Legge Fallimentare E Accesso All’Esdebitazione: Cosa Sapere

Hai attraversato una procedura fallimentare e ti chiedi se puoi davvero chiudere con il passato e cancellare i debiti rimasti? Vuoi sapere come funziona l’esdebitazione, chi può ottenerla e cosa fare per non essere più perseguitato dai creditori?

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto fallimentare, sovraindebitamento e cancellazione dei debiti – ti spiega in modo semplice e concreto come funziona l’accesso all’esdebitazione secondo la Legge Fallimentare e il nuovo Codice della Crisi, chi ne ha diritto, quali condizioni devono essere rispettate e quali sono gli effetti concreti.

Scopri chi può chiedere l’esdebitazione dopo una liquidazione giudiziale, quali sono i limiti temporali, quali comportamenti possono impedirla, cosa succede se sei un ex imprenditore fallito e come dimostrare la tua buona fede per ottenere la cancellazione totale dei debiti non pagati.

Alla fine della guida troverai tutti i contatti per richiedere una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo, verificare se hai i requisiti per accedere all’esdebitazione e costruire una strategia legale per uscire definitivamente dal peso del fallimento e ripartire senza più debiti sulle spalle.

Perfetto. Inizierò a elaborare una guida completa e aggiornata a maggio 2025 sulla disciplina attuale del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.lgs. 14/2019), con focus sull’accesso all’esdebitazione. La guida tratterà tutte le figure giuridiche rilevanti (inclusi imprenditore commerciale, minore, professionista, consumatore e società), con riferimenti a giurisprudenza di merito e di legittimità, esempi pratici con calcoli, domande e risposte, e tabelle riepilogative. Appena pronta, te la fornirò.

Introduzione

Il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, di seguito CCII), entrato in vigore in modo definitivo il 15 luglio 2022, ha riformato organicamente la disciplina della cosiddetta legge fallimentare. Questa riforma ha sostituito il vecchio R.D. 267/1942 (Legge Fallimentare) introducendo nuove procedure per la gestione della crisi e dell’insolvenza, nonché innovativi meccanismi di allerta preventiva e di composizione negoziata della crisi. Tra le novità di principio, il Codice ha eliminato il termine “fallimento”, ridenominando la procedura liquidatoria in liquidazione giudiziale, per attenuare lo stigma tradizionalmente associato al fallito. L’obiettivo generale della riforma è duplice: da un lato favorire l’emersione anticipata della crisi aziendale e il salvataggio dell’impresa in continuità quando possibile; dall’altro lato, garantire al debitore insolvente onesto una “seconda opportunità” tramite l’istituto dell’esdebitazione, cioè la liberazione dai debiti residui non pagati. Questi principi attuano anche istanze di matrice europea, come la Direttiva UE 2019/1023 sull’insolvency, recepita nell’ordinamento italiano con il D.lgs. 83/2022 e altri provvedimenti integrativi.

In questa guida avanzata esamineremo in modo completo ed aggiornato (maggio 2025) la disciplina introdotta dal CCII in materia concorsuale e di accesso all’esdebitazione. Adotteremo un linguaggio giuridico rigoroso ma dal taglio divulgativo, rivolgendoci in particolare ad avvocati e imprenditori interessati a comprendere sia gli aspetti normativi sia quelli pratico-operativi delle nuove procedure. La trattazione abbraccerà tutte le figure soggettive rilevanti – dall’imprenditore commerciale “fallibile” all’imprenditore minore, dal consumatore sovraindebitato al professionista sino alle società – evidenziando per ciascuno i percorsi previsti per la soluzione della crisi o insolvenza e le condizioni per ottenere l’eventuale esdebitazione finale. Saranno forniti riferimenti normativi aggiornati (articoli del CCII e altre leggi collegate), richiami alla giurisprudenza più significativa (sentenze di merito dei Tribunali e decisioni di legittimità della Corte di Cassazione), nonché esempi pratici e simulazioni (piani del consumatore con calcoli di riparto, casi di liquidazione del patrimonio con distribuzione ai creditori, ecc.). Tabelle riepilogative aiuteranno a confrontare requisiti, procedure ed effetti delle diverse soluzioni concorsuali. Infine, una sezione di FAQ (domande frequenti) chiarirà i dubbi più comuni, mentre un’ultima sezione elencherà tutte le fonti normative e giurisprudenziali citate (Gazzette Ufficiali, Normattiva, sentenze, ecc.), a garanzia dell’aggiornamento e della completezza della guida.

Struttura della Guida: Nei capitoli che seguono analizzeremo dapprima l’ambito di applicazione soggettivo delle varie procedure (chi può accedere a cosa), quindi ciascuno degli strumenti di regolazione della crisi previsti dal Codice – distinguendo le procedure maggiori destinate agli imprenditori commerciali e società di dimensioni rilevanti, dalle procedure minori di composizione della crisi da sovraindebitamento riservate ai debitori non soggetti a fallimento (consumatori, piccoli imprenditori, professionisti, ecc.). Verrà trattata dettagliatamente la fase di liquidazione giudiziale (ex fallimento) e la corrispondente liquidazione controllata per i debitori minori, con particolare attenzione all’esdebitazione: esporremo condizioni, procedimento e limiti dell’esdebitazione ordinaria (in seguito a liquidazione) e della speciale esdebitazione “a zero” per il debitore incapiente. Ogni sezione integrerà esempi numerici e casi reali. Procediamo dunque con l’analisi, partendo dai soggetti e dall’ambito di applicazione delle norme.

Ambito di applicazione e categorie di debitori

Il Codice della Crisi adotta un approccio unitario alle situazioni di insolvenza, regolando sia i debitori tradizionalmente soggetti al fallimento (imprenditori commerciali sopra determinate soglie) sia quelli prima esclusi (consumatori, professionisti, piccoli imprenditori non fallibili). L’art. 1 CCII stabilisce l’ambito generale, mentre l’art. 2 CCII fornisce le definizioni delle varie categorie di debitore rilevanti. Di seguito riepiloghiamo le figure giuridiche principali e le corrispondenti procedure applicabili:

  • Imprenditore commerciale “fallibile”: è l’imprenditore che esercita un’attività commerciale e supera determinate soglie dimensionali. I parametri vigenti (ricalcati dalla previgente legge fallimentare) sono: attivo patrimoniale annuo superiore a €300.000, ricavi lordi annui superiori a €200.000 e debiti (anche non scaduti) superiori a €500.000. Se l’impresa ha superato anche uno solo di questi limiti in almeno uno degli ultimi tre esercizi, perde lo status di “impresa minore” ed è assoggettabile alle procedure concorsuali maggiori (concordato preventivo, liquidazione giudiziale ecc.). Rientrano in questa categoria sia le imprese individuali medio-grandi sia le società commerciali di adeguate dimensioni. Tali soggetti, in caso di insolvenza, possono accedere alle procedure tipiche un tempo previste dalla legge fallimentare: il concordato preventivo (per evitare la liquidazione tramite un accordo con i creditori) e la liquidazione giudiziale (procedura liquidatoria giudiziale ex “fallimento”). Possono inoltre utilizzare gli strumenti di composizione negoziale introdotti dalla riforma (composizione negoziata della crisi, accordi di ristrutturazione, piani attestati, ecc., esaminati infra).
  • Imprenditore minore: così l’art. 2, comma 1, lett. d) CCII definisce l’imprenditore commerciale che non supera congiuntamente i limiti di €300.000 di attivo, €200.000 di ricavi e €500.000 di debiti. Si tratta di imprese di piccola dimensione (in passato dette “piccoli imprenditori commerciali”) tradizionalmente escluse dal fallimento. Il CCII conferma che l’impresa minore non è soggetta a liquidazione giudiziale (art. 49, co.1 e art. 121 CCII). Tuttavia, tali debitori non restano privi di tutela: essi rientrano nell’alveo del sovraindebitamento, potendo accedere alle procedure “minori” apposite (si tratta del concordato minore e della liquidazione controllata disciplinati nel Titolo IV Capo II e Titolo V Capo IX CCII, derivati dalla previgente L.3/2012). In pratica, un imprenditore sotto-soglia in stato di insolvenza non viene dichiarato fallito, ma può presentare ai creditori un piano di concordato minore (simile a un accordo di ristrutturazione dei debiti) oppure subire/attivare una liquidazione controllata dei suoi beni innanzi al tribunale competente. Un esempio giurisprudenziale: il Tribunale di Lucca ha recentemente dichiarato l’apertura di una liquidazione controllata su istanza di un creditore, verificando che il debitore era un piccolo imprenditore (impresa minore) con debiti scaduti complessivamente oltre €50.000 (soglia minima richiesta per la liquidazione controllata, v. infra).
  • Imprenditore agricolo: per tradizione normativa, l’imprenditore che esercita attività agricola (art. 2135 c.c.) non è assoggettabile al fallimento né alla liquidazione giudiziale, a prescindere dalle dimensioni. Anche il nuovo Codice esclude gli imprenditori agricoli dalle procedure maggiori, equiparandoli ai debitori civili non fallibili. Di conseguenza, un imprenditore agricolo in crisi può accedere alle sole procedure di sovraindebitamento (se in possesso dei requisiti di crisi o insolvenza): ad esempio, un agricoltore indebitato potrà proporre un concordato minore ai sensi del CCII oppure ricorrere alla liquidazione controllata del proprio patrimonio, con possibilità di esdebitazione finale alle condizioni di legge.
  • Professionista: i liberi professionisti (avvocati, commercialisti, medici, ecc.) e in generale i titolari di professioni intellettuali non rientrano nel novero degli “imprenditori commerciali” e pertanto non sono soggetti a fallimento. Essi però, al pari di altri debitori civili, possono versare in situazioni di insolvenza o sovraindebitamento. Il CCII include espressamente il professionista non imprenditore tra i debitori ammessi alle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento (la definizione di “sovraindebitamento” all’art. 2, comma 1, lett. c, elenca il consumatore, il professionista, l’imprenditore minore e ogni altro debitore non soggetto a liquidazione giudiziale). Dunque un professionista insolvente potrà proporre ai creditori un concordato minore (se ha debiti anche verso fornitori, banche, ecc., analogamente a un piccolo imprenditore) oppure, se i debiti sono personali e non legati ad un’attività d’impresa, potrà accedere alla ristrutturazione del consumatore se qualificabile come “consumatore” per quelle obbligazioni. In ogni caso, in difetto di soluzioni di accordo, il professionista potrà ricorrere alla liquidazione controllata dei propri beni per poi ottenerne l’esdebitazione.
  • Consumatore: è la persona fisica che ha contratto debiti per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta (definizione ripresa dal diritto dei consumi). Il debitore civile “consumatore” sovraindebitato costituisce una figura centrale della riforma, cui è riservata una procedura dedicata di composizione: la ristrutturazione dei debiti del consumatore (già “piano del consumatore” nella L.3/2012). Il consumatore insolvente, dunque, non può essere dichiarato fallito né soggetto a liquidazione giudiziale; egli può invece presentare al giudice un piano di ristrutturazione dei propri debiti, senza necessità di accordo con i creditori ma con valutazione giudiziale di fattibilità e meritevolezza, come vedremo in dettaglio. In alternativa, il consumatore può accedere alla liquidazione controllata dei suoi beni, qualora non sia praticabile un piano di ristrutturazione (ad esempio perché non dispone di un reddito sufficiente a offrire pagamenti). In caso di liquidazione, potrà poi domandare l’esdebitazione. Anticipiamo che il CCII ha introdotto perfino la possibilità per il consumatore assolutamente incapiente (privo di beni e redditi) di ottenere l’esdebitazione integrale dei debiti pregressi senza alcuna utilità per i creditori: è la cosiddetta esdebitazione “a costo zero” disciplinata dall’art. 283 CCII. Dedicheremo un capitolo apposito a questo istituto innovativo.
  • Società: le società commerciali (SRL, SPA, SNC, SAS, etc.) seguono il regime dell’imprenditore commerciale collettivo. Se di adeguate dimensioni (oltre soglia), la società in stato di insolvenza può accedere al concordato preventivo o essere assoggettata a liquidazione giudiziale. Le società sotto soglia (es. piccole SRL familiari che non superano i parametri di cui sopra) sono tecnicamente “imprese minori” e quindi escluse dalla liquidazione giudiziale: anch’esse possono però utilizzare gli strumenti del sovraindebitamento (in particolare il concordato minore o la liquidazione controllata). Occorre notare che quando una società viene sottoposta a liquidazione giudiziale, essa viene poi estinta al termine della procedura e quindi il tema dell’esdebitazione si pone solo per gli eventuali soci garanti o coobbligati, non per la società in sé (che cessando di esistere elimina ipso iure le obbligazioni insoddisfatte). Nelle società di persone, peraltro, vi è piena confusione tra patrimonio sociale e dei soci illimitatamente responsabili: questi ultimi, se la società fallisce, sono dichiarati insolventi a loro volta (estensione del fallimento) e, essendo persone fisiche, potranno chiedere la propria esdebitazione a fine liquidazione giudiziale.
  • Altre figure: Il CCII contempla inoltre particolari categorie come le start-up innovative e gli imprenditori cessati. Le start-up innovative, per effetto di normative speciali, godono di un’esenzione temporanea dalle procedure concorsuali durante i primi anni, ma decorso tale periodo rientrano nel regime ordinario (se insolventi e sopra soglia, liquidazione giudiziale). Gli imprenditori che abbiano cessato l’attività da oltre un anno, un tempo sottratti al fallimento, ora possono accedere al sovraindebitamento (la Cassazione ha chiarito che l’imprenditore cancellato dal registro imprese da più di un anno, non più fallibile, ha i requisiti per accedere al concordato minore ex art. 74 CCII come “altro debitore non fallibile”). Si segnala infine che il CCII prevede la possibilità di procedura familiare: più membri di una stessa famiglia con posizione debitoria connessa possono presentare un’unica procedura di composizione della crisi, ottenendo una trattazione unitaria (art. 66 CCII). Ad esempio, marito e moglie coobbligati per mutui e finanziamenti possono proporre un unico piano del consumatore congiunto. Ciò migliora l’efficienza e riduce i costi rispetto a due procedure separate.

In sintesi, il Codice disegna un doppio binario: le procedure concorsuali maggiori (concordato preventivo, accordi di ristrutturazione, liquidazione giudiziale) destinate ai debitori commerciali di dimensioni medio-grandi; e le procedure minori di sovraindebitamento (piano del consumatore, concordato minore, liquidazione controllata) accessibili ai debitori non fallibili. Di seguito affronteremo separatamente queste due categorie di strumenti.

(Tabella 1 – Categorie di debitori e procedure applicabili)

Categoria DebitoreProcedure accessibili
Imprenditore commerciale (sopra soglie)Concordato preventivo; Accordi di ristrutturazione; Liquidazione giudiziale (fallimento); Composizione negoziata della crisi (strumento di allerta).
Impresa minore (sotto soglie)Concordato minore; Liquidazione controllata (in luogo del fallimento); + Strumenti di sovraindebitamento applicabili.
Imprenditore agricoloConcordato minore; Liquidazione controllata (no fallimento).
Professionista (non imprenditore)Concordato minore (per debiti professionali); Liquidazione controllata; oppure piano del consumatore se debiti contratti come consumatore.
Consumatore (debitore civile)Ristrutturazione dei debiti del consumatore (piano del consumatore); Liquidazione controllata del sovraindebitato; (Esdebitazione del debitore incapiente se privo di attivo).
Società commerciale (non piccola)Concordato preventivo; Accordi di ristrutturazione; Liquidazione giudiziale.
Società sotto soglia (piccola Srl, etc.)Concordato minore; Liquidazione controllata.
Altri debitori civili (enti non profit, ecc.)Procedure di sovraindebitamento analoghe al consumatore/impr. minore (se enti non fallibili).

