La Revocatoria Fallimentare Nel Codice Della Crisi: Guida

Hai ricevuto una richiesta di restituzione da parte del curatore fallimentare perché la tua azienda ha incassato un pagamento prima del fallimento di un cliente? Ti stai chiedendo cosa sia la revocatoria fallimentare, quando può essere applicata e come tutelarti legalmente?

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto fallimentare, crisi d’impresa e contenzioso tra imprese e curatori – ti spiega in modo chiaro e pratico come funziona la revocatoria fallimentare nel nuovo Codice della Crisi, quali atti possono essere annullati e cosa puoi fare se ricevi una citazione per la restituzione di somme o beni.

Scopri quali pagamenti, rimesse bancarie o atti dispositivi possono essere revocati, in quali casi il curatore deve dimostrare la tua conoscenza dello stato di crisi del debitore, quali sono i termini entro cui può agire, e quali sono le eccezioni e le difese più efficaci per evitare la condanna alla restituzione.

Alla fine della guida troverai tutti i contatti per richiedere una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo, esaminare l’atto ricevuto, valutare la fondatezza della richiesta del curatore e costruire una difesa solida per tutelare la tua impresa da azioni ingiuste o sproporzionate.

Introduzione e quadro normativo generale

La revocatoria fallimentare è lo strumento giuridico che consente al curatore di liquidazione giudiziale (il nuovo termine che ha sostituito il “fallimento” nel D.lgs. 14/2019, c.d. Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza) di far dichiarare inefficaci verso i creditori alcuni atti compiuti dal debitore prima dell’apertura della procedura. Lo scopo è ripristinare la garanzia patrimoniale a tutela della par condicio creditorum, evitando che atti pregiudizievoli compiuti in prossimità dell’insolvenza avvantaggino indebitamente taluni creditori a discapito di altri. In altri termini, l’azione revocatoria fallimentare mira a recuperare al patrimonio del debitore il valore di beni o somme uscite indebitamente, così che quel valore possa essere distribuito equamente tra tutti i creditori concorsuali.

Il Codice della Crisi (D.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, in vigore dal 15 luglio 2022 dopo vari rinvii) ha riformato organicamente la disciplina delle procedure concorsuali, includendo la revocatoria fallimentare nella liquidazione giudiziale (ex fallimento) e prevedendo sostanzialmente una continuità con le norme della previgente legge fallimentare (R.D. 16 marzo 1942, n. 267, artt. 64 e ss.). Gran parte dei principi tradizionali sono stati confermati: si distinguono ancora atti automaticamente inefficaci ex lege e atti revocabili previa pronuncia giudiziale, con l’obiettivo ultimo di tutelare la massa dei creditori. Tuttavia, la riforma ha introdotto alcune novità rilevanti, la principale delle quali riguarda il calcolo del cosiddetto periodo sospetto (ossia l’arco di tempo anteriore alla procedura entro cui certi atti sono potenzialmente revocabili). Nel Codice della Crisi, infatti, tale periodo non si calcola più a ritroso dalla data della sentenza dichiarativa di fallimento, bensì dalla data di deposito dell’istanza che ha poi condotto all’apertura della liquidazione giudiziale. Ciò significa, ad esempio, che se la procedura di liquidazione è iniziata a seguito di un’istanza di fallimento presentata in tribunale mesi prima della sentenza, il periodo sospetto decorrerà dalla data di deposito di quell’istanza (data di riferimento) e non dalla sentenza di apertura – in modo da non penalizzare i creditori con uno slittamento temporale dovuto ai tempi procedurali. Questo accorgimento evita che il tempo trascorso tra il ricorso e la sentenza renda irrevocabili atti che invece si collocavano nel periodo sospetto al momento in cui la crisi era già emersa. Di contro, per i terzi contraenti risulta oggi meno immediato conoscere con esattezza il dies a quo del periodo sospetto, poiché non sempre la data di deposito dell’istanza è di pubblico dominio in tempo reale.

Va evidenziato che la revocatoria fallimentare è un rimedio di natura concorsuale e collettiva, distinto dall’ordinaria azione revocatoria prevista dall’art. 2901 c.c. (la cosiddetta azione pauliana). Quest’ultima può essere esercitata dal singolo creditore in via individuale per dichiarare inefficace un atto compiuto dal debitore in frode alle sue ragioni, ma i suoi effetti giovano soltanto a chi l’ha promossa. La revocatoria fallimentare invece – promossa dal curatore – tutela tutti i creditori concorsuali: l’inefficacia viene dichiarata nell’interesse della massa, così che il bene (o il suo controvalore) rientri nel patrimonio fallimentare e possa essere distribuito secondo le regole del concorso. Come affermato anche dalle Sezioni Unite della Cassazione, oggetto della domanda revocatoria (sia ordinaria che fallimentare) non è il bene in sé, ma la reintegrazione della garanzia patrimoniale generica dei creditori mediante la recuperabilità del valore del bene. In pratica, l’azione mira al valore del bene alienato: se questo non è più materialmente recuperabile (ad esempio perché venduto a terzi ulteriori), il curatore potrà chiedere la restituzione per equivalente monetario senza che ciò costituisca mutamento di domanda. Il risultato finale resta infatti il “recupero alla garanzia patrimoniale dei creditori del valore del bene uscito dal patrimonio del fallito”.

Nel seguito di questa guida esamineremo in dettaglio i profili sostanziali (quali atti sono revocabili, in che termini e a quali condizioni) e i profili processuali (chi può esercitare l’azione, entro quando, davanti a quale giudice e con quali modalità) della revocatoria fallimentare alla luce del Codice della Crisi d’Impresa, aggiornando l’analisi alle più recenti novità normative (come il decreto correttivo “ter” del 2024) e ai più significativi arresti giurisprudenziali fino al 2025 (sentenze della Corte di Cassazione, orientamenti dei giudici di merito e interventi della Corte Costituzionale). Verranno inoltre proposte tabelle riepilogative per un confronto sintetico di norme, termini, soggetti coinvolti ed effetti dell’azione revocatoria, oltre a una sezione di domande e risposte con casi pratici ed esempi concreti. Particolare attenzione sarà dedicata alle implicazioni per differenti categorie di soggetti – dalle PMI alle start-up, dagli imprenditori agricoli ai professionisti – evidenziando le peculiarità e tutele per ciascuno nel contesto dell’azione revocatoria. Il tutto con un linguaggio giuridico rigoroso ma dal taglio divulgativo, per rendere la materia fruibile sia agli operatori del diritto (avvocati, consulenti legali) sia agli imprenditori e alle imprese che vogliono comprendere meglio i rischi e le conseguenze degli atti compiuti in prossimità di uno stato di insolvenza.

Prima di entrare nel merito della disciplina, è utile ricordare la logica di fondo: la revocatoria fallimentare non “annulla” l’atto compiuto dal debitore, ma ne dichiara l’inefficacia relativa rispetto alla massa dei creditori. Ciò significa che l’atto rimane valido fra le parti, ma i suoi effetti non possono pregiudicare i creditori concorrenti: ad esempio, se un pagamento viene revocato, il creditore che l’aveva ricevuto deve restituirlo (o restituirne l’importo equivalente) alla procedura, rientrando in concorso con gli altri creditori. Non vi è un intento “punitivo” verso chi ha contrattato con l’impresa poi insolvente, bensì l’esigenza di assicurare che il principio di eguaglianza dei creditori non sia frustrato da atti lesivi compiuti nel periodo critico in cui l’insolvenza era imminente o già in atto.

Profili sostanziali della revocatoria fallimentare nel Codice della Crisi

In questa sezione analizziamo quali atti del debitore insolvente possono essere oggetto di revocatoria fallimentare, distinguendo le diverse categorie di atti (gratuiti, onerosi “anomali” o “normali”, pagamenti, garanzie, ecc.), il relativo periodo sospetto applicabile e le condizioni (oggettive e soggettive) richieste, nonché le esenzioni previste. Si fornirà una panoramica completa delle norme rilevanti del Codice della Crisi (artt. 163-169 CCII) mettendole a confronto con la disciplina previgente, evidenziando le innovazioni e le conferme.

Categorie di atti: inefficacia ex lege vs atti revocabili con giudizio

Il Codice della Crisi mantiene la distinzione, già presente nella legge fallimentare, fra due macro-categorie di atti del debitore pre-insolvenza:

  • Atti inefficaci di diritto (o inefficacia ex lege), che sono considerati automaticamente privi di effetto nei confronti dei creditori senza bisogno di una sentenza costitutiva; il curatore dovrà solo prenderne atto e, eventualmente, agire per ottenere la restituzione del bene o valore trasferito. Essi corrispondono agli atti a carattere di anormalità assoluta, talmente lesivi della par condicio da essere colpiti ipso iure. In questa categoria rientrano principalmente:
    • Gli atti a titolo gratuito compiuti dal debitore dopo la data di riferimento (v. infra) o entro i due anni anteriori ad essa. Si tratta, ad esempio, di donazioni o altre attribuzioni patrimoniali senza corrispettivo.
    • I pagamenti anticipati di debiti non ancora scaduti, eseguiti dopo la data di riferimento o entro due anni prima. Pagare un debito prima della naturale scadenza è considerato un atto che altera la par condicio (favorendo un creditore con un pagamento anticipato rispetto agli altri) e, di regola, viene reso inefficace ex lege (questa fattispecie, già prevista dall’art. 65 l.f., è ora disciplinata dall’art. 164, co. 1 CCII come novità espressamente evidenziata dal Codice).
  • Atti revocabili su domanda, ossia atti la cui inefficacia rispetto ai creditori deve essere accertata giudizialmente, con sentenza pronunciata all’esito dell’azione revocatoria esercitata dal curatore. In questi casi l’atto inizialmente è valido ed efficace, ma può essere dichiarato inefficace ex post se ricorrono determinate condizioni entro un certo periodo sospetto. All’interno di questa macro-categoria, il Codice distingue ulteriormente tra:
    • Atti “anomali” – cioè atti di natura onerosa o pagamenti che presentano un carattere di anomalia tale da far presumere per legge la conoscenza dello stato d’insolvenza da parte del terzo contraente. Per tali atti vige un periodo sospetto più lungo (un anno a ritroso dalla data di riferimento) e una presunzione legale di scientia decoctionis, come vedremo nel dettaglio. In pratica, il curatore non deve provare la malafede del terzo, essendo questa presunta iure legis, ma l’atto è comunque soggetto a pronuncia giudiziale (non è inefficace di diritto). Rientrano in questa categoria (art. 166, co. 1 CCII):
      • Gli atti a titolo oneroso nei quali le prestazioni eseguite o promesse dal debitore eccedono di oltre un quarto ciò che ha ricevuto in cambio. In altre parole, atti a contenuto patrimoniale squilibrato in danno del debitore (es. vendita di un bene a un prezzo inferiore di oltre il 25% del valore equo). Se compiuti entro l’anno prima della procedura (o dopo il deposito dell’istanza), tali atti sono revocabili e la legge presume che il terzo conoscesse lo stato di insolvenza del debitore.
      • Gli atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili posti in essere con mezzi anormali, cioè non mediante denaro o altri mezzi normali di pagamento. Ad esempio, se il debitore paga un fornitore cedendogli un bene in natura, oppure compensando un credito in modo artificioso, ciò costituisce un pagamento anomalo. Tali pagamenti non in contanti, effettuati entro l’anno prima della procedura (o dopo il deposito), sono revocabili con presunzione di conoscenza dello stato d’insolvenza.
      • La costituzione di garanzie anomale su crediti preesistenti: in particolare, pegni, anticresi o ipoteche volontarie costituiti per debiti preesistenti non scaduti, se concessi entro l’anno prima della procedura (o dopo il deposito dell’istanza). Ad esempio, un imprenditore concede un’ipoteca a un creditore chirografario su un debito non ancora dovuto: questa garanzia tardiva, fuori dall’ordinario svolgimento del rapporto inizialmente non garantito, è un atto anomalo revocabile. Allo stesso modo, le ipoteche giudiziali (iscritte a seguito di sentenza) o anche volontarie per debiti già scaduti, se costituite nei sei mesi antecedenti la procedura (o dopo l’istanza), sono considerate atti anormali e revocabili. In sostanza, qualunque concessione di prelazione a ridosso dell’insolvenza, che alteri la par condicio rispetto alla situazione originaria dei creditori, rientra tra gli atti anomali con presunzione di scientia decoctionis.
    • Atti “normali” – sono gli atti a titolo oneroso e i pagamenti privi di anomalie intrinseche, ossia quelli che non presentano squilibri evidenti né modalità insolite. Per questi atti il periodo sospetto è più breve (sei mesi dalla data di riferimento) e, a differenza dei precedenti, la conoscenza dello stato d’insolvenza non è presunta ex lege: spetterà al curatore l’onere di provare che il terzo (controparte del debitore) era a conoscenza dell’insolvenza al momento dell’atto. In mancanza di prova della scientia decoctionis, l’atto “normale” non potrà essere revocato. L’art. 166, co. 2 CCII elenca esplicitamente le tipologie di atti revocabili in questo ambito, confermando sostanzialmente il dettato del vecchio art. 67, co. 2 l.f.:
      • i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili effettuati nei sei mesi prima del fallimento (o dopo l’istanza), purché il curatore provi che il creditore che li ha ricevuti conosceva l’insolvenza del debitore. Ad esempio, il pagamento a scadenza di una fattura in sé è un atto del tutto “normale”; potrà tuttavia essere revocato se fatto in stretta prossimità al dissesto e se il curatore dimostra che il fornitore era consapevole che l’impresa era insolvente (p.es. perché c’erano protesti, pignoramenti, pressanti segnalazioni, ecc.).
      • gli atti a titolo oneroso compiuti nei sei mesi prima della procedura (o dopo l’istanza) che non rientrino già tra quelli “anomali” di cui sopra. Anche per essi la revoca richiede la prova della conoscenza dello stato di insolvenza in capo al terzo.
      • gli atti costitutivi di garanzie per debiti contestualmente creati, anche se di terzi, se compiuti nei sei mesi. Questa previsione copre situazioni in cui il debitore, in crisi di liquidità, contrae un nuovo finanziamento magari coinvolgendo terzi: ad esempio, l’imprenditore ottiene una nuova linea di credito dalla banca facendola garantire da un proprio bene o con fideiussione di un socio. Pur trattandosi di debito “nuovo” (contestuale all’atto di garanzia), la legge considera revocabile l’operazione se fatta nel semestre sospetto e se vi è prova che la banca (o il terzo coinvolto) conoscesse l’insolvenza. Ciò perché simili operazioni possono, di fatto, costituire mere riorganizzazioni del debito insolvente a favore di taluni creditori: la garanzia su un nuovo finanziamento destinato magari a pagare debiti pregressi può pregiudicare gli altri creditori, e dunque viene assoggettata a possibile revoca in caso di scientia decoctionis.

Riepilogo delle categorie di atti e termini (“periodo sospetto”):

Figura 1: Schema riassuntivo dei principali tipi di atti pre-fallimentari e relativi periodi sospetti (in anni o mesi calcolati a ritroso dalla data di riferimento) previsti dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza. Le categorie evidenziate corrispondono a: atti a titolo gratuito e pagamenti anticipati (periodo sospetto fino a 2 anni); atti “anormali” quali atti a titolo oneroso sproporzionati, rimborsi anomali e garanzie su debiti preesistenti (fino a 1 anno); atti “normali” privi di anomalia intrinseca (fino a 6 mesi).

