Guida Ai Debiti Erariali E Contributivi Nel Codice Della Crisi D’impresa

La tua impresa ha accumulato debiti con il Fisco e con gli enti previdenziali come INPS e INAIL? Ti stai chiedendo se è possibile rientrare in regola senza essere travolto da pignoramenti, sanzioni o richieste personali ai soci e agli amministratori?

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario, gestione della crisi aziendale e procedure di ristrutturazione – ti spiega in modo chiaro e pratico come gestire i debiti erariali e contributivi attraverso gli strumenti previsti dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, con l’obiettivo di evitare il fallimento e rilanciare l’attività.

Scopri come funziona la transazione fiscale e previdenziale, in quali casi è possibile ottenere lo stralcio di sanzioni e interessi, quali procedure possono essere attivate per bloccare le azioni esecutive, come presentare un piano sostenibile anche in presenza di debiti elevati, e quando è possibile ottenere protezione legale per la società e i suoi rappresentanti.

Alla fine della guida troverai tutti i contatti per richiedere una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo, valutare nel dettaglio la posizione della tua impresa e costruire una strategia concreta per ristrutturare i debiti fiscali e contributivi, salvare il patrimonio aziendale e ripartire in sicurezza.

Introduzione

I debiti erariali e contributivi (ossia i debiti verso il Fisco e gli enti previdenziali) rivestono un ruolo cruciale nelle procedure di gestione della crisi d’impresa. La presente guida fornisce un’analisi approfondita e aggiornata a maggio 2025 del trattamento di tali debiti nell’ambito del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019, anche “CCII”), introdotto con la riforma organica della disciplina fallimentare. Verranno esaminati i cambiamenti rispetto alla disciplina previgente, le novità normative (comprese le modifiche del 2022 e 2024), gli strumenti di composizione negoziata della crisi con focus sui debiti fiscali/previdenziali, i profili penali correlati, nonché applicazioni settoriali nei principali comparti economici. Troverete inoltre tabelle riepilogative che confrontano regimi e opzioni disponibili per la gestione dei debiti fiscali e contributivi, una sezione FAQ con domande frequenti e delle simulazioni pratiche di casi aziendali in crisi. Il testo è redatto in linguaggio giuridico ma accessibile, con un taglio professionale rivolto a imprenditori e operatori legali.

Evoluzione normativa: dalla Legge Fallimentare al Codice della Crisi

Disciplina previgente (ante riforma 2019)

Sotto la Legge Fallimentare (R.D. 267/1942 e successive modifiche), il trattamento dei debiti fiscali e contributivi seguiva regole rigide improntate alla tutela dell’Erario. In caso di fallimento, tali debiti venivano ammessi al passivo con il rango di crediti privilegiati (generale sui mobili) fino a un certo limite temporale (ultimi 2-3 anni, ex art. 2777 c.c.) e la parte eccedente come chirografaria. In pratica, nella graduazione concorsuale le pretese tributarie occupavano posizioni di prelazione molto elevate, subito dopo i crediti dei lavoratori.

Per le procedure concorsuali minori, la legge prevedeva l’istituto della transazione fiscale (introdotto nel 2005 e disciplinato dall’art. 182-ter L.F. nell’ultima versione). Tale strumento consentiva all’imprenditore in concordato preventivo o accordo di ristrutturazione di proporre al Fisco un pagamento parziale e/o dilazionato dei tributi e contributi. Tuttavia, la normativa imponeva alcuni vincoli stringenti: in particolare la proposta doveva garantire all’Erario un trattamento non inferiore a quello che avrebbe ottenuto in una liquidazione fallimentare (c.d. principio del “divieto di trattamento deteriore”). Inoltre, fino al 2016 vigeva il divieto di falcidiare taluni tributi “indisponibili” (come l’IVA e le ritenute operate): in origine era richiesta la loro integrale soddisfazione, in ossequio al principio che il debitore non può disporre dell’obbligazione tributaria senza base legale. Solo successivamente, anche a seguito di interventi della Corte di Giustizia UE, si è ammessa la possibilità di includere anche l’IVA e le ritenute nella transazione fiscale, purché fosse rispettato il test di convenienza rispetto all’alternativa liquidatoria.

Nella vigenza della legge fallimentare, l’accettazione della proposta transattiva da parte dell’Erario era un elemento sostanziale: Agenzia Entrate e INPS conservavano in pratica un potere di veto. L’assenza di adesione del Fisco poteva pregiudicare l’omologazione di concordati e accordi che prevedessero stralci sui loro crediti. Ne derivava una situazione spesso rigida: molte imprese in crisi si trovavano nell’impossibilità di falcidiare i debiti fiscali, se non ottenendo un formale assenso delle Agenzie, il che limitava le chance di risanamento. In sintesi, prima della riforma le possibilità di trattamento dei debiti tributari e contributivi erano circoscritte e subordinate a condizioni severe, con riferimento costante ai principi di priorità assoluta (pagamento integrale almeno sul valore di liquidazione) e di par condicio rispetto ad altri creditori di pari grado.

Fuori dalle procedure concorsuali, le imprese potevano gestire tali debiti solo attraverso strumenti amministrativi ordinari: ad esempio la rateizzazione delle cartelle esattoriali ex art. 19 DPR 602/1973 (72 rate standard, estensibili a 120 rate in casi straordinari), o aderendo a misure di definizione agevolata dei ruoli (c.d. rottamazioni delle cartelle) previste da normative speciali. Per i debiti contributivi verso INPS vigeva analogamente la possibilità di dilazioni (fino a 24 mesi ordinari, estensibili in alcuni casi), ma l’omesso versamento di contributi poteva comportare sanzioni pecuniarie e persino conseguenze penali se superava determinate soglie (v. infra sezione penale). I piccoli imprenditori non fallibili e i soggetti non fallibili (come professionisti, agricoltori sotto soglia, consumatori) potevano accedere alle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento (Legge 3/2012), che includevano un accordo o un piano del consumatore, dove però il trattamento dei crediti pubblici era ugualmente vincolato al rispetto del principio di convenienza per l’ente impositore.

Il Codice della Crisi (D.Lgs. 14/2019) e le novità introdotte (2020-2025)

Il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII), emanato con D.Lgs. 14/2019 in attuazione della delega della L. 155/2017, ha rappresentato una riforma organica che ha abrogato la legge fallimentare e innovato la disciplina, compresa quella dei debiti fiscali e contributivi. Entrato in vigore (dopo rinvii causati dalla pandemia) il 15 luglio 2022, il Codice è stato oggetto di vari interventi correttivi e modifiche successive, in particolare:

  • D.Lgs. 147/2020 (primo correttivo) – ha introdotto disposizioni integrative e correttive, entrate in vigore contestualmente al Codice. In ambito fiscale, ha modificato l’art. 63 CCII sugli accordi di ristrutturazione, prevedendo espressamente la possibilità di transazione fiscale e contributiva anche in tali accordi e delineando condizioni per l’adesione forzosa del Fisco (v. oltre).
  • D.Lgs. 83/2022 (secondo correttivo) – adottato per recepire la Direttiva UE 2019/1023 “Insolvency”, ha ulteriormente aggiornato la disciplina. Ha introdotto nuovi strumenti come il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione e modificato il quadro delle misure di allerta e composizione assistita (di fatto sostituendo l’originario sistema di allerta con approcci più flessibili). Rilevante per il nostro tema, ha consolidato la possibilità di cram-down fiscale: ovvero la facoltà del tribunale di omologare concordati e accordi anche in assenza di voto favorevole dell’Erario, a condizione che l’offerta fosse almeno pari al miglior risultato alternativo e rispettasse determinate soglie (ad esempio, soddisfacimento minimo del 30% del credito tributario, elevato al 40% in mancanza di altri creditori chirografari di rilievo). Tali percentuali sono previste dal Codice per valutare la convenienza della proposta rispetto alla liquidazione e bilanciare il potere di veto degli enti pubblici.
  • D.Lgs. 13 ottobre 2022 n. 149 – sebbene riguardi la riforma della giustizia civile (tra cui procedura esecutiva), merita menzione perché ha impattato sulle soglie di punibilità di alcuni reati tributari e sulla gestione del sovraindebitamento (in coordinamento con il CCII).
  • D.L. 118/2021 conv. in L. 147/2021 – pur precedente all’entrata in vigore del Codice, è fondamentale perché ha introdotto in via transitoria (poi stabilizzata nel Codice) lo strumento della composizione negoziata della crisi. Questa procedura negoziale volontaria ha anticipato alcune logiche poi assorbite dal CCII, costituendo un’alternativa all’allerta obbligatoria e fornendo un framework per trattare anche i debiti fiscali fuori dalle aule giudiziarie (si veda oltre).
  • Legge 9 agosto 2023 n. 111 (delega 2023) – ha delegato il Governo a ulteriori interventi in materia di crisi d’impresa. In particolare, l’art. 9, lett. a) di tale legge ha previsto la possibilità di estendere gli istituti di trattamento dei debiti tributari anche ai tributi locali (Regioni, Province, Comuni) mediante decreti attuativi. Questo perché attualmente IMU, TARI, addizionali regionali ecc. restano esclusi dalla transazione fiscale ordinaria, in mancanza di base normativa (sono crediti di enti diversi dallo Stato). Ad oggi (maggio 2025) tali decreti attuativi non sono ancora stati emanati, quindi i tributi locali non sono falcidiabili nelle procedure ordinarie e devono essere soddisfatti integralmente salvo future riforme.
  • D.Lgs. 13 settembre 2024 n. 136 (terzo correttivo) – è l’aggiornamento più recente, emanato in attuazione della delega 2023. Esso ha rafforzato gli strumenti di composizione negoziata e introdotto significative novità nel trattamento dei debiti fiscali: in primis, ha modificato l’art. 23 CCII inserendo il comma 2-bis che consente di concludere un accordo transattivo fiscale anche nell’ambito della composizione negoziata. Inoltre, ha posto nuovi limiti al cram-down fiscale negli accordi di ristrutturazione, riducendo gli spazi di omologazione forzosa quando il voto dell’Erario non è determinante per le maggioranze (in pratica, il tribunale può bypassare il dissenso del Fisco solo se la soglia del 60% di consensi sarebbe comunque raggiunta dagli altri creditori). Infine, il terzo correttivo ha introdotto istituti come la transazione fiscale di gruppo (per gestire unitariamente debiti fiscali in gruppi di imprese) e chiarito aspetti sulla responsabilità dell’acquirente d’azienda per debiti tributari del cedente. Queste novità, operative tra fine 2024 e inizio 2025, mirano a rendere più efficaci le soluzioni negoziali del Codice, mantenendo però un equilibrio con l’interesse pubblico alla riscossione.