Nota: Tutti i debitori sopra elencati possono in teoria accedere agli accordi stragiudiziali attestati (piani attestati di risanamento) se in grado di trovare un accordo con i creditori, e gli imprenditori in continuità aziendale possono utilizzare gli strumenti di allerta e composizione assistita della crisi. Tuttavia, tali strumenti non conducono direttamente all’esdebitazione, perciò la guida si concentra sulle procedure concorsuali giudiziali o omologate.

Nei prossimi capitoli analizzeremo dapprima le procedure concorsuali maggiori (destinate a imprenditori e società fallibili), e successivamente le procedure di sovraindebitamento per consumatori e soggetti non fallibili, evidenziando per ciascuna caratteristiche, svolgimento, e implicazioni sull’esdebitazione del debitore.

Procedure concorsuali per imprenditori commerciali e società (procedure “maggiori”)

Concordato preventivo

Il concordato preventivo è una procedura concorsuale volta a evitare la liquidazione giudiziale dell’impresa insolvente, mediante un accordo di ristrutturazione con i creditori omologato dal tribunale. Si tratta di uno strumento già previsto dalla legge fallimentare e ora disciplinato dagli artt. 84-120 CCII (Titolo IV, Capo III). Possono proporre concordato preventivo gli imprenditori commerciali assoggettabili a liquidazione giudiziale in stato di crisi o insolvenza (lo stato di crisi è inteso come probabilità di futura insolvenza, concetto ampliato per favorire interventi precoci). La domanda di concordato è presentata al tribunale competente e può avere due finalità fondamentali, alternative o combinate:

  • Concordato in continuità aziendale: è un piano che prevede la prosecuzione dell’attività d’impresa (in gestione diretta o tramite cessione/affitto dell’azienda) allo scopo di soddisfare i creditori col ricavato della gestione futura. Si punta al risanamento dell’impresa, eventualmente con intervento di nuovi investitori. Il piano deve assicurare che dalla continuità derivi un utile superiore rispetto alla liquidazione dei beni, a beneficio dei creditori (art. 84, co.3 CCII). Il concordato in continuità può prevedere pagamento parziale e dilazionato dei crediti privilegiati se essenziali per la ristrutturazione, e il mantenimento in vita dei contratti pendenti.
  • Concordato liquidatorio: è un piano che prevede la liquidazione di tutto o parte del patrimonio del debitore, ma in forma concordataria anziché mediante liquidazione giudiziale. In sostanza l’imprenditore offre ai creditori di soddisfarli distribuendo il ricavato dell’alienazione dei beni (anche tramite cessione a un assuntore) secondo certe percentuali. La legge richiede in tal caso un soddisfacimento minimo dei creditori chirografari: almeno il 20% del loro ammontare, salvo immissione di finanza esterna aggiuntiva. Infatti, l’art. 84, co.4 CCII (richiamando criteri analoghi all’art. 160 l.fall. previgente) stabilisce che nel concordato che comporta la cessazione dell’attività d’impresa, i creditori chirografari non possono ricevere meno del 20% del loro credito, a tutela contro proposte eccessivamente falcidianti. (Nota: Nel concordato semplificato post-composizione negoziata, invece, non è previsto un minimo, come vedremo). I creditori privilegiati devono essere soddisfatti integralmente, salvo che acconsentano a falcidie o che il piano dimostri che, in liquidazione, non verrebbero comunque soddisfatti interamente (in tal caso possono essere trattati come chirografari per la parte incapiente).

Procedura e votazione: Una volta depositata la domanda con il piano e la proposta, il tribunale verifica la completezza e fattibilità del piano (anche tramite una perizia di attestazione da parte di un professionista indipendente) e ammette il debitore alla procedura, nominando un Commissario Giudiziale. Segue la fase di votazione: i creditori vengono suddivisi in classi secondo posizione giuridica ed interessi omogenei (è obbligatorio classare i creditori privilegiati se si intende degradarne una parte a chirografo). La proposta è approvata se ottiene il voto favorevole dei creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto (maggioranza semplice in percentuale di crediti, calcolata per classi se previste). Se sono previste più classi, occorre normalmente il voto positivo di tutte le classi o almeno della maggioranza di esse; il Codice, in attuazione della direttiva UE, ha introdotto la possibilità di omologazione anche in caso di dissenso di alcune classi (cram-down) tramite il nuovo “piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione” (artt. 64-bis – 64-quater CCII), ma si tratta di uno strumento speciale distinto dal concordato preventivo ordinario.

Omologazione: Se la maggioranza vota a favore, il tribunale procede all’omologazione del concordato, valutandone la legittimità e fattibilità e rigettando eventuali opposizioni (i creditori dissenzienti possono opporsi contestando la convenienza della proposta rispetto alla liquidazione, ma la contestazione sarà respinta se il piano offre loro almeno quanto otterrebbero in liquidazione). Con l’omologazione, il piano diviene vincolante per tutti i creditori anteriori, anche dissenzienti. Il debitore esce dallo stato di insolvenza e prosegue l’attività secondo i termini del piano, sotto la vigilanza degli organi della procedura (il Commissario diviene Liquidatore Giudiziale in caso di piano liquidatorio). Compiuta l’esecuzione del piano, la procedura si chiude.

Effetti sugli obblighi debitori: Va evidenziato che l’attuazione con successo di un concordato preventivo produce un effetto estintivo delle obbligazioni secondo i termini della proposta omologata. I creditori ricevono quanto previsto (in denaro o altri asset) e non possono pretendere altro a saldo dei loro crediti originari. Questo risultato è talora definito un effetto esdebitatorio “indiretto”: i debiti eccedenti quanto pagato sono di fatto inesigibili, non perché vi sia un provvedimento di esdebitazione in senso tecnico, ma perché il concordato stesso li ha novati o estinti conformemente alla legge. In altre parole, il concordato preventivo libera l’imprenditore dai debiti pregressi residui per la parte falcidiata, senza necessità di un ulteriore provvedimento: l’omologazione e la successiva esecuzione integrale del piano impediscono ai creditori di agire per la parte di credito tagliata. Dunque non si fa ricorso all’istituto dell’esdebitazione post-procedura, tipico invece delle liquidazioni fallimentari. L’imprenditore, se ha adempiuto al concordato, torna in bonis e può continuare l’attività senza il fardello delle passività pregresse.

Dal punto di vista normativo, il concordato preventivo rimane uno strumento centrale per la regolazione negoziale dell’insolvenza. La giurisprudenza recente di legittimità ha affrontato vari aspetti del concordato alla luce del nuovo Codice. Ad esempio, la Cassazione ha ribadito l’inammissibilità di domande “in bianco” pretestuose e la necessità di completa informazione ai creditori: con sentenza Cass. 30 maggio 2023 n. 15230 si è affermato che il debitore deve fornire ai creditori tutte le informazioni rilevanti (anche su atti straordinari compiuti pre-concordato) per un voto consapevole. Inoltre, in tema di revoca dell’ammissione al concordato, la Cass. 13 aprile 2022 n. 12115 (Sez. I) ha confermato che il tribunale può revocare d’ufficio l’ammissione ex art. 173 l.fall. (ora art. 94 CCII) se emerge che il debitore ha occultato elementi al fine di frodare le ragioni dei creditori. Questi principi, consolidati sotto la vigenza della vecchia legge, restano validi nel nuovo contesto.

Esempio pratico – Concordato preventivo liquidatorio: Alfa S.p.A., azienda manifatturiera insolvente, propone un concordato liquidatorio ai sensi dell’art. 84 CCII. Ha debiti totali per €5 milioni, di cui €3 milioni chirografari e €2 milioni privilegiati (dipendenti, Erario e banche garantite ipotecarie). Il piano prevede la cessazione dell’attività e la vendita dei macchinari e immobili, stimata in €2 milioni, più un apporto di finanza esterna di €500.000 da parte di un investitore. Le risorse complessive (€2,5M) verranno distribuite così: soddisfazione integrale dei creditori privilegiati (€2M) e pagamento del 16,7% ai chirografari (€500k su €3M). Poiché il 16,7% è inferiore al minimo del 20% previsto per i concordati liquidatori, Alfa deve incrementare l’offerta: infatti apporta ulteriori €100k di finanza esterna, così da destinare €600k ai chirografari (pari al 20% esatto). I creditori vengono divisi in due classi (privilegiati e chirografari) e votano: i privilegiati non hanno diritto di voto (per legge, se soddisfatti al 100%), i chirografari approvano con il 75% del credito rappresentato in assemblea. Il tribunale omologa il concordato, ritenendolo più vantaggioso della liquidazione fallimentare. Una volta venduti i beni e distribuite le somme come da piano, Alfa S.p.A. è liberata dal restante 80% dei debiti chirografari falcidiati. I creditori chirografari non possono più esigere alcunché oltre il 20% ricevuto: i loro crediti originari si intendono estinti per la parte eccedente in virtù degli effetti propri del concordato omologato. La società Alfa viene liquidata ma, non essendoci una declaratoria di fallimento, non vi sono conseguenze personali di tipo ablativo per gli amministratori o restrizioni post-fallimentari. I debiti fiscali e contributivi inclusi nel concordato (se del caso ridotti per la parte chirografaria) sono anch’essi definiti dall’omologazione, previo parere dell’ente impositore e purché sia rispettato il trattamento minimo di legge (nel caso specifico, Alfa ha soddisfatto integralmente l’IVA e i contributi, come richiesto dalla normativa tributaria in sede concordataria). Questo esempio mostra come il concordato preventivo possa consentire la chiusura della crisi con un esito soddisfacente per tutti: i creditori ricevono in tempi relativamente brevi il possibile (qui il 20% per gli unsecured, contro uno zero prospettato in caso di fallimento data la prevalenza di crediti privilegiati), e l’imprenditore evita il fallimento, uscendo dal mercato senza debiti residui né infamia legale.

Accordi di ristrutturazione dei debiti

Accanto al concordato preventivo, il CCII contempla gli accordi di ristrutturazione dei debiti (artt. 57-64). Si tratta di accordi stragiudiziali tra il debitore e una parte qualificata dei creditori, soggetti ad omologazione del tribunale. Gli accordi di ristrutturazione erano previsti già dalla L. 3/2012 (per i sovraindebitati) e dall’art. 182-bis l.fall. (per gli imprenditori fallibili): il Codice li unifica e razionalizza.

In sostanza, l’imprenditore in crisi può negoziare con i creditori un accordo che preveda la ristrutturazione (es. dilazione, riduzione, conversione in strumenti finanziari) dei debiti. Se l’accordo ottiene l’adesione di una percentuale di creditori pari ad almeno il 60% del totale dei crediti, esso può essere sottoposto all’omologazione del tribunale. L’omologazione rende l’accordo vincolante anche per i creditori dissenzienti o non aderenti, fermo restando che costoro devono comunque essere integralmente pagati se non partecipano: in base alla legge, i creditori non aderenti nell’accordo di ristrutturazione devono essere soddisfatti integralmente al di fuori dell’accordo, salvo che venga loro proposto il pagamento parziale ma non inferiore al valore di realizzo in ipotesi di liquidazione (viene in pratica applicato un test di convenienza analogo a quello del concordato).

Il CCII ha introdotto alcune varianti specifiche di accordi di ristrutturazione, al fine di recepire la direttiva europea e rendere più flessibile lo strumento:

  • Accordi ad efficacia estesa: in certi casi, se l’accordo raggiunge adesioni qualificati in particolari categorie (ad es. banche e intermediari finanziari che rappresentino il 75% dei crediti finanziari), l’omologazione può estendere gli effetti dell’accordo anche ai creditori finanziari dissenzienti della medesima categoria. Ciò consente di superare opposizioni isolate nel ceto bancario, evitando il fallimento di accordi a causa di singoli istituti dissenzienti.
  • Convenzione di moratoria: l’art. 61 CCII prevede che se almeno il 75% dei creditori di una certa categoria aderisce a un accordo di moratoria (ossia una dilazione dei pagamenti), questa può essere omologata e resa vincolante anche per i non aderenti di quella categoria. Strumento utile, ad esempio, per accordarsi con la maggioranza delle banche sulla proroga dei finanziamenti, vincolando anche le banche non consenzienti.
  • Accordi su crediti tributari e contributivi: il CCII (art. 63) disciplina in dettaglio la possibilità di includere nell’accordo di ristrutturazione anche i debiti fiscali e previdenziali. È necessario acquisire il consenso dell’Agenzia delle Entrate o ente competente alla proposta di trattamento del tributo (che può prevedere dilazioni o stralci di sanzioni/interessi, mentre il capitale IVA non può essere falcidiato, per vincoli europei). In assenza di adesione del Fisco, l’accordo non può incidere su tali crediti, che restano fuori (dovendo essere pagati integralmente). Tuttavia, la normativa incentiva l’adesione degli enti pubblici con termini perentori di risposta e silenzio-assenso in alcuni casi.

Gli accordi di ristrutturazione, essendo basati su un consenso qualificato ma non unanime, rappresentano un punto d’equilibrio tra il concordato (che obbliga tutti ma richiede il voto maggioritario) e la semplice rinegoziazione privata (che richiede l’accordo di tutti i creditori coinvolti). La giurisprudenza ha chiarito che l’omologazione dell’accordo non richiede la verifica della fattibilità economica come nel concordato, dovendosi limitare alla regolarità formale e al rispetto della soglia di adesioni, essendo la convenienza valutata autonomamente dai creditori aderenti. Ad esempio, Cass. civ. Sez. I, 21 dicembre 2017 n. 30629 (relativa alla vecchia legge) aveva affermato che il tribunale non può sindacare nel merito la convenienza dell’accordo, ma solo controllare la idoneità dell’accordo a soddisfare i creditori estranei al livello minimo di legge. Questi principi restano validi nel CCII.

Anche qui, come nel concordato, l’esecuzione dell’accordo omologato comporta la liberazione del debitore dai debiti secondo quanto pattuito. I creditori aderenti accettano infatti una novazione delle loro pretese (es. ricevono pagamenti parziali o tardivi in cambio della rinuncia al restante credito), mentre i creditori estranei, se integralmente pagati fuori dall’accordo, escono comunque soddisfatti. Pertanto, l’accordo di ristrutturazione, una volta adempiuto, porta il debitore fuori dalla crisi senza residui di debiti insoddisfatti (non è richiesto un provvedimento di esdebitazione in senso tecnico, perché non c’è una procedura liquidatoria ma un contratto risolutivo della crisi).

