penale tributario punisce con reati come l’omesso versamento IVA (art. 10-ter D.Lgs. 74/2000) e l’omesso versamento ritenute (art. 10-bis) il mancato pagamento di tali tributi sopra soglie di punibilità. La conclusione di un accordo di ristrutturazione che includa una transazione fiscale non estingue automaticamente questi reati, perché la causa di non punibilità prevista dalle norme tributarie (pagamento integrale del debito entro certe scadenze) qui non si realizza appieno: l’impresa di solito paga solo una parte del dovuto, sebbene ciò avvenga con il consenso del Fisco. Tuttavia, come già detto, la Cassazione ha chiarito che l’entità del reato viene di fatto ridimensionata: la confisca per equivalente del profitto dovrà essere calcolata solo sulla parte di imposta non versata che effettivamente resta non pagata dopo l’accordo. Inoltre, in sede di determinazione della pena, il giudice potrà valutare l’adesione a un accordo come segno di ravvedimento parziale, eventualmente concedendo attenuanti. In ogni caso, se il piano prevede il pagamento frazionato del debito tributario, per evitare il reato l’imprenditore dovrebbe comunque onorare integralmente gli importi concordati. Se, ad esempio, la transazione fiscale dice che pagherà €50 su €100 di IVA dovuta e poi non versa neanche quei €50 secondo le scadenze, allora oltre al reato originario rischia ulteriori conseguenze anche come violazione degli impegni presi.

Reati societari e di false comunicazioni: Durante le trattative e l’esecuzione di un accordo, gli amministratori devono fornire informazioni veritiere sia ai creditori che all’attestatore. Falsificare bilanci o comunicazioni per ottenere il consenso delle banche è una pessima idea non solo dal lato civile (il consenso viziato da dolo potrebbe invalidare l’accordo), ma anche penale: potrebbe configurarsi il reato di falso in bilancio (art. 2621 c.c.) o tentata truffa ai danni dei creditori. In generale, l’approccio della giurisprudenza è premiare chi agisce con trasparenza e correttezza nelle procedure di crisi, e sanzionare chi invece le utilizza strumentalmente per occultare condotte illecite.

Abuso di credito e denunce delle banche: Un tema che talora emerge è la possibile responsabilità delle banche stesse, ad esempio per concessione abusiva di credito (ossia aver finanziato eccessivamente un’impresa decotta aggravandone il fallimento). La conclusione di un accordo di ristrutturazione con le banche di solito mette al riparo queste ultime da contestazioni simili: se la banca partecipa al risanamento, difficilmente potrà poi essere accusata di aver aggravato il dissesto (anzi, sta contribuendo a risolverlo). Però se l’accordo fallisce e si scopre che la banca aveva concesso credito in modo irresponsabile in precedenza, i curatori hanno a volte cercato di citarla in responsabilità. Ciò però esula dal penale (è in sede civile). Sul penale, può valere l’opposto: se emergono malversazioni, le banche creditrici spesso le segnalano alle autorità (denuncia per ipotesi di bancarotta fraudolenta). Dunque, i rapporti con le banche nel contesto dell’accordo devono essere gestiti con massima correttezza e trasparenza, perché un accordo costruito su false informazioni rischia non solo di saltare ma di sfociare in indagini penali.

In conclusione, l’accordo di ristrutturazione, se condotto in buona fede, offre agli amministratori un “ombrello” penale contro alcuni reati concorsuali minori (pagamenti preferenziali, ritardi), riconoscendo la liceità dello sforzo di risanamento. Resta fermo però che non protegge affatto dalle condotte fraudolente: queste, se esistono, non saranno sanate dall’accordo e riemergeranno in caso di fallimento successivo, con le relative responsabilità penali. In poche parole, la regola è: l’accordo conviene a chi ha agito correttamente; non è un rifugio per chi ha commesso frodi.

Esempi pratici di accordi di ristrutturazione (simulazioni)

Di seguito proponiamo alcune simulazioni basate su ipotesi realistiche di applicazione degli accordi di ristrutturazione secondo il diritto italiano, per chiarire come funzionano in concreto.