In sintesi, rispetto alla previgente legge fallimentare, il CCII (come corretto fino al 2025) ha ampliato gli strumenti a disposizione delle imprese in crisi per regolare i debiti verso Erario ed enti previdenziali. Il fulcro resta la “transazione fiscale e contributiva”, ora espressamente consentita in concordati, accordi di ristrutturazione e perfino in sede di composizione negoziata. I principi di base – comparazione con lo scenario liquidatorio e tutela minima del creditore pubblico – permangono, ma sono affiancati da meccanismi innovativi come il cram-down (omologazione forzosa nonostante il dissenso del Fisco, in presenza di determinate garanzie). Il legislatore ha dunque cercato di bilanciare l’indisponibilità del credito tributario (derogabile solo per legge) con l’esigenza di salvaguardare la continuità aziendale, consentendo soluzioni negoziate in cui anche il Fisco “cede” su sanzioni, interessi e parte di tributi, pur di ottenere un soddisfacimento migliore di quanto otterrebbe nella liquidazione giudiziale. Nei paragrafi che seguono analizzeremo nel dettaglio tali strumenti.

Trattamento dei debiti fiscali e contributivi nelle procedure di crisi d’impresa

In questa sezione esamineremo come il Codice della Crisi regola i debiti verso il Fisco (debiti erariali) e gli enti previdenziali (INPS e altri enti contributivi) nelle principali procedure concorsuali e negoziali. Ciascuno strumento di regolazione della crisi presenta caratteristiche proprie quanto a inclusione, grado di soddisfacimento e modalità di gestione dei crediti tributari/previdenziali.

Concordato Preventivo (in continuità e liquidatorio)

Nel concordato preventivo, disciplina di riferimento degli artt. 84-88 CCII, i debiti fiscali e contributivi possono essere ricompresi nel piano e trattati secondo le regole del concordato, che differiscono a seconda che si tratti di un concordato in continuità aziendale (prosecuzione dell’attività, art. 84 co.2) oppure di un concordato liquidatorio (cessazione dell’attività e liquidazione del patrimonio, art. 84 co.3).

  • Concordato con continuità aziendale: L’art. 88 CCII consente espressamente che il piano di concordato preveda una transazione fiscale per i crediti tributari e contributivi. In concreto, ciò significa che l’imprenditore in concordato può proporre il pagamento parziale e/o dilazionato di tali debiti (inclusi IVA, imposte dirette, contributi INPS, ecc.), purché in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione. Questo requisito implica che al Fisco e agli enti previdenziali deve essere garantito almeno l’importo che otterrebbero esercitando le loro prelazioni sul ricavato di una liquidazione fallimentare. Il calcolo va effettuato considerando il valore di mercato dei beni su cui insistono eventuali privilegi (come attestato dal professionista indipendente). Oltre a tale soglia minima, il Codice impone regole di distribuzione: i) quota di patrimonio equivalente al valore di liquidazione da destinare secondo le cause di prelazione (priorità assoluta); ii) eventuale surplus generato dalla continuità da distribuire con priorità relativa. In altre parole, i crediti tributari privilegiati mantengono la prelazione sul valore di liquidazione (vengono soddisfatti prima dei chirografari su quella parte) mentre sull’ulteriore valore derivante dalla prosecuzione dell’attività non è necessario pagare interamente il Fisco: è sufficiente che i crediti pubblici ricevano un trattamento paritario rispetto agli altri crediti di pari grado e più favorevole rispetto a quelli di grado inferiore. Ciò rappresenta una deviazione dal principio di assoluta prevalenza, introdotta per facilitare i concordati in continuità. Ad esempio, l’IVA e le ritenute (privilegiate ex art. 2777 c.c. fino a 3 anni) vanno soddisfatte almeno nei limiti coperti dal valore di liquidazione, ma per l’importo eccedente tale valore è ammesso un pagamento parziale (falcidia) a condizione di non pregiudicare il Fisco rispetto ad altri chirografari. Il tutto deve essere accompagnato dall’attestazione di un professionista indipendente, che certifichi la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità economica giuridica del piano, in particolare attestando la convenienza della proposta transattiva per l’Erario rispetto all’alternativa liquidatoria. La transazione fiscale in concordato è quindi soggetta alla valutazione del tribunale in sede di omologa: se il piano è approvato dalle maggioranze dei creditori (e il Fisco vota a favore), l’omologazione sancisce anche l’accordo fiscale; se invece l’Amministrazione finanziaria (o l’INPS) non aderisce, il tribunale può comunque omologare d’ufficio il concordato – applicando il cram-down fiscale – purché siano rispettati i requisiti di legge. Tali requisiti, come accennato, includono il soddisfacimento minimo (indicativamente almeno il 30% del credito erariale, percentuale elevabile al 40% in talune circostanze) e la comprovata convenienza dell’offerta per il Fisco rispetto alla liquidazione. In caso di omologa forzosa, i crediti tributari e contributivi vengono trattati secondo il piano nonostante il dissenso dell’ente, e la transazione fiscale diviene efficace erga omnes.
  • Concordato con liquidazione del patrimonio: In un concordato liquidatorio puro (senza continuazione dell’attività, se non ai fini della cessione dei beni), il margine di manovra è minore. Il piano liquidatorio (artt. 86-87 CCII) deve destinare tutto l’attivo disponibile al soddisfacimento dei creditori secondo l’ordine delle prelazioni (priorità assoluta); difficilmente vi è un plusvalore da continuità da distribuire con criterio relativo, salvo ipotesi di vendite frazionate che valorizzino meglio il complesso aziendale. Anche nel concordato liquidatorio il debitore può proporre il pagamento parziale dei tributi (ad esempio offrendo il 10-20% ai chirografari pubblici), ma dovrà comunque destinare ai creditori privilegiati (incluso il Fisco privilegiato) l’intero ricavato liquidatorio su cui vantano diritto di prelazione. Pertanto, la transazione fiscale in tal caso consiste soprattutto in una dilazione del pagamento (potendo il piano prevedere tempi fino a 2-3 anni per la liquidazione) e nell’eventuale rinuncia a sanzioni e interessi, più che in un vero stralcio sul capitale dei tributi privilegiati. Ogni falcidia dei tributi privilegiati in un concordato liquidatorio equivarrebbe infatti a offrire al Fisco meno di quanto otterrebbe in fallimento, cosa di regola non ammessa (salvo rinuncia volontaria dell’ente). Dunque, nel concordato liquidatorio il trattamento dei debiti erariali tende a essere più rigido: pagamento integrale del valore di liquidazione secondo grado di privilegio e solo la parte eccedente, se non garantita da privilegi, può subire riduzioni. Anche qui vale comunque la regola generale: una volta omologato il concordato (sia esso in continuità o liquidatorio), l’eventuale parte di debito fiscale o contributivo non pagata secondo il piano resta definitivamente stralciata per la società debitrice, vincolando gli enti creditori.

Da segnalare un ulteriore aspetto: l’art. 94 CCII stabilisce che l’ammissione al concordato preventivo comporta per legge la sospensione delle azioni esecutive individuali dei creditori. Ciò si applica anche alle procedure di recupero coattivo di Agenzia Entrate Riscossione e degli enti previdenziali: una volta pubblicato il ricorso di concordato, scatta l’automatic stay (salvo istanze di misure cautelari già pendenti). Perciò, la presentazione di un’istanza di concordato impedisce nuovi pignoramenti o fermi amministrativi e sospende quelli in corso sui beni aziendali. Inoltre, l’omologazione del concordato con transazione fiscale determina (ex lege) l’estinzione delle sanzioni amministrative tributarie relative ai debiti inclusi e l’interruzione di eventuali contenziosi tributari pendenti su quelle somme, qualora il piano ne preveda la definizione.

Accordi di Ristrutturazione dei Debiti (art. 57 e 63 CCII)

Gli accordi di ristrutturazione dei debiti (ARD) sono strumenti di composizione negoziale della crisi che si collocano a metà strada tra il piano puramente privatistico e la procedura concorsuale. Essi consistono in un accordo giuridicamente vincolante, omologato dal tribunale, sottoscritto con una maggioranza qualificata di creditori (almeno il 60% dei crediti totali ex art. 57 CCII) e idoneo ad affrontare la crisi dell’impresa. Il Codice della Crisi dedica l’art. 63 proprio alla transazione fiscale negli accordi di ristrutturazione, innovando rispetto al passato.

In base all’art. 63 CCII, come modificato dal D.Lgs. 147/2020, l’accordo di ristrutturazione può includere una transazione sui debiti tributari e contributivi. Ciò rappresenta la continuità e l’evoluzione dei commi 5 e 6 del vecchio art. 182-ter L.F.. La caratteristica saliente è che, a differenza del concordato, nell’accordo non valgono strictu sensu i vincoli del “trattamento non deteriore” o del rispetto delle cause di prelazione. In altre parole, l’imprenditore che negozia un ARD può proporre al Fisco un pagamento parziale dei tributi senza dover garantire per legge la stessa percentuale offerta agli altri creditori chirografari (fermo restando il requisito generale che il Fisco non riceva meno di quanto otterrebbe in caso di liquidazione, per evitare un danno ingiustificato). Questa flessibilità consente di derogare all’ordine delle prelazioni se il creditore pubblico concorda: ad esempio, nell’accordo si potrebbe prevedere di pagare integralmente le banche ipotecarie ma solo il 50% dei debiti IVA chirografari, cosa che in un concordato sarebbe possibile solo con le regole di classi e votazioni.