Il “periodo sospetto” e la data di riferimento

Abbiamo già accennato al concetto di periodo sospetto: è il lasso di tempo immediatamente precedente l’apertura della procedura concorsuale durante il quale gli atti del debitore possono essere sindacati e dichiarati inefficaci se rientrano nelle categorie viste sopra. Il periodo sospetto, per ciascuna tipologia di atto, va computato a ritroso a partire da una determinata “data di riferimento” fissata dalla legge.

  • Nella liquidazione giudiziale ordinaria (cioè quando si apre direttamente il fallimento/liquidazione senza che sia stata preceduta da altre procedure concorsuali), la data di riferimento è la data di deposito del ricorso che ha poi portato all’apertura della procedura. In passato era la data della sentenza dichiarativa; oggi, come detto, si anticipa al momento in cui la procedura è stata avviata con un’istanza in tribunale, per evitare che ritardi nella pronuncia riducano il periodo effettivo di scrutinio.
  • Nelle ipotesi di “consecuzione di procedure concorsuali”, ossia quando alla prima procedura di crisi segua poi una liquidazione giudiziale (esempio tipico: una società deposita domanda di concordato preventivo ma questo fallisce e si apre la liquidazione giudiziale; oppure si passa da amministrazione straordinaria a liquidazione, ecc.), il Codice stabilisce che la data di riferimento sia la data di pubblicazione della domanda di accesso alla prima procedura concorsuale. Così dispone l’art. 170, co. 2 CCII e analogamente già prevedeva l’art. 69-bis l.f. per il concordato preventivo seguito da fallimento. In sostanza, se la crisi dell’impresa è emersa attraverso una procedura poi sfociata nel fallimento, il periodo sospetto decorre dalla domanda iniziale, così da ricomprendere tutti gli atti compiuti dopo che la crisi era ufficialmente “emersa” con la prima procedura. Ad esempio, se una società ha presentato domanda di concordato preventivo a gennaio e in giugno tale concordato viene convertito in liquidazione giudiziale, il periodo sospetto andrà calcolato da gennaio e non da giugno, includendo quindi gli atti compiuti nei mesi di attesa. La giurisprudenza ha esteso questo principio anche a fattispecie non espressamente contemplate: la Cassazione ha ad esempio chiarito che, nel caso di consecuzione tra una vecchia procedura di amministrazione controllata (oggi abrogata) e una successiva procedura di insolvenza, il periodo sospetto decorre dalla data del decreto di ammissione alla prima procedura e non dalla domanda. Si tratta di applicare coerentemente la regola generale per cui conta il primo momento in cui l’insolvenza è stata “ufficializzata” in una procedura.

Stabilita la data di riferimento, occorre individuare gli atti compiuti entro i periodi sospetti propri di ciascuna categoria. Come riepilogato nella figura sopra, il Codice prevede:

  • Due anni a ritroso per gli atti a titolo gratuito e per i pagamenti di debiti non scaduti (atti inefficaci ex lege ex artt. 163 e 164 CCII).
  • Un anno a ritroso per gli atti “anormali” elencati nell’art. 166, co.1 CCII (atti a titolo oneroso con sproporzione oltre 1/4, pagamenti con mezzi anormali, garanzie su crediti preesistenti non scaduti).
  • Sei mesi a ritroso per gli atti “normali” elencati nell’art. 166, co.2 CCII (pagamenti di debiti scaduti, atti onerosi normali, garanzie contestuali a nuovi debiti).

Gli atti compiuti oltre questi limiti temporali non possono più essere revocati. Vale a dire, ad esempio, che un pagamento a un fornitore effettuato un anno e un giorno prima dell’istanza di fallimento non rientra nel semestre sospetto e dunque è definitivamente al riparo da revocatoria, anche se il creditore conosceva lo stato dell’impresa. Analogamente, una donazione fatta più di due anni prima non sarà toccata dall’inefficacia.

Elemento soggettivo: la conoscenza dello stato d’insolvenza (scientia decoctionis)

Uno snodo fondamentale nella revocatoria fallimentare è la valutazione dell’elemento soggettivo, ossia la conoscenza (o conoscibilità) dello stato di insolvenza da parte del terzo che ha compiuto l’atto con il debitore. Come visto, per alcuni atti “anormali” la legge prevede una presunzione legale di conoscenza, mentre per gli atti “normali” è necessario che il curatore fornisca prova che il contraente era consapevole del dissesto.

Va subito chiarito che per “stato di insolvenza” si intende la situazione di incapacità del debitore di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni, situazione accertata poi dalla dichiarazione di liquidazione giudiziale. La Cassazione ha affermato che, ai fini della revocatoria, lo stato d’insolvenza del debitore nel periodo sospetto è oggetto di una presunzione iuris et de iure derivante dall’apertura della procedura. In altre parole, il fatto stesso che sia stato dichiarato il fallimento implica che il debitore era insolvente quantomeno già durante il periodo sospetto; non è ammesso al convenuto provare che in realtà, in quel momento, il debitore versava solo in temporanea difficoltà e non in insolvenza conclamata. Parimenti, il curatore attore non è tenuto a dimostrare positivamente che l’insolvenza sussisteva già al momento dell’atto revocando. Questo perché l’accertamento dell’insolvenza è a monte, nella sentenza di apertura della procedura, e copre tutto il periodo sospetto: è dunque un fatto notorio legale nel giudizio revocatorio che in quel lasso di tempo l’impresa era insolvente.

Ciò precisato, resta invece da valutare se il terzo contraente fosse consapevole o meno di tale insolvenza. La scientia decoctionis è un presupposto richiesto (salvo presunzioni ex lege) per la revocabilità di molti atti, e in giudizio può essere provata anche attraverso indizi e presunzioni. Ad esempio, il curatore potrà inferire la conoscenza dallo stretto rapporto tra le parti (soci, familiari), dalla notorietà della crisi (protesti cambiari, cause esecutive note, notizie stampa), dalle insolvenze precedenti o da comportamenti del creditore (richieste anomale di garanzie, sospensione di forniture, ecc.). I giudici di merito richiedono che la conoscenza sia effettiva, ma ammettono che essa venga provata anche in via presuntiva mediante elementi convergenti e univoci. Ad esempio, il Tribunale di Milano ha ribadito che lo stato d’insolvenza deve sì essere conosciuto in concreto dal terzo, ma la prova di tale conoscenza può ben fondarsi su presunzioni, purché gravi, precise e concordanti.

Nei casi di atti “anomali” (art. 166, co.1 CCII) la legge semplifica la posizione del curatore: in presenza di determinate circostanze oggettive (atto a contenuto patrimoniale squilibrato, pagamento non in denaro, garanzia tardiva), si presume irrefragabilmente che il terzo sapesse dell’insolvenza altrui. Si tratta di presunzioni iuris et de iure: non è ammessa prova contraria da parte del convenuto, data la natura “sospetta” intrinseca dell’atto. Ciò non toglie che il terzo convenuto possa difendersi provando l’assenza dei presupposti oggettivi dell’azione (ad es. dimostrando che l’atto non rientra nella categoria; si pensi a chi contesti la valutazione di sproporzione oltre il quarto, fornendo perizia che attesta che il corrispettivo era equo).

Per gli atti “normali” invece (art. 166, co.2), la conoscenza è un elemento costitutivo della domanda revocatoria: l’onere probatorio grava sul curatore. Se questi non riesce a dimostrare che il terzo era a conoscenza dello stato d’insolvenza del debitore al momento dell’atto, la domanda verrà respinta e l’atto rimarrà efficace. La prova può essere data con ogni mezzo, e come detto spesso consiste in indizi che, valutati nel loro insieme, portano ragionevolmente a ritenere che il creditore fosse consapevole di partecipare a una distribuzione preferenziale. Ad esempio, se un fornitore ha ricevuto un pagamento poco prima del fallimento mentre aveva già ricevuto protesti dal debitore, aveva notizia di decreti ingiuntivi di altri creditori e ha subito dopo interrotto le forniture, è verosimile concludere che fosse al corrente della grave crisi dell’impresa.

Nota: Nel caso dei pagamenti a banche su conto corrente, la giurisprudenza ha sviluppato criteri particolari per valutare la revocabilità. In genere si considerano revocabili le rimesse bancarie effettuate su un conto scoperto, se hanno avuto natura solutoria (cioè hanno ridotto in modo consistente e durevole l’esposizione debitoria verso la banca) e sono avvenute in periodo sospetto con banca consapevole dello stato del cliente. Non sono invece revocabili le rimesse che siano meramente strumentali a operazioni contestuali (c.d. operazioni bilanciate). La Cassazione ha chiarito che per escludere la revoca come “operazione bilanciata” occorre che la rimessa abbia perso la funzione solutoria in virtù di specifici accordi tra cliente e banca: ad esempio, il versamento è destinato a costituire provvista per un pagamento immediato a terzi o per un prelievo contestuale a favore dello stesso cliente. In tal caso la banca non trae effettivo beneficio dalla rimessa (né nel momento del versamento, né dopo, poiché il denaro viene subito girato altrove) e dunque l’operazione non configura un pagamento revocabile. La prova di tali accordi può anche risultare da fatti concludenti (non necessariamente da atto scritto), purché vi sia evidenza che deposito e prelievo/pagamento correlato fossero parte di un’operazione unitaria strettamente collegata. Questo tema tecnico si collega alla distinzione tra rimesse solutorie e rimesse “fidi di cassa” nei rapporti bancari, ed è stato confermato da pronunce recenti (Cass. 25 settembre 2023, n. 27266).

Atti esenti da revocatoria: esenzioni e safe harbors

La disciplina della revocatoria fallimentare prevede una serie di esenzioni, vale a dire atti che, pur rientrando potenzialmente nelle tipologie revocabili, sono dichiarati non soggetti a revocatoria per esplicita scelta legislativa. Si tratta di safe harbors introdotti per ragioni di politica economica, al fine di non ostacolare oltre misura determinate operazioni ritenute fisiologiche o meritevoli, anche se compiute in prossimità della crisi.

L’art. 166, comma 3 CCII elenca dettagliatamente questi atti non soggetti a revocatoria (ricalcando e ampliando l’elenco che già l’art. 67, co. 3 l.fall. prevedeva). In sintesi, non possono essere revocati dal curatore:

  • a) i pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa nei termini d’uso. È l’esenzione dei cosiddetti pagamenti ordinari: se il debitore, pur in difficoltà, continua a pagare forniture e servizi nei tempi contrattuali o comunque in linea con gli usi commerciali del settore, tali pagamenti non sono revocabili. L’idea è di non penalizzare chi ha continuato a operare normalmente. Ad esempio, il pagamento di fatture correnti alle scadenze pattuite, per forniture essenziali all’attività, rientra in questa esenzione (purché non vi siano elementi di stranezza come importi sproporzionati, ecc.). N.B.: L’esenzione copre i pagamenti d’impresa, quindi tipicamente tra imprenditori; non si applica a pagamenti estranei all’esercizio dell’impresa.
  • b) le rimesse bancarie su conto corrente che non hanno ridotto in maniera consistente e durevole l’esposizione debitoria del correntista verso la banca. Questa esenzione, di origine giurisprudenziale poi codificata, individua quali versamenti in conto corrente non sono revocabili: se la rimessa ha solo migliorato temporaneamente lo scoperto ma l’esposizione è tornata a salire, o se la riduzione è stata modesta, allora essa non è considerata pagamento preferenziale. Si evita così di revocare movimenti finanziari di routine che non hanno realmente sottratto risorse alla massa (ad esempio, versamenti poi riutilizzati per uscite). Al contrario, se la rimessa ha ridotto stabilmente il debito (rimessa solutoria significativa), non rientra nell’esenzione.
  • c) le vendite (e i contratti preliminari di vendita trascritti) a giusto prezzo aventi a oggetto immobili ad uso abitativo destinati ad abitazione principale dell’acquirente (o di suoi parenti/affini entro il terzo grado) ovvero immobili ad uso non abitativo destinati a costituire la sede principale dell’attività d’impresa dell’acquirente, purché tale attività risulti effettivamente esercitata o siano stati fatti investimenti per avviarla, al momento dell’apertura della liquidazione. Questa disposizione (introdotta nelle riforme del 2005 e mantenuta) vuole tutelare gli acquirenti di prima casa o di immobile strumentale dall’alea della revocatoria, a condizione che l’acquisto sia avvenuto a condizioni di mercato (giusto prezzo) e sia stato regolarmente registrato (trascrizione) almeno da un certo tempo (il preliminare trascritto produce effetti). In pratica, se Tizio ha comprato la casa dove andrà ad abitare, pagandola a prezzo di mercato, non rischia la revocatoria del rogito solo perché il venditore fallisce entro l’anno. Similmente, se una startup ha acquistato (o preso in leasing) il capannone dove operare, pagando prezzo equo, quell’atto non è revocabile. Questa esenzione incoraggia le transazioni immobiliari genuine, evitando che un acquirente in buona fede perda casa o azienda per un fallimento altrui.
  • d) gli atti, i pagamenti e le garanzie concessi in esecuzione di un piano attestato di risanamento (art. 56 CCII, ex art. 67, co. 3, lett. d l.f.) e indicati nel piano stesso. I piani attestati di risanamento sono accordi stragiudiziali di risanamento dell’impresa in crisi, caratterizzati da una relazione di un esperto che attesta la fattibilità e la capacità del piano di risanare l’esposizione debitoria. Il legislatore li tutela prevedendo che gli atti compiuti in esecuzione di tali piani non possano essere revocati, in modo da incentivare le soluzioni conservative e la collaborazione dei creditori. Ad esempio, se l’impresa in crisi paga alcuni creditori o concede garanzie nell’ambito di un piano di risanamento attestato (regolarmente depositato e pubblicato nei registri ufficiali, come previsto dall’art. 56 CCII), quei pagamenti/garanzie non saranno soggetti a revocatoria qualora il piano alla fine non eviti il dissesto e si apra comunque la liquidazione giudiziale.
  • e) gli atti, i pagamenti e le garanzie legalmente posti in essere in esecuzione di un concordato preventivo o di un accordo di ristrutturazione omologato, e quelli compiuti dopo il deposito della domanda di concordato o di omologazione di un accordo, in conformità alla legge. Questa esenzione è volta a proteggere tutti gli atti compiuti nel contesto di procedure concorsuali alternative al fallimento. Ad esempio, se un’impresa, dopo aver presentato domanda di concordato preventivo, effettua pagamenti autorizzati dal giudice o opera in esecuzione del piano concordatario, tali atti non potranno essere revocati neppure se successivamente la procedura di concordato dovesse convertirsi in fallimento. Analogamente, se un accordo di ristrutturazione dei debiti viene omologato dal tribunale (ex art. 57 CCII, già 182-bis l.f.), tutti gli atti previsti e attuati in forza di quell’accordo sono esenti da revocatoria. Si vuole così dare certezza ai creditori aderenti e terzi coinvolti nelle soluzioni negoziali: essi non rischiano che il curatore, a posteriori, revochi ciò che è stato fatto secondo un piano approvato dall’autorità giudiziaria.
  • (aggiornamento 2024): Atti in esecuzione del “concordato semplificato”. Il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio è una nuova procedura concorsuale introdotta nel 2021 (D.L. 118/2021, confluito nel Codice all’art. 25-sexies e seguenti) per consentire la liquidazione concordataria al di fuori del fallimento, a seguito dell’insuccesso della composizione negoziata. Nella versione originaria del Codice della Crisi, gli atti compiuti in esecuzione di tale concordato semplificato non erano menzionati tra le esenzioni dalla revocatoria. Questa era una lacuna normativa, colmata di recente dal Decreto Correttivo-ter (D.lgs. 13 settembre 2024, n. 136), che ha esplicitamente incluso anche gli atti compiuti in esecuzione di un concordato semplificato omologato tra quelli non revocabili. Dunque, oggi possiamo aggiungere all’elenco che non sono soggetti a revocatoria anche i pagamenti, atti e garanzie effettuati secondo un concordato semplificato omologato dal tribunale.