Esempio 1 – PMI manifatturiera con due banche finanziatrici: Alfa S.r.l. è un’azienda manifatturiera (PMI) che si trova in crisi di liquidità a causa di investimenti errati e calo degli ordini. Ha debiti per 2 milioni di euro verso due banche (1,2 mln Banca X e 0,8 mln Banca Y, entrambi affidamenti chirografari in scadenza a breve) e debiti commerciali per 0,5 mln verso fornitori vari. Dopo qualche ritardo nei pagamenti, le banche minacciano di revocare gli affidamenti. Alfa si rivolge a un consulente e decide di tentare un accordo di ristrutturazione ex art.182-bis con le banche. Propone loro quanto segue: Banca X e Y concederanno un nuovo mutuo “di consolidamento” di €1,5 mln a 5 anni a tasso moderato; con tale somma Alfa pagherà integralmente tutti i fornitori (0,5 mln) e restituirà subito 0,5 mln alle banche stesse (pro quota 0,3 a X e 0,2 a Y). La parte residua dei vecchi crediti bancari (2,0 – 0,5 = 1,5 mln) verrà stralciata del 20%, quindi le banche rinunceranno a €0,3 mln (con perdita 0,18 X e 0,12 Y) e il restante 80% (€1,2 mln) sarà rimborsato secondo il piano quinquennale. In più, i soci di Alfa si impegnano a versare nuova finanza per €200k da utilizzare come prima tranche di pagamento. Le banche sono disponibili, a condizione di vedere un piano credibile. Alfa prepara un piano industriale: dismissione di un ramo d’azienda non profittevole per fare cassa (€300k), riduzione costi del personale con cassa integrazione, e stime di fatturato in lieve ripresa. Un commercialista viene nominato attestatore e certifica che il piano è fattibile e che le banche, accettando il 80%, prendono più dei circa 50% stimati in caso di fallimento (concordano quindi che la proposta conviene). Le banche aderiscono formalmente (sommano il 100% dei crediti finanziari, ben sopra il 60% richiesto). Nessun fornitore viene coinvolto, perché verranno pagati cash integrali. Alfa deposita il ricorso di omologazione presso il Tribunale con l’accordo firmato da X e Y. Chiede misure protettive per sospendere eventuali azioni (nessuna in corso in verità) e il giudice le concede per 60 giorni. Viene pubblicato l’avviso: nessun creditore si oppone (i fornitori infatti saranno soddisfatti al 100% e hanno già accordi per forniture future). Dopo 45 giorni il Tribunale omologa l’accordo. Effetti: i fornitori ricevono i pagamenti integrali entro 2 settimane dall’omologa (rispettando i termini, essendo crediti già scaduti) e restano dunque estranei ma soddisfatti. Le banche, per la parte residua 1,2 mln, ottengono il mutuo chirografario nuovo (con migliore prospettiva di recupero) e le loro vecchie esposizioni sono chiuse – subiscono contabilmente una perdita del 20%, che deducono dalle tasse. Alfa esegue il piano: paga nei 120 gg la prima quota dovuta alle banche (grazie all’apporto soci e incasso cessione ramo), effettua la dismissione, ecc. Dopo 5 anni Alfa S.r.l. ha ripagato interamente il mutuo di consolidamento, ha mantenuto i rapporti con fornitori e banche, ed è tornata in bonis. I soci hanno evitato il fallimento e conservato la proprietà dell’azienda, le banche hanno evitato di svalutare l’intero credito (recuperandone l’80% in valore attuale), e nessun dipendente ha perso il lavoro.