La transazione fiscale nell’ARD richiede comunque alcune garanzie formali:

  • Adesione qualificata dei creditori: per presentare l’accordo occorre avere il consenso di creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti totali (in taluni casi il 50% se si chiede l’estensione degli effetti ai dissenzienti minori, art. 61 CCII). Il Fisco e l’INPS possono rientrare tra i consensi necessari oppure no, a seconda del peso percentuale dei loro crediti. Se il loro voto non risulta decisivo per raggiungere la soglia (ad es. altri creditori coprono già il 60%), l’accordo può essere omologato anche senza l’adesione del Fisco, attuando una sorta di cram-down analogico. Viceversa, se senza il voto del Fisco la maggioranza qualificata non sarebbe raggiunta, il tribunale non potrà omologare in difetto di adesione fiscale (il dissenso dell’Erario rimane dirimente in tal caso). Il terzo correttivo 2024 ha ulteriormente chiarito che il tribunale può forzare il dissenso del Fisco solo quando ciò sia strettamente necessario a conseguire le maggioranze, ossia nei casi in cui gli altri creditori abbiano già raggiunto le percentuali richieste. Questo per evitare che l’Erario venga scavalcato se la sua adesione non era comunque ostativa.
  • Attestazione di esperto indipendente: anche nell’ARD è obbligatoria la relazione di un attestatore che verifichi la veridicità dei dati e la sostenibilità del piano, certificando in particolare che la proposta al Fisco è vantaggiosa o almeno conveniente rispetto alla liquidazione. Sebbene l’art. 63 CCII non ripeta espressamente il principio del confronto con l’alternativa liquidatoria, è implicito (e rafforzato dalle linee guida ministeriali) che non si possa omologare un accordo che rechi ai crediti pubblici un pregiudizio rispetto al fallimento. Dunque, l’attestatore dovrà evidenziare che la percentuale offerta al Fisco (sia essa 100%, 50% o meno) risulta pari o superiore a quanto il Fisco incasserebbe in caso di dissesto non negoziato.
  • Omologazione e effetti: una volta omologato, l’accordo di ristrutturazione dispiega effetti anche sui creditori non aderenti (se si è chiesta l’estensione ex art. 61 CCII). Per il Fisco ciò significa che, se ha aderito formalmente, è vincolato ai termini pattuiti; se non ha aderito ma l’accordo è stato omologato nonostante il suo dissenso (scenario di cram-down), la transazione fiscale diventa efficace ex lege e il debito tributario viene rideterminato secondo l’accordo. Gli enti manterranno però la possibilità, prevista dalla legge, di revocare i benefici se l’impresa non rispetta le condizioni (ad esempio decadendo dal piano di rate se salta una rata, come per qualunque accordo transattivo).

In sintesi, gli ARD offrono maggiore flessibilità rispetto ai concordati nel modulare il trattamento dei debiti erariali e contributivi. Il debitore può negoziare direttamente con l’Erario soluzioni ad hoc (ad esempio pagamento dilazionato a 6-8 anni, stralcio di sanzioni e interessi, abbattimento del tributo) e, purché ottenga un sufficiente consenso complessivo, può vedere omologato l’accordo anche senza un esplicito assenso del Fisco. Restano ovviamente fermi i princìpi di base: niente falcidia dei tributi locali (ancora esclusi per mancanza del decreto attuativo), necessità di rispettare eventuali soglie di soddisfacimento minimo per il cram-down (30-40%) e dovere di non discriminare ingiustificatamente il creditore pubblico. Da notare che la transazione fiscale negli accordi può risultare appetibile in contesti in cui l’impresa ha pochi creditori ma con importi rilevanti (es. banche e Fisco): se le banche sono d’accordo a ristrutturare e l’Erario no, l’accordo può comunque passare, evitando la più complessa procedura di concordato.

Piani attestati di risanamento e altri strumenti extragiudiziali

Il piano attestato di risanamento (art. 56 CCII, già art. 67 L.F.) è uno strumento puramente privatistico e non omologato, consistente in un piano di risanamento dell’impresa redatto dagli amministratori e attestato da un professionista indipendente, col quale si mira a risanare l’esposizione debitoria. Non trattandosi di procedura concorsuale né soggetta a omologa, il piano attestato non può imporre stralci ai creditori senza il loro consenso. Ciò vale anche per i crediti fiscali e contributivi: l’imprenditore può inserirli nel piano prevedendo il pagamento integrale dilazionato, oppure confidando in eventuali definizioni agevolate previste dalla legge (es. una rottamazione in corso), ma non può unilateralmente ridurre il debito fiscale. In pratica, per gestire i debiti tributari in un piano attestato occorre negoziare separatamente con l’Erario: ad esempio, chiedere rateizzazioni ordinarie delle cartelle o presentare istanza di adesione all’accertamento per eventuali avvisi bonari, in modo da allineare le scadenze con il piano. Alcuni strumenti del piano attestato includono: accordi transattivi stragiudiziali con alcuni creditori (anche pubblici, se disponibili), utilizzo di risorse straordinarie (finanziamenti soci finalizzati a pagare parte dei debiti fiscali), o la previsione di convertire debiti tributari in crediti d’imposta compensabili (ad esempio sfruttando la compensazione orizzontale se l’impresa vanta rimborsi). Tuttavia, senza un’omologazione giudiziale, il Fisco conserva intatti i propri poteri di riscossione: se l’impresa non paga secondo le scadenze legali, l’Agenzia Entrate-Riscossione può comunque procedere (salvo accordi individuali di sospensione). In sintesi, il piano attestato è efficace per debiti fiscali solo se corredato da soluzioni concordate bilateralmente con gli enti (rateazioni, sospensioni) o se comunque prevede il pagamento integrale col ricavato del risanamento.

Uno strumento peculiare previsto dal CCII post-riforma 2022 è il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO): si tratta di un piano proposto dall’imprenditore ad adesione non necessariamente totale dei creditori (basta il 30% di consensi) e sottoposto ad omologazione giudiziale con possibile cram-down su classi dissenzienti (è una novità ispirata alla direttiva UE). Anche nel PRO i debiti fiscali possono essere ristrutturati, con la particolarità che il tribunale, in presenza dei presupposti, può omologare il piano anche senza il voto favorevole del Fisco, purché sia rispettato il best interest test per l’Erario (nessun pregiudizio rispetto alla liquidazione) e le soglie di legge. Il PRO è strumento avanzato e poco sperimentato finora (in attesa di prassi applicative), ma rappresenta un ulteriore mezzo per coinvolgere i crediti pubblici nel risanamento con maggiore libertà, soggetta al controllo del giudice.

Composizione negoziata della crisi (D.L. 118/2021 e art. 23 CCII)

Tra gli strumenti di composizione negoziata introdotti di recente, merita un approfondimento la composizione negoziata della crisi, procedura innovativa che consente all’imprenditore di affrontare tempestivamente la crisi con l’assistenza di un esperto indipendente, senza il formale avvio di una procedura concorsuale. Introdotta in via d’urgenza nel 2021 (D.L. 118/2021) e poi confluita nel Codice (artt. 17-25 CCII), la composizione negoziata è uno strumento volontario e confidenziale: l’imprenditore in difficoltà può chiedere la nomina di un esperto (OCRI) che lo aiuti a negoziare con i creditori un accordo di ristrutturazione o altra soluzione, beneficiando nel frattempo di misure protettive.

Fino al 2024, la posizione dei debiti fiscali nella composizione negoziata era delicata: non essendo una procedura concorsuale, mancava la base legale per falcidiare i tributi in questa sede. L’impresa poteva certamente includere il Fisco nelle trattative e chiedere misure protettive (ad esempio la sospensione delle esecuzioni ex art. 20 CCII), ma un vero e proprio accordo transattivo con l’Erario non era tipizzato. Ciò lasciava “scoperto” un aspetto cruciale, specie per aziende il cui maggior creditore è il fisco. Questa lacuna è stata colmata con il terzo decreto correttivo (D.Lgs. 136/2024), che ha introdotto il comma 2-bis all’art. 23 CCII: a partire dalle istanze di composizione negoziata presentate dal 28 settembre 2024, è consentito concludere un accordo di transazione fiscale anche in pendenza della composizione negoziata. In pratica, l’imprenditore in composizione negoziata può ora proporre ad Agenzia delle Entrate, Agenzia Entrate-Riscossione e Agenzia Dogane un pagamento parziale o dilazionato di tutti i debiti tributari e contributivi, inclusi gli importi a titolo di imposta (non solo sanzioni e interessi). Questa è una novità di grande rilievo: significa poter trovare un accordo con il Fisco nell’ambito extra-giudiziale, evitando di dover per forza accedere a concordati o accordi di ristrutturazione per ottenere lo stralcio di imposte e contributi.

Le modalità per l’accordo fiscale nella composizione negoziata presentano però alcune specificità:

  • Niente cram-down: il decreto ha esplicitato che non è consentito il cram-down fiscale nella composizione negoziata. Essendo un negoziato volontario, l’adesione dell’Agenzia Entrate è imprescindibile: se il Fisco non è d’accordo, l’accordo transattivo fiscale non può essere imposto dal giudice. Questo differenzia la composizione negoziata dagli accordi ex art. 63, dove invece il giudice può omologare senza consenso fiscale in certi casi. In sede negoziata, dunque, l’impresa dovrà convincere le Agenzie presentando una proposta attrattiva e sostenibile.
  • Attestazioni e controllo: nonostante la natura extragiudiziale, la legge richiede che il debitore che intende fare una transazione fiscale in composizione negoziata depositi una relazione asseverata di un professionista indipendente (in genere un attestatore distinto dall’esperto) che certifichi la convenienza dell’accordo per l’Erario rispetto alla liquidazione. Inoltre, deve essere presentata una relazione del revisore legale sui dati aziendali. Questi requisiti puntano a fornire trasparenza e credibilità alla proposta. L’accordo raggiunto, pur negoziale, viene infine sottoposto al giudice per un’autorizzazione (in analogia a quanto avviene per chiusura della composizione negoziata con accordi, ex art. 23 co.4 CCII). Dunque, vi è un controllo esterno che garantisce il rispetto del principio di indisponibilità dell’obbligazione tributaria, che è derogato solo in virtù di questa norma speciale.
  • Oggetto dell’accordo: il comma 2-bis prevede che l’accordo possa riguardare tutti i debiti tributari e contributivi verso Agenzia Entrate, Dogane e Riscossione. Ciò include l’IVA e le altre imposte erariali, che vengono trattate come gli altri tributi (nessun trattamento speciale per l’IVA: anche questa può essere falcidiata, superando definitivamente i precedenti dubbi in merito). Restano invece esclusi, per ora, i tributi locali, per i quali la legge delega 111/2023 prospetta un intervento futuro (forse proprio in sede di composizione negoziata locale). In assenza di tale normativa, i crediti di Comuni e Regioni non possono essere oggetto di transazione in questo contesto e dovranno essere soddisfatti a parte.

In sostanza, la composizione negoziata con transazione fiscale funziona in modo simile a una mini-procedura concordataria, ma volontaria: il debitore propone al Fisco e all’INPS un piano di rientro (es. pagamento del 50% del dovuto in 6 anni), l’esperto e l’attestatore ne garantiscono la tenuta, il Fisco se convinto aderisce formalmente, quindi il tribunale ratifica l’accordo rendendolo efficace e protetto. Se il Fisco rifiuta o chiede modifiche non accettabili, l’imprenditore può sempre ripiegare su una procedura concorsuale tradizionale (concordato, etc.) dove però tenterà il cram-down. È bene evidenziare che durante la negoziazione, l’imprenditore può chiedere misure protettive: ad esempio, ottenuta l’autorizzazione alle misure protettive (art. 20 CCII), sono sospese le azioni esecutive dei creditori, ivi incluse le attività di riscossione coattiva del Fisco (cartelle, pignoramenti). Questo “scudo” consente di condurre le trattative senza l’assillo di procedure esecutive, purché il tribunale valuti che ciò non leda indebitamente i creditori.