È importante notare che le esenzioni si applicano solo nei limiti e alle condizioni previste: ad esempio, un pagamento di forniture è esente se avvenuto nei “termini d’uso”, ma se è stato effettuato con un ritardo abnorme accumulando debiti, potrebbe non rientrare nell’esenzione. Oppure, un piano attestato di risanamento protegge solo gli atti indicati nel piano stesso e posti in essere in esecuzione di esso, non atti estranei o antecedenti. Ancora, la vendita della casa familiare è protetta solo se a giusto prezzo e per l’abitazione principale: se emergesse che il prezzo era volutamente gonfiato o sottostimato per frodare i creditori, l’esenzione non varrebbe.

Riepilogo in tabella – Tipologie di atti, termini e condizioni:

Tipo di attoPeriodo sospettoCondizioni per revocaRiferimenti normativi
Atti a titolo gratuito (donazioni, liberalità)2 anni (inefficacia ex lege)Nessuna (inefficacia automatica ex lege)Art. 163 CCII (ex art. 64 l.f.)
Pagamenti di debiti non scaduti (anticipati)2 anni (inefficacia ex lege)Nessuna (inefficacia automatica ex lege)Art. 164, co.1 CCII (ex art. 65 l.f.)
Atti a titolo oneroso “anomali” (prestazione del debitore eccedente >¼ rispetto a quanto ricevuto)1 anno (revocabilità giudiziale)Scientia decoctionis presunta ex lege (curatore non deve provarla)Art. 166, co.1, lett. a CCII (ex art. 67, co.1, n.1 l.f.)
Pagamenti con mezzi anormali (non in denaro)1 anno (revocabilità giudiziale)Scientia decoctionis presunta ex legeArt. 166, co.1, lett. b CCII (ex art. 67, co.1, n.2 l.f.)
Garanzie su debiti preesistenti non scaduti (pegno/ipoteca volontaria)1 anno (revocabilità giudiziale)Scientia decoctionis presunta ex legeArt. 166, co.1, lett. c CCII (ex art. 67, co.1, n.3 l.f.)
Garanzie su debiti scaduti (ipoteche giudiziali o volontarie su debiti scaduti)6 mesi (revocabilità giudiziale)Scientia decoctionis presunta ex legeArt. 166, co.1, lett. d CCII (ex art. 67, co.1, n.4 l.f.)
Pagamenti di debiti scaduti (“atti normali”)6 mesi (revocabilità giudiziale)Scientia decoctionis da provare dal curatoreArt. 166, co.2 CCII (ex art. 67, co.2 l.f.)
Atti onerosi “normali” (a prezzo equo, senza anomalie)6 mesi (revocabilità giudiziale)Scientia decoctionis da provareArt. 166, co.2 CCII (ex art. 67, co.2 l.f.)
Garanzie contestuali a nuovi debiti (pegno/ipoteca su finanziamento contestuale)6 mesi (revocabilità giudiziale)Scientia decoctionis da provareArt. 166, co.2 CCII (ex art. 67, co.2 l.f.)
Atti, pagamenti, garanzie in esecuzione di: piano attestato di risanamento, concordato preventivo, accordo di ristrutturazione omologato, concordato semplificato(irrilevante, esenti)Esenti se conformi al piano/accordo approvatoArt. 166, co.3, lett. d-e CCII (ex art. 67, co.3 l.f.) – NB: concordato semplificato aggiunto nel 2024
Pagamenti di forniture e servizi nei termini d’uso (atti ordinari di gestione)(non rilevante, esenti)Pagamento avvenuto secondo prassi normale, importo congruo, scadenza regolareArt. 166, co.3, lett. a CCII (ex art. 67, co.3 l.f.)
Rimesse bancarie infruttuose (che non riducono stabilmente l’esposizione)(non rilevante, esenti)Esposizione verso banca non ridotta in modo consistente e duraturo dalla rimessaArt. 166, co.3, lett. b CCII (ex art. 67, co.3 l.f.)
Vendite di immobili a giusto prezzo per abitazione principale o sede impresa(non rilevante, esenti)Immobile destinato ad abitazione principale o sede d’impresa; prezzo normale; atto trascritto; uso effettivo avviatoArt. 166, co.3, lett. c CCII (ex art. 67, co.3 l.f.)

Legenda: “revocabilità giudiziale” significa che l’atto, se compiuto entro il periodo indicato, può essere dichiarato inefficace con sentenza ove ricorrano le condizioni (es. scientia decoctionis). “Inefficacia ex lege” indica atti automaticamente inefficaci, senza necessità di prova della conoscenza né di pronuncia costitutiva (basterà l’accertamento in giudizio che l’atto rientra nella fattispecie).

Effetti della revocatoria: restituzioni, crediti e posizione delle parti

Quando un’azione revocatoria fallimentare viene accolta con sentenza (o con ordinanza, nei casi di rito semplificato), l’atto impugnato viene dichiarato inefficace nei confronti della massa dei creditori. Ciò produce principalmente due effetti giuridici:

  1. Obbligo di restituzione a carico del terzo convenuto (il beneficiario dell’atto). Il terzo deve restituire al patrimonio del fallimento ciò che aveva ricevuto dal debitore con l’atto revocato, in natura o per equivalente. Ad esempio, se è revocato un pagamento, il creditore che l’aveva incassato deve restituire la somma (eventualmente maggiorata degli interessi legali dalla data della domanda revocatoria, trattandosi di debito di valore). Se è revocato un atto di trasferimento di un bene, il terzo deve restituire il bene stesso; se però il bene non è più nella sua disponibilità (ad esempio l’ha venduto a sua volta a un sub-acquirente in buona fede non raggiungibile da revoca), allora dovrà restituire il valore equivalente del bene. La legge consente infatti al curatore di chiedere in sede di precisazione delle conclusioni l’equivalente pecuniario, senza che ciò costituisca domanda nuova, se nel frattempo il bene è uscito dalla disponibilità del convenuto. L’inefficacia relativa fa sì che, rispetto ai creditori, si finga che quell’atto non sia mai avvenuto: il bene o valore deve quindi “rientrare” nella massa attiva.
  2. Trasformazione del diritto del terzo in un credito verso il fallimento. Infatti, il terzo che restituisce quanto ricevuto ha diritto a essere trattato come se quel pagamento non ci fosse mai stato. Ad esempio, se un creditore ha dovuto restituire un pagamento revocato, ridiventa creditore del fallimento per l’importo restituito (posizionandosi con lo stesso grado che aveva prima: se era chirografario, torna ad essere chirografario per quella somma; se era privilegiato, potrà insinuarsi in privilegio). Analogamente, se un acquirente di bene revocato perde il bene (lo restituisce al fallimento), diventa creditore per il prezzo pagato o per le spese fatte su quel bene. Questo principio è sancito dall’art. 170, comma 1 CCII: la condanna alla restituzione fa nascere un credito concorrente. Giova precisare che, qualora il terzo fosse a sua volta fallito (ad es. revoco un pagamento fatto a un fornitore anch’esso fallito), la sua pretesa restitutoria diverrà un credito da far valere nella sua procedura (reciproco concorso fra procedure).

L’effetto recuperatorio della revocatoria dunque si bilancia con la tutela del terzo in buona fede: chi subisce la revoca non perde definitivamente la prestazione originaria, ma la recupera come credito nella distribuzione concorsuale (fermo restando che, se era un creditore chirografario, parteciperà pro quota e non è detto che verrà soddisfatto integralmente). In questo senso si può dire che la revocatoria non punisce il terzo, ma ripristina l’eguaglianza sostanziale: il terzo restituisce alla massa e torna in fila insieme agli altri.

Esempio: Alfa S.p.A., poi fallita, paga a Beta S.r.l. (fornitore) 100.000 € per fatture in scadenza. Beta incassa. Dopo 4 mesi Alfa fallisce; il curatore agisce in revocatoria ex art. 166 co.2 CCII dimostrando che Beta sapeva dello stato d’insolvenza di Alfa (perché Beta aveva interrotto le forniture e avviato protesti). Il tribunale dichiara inefficace il pagamento e condanna Beta S.r.l. a restituire 100.000 € alla massa fallimentare. A questo punto Beta può insinuarsi al passivo del fallimento Alfa per 100.000 € come creditore chirografario (le fatture originarie non risultano più pagate). Se nella liquidazione Alfa i chirografari prendono, ad esempio, il 30%, Beta recupererà 30.000 € e subirà per il resto la perdita, esattamente come gli altri creditori chirografari di Alfa. In assenza di revocatoria, Beta avrebbe trattenuto 100.000 € mentre gli altri fornitori magari nulla: la revocatoria ha uniformato il trattamento.

Va poi segnalato che se il terzo, a seguito dell’atto poi revocato, aveva a sua volta eseguito prestazioni a favore del debitore, anch’egli ha diritto alla restituzione di quanto eventualmente restituito o compensato. Ad esempio, revocando un contratto a prestazioni corrispettive già eseguito (poniamo una permuta o uno scambio di beni), occorrerà ripristinare entrambe le prestazioni. In pratica, si tenderà o a far tornare le cose allo status quo ante (se possibile) o più spesso a commutare tutto in obblighi pecuniari, con conguagli in denaro tra fallimento e terzo per pareggiare le attribuzioni.

Infine, va ricordato che la sentenza che accoglie la revocatoria non colpisce gli eventuali sub-acquirenti in buona fede del bene (salvi i casi eccezionali di revocatoria a catena ex art. 2901, co.3 c.c., qui esercitata dal curatore ex art. 165 CCII). Se Tizio fallito aveva venduto un macchinario a Caio, e Caio l’ha rivenduto a Sempronio estraneo, il curatore di Tizio generalmente agirà solo contro Caio (primo acquirente). Caio dovrà restituire il valore alla massa, ma Sempronio conserva il macchinario (è terzo di buona fede, protetto dall’art. 2901 c.c.). Non a caso, l’art. 165 CCII prevede che l’azione revocatoria ordinaria esercitata dal curatore si proponga contro l’acquirente immediato e contro gli aventi causa solo nei limiti in cui l’azione sarebbe proponibile contro costoro (cioè nei casi di mala fede del sub-acquirente). In genere, nella revocatoria fallimentare classica si colpisce il primo avente causa e non oltre.

Profili processuali e procedurali dell’azione revocatoria fallimentare

Dopo aver esaminato quali atti possono essere revocati e a quali condizioni, passiamo ai profili di natura processuale: chi può promuovere l’azione revocatoria fallimentare, entro quali termini decadenziali o prescrizionali, davanti a quale giudice e con quali modalità procedurali, nonché le particolarità in caso di litisconsorzio, consecuzione di procedure, rapporti con altri giudizi, etc. Inoltre, getteremo uno sguardo alle possibili soluzioni processuali come la transazione delle azioni revocatorie e gli strumenti deflativi.

Legittimazione ad agire e soggetti coinvolti

Chi può esercitare l’azione revocatoria fallimentare? La legittimazione attiva spetta in via esclusiva al Curatore della liquidazione giudiziale. È infatti il curatore (organo della procedura fallimentare) il soggetto cui la legge attribuisce il potere-dovere di compiere tutti gli atti di conservazione e recupero dell’attivo nell’interesse dei creditori. L’art. 165 CCII è chiaro nell’attribuire al curatore la facoltà di domandare la dichiarazione di inefficacia degli atti pregiudizievoli ai creditori, secondo le norme del codice civile. In ciò ricalca l’art. 66 della vecchia legge fall., confermando che solo il curatore fallimentare può promuovere azioni revocatorie concorsuali davanti al tribunale fallimentare, per ottenere l’inefficacia degli atti lesivi compiuti dal debitore.

I singoli creditori dunque non possono, dopo l’apertura della procedura, iniziare o proseguire azioni revocatorie individuali relative a atti compiuti dal debitore poi fallito (sarebbero atti di gestione dell’attivo, riservati al curatore in base al principio di esclusiva della massa). Un creditore che avesse già avviato un’azione revocatoria ordinaria in proprio contro il debitore (prima del fallimento) vedrà quell’azione caducarsi: con la dichiarazione di fallimento, infatti, sopravviene la vis attractiva del tribunale fallimentare e la legittimazione del curatore, mentre i creditori individuali perdono la titolarità ad agire individualmente per atti di massa. Potranno semmai sollecitare il curatore a esercitare la revocatoria o, in caso di sua inerzia, far presente al comitato dei creditori e al giudice delegato l’opportunità di agire. In casi eccezionali la giurisprudenza ha ammesso una sorta di “supplenza” del creditore qualora il curatore rinunci ingiustificatamente a un’azione utile alla massa, ma si tratta di rimedi marginali (ricorso ex art. 146 l.fall. analogico, ora difficilmente praticabile).

La legittimazione passiva all’azione revocatoria spetta ovviamente ai terzi che hanno beneficiato dell’atto revocando: tipicamente, il contraente che ha ricevuto il pagamento o il bene dal fallito. Può trattarsi di un creditore (nel caso di pagamento o garanzia) oppure di un qualsiasi terzo (nel caso di vendite, permute, atti dispositivi a titolo oneroso). Può essere convenuta in giudizio anche una pluralità di soggetti, se più persone sono parti dell’atto impugnato (es. più donatari, contitolari, ecc.). Come detto, l’azione può essere estesa agli aventi causa ulteriori del primo contraente solo nelle ipotesi in cui la revocatoria ordinaria lo consentirebbe (ovvero se l’avente causa era a conoscenza dell’intento fraudolento). In pratica, però, nella revocatoria fallimentare tipica il convenuto è il primo beneficiario dell’atto. Sarà poi quest’ultimo eventualmente a rivalersi su eventuali terzi sub-acquirenti, ma ciò esula dalla procedura concorsuale.

Un caso peculiare è la revocatoria di atti posti in essere tra soggetti correlati al fallito, ad esempio atti compiuti tra società dello stesso gruppo o tra il fallito e un suo socio. In tali situazioni, può talora configurarsi un conflitto di interessi che porta a nominare un curatore speciale o un curatore ad acta. Ad esempio, se falliscono due società sorelle che si sono scambiate beni, potrebbe essere necessario che le rispettive procedure siano gestite tenendo conto del conflitto potenziale nelle revocatorie reciproche.