Esempio 2 – Impresa edile e accordo con transazione fiscale: Beta S.p.A. è un’impresa di costruzioni che dopo una serie di appalti in perdita è insolvente verso la banca principale (Banca Z, esposta per €2 mln garantiti da ipoteca su un capannone) e verso l’erario (€1 mln tra IVA non versata e contributi). Ha anche vari debiti minori verso fornitori (€0,5 mln). Beta vorrebbe proseguire l’attività su nuovi cantieri, ma con questo fardello rischia fallimento. Opta per un accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa in continuità: negozia con Banca Z e altri due istituti finanziatori minori (Z ha il 70% dei crediti finanziari, gli altri due 20% e 10%) e parallelamente attiva la procedura di transazione fiscale con l’Agenzia Entrate e l’INPS. La proposta sul tavolo è: Banche finanziatrici accettano di attendere la vendita di alcuni immobili invenduti di Beta per recuperare in parte il credito; stimando ricavabili €1,5 mln, propongono di prendere quella somma in soddisfazione completa dei €3 mln totali dovuti (quindi di fatto stralcio 50%). Banca Z, grazie all’ipoteca, incasserebbe gran parte di quell’importo (essendo privilegiata su un immobile chiave). I fornitori chirografari saranno pagati integralmente ma solo a fine piano (entro 2 anni dall’omologa) con flussi di cassa futuri – accettano informalmente perché credono nell’azienda e preferiscono evitare il fallimento che darebbe forse il 20%. Il Fisco accetta in transazione fiscale di ridurre del 30% IVA e contributi (pagherà circa €700k su €1 mln, dilazionati in 5 anni, più interessi minimi). Il totale da reperire per Beta è quindi: €1,5 mln per le banche (dalla vendita asset), €0,5 mln per fornitori (da cantieri futuri), €0,7 mln per Erario (dilazionati), in tutto €2,7 mln. Il piano prevede nuova finanza per €0,3 mln da un investitore (che entra come socio al 30%). L’attestatore conferma che l’operazione in 5 anni è fattibile e che i creditori otterranno più del ricavato in caso di fallimento (in cui l’immobile ipotecato varrebbe a malapena la copertura di Banca Z e Erario prenderebbe zero). All’atto della raccolta consensi: Banca Z e le altre due banche, che sommate rappresentano il 100% dei finanziari, aderiscono. L’Agenzia Entrate formalizza l’adesione all’accordo sottoscrivendo l’atto di transazione. Alcuni fornitori (10% dei crediti fornitori) non vogliono attendere 2 anni e rifiutano; i restanti 90% (450k su 500k) invece sono d’accordo. Beta decide di procedere chiedendo l’efficacia estesa sui fornitori chirografari dissenzienti: li tratta come categoria omogenea “fornitori chirografari”, con il 90% di consensi raggiunto. Deposita l’accordo in Tribunale con domanda di omologa e richiesta di estendere l’accordo anche ai pochi fornitori non firmatari. Il tribunale pubblica il ricorso; i fornitori dissenzienti ricevono notifica e hanno facoltà di opposizione ma non ne fanno, perché effettivamente il liquidatore fallimentare, in caso di fallimento, li avviserebbe che non avrebbero nulla (essendoci ipoteca e debiti fiscali prioritari). Si omologa dunque l’accordo esteso: vincola anche i fornitori dissenzienti, che dovranno attendere 2 anni per essere pagati ma sono garantiti che riceveranno il 100% (in due tranche annuali). Beta S.p.A. esegue: vende gli immobili, paga Banca Z e le altre (che incassano l’ipotizzato 50%), inizia i nuovi cantieri con la finanza fresca, genera utili e paga puntualmente le rate al Fisco e ai fornitori (che ricevono tutto dopo 24 mesi). L’azienda è salva e riposizionata; i fornitori hanno recuperato tutto (solo ritardato); il Fisco incassa 700k evitando di mandare tutto a monte; Banca Z e le altre accettano una perdita ma subito coperta in parte dal ricavato e contabilmente smaltita. Sul piano penale, l’amministratore di Beta risolve anche la sua pendenza per omesso versamento IVA: dovrà affrontare il processo per il reato, ma grazie all’accordo la confisca del profitto sarà commisurata ai €300k effettivamente non pagati invece che all’intero milione, e il giudice potrà considerare attenuante il fatto che Beta ha comunque versato 700k all’Erario nel contesto concordato.

Esempio 3 – Micro-impresa artigiana (soggetto non fallibile): Gamma di Marco B. è una ditta individuale artigiana indebitata con una banca locale per €100k (prestito artigiano), con fornitori per €50k e con l’Agenzia delle Entrate per €30k di tasse non pagate. Totale debiti €180k. Marco non è soggetto a fallimento (sotto soglie dimensionali) quindi non può accedere all’accordo ex 182-bis. Egli ricorre allora alla procedura di composizione negoziata della crisi (in via stragiudiziale), nominando un esperto. L’esperto trova un’intesa: la banca accetta di stralciare 20% del suo credito e dilazionare il resto 5 anni, i fornitori pure prendono 50% subito e rinunciano al 50%, il Fisco accetta tramite l’OCC (organismo crisi) un pagamento del 60%. Ottenuti i consensi (che rappresentano ben oltre il 60% dei crediti), Marco presenta questa proposta come accordo di composizione della crisi al tribunale ex L. 3/2012. Il giudice omologa l’accordo, vincolando tutti i creditori (anche eventuali dissenzienti, perché in quell’ambito bastano i 60%). Questo caso mostra come anche i piccoli imprenditori abbiano uno strumento simil-accordo, pur se tecnicamente diverso, ma al di fuori del fallimento. Dopo l’omologa, Marco esegue i pagamenti falcidiati e ottiene la definitiva esdebitazione del residuo.