Va anche segnalato che, se la composizione negoziata non sortisce un accordo soddisfacente, il legislatore ha previsto un’uscita semplificata: l’imprenditore può accedere al concordato semplificato per la liquidazione (art. 25-sexies CCII). Questo istituto, introdotto nel 2021, consente di ottenere la liquidazione dell’azienda sotto controllo del tribunale senza passare dal voto dei creditori, qualora la composizione negoziata sia fallita ma vi sia la prospettiva di liquidare l’attivo a beneficio dei creditori. Nel concordato semplificato non è possibile proseguire l’attività, ma è possibile effettuare cessioni del complesso aziendale. Anche qui i debiti fiscali saranno soddisfatti con le somme ricavate e in base ai privilegi: eventuali stralci di crediti erariali nel concordato semplificato dovranno sottostare all’omologazione del giudice, che verificherà il rispetto del principio di capienza sul valore di liquidazione. Non essendovi votazione, il tribunale ha un potere di controllo più forte e difficilmente omologherà un piano che preveda di pagare al Fisco meno di quanto spetterebbe secondo le cause di prelazione, a meno che non vi sia uno specifico assenso dell’Amministrazione.

Procedure di sovraindebitamento (concordato minore, ristrutturazione dei debiti del consumatore)

Il Codice della Crisi ha riordinato anche le procedure destinate ai soggetti non fallibili (piccoli imprenditori sotto soglia, imprenditori agricoli, professionisti, consumatori). In particolare ha introdotto:

  • il concordato minore (artt. 74-83 CCII) in sostituzione del vecchio “accordo di composizione” ex L.3/2012, destinato a imprenditori commerciali minori e altri debitori non fallibili;
  • la ristrutturazione dei debiti del consumatore (artt. 67-73 CCII), evoluzione del piano del consumatore;
  • la liquidazione controllata (artt. 268-277 CCII) in sostituzione della liquidazione del patrimonio.

In queste procedure, il trattamento dei debiti fiscali e contributivi segue criteri analoghi a quelli già visti, adattati alla scala e alla natura del debitore:

  • Nel concordato minore, che è una procedura concorsuale semplificata con voto dei creditori, il debitore può proporre stralci anche sui crediti tributari e previdenziali. È prevista la possibilità di transazione fiscale/contributiva anche qui, con l’obbligo di assicurare al Fisco un pagamento non inferiore a quanto otterrebbe in caso di liquidazione controllata del patrimonio del debitore. Essendo il concordato minore rivolto spesso ad imprese individuali o piccole società, la presenza del Fisco come creditore può essere rilevante ma le somme in gioco sono di entità minore. Il tribunale valuterà la proposta tenendo conto dell’interesse dei creditori pubblici e potrà omologare anche in caso di voto contrario di questi ultimi, applicando in via analogica il cram-down se la maggioranza di legge (maggioranza semplice dei crediti ammessi al voto) è raggiunta e il trattamento minimo per il Fisco è rispettato. Va detto che la normativa sul concordato minore richiama molti principi del concordato preventivo, opportunamente adattati.
  • Nella ristrutturazione dei debiti del consumatore, non è prevista una votazione dei creditori: il giudice omologa il piano se ritiene che il debitore persona fisica meriti l’esdebitazione e che la proposta non sia squilibrata. In tale contesto, i debiti tributari possono essere anch’essi ristrutturati (dilazionati o parzialmente pagati) – il giudice ne tiene conto e omologa se il sacrificio imposto all’Erario è proporzionato alle capacità del debitore e comunque migliore rispetto alla prospettiva liquidatoria. Non essendoci voto, il Fisco non può opporsi efficacemente se non attraverso osservazioni al giudice (che però decide in ottica di meritevolezza complessiva). Il risultato è che i piccoli debitori, come consumatori o imprese familiari, possono ottenere la riduzione dei debiti fiscali, salvo quelli esclusi per legge (ad es. multe, sanzioni penali pecuniarie in alcuni casi).
  • In ogni caso, sia nel concordato minore che nella ristrutturazione del consumatore, l’Erario mantiene un trattamento privilegiato: i crediti per tributi con privilegio generale conservano la priorità su eventuali utilità distribuite. Per cui se, ad esempio, un consumatore propone di pagare solo il 20% ai chirografari, dovrà comunque destinare ai crediti fiscali privilegiati un importo almeno pari alla loro parte privilegiata sul patrimonio liquidabile. Solo la parte chirografaria dei crediti fiscali può essere falcidiata liberamente nel piano del consumatore.

Un caso peculiare è quello degli imprenditori agricoli: la legge fallimentare li escludeva dal fallimento; il CCII conferma che restano esonerati dalla liquidazione giudiziale (l’art. 121 CCII prevede l’assoggettabilità solo degli imprenditori commerciali). Tuttavia, gli agricoltori in crisi possono accedere alla composizione negoziata e alle procedure da sovraindebitamento. Ad esempio, un’azienda agricola potrà presentare un concordato minore o un piano di ristrutturazione del consumatore (se individuale) per gestire i debiti, inclusi quelli fiscali e contributivi. Anche per loro valgono i principi sopra esposti: niente fallimento, ma possibilità di accordo o piano con stralcio dei debiti tributari, soggetto ad omologa giudiziale e al rispetto della convenienza per i crediti pubblici. Da notare che la disciplina tributaria agricola ha peculiarità (regimi speciali IVA, imposte catastali, ecc.), ma in sede di crisi queste differenze contano poco: l’IVA agricola o l’IMU sui terreni rimangono debiti come gli altri e devono essere trattati con un’eventuale transazione fiscale, se possibile, o integralmente se la legge non consente riduzioni (IMU al momento non falcidiabile). In definitiva, i settori esclusi dal fallimento (agricolo e “civile”) non sono esclusi dal dover affrontare i debiti fiscali, ma lo fanno attraverso strumenti ad hoc con l’ausilio del giudice.

Profili penali connessi ai debiti fiscali e contributivi

La gestione dei debiti tributari e contributivi in crisi d’impresa ha anche risvolti penali di grande importanza. L’ordinamento italiano punisce infatti alcune condotte omissive relative al mancato versamento di imposte e contributi. Di seguito analizziamo i principali reati connessi e le novità normative e giurisprudenziali aggiornate al 2025.

Reati tributari omissivi (mancato versamento di imposte)

I reati tributari di natura omissiva attualmente previsti dal D.Lgs. 74/2000 sono essenzialmente:

  • Omesso versamento di ritenute dovute o certificate (art. 10-bis D.Lgs. 74/2000): scatta se l’imprenditore non versa, entro il termine previsto per la dichiarazione annuale, ritenute fiscali operate su stipendi e compensi, per un importo superiore a €150.000 per periodo d’imposta.
  • Omesso versamento di IVA (art. 10-ter D.Lgs. 74/2000): scatta se non si versa l’IVA dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro la scadenza del 27 dicembre dell’anno successivo, per un importo superiore a €250.000.

Entrambi questi reati sono puniti con la reclusione (fino a 3 anni) e mirano a sanzionare l’omessa corresponsione di imposte dovute. Fino a poco tempo fa, la giurisprudenza era rigorosa: lo stato di crisi d’impresa o la carenza di liquidità, in linea di principio, non escludevano il dolo dell’imprenditore, salvo casi eccezionali di forza maggiore. In sostanza, il mancato versamento di IVA o ritenute era considerato frutto di una scelta consapevole di allocare le risorse altrove, e quindi penalmente rilevante, anche se l’impresa versava in difficoltà finanziarie. Ad esempio, la Cassazione ha ripetutamente affermato che la crisi di liquidità non esime l’imprenditore dagli obblighi tributari, soprattutto se ha comunque impiegato le risorse in altre voci (come pagare fornitori o dipendenti). In una sentenza del dicembre 2024, la Suprema Corte (Cass. pen. sez. III, n. 45803/2024) ha ribadito che un imprenditore che decide di pagare gli stipendi ai lavoratori ma non versare le ritenute previdenziali commette comunque reato e “non può addurre detta condotta a propria discolpa” in quanto frutto di scelta consapevole. Analogamente, in materia IVA, si riteneva configurato il dolo generico se l’imprenditore ometteva il versamento pur sapendo dell’obbligo, a meno di dimostrare eventi eccezionali.

Tuttavia, di recente si è registrata una significativa apertura normativa. In attuazione della delega della L. 111/2023, è stato emanato il D.Lgs. 14 giugno 2024 n. 87, che ha riformato il sistema sanzionatorio tributario. Questo decreto ha introdotto, tra le altre cose, una speciale causa di non punibilità per i reati omissivi di versamento in presenza di circostanze particolari. In particolare è stato previsto che i reati di omesso versamento (art. 10-bis e 10-ter) non sono punibili quando il fatto dipende da cause non imputabili all’autore. La norma elenca alcuni fattori che il giudice deve considerare, quali: una condizione di crisi di liquidità non transitoria dovuta all’inesigibilità di crediti per l’insolvenza o il sovraindebitamento dei clienti, il mancato incasso di crediti certi ed esigibili dalla Pubblica Amministrazione, e la mancata possibilità di adottare misure idonee a fronteggiare la crisi. In sostanza, se l’imprenditore può provare che l’omissione nel pagamento di IVA o ritenute è stata causata da circostanze a lui non imputabili – ad esempio un importante cliente fallito che ha lasciato insoluti, o ritardi nei pagamenti della PA che hanno prosciugato la cassa – e che non vi erano alternative ragionevoli (come ottenere finanziamenti ponte, dilazioni, ecc.), allora l’elemento soggettivo del reato viene meno. Questa è una svolta notevole, che recepisce anche indicazioni della Corte Costituzionale (sent. n. 175/2022 e n. 51/2023) e tendenze giurisprudenziali recenti volte a distinguere il mero “imprenditore sfortunato” dal “evasore doloso”. Ovviamente l’onere della prova di queste circostanze grava sulla difesa e la non punibilità opera caso per caso, previa rigorosa valutazione del giudice.

Il medesimo D.Lgs. 87/2024 ha introdotto ulteriori innovazioni in favore del contribuente pentito:

  • Se l’imprenditore paga il debito tributario anche tardivamente (anche a rate), ciò diviene un elemento fondamentale: l’adempimento integrale del debito, anche dilazionato, impedisce la punibilità (causa di non punibilità ex art. 13 D.Lgs. 74/2000 riformato) oppure, se avvenuto oltre i termini di legge ma prima della sentenza, consente quantomeno una riduzione della pena fino alla metà. Già prima esisteva la causa di non punibilità per pagamento integrale entro la dichiarazione del processo, ora rafforzata e consolidata.
  • È stato posticipato il momento consumativo del reato di omesso versamento: la soglia di penalità di IVA ora si valuta a fine anno successivo (31 dicembre), dando di fatto più tempo all’imprenditore per regolarizzare (prima il reato si consumava il 27 dicembre). Questo estende il periodo entro cui è possibile pagare ed evitare il reato.
  • In caso di adesione a un piano di rateizzazione del debito tributario (anche concordato in sede concorsuale o di accertamento con adesione), viene esclusa la possibilità di sequestro preventivo ai fini di confisca: finché il contribuente è in regola con le rate, non gli si potrà sequestrare somme o beni a garanzia del credito erariale. È un incentivo a rispettare i piani di rientro concordati.
  • Viene meglio coordinato il rapporto tra processo penale e tributario: le sentenze definitive del giudice tributario possono ora essere acquisite nel penale per prova dei fatti accertati (pur restando il libero convincimento del giudice penale), e si rafforza il principio del ne bis in idem sostanziale, evitando duplicazioni sanzionatorie.