Altra ipotesi speciale: la revocatoria fallimentare “in bonis”. È la revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c. esercitata prima del fallimento da un creditore individuale; se il debitore viene dichiarato insolvente durante il processo, la Cassazione ha chiarito che il curatore subentra ex lege nella posizione dell’attore (creditore) per proseguire o far valere l’azione nell’interesse della massa. Tuttavia, questo riguarda più la sorte dei processi pendenti (art. 43 l.fall.), e comunque l’azione cambia natura diventando concorsuale.

Giurisdizione e competenza per le azioni revocatorie

Le cause aventi ad oggetto azioni revocatorie fallimentari rientrano nella competenza funzionale ed esclusiva del tribunale che ha dichiarato la liquidazione giudiziale (Tribunale fallimentare). Si applica dunque il principio generale per cui tutte le controversie che derivano dal fallimento o in cui è parte il curatore nell’esercizio delle sue funzioni vanno radicate dinanzi al medesimo tribunale che ha aperto la procedura (art. 27 l.fall. e analoghe norme nel CCII). L’art. 165 CCII conferma che l’azione revocatoria si propone dinanzi al tribunale competente, che è appunto quello concorsuale.

Questa regola è stata recentemente ribadita anche dalle Sezioni Unite della Cassazione per quanto riguarda le revocatorie promosse dal curatore. In particolare, affrontando il tema della revocatoria fallimentare di un atto di scissione societaria, la Cassazione ha statuito che la competenza a decidere spetta al tribunale fallimentare (sezione fallimentare del tribunale ordinario) e prevale su quella della sezione specializzata in materia di imprese. Ciò significa che, quando il curatore esercita una revocatoria (sia ordinaria ex art. 2901 c.c. che speciale ex art. 166 CCII) riguardante un atto societario come la scissione, la causa deve essere trattata dal giudice fallimentare della procedura, non dal tribunale delle imprese – pur essendo la scissione un atto societario. Le Sezioni Unite (sent. n. 5098/2025) hanno infatti distinto: la revocatoria ordinaria della scissione, se proposta da un creditore particolare, va alla sezione imprese, perché attiene a un atto tipico di diritto societario; mentre la revocatoria promossa dal curatore rientra nel circuito concorsuale e va al tribunale fallimentare. Questo per assicurare l’unicità del foro concorsuale e l’intima connessione della causa con la procedura fallimentare.

In termini di giurisdizione internazionale, le azioni revocatorie fallimentari, essendo parte integrante della procedura d’insolvenza, ricadono nella giurisdizione dello Stato in cui la procedura è aperta (in ambito UE, Regolamento 848/2015; le revocatorie fallimentari sono escluse dal Reg. Bruxelles I e dal Reg. Roma I, essendo coperte dal regolamento insolvency). Ciò significa che se un fallimento è dichiarato in Italia, il tribunale fallimentare italiano ha giurisdizione anche per revocare atti compiuti dal debitore con terzi esteri, secondo le proprie norme (fatte salve le complessità del riconoscimento all’estero degli effetti recuperatori).

Termini per l’esercizio dell’azione: decadenza e prescrizione

L’esercizio della revocatoria fallimentare è sottoposto a precisi termini temporali, fissati dall’art. 170 CCII (che riprende il vecchio art. 69-bis l.fall.). Questi termini operano su due piani:

  • Un termine di decadenza (relativo all’azione del curatore).
  • Un termine di prescrizione sostanziale (del diritto alla revoca).

In particolare, l’art. 170, co.1 CCII stabilisce che le azioni revocatorie e di inefficacia disciplinate dalla sezione (artt. 163-169 CCII) non possono essere promosse dal curatore decorsi 3 anni dall’apertura della liquidazione giudiziale, e in ogni caso si prescrivono decorsi 5 anni dal compimento dell’atto.

Questo significa che il curatore ha al massimo tre anni di tempo dalla dichiarazione di fallimento (o meglio, dalla data di apertura della procedura) per iniziare l’azione revocatoria; se lascia trascorrere più di tre anni, perde il potere di agire (decadenza processuale). Inoltre, indipendentemente dalla scoperta tardiva dell’atto, trascorsi cinque anni dalla data dell’atto stesso, il diritto alla revoca si estingue per prescrizione e non potrà più essere fatto valere.

Esempio: un fallimento dichiarato il 1° settembre 2022 potrà avviare revocatorie entro il 1° settembre 2025 (3 anni); un atto compiuto dal fallito il 10 gennaio 2020 non potrà comunque essere revocato oltre il 10 gennaio 2025 (5 anni dall’atto). Se l’atto datava dicembre 2018, al momento del fallimento (2022) sarebbero già decorsi più di 3 anni dall’atto: quell’atto era già prescritto per la revocatoria e il curatore non avrebbe potuto farci nulla.

Questi termini – introdotti per dare certezza ai rapporti evitando che il curatore possa agire a distanza di troppi anni – sono alternativi: la decadenza triennale scatta dalla procedura, il termine quinquennale dall’atto (whichever comes first). Così, se un atto è freschissimo (poniamo 1 mese prima del fallimento), prevale il termine di 3 anni dal fallimento (che scadrebbe molto dopo i 5 anni dall’atto); viceversa, se un atto è stato compiuto 4 anni prima del fallimento, il curatore avrebbe solo 1 anno di tempo (perché al quinto anno l’azione si prescrive comunque). Nella pratica, di solito il limite prescrizionale dei 5 anni dall’atto è quello che tende a chiudere la finestra, poiché i periodi sospetti stessi guardano max a 2 anni prima. Ma consideriamo casi di consecuzione: ad esempio, se la data di riferimento è anticipata (concordato) e abbraccia un atto di 4 anni prima della sentenza di fallimento, allora la prescrizione quinquennale è rilevante.

Un’importante precisazione riguarda il rapporto tra la revocatoria fallimentare e la revocatoria ordinaria promossa dal curatore ex art. 165 CCII (ex art. 66 l.fall.). La Cassazione ha chiarito, già sotto la vecchia legge, che i termini di cui all’art. 69-bis l.f. (ora art. 170 CCII) non si applicano alle azioni revocatorie ordinarie esercitate dal curatore. In altre parole, se il curatore agisce ai sensi dell’art. 2901 c.c. (azione ordinaria, magari perché l’atto non rientrava nei casi speciali dell’art. 166), la sua azione soggiace ai termini di prescrizione ordinari dell’azione pauliana (5 anni dalla scoperta dell’atto pregiudizievole ex art. 2903 c.c.), e non alla decadenza triennale. L’art. 170 CCII, infatti, fa riferimento alle azioni revocatorie “disciplinate nella presente sezione”, ossia quelle tipiche concorsuali. L’azione ex 2901 c.c., pur esercitata dal curatore, resta di natura civilistica e segue i suoi termini propri. Pertanto, il curatore potrebbe, ad esempio, esperire una revocatoria ordinaria anche oltre il triennio dalla dichiarazione di fallimento, se ancora in termini di prescrizione civilistica (ciò ovviamente a condizione che l’atto non fosse già revocabile come atto tipico). Questa distinzione è sottile ma significativa: le decadenze fallimentari non travolgono strumenti che il curatore eredita dal diritto comune.

Dal punto di vista processuale, l’azione revocatoria fallimentare si introduce con atto di citazione (essendo azione di cognizione ordinaria) dinanzi al tribunale fallimentare. Il relativo giudizio segue le norme del codice di procedura civile, con alcune particolarità: è competente un collegio (non il giudice delegato da solo), e si tratta di cause commerciali che spesso vengono assegnate alla sezione specializzata fallimentare se istituita. Non di rado le revocatorie, soprattutto quelle “seriali” (es. molte rimesse bancarie, molti pagamenti a fornitori), possono essere decise con criteri semplificati o con soluzioni transattive.

È possibile che il curatore promuova più azioni revocatorie e poi, in corso di giudizio, decida di transigere (conciliare) con alcune controparti: questo rientra nei suoi poteri gestori, previo generalmente assenso degli organi della procedura (comitato creditori o giudice delegato a seconda dei casi). La transazione di una revocatoria, ad esempio accettando la restituzione parziale di una somma in cambio della rinuncia all’azione, è ammissibile e frequente quando le prospettive di vittoria sono incerte o la controparte offre un rapido realizzo.

Questioni particolari: rapporti con altri giudizi, pluralità di parti, ecc.

Diversi problemi processuali specifici possono emergere nelle azioni revocatorie fallimentari:

  • Litispendenza e continenza: se un creditore individuale aveva avviato una revocatoria ex art. 2901 c.c. prima del fallimento, e poi il curatore promuove la revocatoria fallimentare sul medesimo atto, si può porre un problema di litispendenza o improcedibilità di uno dei due giudizi. In genere, la revocatoria del curatore assorbe quella individuale: il creditore potrà eventualmente insinuarsi per spese, ma non ha più interesse a portare avanti la sua azione particolare.
  • Interruzione del giudizio per fallimento: se durante un giudizio revocatorio (es. promosso dal curatore contro Caio) sopravviene il fallimento del convenuto Caio, il processo subisce un’interruzione ex art. 43 l.fall.? In linea di massima sì, perché Caio perde la capacità di stare in giudizio venendo sostituito dal suo curatore. Qui abbiamo un caso di revocatoria tra fallimenti: il curatore di Alfa fallita agisce contro Caio, poi anche Caio fallisce. Le Sezioni Unite 2020 n. 12476 hanno affrontato proprio un caso simile, stabilendo principi per proseguire il giudizio (subentro del curatore di Caio e possibili coordinamenti). La soluzione tipica è che il curatore di Alfa insinua al passivo del fallimento Caio il credito da revocatoria, oppure si prosegue il giudizio per far dichiarare l’inefficacia e poi renderlo opponibile nella procedura di Caio. La materia è tecnica, ma in sintesi: il fallimento del convenuto non impedisce di conseguire il risultato dell’azione revocatoria, che è recuperare il valore per i creditori di Alfa. L’azione andrà quindi coordinata con la procedura del convenuto.
  • Pluralità di convenuti: se un atto vede più beneficiari (es. pagamento fatto a più creditori contestualmente; o un immobile ceduto a più comproprietari), il curatore può convenirli tutti nello stesso giudizio per la dichiarazione di inefficacia dell’atto unitario. Non è invece ammesso frazionare l’azione in più cause per lo stesso atto (rischio di giudicati contrastanti).
  • Sospensione del giudizio in attesa di esito di altra procedura: un esempio frequente riguarda i pagamenti eseguiti in pendenza di un concordato preventivo poi annullato o non omologato. In tali casi, la revocatoria è possibile (perché l’esenzione di cui sopra vale solo per concordato omologato). Tuttavia, se pende un giudizio di omologazione, il giudice della revocatoria potrebbe attendere l’esito (dato che se il concordato venisse omologato e con successo, quell’azione diverrebbe inutile). È una valutazione caso per caso.
  • Connessione con azioni risarcitorie: talvolta, in parallelo alla revocatoria, il curatore agisce in responsabilità contro gli amministratori o contro terzi. Questi giudizi possono avere parti comuni e fatti intrecciati. Ad esempio, revocando un pagamento a una banca e nel contempo citando la banca per concorso in bancarotta preferenziale. I due giudizi potranno essere riuniti se pendenti davanti allo stesso tribunale, oppure uno potrebbe influire come accertamento incidentale nell’altro (es. l’esito della revocatoria può essere prova del vantaggio preferenziale conseguito, utile per la causa di responsabilità). Serve dunque coordinamento strategico da parte del curatore.

Giurisprudenza recente in materia di revocatoria fallimentare (agg. 2025)

Esaminiamo ora le più significative pronunce giurisprudenziali recenti (degli ultimi anni) che hanno arricchito e chiarito la disciplina della revocatoria fallimentare, delineando orientamenti interpretativi su questioni controverse. Tratteremo sia decisioni di legittimità (Corte di Cassazione, anche a Sezioni Unite) sia, ove rilevante, interventi della Corte Costituzionale e pronunce di merito particolarmente innovative. Questo permetterà di avere un quadro aggiornato al 2025 della “vivente” applicazione delle norme sopra illustrate.