(Nota: l’ultimo esempio è stato incluso per completezza in quanto i piccoli imprenditori e i professionisti non rientrano nell’accordo ex 182-bis/CCII, ma hanno procedure analoghe di sovraindebitamento. Tuttavia, il focus principale di questa guida rimane sulle imprese “fallibili” e sulle PMI in senso stretto.)

Domande Frequenti (FAQ)

D: Chi può accedere a un accordo di ristrutturazione dei debiti?
R: Può proporre un accordo il debitore imprenditore in stato di crisi o di insolvenza (anche non ancora dichiarata), che sia soggetto alle procedure concorsuali. In pratica, società di capitali, società di persone e imprese individuali “fallibili” (non piccolissime) possono accedere agli accordi ex art. 182-bis L.F. / art. 57 CCII. Sono ammessi anche gli imprenditori agricoli e altri non commerciali (la norma li include espressamente), mentre sono esclusi l’imprenditore “minore” sotto le soglie di fallibilità (che ha altri strumenti) e ovviamente i consumatori privati (che hanno i piani del consumatore). Le PMI rientrano se superano almeno uno dei parametri di fallibilità (attivi > €300k, ricavi > €200k, debiti > €500k). Inoltre, il debitore non deve trovarsi già in procedura concorsuale (es. un fallito non può).

D: Qual è la differenza tra accordo di ristrutturazione e concordato preventivo?
R: Pur avendo entrambi la finalità di evitare il fallimento, i due strumenti differiscono notevolmente. Il concordato preventivo è una procedura concorsuale a tutti gli effetti: coinvolge tutti i creditori (suddivisi in classi eventualmente), richiede maggioranze di voto in percentuale sui crediti e omologazione, e può imporre tagli ai creditori dissenzienti (a maggioranza). Prevede organi nominati dal tribunale (commissario, eventuale liquidatore) che vigilano e gestiscono in parte la procedura. L’accordo di ristrutturazione, invece, è un negozio giuridico volontario: coinvolge solo i creditori che aderiscono (minimo 60%) e non può imporre modifiche agli altri se non pagando loro il 100%. Non c’è voto di una classe, ma adesione individuale. Inoltre l’accordo ha minori formalità, tempi più rapidi e nessun commissario; l’impresa rimane in mano agli amministratori. Il concordato è più adatto a situazioni in cui serve una soluzione collettiva e si vuole cramming down anche i dissenzienti (ad esempio quando occorre falcidiare il 100% dei chirografari e non si hanno i soldi per pagarli tutti). L’accordo invece funziona se c’è un nucleo di creditori disposti a sostenere il piano mentre si riesce a tutelare gli altri integralmente. Inoltre dal punto di vista fiscale entrambi godono delle agevolazioni (sopravvenienze esenti), ma il concordato liquidatorio consente addirittura l’esenzione totale senza nemmeno dover usare perdite (dato che realizza perdita, non utile, in capo al debitore). In sintesi: l’accordo è più consensuale e mirato, il concordato più coercitivo e globale.

D: Perché si parla di “accordo con le banche”? Le banche hanno un ruolo particolare?
R: Spesso le banche e gli altri finanziatori finanziari (leasing, obbligazionisti) sono i creditori principali di un’impresa in crisi, sia per importi sia per importanza strategica. Un accordo 182-bis riesce tipicamente se si ottiene il consenso delle banche, che portano la quota maggiore del 60% e spesso possono anche fornire nuova finanza per l’operazione (o rinunciare a garanzie per agevolare la ripresa). Le banche hanno interesse a recuperare il più possibile ed evitare lungaggini fallimentari, quindi sono interlocutori motivati a trattare. Inoltre per legge esistono norme ad hoc proprio per accordi che coinvolgono intermediari finanziari (basti pensare all’accordo ad efficacia estesa ex art. 61 CCII pensato per “forzare” i pochi istituti dissenzienti quando la maggior parte aderisce). Ciò non toglie che anche altri creditori possano essere inclusi: anzi, spesso un buon accordo cerca l’adesione pure di fornitori strategici o di grandi fornitori, per alleggerire il passivo. Ma la dicitura “con le banche” evidenzia che senza l’apporto delle banche (che di solito detengono crediti per fidi, mutui, etc.) difficilmente si raggiunge la percentuale e la massa critica per il risanamento.