Piano attestato di risanamento

Il piano attestato di risanamento (art. 56 CCII) è uno strumento privatistico puro: consiste in un piano di risanamento aziendale predisposto dall’imprenditore in crisi e asseverato da un professionista indipendente circa la veridicità dei dati aziendali e la ragionevole capacità del piano di risanare l’esposizione debitoria. Questo piano non comporta intervento giudiziario né vincola i creditori dissenzienti: in sostanza, il debitore cerca un accordo con i propri principali creditori per ristrutturare il debito, e l’attestazione serve a dare credibilità al piano. La finalità del legislatore è principalmente in tema di esenzioni da revocatoria fallimentare: i pagamenti e le garanzie concessi in esecuzione di un piano attestato omologato (in realtà non c’è omologazione, basta la data certa del piano) non sono soggetti a revocatoria fallimentare in caso di successivo fallimento (art. 67, co.3, lett. d, l.fall., richiamato ora dagli artt. 56 e 166 CCII). Il piano attestato dunque protegge gli accordi di risanamento volontari, ma non è una procedura concorsuale: non coinvolge tutti i creditori automaticamente, richiede il consenso individuale di quelli con cui si tratta, e non prevede effetti esdebitatori generalizzati (i creditori che non aderiscono mantengono intatti i loro diritti). Per tale ragione, il piano attestato esula dagli scopi principali di questa guida, sebbene rappresenti un utile strumento preventivo per evitare l’insolvenza, da valutare con l’assistenza di professionisti soprattutto quando l’impresa è ancora in stato di crisi reversibile.

Composizione negoziata della crisi e concordato semplificato

Novità assoluta introdotta in Italia a fine 2021 (D.L. 118/2021 conv. in L. 147/2021, ora Titolo II CCII artt. 12-25 quinquies) è la composizione negoziata della crisi. Si tratta di una procedura volontaria e confidenziale nella quale l’imprenditore in situazione di crisi (anche non ancora insolvente) richiede la nomina di un Esperto indipendente incaricato di facilitare le trattative con i creditori e il reperimento di soluzioni idonee al risanamento. La composizione negoziata si svolge su una piattaforma telematica nazionale, è assistita ma non giudiziale (sebbene alcune misure protettive come il blocco delle azioni esecutive possano essere attivate su istanza del debitore, con conferma del tribunale). L’Esperto, nominato dalla camera di commercio, analizza la situazione aziendale e aiuta a individuare possibili accordi (stralci di crediti, nuove finanze, cessioni asset, ecc.). La procedura è volontaria e può essere abbandonata in qualsiasi momento. Se però le trattative hanno esito positivo, possono sfociare in uno dei seguenti esiti:

  • Raggiungimento di un accordo stragiudiziale con alcuni o tutti i creditori (es. accordi bilaterali di ristrutturazione del debito, convenzioni moratorie, aumento di capitale con nuovi soci, ecc.). In tal caso la composizione negoziata termina con successo senza necessità di procedure concorsuali: l’impresa continua e nessun effetto esdebitatorio è richiesto poiché i debiti sono ridefiniti contrattualmente.
  • Accesso a una procedura concorsuale semplificata qualora l’accordo con i creditori non sia stato possibile, ma esista la possibilità di liquidare il patrimonio a beneficio degli stessi. Il legislatore ha infatti introdotto il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio (artt. 25-sexies e 25-septies CCII) come sbocco della composizione negoziata fallita. In parole semplici, se l’imprenditore, con l’assistenza dell’Esperto, non riesce a trovare un accordo ma individua un soggetto interessato ad acquistare l’azienda o beni, può presentare una proposta di concordato liquidatorio semplificato al tribunale senza passare per il voto dei creditori. È una deroga rilevante alle regole del concordato: qui i creditori non votano affatto, la proposta viene valutata solo dal tribunale che omologa se la ritiene conveniente e non fraudolenta, sentiti i creditori. Questo strumento serve per realizzare velocemente offerte emerse nella trattativa, evitando la dispersione del valore. Il concordato semplificato non richiede la soglia minima del 20% ai chirografari, proprio perché concepito come procedura di chiusura di emergenza, altrimenti i creditori rischierebbero ancor meno in un fallimento. Una volta omologato, il liquidatore nominato dal tribunale esegue la vendita e distribuzione ai creditori secondo le regole delle priorità, e la società viene liquidata.

In sintesi, la composizione negoziata è uno strumento di allerta e soluzione stragiudiziale assistita, mentre il concordato semplificato è un paracadute concorsuale per non sprecare le soluzioni individuate. Dal punto di vista dell’esdebitazione, anche nel concordato semplificato valgono le considerazioni fatte per il concordato preventivo: essendo una procedura concordataria, non vi è bisogno di un esdebitazione formale. I creditori vengono soddisfatti in parte con il ricavato, secondo quanto stabilito nell’ordinanza di omologa, e per la quota insoddisfatta non possono agire oltre (effetto esdebitatorio ex lege conseguente all’omologa definitiva del concordato semplificato). Ciò consente anche all’imprenditore, persona fisica, di liberarsi dai debiti residui senza ulteriori formalità, purché abbia destinato ai creditori tutto il ricavato disponibile.

Esempio: un’impresa individuale (non piccola) tenta la composizione negoziata ma non ottiene accordi. Trova però un acquirente per l’azienda disposto a pagare €100.000. I debiti totali sono €500.000. Invece di finire in fallimento, l’imprenditore propone concordato semplificato offrendo ai creditori quel €100.000 (pari al 20%). Il tribunale, verificata l’assenza di soluzioni migliori e la correttezza della procedura negoziata precedente, omologa il concordato semplificato. Il liquidatore incassa i €100.000 dall’acquirente e li distribuisce (ad esempio, tutti vanno a creditori privilegiati che avevano €150.000, questi vengono pagati circa al 66%, i chirografari nulla). La procedura si chiude e l’imprenditore viene liberato dai debiti residui verso tutti i creditori anteriori (anche quelli privilegiati per la parte non soddisfatta): tali crediti diventano inesigibili per effetto dell’omologa concordataria. In caso di persona fisica, non occorre un decreto di esdebitazione separato; in caso di società, questa verrà poi cancellata senza debiti pendenti.

Liquidazione giudiziale (ex “fallimento”)

La liquidazione giudiziale è la procedura concorsuale liquidatoria che ha preso il posto del fallimento tradizionale. È disciplinata dal Titolo V CCII (artt. 121-270) e si applica agli imprenditori commerciali assoggettabili (non piccoli) e alle società insolventi. La liquidazione giudiziale viene aperta con una sentenza del tribunale, su ricorso del debitore stesso (autofallimento), di uno o più creditori o su istanza del Pubblico Ministero (in casi previsti, ad es. insolvenza che coinvolge interessi pubblici, società con irregolarità, ecc.). Presupposto oggettivo è lo stato d’insolvenza (incapacità del debitore di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni, art. 121 CCII), riscontrato dal tribunale. Non è più richiesta la prova di un importo minimo di debito scaduto verso creditori (nella legge fall. era sufficiente qualunque insolvenza conclamata, salvo recenti dibattiti su soglie di non fallibilità). Il CCII ha però inserito, per la prima volta, un limite di importo per la procedura liquidatoria minore (liquidazione controllata): l’art. 268, co.2 CCII richiede almeno €50.000 di debiti scaduti per aprire una liquidazione controllata. Questo si riflette indirettamente anche sui fallimenti, perché se un imprenditore ha debiti molto bassi spesso significa che è di piccole dimensioni e rientra nel sovraindebitamento. In ogni caso, per l’apertura di una liquidazione giudiziale non vi è una soglia di debito esplicita, a differenza della liquidazione controllata.

Una volta dichiarata l’insolvenza con sentenza, il tribunale nomina gli organi della procedura: un Giudice Delegato (magistrato incaricato di vigilare sulla procedura) e un Curatore (soggetto terzo, di regola un commercialista o avvocato iscritto all’albo curatori, che gestisce operativamente la liquidazione). Dalla data della sentenza di liquidazione giudiziale:

  • Il debitore perde la disponibilità e amministrazione dei suoi beni presenti e futuri, che entrano a far parte della massa attiva gestita dal Curatore (art. 142 CCII). Gli atti dispositivi compiuti dal debitore dopo l’apertura sono nulli. Se il debitore è una società, gli amministratori decadono e la rappresentanza passa al Curatore.
  • I creditori non possono più iniziare o proseguire azioni esecutive individuali né cautelari sul patrimonio del debitore (scatta il divieto di azioni esecutive, analogo all’automatic stay statunitense). Eventuali pignoramenti in corso si spengono e confluiscono nella procedura (art. 150 CCII, applicato anche alla liquidazione controllata ex art. 270 co.5 CCII).
  • I crediti verso il debitore vengono cristallizzati alla data di apertura: quelli pecuniari si considerano scaduti e produttivi di interessi solo se privilegiati (i chirografari maturano interessi solo entro il concorso se integralmente pagati, evento raro). I debiti dell’impresa si distinguono in prededucibili (costituiti per effetto della procedura: es. spese di giustizia, compensi del curatore), privilegiati (muniti di prelazioni come pegno, ipoteca o privilegio generale) e chirografari (senza garanzie).

Il Curatore effettua l’inventario, gestisce l’azienda se ancora in esercizio provvisorio (con autorizzazione del tribunale, si può temporaneamente continuare l’attività se utile per la migliore liquidazione, art. 211 CCII), quindi procede alla liquidazione dell’attivo: vendite di beni mobili, immobili, incasso di crediti, eventuale cessione in blocco dell’azienda. Il CCII ha modernizzato le vendite introducendo il portale delle vendite pubbliche e la possibilità di vendere beni anche prima del progetto di riparto se conviene (previa autorizzazione).

Una volta convertito tutto in denaro (o distribuiti beni ai creditori in concordato fallimentare, vedi oltre), il Curatore predispone uno o più piani di riparto: in essi, secondo l’ordine delle cause di prelazione, le somme sono distribuite ai creditori. Si paga prima il credito prededucibile (spese di procedura), poi i privilegiati speciali col ricavato del bene su cui hanno prelazione (es. la banca ipotecaria col ricavato della vendita dell’immobile ipotecato), quindi i privilegiati generali (es. lavoratori, fisco) e infine, se residua attivo, i chirografari in proporzione (par condicio). Frequentemente i chirografari ricevono solo una percentuale minima o nulla.

Durante la procedura, il CCII incoraggia soluzioni concordate: è sempre possibile proporre un concordato nella liquidazione giudiziale (ex concordato fallimentare, art. 240 CCII) ossia un accordo tra debitore (o terzi) e creditori per chiudere anticipatamente la liquidazione, ad esempio offrendo una somma forfettaria. Se i creditori votano a favore (maggioranza come nel concordato preventivo) e il tribunale omologa, la liquidazione giudiziale viene chiusa in anticipo e si procede alla distribuzione concordataria. Questo strumento è utile se un parente o investitore decide di pagare qualcosa per evitare le lungaggini del fallimento e riacquisire l’azienda libera dai debiti.

Chiusura della procedura: La liquidazione giudiziale si chiude con decreto di chiusura del tribunale quando tutto l’attivo è stato liquidato e distribuito, oppure se è stata approvata e eseguita una proposta concordataria, o se risultano pagati integralmente tutti i creditori (caso raro). La chiusura segna anche il destino giuridico del debitore: se è una persona giuridica (società), questa viene cancellata dal registro delle imprese ed estinta. Se è una persona fisica (imprenditore individuale), con la chiusura cessa lo stato di insolvenza ma i debiti non soddisfatti rimangono in linea di principio dovuti, salvo che intervenga il beneficio dell’esdebitazione. Proprio l’esdebitazione del fallito – ora esdebitazione del debitore in liquidazione giudiziale – rappresenta la novità più importante introdotta dal 2006 e confermata dal CCII, che permette all’ex imprenditore di ripartire senza essere perseguitato a vita dai vecchi creditori. Dedicheremo la prossima sezione a questo istituto.

Va segnalato che la liquidazione giudiziale comporta alcune conseguenze personali negative per il debitore persona fisica (che la riforma ha mitigato rispetto al passato): ad esempio, durante la procedura l’ex imprenditore fallito subisce limitazioni come l’incapacità di ricoprire cariche societarie, limitazioni ai diritti politici e personali, ecc., ma queste restrizioni cessano con la chiusura o comunque con l’esdebitazione concessa. Il CCII ha eliminato termini infamanti (non si parla più di “interdetto legale” o di status di “fallito”) e ha ridotto l’impatto personale: l’obiettivo è trattare l’insolvenza come un fatto economico fisiologico, non come una colpa morale. Ad esempio, mentre la vecchia legge prevedeva l’annotazione del nome del fallito nel Registro dei falliti e limitazioni per 5 anni, ora tali misure non sussistono; permane solo l’iscrizione nel registro delle insolvenze consultabile dagli interessati, e la possibilità per il tribunale di disporre la sospensione temporanea dell’esdebitazione se il debitore ha omesso di collaborare.

Durata e costi: La procedura di liquidazione giudiziale può durare diversi anni a seconda della complessità (mediamente 3-5 anni, ma può protrarsi per periodi maggiori se vi sono molte azioni legali da svolgere – es. revocatorie, cause risarcitorie contro amministratori per bancarotta, etc.). I costi della procedura (compensi del curatore, spese legali, perizie) sono pagati in prededuzione e riducono ciò che resta per i creditori. Per questo le riforme puntano a soluzioni concordate più rapide quando possibile.

Esempio pratico – Riparto in liquidazione giudiziale: La ditta individuale Beta viene posta in liquidazione giudiziale. Ha i seguenti debiti: €50.000 di crediti pre-deducibili (spese procedura stimate), €100.000 di crediti privilegiati (dipendenti €30k, fisco €70k) e €200.000 di crediti chirografari (fornitori, banche non garantite). Il curatore liquida i beni di Beta ricavando €120.000 netti. Il piano di riparto finale sarà: Spese prededuzione €50.000 (pagate integralmente), restano €70.000; Privilegiati: i primi a essere pagati sono i lavoratori (€30k) e poi in proporzione il fisco (€70k). Poiché restano €70k, i dipendenti (privilegio di grado superiore) prendono tutti i loro €30k; rimangono €40k da dare al fisco sui €70k di credito – il fisco quindi ottiene circa il 57% del suo credito. Chirografari: nulla, perché l’attivo si esaurisce con i privilegiati. La procedura si chiude così: i creditori chirografari non ricevono niente e in assenza di altro resterebbero liberi di perseguire Beta per il saldo. Tuttavia Beta, essendo persona fisica meritevole, potrà chiedere l’esdebitazione: se concessa, anche quei debiti chirografari (€200k) e la parte residua del debito fiscale (€30k non pagati) diverranno inesigibili definitivamente. Ciò evidenzia l’importanza dell’esdebitazione per dare efficacia liberatoria alla chiusura del fallimento. Senza di essa, Beta sarebbe ancora esposta ai creditori insoddisfatti (ad eccezione del fisco che potrebbe riprendere le azioni esecutive per il 43% rimasto).

Procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento (debitori civili, consumatori e imprese minori)

Passiamo ora alle procedure minori destinate a debitori non assoggettabili a liquidazione giudiziale – in primis i consumatori e le imprese minori/professionisti. Queste procedure, introdotte originariamente con la L. 3/2012, sono confluite nel Codice della Crisi (artt. 65-83 e art. 268-277 CCII) con modifiche sostanziali per semplificarle e renderle più efficaci. Si tratta di procedure concorsuali “lite”, con costi e formalità ridotte rispetto a un fallimento, pensate per risolvere situazioni di sovraindebitamento civile, ossia quel fenomeno per cui individui o piccole imprese si trovano schiacciati dai debiti senza prospettiva di rimborso integrale, ma finora esclusi dai benefici del fallimento (che, paradossalmente, liberava il fallito dai debiti residui tramite esdebitazione). Le tre procedure fondamentali – analoghe a quelle della L.3/2012 ma rinnovate – sono:

  • Ristrutturazione dei debiti del consumatore (artt. 67-73 CCII) – già noto come piano del consumatore. È un procedimento giudiziale avviato su richiesta di un consumatore sovraindebitato che presenta un piano di pagamento parziale e/o dilazionato dei propri debiti, sulla base delle sue risorse economiche attuali e prospettiche. Il piano non richiede il consenso dei creditori: sarà il giudice ad omologarlo, valutata la sua fattibilità e soprattutto la meritevolezza del consumatore (assenza di colpa grave o frode nell’aver contratto i debiti). Questa procedura è riservata solo alle persone fisiche che hanno debiti di natura personale (non professionale/imprenditoriale).
  • Concordato minore (artt. 74-83 CCII) – già accordo di composizione della crisi ex L.3/2012. È l’equivalente di un concordato preventivo ma destinato a debitori non fallibili diversi dal consumatore (quindi imprenditori minori, professionisti, start-up innovative, enti non commerciali e anche i consumatori che eventualmente preferiscano questa via negoziale). Si chiama “minore” perché semplificato: richiede l’adesione dei creditori che rappresentino almeno il 60% dei crediti (maggioranza qualificata analoga agli accordi). A differenza del piano del consumatore, qui i creditori votano (o aderiscono per iscritto) e il giudice omologa solo con il consenso della maggioranza qualificata. È dunque una procedura di natura più negoziale.
  • Liquidazione controllata del sovraindebitato (artt. 268-277 CCII) – già liquidazione dei beni ex L.3/2012. È l’alternativa liquidatoria: i beni del debitore sovraindebitato vengono liquidati sotto il controllo di un Liquidatore nominato dal tribunale (di regola scelto tra i gestori OCC o professionisti iscritti). Si tratta di una procedura concorsuale molto simile al fallimento, ma con formalità ridotte. Può accedervi qualsiasi debitore sovraindebitato (consumatore o non consumatore) su propria richiesta; inoltre anche un creditore o il Pubblico Ministero possono chiederne l’apertura, ma solo nei confronti di un imprenditore minore o altro soggetto non fallibile (non del consumatore: i creditori non possono “far fallire” un consumatore, ma possono provocare la liquidazione di un imprenditore minore inadempiente oltre soglia debiti). La liquidazione controllata richiede che il debitore abbia debiti scaduti per almeno €50.000 (soglia introdotta per evitare micro-liquidazioni antieconomiche). Una volta aperta, si svolge analogamente a una liquidazione giudiziale: si forma un’attivo, si vendono i beni, si distribuisce il ricavato con le prelazioni di legge. Al termine, il debitore persona fisica può ottenere l’esdebitazione dei debiti residui, come vedremo dettagliatamente.

Le procedure di sovraindebitamento sono gestite con l’ausilio degli OCC – Organismi di Composizione della Crisi – istituiti presso gli Ordini professionali o gli enti pubblici. L’OCC mette a disposizione un gestore della crisi (solitamente un professionista esperto) che aiuta il debitore a predisporre il piano o la domanda, svolge le funzioni di controllo e attestazione e, nel caso di liquidazione, può assumere il ruolo di liquidatore o coadiutore. Ciò allevia il carico del tribunale e fornisce competenza tecnica al processo, pur con costi contenuti.

Un elemento trasversale fondamentale è la valutazione della meritevolezza del debitore. La filosofia del sovraindebitamento è concedere il beneficio dell’esdebitazione solo a chi non ha colpe gravi nell’aver contratto i debiti e ha mantenuto un comportamento corretto (ad esempio non ha aggravato dolosamente la propria insolvenza). Nella L.3/2012 il concetto di meritevolezza era espresso per il piano del consumatore (art. 12-bis imponeva di verificare che il sovraindebitamento non fosse dovuto a colpa grave, malafede o frode del consumatore). Con le modifiche del 2020 e l’entrata in vigore del CCII, il parametro è divenuto più oggettivo: ora si guarda alla causa dell’indebitamento. In particolare, art. 69 CCII stabilisce che il piano del consumatore è inammissibile se il debitore ha determinato il proprio sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode. Viene quindi eliminato il previgente criterio soggettivo (“obbligazioni assunte senza ragionevole prospettiva di adempimento”), introducendo un filtro più concreto: esclusione solo in caso di condotte gravemente imprudenti o fraudolente. La Cassazione ha recepito tale cambio di approccio: con Cass. 27 luglio 2023 n. 22890, decidendo su un caso ancora sotto la vecchia legge ma già influenzato dalla novella, ha affermato che la meritevolezza del consumatore va valutata secondo il nuovo art. 69 CCII, cioè guardando alla presenza di colpa grave o frode nella genesi dell’indebitamento, senza spingersi a scrutinare la singola scelta di spesa del debitore. Questo orientamento semplifica la valutazione: ad esempio, un consumatore che abbia accumulato debiti per spese voluttuarie sopra i propri mezzi non sarà automaticamente escluso, a meno che ciò integri colpa grave (spendaccione incosciente) o malafede (sperperio intenzionale). In ogni caso, la giurisprudenza di merito continua a svolgere un ruolo: alcuni tribunali hanno negato l’omologazione a piani di consumatori ritenuti non meritevoli (ad es. chi aveva accumulato debiti di gioco d’azzardo può essere giudicato con colpa grave). Al contrario, sono stati omologati piani di consumatori che, pur avendo fatto scelte finanziarie discutibili, non avevano agito con dolo: si veda ad esempio Tribunale di Pistoia, 29 gennaio 2020 (ante CCII) che omologò il piano di un consumatore rilevando che l’eccessivo ricorso al credito era avvenuto in buona fede, per mantenere un tenore di vita familiare dignitoso, senza volontà di frodare.

Un altro requisito generale per accedere a queste procedure è che il debitore non abbia già ottenuto un’esdebitazione nei 5 anni precedenti (art. 280 CCII per l’esdebitazione post-liquidazione; analogamente, non si può presentare un nuovo piano se se ne è già beneficiato di recente). Ciò per evitare abusi e “bankruptcy shopping”. Inoltre il debitore non deve aver subito sanzioni per frode fiscale o bancarotta negli ultimi anni. Insomma, onestà e unicità del beneficio sono presupposti cardine.

Vediamo ora in dettaglio ciascuna procedura di sovraindebitamento, con esempi pratici.

Ristrutturazione dei debiti del consumatore (Piano del consumatore)

Questa procedura consente al consumatore sovraindebitato (persona fisica non fallibile) di proporre ai propri creditori un piano di rientro sostenibile, al termine del quale i debiti residui verranno cancellati. Il consumatore, assistito dall’OCC, redige un piano che dettaglia: l’elenco dei creditori, le somme dovute, le risorse disponibili (redditi futuri, eventuali beni liquidabili, contributi di terzi) e come intende ripartirle tra i creditori. Non è richiesta l’adesione dei creditori: il piano viene sottoposto direttamente al giudice per l’omologazione, previa verifica di ammissibilità e merito.

Ammissibilità e merito: Il tribunale esamina anzitutto i requisiti formali (es. allegazione documenti obbligatori, attestazione OCC di fattibilità). Poi valuta la fattibilità del piano (che le somme promesse siano realistiche date le entrate del debitore) e soprattutto la condotta del debitore. Come detto, oggi il criterio è: il piano viene omologato solo se il debitore non ha cagionato il sovraindebitamento con dolo o colpa grave, né ha violato il dovere di buona fede (ad es. non deve aver fornito informazioni false o incomplete nell’istanza). Il giudice verifica anche che i creditori ricevano almeno quanto otterrebbero dalla liquidazione (principio di miglior soddisfacimento rispetto all’alternativa liquidatoria). I creditori, sebbene non votino, possono comunque presentare opposizioni per contestare la convenienza o la veridicità dei dati. Tuttavia, il CCII ha limitato le eccezioni dei creditori in malafede: ad esempio i creditori che hanno concorso ad aggravare il sovraindebitamento concedendo credito irresponsabilmente (violando il dovere di valutare il merito creditizio, art. 124-bis TUB) non possono contestare la convenienza del piano (art. 69, ult. co. CCII).

Se il tribunale ritiene soddisfatte le condizioni, omologa il piano del consumatore con sentenza (nel CCII l’omologazione avviene con sentenza, non più con decreto, per allineare la forma al concordato). Da quel momento, il piano è vincolante per tutti i creditori anteriori: le eventuali azioni esecutive individuali pendenti vengono dichiarate improcedibili e i creditori devono attendere i pagamenti previsti nel piano.

Esecuzione del piano: Il debitore, sotto la vigilanza dell’OCC (che funge da gestore, controllore dell’esecuzione), procede a effettuare i pagamenti o altre prestazioni promesse. Ad esempio, può essere prevista la liquidazione volontaria di un immobile con una percentuale ai creditori, oppure versamenti mensili ai creditori per un certo numero di anni attingendo dal reddito disponibile oltre le necessità di sostentamento. Nel CCII si prevede espressamente che sia il debitore a eseguire il piano, con l’OCC che verifica periodicamente l’andamento e riferisce al giudice. Ciò semplifica la procedura, mentre nella L.3/2012 talvolta veniva nominato un liquidatore ad hoc. Al termine, l’OCC redige una relazione finale attestando che il piano è stato adempiuto integralmente. Su questa base, il giudice emette un decreto che certifica l’avvenuto adempimento.

Effetti finali – Esdebitazione: Una volta eseguito correttamente il piano del consumatore, il debitore ottiene il beneficio della liberazione da tutti i debiti residui anteriori non soddisfatti. È la legge stessa (art. 70 CCII e art. 14-terdecies L.3/2012 previgente) a sancire che con l’attestazione di adempimento del piano, “il debitore è esdebitato per i debiti restanti”. In altre parole, l’omologazione e la completa esecuzione del piano producono un effetto esdebitatorio automatico: i creditori non possono più avanzare pretese per la parte di credito eventualmente non pagata nel piano. Non serve una domanda separata di esdebitazione, perché l’effetto è intrinseco alla procedura stessa (l’art. 277 CCII conferma l’inesigibilità dei crediti residui a fine piano consumatore). Ad esempio, se un consumatore aveva €100.000 di debiti chirografari e il piano ne ha soddisfatti €30.000, i rimanenti €70.000 sono cancellati di diritto: il creditore non potrà agire in via esecutiva, quei debiti diventano “inesigibili”. Si noti che ciò vale anche per eventuali debiti erariali o previdenziali inclusi nel piano, purché l’omologazione abbia tenuto conto del parere dell’ente: se il piano, ad esempio, prevedeva uno stralcio di sanzioni e interessi fiscali con pagamento integrale dell’IVA, e l’Agenzia delle Entrate ha accettato o non si è opposta, dopo l’adempimento il contribuente non dovrà più nulla.

Limiti: Ci sono alcune eccezioni: determinati tipi di debiti non vengono comunque cancellati. L’art. 278 CCII esclude dall’esdebitazione finale a) gli obblighi di mantenimento e alimentari (es: assegni di mantenimento a coniuge e figli), b) i debiti da risarcimento danni per fatti illeciti extracontrattuali nonché le sanzioni pecuniarie penali ed amministrative che non siano accessorie a debiti estinti. Ciò significa che, ad esempio, le multe e ammende, le sanzioni amministrative (tipo contravvenzioni stradali) e i debiti per risarcimento da reato doloso non vengono perdonati: essi restano dovuti anche dopo il piano. Tali crediti particolari spesso non rientrano nemmeno nel piano (sono posti fuori concorso), oppure se inclusi i creditori conservano il diritto di perseguire la parte non pagata. Questa limitazione riflette la scelta etica del legislatore: non “perdonare” debiti derivanti da responsabilità personali gravi (mantenimento famiglia, reati).

Esempio pratico – Piano del consumatore: Giulia, consumatrice, ha debiti per complessivi €80.000 verso 6 banche e finanziarie (prestiti personali, carte di credito), contratti per spese familiari e acquisto auto; inoltre ha €5.000 di arretrati di bollette e €8.000 di debiti con l’Agenzia delle Entrate (principalmente imposte sul reddito non pagate). È proprietaria di un’auto modesta e guadagna €1.500 al mese, con cui mantiene sé e un figlio. Calcolato il minimo vitale per sé e figlio (€1.100/mese), Giulia può destinare circa €400 al mese ai creditori. Con l’aiuto dell’OCC, propone un piano in cui si impegna a pagare €400 al mese per 5 anni, per un totale di €24.000, da ripartire proporzionalmente tra i creditori chirografari finanziari e l’Erario. In particolare, offre di soddisfare l’Agenzia delle Entrate per intero sul debito fiscale (€8.000) e distribuire i restanti €16.000 pro quota alle banche (che otterranno circa il 20% dei loro crediti). Le bollette arretrate (fornitore utenze) sono incluse tra i chirografari e riceveranno anch’esse una percentuale. Il piano dunque prevede un pagamento parziale (circa 20%) ai creditori finanziari e il pagamento integrale del fisco (che nella sua parte maggiore consiste in IRPEF; l’IVA, se ci fosse, andrebbe anch’essa integralm. pagata). L’OCC attesta che il piano è fattibile (Giulia ha uno stipendio stabile) e che Giulia è meritevole: dalla relazione risulta che è caduta nel sovraindebitamento perché, dopo il divorzio, ha dovuto affrontare spese impreviste e uno stipendio ridotto in cassa integrazione, ricorrendo a finanziamenti su cui poi non è più riuscita a stare al passo; non vi sono segni di frode o spese voluttuarie smodate. I creditori vengono informati e alcune finanziarie presentano opposizione sostenendo che la percentuale offerta è troppo bassa e che Giulia avrebbe dovuto magari vendere l’auto per aumentarla. Il tribunale, tuttavia, rileva che l’auto è di scarso valore e serve a Giulia per recarsi al lavoro, quindi ritiene comunque conveniente il piano rispetto alla liquidazione (in cui i creditori avrebbero preso forse ancor meno). Inoltre osserva che alcune finanziarie le avevano concesso credito rinnovando prestiti senza verificare realmente la sua solvibilità, contribuendo ad aggravare la sua situazione (principio di creditor responsibility). Dunque il giudice omologa il piano di Giulia nonostante le contestazioni dei creditori (applicando l’art. 69 CCII che esclude i creditori colpevoli di concessione irresponsabile dal contestare la convenienza). Nei 5 anni successivi, Giulia effettua regolarmente i pagamenti mensili sotto controllo OCC. Al termine, versa esattamente €24.000, che sono ripartiti: €8.000 al Fisco (100%) e €16.000 alle finanziarie, le quali in definitiva recuperano il 20% circa di ogni loro credito. L’OCC deposita la relazione finale e il tribunale dichiara compiuto il piano. Effetto: tutti i debiti inclusi nel piano si considerano estinți nella misura convenuta e per la parte non pagata i creditori non hanno più azione: Giulia è esdebitata dai residui ~€64.000 euro non pagati. Le finanziarie dovranno stornare i crediti residui nei propri bilanci e non potranno rivolgersi a Giulia per futuri pagamenti. I debiti per bollette arretrate (es. €5.000, supponiamo ne abbia pagati €1.000 col piano) diventano inesigibili per €4.000 rimanenti. L’unico debito non toccato dall’esdebitazione è un eventuale multa stradale da €200 che Giulia aveva e che non era inclusa nel piano: quello resterà dovuto perché rientra nelle sanzioni amministrative non condonabili. In generale, però, Giulia può ricominciare la sua vita economica con un bilancio pulito, grazie al fresh start ottenuto tramite il piano.