  • Cassazione Civile, Sez. Unite, 24 giugno 2020 n. 12476Oggetto della revocatoria e fallimento del convenuto. Le Sezioni Unite hanno affrontato il caso di un’azione revocatoria esercitata dal curatore di un fallimento contro un soggetto che, a sua volta, fallisce in corso di causa (c.d. “revocatoria tra fallimenti”). La Corte ha enunciato principi importanti: ha confermato che l’oggetto della domanda revocatoria (sia ordinaria che fallimentare) non è il bene in sé, bensì la reintegrazione della garanzia patrimoniale generica dei creditori mediante recupero del valore del bene uscito dal patrimonio del fallito. Di conseguenza, anche se il bene oggetto dell’atto impugnato non è più nella disponibilità del convenuto (perché ad esempio alienato a terzi prima della causa), l’azione resta ammissibile mirando al controvalore pecuniario. Inoltre le SU hanno stabilito che il fallimento del convenuto successivo all’atto in frode non impedisce la revocatoria: se il convenuto fallisce dopo aver ricevuto il bene, il curatore attore potrà ottenere una condanna per equivalente e insinuarsi al passivo dell’altro fallimento. In pratica, la declaratoria di inefficacia dell’atto fraudolento produce un credito risarcitorio (per equivalente) verso il fallimento del terzo acquirente, garantendo che la massa originaria sia reintegrata del valore. Le SU hanno anche toccato un tema di competenza, poi risolto definitivamente nel 2025 (v. infra): in prima battuta la questione riguardava quale tribunale dovesse conoscere della revocatoria se il convenuto è fallito (si ipotizzava potesse passare alla sede del suo fallimento), ma le SU 2020 sembrano aver dato peso alla stabilità del foro concorsuale originario.
  • Cassazione Civile, Sez. I, 19 febbraio 2021 n. 4482Consecuzione di procedure e dies a quo del periodo sospetto. Questa pronuncia (in massimario nel 2021) ha chiarito che in caso di consecuzione tra un’amministrazione controllata e una successiva procedura d’insolvenza (nello specifico un’amministrazione straordinaria), il periodo sospetto per la revocatoria fallimentare va computato a ritroso dalla data del provvedimento di ammissione alla prima procedura, e non dalla data della relativa domanda. In sostanza la Cassazione, di fronte a un vuoto normativo (l’amministrazione controllata era esclusa dall’art. 69-bis l.f.), ha applicato lo stesso criterio estensivo previsto per il concordato preventivo: la decorrenza del periodo sospetto coincide con l’inizio (atto di apertura) della prima procedura concorsuale, non con la domanda. Questa precisazione è perlopiù di interesse storico, poiché l’amministrazione controllata non esiste più nel nuovo codice; tuttavia, conferma la tendenza a considerare la data di riferimento più favorevole alla massa in ipotesi non regolate espressamente. Nel Codice della Crisi, come visto, il comma 2 dell’art. 170 generalizza la regola per tutte le consecuzioni di procedure.
  • Cassazione Civile, Sez. Unite, 16 febbraio 2022 n. 5049Revocatoria di operazioni complesse e privilegi, rimessa di pegno. In questa articolata pronuncia, le SU hanno risolto alcuni contrasti relativi alla revocabilità di operazioni complesse come il reimpiego di somme provenienti da beni in pegno. Senza entrare in eccessivi dettagli tecnici, segnaliamo due principi ricavabili: (a) se il debitore insolvente vende un bene già vincolato in pegno a favore di un creditore, e il ricavato va a ridurre il debito garantito, quell’operazione può essere considerata una rimessa revocabile a favore del creditore garantito, nonostante questi avesse privilegio. La Corte ha infatti affermato che la soddisfazione di un creditore privilegiato attraverso atti anomali può comunque ledere la par condicio e integrare l’eventus damni in re ipsa, in quanto il bene esce dalla massa a favore di quel creditore, e la circostanza che questi fosse privilegiato non esclude la revoca. (b) Hanno confermato che la revocatoria fallimentare ha natura costitutiva (produce i suoi effetti ex nunc con la sentenza) e che oggetto del giudizio è il valore, il che consente appunto di agire anche quando la restituzione in forma specifica non è possibile, chiedendo direttamente la condanna pecuniaria equivalente.
  • Cassazione Civile, Sez. I, 2 maggio 2023 n. 11357Presunzione di insolvenza nel periodo sospetto. Questa sentenza, già richiamata, ha sancito un importante principio in tema di onere della prova: lo stato di insolvenza del debitore nel periodo sospetto anteriore al fallimento si presume iuris et de iure per il solo fatto dell’apertura della procedura. Ne consegue che da un lato il convenuto in revocatoria non può essere ammesso a dimostrare che il debitore, all’epoca dell’atto, era solo in temporanea difficoltà e non in insolvenza irreversibile (non avrebbe rilievo); dall’altro, il curatore non è tenuto a provare la sussistenza dell’insolvenza in quel momento, né il giudice di merito può accertarla d’ufficio in senso contrario. Questo orientamento, che era già prevalente in dottrina, rende più agevole l’azione revocatoria evitando dibattiti sull’evoluzione temporale della crisi: se l’atto cade nel periodo sospetto e c’è stato il fallimento, l’insolvenza in quel frangente è data per certa. Tale pronuncia rafforza anche la nozione che la revocatoria fallimentare non richiede un eventus damni autonomo (diversamente dalla pauliana), poiché il danno ai creditori è intrinseco nell’aver sottratto beni in situazione di insolvenza. La massima ufficiale della Cassazione recita infatti che l’insolvenza nel periodo sospetto è presunta iure et de iure e di ciò non va data prova positiva dal curatore né ammessa contraria dal convenuto.
  • Cassazione Civile, Sez. I, 27 maggio 2022 n. 16915Revocatoria dei pagamenti eseguiti durante una procedura di composizione negoziata (concordato minore). Anche se non una sentenza di particolare notorietà generale, merita cenno il fatto che la giurisprudenza di merito e di legittimità hanno ritenuto revocabili i pagamenti effettuati dal debitore durante la fase di trattative di una composizione negoziata quando poi sfociano in liquidazione, a meno che non ricadano nelle esenzioni di legge (es. autorizzati ex art. 21 CCII con l’esperto). Questo perché, prima delle modifiche del 2024, mancava una esenzione ad hoc, poi introdotta per il concordato semplificato. Insomma, chi durante le trattative di soluzione negoziale “preferiva” taluni creditori con pagamenti straordinari poteva incorrere in revocatoria se la crisi degenerava in fallimento.
  • Cassazione Civile, Sez. I, 25 settembre 2023 n. 27266Operazioni bilanciate banca/cliente e revocatoria di rimesse. Questa decisione (già illustrata nella parte sostanziale) ha ribadito i criteri per distinguere le rimesse bancarie revocabili da quelle non revocabili perché “bilanciate”. La Suprema Corte ha confermato che, per escludere la natura solutoria di una rimessa in conto scoperto, occorre provare un preciso accordo di destinazione tra correntista e banca, per cui il versamento sul conto serviva esclusivamente a coprire un pagamento contemporaneo a favore di terzi o un’operazione compensativa a debito. In tal caso, la banca non beneficia effettivamente della rimessa (che funge solo da transito) e manca l’ingiustificato vantaggio da revocare. La sentenza ha inoltre chiarito che tale accordo può risultare da facta concludentia e che ciò dev’essere valutato con rigore, richiedendosi una stretta specularità temporale e causale tra versamento e prelievo. Questo pronunciato, in linea con precedenti (Cass. 19751/2017 e altre), offre alle banche elementi difensivi nelle revocatorie di rimesse, ma al contempo fissa un onere probatorio significativo per dimostrare la “provvista vincolata”.
  • Cassazione Civile, Sez. I, 9 maggio 2024 n. 12754Clausola risolutiva espressa e revocatoria. In questa recente sentenza la Corte ha escluso che possa formare oggetto di revocatoria fallimentare la dichiarazione di volersi avvalere di una clausola risolutiva espressa contenuta in un contratto. La clausola risolutiva espressa (art. 1456 c.c.) è quella pattuizione per cui, al verificarsi di un determinato inadempimento, la parte non inadempiente può dichiarare risolto il contratto. Il caso riguardava un contratto risolto dal contraente in bonis a seguito dell’insolvenza dell’altro poi fallito, e il curatore tentava di revocare tale risoluzione sostenendo fosse atto pregiudizievole. La Cassazione ha negato questa possibilità, affermando che l’esercizio di una clausola risolutiva non costituisce un atto dispositivo patrimoniale del debitore revocabile: è piuttosto un esercizio di un diritto potestativo del contraente, che produce la cessazione di effetti contrattuali ma non implica una disposizione del patrimonio del fallito in favore di terzi. Dunque, la risoluzione per clausola espressa non è soggetta a revocatoria perché non c’è un atto “a titolo oneroso” compiuto dal debitore insolvente verso un terzo, bensì un effetto legale di un patto contrattuale. Questa pronuncia chiude un dibattito, evitando di estendere la revocatoria a situazioni non annoverate dalla legge e di dubbia natura dispositiva.
  • Cassazione Civile, Sez. Unite, 26 febbraio 2025 n. 5098Revocatoria fallimentare e atti di scissione societaria. Trattata in parte sopra riguardo alla competenza, questa recentissima sentenza delle Sezioni Unite (di febbraio 2025) è di particolare rilievo. Le SU hanno affrontato il tema della scissione societaria attuata in pregiudizio dei creditori e hanno fissato due principi di diritto distinti:
    1. La revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c. di un atto di scissione proposta da un creditore individuale rientra nella competenza della sezione specializzata in materia d’impresa. Ciò perché, pur trattandosi di azione pauliana (quindi teoricamente di competenza del tribunale civile ordinario), l’atto di scissione è un tipico atto di diritto societario che coinvolge rapporti fra società, soci e organi, sicché l’eventuale giudizio incide su un “rapporto societario” e va conosciuto dalla sezione imprese (competente per materia). Le SU hanno quindi risolto un contrasto confermando che se, ad esempio, un creditore sociale (e la società non è fallita) agisce per revocare una scissione che ha depauperato il patrimonio della debitrice, la causa va promossa davanti al Tribunale delle Imprese competente per territorio.
    2. L’azione revocatoria fallimentare ex art. 66 l.f. (ora art. 165 CCII) sull’atto di scissione – quindi promossa dal curatore di una società fallita contro le beneficiarie/successori della scissione – è devoluta invece alla competenza del Tribunale fallimentare, competenza che prevale su quella del tribunale delle imprese. Ciò garantisce che sia il giudice fallimentare a valutare l’inefficacia della scissione rispetto alla massa, evitando frammentazioni. Questo principio consente al curatore di agire con revocatoria (o azione similare di inefficacia ex art. 2506-ter c.c.) dinanzi al giudice della procedura, anche se l’atto è societario. Le SU implicitamente confermano la possibilità stessa di revocare una scissione se fatta in frode ai creditori: la scissione, pur avendo effetti descritti dal codice civile, può essere dichiarata inopponibile ai creditori (o inefficace) se ricorrono i presupposti, salvaguardando però la stabilità degli atti successivi (si tratterà in sostanza di conseguire l’equivalente).
    Questa pronuncia ha grande importanza pratica: nelle operazioni societarie di riorganizzazione che spesso precedono il dissesto (ad es. spostamento di asset da una società a un’altra mediante scissione), ora vi è certezza sul foro competente e sullo strumento: il curatore potrà rivolgersi al proprio tribunale fallimentare per far dichiarare inefficace la scissione verso i creditori, ottenendo magari che i beni trasferiti rispondano comunque delle obbligazioni della società originaria (nei limiti del beneficio d’inventario previsto dall’art. 2506-quater c.c.). Le SU 2025 rappresentano dunque una sintesi della tendenza a ricondurre al giudice concorsuale ogni azione restitutoria nell’interesse della massa, anche quando l’atto impugnato attiene a materie specialistiche (societario).
  • Corte Costituzionale: va segnalato che la legittimità costituzionale della revocatoria fallimentare, nella sua impostazione generale, è stata più volte scrutinata e sostanzialmente avallata dalla Consulta. Già con sentenza n. 4/1971 la Corte Costituzionale dichiarò non fondate le questioni che vedevano nella revocatoria una violazione dell’art. 3 Cost. o della tutela dell’affidamento dei terzi, sottolineando come essa persegua finalità di giustizia distributiva tra creditori e colpisca atti potenzialmente fraudolenti. Successivamente, con la sentenza n. 270/1972 e la n. 39/2000, la Corte ha ribadito che la revocatoria fallimentare, pur investendo anche atti leciti e dovuti (come il pagamento di un debito scaduto), non contrasta con i principi costituzionali di ragionevolezza e di tutela dei diritti, in quanto strumento mirato a garantire la par condicio e l’ordine concorsuale. In particolare, la sent. 39/2000 esaminò la questione della revocabilità dei pagamenti di tributi (atti dovuti per legge) giudicandola compatibile con la Costituzione, in virtù dell’inderogabile esigenza di non preferire il Fisco agli altri creditori nell’ambito concorsuale (principio poi attenuato dal legislatore stesso con soglie e esenzioni per i pagamenti fiscali entro determinati importi). Più di recente, la Corte Costituzionale è intervenuta indirettamente sulla materia quando ha valutato la conformità a Costituzione delle norme che escludono la revocatoria per certi atti: ad esempio, l’ordinanza n. 123/2007 dichiarò infondate le questioni sull’art. 4 D.Lgs. 270/1999 che esentava dalla revocatoria alcune operazioni finanziarie nelle amministrazioni straordinarie, ritenendo tali scelte discrezionali del legislatore non irragionevoli nell’equilibrio di interessi.

In sintesi, la giurisprudenza recente conferma ed arricchisce l’interpretazione delle norme sulla revocatoria fallimentare: da un lato ribadendo i capisaldi tradizionali (funzione conservativa, presunzioni di insolvenza, irrilevanza dello stato soggettivo se l’atto è tipizzato, ecc.), dall’altro adattando l’istituto ai contesti moderni (operazioni bancarie complesse, strumenti di composizione negoziale, atti societari). Le pronunce delle Sezioni Unite del 2020 e 2025, in particolare, forniscono linee guida importanti rispettivamente sulla portata oggettiva dell’azione (valore, subentro tra procedure) e sulla competenza e inquadramento di atti societari nel contesto concorsuale. I principi affermati assicurano una applicazione uniforme e (auspicabilmente) più prevedibile dell’azione revocatoria, bilanciando l’esigenza di recupero dell’attivo con la tutela della buona fede dei terzi e con la stabilità di certi atti economici.

Domande e Risposte – Casi pratici sulla revocatoria fallimentare

Di seguito proponiamo una serie di Q&A (domande frequenti con relative risposte) che aiutano a comprendere l’applicazione concreta della revocatoria fallimentare in situazioni pratiche. Le risposte richiamano i principi esposti nella guida, traducendoli in soluzioni operative.

D: Un imprenditore individuale, in difficoltà finanziaria, paga il 1º marzo 2025 una fattura di merce ricevuta, che sarebbe scaduta il 30 giugno 2025. Il 10 settembre 2025 viene dichiarato insolvente con liquidazione controllata (procedura minore, visto che è sotto soglia fallimentare). Quel pagamento anticipato può essere revocato?
R: In questo caso specifico non siamo in una liquidazione giudiziale classica ma in una procedura minore (sovraindebitamento/liquidazione controllata). Tuttavia, se applichiamo in analogia i principi della revocatoria fallimentare, il pagamento di un debito non ancora scaduto rientra tra gli atti anormali (pagamento anticipato) normalmente colpiti da inefficacia ex lege entro 2 anni. Bisogna però verificare se la normativa sul sovraindebitamento prevede espressamente la revocatoria: la L. 3/2012 (ora assorbita nel CCII) non contemplava un’azione revocatoria piena, ma la giurisprudenza ha spesso ritenuto applicabili analogicamente alcune norme (es. in caso di liquidazione del patrimonio). Nel Codice della Crisi, l’art. 270 prevede che nella liquidazione controllata del sovraindebitato il liquidatore può esercitare le azioni revocatorie secondo gli artt. 163 e ss. CCII. Quindi sì, anche nel sovraindebitamento quell’atto potrebbe essere oggetto di revoca. Trattandosi di pagamento anticipato (debito scad. giugno, pagato a marzo), rientra nella categoria dell’art. 164 CCII: inefficacia di diritto se compiuto entro 2 anni. Quindi il liquidatore controllato potrà chiederne la restituzione senza bisogno di provare la conoscenza (in quanto atto revocabile ipso iure). In definitiva, : il pagamento anticipato del 1º marzo 2025 è inefficace verso i creditori e il liquidatore della procedura minore potrà pretenderne la restituzione, reinserendo quel creditore tra i crediti ancora da soddisfare (salvo che la normativa speciale preveda qualche esenzione particolare per piccoli importi, ma di regola no in questo contesto).

D: Una società fallisce. Il curatore scopre che 8 mesi prima del fallimento la società ha pagato in modo normale un fornitore (debito commerciale giunto a naturale scadenza), per un importo rilevante. Il pagamento è avvenuto tramite bonifico bancario nei termini previsti dalla fattura. Si può revocare questo pagamento?
R: Il pagamento di un debito liquido ed esigibile, eseguito con mezzi normali (un bonifico), è un atto “normale” ai fini dell’art. 166, co.2 CCII. Esso è revocabile solo se compiuto entro 6 mesi prima della procedura e se il curatore prova che il creditore conosceva lo stato d’insolvenza. Nel caso dato: 8 mesi prima del fallimento è fuori dal periodo sospetto di 6 mesi, dunque non rientra temporalmente tra gli atti revocabili. Anche ammesso che il fornitore sapesse dei problemi, il pagamento è troppo remoto: oltre 6 mesi prima, i pagamenti normali non sono aggredibili. Pertanto no, quel pagamento avvenuto 8 mesi prima del fallimento non è revocabile perché fuori termine (il curatore dovrà concentrarsi su pagamenti più recenti, entro i 6 mesi).

Nota: se invece fosse stato eseguito 4 mesi prima, allora rientrerebbe nel semestre. In tal caso, però, si dovrebbe dimostrare la scientia decoctionis del fornitore. Se, come spesso accade, il pagamento era “normale” e il fornitore non aveva chiari segnali d’allarme (pagato puntuale, nessun insoluto precedente, etc.), probabilmente non ci sarebbero prove di malafede e l’azione revocatoria fallirebbe. Quindi, oltre al fattore temporale, serve il fattore soggettivo.