D: Cosa succede se alcuni creditori non aderiscono all’accordo?
R: I creditori non aderenti rimangono estranei: non sono tenuti a subire stralci o dilazioni. Pertanto, l’accordo deve occuparsi di loro prevedendo il pagamento integrale nei tempi previsti dalla legge (entro 120 giorni dall’omologa o dalla scadenza originaria). Finché attendono quel pagamento, essi sono temporaneamente bloccati nelle azioni esecutive (se il tribunale ha concesso misure protettive). Dopo l’omologa, se il debitore non rispetta i termini di pagamento verso un estraneo, quel creditore potrà riprendere le azioni legali (ingiunzioni, pignoramenti) o chiederne il fallimento. L’accordo viene costruito proprio per assicurare che vi siano le risorse per soddisfare i non aderenti. Unica eccezione: se i non aderenti appartengono a una categoria omogenea cui si è estesa l’efficacia dell’accordo ex art.61 CCII, allora essi diventano come aderenti forzati e dovranno accettare quanto previsto dal piano per la loro categoria. Ciò avviene però solo nel caso speciale già illustrato (ad es. banche dissenzienti minoritarie costrette dalla maggioranza qualificata).

D: Quanti creditori devono aderire? Conta il numero o l’importo?
R: Conta l’importo dei crediti detenuti. La soglia del 60% (o 30% nell’agevolato) si riferisce al valore totale dei crediti verso il debitore. Non importa quanti creditori numericamente: ad esempio, se ho 10 creditori di cui uno solo (la banca) ha il 70% del debito, teoricamente basta l’adesione di quella banca per legge. Però va anche considerato che conviene coinvolgere quanti più creditori significativi possibile, per ridurre il peso dei “non aderenti” da pagare subito. Inoltre, eventuali soci finanziatori non contano: si considerano solo i creditori del debitore. Per determinare la percentuale, va incluso anche il Fisco se partecipa (i crediti fiscali entrano nel totale). Nella pratica, spesso l’accordo viene proposto se si ha almeno un paio di creditori forti d’accordo; se invece il debito è molto frammentato, potrebbe essere difficile raggiungere il 60% senza coinvolgere troppi soggetti (in tali casi a volte si preferisce un concordato, dove basta la maggioranza dei votanti e non di tutto il credito).

D: Quanto tempo dura la procedura di omologazione?
R: La tempistica varia caso per caso, ma orientativamente:

  • La fase negoziale pre-accordo (trattative, piano, attestazione) può durare da poche settimane fino a diversi mesi, a seconda della complessità aziendale e del numero di creditori. Mediamente 3-6 mesi per imprese di medie dimensioni.
  • Una volta depositato il ricorso in tribunale, la pubblicazione è rapida (pochi giorni) e poi vi è il termine di 30 giorni per le opposizioni. Se non ci sono opposizioni, l’omologazione può arrivare subito dopo, diciamo entro 1-2 mesi dal deposito. Quindi la fase giudiziale “stretta” può chiudersi in circa 2 mesi in assenza di intoppi.
  • In caso di opposizioni o complessità (per es. la necessità di attendere l’adesione formale del Fisco se c’è transazione fiscale, che a volte richiede iter interno), i tempi giudiziali possono allungarsi a 4-6 mesi.
  • Complessivamente, dalla decisione iniziale all’omologa spesso intercorrono tra i 6 mesi e 1 anno. È comunque di solito più breve di un concordato preventivo, che difficilmente dura meno di 1 anno tra tutto.
  • L’esecuzione post-omologa poi dipende dal piano: può essere immediata (se si paga tutto entro 120 giorni) oppure durare anni (se l’accordo prevede ad esempio rimborso mutui a 5 anni). Ma quella è la fase gestionale.

D: Serve il voto dei soci o assemblee sociali per fare un accordo?
R: Dipende dalla forma societaria e dalle operazioni previste. La legge richiede come detto una deliberazione degli amministratori per accedere alla procedura. Se l’accordo comporta atti per cui normalmente servirebbe il via libera dell’assemblea (ad es. aumento di capitale con ingresso di nuovi soci, cessione di ramo d’azienda rilevante, ecc.), allora tali delibere vanno prese seguendo le regole ordinarie. In S.r.l. spesso basta la decisione dell’organo amministrativo salvo che l’atto costitutivo preveda diversamente. In S.p.A. occorre assemblea per aumenti di capitale non delegati. Anche nei concordati valgono regole simili. Quindi i soci in genere sono coinvolti se devono mettere soldi freschi (serve loro ok) o se vedranno diluite le partecipazioni per conversione di crediti in equity.