Concordato minore

Il concordato minore è la procedura concorsuale negoziale riservata ai debitori non fallibili diversi dal consumatore. Vi rientrano quindi tipicamente: imprenditori minori commerciali, imprenditori agricoli, professionisti indebitati verso fornitori/banche per la loro attività, start-up innovative non fallibili, eredi di imprenditori defunti per i quali non sia procedibile il fallimento, ed eventualmente anche il consumatore che, avendo pure debiti di natura commerciale marginale, preferisca seguire la via dell’accordo con i creditori (sebbene in genere per il consumatore puro sia più indicato il piano dedicato).

La logica del concordato minore è analoga a un piccolo concordato preventivo, con la differenza che qui la votazione (o adesione) è necessaria: il debitore deve assicurarsi il consenso di una percentuale significativa di creditori. Il CCII richiede l’adesione di creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti (in linea col previgente 60% dell’accordo ex L.3/2012). Non c’è una votazione formale in adunanza (la legge non disciplina dettagliatamente classi o maggioranze per teste), ma il debitore raccoglie consensi per iscritto o per silent assent. La proposta può consistere in qualsiasi forma di ristrutturazione: pagamento parziale dilazionato, ristrutturazione dell’azienda, continuità o liquidazione. Anche qui, se si tratta di concordato liquidatorio minore, i creditori chirografari dovrebbero ricevere una certa percentuale minima per essere appetibile (non c’è però una soglia fissa del 20% esplicita nel testo per il concordato minore; tuttavia, la giurisprudenza di merito tende a rifarsi per analogia a criteri di ragionevolezza simili al concordato preventivo).

Procedimento: Il debitore presenta ricorso al tribunale con il piano e la proposta. Viene nominato un gestore dall’OCC che svolge funzioni simili al Commissario (verifica l’elenco creditori, relaziona sulla proposta). Il tribunale concede le eventuali misure protettive (blocco delle azioni esecutive) come richiesto. Quindi i creditori vengono informati e invitati ad esprimersi. Nel concordato minore non è obbligatoria una adunanza unica, spesso le adesioni vengono raccolte individualmente. Se il 60% in valore dei crediti aderisce, il tribunale passa all’omologazione. Se non si raggiunge la soglia, la proposta è dichiarata respinta.

I creditori dissenzienti o non partecipanti, una volta omologato l’accordo, sono comunque vincolati, purché il piano preveda per essi una soddisfazione non inferiore all’alternativa liquidatoria (principio di best interest of creditors). Il giudice nell’omologa verifica: (a) regolarità formale del consenso (raggiunto il 60%, informazione corretta), (b) fattibilità del piano, (c) che non vi siano creditori trattati in maniera deteriore rispetto alla liquidazione (con particolare riguardo ai crediti privilegiati: se un privilegiato non aderisce, deve essere pagato integralmente o almeno quanto riceverebbe sul ricavato del bene in caso di liquidazione controllata).

La meritevolezza del debitore è valutata anche qui, sebbene con minore enfasi che nel piano del consumatore: se emergono frodi o dolo, i creditori difficilmente aderirebbero. In più, l’art. 75 CCII prevede espressamente che il concordato minore è inammissibile se il debitore ha commesso atti diretti a frodare le ragioni dei creditori (es. distratto beni). Dunque, pure qui niente concordato per debitori in malafede.

Effetti: Con l’omologazione, il concordato minore diviene vincolante per tutti i creditori anteriori. Il debitore esegue il piano sotto la sorveglianza dell’OCC/gestore. L’esecuzione potrà prevedere vendite di beni (in tal caso sarà nominato un liquidatore o interverrà direttamente il gestore) oppure pagamento graduale con redditi futuri. Se il debitore adempie a tutte le obbligazioni come da accordo omologato, si libera definitivamente dei debiti pregressi. Come per le altre procedure concordatarie, i creditori concorsuali possono solo pretendere quanto stabilito dal piano e null’altro, mentre la parte eccedente dei loro crediti resta inesigibile. Formalmente si parla di effetti esdebitatori del concordato minore: la legge non richiede un decreto di esdebitazione, poiché l’accordo stesso risolve la posizione debitoria.

Se invece il concordato minore non viene adempiuto (inadempimento qualificato), i creditori riacquistano la possibilità di agire per l’intero originario, oppure – su istanza di un creditore o d’ufficio – il tribunale può aprire una liquidazione controllata. Infatti, l’art. 80 CCII prevede che in caso di risoluzione del concordato minore per inadempimento, su richiesta il tribunale dichiara aperta la liquidazione controllata (salvo il debitore depositi un nuovo piano alternativo). Questo è un forte incentivo a rispettare gli impegni del piano, pena la perdita del beneficio e la possibile liquidazione coattiva del patrimonio.

Esempio pratico – Concordato minore di un professionista: Studio Alfa, piccolo studio di design (ditta individuale, quindi imprenditore minore) ha debiti per €120.000: €20k verso dipendenti (TFR e stipendi arretrati, privilegiati), €30k verso l’Erario (IVA e imposte, privilegiati), €70k verso fornitori e banche (chirografari). Lo Studio ha subito un calo di commesse e non riesce a pagare tutto, ma è ancora in attività. Presenta un concordato minore in continuità: propone di pagare integralmente i dipendenti e l’IVA (obbligatorio per legge), e di pagare il 40% a tutti gli altri creditori nell’arco di 4 anni, attingendo dai futuri ricavi dell’attività (prevede di generare utili annuali da destinare in parte ai creditori). I creditori vengono divisi in classi o gruppi per facilitare il calcolo delle maggioranze (non obbligatorio, ma l’OCC suggerisce di separarli: dipendenti, Erario, chirografari). La proposta ovviamente paga 100% ai dipendenti e IVA, e 40% al restante. I dipendenti e l’Agenzia delle Entrate sono favorevoli (tanto prenderebbero comunque in liquidazione forse meno per IRPEF etc.), e anche le banche e fornitori, dopo incontri mediati dall’OCC, aderiscono in larga parte: in totale l’85% dei crediti approva l’accordo. Raggiunto e superato il quorum del 60%, il tribunale omologa il concordato minore. Lo Studio Alfa quindi continua l’attività: ogni anno versa parte degli utili su un conto controllato dall’OCC e li distribuisce pro quota ai creditori secondo il piano. Dopo 4 anni, tutti i pagamenti concordati (40% ai chirografari, 100% ai privilegiati) sono stati effettuati. Il tribunale dichiara risolto positivamente il concordato e il titolare dello Studio è libero dai debiti originari: il residuo 60% dei crediti chirografari è cancellato, e l’Erario rinuncia a sanzioni e interessi eventualmente falciati nel piano. Se invece Alfa non fosse riuscito a pagare, poniamo, l’ultima rata causando un adempimento solo parziale (ad es. ha pagato solo il 30% invece del 40%), i creditori avrebbero potuto chiedere la risoluzione e liquidazione controllata coattiva: in quel caso, l’esdebitazione finale non sarebbe garantita e dipenderebbe da un successivo decreto (vedi oltre).

Liquidazione controllata del sovraindebitato

La liquidazione controllata è la procedura “fallimentare” in miniatura per i debitori civili e le piccole imprese. Interviene quando non è praticabile o non è riuscita una soluzione concordataria, oppure su richiesta volontaria del debitore che voglia mettere a disposizione tutto il suo patrimonio ai creditori per chiudere i conti. Può accedere alla liquidazione controllata qualsiasi debitore sovraindebitato, sia persona fisica sia giuridica non fallibile. I più comuni casi: consumatore che non è in grado di proporre un piano sostenibile, imprenditore minore insolvente con creditori non collaborativi, soggetto il cui concordato minore è decaduto o non approvato, ecc. La liquidazione può essere richiesta anche da un creditore o dal Pubblico Ministero ma solo contro imprenditori minori e simili (non contro un consumatore). Ciò avviene ad esempio quando un creditore vede vanificati i tentativi di recupero individuale e preferisce un concorso ordinato (ricorrendo ex art. 270 CCII): deve provare lo stato d’insolvenza e il superamento della soglia minima di €50.000 di debiti scaduti.

Apertura: Il tribunale, verificati i presupposti, dichiara aperta la liquidazione controllata con decreto (non sentenza, ma efficacia analoga). Contestaulmente nomina un Giudice Delegato e un Liquidatore (spesso il gestore OCC già designato). Da quel momento, valgono effetti simili alla liquidazione giudiziale: il debitore perde la disponibilità dei beni, che vengono gestiti dal Liquidatore; i creditori non possono iniziare o proseguire azioni esecutive individuali (viene richiamato l’art. 150 CCII sul divieto di azioni, ex art. 270 co.5 CCII). Il Liquidatore redige l’inventario, con l’ausilio se necessario del debitore (che è obbligato a collaborare). Si applicano, per quanto compatibili, le norme del “fallimento”: ad esempio, il liquidatore può esercitare azioni revocatorie per recuperare pagamenti preferenziali antecedenti, e può insinuarsi nei giudizi pendenti del debitore. Il debitore persona fisica ha diritto di mantenere i beni necessari al sostentamento (piccola somma mensile, beni di prima necessità), analogamente all’esdebitazione fallimentare dove si escludono i beni impignorabili.

Liquidazione dell’attivo: Il Liquidatore procede a liquidare i beni: vendite all’asta o tramite procedure competitive semplificate. Egli forma quindi uno stato passivo (elenco crediti) con l’aiuto dell’OCC, da sottoporre al giudice per l’esame delle eventuali contestazioni (il procedimento è più snello che nel fallimento: spesso i crediti si desumono dall’elenco fornito dal debitore ed eventuali riscontri documentali). Fatte le liquidazioni, predispone uno o più progetti di riparto e distribuisce le somme secondo le cause di prelazione. Ad esempio, se il debitore aveva una casa ipotecata, la banca ipotecaria avrà prelazione sul ricavato di vendita; i crediti privilegiati (stipendi, erario) avranno prelazione sulle somme generali; i chirografari prenderanno solo l’eventuale eccedenza proporzionalmente. Tutto analogamente a un fallimento, ma con importi minori e meno formalità.

Chiusura: Una volta esaurito l’attivo, il Liquidatore presenta il rendiconto finale e il giudice dichiara chiusa la liquidazione controllata. Se il debitore è una società o ente, ne consegue l’estinzione come nel fallimento; se è persona fisica, rimangono i debiti insoddisfatti ma – ecco il punto cruciale – il debitore può chiedere l’esdebitazione. Nel CCII, per favorire il fresh start, è stato previsto che il tribunale si pronunci sull’esdebitazione anche d’ufficio a chiusura della liquidazione controllata (art. 282, co.2 CCII). Questo significa che il debitore persona fisica non deve necessariamente fare domanda: il giudice valuta il profilo del debitore e, se ricorrono i requisiti, emette il provvedimento che concede l’esdebitazione (o lo nega) contestualmente alla chiusura della procedura. Tale innovazione evita dimenticanze e ritardi.

I requisiti per l’esdebitazione sono analoghi a quelli già visti per il fallimento: il debitore deve essere stato cooperativo e onesto durante la procedura. In particolare, l’art. 280 CCII (che vedremo in seguito) richiede: assenza di condanne per reati fallimentari o simili, nessun atto in frode ai creditori scoperto, piena collaborazione con gli organi della procedura, e di non aver già usufruito di esdebitazione nei 5 anni precedenti. Importante, il CCII ha eliminato il vecchio requisito oggettivo del “pagamento parziale dei creditori”. Prima, infatti, l’art. 142 l.fall. escludeva l’esdebitazione se i creditori chirografari non avessero ricevuto “neppure in parte” soddisfazione, portando talvolta a negare il beneficio nei fallimenti con attivo zero. Oggi non è più richiesto alcun pagamento minimo. Un debitore meritevole può essere esdebitato anche se i creditori non hanno preso nulla, purché quell’esito non dipenda da sua frode. La Cassazione già in passato aveva orientato verso un’interpretazione flessibile (es. Cass. 9 ottobre 2024 n. 26303 ha concesso l’esdebitazione a un fallito che aveva pagato solo il 4% ai creditori, definendo tale quota “tutt’altro che irrisoria” e sufficiente). Ora il legislatore ha fatto propria tale impostazione abolendo la soglia minima di soddisfacimento. Dunque anche nella liquidazione controllata, un debitore persona fisica onesto può ottenere l’esdebitazione integrale dei debiti residui indipendentemente da quanto è stato ricavato per i creditori.

Sul punto, uno scenario frequente: nelle liquidazioni controllate di consumatori o piccoli imprenditori spesso i creditori chirografari ricevono percentuali basse (poche decine di punti percentuali o zero). Ebbene, il CCII consente di esdebitare il debitore anche se hanno preso zero – di fatto equiparando la posizione del debitore minore a quella di un fallito incapiente. Anzi, è prevista una forma di esdebitazione ancora più radicale per chi proprio non aveva nulla da offrire: l’esdebitazione del debitore incapiente, trattata nel prossimo paragrafo.

Quanto alle eccezioni di esdebitazione, valgono le stesse esclusioni di crediti viste prima (alimentari, risarcimenti da illecito, multe restano esclusi). Inoltre, se emergono dopo la chiusura prove di frode, l’esdebitazione può essere revocata. Il CCII, stranamente, non disciplina esplicitamente la revoca del beneficio in caso di frodi scoperte postume, mentre la vecchia legge (art. 143 l.fall.) la prevedeva entro l’anno dall’accertamento del dolo. Dottrina e giurisprudenza auspicano un intervento correttivo per ammettere la revoca de iure condendo, comunque il buon senso e principi generali suggeriscono che se si scopre che il debitore aveva nascosto beni o falsificato documenti, la Procura possa impugnare la concessione del beneficio per ottenere la revoca, anche oltre i termini (qualche tribunale ha sollevato dubbi di costituzionalità in difetto di revocabilità). In attesa di chiarimenti normativi, la vigilanza rigorosa in sede di procedura è fondamentale per prevenire abusi.

Esempio pratico – Liquidazione controllata di un consumatore: Mario, ex artigiano in pensione, ha debiti personali per €60.000 (prestiti e carte di credito) e non possiede immobili, solo un vecchio veicolo e pochi risparmi. Non ha entrate oltre la pensione minima. Non potendo proporre alcun piano di ristrutturazione (nessuna capacità di pagare rate), Mario ricorre alla liquidazione controllata offrendo quel poco di patrimonio che ha: un’auto che verrà venduta per €3.000 e €2.000 sul conto corrente. Il tribunale apre la procedura (verificato che i debiti scaduti superano €50k) e nomina un liquidatore. L’auto viene venduta, il totale ricavato dalla liquidazione è diciamo €4.500 al netto delle spese. I creditori insinuati, tutti chirografari, ricevono un riparto pari a circa il 7,5% dei loro crediti (4.500 su 60.000). La procedura si chiude. Mario è stato collaborativo (ha consegnato l’auto e i documenti, non ha nascosto nulla) e non risultano atti in frode né condanne. Esdebitazione: Il tribunale, d’ufficio, esamina la sua condotta e concede l’esdebitazione a Mario, malgrado i creditori abbiano recuperato solo il 7.5%. In base all’art. 280 CCII, la limitata soddisfazione non è ostativa. Di conseguenza, il residuo credito ~€55.500 di ogni creditore diviene inesigibile verso Mario. Egli è ora libero dai debiti pregressi. I creditori non potranno perseguitarlo ulteriormente (eventuali pignoramenti pensione cessano). Questo gli permette di vivere la pensione senza l’angoscia di un debito perenne, realizzando il principio sociale del fresh start anche per chi, come lui, ha perso tutto. Qualora però emergesse, entro l’anno seguente, che Mario aveva ad esempio un conto nascosto all’estero con dei fondi, i creditori (o il curatore) potrebbero richiedere la revoca del beneficio, secondo i principi già applicati con la legge fallimentare, anche se il CCII sul punto tace.