D: Una SRL fallita aveva due soci; un anno prima del fallimento uno dei soci ha ottenuto il rimborso integrale di un finanziamento soci che aveva erogato alla società, mentre l’altro socio non ha ricevuto nulla. Il curatore può contestare quel rimborso al socio?
R: Sì, il rimborso di finanziamenti dei soci effettuato in epoca sospetta è tipicamente un atto a rischio revocatoria. La legge fallimentare (art. 67, co.2, n. 3 l.f.) prevedeva espressamente la revocabilità dei rimborsi di finanziamenti dei soci avvenuti nell’anno prima del fallimento. Il Codice della Crisi include i finanziamenti dei soci nella categoria degli atti anormali? In verità, il CCII all’art. 166 co.1 lett. c cita “debiti preesistenti non scaduti” (un finanziamento soci è un debito verso il socio; se rimborsato anticipatamente, è come pagamento di debito non scaduto). Inoltre i finanziamenti dei soci in situazione di sottocapitalizzazione possono essere postergati ex art. 2467 c.c., e il loro rimborso può costituire atto pregiudizievole. Giurisprudenza e dottrina considerano i rimborsi ai soci come atti revocabili entro 1 anno se il socio è in condizione “particolare” (tendenzialmente considerato conoscitore dello stato della società). Nel nostro caso: un socio ha ricevuto indietro il finanziamento un anno prima. Rientriamo nell’anno, e il rimborso di un debito non ancora scaduto (presumibilmente, perché i finanziamenti soci di solito sono infruttiferi a medio termine, non necessariamente esigibili in quel momento) è assimilabile a un pagamento anticipato o comunque a un atto anomalo. Il curatore può senz’altro agire in revocatoria, con buone chance: tratterebbe l’operazione come atto a titolo oneroso in cui la società ha restituito disponibilità al socio (creditore particolare) invece di conservare liquidità per tutti i creditori. Il socio, essendo “interno”, è presumibilmente a conoscenza dello stato societario. Dunque, se quell’anno rientra nel periodo sospetto (lo è, 1 anno prima), la revoca andrà a buon fine: il socio dovrà restituire quanto incassato e verrà poi postergato o comunque collocato come creditore chirografario postergato. In conclusione, : il curatore revoca il rimborso del finanziamento soci, soprattutto se anticipato o fuori dall’ordinario.

D: È possibile per un curatore esercitare una revocatoria oltre i termini di 2 anni o 1 anno se scopre un atto molto pregiudizievole ma più vecchio? Ad esempio, un immobile donato 3 anni prima?
R: In linea generale, no: i termini di 2 anni, 1 anno, 6 mesi sono fissi e inderogabili. Un atto gratuito avvenuto 3 anni prima del fallimento non può essere revocato tramite l’azione fallimentare speciale (perché fuori dal biennio). Tuttavia, rimane una possibilità: il curatore può valutare l’azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c. (tramite l’art. 165 CCII) se ne ricorrono i presupposti. L’azione ordinaria ha un termine di prescrizione di 5 anni dalla data dell’atto (o dalla scoperta). Nel caso di una donazione di 3 anni prima, il curatore può agire ex art. 2901 c.c. entro il quinto anno dalla donazione. Dovrà però provare i requisiti della revocatoria ordinaria: eventus damni (qui evidente, trattandosi di atto gratuito) e consilium fraudis (che nel caso di atto a titolo gratuito richiede almeno la conoscenza del pregiudizio da parte del debitore, e la terzietà del donatario irrilevante). In pratica, una donazione fatta quando già esistevano creditori insoddisfatti configura frode ai creditori. Quindi, fuori dal biennio, il curatore può percorrere la via ordinaria (art. 165 CCII). Nota: la Cassazione ha detto che le decadenze triennali non si applicano all’azione ordinaria, quindi avrebbe 5 anni dall’atto (se atto di 3 anni fa, è in tempo). Quindi, fuori dai termini “fallimentari” c’è solo la scappatoia della revocatoria ordinaria. Se anche quella non è più azionabile (ad es. atto di 8 anni fa), allora non c’è nulla da fare: quell’atto rimane definitivo, il curatore non potrà toccarlo.

D: Un’azienda fallisce e tra gli atti fatti prima del crack c’è la vendita sottoprezzo di un ramo d’azienda a una società concorrente, avvenuta 10 mesi prima del fallimento. Può il curatore revocarla e riottenere il ramo d’azienda?
R: La vendita di un ramo d’azienda a prezzo sospettamente basso è un tipico caso di atto a titolo oneroso potenzialmente squilibrato. Dieci mesi prima rientra nel periodo di 1 anno per gli atti anomali. Se il prezzo incassato dal fallito era inferiore di oltre il 25% rispetto al valore effettivo del ramo, l’atto ricade nell’art. 166 co.1 lett. a (prestazione del debitore sproporzionata). La legge presume la malafede dell’acquirente, quindi il curatore non deve provare che il concorrente sapesse dell’insolvenza: l’atto è già di per sé anomalo. Dunque il curatore può agire chiedendo la revoca. Attenzione: revocare la vendita di un ramo d’azienda significa dichiararla inefficace verso i creditori. In concreto, il curatore chiederebbe la restituzione di ciò che è uscito: qui il ramo d’azienda (beni, contratti, avviamento). Però se nel frattempo quell’azienda acquirente l’ha integrato e magari rivenduto parti, può non essere pratico riprendere il ramo “in natura”. Il curatore in giudizio potrebbe anche chiedere l’equivalente in denaro (differenza tra valore reale e prezzo pagato). Spesso in questi casi si finisce con una transazione: l’acquirente paga un conguaglio alla massa fallimentare per tenersi il ramo, evitando di restituirlo integralmente. In sintesi, sì, l’atto è revocabile. Il curatore ha ottime chances data la sproporzione e il sospetto di collusione. Se la revoca viene pronunciata, il ramo d’azienda torna teoricamente al fallimento; più probabilmente, l’acquirente negozierà una somma per sanare la situazione.

D: La società Alfa (fallita) aveva concesso ipoteca alla Banca su un proprio immobile a garanzia di un mutuo che la Banca le erogava contestualmente. L’ipoteca è stata iscritta 5 mesi prima del fallimento, il mutuo era nuovo denaro entrato in azienda. Il curatore può revocare questa ipoteca?
R: Caso classico di garanzia contestuale a debito “nuovo”. Vecchia regola: le ipoteche per debiti contestualmente creati non erano soggette a revoca (il vecchio art. 67 co.1 esentava solo quelle su debiti preesistenti; su debito nuovo non c’era norma, ergo non revocabile perché niente vantaggio preferenziale: la banca ha dato soldi nuovi). Tuttavia, la formulazione dell’art. 166 co.2 CCII indica tra gli atti revocabili con scientia decoctionis anche quelli “costitutivi di un diritto di prelazione per debiti, anche di terzi, contestualmente creati”. Questo ha innovato rispetto al passato: ora anche le garanzie su finanziamenti nuovi possono essere revocate entro 6 mesi, se la banca sapeva dell’insolvenza. Nel caso concreto: ipoteca iscritta 5 mesi prima (entro i 6 mesi), quindi rientra. È un atto oneroso “normale” (perché il debito è contestuale, quindi la banca non migliorava una posizione preesistente, tuttavia la legge ora lo elenca comunque). Bisogna provare la malafede della banca. Se il mutuo fu concesso nonostante segnali di dissesto (magari per rientrare di esposizioni indirettamente, o in un clima di allarme), il curatore potrebbe sostenere che la banca sapesse e abbia solo fatto un rifinanziamento per consolidare. La banca ovviamente dirà: ho dato nuova finanza, ho aiutato l’impresa, come potevo immaginare. Servirebbero evidenze (es. rating interno pessimo, bilanci in rosso noti, ecc.). Dunque sì, in teoria è revocabile quell’ipoteca, ma condizionato alla prova della scientia decoctionis della banca. In mancanza di prova forte, l’azione potrebbe cadere. La Cassazione comunque ha ammesso revoche in situazioni analoghe quando appare che il nuovo mutuo fu di fatto un escamotage per garantire l’esposizione (es. prestito concesso solo per pagare altri debiti della banca stessa). In tal caso, l’ipoteca può essere revocata e la banca tornerebbe chirografaria per il mutuo concesso.

D: Il curatore può mai revocare un pagamento di salario ai dipendenti o il versamento dei contributi INPS? Non è “immorale” togliere quei soldi a lavoratori o enti previdenziali?
R: La revocatoria fallimentare non fa distinzioni qualitative: un pagamento a un dipendente è giuridicamente un pagamento di debito liquido ed esigibile come un altro. In teoria, se un’azienda paga stipendi arretrati a pochi giorni dal fallimento e magari quei dipendenti sapevano della crisi (difficile non sappiano se non ricevono stipendi da mesi), quel pagamento potrebbe rientrare nel semestre e configurare una preferenza. Storicamente, però, la giurisprudenza è stata molto prudente: pagare i lavoratori spesso non è revocato per ragioni di equità sostanziale, e perché i dipendenti poi sono protetti dal privilegio sui loro crediti (quindi la par condicio verrebbe comunque rispettata in parte). Inoltre, i dipendenti non sempre sono coscienti che l’azienda è insolvente (possono intuirlo, ma non hanno accesso pieno ai conti). Lo stesso dicasi per i contributi previdenziali pagati: tecnicamente sono debiti erariali. In linea di principio, sarebbero revocabili se pagati nel semestre con Inps consapevole (l’ente è di solito immune dal sospetto di “conoscenza”, a meno di palesi diffide). Va detto che la legge nel 2006 introdusse soglie: i pagamenti di contributi fino a certi importi non erano revocabili (poi la norma fu abrogata nel 2008 dalla Corte Cost., ma lo spirito rimane). Oggi non c’è un’esenzione specifica per salari o contributi, ma di fatto raramente si vedono revocatorie su stipendi, anche per opportunità: i dipendenti poi diventano creditori privilegiati e verrebbero comunque soddisfatti quasi integralmente in prededuzione dal Fondo di Garanzia INPS (per TFR e ultime 3 mensilità). Dunque il gioco non vale la candela, se il curatore li revocasse dovrebbe restituirli come crediti ai dipendenti con privilegio (e l’INPS li pagherebbe). Diverso sarebbe se fossero pagamenti straordinari tipo un bonus ingente a un amministratore poco prima del crack: quello sì, si tende a revocare perché appare in frode. Quindi in sintesi: in teoria possono, in pratica di rado lo fanno per pagamenti di lavoro ordinari, data la protezione dei lavoratori e l’esiguità spesso degli importi rispetto ai costi legali.

D: Un creditore aveva citato in giudizio il debitore (poi fallito) con azione revocatoria ordinaria per un certo atto. Il giudizio però era stato interrotto per fallimento del debitore. Può quel creditore individuale riassumerlo per conto proprio?
R: No, il singolo creditore non può più proseguire l’azione revocatoria ordinaria dopo il fallimento, perché come detto la legittimazione spetta solo al curatore. Il creditore dovrà semmai segnalare al curatore l’esistenza di quell’atto e dell’azione in corso. Potrà chiedere di essere ammesso al passivo per le spese legali eventualmente sostenute in quella causa interrotta, ma non riassumerla in proprio. Se il curatore decide di subentrare ex officio (è controverso se possa farlo formalmente in quel giudizio o debba iniziarne uno nuovo come curatore), comunque l’azione proseguirà in capo a lui. Il creditore attore originario diventa spettatore; se il curatore transige o rinuncia, il creditore non può opporsi, se non denunciando eventuali atti di mala gestio. Quindi la riassunzione da parte del creditore stesso non è ammessa, a meno che il curatore, autorizzato, non gli cede la facoltà (ma non è previsto normativamente). In breve: con il fallimento, la partita passa al curatore.

D: Dopo un fallimento, il curatore non promuove alcune revocatorie che secondo un certo creditore sarebbero opportune. Questo creditore può fare qualcosa per “costringere” il curatore ad agire?
R: Un singolo creditore non ha un potere diretto di imporre al curatore l’esercizio di azioni. Tuttavia, ha a disposizione alcuni strumenti di moral suasion e controllo: può presentare istanza al Comitato dei creditori e al Giudice Delegato segnalando l’opportunità di un’azione revocatoria non intrapresa, chiedendo che il curatore sia invitato a rivalutare la scelta. Il comitato può sollecitare il curatore (che in teoria avrebbe dovuto informarlo delle decisioni su azioni rilevanti). In casi estremi, il creditore potrebbe ricorrere per far rimuovere il curatore per inerzia (se non agisce a tutela della massa, art. 131 CCII), ma è un’azione drastica. Non esiste però un meccanismo di “azione surrogatoria” dove il creditore agisca al posto del curatore: questo era stato talvolta ipotizzato (specie se il curatore è inattivo e scadono i termini), ma la giurisprudenza lo nega in quanto l’azione spetta esclusivamente al curatore. L’unica eccezione potrebbe essere nel concordato fallimentare (non più previsto nel CCII) o nella chiusura del fallimento: se il fallimento si chiude senza esercitare un’azione, allora i creditori riacquiscono titolo individuale per agire (ma oramai il debitore è tornato in bonis e la revocatoria fallimentare non si applica più, semmai ordinaria). Quindi il creditore diligente può solo fare pressing sugli organi della procedura perché l’azione venga intrapresa. In pratica, spesso i curatori dialogano con i maggiori creditori sulle revocatorie da promuovere, e se decidono di non farne alcune, ne spiegano il perché (magari costi/benefici sfavorevoli).

D: Se un atto è qualificabile come distrazione o frode, il curatore cosa sceglie tra revocatoria e azione penale (bancarotta)?
R: La revocatoria fallimentare è cosa diversa dall’azione penale per bancarotta fraudolenta. Il curatore, di fronte a un atto di distrazione (es. un bene ceduto a prezzo vile a un prestanome), tipicamente fa entrambe le cose: da un lato, agisce in revocatoria per recuperare il bene o valore (profilo civile); dall’altro, segnala il fatto al PM per l’eventuale reato di bancarotta. Le due azioni viaggiano su binari separati: la condanna penale non restituisce il bene, serve il giudizio civile per ottenerne l’inefficacia. Quindi non c’è un’alternativa: si attivano entrambi i rimedi in parallelo. Se l’autore è condannato per bancarotta, ciò potrà indirettamente rafforzare in sede civile la prova del consilium fraudis o della scientia decoctionis del terzo, ma non è strettamente necessario. Viceversa, se la revocatoria accerta che quell’atto era fraudolento, quell’accertamento può essere utilizzato nel processo penale come elemento probatorio. In sintesi, il curatore non deve scegliere: la revocatoria serve a far cassa per i creditori, l’azione penale spetta al PM per punire il reato, e l’una non esclude l’altra.