Queste riforme del 2024 segnano un approccio più equilibrato: da un lato si insiste sull’importanza di pagare il dovuto (premiando chi si ravvede e paga, anche tardi), dall’altro si riconoscono le situazioni di crisi come possibili esimenti del dolo. In altri termini, se l’imprenditore dimostra di aver fatto tutto il possibile ma la crisi (ad es. fallimento a catena di clienti) gli ha impedito oggettivamente di pagare IVA o ritenute, potrà evitare la condanna. Questo allineamento con la realtà delle crisi d’impresa è cruciale: in periodi di diffusa illiquidità sistemica (si pensi alla crisi del 2020-2021), molti imprenditori hanno accumulato debiti IVA senza volontà evasiva ma per necessità; oggi l’ordinamento tende a distinguere questi casi da chi invece scientemente omette per trarne vantaggio.

Resta ferma comunque l’ipotesi più grave del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11 D.Lgs. 74/2000), che si configura quando, al fine di evadere il pagamento di imposte o sanzioni, si compiono atti fraudolenti sui propri beni (ad esempio simulare vendite, distrarre attivi) per evitare l’azione di riscossione. Questo reato può riguardare anche situazioni di crisi: ad esempio, un imprenditore che, prevedendo di fallire, distrae beni dall’azienda per non farli prendere dal Fisco, commette sottrazione fraudolenta. La soglia di punibilità è bassa (debito > €50.000) e la condotta implica un dolo specifico di frode. Nessuna riforma ha attenuato questo aspetto: anzi, nella crisi l’imprenditore deve essere cauto nel disporre dei beni, perché alienazioni anomale potrebbero integrare tale reato, oltre a possibili bancarotte.

Omesso versamento di contributi previdenziali

Un ambito contiguo è quello dei contributi previdenziali obbligatori (INPS, INAIL, Casse professionali). L’omesso versamento delle ritenute previdenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti configura a sua volta reato, disciplinato da norme diverse (art. 2, comma 1-bis, D.L. 463/1983 conv. in L. 638/1983, come modif. dal D.Lgs. 8/2016). In particolare:

  • Se l’importo omesso non supera €10.000 annui, il fatto è depenalizzato e costituisce solo illecito amministrativo (sanzione pecuniaria da €10.000 a €50.000).
  • Se l’importo omesso supera €10.000 annui, si applica la sanzione penale con arresto fino a 3 anni o multa, e il reato si perfeziona allo spirare del termine di pagamento delle rate contributive annuali.

Questo reato ha natura di dolo generico: basta la consapevolezza di non versare i contributi dovuti. Tradizionalmente, la giurisprudenza ha adottato un orientamento severo: la difficoltà economica dell’impresa non scrimina l’omissione, a meno che il datore di lavoro non provi di essere stato nell’assoluta impossibilità di provvedere (onere di prova estremamente gravoso). Ad esempio, la Cassazione ha ritenuto che nemmeno uno stato di grave crisi può esonerare dalla responsabilità penale l’imprenditore che non versa i contributi trattenuti ai dipendenti, se questi erano dovuti per legge. Nella sentenza penale n. 45803 del 13.12.2024 citata sopra, la Corte ha ribadito che privilegiare il pagamento degli stipendi rispetto ai contributi non scusa l’omissione: il reato è integrato dalla volontaria scelta di non destinare somme al versamento contributivo.

Diversamente dai reati fiscali, ad oggi non risultano introdotte cause di non punibilità specifiche per l’omesso versamento contributivo legate allo stato di crisi. La riforma del 2024 ha riguardato il sistema tributario (D.Lgs. 74/2000) ma non ha modificato le norme in materia previdenziale. Pertanto, per i contributi vige ancora la regola rigida: l’unica via per evitare la punibilità è il pagamento integrale di quanto dovuto entro determinati termini. Va ricordato che la normativa prevede una sorta di “ravvedimento operoso”: se il datore di lavoro versa i contributi omessi prima che l’eventuale processo penale si concluda in primo grado, l’adempimento estingue il reato (analogia con art. 13 D.Lgs. 74/2000). Inoltre, se paga entro 3 mesi dalla contestazione o dall’accertamento della violazione amministrativa, il fatto è depenalizzato (pagamento tardivo con sanzione amministrativa). Queste possibilità sono però di carattere temporale (pagare entro certi termini) e non attinenti alla causa della crisi.

Riassumendo: un imprenditore in crisi che omette il versamento dei contributi dei dipendenti sopra la soglia di €10.000 annui rischia una condanna penale, e non può al momento invocare esimenti paragonabili a quelle introdotte per l’IVA. La scelta di privilegiare altre uscite (es. fornitori) rispetto ai contributi costituisce di per sé elemento di dolo. La Cassazione a fine 2024 ha confermato tale impostazione, escludendo cause di forza maggiore salvo prova di assoluta impossibilità. L’auspicio è che in futuro il legislatore equipari almeno in parte il regime contributivo a quello tributario, riconoscendo che situazioni di mancata riscossione crediti o crisi di settore possano colpire parimenti la capacità di versare contributi.

Profili penali fallimentari e responsabilità degli amministratori

Oltre ai reati specifici tributari/previdenziali, i debiti verso Erario ed enti possono avere riflessi su altri reati concorsuali:

  • La scelta di pagare selettivamente alcuni debiti fiscali o contributivi a ridosso del fallimento può integrare la bancarotta preferenziale se fatta in pregiudizio di altri creditori. Ad esempio, versare un debito IVA arretrato pochi giorni prima di una dichiarazione di insolvenza, usando tutte le risorse ed escludendo gli altri creditori, potrebbe essere visto come atto preferenziale (favorisce l’Erario rispetto alla par condicio). Tuttavia, va detto che il Fisco è creditore privilegiato, quindi il suo pagamento può considerarsi conforme all’ordine delle prelazioni e difficilmente doloso; la questione è sfumata e valutata caso per caso.
  • Se l’imprenditore sottrae o distrae attivi dell’azienda che avrebbero potuto soddisfare anche il Fisco, si configura la bancarotta fraudolenta patrimoniale. Ad esempio, non pagare le imposte e nel contempo far uscire liquidi verso società correlate senza giustificazione contabile è condotta censurabile penalmente.
  • La mancata tenuta o il falso nelle scritture contabili (bancarotta documentale) può aggravare la posizione dell’imprenditore anche rispetto ai debiti tributari, perché impedisce di ricostruire il passivo erariale, costituendo reato autonomo.

Infine, va ricordato che l’omologazione di una procedura concorsuale (concordato, accordo) che preveda il pagamento parziale dei debiti fiscali non estingue di per sé i reati tributari già consumati prima. L’estinzione del reato si ha solo con il pagamento integrale (entro i termini di legge penale) o ora con la prova delle cause non imputabili. Quindi, un amministratore potrebbe comunque essere perseguito per omesso versamento IVA relativo ad anni precedenti, anche se poi l’azienda ha chiuso un concordato pagando il 50% di quell’IVA. Tuttavia, se il concordato viene eseguito e quei debiti sono estinti in parte, generalmente il pagamento parziale non è sufficiente a estinguere il reato (che richiede pagamento integrale, salvo causa di forza maggiore). La posizione dell’imprenditore in questi casi dipenderà dalla sua condotta: spesso, la magistratura valuta positivamente l’aver avviato procedure per regolarizzare il debito (come attenuante), ma la sanzione penale potrebbe comunque essere applicata, eventualmente con sospensione condizionale o non menzione.

Nel complesso, il dirigente d’azienda alle prese con debiti fiscali e contributivi deve muoversi con estrema cautela: i nuovi strumenti normativi offrono vie di risanamento e anche possibili “scudi” penali se la crisi è genuina e documentata, ma la responsabilità personale resta elevata. Un consiglio pratico è di sfruttare al massimo le opportunità di rateazione e definizione offerte dal diritto tributario e, in caso di difficoltà persistenti, attivare subito procedure concorsuali o negoziali: questo può sospendere le azioni esecutive e dimostrare la buona fede dell’imprenditore, evitando condotte omissive protratte che sfocino in reato.

Applicazioni settoriali: edilizia, commercio, industria, agricoltura, tecnologia

Le problematiche relative ai debiti erariali e contributivi nelle crisi d’impresa possono assumere connotazioni specifiche a seconda del settore economico in cui opera l’impresa. Di seguito esaminiamo i principali comparti – edilizia, commercio, industria manifatturiera, agricoltura e tecnologia – evidenziando peculiari criticità e soluzioni adottabili in ciascuno, alla luce del Codice della Crisi.

Settore Edilizia (Costruzioni)

Le imprese edili presentano spesso caratteristiche che le rendono vulnerabili sul piano fiscale/previdenziale: elevato impiego di manodopera (dunque ingenti contributi INPS e premi INAIL da versare), margini ridotti e flussi finanziari irregolari (pagamenti a SAL, ritardi nelle commesse) e frequente partecipazione a appalti pubblici che richiedono regolarità contributiva. Una questione cruciale è infatti quella del DURC (Documento Unico di Regolarità Contributiva): senza un DURC regolare, l’impresa non può partecipare a gare né ottenere pagamenti nelle opere pubbliche. Ma il DURC viene rilasciato solo se l’azienda è in regola con i versamenti contributivi (INPS, INAIL, Cassa Edile).