Nel prossimo capitolo analizzeremo più approfonditamente il funzionamento dell’esdebitazione nel Codice della Crisi, distinguendo la fattispecie generale (post liquidazione giudiziale o controllata) dalla particolare esdebitazione “a zero” del debitore incapiente.

L’esdebitazione: liberazione dai debiti residui e “fresh start”

L’esdebitazione è l’istituto che consente al debitore persona fisica di ottenere la cancellazione dei debiti non pagati nell’ambito di una procedura concorsuale liquidatoria. Rappresenta, in senso stretto, un beneficio giudiziale post-procedura: un provvedimento del tribunale che dichiara inesigibili verso il debitore tutti i crediti concorsuali rimasti insoddisfatti. Introdotta per la prima volta nella legge fallimentare nel 2006, l’esdebitazione risponde all’esigenza di dare al fallito onesto la possibilità di ricominciare (fresh start), senza restare oppresso per tutta la vita da debiti impagabili. Oggi il CCII la disciplina in modo esteso agli ex falliti (liquidazione giudiziale) e agli ex sovraindebitati (liquidazione controllata), oltre a prevedere una forma speciale per i debitori totalmente incapienti.

È utile distinguere due concetti:

  • Effetti esdebitatori automatici: come abbiamo visto, alcune procedure concorsuali hanno insita la liberazione del debitore dai debiti residui senza bisogno di un provvedimento ad hoc. Ciò avviene in tutte le procedure concordatarie e di accordo omologato: concordato preventivo (in cui l’adempimento del piano estingue i debiti falcidiati), concordato semplificato, accordo di ristrutturazione, piano del consumatore, concordato minore. In questi casi, la liberazione è sinallagmatica: deriva dall’esecuzione dell’accordo accettato dai creditori o imposto dal giudice, che comporta la soddisfazione parziale dei crediti e la definitiva inesigibilità del resto. Non serve un’istanza del debitore né un giudizio ulteriore: una volta completata la procedura con successo, i creditori non possono più avanzare pretese ulteriori (il tribunale spesso emette un decreto di “attestazione di avvenuto adempimento” ma non è un atto discrezionale, è solo ricognitivo). Possiamo chiamare questi effetti esdebitatori di diritto legati al completamento di un piano concordato.
  • Esdebitazione in senso stretto: è invece l’istituto che opera a posteriori di una liquidazione concorsuale, concessa con provvedimento giudiziale su istanza del debitore (o d’ufficio come innovato dal CCII). Si ha dunque a valle di una liquidazione giudiziale o liquidazione controllata, in cui il patrimonio del debitore è stato esaurito e restano debiti non pagati. Qui i creditori non hanno prestato consenso a rinunciare al loro credito residuo (anzi, di solito si sono soddisfatti parzialmente e basta), dunque occorre una decisione dell’autorità che li privi del diritto di rincorrere il debitore per il saldo. Questa decisione è l’esdebitazione in senso proprio, che si traduce tipicamente in un decreto del Tribunale che concede il beneficio al debitore ricorrente, constatato che ne ricorrono i requisiti di legge, e contestualmente fa divieto ai creditori concorsuali di iniziare o proseguire azioni di recupero per quei debiti (divenuti inesigibili).

Nel CCII la disciplina dell’esdebitazione si trova agli artt. 278-283. In particolare, gli artt. 278-281 CCII regolano le condizioni e il procedimento di esdebitazione nelle liquidazioni giudiziali e controllate (Sezione I), mentre gli artt. 282-283 CCII contengono disposizioni particolari sull’esdebitazione del sovraindebitato (Sezione II) – includendo l’innovativa figura del debitore incapiente. Vediamone gli elementi essenziali.

Esdebitazione ordinaria post-liquidazione (artt. 278-281 CCII)

Questa è l’esdebitazione “classica”, applicabile al debitore persona fisica (imprenditore individuale o consumatore/professionista) che sia stato sottoposto a liquidazione giudiziale o liquidazione controllata. Ricordiamo che per le persone giuridiche (società) l’esdebitazione non serve: la società si estingue e i debiti insoddisfatti non sono più azionabili verso alcuno (salvo responsabilità personali di garanti o amministratori). Dunque l’istituto vale solo per i debitori civili e imprenditori individuali.

Condizioni soggettive: Il fulcro sono i requisiti di meritevolezza e condotta corretta. L’art. 280 CCII elenca le cause per cui “il beneficio non può essere accordato”. Il debitore non deve:

  1. Aver sottratto o nascosto parte dell’attivo o esposto passività insussistenti (atti in frode ai creditori). Questa condotta, se scoperta, comporta anche il reato di bancarotta fraudolenta per l’imprenditore fallito. È una causa tipica di esclusione: chi ha frodato scientemente i creditori non merita l’esdebitazione.
  2. Aver omesso di collaborare o fornito informazioni false durante la procedura. La legge esige che il debitore abbia tenuto un comportamento trasparente e cooperativo con Curatore/Liquidatore e organi della procedura. Ad esempio, se ha rifiutato di consegnare documenti o non si è presentato per l’inventario, può essere penalizzato.
  3. Aver riportato condanne definitive per una serie di reati di natura tributaria o economica (ad es. delitti di bancarotta, riciclaggio, reati fiscali rilevanti). In particolare, se il debitore è condannato per bancarotta fraudolenta o altri reati contro il patrimonio, la legge esclude di concedergli la liberazione dei debiti, poiché ciò contrasterebbe col carattere punitivo di tali sanzioni. (Va detto che eventuali sanzioni pecuniarie penali sono comunque non cancellabili ex art. 278 come credito; ma qui si parla proprio di condanna penale come indicatore di indegnità generale).
  4. Aver già beneficiato di esdebitazione nei 5 anni precedenti (nel vecchio art.142 l.fall. era 10 anni). Il CCII riduce a 5 anni l’intervallo: trascorso tale termine, teoricamente sarebbe possibile chiedere un secondo fresh start, ma di fatto è raro. Certamente non è ammessa la “serial insolvency” in tempi ravvicinati.
  5. Aver fatto ricorso abusivo all’istituto. Questa è una clausola di chiusura: se emergono elementi di abuso del diritto – ad esempio, se uno orchestrasse un indebitamento doloso per poi farsi esdebitare – il beneficio può essere negato. La Cassazione ha raccomandato di tipizzare i comportamenti di abuso per evitare arbitri, ma in mancanza di dettagli nel CCII, si rimette al prudente apprezzamento del giudice.

Rispetto al passato, non è più necessario dimostrare che i creditori siano stati parzialmente soddisfatti. L’art. 280, co.1 CCII infatti non riproduce la vecchia clausola del pagamento parziale come condizione. Al contrario, prevede esplicitamente che “il beneficio può essere concesso anche se i creditori non sono stati soddisfatti in alcuna misura”, purché tutte le cause ostative sopra elencate siano escluse. Questo cambio di rotta epocale risponde a un’esigenza sociale: dare speranza anche ai debitori più sfortunati (come spesso i consumatori sovraindebitati) i cui patrimoni sono nulli. La Corte di Cassazione aveva anticipato questo trend con pronunce come la n. 27562/2024, sottolineando che la scarsa consistenza del patrimonio del fallito non deve privarlo del beneficio. Ora è legge.

Procedimento: Nella liquidazione giudiziale, il debitore (fallito) doveva presentare istanza di esdebitazione entro 1 anno dalla chiusura. Il CCII ha innovato imponendo al tribunale di decidere d’ufficio sull’esdebitazione all’atto di chiudere la procedura, senza attendere impulso del debitore. In pratica, decorsi 3 anni dall’apertura di una liquidazione controllata, il giudice deve esaminare la posizione (per evitare procedure eterne senza sbocco), e comunque al momento della chiusura di qualsiasi liquidazione concorsuale (giudiziale o controllata) il giudice si pronuncia sul rilascio del beneficio. Il debitore può ovviamente depositare una memoria per chiedere espressamente l’esdebitazione e documentare il suo comportamento virtuoso. Se il tribunale ravvisa i presupposti, emette decreto di esdebitazione, notificato a tutti i creditori. Essi, entro 30 giorni, possono proporre opposizione (reclamo) se ritengono che il debitore non meritasse il beneficio (ad es. scoprono elementi di frode non valutati). L’opposizione è decisa dalla Corte d’Appello. Se nessuno reclama, o se l’opposizione è rigettata, il provvedimento diviene definitivo.

Effetti dell’esdebitazione ordinaria: Tutti i debiti concorsuali residui si considerano inesigibili nei confronti del debitore esdebitato (art. 278 CCII). In termini pratici, ciò significa che i creditori chirografari e privilegiati per la parte non soddisfatta non possono più né agire giudizialmente, né iscrivere ipoteche, né continuare pignoramenti sui beni futuri del debitore. Il debito non viene tecnicamente estinto (rimane verso eventuali coobbligati e garanti, che non beneficiano dell’esdebitazione altrui), ma diviene “cancellato” quanto alla persona esdebitata. Il debitore riacquista la piena capacità patrimoniale libera. Se in futuro eredita un bene o aumenta il suo reddito, quei vecchi creditori non potranno rifarsi su tali nuove ricchezze. Ciò chiude il doloroso capitolo dell’insolvenza e consente al soggetto di reinserirsi nell’economia legale, chiedere nuovi finanziamenti, avviare nuove attività senza la zavorra dei debiti passati.

Come già ricordato, però, non tutti i debiti sono coperti. Restano dovuti (art. 278 CCII):

  • Gli obblighi di mantenimento e alimentari (es.: assegni di mantenimento a ex coniuge o figli, obblighi alimentari verso familiari ex art. 433 c.c.).
  • I debiti da risarcimento danni causati da fatti illeciti extracontrattuali (specialmente se derivanti da dolo o colpa grave del debitore: es. investe qualcuno e deve risarcirlo, quel debito non viene esdebitato).
  • Le sanzioni pecuniarie penali o amministrative non accessorie a obblighi estinti. Ciò include le multe stradali, sanzioni per violazioni amministrative (es. sanzioni Antitrust), ammende penali, etc. Queste restano esigibili dalla P.A. Anche sanzioni tributarie? Sì, le sanzioni tributarie in teoria rientrano tra sanzioni amministrative, quindi non dovrebbero essere cancellate (mentre l’imposta in sé può essere esdebitata se non soddisfatta, salvo l’IVA per cui comunque se non pagata integra reato penale… ma tipicamente se c’era IVA il fallito di solito non ottiene esdebitazione se ha omesso volontariamente di pagarla configurando reato; caso complesso).

Queste eccezioni tutelano crediti ritenuti “sensibili” dal legislatore, o per il loro fondamento etico (mantenimento familiare) o punitivo (risarcimenti, multe). Dunque, ad esempio, un esdebitato post-fallimento dovrà ancora pagare eventuali alimenti arretrati all’ex moglie o eventuali multe per reati. Ma tutto il resto – fornitori, banche, privati – svanisce.

Caso di giurisprudenza: Cassazione civile, 9 ottobre 2019 n. 25458 confermò la concessione dell’esdebitazione a un imprenditore nonostante un creditore avesse obiettato che il debitore, prima di fallire, aveva pagato preferenzialmente alcuni creditori invece di altri (forse un atto in pregiudizio). La Suprema Corte ribadì che se tali atti non integrano frode rilevante (specie se non c’è condanna penale), l’esdebitazione va accordata purché gli altri requisiti siano presenti. Cass. 7 dicembre 2016 n. 25165 invece negò l’esdebitazione a un debitore che aveva distratto attivo rendendo nulla la massa disponibile: atto di frode palese, causa ostativa insuperabile.

Revoca postuma: Come già accennato, sotto il vecchio regime l’esdebitazione poteva essere revocata dal tribunale se entro l’anno si scopriva che il debitore aveva dolosamente nascosto beni o commesso frodi negli ultimi 5 anni. Il CCII non contiene norma analoga, il che ha suscitato perplessità. Probabilmente è stata un’omissione: la ratio potrebbe essere che, grazie al nuovo regime d’ufficio, i controlli saranno fatti a monte. Tuttavia, la dottrina suggerisce che un’interpretazione costituzionalmente orientata consenta comunque la revoca in casi di fraus in procedendo scoperta tardivamente, per evitare esiti manifestamente ingiusti (un debitore che ottenga l’esdebitazione mentendo in giudizio, violerebbe l’art. 2 Cost. sull’adempimento dei doveri di solidarietà tributaria, come osservato in dottrina). Nell’attesa di modifiche legislative, è prudente per i creditori vigilare e, se scoprono elementi, proporre reclamo tempestivo o querela di falso.

Esdebitazione del debitore incapiente (art. 283 CCII)

Tra le innovazioni più significative del Codice c’è la previsione di una forma di esdebitazione anche in assenza di alcuna utilità per i creditori, destinata al debitore persona fisica meritevole ma privo di beni o redditi. L’art. 283 CCII disciplina l’esdebitazione del debitore incapiente, nota anche come esdebitazione “a zero” o “esdebitazione di diritto” in alcune rubriche. Questo istituto, introdotto in recepimento delle indicazioni europee sulla second chance, mira a risolvere il problema di quei debitori civili totalmente insolventi che, non avendo nulla da offrire ai creditori, restavano intrappolati nei debiti per tutta la vita perché non potevano accedere ad alcun piano né ottenere l’esdebitazione (che prima richiedeva almeno la formalità di una liquidazione con un qualche ricavato).

Chi può accedere: Può beneficiarne il debitore persona fisica che “non è in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, diretta o indiretta, nemmeno in prospettiva futura”. In sostanza un debitore nullatenente e senza redditi disponibili. Tipicamente: disoccupati, pensionati al minimo, soggetti con solo beni impignorabili. Deve trattarsi di soggetti comunque “meritevoli”, ossia che siano insolventi per cause indipendenti dalla loro mala fede o grave negligenza (lo stesso articolo stabilisce come condizione negativa l’aver causato il sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode, riprendendo il criterio di meritevolezza già discusso). Inoltre il debitore incapiente non deve aver già ottenuto esdebitazione in passato (è un beneficio concedibile una tantum, “per una volta sola”). In breve: debitore onesto, disperato economicamente, e alla prima chance di fresh start.

Procedura: A differenza dell’esdebitazione ordinaria, qui non è necessario aver svolto una procedura concorsuale liquidatoria. Il debitore incapiente può presentare istanza direttamente al tribunale competente per la composizione della crisi (lo stesso delle procedure di sovraindebitamento) chiedendo l’esdebitazione dei propri debiti senza attivo. Questa istanza si configura come un procedimento autonomo, che l’art. 283 colloca dopo le norme sulla liquidazione controllata, ma può avvenire anche al di fuori di essa. Anzi, l’incapiente non deve aver attivo sufficiente per attivare una liquidazione controllata se non in via eccezionale: infatti, dottrina e primi orientamenti ritengono che l’accesso all’art. 283 sia possibile anche in costanza di una liquidazione controllata, ma solo in casi particolari (il Tribunale di Ferrara, 10 marzo 2025, ha chiarito che se durante la liquidazione controllata appare che il debitore è assolutamente incapiente e la procedura stessa sarebbe antieconomica, si può valutare l’istanza di esdebitazione a zero per chiuderla).