D: Che garanzie hanno le banche che l’impresa rispetterà l’accordo?
R: Oltre alla fiducia basata sul piano e sull’attestazione, le banche spesso pretendono garanzie contrattuali aggiuntive quando sottoscrivono l’accordo. Ad esempio: rilascio di garanzie personali (fideiussioni) da parte dei soci o di un soggetto terzo per garantire i pagamenti dilazionati; concessione di ipoteche o pegni su beni non già vincolati; covenants di controllo (l’azienda si impegna a fornire periodicamente i conti aggiornati alle banche e a non aggravare l’indebitamento senza consenso). Inoltre, se l’impresa non rispetta il piano, le banche possono attivarsi subito per risolvere l’accordo e agire in via esecutiva o istare per il fallimento, quindi il debitore è sotto stretta sorveglianza. Detto ciò, le banche sanno che c’è un rischio e lo bilanciano valutando che in caso di fallimento immediato magari avrebbero recuperi peggiori. In alcuni accordi, come ulteriore tutela, le somme destinate ai creditori estranei vengono depositate su un conto escrow all’omologa, per assicurare che siano pagati; oppure l’accordo può contenere clausole risolutive espresse (se l’impresa salta anche una rata, l’accordo si risolve di diritto). Tutto ciò rafforza la posizione delle banche.

D: L’accordo di ristrutturazione è pubblico? Lo verranno a sapere clienti e concorrenti?
R: Sì, vi è una certa pubblicità legale: l’avviso di deposito del ricorso viene iscritto nel Registro delle Imprese, consultabile pubblicamente. Inoltre, il decreto di omologa è anch’esso pubblicato e note della vicenda possono emergere (talora ne scrive la stampa locale, soprattutto se l’azienda è nota). Tuttavia, rispetto al fallimento o concordato (che spesso fanno più clamore), l’accordo può passare più sotto traccia, specie se l’azienda continua l’attività normalmente. Di solito le controparti commerciali non vengono coinvolte né informate attivamente, a meno che non siano esse stesse creditori. Quindi clienti e fornitori non toccati potrebbero anche non accorgersi di nulla, se non vanno a spulciare il Registro Imprese. L’elemento di pubblicità è il prezzo da pagare per ottenere le protezioni e i benefici di legge; non è possibile fare l’intera operazione in modo totalmente segreto. In ogni caso, un accordo di ristrutturazione omologato porta meno stigma di un procedimento concorsuale vero e proprio, e l’azienda può comunicare il fatto come un segnale positivo (“abbiamo ristrutturato il debito con accordo, ora siamo solidi”).

D: Se l’accordo non va a buon fine, posso comunque chiedere il concordato dopo?
R: Sì. Spesso gli accordi di ristrutturazione e il concordato preventivo vengono considerati strumenti combinabili. Ad esempio, un’azienda può depositare una domanda di concordato “in bianco” e poi convertire in domanda di omologa di accordo se riesce a chiudere le trattative (questa opzione era espressamente prevista dall’art. 182-sexies L.F.). Viceversa, se un accordo depositato non riesce ad essere omologato (perché magari non si raggiunge la percentuale o vi sono opposizioni insuperabili), l’imprenditore può virare verso un concordato preventivo prima che i creditori chiedano il fallimento. Il tribunale di solito concede la possibilità di mutare procedura se ci sono spiragli. Quindi, non è “o accordo o morte”: c’è un ventaglio di soluzioni e, in extremis, si può ripiegare sul concordato o altra procedura (es. liquidazione controllata) se l’accordo fallisce. Ciò detto, conviene valutare bene all’inizio la fattibilità dell’accordo, per non sprecare tempo e risorse.