Come conciliare ciò con una situazione di crisi in cui magari l’impresa edile ha debiti contributivi? Vi sono state evoluzioni normative per bilanciare continuità aziendale e tutela contributiva. Un Decreto Interministeriale del 30 gennaio 2015 ha stabilito che, nel caso di concordato con continuità aziendale ex art. 186-bis L.F. (ora art. 84 CCII), l’impresa si considera regolare ai fini DURC dal deposito del ricorso fino all’omologazione, a condizione che il piano preveda l’integrale soddisfazione dei crediti contributivi di INPS, INAIL e Casse Edili. Ciò significa che un’impresa edile ammessa a concordato in continuità ottiene un DURC provvisorio valido in pendenza della procedura, se e solo se promette di pagare per intero i contributi arretrati nel piano concordatario. Se invece il piano prevede di pagare solo parzialmente tali crediti privilegiati (o di degradarli a chirografo per la parte eccedente), gli enti previdenziali dovranno attestare l’irregolarità e rifiutare il DURC. In pratica, l’impresa edile deve scegliere: se vuole continuare i lavori pubblici durante il concordato, deve garantire 100% di pagamento a INPS/INAIL, altrimenti rischia di vedersi bloccare i cantieri per mancanza di DURC. Questa regola è stata confermata da circolari ministeriali e messaggi INPS del 2015 e rimane valida anche con il CCII. Dunque, nel settore costruzioni spesso i crediti contributivi vengono esclusi dalla falcidia per consentire la continuità: si tende a pagarli integralmente (magari dilazionati nel piano) e semmai a sacrificare maggiormente crediti erariali o altri creditori.

Un altro aspetto settoriale: le imprese edili durante la pandemia 2020-2021 hanno beneficiato di dilazioni straordinarie e sospensioni di versamenti (es. sospensione dei contributi per alcuni mesi, art. 5 DL 9/2020, ecc.). Questi differimenti hanno creato un “accumulo” di debiti verso il Fisco e INPS da restituire a rate negli anni seguenti. Molte imprese nel 2022-2023 si sono trovate con rate di imposte sospese non onorate: qui il Codice della Crisi è intervenuto come valvola di sfogo, ad esempio con la composizione negoziata per rinegoziare quei debiti o con la possibilità di accedere a concordati semplificati. Settorialmente, l’edilizia è stata anche interessata dal fenomeno “superbonus”: alcune imprese hanno accumulato crediti fiscali da bonus edilizi senza riuscire a monetizzarli, andando in crisi di liquidità e magari lasciando impagati IVA e ritenute. In tali casi, le procedure negoziali possono facilitare accordi con l’Erario per compensare quei crediti con i debiti o comunque per dilazionare l’esposizione.

In sintesi, nel comparto costruzioni:

  • Debiti INPS/INAIL: vanno preferibilmente soddisfatti integralmente nei piani di concordato se si vuole mantenere il DURC e la continuità nei cantieri.
  • Debiti fiscali (IVA, imposte): possono essere ristrutturati via transazione fiscale; l’IVA su lavori pubblici è spesso in split payment (versata direttamente dalla PA) e quindi può non generare debito IVA, ma se c’è debito va trattato; le ritenute sui dipendenti sono elevate, ma anch’esse coperte da privilegio, dunque nel concordato si tende a pagarle sul valore liquidatorio.
  • Casse Edili: anche i contributi alle casse edili rientrano nel DURC e spesso sono assimilati a crediti privilegiati da soddisfare come l’INPS.
  • Contratti pubblici: l’ammissione a concordato in continuità non risolve di per sé il problema contrattuale (la PA potrebbe risolvere il contratto per sopravvenuta ammissione a procedura, salvo autorizzazione alla continuazione ex art. 94 CCII). Ma se c’è autorizzazione, il DURC come detto sarà rilasciato solo in caso di integrale pagamento contributi previsto.

Settore Commercio (Retail e Distribuzione)

Le imprese commerciali, specie di media-piccola dimensione (es. catene retail, esercizi al dettaglio), quando entrano in crisi presentano spesso debiti IVA significativi e debiti verso i fornitori. La problematica fiscale principale qui è l’IVA: nel commercio al dettaglio l’IVA si paga sulle vendite anche se i margini sono sottili e i costi fissi (affitti, personale) pesano. Una flessione delle vendite può portare a utilizzare l’IVA incassata per altre spese, accumulando debiti IVA trimestrali. Inoltre, il settore ha sofferto molto durante il COVID con chiusure obbligate: molte attività commerciali hanno beneficiato di contributi a fondo perduto ma anche sospensioni di versamenti, i quali poi si sono tramutati in debiti da restituire.

Nelle crisi commerciali, è frequente il ricorso alla definizione agevolata delle cartelle (rottamazione): i piccoli imprenditori spesso attendono i condoni fiscali per sanare debiti pregressi. Ad esempio, la “Rottamazione-quater” del 2023 (DL 34/2023) ha permesso a tanti commercianti di sgravarsi di sanzioni e interessi pagando solo l’imposta. Questi strumenti, tuttavia, non sempre sono risolutivi se l’attività non riesce a generare abbastanza liquidità per rispettare le rate della rottamazione (solitamente spalmate su 5 anni). Infatti, se l’impresa decade dal beneficio, i debiti ritornano con sanzioni e interessi.

Per un esercizio commerciale in crisi, il Codice della Crisi offre soluzioni come:

  • Composizione negoziata: utile se l’attività è ancora valida e basta riscadenzare i debiti. Il negozio può trattare con il Fisco per avere più tempo sugli arretrati IVA e ritenute, magari convincendo l’Erario che è preferibile incassare in 4-5 anni con riduzione di sanzioni, piuttosto che spingere l’impresa al fallimento.
  • Concordato minore: se è un piccolo imprenditore (negoziante individuale) può proporre ai creditori un concordato minore: ad esempio, liquidare alcune proprietà personali per pagare una percentuale dei debiti, liberandosi del resto. In tal caso il Fisco rientrerebbe con i suoi privilegi sul liquidato (IVA ultimi anni privilegiata, ecc.) e potrebbe dover accettare una falcidia sul resto.
  • Liquidazione controllata: se il negozio non è più sostenibile, il titolare potrebbe optare per la liquidazione controllata (ex liquidazione patrimoniale). I debiti fiscali saranno soddisfatti in parte con il ricavato e poi il debitore potrà chiedere l’esdebitazione. Ad esempio, un commerciante che chiuda e liquidi il patrimonio potrà ottenere di essere liberato dai debiti residui (compresi quelli fiscali) se ha agito con correttezza, secondo le norme sull’esdebitazione del sovraindebitato.

Un fattore importante nel commercio è la gestione del personale: licenziamenti e chiusure comportano TFR e oneri che hanno priorità e possono ridurre le risorse disponibili per il Fisco. Inoltre, molti esercizi commerciali sono svolti tramite società di persone o ditte individuali, quindi il confine tra patrimonio dell’impresa e dell’imprenditore spesso sfuma: l’Agenzia Entrate e l’INPS possono aggredire anche i beni personali in mancanza di procedura. Attivare una procedura concorsuale consente di cristallizzare la situazione e impedire pignoramenti individuali (fermo restando che per ditte individuali il patrimonio personale è comunque in gioco nella procedura stessa).

In sintesi, nel settore commercio:

  • Principale debito pubblico: IVA (spesso elevata come percentuale del fatturato, specie se crolla la vendita rimane debito IVA su acquisti). Transazione fiscale la può falcidiare.
  • Rilevanza delle procedure minori: molti operatori sono sotto soglia, dunque useranno concordato minore o piano del consumatore, che offrono maggiore morbidezza (giudice può omologare se equo anche con Fisco contrario).
  • Uso delle rottamazioni: il commerciante in crisi tende a sfruttare ogni definizione agevolata per ridurre sanzioni e interessi sui debiti fiscali. Se poi entra in concordato, quelle sanzioni/interessi sarebbero comunque falcidiabili anche lì.
  • Basso ricorso al concordato preventivo “grande”: di solito le aziende retail medio-grandi (catene) possono ricorrervi, ma il piccolo negozio no. In caso di catene (si pensi ai casi di grandi retail in concordato), il trattamento dei debiti IVA segue le regole generali con transazione fiscale, eventualmente con omologa forzosa se l’erario dissente ma la maggioranza c’è.

Settore Industria manifatturiera

Le imprese industriali di medie e grandi dimensioni in crisi tendono ad avere debiti finanziari (banche) preponderanti rispetto ai debiti fiscali. Tuttavia, l’ammontare dei debiti tributari può comunque essere elevato (IVA su forniture, imposte dirette su utili pregressi non versate, ecc.), così come il costo del lavoro può aver generato debiti contributivi significativi. Tipicamente, nelle ristrutturazioni industriali il ruolo del Fisco è importante ma non centrale: spesso l’esposizione verso banche, obbligazionisti e fornitori è molte volte superiore a quella verso l’Erario. Ciò significa che in un accordo di ristrutturazione o in un concordato di una industria:

  • Il peso percentuale del Fisco sul totale crediti potrebbe essere modesto, dunque è più facile raggiungere le maggioranze anche senza la sua adesione. Di conseguenza, gli strumenti come il cram-down fiscale trovano applicazione: se il Fisco vota contro ma rappresenta poniamo il 10% dei crediti, il tribunale può omologare se il 90% degli altri creditori è favorevole e l’offerta al Fisco è equa.
  • Le imprese industriali spesso hanno rami d’azienda o asset da vendere per fare cassa. In un concordato ciò avviene attraverso la continuità indiretta o la cessione dei complessi; il Fisco in questi casi tende a essere soddisfatto meglio che in una liquidazione atomistica, perché la vendita in blocco può coprire anche parte di debiti chirografari. Inoltre, se l’acquirente è un soggetto terzo, potrebbe richiedere garanzie liberatorie rispetto ai debiti tributari pregressi: il Codice della Crisi e il Decreto correttivo 2024 hanno dedicato attenzione alla responsabilità del cessionario d’azienda (art. 2558 c.c. e art. 14 D.Lgs. 472/1997) per i debiti fiscali del cedente, introducendo regole per favorire la cessione in ambito concorsuale senza trascinarsi troppi vincoli. Ciò facilita il distressed M&A industriale.
  • Nel caso di amministrazione straordinaria (aziende industriali di grandi dimensioni, v. Alitalia, ILVA ecc.), che è procedura extra CCII, i debiti fiscali sono trattati nel quadro del programma di ristrutturazione approvato dal Ministero: solitamente vengono congelati e spesso parzialmente falcidiati nei piani finali approvati con decreto ministeriale. Non rientrando strettamente nel CCII, l’amministrazione straordinaria segue regole speciali, ma l’obiettivo analogo è salvare la continuità riducendo il carico debitorio, compreso quello fiscale (talora con interventi legislativi ad hoc).