Il tribunale valuta l’istanza, sente eventualmente i creditori (che possono comparire per segnalare se per caso il debitore ha risorse occulte, ecc.), e se accerta i requisiti, emette decreto di esdebitazione del debitore incapiente. Nel decreto dichiara inesigibili tutti i debiti anteriori alla domanda. Si tratta quindi di un provvedimento ablatorio dei diritti di credito senza contropartita per i creditori – atto giustificato dalla volontà legislativa di evitare l’“insolvenza perpetua” di soggetti che altrimenti sarebbero condannati alla marginalità economica.

Obbligo quadriennale di pagamento delle sopravvenienze: Anche se l’incapiente è liberato subito senza pagare nulla, l’art. 283 prevede una clausola di salvaguardia per i creditori: se nei 4 anni successivi al decreto sopravvengono utilità rilevanti nel patrimonio del debitore, allora permane l’obbligo di pagare i creditori utilizzando tali utilità, fino a concorrenza di un 10% dei debiti originari. In pratica: se il debitore “fortunato” vince alla lotteria, riceve un’eredità sostanziosa, oppure comincia a guadagnare molto di più, entro i 4 anni dovrà destinare quella ricchezza inattesa a soddisfare almeno in parte i vecchi creditori, fino al 10% del loro credito (soglia oltre la quale, se li può pagare così tanto, verrebbe da dire che non era poi incapiente…). Se invece le sopravvenienze non raggiungono il 10% globale dei debiti, il debitore non è tenuto a nulla (la norma parla di utilità che consentano il soddisfacimento non inferiore al 10% complessivo). Sono escluse da questa definizione le utilità già dovute al debitore per legge a titolo di indennizzo etc., come ad esempio eventuali somme ricevute per risarcimento di un danno alla persona, crediti futuri già prevedibili come TFR, finanziamenti ottenuti per attività future, ecc. (il comma specifica che non si considerano utilità sopravvenute i finanziamenti ottenuti post esdebitazione, proprio per non disincentivare le banche a finanziare l’esdebitato).

Per garantire ciò, il debitore deve presentare annualmente per 4 anni una dichiarazione sulle eventuali sopravvenienze (es. indicando se ha ricevuto eredità, vincite, aumenti di reddito), e l’OCC vigila sul rispetto di questo obbligo. La mancata presentazione della dichiarazione annuale costituisce causa di revoca dell’esdebitazione incapiente. Dunque, se il debitore non collabora e non dichiara le sopravvenienze, può perdere il beneficio.

Anche qui, per condotta fraudolenta successiva (nasconde utilità sopravvenute) è prevista la revoca o sanzioni: benché l’art. 283 non menzioni esplicitamente la revoca per frode (diversamente dall’omissione di dichiarazione), va da sé che se entro i 4 anni si scopre che il debitore aveva vinto 100mila euro e non l’ha comunicato né pagato i creditori al 10%, il tribunale potrà sentire le parti e revocare l’esdebitazione su istanza dei creditori, ripristinando i debiti originari.

Effetti e limiti: L’effetto del decreto è, come nell’esdebitazione normale, di rendere inesigibili i debiti pregressi verso quel debitore. Le stesse esclusioni di crediti si applicano (mantenimento, danni, multe non si estinguono). Il vantaggio per il debitore è enorme: ottiene da subito la libertà dai debiti. Per i creditori è una drastica compressione di diritti, mitigata però dal sapere che comunque da quel debitore non avrebbero potuto ragionevolmente ricavare nulla (situazione di nulla da pignorare) e dalla possibilità di avere un dividendo tardivo se qualcosa magicamente appare entro 4 anni.

La dottrina ha definito questa misura come una sorta di “fallimento civile di buon cuore”: mentre un tempo i debitori civili insolventi restavano pignorabili vita natural durante, ora lo Stato “taglia” i loro debiti in cambio, implicitamente, del loro impegno a reintegrarsi nell’economia formale (evitando per es. che lavorino in nero per sfuggire ai creditori). Difatti, un debitore cronicamente e irrimediabilmente indebitato è incentivato a nascondere qualsiasi reddito per non farselo prendere dai creditori: liberandolo, invece, potrà lavorare, produrre reddito e contribuire all’economia senza timore che gli sia tolto. Questo riflette anche finalità macroeconomiche e sociali riconosciute: recuperare soggetti insolventi al circuito produttivo e di consumo.

Esempio – Esdebitazione incapiente concessa: Anna è una ex commerciante ultrasessantenne, con debiti personali di €100.000 (finanziamenti e debiti fornitore del vecchio negozio fallito). Non ha beni immobili, vive in casa di un parente, e percepisce solo una piccola pensione sociale di €600 al mese. Non avrebbe senso aprire una liquidazione controllata (non supererebbe nemmeno i €50k di debiti scaduti? Nel suo caso li supera, ma non ha alcun attivo da liquidare). Anna si rivolge all’OCC e deposita istanza di esdebitazione incapiente, dichiarando di non poter offrire nulla ai creditori. Il tribunale verifica: Anna non ha avuto comportamenti fraudolenti (la sua insolvibilità è dovuta al crollo dell’attività commerciale e ad alcune spese mediche gravose, non certo a dolo), non ha attivo (certificato dall’ISEE praticamente zero), non ha beneficiato di altre esdebitazioni in passato. I creditori vengono informati, qualcuno dubita (“magari ha soldi nascosti?”) ma non emergono prove di beni occulti. Il tribunale quindi dispone l’esdebitazione di Anna per tutti i debiti pregressi. I creditori vedono i loro crediti diventare inesigibili: dovranno registrarli a perdita. Anna è sollevata: dalla pensioncina che ha, ora può risparmiare qualcosa per sé senza trovarsi pignorata (anche se la pensione minima comunque era impignorabile in gran parte). Nei 4 anni successivi, Anna per trasparenza presenta al giudice ogni anno il suo CUD e dichiarazione: la sua situazione rimane la stessa, nessuna nuova entrata significativa. I creditori dunque non ricevono nulla (nemmeno quel 10%, perché Anna non ha “sopravvenienze rilevanti” entro i 4 anni). Passato il quadriennio di osservazione, l’esdebitazione di Anna diviene definitiva a tutti gli effetti, senza più condizioni pendenti. Se per assurdo al terzo anno Anna avesse vinto €50.000 al Superenalotto, avrebbe dovuto comunicarlo: scattava l’obbligo di destinare almeno €10.000 (10% di 100k) ai vecchi creditori. Poniamo l’avesse fatto, i creditori avrebbero recuperato quel minimo; se non l’avesse fatto e fosse stata scoperta, il tribunale avrebbe revocato l’intero beneficio e i creditori sarebbero tornati ad avere diritto all’intero credito (o quantomeno al residuo, dedotto quanto eventualmente già incassato).

Giurisprudenza di merito: Si segnalano alcune prime applicazioni: il Tribunale di Bari, decreto 31 luglio 2023, ha concesso l’esdebitazione incapiente a una debitrice (casalinga con debiti per fideiussioni) rilevando la sussistenza di tutte le condizioni. In motivazione (massima): “L’istante non ha mai beneficiato dell’esdebitazione e non ha commesso atti diretti a frodare i creditori; sussiste la meritevolezza dell’istante, non sussistendo dolo o colpa grave nella formazione dell’indebitamento (determinato da fatti a lei non imputabili, come una grave malattia invalidante); l’istante non è in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, neppure futura; [si] concede all’istante l’esdebitazione dai debiti sorti fino alla domanda, fatto salvo l’obbligo di pagamento entro quattro anni qualora sopravvengano utilità rilevanti”. Questo decreto esemplifica il ragionamento: la debitrice era meritevole (debiti causati dalla malattia), incapiente (nessuna utilità presente o futura), prima volta che chiedeva esdebitazione. Beneficio accordato immediatamente, con clausola di salvaguardia 4 anni. Un altro caso: Tribunale di Torino, 15 febbraio 2023, ha concesso l’esdebitazione a un disabile grave con soli debiti personali, sottolineando il valore sociale dell’istituto e la necessità di non condannare la persona alla povertà irreversibile.

In conclusione, l’esdebitazione oggi rappresenta un pilastro del “diritto della crisi” finalizzato al reinserimento dell’insolvente onesto: sia attraverso il completamento di procedure concordate, sia – se tutto è andato male – mediante un perdono giudiziale a fine liquidazione, fino all’estremo della clemenza totale per chi non ha nulla. Ciò bilancia il sistema concorsuale, tradizionalmente orientato alla tutela dei creditori, con istanze di solidarietà ed efficienza economica: un individuo liberato dai debiti ha incentivi a produrre reddito, innovare, consumare, mentre un indebitato “a vita” rischia di gravare sul welfare o sul sommerso. Naturalmente, il contrappeso è la rigorosa verifica della buona fede del debitore.

Domande frequenti (FAQ) sull’esdebitazione e le procedure concorsuali

D1: Chi può ottenere l’esdebitazione?
R: Possono accedere all’esdebitazione le persone fisiche che siano state assoggettate a una procedura concorsuale liquidatoria (fallimento/liquidazione giudiziale o liquidazione controllata) e abbiano agito con correttezza durante la procedura. L’esdebitazione non si applica alle società (che vengono liquidate e cessano di esistere). Inoltre, con il nuovo Codice anche un debitore civile “incapiente” – cioè privo di qualunque patrimonio liquidabile – può chiedere direttamente l’esdebitazione dei propri debiti, purché persona fisica meritevole. Restano esclusi i debitori che hanno tenuto condotte fraudolente o gravemente colpose, o che abbiano già beneficiato di esdebitazione di recente.

D2: Quali debiti vengono cancellati con l’esdebitazione?
R: L’esdebitazione cancella tutti i debiti concorsuali residui del debitore nei confronti dei creditori concorsuali (quelli sorti prima dell’apertura della procedura). Fanno eccezione alcuni tipi di debiti che per legge non sono mai esdebitabili: a) gli obblighi di mantenimento e alimentari (es. assegni familiari); b) i debiti per risarcimento danni da fatto illecito extracontrattuale; c) le multe, ammende e sanzioni pecuniarie penali o amministrative (es. contravvenzioni). Questi crediti restano esigibili anche dopo l’esdebitazione. Tutti gli altri – debiti verso fornitori, banche, privati, Fisco (imposte), contributi, etc. – sono coperti dall’esdebitazione e diventano inesigibili nei confronti del debitore. Va precisato che l’esdebitazione riguarda solo il rapporto debitor-personale: eventuali coobbligati o garanti dei debiti non sono liberati dal debito (art. 279, co.3 CCII). Ad esempio, se Tizio è esdebitato e Caio aveva garantito un suo prestito, la banca potrà ancora escutere Caio per l’intero dovuto.

D3: L’esdebitazione copre anche i debiti fiscali verso lo Stato?
R: Sì, in generale anche i debiti tributari rientrano nell’esdebitazione, con due avvertenze: 1) le sanzioni tributarie (more, ammende) sono considerate sanzioni amministrative e quindi non si cancellano – resteranno a carico del debitore; 2) alcuni debiti fiscali possono essere esclusi per legge dalle falcidie in sede concordataria (ad esempio l’IVA e ritenute non versate devono essere pagate integralmente nei concordati, salvo dilazione, per disposizione UE). Tuttavia, se non vengono soddisfatti integralmente neppure in liquidazione, l’esdebitazione libera comunque il debitore anche da essi. Quindi, dopo un’esdebitazione, il fisco non potrà pretendere ulteriori pagamenti di imposte dal debitore esdebitato (salvo ipoteche conservate sui beni non toccati dalla procedura, ma di solito il patrimonio è già escusso). Esempio: se in fallimento resta non pagata un’imposta IRPEF, il contribuente persona fisica esdebitato non dovrà più pagarla. Nota: restano comunque coobbligati eventuali responsabili d’imposta solidali (es. se era socio di società di persone).

D4: Quante volte si può ottenere l’esdebitazione?
R: Il beneficio può essere concesso una sola volta (in forma piena). La legge prevede un divieto di nuova esdebitazione se già avuta nei 5 anni precedenti (nel vecchio regime erano 10 anni). In pratica l’intento è che ciascun debitore abbia una seconda chance, non una terza, quarta etc., salvo casi eccezionali oltre il quinquennio. Quindi se un soggetto, dopo aver ottenuto esdebitazione e essere ripartito, sfortunatamente ricade in insolvenza molti anni dopo, potrebbe teoricamente chiedere di nuovo l’esdebitazione (specie con la nuova norma più elastica dei 5 anni). Ma se l’intervallo è breve o se appare un comportamento recidivo, il tribunale negherà il beneficio per abuso. Invece l’esdebitazione del debitore incapiente ex art. 283 CCII è espressamente una tantum (“per una volta”), quindi non replicabile.

D5: Cosa succede se, ottenuta l’esdebitazione, il debitore eredita dei beni o vince una somma di denaro?
R: Dipende dal tipo di esdebitazione:

  • Se si tratta dell’esdebitazione ordinaria dopo liquidazione giudiziale/controllata, non c’è alcun obbligo di pagare i vecchi creditori con le nuove ricchezze. I creditori concorsuali hanno perso ogni diritto verso il debitore esdebitato. Quindi, ad esempio, se 2 anni dopo l’esdebitazione Tizio riceve in eredità €100.000, quei soldi sono suoi liberamente: i vecchi creditori non possono avanzare pretese (a meno che emergano prove che Tizio avesse nascosto quell’eredità in malafede durante la procedura – ma se l’eredità è sopravvenuta, è una fortuna postuma e i creditori non possono agganciarsi). Questo “effetto lotteria” è voluto: il beneficio è pieno e definitivo, proprio per non scoraggiare il debitor dall’incrementare il suo patrimonio in futuro.
  • Se si tratta dell’esdebitazione del debitore incapiente (ottenuta senza pagare nulla), la legge impone invece una condizione risolutiva: per i 4 anni successivi, se il debitore ottiene utilità che permetterebbero di pagare almeno il 10% dei vecchi debiti, egli è tenuto a farlo. Quindi, se Caio incapiente esdebitato “a zero” vince alla lotteria €50.000 entro 4 anni, e i suoi debiti condonati erano €300.000, dovrà utilizzarne almeno €30.000 (10%) per i creditori, altrimenti rischia la revoca del beneficio. Trascorsi i 4 anni, anche il debitore incapiente è libero da vincoli.