D: Un imprenditore agricolo può essere soggetto a revocatoria fallimentare?
R: L’imprenditore agricolo, per definizione, non è assoggettabile a fallimento (art. 1 l.f. escludeva l’impresa agricola, e il CCII lo conferma: l’imprenditore agricolo rientra semmai nelle procedure di composizione della crisi per soggetti non fallibili). Dunque un imprenditore agricolo non subirà mai una “liquidazione giudiziale” e quindi non avremo mai un curatore che esercita revocatorie fallimentari nei suoi confronti. Tuttavia, se l’imprenditore agricolo accede a una procedura di sovraindebitamento o alla liquidazione controllata, il liquidatore nominato potrebbe esercitare azioni revocatorie (come abbiamo visto, il CCII estende alcune azioni al liquidatore del sovraindebitato). In pratica però, l’azienda agricola insolvente seguirà canali diversi: ad esempio, potrebbe proporre un concordato minore o un piano di ristrutturazione, dove di solito non c’è fase di revocatoria (perché non c’è liquidazione del patrimonio salvo casi di frodi evidenti). D’altro canto, i creditori di un imprenditore agricolo restano liberi di esercitare in proprio la revocatoria ordinaria (azione pauliana) se scoprono atti in frode. In definitiva: revocatoria fallimentare pura no, ma forme di revoca analoghe sì nell’ambito di liquidazioni negoziali. Da notare che se un soggetto è una società agricola (es. società semplice agricola), anch’essa non fallisce e segue sovraindebitamento.

D: Le start-up innovative godono di qualche immunità dalla revocatoria fallimentare?
R: Le “startup innovative” registrate come tali hanno alcuni vantaggi sul piano fiscale e procedurale (ad esempio, credo non siano soggette a procedure concorsuali tradizionali nei primi anni, o comunque l’art. 31 DL 179/2012 prevedeva l’esenzione da fallimento per 5 anni dalla costituzione – norma peraltro scaduta nel 2017). Attualmente, una start-up innovativa può accedere a misure come la composizione negoziata, ma se insolvente può essere posta in liquidazione giudiziale come qualunque società (dopo il periodo di garanzia iniziale non prorogato). Quindi, se una start-up viene dichiarata in liquidazione giudiziale, la revocatoria si applica normalmente. Non risultano esenzioni specifiche di legge “pro startup” in tema di revocatoria. Semmai, poiché spesso le startup sono sottocapitalizzate e vivono di finanziamenti soci o di equity, alcuni atti tipici (aumenti di capitale, conversioni di prestiti) difficilmente configureranno pagamenti revocabili. Una questione può essere: se una startup riceve investimenti dagli incubatori e poi fallisce, quei conferimenti di capitale non sono revocabili perché non sono atti del debitore in pregiudizio, anzi incrementavano il patrimonio. Viceversa, se la startup ha rimborsato anticipatamente un convertendo a un investitore in crisi, quell’atto potrebbe essere revocabile. In sintesi: nessuna immunità generale; le startup seguono le stesse regole delle PMI.

D: In caso di concordato preventivo poi risolto e convertito in fallimento, un atto compiuto durante il concordato (es. una vendita di asset autorizzata dal GD) può essere revocato dal curatore post-fallimento?
R: No, se l’atto era autorizzato e compiuto nell’ambito del concordato preventivo, rientra nell’esenzione dell’art. 166 co.3 lett. e CCII. Gli atti legalmente compiuti dopo il deposito della domanda di concordato e in esecuzione dello stesso sono protetti. Ad esempio, se in concordato la società ha venduto un immobile con autorizzazione tribunale per pagare i creditori, quell’atto non potrà essere revocato dal curatore dopo il fallimento (anche se il concordato è andato in risoluzione). Diverso sarebbe un atto che il debitore ha compiuto volontariamente durante le trattative di concordato ma senza autorizzazione e fuori dal piano: quello potrebbe essere considerato estraneo e dunque non coperto dall’esenzione, e quindi revocabile se nei periodi. Ma in generale, la ratio è che ciò che è fatto sotto l’ala del tribunale nel concordato non si tocca dopo. E infatti il correttivo 2024 ha aggiunto analoga tutela per il concordato semplificato.

D: Un fallimento si chiude (per insufficienza attivo o perché tutto venduto) senza che il curatore abbia esercitato una certa revocatoria. I creditori possono dopo la chiusura agire in proprio?
R: Dopo la chiusura della procedura, il debitore torna in bonis (se persona fisica) o la società si estingue (se era società). In entrambi i casi, l’azione revocatoria fallimentare non può più essere esercitata (manca il soggetto legittimato, il curatore cessato; e manca la procedura concorsuale). I creditori tornano liberi di agire individualmente per i propri crediti residui, ma a quel punto l’atto da revocare è stato compiuto dal “ex fallito” anni prima… Potrebbero tentare un’azione pauliana ordinaria, ma se il debitore era persona fisica e torna proprietario di qualcosa, teoricamente sì. Se era società, ormai estinta, i creditori potrebbero provare a far valere i loro crediti verso i soci (se di snc) o verso liquidatori, ma non con revocatoria dell’atto sociale (perché la società non esiste più). Insomma, la chiusura spesso preclude di fatto ulteriori revocatorie. I creditori avrebbero dovuto far presente prima l’opportunità. Quindi, realisticamente no, non c’è un “seconda chance” per i creditori di revocare dopo la chiusura.

Approfondimenti per categorie specifiche di soggetti

In questa sezione analizziamo particolari implicazioni della disciplina della revocatoria fallimentare per alcuni tipi di soggetti coinvolti, ossia le PMI, le start-up, gli imprenditori agricoli, le società di capitali e i professionisti. Pur trattandosi della medesima normativa, ciascuna di queste categorie presenta peculiarità nell’applicazione pratica o nell’interazione con le procedure concorsuali, che meritano di essere evidenziate.

PMI (Piccole-Medie Imprese) e start-up

Le PMI e le start-up costituiscono la gran parte del tessuto imprenditoriale e spesso, in caso di crisi, possono accedere sia alle procedure maggiori (fallimento/liquidazione giudiziale) sia a quelle minori (concordati minori, composizione negoziata, ecc.) a seconda delle dimensioni e dei requisiti. Per le PMI di minori dimensioni, talvolta non si supera la soglia di fallibilità (ricordiamo che storicamente non erano fallibili gli imprenditori “piccoli” ai sensi dell’art. 1 l.f.); nel Codice della Crisi l’attenzione al dimensionamento è rimasta con la definizione di “debitore minore” e l’introduzione di un concordato semplificato e di procedure di ristrutturazione agevolate. Ciò comporta che molte PMI in crisi non passino dal fallimento tradizionale e quindi non vi sia un curatore che esercita revocatorie. Piuttosto, esse possono risolvere la crisi tramite accordi stragiudiziali o piani attestati (dove come visto gli atti in esecuzione del piano sono esenti da revocatoria), oppure tramite la composizione negoziata (che prevede misure protettive ma non un regime di revocatoria se si arriva a concordato agevolato).

Tuttavia, quando una PMI è assoggettata a liquidazione giudiziale, le regole della revocatoria si applicano integralmente. Ci sono però alcune considerazioni pratiche:

  • Spesso i rapporti d’affari di una PMI sono “di prossimità” (fornitori locali, parenti soci, ecc.). Ciò significa che in molte revocatorie relative a PMI si riscontrano situazioni di stretta conoscenza: il fornitore era magari anche parente dell’imprenditore, o il creditore ipotecario era la banca del paese informata di tutto. Questo può facilitare la prova della scientia decoctionis da parte del curatore (o addirittura integrare presunzioni).
  • D’altro canto, le PMI raramente compiono atti particolarmente complessi come leveraged buyout, emissioni obbligazionarie, scissioni societarie (tipiche delle grandi società). Quindi la casistica delle revocatorie per PMI tende a concentrarsi sui pagamenti preferenziali e sulle garanzie ai creditori vicini. Ad esempio: l’imprenditore ha pagato integralmente il fornitore X (magari l’amico) e lasciato indietro altri, oppure ha ipotecato il capannone a favore della banca sotto pressione. Questi sono gli atti tipici oggetto di revoca nelle PMI.

Le start-up innovative in sé non hanno un regime speciale per la revocatoria. Come notavamo, c’era una norma che escludeva le startup innovative dalle procedure concorsuali per i primi anni, ma è decaduta. Quindi oggi, una start-up che diventi insolvente può essere dichiarata in liquidazione giudiziale (se supera i limiti dimensionali minimi). In pratica, molte startup se falliscono lo fanno in tempi relativamente brevi dalla costituzione, e magari non hanno attivo rilevante, per cui talvolta il fallimento viene chiuso subito o neppure dichiarato se sotto soglia. Nei casi in cui c’è stata malagestio (es. founder che spostano assets altrove), il curatore può agire. Ma spesso le startup falliscono più “pulite”, avendo bruciato cassa e basta. Dunque, poche vicende di revocatoria emergono.

Una questione per PMI e start-up: i finanziamenti bancari assistiti da garanzia pubblica (Fondo PMI, garanzia statale). Pagamenti effettuati a banche garantite dallo Stato potrebbero avere implicazioni particolari? La revocatoria colpisce il pagamento alla banca se preferenziale; la banca restituirebbe, poi farebbe valere la garanzia. Anche i finanziamenti Covid garantiti (es. dal Mediocredito) non hanno esenzioni ad hoc.

In conclusione: PMI e start-up sono soggette alla revocatoria come tutti, ma beneficiano spesso di regimi alternativi (piani attestati, accordi) che evitano l’apertura del fallimento e dunque anche la revocatoria. Se però si arriva al fallimento, non c’è indulgenza particolare: ogni atto “sospetto” sarà vagliato.

Imprenditori agricoli

Gli imprenditori agricoli storicamente sono esclusi dal fallimento (art. 1 l.f. escludeva chi esercita attività agricole ex art. 2135 c.c.). Il Codice della Crisi conferma che restano fuori dalla liquidazione giudiziale: per loro è previsto, in caso di insolvenza, l’accesso alle procedure di sovraindebitamento (accordo di ristrutturazione minore, piano del consumatore se persona fisica, o liquidazione controllata). Pertanto, tecnicamente non esiste una “revocatoria fallimentare” in senso stretto per l’imprenditore agricolo, perché non c’è il fallimento.

Tuttavia, nel concordato minore o nella liquidazione controllata cui l’imprenditore agricolo può accedere, il Codice consente al liquidatore (o al commissario) alcune azioni recuperatorie. In particolare, l’art. 270 CCII (Liquidazione controllata) richiama l’art. 163 e segg.: “il liquidatore esercita le azioni revocatorie di cui al capo X del titolo V” con riferimento al sovraindebitato. Quindi, se un agricoltore è in liquidazione controllata, il liquidatore controllato può esercitare revocatorie analoghe a quelle fallimentari. Questo è un punto di attenzione perché la L.3/2012 non dava tale potere, ma il CCII sì, uniformando il sistema.

Un imprenditore agricolo individuale potrebbe però spesso essere anche piccolo imprenditore commerciale in parte – capita per agriturismi, attività miste. In quei casi borderline, un tribunale potrebbe anche dichiararlo fallito se prevale la componente commerciale (ma sono casi rari e contestati).

Quindi, per gli agricoli:

  • Se vanno in procedure di sovraindebitamento, hanno una protezione parziale: durante un piano del consumatore o accordo minore, non scattano revocatorie (non c’è liquidatore attivo, salvo comportamenti dolosi). Solo se si arriva a liquidazione controllata, sì.
  • Gli atti tipici dell’impresa agricola (es. vendita di terreni di famiglia a congiunti) possono essere colpiti da revocatoria ordinaria promossa dai creditori se c’è insolvenza, anche senza fallimento. Non c’è bisogno del curatore. Infatti molti agricoltori insolventi subiscono cause dai fornitori: es. vendono trattori ai figli per non farli pignorare, i creditori fanno l’azione pauliana ordinaria.

In generale, l’assenza del fallimento riduce l’incidenza della revocatoria concorsuale in agricoltura. E ciò è coerente con la volontà legislativa di proteggere il settore primario da procedure concorsuali “invasive”. L’effetto pratico è che i creditori dell’agricoltore devono arrangiarsi individualmente (azioni esecutive o revocatorie ordinarie), a meno di coinvolgere il liquidatore di una liquidazione controllata (se intrapresa).

Società di capitali (S.p.A., S.r.l.) e grandi imprese

Per le società di capitali e le imprese di maggiori dimensioni, la revocatoria fallimentare assume un ruolo spesso decisivo nel recupero dell’attivo. Nelle procedure di grandi aziende insolventi (si pensi a casi di cronaca: grandi gruppi industriali), i curatori e commissari straordinari utilizzano intensamente gli strumenti revocatori per riportare nel patrimonio risorse dissipate. Alcune peculiarità in questo contesto:

  • Le grandi imprese spesso compiono atti straordinari o finanziari complessi (fusioni, scissioni, finanziamenti strutturati, pegni su pacchetti azionari, operazioni estero su estero, garanzie infragruppo). La revocatoria può in questi casi intrecciarsi con normative speciali: ad esempio, le garanzie finanziarie (d.lgs. 170/2004) godono di un’esenzione dalla revocatoria fallimentare se date in determinati contesti, per favorire i mercati finanziari. Oppure, in amministrazione straordinaria di grandi imprese (es. caso Alitalia), certe cessioni di rami d’azienda possono essere protette per legge. Il curatore/commissario deve quindi muoversi tra esenzioni settoriali e normative comunitarie.
  • Nelle società di capitali c’è la figura dell’organo amministrativo: se atti pregiudizievoli sono stati compiuti dagli amministratori, oltre alla revocatoria il curatore può agire per responsabilità verso di loro (azione di massa ex art. 146 l.f., ora 255 CCII). Spesso si fanno entrambe: revocatoria contro il terzo, e azione di responsabilità contro l’amministratore che ha compiuto l’atto dannoso.
  • In gruppi societari, si pone il tema di revocatorie infragruppo: es. società A fallita aveva fatto pagamenti anomali a favore della controllante B (ancora attiva). Il curatore di A può revocare contro B. Se però anche B fallisce, la questione rientra nelle “revocatorie tra fallimenti” di cui sopra. Talora, per semplificare, se fallisce l’intero gruppo, si preferisce far circolare le risorse con compensazioni interne approvate dal GD, invece di revocare formalmente (questo se c’è coordinamento – oggi il CCII ha introdotto norme sul Gruppo d’imprese in crisi).
  • Banche e istituzioni finanziarie: la liquidazione coatta amministrativa (LCA) di banche e altre istituzioni ha regole proprie, ma per la revocatoria rimanda spesso alle norme fallimentari. L’art. 94 del Tub (per banche in LCA) richiama l’art. 70 l.f. (azioni revocatorie). Di recente, col Codice, per la LCA dovrebbe applicarsi in quanto compatibile il Capo sulle revocatorie. Dunque, i commissari liquidatori agiscono con poteri simili ai curatori. Un caso storico: la revocatoria delle rimesse bancarie nei confronti di banche poi fallite (la cosiddetta revocatoria subita dalla banca fallita per le garanzie finanziarie date), ma sono dettagli.
  • Concordato preventivo: se la grande impresa sceglie il concordato (in continuità o liquidatorio) e lo conclude con successo, evita il fallimento e dunque le revocatorie. Questo è spesso un motore per preferire il concordato: in concordato i creditori accettano un piano e rinunciano di fatto alle azioni recuperatorie classiche, puntando su soddisfazione concordataria. Il Codice però ha introdotto per i concordati preventivi liquidatori la regola che se la liquidazione concordataria non soddisfa almeno il 20% chirografo, il tribunale non omologa: ciò incentiva anche i concordati a “non essere troppo favorevoli ai soli garantiti”.