D: L’accordo può coinvolgere soci e garanzie di terzi?
R: Sì, spesso negli accordi di ristrutturazione le banche chiedono ai soci dell’azienda (specie se di piccole dimensioni o familiari) di contribuire al risanamento, ad esempio rinunciando ai crediti verso la società (azzerando finanziamenti soci pregressi) o mettendo soldi nuovi (ricapitalizzazione). Queste azioni dei soci non sono obbligatorie per legge, ma di fatto se i soci non fanno alcun sacrificio le banche potrebbero non essere disposte a perdere esse stesse dei soldi. Quindi quasi sempre un accordo include un capitolo sul contributo dei soci. Quanto alle garanzie di terzi, l’accordo può prevedere che un terzo (es. una società collegata, oppure una garanzia consortile) garantisca parte del debito ristrutturato: ad esempio un parente imprenditore garantisce i nuovi pagamenti alle banche. Questi accordi collaterali vanno formalizzati e allegati. L’omologa dell’accordo generalmente giova anche ai garanti: se un socio aveva prestato fideiussione sulla banca, la banca in genere accetta di non escutere la fideiussione se il debito principale è gestito nell’accordo (magari chiede anche al fideiussore di firmare l’accordo per presa d’atto). Tuttavia, attenzione: se l’accordo prevede un taglio del debito, tale stralcio non si estende automaticamente ai coobbligati o fideiussori personali, a meno che la banca concordi espressamente anche con questi la liberazione. Quindi, un garante che non sia partecipe dell’accordo potrebbe teoricamente essere chiamato dalla banca a pagare la parte tagliata (anche se poi il garante avrebbe azione di regresso verso il debitore, che però è stato liberato pro-quota). Nella prassi di solito si chiude il cerchio transattivo includendo anche le garanzie: il garante firma e la banca esonera pure lui a fronte di qualcosa (ad es. pagamento parziale immediato). Ogni accordo fa storia a sé su questo.

D: Quali sono i costi di un accordo di ristrutturazione?
R: Bisogna considerare vari costi:

  • Compensi per i professionisti coinvolti: il professionista attestatore (che va pagato, in funzione della dimensione azienda), l’avvocato che redige l’accordo e segue la procedura, l’eventuale advisor finanziario che aiuta col piano. Questi costi possono essere significativi ma di norma molto inferiori ai costi di una procedura concorsuale lunga (in cui ci sono curatori, spese legali plurime, ecc.).
  • Imposte di registro e bolli: il decreto di omologa è esente da imposta di registro (essendo assimilato a provvedimenti concorsuali). Non ci sono contributi unificati da versare, solo marche per iscrizioni. Gli atti esecutivi, se ci sono cessioni immobiliari, pagheranno le imposte previste (es. se l’azienda vende un immobile come parte del piano, quella vendita sconta le normali imposte ipocatastali).
  • Eventuali compensi di organismi di composizione se presenti (ad esempio se entra in gioco l’OCC per transazione fiscale).
  • Spese di pubblicazione e comunicazione: minime (diritti CCIAA per l’iscrizione).
    In sintesi l’accordo è relativamente poco costoso in sé. Il vero “costo” è che i creditori forti spesso pretendono pagamenti upfront o garanzie, quindi l’azienda deve reperire risorse: ma quello non è un costo procedurale, è il contenuto sostanziale del risanamento.

Fonti normative, giurisprudenziali e dottrinali

  • Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Legge Fallimentare) – Artt. 67, 182-bis, 182-ter, 182-quater, 182-quinquies, 182-sexies, 182-septies, 217-bis. (Disciplina previgente degli accordi di ristrutturazione dei debiti e piani attestati; norme penali di esenzione).
  • D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza) – Artt. 56-64 (accordi di ristrutturazione e piani di risanamento); art. 88 co.4-ter TUIR (trasfuso) e 63 (transazione fiscale); art. 94 e ss. (composizione negoziata); Titolo IX (reati concorsuali). (Normativa vigente in materia di accordi di ristrutturazione, inclusi accordi agevolati ed estesi).
  • Direttiva (UE) 2019/1023 del 20 giugno 2019 – (Direttiva sui quadri di ristrutturazione preventiva, recepita in Italia con D.Lgs. 83/2022 e modifiche al CCII).
  • Cassazione Civile Sez. I, 17 dicembre 2024 n. 32996(Effetti del fallimento successivo all’omologazione di un accordo: l’accordo si risolve per impossibilità sopravvenuta e i creditori tornano ad avere diritto all’intero credito originario, dedotto quanto ricevuto, non revocabile).
  • Cassazione Penale Sez. III, 6 dicembre 2024 n. 44519(Omesso versamento IVA: l’accordo di ristrutturazione con transazione fiscale riduce il profitto del reato e impone la riduzione della confisca per equivalente in misura corrispondente allo stralcio concesso dal Fisco).
  • Cassazione Civile Sez. I, 19 marzo 2015 n. 5524(Natura negoziale dell’accordo ex art.182-bis L.F. – prestazioni professionali funzionali all’accordo sono prededucibili solo se effettivamente omologato come concorsuale minore).
  • Tribunale di Milano, decreto 28 aprile 2022(Omologazione accordo ex art. 182-bis con transazione fiscale: conferma applicabilità della falcidia IVA dopo la riforma e verifica convenienza Erario).
  • Agenzia Entrate – Risposte a interpello nn. 222/2024 e 49/2024(Chiarimenti su trattamento fiscale: n.222 conferma l’estensione delle agevolazioni art.88 TUIR ai piani attestati ex art.56 CCII; n.49/2024 tratta le sopravvenienze attive in caso di modifica non sostanziale dell’accordo omologato).
  • Agenzia Entrate – Risposta a interpello n. 79/2025(Chiarimento sul momento di emissione della nota di variazione IVA: deve farsi riferimento alla data di omologazione di un piano/accordo, e non alla semplice apertura della procedura).
  • Ministero della Giustizia – Relazione illustrativa al D.Lgs. 14/2019(Commenta ratio delle soglie 30% e 75% nei nuovi accordi e l’implementazione della direttiva UE).