D6: L’esdebitazione cancella anche le segnalazioni negative nei registri creditizi (CRIF, Centrale Rischi)?
R: L’esdebitazione in sé non comporta la cancellazione automatica delle segnalazioni nelle banche dati creditizie private (come CRIF, Experian) o nella Centrale Rischi di Banca d’Italia. Tuttavia, decorso un certo tempo (in CRIF sono 36 mesi dal termine della procedura o dall’ultimo aggiornamento) le segnalazioni di insolvenza vengono rimosse. Inoltre, il debitore esdebitato può presentare istanza alle varie banche dati allegando il decreto di esdebitazione per richiedere l’aggiornamento del proprio status. Ad esempio, CRIF su richiesta e prova dell’avvenuta procedura potrebbe annotare che il debito è “annullato per esdebitazione” o eliminarlo se i tempi lo consentono. Quanto alla Centrale Rischi ufficiale, la segnalazione a sofferenza permane finché la banca non comunica la chiusura posizione (che però di norma non avviene se il credito è rimasto insoluto). L’esdebitazione non obbliga la banca a cancellare la sofferenza, ma tecnicamente il credito diventa irrecuperabile e dovrebbe essere passato a perdita; la banca potrebbe quindi aggiornare CR come “crediti inesigibili” e dopo 36 mesi Banca d’Italia li rimuove. In sintesi, dopo l’esdebitazione il debitore potrà faticare per un po’ ad ottenere nuovo credito (lo storico negativo rimane per qualche tempo), ma col tempo la sua reputazione finanziaria può risanarsi, specie se riprende un’attività e ottiene nuove referenze.

D7: Un imprenditore esdebitato può subito avviare una nuova impresa o ricoprire cariche sociali?
R: Sì. Uno degli scopi dell’esdebitazione è proprio eliminare le incapacità personali legate al fallimento. Già la chiusura del fallimento elimina molte interdizioni. Il CCII poi ha abolito lo status di fallito con relative incapacità. Dunque il debitore esdebitato torna pienamente libero di iniziare nuove attività imprenditoriali, aprire Partita IVA, costituire società e assumerne la carica di amministratore o sindaco. Non vi sono periodi di inabilitazione una volta ottenuto il beneficio (sotto la vecchia legge il fallito, anche esdebitato, doveva attendere la riabilitazione civile, ma queste norme sono superate). Anzi, la ratio della riforma è proprio incoraggiare l’ex debitore a rimettersi in gioco. Naturalmente, le banche o fornitori potrebbero essere prudenti nel concedergli credito in futuro, basandosi su valutazioni di merito creditizio (vedranno che ha avuto un’insolvenza pregressa), ma giuridicamente non ci sono ostacoli.

D8: Cosa succede se durante la procedura il debitore nasconde beni o mente ai creditori?
R: Un comportamento del genere è altamente rischioso: se scoperto durante la procedura, porta a sanzioni immediate (revoca misure protettive, rigetto del concordato/piano, denuncia penale per bancarotta fraudolenta o frode ai creditori). Se invece venisse scoperto dopo la concessione dell’esdebitazione, potrebbe causare la revoca del beneficio. Ad esempio, se emergesse che il fallito aveva trasferito soldi all’estero prima del fallimento o durante e ciò non era noto in sede di esdebitazione, i creditori possono chiedere la revoca del decreto (nel vecchio regime c’era 1 anno di tempo dalla scoperta per la revoca; il CCII non lo ribadisce esplicitamente, ma è verosimile che la giurisprudenza ammetta un reclamo tardivo appena scoperta la frode, anche oltre 30 giorni, per gravità). In caso di revoca, l’esdebitazione viene annullata e i crediti rivivono integralmente contro il debitore. Inoltre, il debitore fraudolento potrebbe subire condanne penali e difficilmente otterrà altra esdebitazione in futuro (verrebbe bollato come indegno). Quindi, onestà e trasparenza sono imprescindibili: l’ordinamento concede il beneficio solo agli insolventi che dimostrano buona fede e cooperazione.

D9: Qual è la differenza tra esdebitazione e prescrizione dei debiti?
R: La prescrizione estintiva dei debiti è l’istituto per cui un credito si estingue se il creditore non lo esercita per un certo periodo (di solito 10 anni, salvo casi brevi). È una causa naturale di estinzione del debito per inerzia del creditore. L’esdebitazione, invece, è un provvedimento giudiziario che cancella i debiti attivi nonostante il creditore sia ancora diligente nel richiederli. In pratica, mentre la prescrizione dipende dal decorso del tempo e dall’inattività del creditore, l’esdebitazione prescinde dal tempo (può avvenire anche pochi anni dopo la nascita del debito, con la procedura concorsuale) e richiede l’intervento di un giudice nell’ambito di un procedimento concorsuale. Inoltre, la prescrizione estingue il diritto di credito per tutti i soggetti e cause (salvo eccepibilità), l’esdebitazione invece libera solo quel debitore in quella procedura (il debito per i coobbligati resta). In sintesi: la prescrizione è un fenomeno generale di sistema, l’esdebitazione è una grazia concorsuale mirata sul debitore sovraindebitato. Va anche detto che molti debiti insoluti potrebbero non prescriversi mai perché i creditori rinnovano le azioni (es. il fisco interrompe la prescrizione notificando cartelle): l’esdebitazione offre una soluzione definitiva, superando il continuo rincorrersi di atti interruttivi e pignoramenti.

D10: Quanto costa accedere alle procedure di sovraindebitamento e ottenere l’esdebitazione?
R: Le procedure hanno costi relativamente contenuti rispetto a un fallimento. È dovuto un compenso all’Organismo di Composizione della Crisi (OCC) o ai professionisti nominati, generalmente parametrato sulla base del lavoro svolto e in parte sul valore del debito o dell’attivo. Spesso questi costi sono rateizzati nel piano o prelevati dall’attivo liquidato. Il Codice prevede la prededuzione di tali compensi (vengono prima di soddisfare i creditori). Per i casi di totale indigenza, sta per entrare in funzione il Fondo per l’esdebitazione degli incapienti: la Legge di Bilancio 2025 (L. 30/12/2024 n. 207, art.1 comma 893) ha istituito presso il Ministero della Giustizia un fondo con dotazione iniziale di €500.000 per coprire le spese delle procedure di sovraindebitamento dei debitori incapienti meritevoli. Ciò significa che, una volta operativo, se un debitore non può permettersi di pagare il compenso dell’OCC o le spese processuali, potrà chiedere l’accesso a questo Fondo, il quale pagherà tali oneri, facilitando così l’accesso all’esdebitazione anche ai più poveri. In prospettiva, quindi, le procedure di sovraindebitamento potrebbero diventare virtualmente gratuite per il debitore incapiente, grazie all’intervento del Fondo pubblico. Attualmente (maggio 2025) il Fondo è istituito ma in attesa del decreto attuativo che ne definisca condizioni e modalità di accesso. In ogni caso, già ora i costi dell’OCC per una procedura standard di sovraindebitamento individuale sono modesti (nell’ordine di qualche migliaio di euro o percentuale sull’attivo), spesso modulati sulla capacità del debitore e a volte pagabili a fine procedura. I debitori con ius variandi limitato possono chiedere il patrocinio a spese dello Stato per l’assistenza legale.

Fonti normative e giurisprudenziali (aggiornate a maggio 2025)

Normativa primaria:

  • R.D. 16 marzo 1942, n. 267Legge Fallimentare (testo previgente, abrogato dal CCII salvo transizione). In particolare artt. 1 (soglie di fallibilità), 142-144 (esdebitazione del fallito, introdotti dal D.lgs. 5/2006).
  • Legge 27 gennaio 2012, n. 3Composizione delle crisi da sovraindebitamento (ora abrogata e assorbita nel CCII, come modificata da L.221/2012, L.176/2020 ecc.). Stabiliva le tre procedure (piano consumatore, accordo, liquidazione beni) e il concetto di meritevolezza.
  • Decreto Legislativo 12 gennaio 2019, n. 14Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), in attuazione L.155/2017, pubblicato in G.U. n.38 del 14/02/2019. (Testo vigente) entrato in vigore il 15 luglio 2022 dopo rinvii. Come modificato da:
    • D.lgs. 147/2020 (correttivo CCII),
    • D.L. 118/2021 conv. L.147/2021 (introduzione composizione negoziata),
    • D.L. 152/2021 conv. L.233/2021 (ulteriori misure PNRR, soglia 50k ecc.),
    • D.lgs. 17 giugno 2022, n. 83 (attuazione Dir. UE 2019/1023 sull’insolvency).
    • Parti rilevanti CCII: artt. 2 (definizioni di imprenditore minore, consumatore ecc.); 49 e 121 (esclusione impresa minore da liquidazione giudiziale); Titolo II (artt. 12-25 quinquies) composizione negoziata e concordato semplificato; Titolo IV Capo II (artt. 65-83) procedure di sovraindebitamento: art. 67-73 (piano consumatore), 74-83 (concordato minore); Titolo V (artt. 121-283) liquidazione giudiziale e misure affini: 268-277 (liquidazione controllata), 278-281 (esdebitazione post-liquidazione), 282-283 (esdebitazione sovraindebitato e incapiente).
  • Legge 30 dicembre 2024, n. 207Legge di Bilancio 2025, art. 1 comma 893 istituzione del Fondo per l’esdebitazione degli incapienti (dotazione €500.000 per spese procedure).

Fonti secondarie e di prassi:

  • Circolare Agenzia Entrate 23 luglio 2018 n.16/E – chiarimenti su trattamento crediti tributari in sovraindebitamento (post DL 137/2020).
  • Decreto Dirigenziale Min. Giustizia (in attesa, 2025) – criteri utilizzo Fondo incapienti.
  • Rapporto Commissione Rordorf 2017 – relazione illustrativa schema CCII (spiega ratio soglie, esdebitazione ecc.).

Giurisprudenza di legittimità:

  • Cass., Sez. I, 7 dicembre 2016, n. 25165 – Pres. Di Amato – (Fallimento) Conferma diniego esdebitazione per atti in frode rilevati (nascondimento attivo).
  • Cass., Sez. I, 14 giugno 2018, n. 15695 – Meritevolezza sovraindebitamento: definisce criteri di colpa grave in piano consumatore (prev. L.3/2012).
  • Cass., Sez. I, 10 ottobre 2019, n. 25458 – Conferma che esdebitazione può concedersi se atti in frode non accertati in sentenza penale, chiarisce onere probatorio su creditore opponente.
  • Cass., Sez. Un. Civ., 17 dicembre 2020, n. 28709 – (Sovraindebitamento) – Sezioni Unite su trattamento crediti fiscali in accordo: per falcidiare IVA in accordo occorre adesione AE (principio poi recepito in CCII).
  • Cass., Sez. I, 13 aprile 2022, n. 12115 – Pres. Genovese – (Concordato preventivo) – Requisiti revoca concordato ex art.173 l.f., conferma dovere integrità informativa del debitore.
  • Cass., Sez. I, 26 settembre 2022, n. 28013 – (Piano consumatore ante DL 137/2020) ribadisce che meritevolezza va valutata su comportamento complessivo, non su singole scelte di indebitamento.
  • Cass., Sez. I, 27 luglio 2023, n. 22890 – Pres. Cristiano, Rel. Falabella. Stabilisce che nel vigore CCII la meritevolezza del consumatore va valutata con il criterio “colpa grave, malafede, frode” ex art. 69 CCII (modificando precedente approccio “ragionevole prospettiva di adempimento”).
  • Cass., Sez. I, 9 ottobre 2024, n. 26303 – (Fallimento) Sentenza che afferma essere sufficiente anche pagamento 4% ai creditori per concedere esdebitazione, smorzando l’interpretazione rigorosa di “parte del debito” (cita art.142 l.fall.).
  • Cass., Sez. I, 24 ottobre 2024, n. 27562 – Conferma orientamento su esdebitazione fallito: pagamento parziale meramente simbolico non esclude beneficio, se meritevolezza c’è
  • Cass., Sez. I, 6 novembre 2024, n. 28505 – Torna sul tema meritevolezza e globalità valutazione
  • Cass., Sez. I, 23 dicembre 2024, n. 34158 – (Piano del consumatore) – Ribadisce che piano è procedura concorsuale sui generis, no voto creditori, giudice valuta meritevolezza ex art. 7 L.3/2012 mod.
    (Altro: Cass. 21/12/2021 n.40913 su autonomia accordi ristrutturazione).

Giurisprudenza di merito:

  • Tribunale di Trento, 14 ottobre 2022 – Rigetta esdebitazione imprenditore insolvente per mancanza requisito oggettivo pagamento (vecchia legge) – interpretazione restrittiva poi superata da CCII
  • Tribunale di Lucca, 14 novembre 2023 (decr.) – Apre liquidazione controllata su istanza creditore nonostante credito singolo €16k perché accertata presenza altri debiti >50k (conferma soglia €50.000).
  • Tribunale di Pistoia, 26 marzo 2024 – Michela Mancini – Approfondisce requisito pagamento parziale in fallimenti pendenti all’entrata CCII, conclude nuova norma applicabile favorevolmente.
  • Tribunale di Bari, 3 luglio 2023, n.131/2023 – (Concordato minore familiare) – Omologa concordato minore presentato da marito e moglie congiuntamente (procedura familiare) – v. Professionistidellacrisi.it.
  • Tribunale di Bari, 31 luglio 2023, n.3/2023 RPCDecr. esdebitazione incapiente – Concede esdebitazione ex art.283 CCII a soggetto privo di attivo, evidenziando assenza frode, meritevolezza (debiti causati da malattia) e obbligo 4 anni.
  • Tribunale di Ferrara, 10 marzo 2025
  • Tribunale di Torino, 15 febbraio 2023 – Esdebitazione incapiente concessa a debitore inabile al lavoro (valorizza istanze sociali, fonte Diritto del risparmio).
  • Tribunale di Roma, 2 agosto 2023 – Primo decreto Presidente Tribunale su avvio operativo procedura incapienti (linee guida, da tribunale.roma).
  • Corte d’Appello di Venezia, decreto 20 giugno 2023
  • Tribunale di Nola, 25 marzo 2025 – Rileva principi Cassazione su composizione crisi e sovraindebitamento, enfatizzando second chance (rep. n.24/2025, cita Cass. in motivazione).

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🔹 Avvocato esperto in diritto fallimentare e procedure di esdebitazione
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🔹 Fiduciario OCC – Organismo di Composizione della Crisi

Perché agire subito

⏳ L’esdebitazione non è automatica: va richiesta nei tempi e con i requisiti stabiliti dalla legge

⚠️ Se non presenti domanda, i debiti restano anche dopo la chiusura del fallimento, impedendoti di ripartire

📉 Rischi concreti: esclusione dal credito, segnalazioni bancarie, ostacoli in ogni iniziativa personale o imprenditoriale

🔐 Solo un avvocato esperto può ottenere il riconoscimento dell’esdebitazione e restituirti serenità e futuro

Conclusione

L’esdebitazione è un diritto: chi ha vissuto il fallimento ha diritto a ricominciare senza essere perseguitato dai debiti del passato.
La legge ti consente di uscire da quella condizione, ma devi agire con competenza e tempestività.

Affidarsi all’Avvocato Giuseppe Monardo significa scegliere una guida legale esperta nella gestione post-fallimentare, in grado di liberarti in modo definitivo dal peso delle passività residue.

Qui sotto trovi tutti i riferimenti per richiedere una consulenza riservata e immediata.
Se hai avuto un fallimento e vuoi accedere all’esdebitazione, il momento per agire è adesso.

Leggi con attenzione: Se stai affrontando difficoltà con il Fisco e hai bisogno di una rapida valutazione delle tue cartelle esattoriali e dei debiti, non esitare a contattarci. Siamo pronti ad aiutarti immediatamente! Scrivici su WhatsApp al numero 351.3169721 oppure inviaci un’e-mail all’indirizzo info@fattirimborsare.com. Ti ricontatteremo entro un’ora per offrirti supporto immediato.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
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