In sintesi, per le società di capitali la revocatoria è pane quotidiano nelle procedure concorsuali: i curatori setacciano operazioni sospette, con l’ausilio di consulenti, e intraprendono cause (spesso complesse e lunghe). La difesa degli istituti di credito e di altri controparti in queste cause ha generato un ricco contenzioso e orientamenti evolutivi (come visto, Cass. su rimesse bancarie, presunzioni di insolvenza, ecc.).

Professionisti (imprese individuali non commerciali, professionisti e consumatori)

I professionisti (avvocati, commercialisti, architetti ecc. con studi individuali) e più in generale i soggetti non fallibili (consumatori privati) non sono soggetti a fallimento. In caso di insolvenza, anch’essi accedono alle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento. La revocatoria fallimentare in senso tecnico non li riguarda, per mancanza di procedura concorsuale con curatore.

Tuttavia, con il Codice della Crisi:

  • Se un professionista (diciamo un avvocato) sovraindebitato entra in una liquidazione controllata (ex liquidazione del patrimonio), il nominato liquidatore potrà esercitare revocatorie come farebbe un curatore. Quindi atti che l’avvocato avesse compiuto (es. vendere un immobile ai figli per non farlo pignorare) potrebbero essere revocati dal liquidatore.
  • Se invece il professionista ricorre ad un piano del consumatore o un accordo di composizione, lì non c’è fase di revocatoria, ma il giudice può negare l’omologazione se riscontra atti in frode anteriori (cosa che sconfina nel campo dei requisiti di meritevolezza del debitore).

Nel caso di consumatori (debiti personali, familiari), l’idea è che non vi sia un curatore che “va a prendere” regali o atti compiuti prima. Però, attenzione: la legge consente sempre ai creditori insoddisfatti di esperire la revocatoria ordinaria. Ad esempio, se un privato oberato dai debiti regala la casa al coniuge, la banca creditrice (anche senza fallimento) può fare azione ex art. 2901 c.c. per dichiarare l’atto inopponibile e rivalersi sull’immobile.

Dunque i professionisti e consumatori in senso stretto, non avendo la spada della revocatoria concorsuale, sono meno esposti a recuperi “d’ufficio”. Ciò però comporta anche minori strumenti di riequilibrio per i loro creditori in sede concorsuale: il liquidatore può fare qualcosa, ma spesso le procedure da sovraindebitamento si chiudono senza azioni perché l’attivo è modesto e i costi di cause non valgono la pena. La riforma del 2021 ha tuttavia indicato che anche nel sovraindebitamento “il debitore deve indicare gli atti di disposizione compiuti negli ultimi anni” e c’è un controllo di meritevolezza: un professionista che ha dissipato beni per sottrarli ai creditori rischia di non vedersi approvato il piano o di subire l’inefficacia di quegli atti come condizione per accedere alla procedura (ad es. potrebbe essergli chiesto di far rientrare quei beni). Non è formalmente una revocatoria, ma l’effetto è simile.

In conclusione sulle categorie: mentre le regole legali della revocatoria sono uniformi, l’effettiva incidenza varia: per le grandi imprese è un meccanismo cruciale e attivo, per i piccoli e non fallibili interviene in modo più sfumato o indiretto. Ciò riflette la proporzionalità dell’intervento concorsuale: si concentrano risorse laddove c’è più attivo recuperabile e atti più consistenti da sindacare, mentre si semplifica per le realtà minori privilegiando soluzioni stragiudiziali.

Conclusione

La revocatoria fallimentare si conferma, anche alla luce del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, uno strumento di fondamentale importanza per garantire la giustizia distributiva tra i creditori nelle procedure concorsuali. Pur con qualche aggiustamento innovativo (come il diverso dies a quo per il periodo sospetto e l’ampliamento di alcune esenzioni), l’impianto resta quello collaudato: recuperare alla massa i valori sottratti in prossimità dell’insolvenza, bilanciando l’esigenza di tutela dei creditori con la necessaria certezza dei traffici giuridici.

Per gli avvocati, la materia della revocatoria fallimentare richiede una padronanza trasversale di diritto civile (in particolare obbligazioni e contratti, azione pauliana), procedura civile e diritto fallimentare, nonché la capacità di leggere gli indizi fattuali che provano la malafede nelle transazioni. Occorre saper analizzare bilanci, movimenti finanziari, relazioni fra parti, per costruire o contestare la presunzione di scientia decoctionis. Questo strumento, se ben utilizzato dal curatore, può incrementare significativamente l’attivo fallimentare (si pensi a casi in cui attraverso revocatorie si recuperano milioni di euro di pagamenti preferenziali) e nello stesso tempo dissuade i creditori dal tentare corse al patrimonio nell’imminenza del fallimento (sapendo che potrebbero essere vanificate).

Per gli imprenditori, conoscere la disciplina delle revocatorie è altrettanto cruciale: significa sapere che certi atti compiuti in periodi di difficoltà potrebbero essere invalidati a posteriori. Un imprenditore informato potrà evitare, ad esempio, di offrire garanzie “last minute” a un solo fornitore o di anticipare pagamenti sospetti, optando invece per soluzioni negoziali trasparenti (piani attestati, accordi) che la legge tutela dalla revocatoria. Inoltre, in situazioni di rischio insolvenza, l’imprenditore consapevole potrà spiegare ai suoi partner che eventuali accordi preferenziali potrebbero non reggere al vaglio concorsuale, favorendo così trattative più eque.

In definitiva, la guida qui presentata – aggiornata a maggio 2025 – fornisce un quadro completo, teorico e pratico, della revocatoria fallimentare nel vigente ordinamento. Il messaggio è duplice: da un lato attrezzarsi giuridicamente per utilizzare o resistere a questo potente strumento (professionisti del diritto), dall’altro agire con correttezza e tempestività nella crisi d’impresa per evitare di incorrere negli strali della revocatoria (imprese e creditori). Conoscere i tempi, le condizioni e gli effetti della revocatoria significa poter prevedere e gestire meglio le conseguenze della crisi, limitando il contenzioso e orientando le scelte verso soluzioni compliant con la legge concorsuale.

Fonti normative, dottrinali e giurisprudenziali citate

  • Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.lgs. 14/2019) – Articoli rilevanti: artt. 163-164 (atti inefficaci ex lege), art. 165 (azione revocatoria ordinaria del curatore), art. 166 (atti a titolo oneroso, pagamenti, garanzie revocabili), art. 167 (esenzioni da revocatoria, come da co.3 art.166), art. 169 (ulteriori disposizioni), art. 170 (limiti temporali per l’azione: decadenza 3 anni e prescrizione 5 anni).
  • Legge Fallimentare previgente (R.D. 16 marzo 1942 n. 267) – Disposizioni corrispondenti: art. 64 (atti a titolo gratuito, 2 anni), art. 65 (pagamenti anticipati, 1 anno), art. 66 (azione revocatoria ordinaria del curatore), art. 67 (atti a titolo oneroso anomali/pagamenti/garanzie, 6 mesi-2 anni), art. 67, comma 3 (esenzioni: pagamenti d’uso, rimesse bancarie, operazioni su immobili abitativi, piani attestati, ecc.), art. 69-bis (decadenza 2 anni – poi 3 anni – e prescrizione 5 anni).
  • Decreto Legislativo 16 novembre 2020 n. 147 (c.d. “Decreto Correttivo” al CCII) – Ha apportato modifiche al Codice della Crisi, senza stravolgere la materia delle revocatorie (ha in parte riscritto art. 166 per correggere refusi).
  • Decreto Legislativo 13 settembre 2024 n. 136 (c.d. “Correttivo-ter”) – Intervenuto sul CCII, art. 166 co.3 inserendo l’esenzione per atti in esecuzione del concordato semplificato, colmando una lacuna normativa.
  • Codice Civile, art. 2901 (azione revocatoria ordinaria, condizioni ed effetti) e art. 2903 c.c. (prescrizione quinquennale dell’azione ordinaria). Art. 1456 c.c. (clausola risolutiva espressa, rilevante per Cass. 12754/2024).
  • Giurisprudenza di legittimità (Corte di Cassazione):
    • Cass., Sez. Un., 24/06/2020 n. 12476: principio sulla natura dell’azione revocatoria (“oggetto non è il bene, ma la reintegrazione patrimoniale”); competenza tribunale fallimentare; revocatoria tra fallimenti.
    • Cass., Sez. I, 19/02/2021 n. 4482: computo periodo sospetto in caso di consecuzione di procedure (da ammissione a proc. precedente).
    • Cass., Sez. Un., 16/02/2022 n. 5049: revocabilità di rimesse da pegno; conferma orientamenti su rimesse bancarie e operazioni bilanciate.
    • Cass., Sez. I, 02/05/2023 n. 11357: presunzione iuris et de iure dell’insolvenza nel periodo sospetto, nessuna prova contraria ammessa.
    • Cass., Sez. I, 25/09/2023 n. 27266: operazioni bilanciate banca-cliente, criteri per escludere funzione solutoria (accordi su provvista).
    • Cass., Sez. I, 09/05/2024 n. 12754: clausola risolutiva espressa non soggetta a revocatoria.
    • Cass., Sez. Un., 26/02/2025 n. 5098: revocatoria dell’atto di scissione societaria – competenza tribunale fallimentare; distinzione con revocatoria ordinaria su scissione (competenza sez. imprese).
    • Cass., Sez. I, 27/05/2022 n. 16915: (citata in dottrina, relativa a pagamenti durante composizione negoziata poi fallimento).
    • Cass., Sez. VI-III, 09/09/2022 n. 26543: efficacia interruttiva di citazione poi estinta (prescrizione revocatoria ordinaria) – conferma che atto di citazione notificato interrompe prescrizione anche se giudizio estinto.
    • Cass., Sez. Un., 15/05/2015 n. 6070: (non citata sopra, ma importante: Sezioni Unite su pagamenti a professionisti: stabilì che per l’avvocato che riceve parcella dal fallendo, la revocatoria è possibile come per altri creditori).
  • Giurisprudenza di merito:
    • Tribunale di Milano, 02/08/2022 n. 6750: ha ribadito che la conoscenza dello stato d’insolvenza può essere provata per presunzioni (scientia decoctionis effettiva ma desumibile).
    • Tribunale di Bergamo, 11/10/2022 n. 2216: esempio di revoca di cessione di credito infragruppo (cit. da ricerche, non in testo).
    • Corte d’Appello di … (alcune pronunce su revocabilità di affitti d’azienda, etc., qui omesse per brevità).
  • Corte Costituzionale:
    • Sent. n. 4/1971: legittimità costituzionale dell’allora art. 67 l.f. (questione su atti tra coniugi oltre i 2 anni, rigetto).
    • Sent. n. 39/2000: legittimità art. 67 l.f. rispetto a pagamenti di debiti fiscali e contributivi (questione su disparità trattamento, rigetto).
    • Ordinanza n. 123/2007: su revocatoria in LCA banche (con riferimento a garanzie su finanziamenti, ha richiamato principi).
    • Sent. n. 225/2014: (non sulla revocatoria, ma citata in Corte Cost. 245/2019 per tema falcidia IVA – contesto crisi, irrilevante qui).
    • Sent. n. 270/1972 e n. 172/1994: ulteriori decisioni su costituzionalità della revocatoria (es. atti leciti revocati, considerati ragionevoli).

Revocatoria Fallimentare nel Codice della Crisi: Perché Affidarti a Studio Monardo

Hai ricevuto un atto di revocatoria fallimentare da parte del curatore di una procedura di liquidazione giudiziale?
Ti viene contestata un’operazione avvenuta mesi o anni prima, con la richiesta di restituire somme o beni ricevuti?

⚠️ Con l’entrata in vigore del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, la disciplina della revocatoria è cambiata, ma resta uno strumento potentissimo in mano al curatore per recuperare atti sospetti o pregiudizievoli.
Chi ha avuto rapporti con un’impresa poi fallita, può essere chiamato a restituire anche in buona fede.

✅ Possono essere revocati pagamenti, compensazioni, garanzie, vendite o cessioni effettuate prima della liquidazione giudiziale
✅ Le operazioni fatte negli ultimi 6 o 12 mesi possono essere annullate se ritenute anomale o pregiudizievoli
✅ Anche i professionisti, fornitori e parenti dell’imprenditore possono essere coinvolti nella revocatoria
✅ È possibile difendersi e respingere l’azione, ma serve una strategia tempestiva e documentata

Cosa può fare per te l’Avvocato Giuseppe Monardo

✅ Analizza la tua posizione per verificare se la revocatoria è fondata o può essere respinta

✅ Contesta formalmente l’atto del curatore, dimostrando l’assenza di consapevolezza dello stato di crisi o il carattere ordinario dell’operazione

✅ Ti rappresenta in giudizio per opporti alla richiesta di restituzione o per limitare gli importi richiesti

✅ Difende il tuo patrimonio personale o aziendale da azioni aggressive e richieste sproporzionate

✅ Ti assiste anche in fase preventiva, se hai rapporti con imprese in difficoltà e vuoi evitare di essere coinvolto in futuro

Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

🔹 Avvocato esperto in revocatorie fallimentari e contenzioso concorsuale
🔹 Gestore della Crisi da Sovraindebitamento – iscritto al Ministero della Giustizia
🔹 Negoziatore della Crisi d’Impresa – abilitato ex D.L. 118/2021
🔹 Fiduciario OCC – Organismo di Composizione della Crisi
🔹 Coordinatore nazionale di esperti in tutela dei terzi coinvolti nelle procedure fallimentari

Perché agire subito

⏳ I termini per rispondere a un atto di revocatoria sono molto stretti: se non ti difendi subito, rischi una condanna

⚠️ Le revocatorie possono colpire professionisti, fornitori, familiari o società collegate, anche se hanno agito in buona fede

📉 Rischi concreti: obbligo di restituzione, pignoramenti, blocco dei conti, danni patrimoniali e reputazionali

🔐 Solo un avvocato esperto può fermare la revocatoria, salvare il tuo patrimonio e limitare i danni

Conclusione

La revocatoria fallimentare nel Codice della Crisi è uno strumento incisivo e complesso. Ma chi la subisce ha diritto a difendersi con forza, con strumenti tecnici e strategie mirate.

Affidarsi all’Avvocato Giuseppe Monardo significa avere al proprio fianco una guida esperta nella difesa da revocatorie e nella protezione patrimoniale, anche per soggetti terzi coinvolti.

Qui sotto trovi tutti i riferimenti per richiedere una consulenza riservata e immediata.
Se hai ricevuto un atto di revocatoria o hai dubbi su una transazione pregressa, il momento per agire è adesso.

Leggi con attenzione: Se stai affrontando difficoltà con il Fisco e hai bisogno di una rapida valutazione delle tue cartelle esattoriali e dei debiti, non esitare a contattarci. Siamo pronti ad aiutarti immediatamente! Scrivici su WhatsApp al numero 351.3169721 oppure inviaci un’e-mail all’indirizzo info@fattirimborsare.com. Ti ricontatteremo entro un’ora per offrirti supporto immediato.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
Si invita a leggere attentamente il disclaimer del sito.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

My Agile Privacy
Privacy and Consent by My Agile Privacy

Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. 

Puoi accettare, rifiutare o personalizzare i cookie premendo i pulsanti desiderati. 

Chiudendo questa informativa continuerai senza accettare. 

Torna in alto

Abbiamo Notato Che Stai Leggendo L’Articolo. Desideri Una Prima Consulenza Gratuita A Riguardo? Clicca Qui e Prenotala Subito!