Accordo di Ristrutturazione del Debito con le Banche: Perché Affidarti a Studio Monardo

La tua impresa è sommersa da mutui, affidamenti revocati o rate scadute con più istituti di credito?
Hai bisogno di un piano per rientrare in modo sostenibile, salvare la liquidità aziendale e fermare la pressione delle banche?

⚠️ L’accordo di ristrutturazione del debito è uno strumento previsto dal Codice della Crisi che consente di negoziare direttamente con le banche, ottenendo dilazioni, tagli e protezione legale.
Ma serve un piano solido, documentato e approvato da almeno il 60% dei creditori finanziari.

✅ Consente di ristrutturare i debiti bancari senza liquidare l’azienda e senza perdere il controllo
✅ Può essere usato anche per bloccare esecuzioni e revoche improvvise
✅ Le banche che non aderiscono possono essere trascinate nell’accordo se rappresentano la minoranza
✅ È possibile ottenere nuova finanza protetta per rilanciare l’attività

Cosa può fare per te l’Avvocato Giuseppe Monardo

✅ Analizza la posizione dell’impresa nei confronti del sistema bancario, verificando la fattibilità dell’accordo

✅ Ti assiste nella costruzione di un piano di rientro credibile, sostenibile e approvabile

✅ Predispone tutta la documentazione legale e negozia con le banche per ottenere l’adesione necessaria

✅ Ti rappresenta in tribunale per l’omologazione dell’accordo, anche con estensione agli istituti dissenzienti

✅ Ti protegge da azioni esecutive, segnalazioni e responsabilità personali degli amministratori

Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

🔹 Avvocato esperto in ristrutturazione aziendale e diritto bancario applicato alla crisi d’impresa
🔹 Gestore della Crisi da Sovraindebitamento – iscritto al Ministero della Giustizia
🔹 Negoziatore della Crisi d’Impresa – abilitato ex D.L. 118/2021
🔹 Fiduciario OCC – Organismo di Composizione della Crisi
🔹 Coordinatore nazionale di esperti in salvataggio d’impresa e gestione dei rapporti bancari in crisi

Perché agire subito

⏳ I rapporti bancari in crisi possono precipitare in pochi giorni, con revoche, blocchi conti e iscrizioni in Centrale Rischi

⚠️ Senza un accordo strutturato, rischi di perdere la fiducia degli istituti e compromettere la sopravvivenza dell’impresa

📉 Rischi concreti: interruzione dei flussi di cassa, revoca di affidamenti, azioni legali su patrimonio aziendale e personale

🔐 Solo un avvocato esperto può negoziare con le banche da una posizione forte e costruire un piano protetto dalla legge

Conclusione

L’accordo di ristrutturazione del debito con le banche è la via legale per mettere ordine nei debiti finanziari, difendere la tua azienda e ripartire con stabilità.
Ma deve essere gestito con tecnica, strategia e autorevolezza.

Affidarsi all’Avvocato Giuseppe Monardo significa scegliere una guida esperta nella gestione dei rapporti bancari durante la crisi, nella tutela del patrimonio e nella salvezza dell’impresa.

Qui sotto trovi tutti i riferimenti per richiedere una consulenza riservata e immediata.
Se i debiti bancari stanno mettendo in pericolo la tua attività, il momento per agire è adesso.

Leggi con attenzione: Se stai affrontando difficoltà con il Fisco e hai bisogno di una rapida valutazione delle tue cartelle esattoriali e dei debiti, non esitare a contattarci. Siamo pronti ad aiutarti immediatamente! Scrivici su WhatsApp al numero 351.3169721 oppure inviaci un’e-mail all’indirizzo info@fattirimborsare.com. Ti ricontatteremo entro un’ora per offrirti supporto immediato.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
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