Dunque, nell’industria:

  • Transazione fiscale usata spesso negli accordi di ristrutturazione: qui può essere più agevole ottenere l’adesione dell’Erario perché l’azienda industriale ha consulenti e attori qualificati in trattativa (grandi studi, advisor) e può presentare piani robusti che offrano all’Erario percentuali discrete. Spesso si mira a pagare integralmente l’IVA privilegiata e falcidiare solo la parte chirografaria (sanzioni, interessi e imposte non privilegiate).
  • Beneficio indiretto: se l’industria riesce a preservare la continuità, anche lo Stato ne beneficia (mantenimento occupazione, gettito futuro). Ciò può rendere l’Erario più incline a accordi di ampio respiro, magari dilazioni molto lunghe (si vedano casi di grandi aziende dove il Fisco ha accettato pagamenti decennali).
  • Settore specifico: alcune industrie hanno enti previdenziali propri (es. Edilcassa per costruzioni, Fondi pensione interni) ma in generale l’INPS rimane il referente principale per i contributi. Nei piani di ristrutturazione industriali, l’INPS spesso viene coinvolta con transazioni contributive per rateizzare i contributi non versati, talora assistite da garanzie (fideiussioni) per il caso di inadempienza futura.

Settore Agricoltura

Come accennato, l’agricoltura gode storicamente di un regime di favore quanto all’insolvenza: l’imprenditore agricolo non è soggetto a fallimento (né a liquidazione giudiziale), indipendentemente dalle dimensioni. Questo però non significa affatto che non possa fallire dal punto di vista economico né che i suoi debiti fiscali vengano meno. Significa semplicemente che per le crisi agricole si utilizzano strumenti diversi, principalmente:

  • le procedure da sovraindebitamento (concordato minore, piano del consumatore) se è un agricoltore individuale o piccola società;
  • la composizione negoziata (anche le imprese agricole possono accedervi, essendo “imprese” ai sensi del Codice Civile pur non commerciali);
  • eventualmente accordi privati o interventi pubblici di settore (ad esempio esistono stati di crisi agricoli in cui interviene ISMEA o altri fondi a supporto, ma sono casi specifici).

I debiti fiscali degli agricoltori spesso riguardano imposte patrimoniali (IMU su terreni agricoli, esenti in molti casi, o IRPEF agricola spesso forfettaria) e contributi previdenziali all’Gestione Agricola INPS. Inoltre gli agricoltori possono avere debiti con i Consorzi di bonifica (qualificabili come contributi obbligatori assimilati ai tributi locali). Attualmente, se un agricoltore vuole ristrutturare i suoi debiti, incluso quelli fiscali:

  • Può proporre un concordato minore: ad esempio offrire ai creditori (tra cui l’Erario) una parte del ricavato della vendita di un fondo agricolo. Il Fisco come creditore privilegiato per imposte (es. IVA su attività connesse, IRPEF su reddito dominicale) dovrà ricevere almeno quel che otterrebbe da un’eventuale esecuzione forzata (che magari sul fondo agricolo sarebbe coperto da ipoteche ecc.). Se la proposta è ragionevole, il giudice omologa anche se gli enti dissentono, essendo sufficiente la maggioranza crediti (non facile perché spesso gli enti pubblici sono creditori maggioritari in contesti agricoli).
  • Può tentare un accordo di ristrutturazione sul modello art. 63 CCII: benché l’agricoltore non sia “fallibile”, la lettera dell’art. 23 co. 43 CCII (ora abrogato) e la normativa di sistema consentono di estendere gli accordi a imprenditori non commerciali in certi casi. In pratica, un grande azienda agricola potrebbe proporre un accordo con il 60% dei creditori e omologarlo. La fattibilità tecnica andrebbe valutata, ma è un’area grigia. In ogni caso i tributi locali restano non falcidiabili se non con riforma delegata futura.
  • Più tipicamente, l’agricoltore individuale farà un piano del consumatore (ristrutturazione del consumatore) se il debito è prevalentemente personale. In tal sede, come detto, può ottenere il taglio dei debiti tributari chirografari se il giudice ritiene il piano equo e sostenibile.

Il settore agricolo ha goduto anche di misure di sostegno “esterne”: ad esempio rottamazioni cartelle che spesso includevano i contributi consortili non pagati o stralcio automatico di piccoli debiti (il DL 41/2021 ha cancellato debiti < €5.000 affidati a ruolo, giovando anche a molti agricoltori). Inoltre, in caso di calamità naturali o crisi di mercato, talora normative speciali dispongono la sospensione o rate speciali per tributi e contributi degli agricoltori (es. in annate di siccità il pagamento dei contributi previdenziali agricoli è stato prorogato). Tali benefici però rimandano solo il problema e se l’azienda agricola rimane insolvente, l’unica via è un accordo giudiziale o la cessazione.

In sintesi:

  • Niente fallimento: l’agricoltura esce dalle statistiche fallimentari, ma le crisi ci sono; i debiti fiscali non riscossi rimangono a carico dell’Agente Riscossione che procederà con esecuzioni (pignoramenti dei prodotti, dei mezzi agricoli), salvo l’intervento di una procedura da sovraindebitamento a bloccarle.
  • Procedure minori protagoniste: concordato minore e piano consumatore sono le soluzioni tipiche per chiudere con una percentuale e ripartire (magari cedendo i terreni e lasciando i debiti non soddisfatti esdebitati).
  • Composizione negoziata anche per agricoltori: c’è già qualche esempio di imprenditori agricoli che nominano l’esperto negoziale per trattare con banche e Agenzia Entrate; ciò è possibile e auspicato visto che l’allerta CCII formale non li coinvolgeva.

Settore Tecnologia e Startup

Le imprese del settore tecnologico (ad es. startup digitali, aziende software, piattaforme online) presentano profili peculiari nel contesto della crisi d’impresa. Spesso hanno asset intangibili (proprietà intellettuale, brevetti, software) e poche immobilizzazioni materiali; possono non avere utili per anni, vivendo di investimenti, e all’improvviso trovarsi senza liquidità se il funding si interrompe. In tali casi, i debiti verso fornitori o dipendenti possono accumularsi, ma i debiti fiscali talora sono contenuti (spesso nei primi anni le startup sono in perdita e non devono imposte sul reddito; se assumono personale hanno semmai debiti contributivi, ma spesso godono di agevolazioni contributive e fiscali come il regime startup innovativa). Tuttavia possono verificarsi situazioni come:

  • Startup che incassa l’IVA dalle vendite ma la reinveste in sviluppo, omettendo di versarla (generando debito IVA).
  • Azienda tech che trattiene IRPEF sulle stock option o sui salari dei programmatori ma, in crisi di cassa, non le riversa entro i termini.
  • Debiti verso gestori previdenziali alternativi (ad es. Gestione Separata INPS per i co.co.co. o le partite IVA collaboratrici).

Un problema comune nelle PMI tecnologiche è la mancanza di beni tradizionali da liquidare: in caso di procedura concorsuale, l’attivo è basso (pochi computer, forse un brevetto di valore incerto). Per questo spesso la via migliore è trovare un investitore o cedere la proprietà intellettuale. Soluzione tipica: accordo stragiudiziale con un competitor che acquista codice sorgente, database clienti, ecc., pagando un corrispettivo che viene usato per soddisfare (in parte) i debiti. In un contesto CCII, questo può avvenire:

  • Tramite una composizione negoziata: l’azienda tech può cercare, con l’esperto, un soggetto disposto a investire o acquisire. Se trova, può concludere un contratto (anche prima di procedure concorsuali) che, magari col placet del tribunale, permetta la continuità (art. 23 co.1 lett. f CCII consente all’imprenditore in composizione negoziata di essere autorizzato a trasferire l’azienda senza le ordinarie responsabilità, per favorire soluzioni).
  • Tramite un concordato in continuità indiretta: la startup propone ai creditori di cedere l’azienda ad un acquirente individuato, incassare un prezzo e distribuirlo secondo prelazioni. Qui il Fisco, se chirografo, potrebbe prendere percentuali basse, ma comunque meglio di nulla (se la continuità mantiene in vita il progetto in mano al nuovo proprietario, il know-how non va disperso e c’è valore). In questi casi, l’offerta al Fisco sarà comparata con la liquidazione in cui probabilmente il software invenduto varrebbe zero; quindi offrire anche il 5-10% ai crediti erariali chirografari può risultare conveniente e il giudice potrebbe omologare anche se l’Erario non fosse d’accordo.
  • Liquidazione giudiziale: se purtroppo non c’è più nulla da fare, la società tech va in liquidazione giudiziale (fallimento). Il curatore cercherà di vendere banche dati, brevetti, marchi. Il Fisco incasserà solo se ci sono acquirenti per tali intangibles (non garantito). Dato che spesso l’unico valore è il team di persone, in fallimento quell’asset umano si perde. Perciò la via preferibile è tentare di vendere prima (pre-pack sale), usando la cornice di una composizione negoziata o concordato.

Il settore tech inoltre potrebbe beneficiare di normative di favore: ad esempio le startup innovative hanno semplificazioni per la liquidazione volontaria (possono sciogliersi senza costi di notaio nei primi anni, ecc.). Ma se c’è insolvenza, devono passare dalle procedure ordinarie (non c’è esenzione come per agricoltura). Alcune startup potrebbero non raggiungere le soglie di fallibilità (art. 2 CCII: patrimonio < €300k, debiti < €500k ecc.), in tal caso rientrano nella sfera del sovraindebitamento: quindi concordato minore o liquidazione controllata. Questo è frequente, data la piccola dimensione iniziale.

Per il settore ICT va menzionato anche il tema dei crediti d’imposta per R&S: molte società tech vantano crediti fiscali (per ricerca, innovazione, patent box) che possono compensare con debiti tributari. In crisi, questi crediti diventano fondamentali: nelle trattative di composizione, possono proporre all’Erario uno “scambio” implicito – utilizzeremo i nostri crediti per pagare in parte il dovuto. La legge consente compensazioni entro certi limiti, e l’Agenzia è spesso più propensa a transare sapendo che il debitore ha comunque dei crediti fiscali compensabili.

Riassumendo il settore tecnologico:

  • Debiti fiscali ridotti ma possibili: l’IVA può generare debito se non versata, ma spesso regime forfettario o esenzioni riducono l’IVA dovuta. Molte startup falliscono prima di generare IVA significativa.
  • Procedure snelle: frequente l’uso di accordi stragiudiziali o composizione negoziata, dati i pochi creditori numericamente (spesso pochi investitori, forse qualche fornitori e Fisco).
  • Valorizzazione asset intangibili: una sfida è convincere i creditori (Fisco incluso) che accettare un accordo conviene perché la tecnologia venduta ora rende qualcosa, mentre in liquidazione potrebbe essere invenduta. Da qui l’importanza dell’attestazione di convenienza per l’Erario nei piani tech: il perito deve stimare bene quanto otterrebbe lo Stato nel crack (spesso zero) per dimostrare che anche un piccolo pagamento in concordato è vantaggioso.
  • Niente DURC tipicamente: molte startup non hanno appalti pubblici, quindi la regolarità contributiva è meno dirimente per la continuità. Tuttavia, se forniscono servizi a PA (es. software), allora un DURC negativo può bloccare pagamenti: in quel caso valgono considerazioni simili all’edilizia, ma la scala contributiva è minore (pochi dipendenti).

Tabelle riepilogative dei regimi e opzioni per debiti fiscali e contributivi

Di seguito presentiamo alcune tabelle riepilogative che confrontano i principali strumenti di gestione della crisi d’impresa dal punto di vista del trattamento di debiti tributari (Tributi) e previdenziali (Contributi). Sono evidenziati i riferimenti normativi essenziali, i tipi di crediti fiscali trattabili, i requisiti chiave per l’accesso e le regole di riparto dei crediti pubblici in ciascun istituto.

Tabella 1 – Procedure concorsuali ordinarie

ProceduraRiferimenti normativiTributi/Contributi trattabiliRequisiti chiaveTrattamento dei crediti pubblici
Concordato preventivo (continuità)D.Lgs. 14/2019, art. 84-88 (previgente: art. 182-ter L.Fall.)Tributi erariali e contributi previdenziali (privilegiati e chirografari)Piano con transazione fiscale: offerta ≥ valore di liquidazione; attestazione professionista indipendente sulla fattibilità e convenienza. Durata piano fino 10 anni (rate trimestrali max 5 anni o mensili max 10). Voto dei creditori (maggioranza > 50% crediti per classe).Prelazione assoluta sul valore di liquidazione: i crediti privilegiati (es. IVA, INPS ultimi anni) soddisfatti prioritariamente fino a concorrenza dell’attivo liquidatorio. Prelazione relativa sul surplus da continuità: eventuale plusvalore distribuito in classi, assicurando ai crediti Erario/INPS trattamento ≥ classi pari grado e > classi inferiori. Possibile falcidia della quota chirografaria dei tributi (e quota privilegiata eccedente valore liquidatorio), purché rispettato il divieto di trattamento deteriore (Fisco ottiene ≥ scenario liquidatorio). Cram-down fiscale possibile se Fisco vota no ma offerta ≥ soglia minima di legge.
Concordato preventivo (liquidatorio)D.Lgs. 14/2019, art. 84, 86-87Tributi e contributi come sopraPiano liquidatorio con cessazione azienda; attestazione obbligatoria; valore di liquidazione determinato dall’attivo ceduto. Richiede apporto esterno ≥ 10% per esdebitazione (art. 84 co.3). Voto creditori (maggioranza semplice).Prelazione assoluta su tutto l’attivo: l’intero ricavato è distribuito secondo l’ordine legale delle cause di prelazione. Non c’è plusvalore da continuità; eventuali residui attivi da realizzo oltre previsioni possono andare a creditori chirografari pro quota. Transazione fiscale limitata: possibile dilazione/falcidia solo della parte chirografaria dei tributi/contributi. I crediti privilegiati pubblici dovrebbero essere soddisfatti integralmente entro i limiti dell’attivo (nessuna falcidia se attivo ≥ privilegio). Se attivo insufficiente a pagarli integralmente, il piano può prevedere il loro pagamento parziale ma ciò coincide con il massimo realizzabile (non c’è trattamento deteriore perché si dà tutto il possibile).

Tabella 2 – Strumenti negoziali e pre-concorsuali

ProceduraRiferimenti normativiTributi/Contributi trattabiliRequisiti chiaveTrattamento dei crediti pubblici
Accordo di ristrutturazione dei debiti (ARD)D.Lgs. 14/2019, art. 57, 60-63 (ex art. 182-bis e 182-ter co.5-6 L.F.)Tributi erariali e contributi previdenziali (Stato e INPS)Consenso di ≥ 60% dei crediti totali (50% se estensione effetti a dissenzienti minori). Relazione attestatore su fattibilità piano e convenienza per Erario. Deposito accordo e omologazione tribunale. Eventuale omologa forzosa senza adesione Fisco se la maggioranza richiesta è raggiunta con gli altri creditori.Nessun vincolo di parità di trattamento rispetto ad altri creditori di pari grado: il debitore può offrire al Fisco anche percentuali inferiori rispetto ad altri chirografari, purché il trattamento non sia peggiore di quello ottenibile in liquidazione (principio generale di convenienza). Possibile deroga all’ordine delle prelazioni se il Fisco acconsente (es. pagare prima banche poi Fisco). Sanzioni e interessi fiscali pienamente falcidiabili nell’accordo. Cram-down fiscale: se l’adesione dell’Erario non è determinante per il 60%, il tribunale può omologare l’accordo nonostante il diniego, soddisfacendo coattivamente il Fisco nei termini proposti. Se invece il Fisco è essenziale per raggiungere il 60%, il suo dissenso impedisce l’omologa.
Composizione negoziata della crisiD.Lgs. 14/2019, art. 23 (comma 2-bis introdotto da D.Lgs. 136/2024) D.L. 118/2021 conv. L.147/2021 (norme istitutive)Tutti i debiti tributari amministrati dalle Agenzie statali (IVA, imposte dirette, ritenute, accise) e contributi INPS. Tributi locali esclusi (ad oggi).Accesso volontario su piattaforma. Nomina esperto indipendente. Possibilità di misure protettive (sospensione azioni esecutive). Accordo transattivo fiscale facoltativo: richiede proposta debitore + relazione asseverata attestatore su convenienza per Erario vs liquidazione + relazione revisore su dati. Adesione necessaria delle Agenzie (Entrate, Riscossione, Dogane) per perfezionare accordo. Autorizzazione finale del tribunale.No cram-down: l’accordo fiscale deve essere approvato dal Fisco, non può essere imposto. In caso di adesione, l’accordo produce effetti obbligatori per le parti (come transazione stragiudiziale autorizzata). Prelazioni: nella proposta si applicano criteri analoghi a concordato, ma essendo negoziale il debitore può offrire qualunque riparto purché convinca il Fisco. Di fatto, l’Agenzia valuterà se la percentuale offerta su ciascun tributo è ≥ rispetto a scenario liquidatorio (benchmark obbligatorio). Non si possono includere tributi di enti non statali. Oggetto completo: l’accordo può riguardare il capitale delle imposte (non solo sanzioni/interessi), superando vecchi limiti. Il giudice, prima di autorizzare, verifica il rispetto delle condizioni e che non vi sia pregiudizio ai crediti erariali non aderenti (es. tributi locali restano fuori e vanno pagati al di fuori dell’accordo).

Tabella 3 – Procedure per soggetti minori (sovraindebitamento)

ProceduraNormativaSoggetti e DebitiRequisiti chiaveTrattamento debiti fiscali e contributivi
Concordato minoreD.Lgs. 14/2019, artt. 74-83Debitore non fallibile (impr. sotto soglia, enti non commerciali) – Tributi e contributi compresiPiano con proposta ai creditori chirografari e classi di crediti. Necessaria approvazione dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto (quorum computato su votanti). Attestazione indipendente sulla fattibilità. Omologazione del tribunale (possibile anche senza voto favorevole di creditori pubblici se maggioranza complessiva raggiunta).Simile al concordato preventivo per regole generali. Transazione fiscale ammessa: il piano può prevedere pagamento parziale/dilazionato di imposte e contributi, nel rispetto della convenienza (Erario ≥ alternativa liquidazione controllata). Crediti fiscali privilegiati soddisfatti almeno nei limiti dell’attivo liquidabile; parte chirografaria falcidiabile liberamente. In caso di voto contrario del Fisco ma suffragio favorevole complessivo, il giudice può omologare lo stesso (cram-down di fatto). La differenza è che nel concordato minore non vi sono percentuali minime di legge (30-40%) ma solo il vaglio di convenienza e buona fede.
Ristrutturazione dei debiti del consumatoreD.Lgs. 14/2019, artt. 67-73Persona fisica non imprenditore (o imprenditore cessato) – Debiti tributari e contributivi inclusiProposta di piano rivolta al tribunale (no voto creditori). Verifica di meritevolezza e fattibilità. Eventuali osservazioni dei creditori valutate dal giudice. Omologazione se il piano garantisce il miglior soddisfacimento dei creditori rispetto a liquidazione e il debitore non ha colpa grave nel sovraindebitamento.I debiti fiscali e previdenziali possono essere ripagati parzialmente o ristrutturati nel piano, anche senza il consenso degli enti (essendo procedura giudiziale unilaterale). Il giudice deve verificare che la falcidia proposta al Fisco non sia inferiore a quanto quest’ultimo otterrebbe liquidando i beni del debitore. Se il piano prevede espressamente il pagamento parziale di imposte, l’Agenzia Entrate può opporsi deducendo che il debitore ha risorse nascoste o non è meritevole, ma in difetto di prove il tribunale può omologare ugualmente. Post omologazione, l’accordo vincola gli enti: il debitore sarà liberato dal restante debito fiscale a fine esecuzione piano (salvo debiti per sanzioni penali o obblighi di mantenimento).
Liquidazione controllataD.Lgs. 14/2019, artt. 268-277Sovraindebitato (anche impr. agricolo o consumatore) – tutti i debitiIstanza debitoriale o istanza creditori/PM. Nomina di un liquidatore. Liquidazione dell’attivo sotto supervisione del tribunale. Al termine, possibile esdebitazione del debitore persona fisica (anche per debiti tributari residui, eccetto risarcimenti danni e sanzioni penali pecuniarie).Paragonabile a una liquidazione fallimentare semplificata. I debiti fiscali e contributivi vengono collocati al passivo con i relativi privilegi e trattati come da legge (art. 2777 c.c. per tributi, privilegio INPS ecc.): ricevono riparti in base ai beni liquidati. Se il patrimonio è insufficiente a coprirli integralmente, la quota non soddisfatta viene cancellata (in caso di esdebitazione concessa, l’Erario non può più pretenderla dal debitore persona fisica). Per la persona giuridica, invece, la quota insoddisfatta rimane insoluta ma la società viene estinta. In liquidazione controllata non c’è transazione fiscale in senso tecnico (è una pura esecuzione concorsuale); tuttavia l’Agenzia Entrate spesso partecipa al comitato dei creditori e può acconsentire a vendite o transazioni su liti fiscali pendenti per massimizzare il realizzo.

(Legenda: per “crediti privilegiati” dei tributi si intende il privilegio generale mobiliare ex art. 2752 e 2777 c.c., che copre ad es. IVA, ritenute, imposte reddito ultimi 1-3 anni; per contributi privilegio ex art. 2753 c.c. etc. “Falcidia” = pagamento parziale; “prelazione assoluta” = rispetto rigido priorità; “prelazione relativa” = criterio di migliori rispetto a gradi inferiori.)

Le tabelle sopra sintetizzano in modo comparativo come il Codice della Crisi e le normative correlate trattano i debiti tributari e contributivi nei vari contesti. In ogni caso, raggiungere un accordo con l’Erario comporta un delicato bilanciamento tra l’interesse pubblico alla riscossione e la finalità di salvataggio dell’impresa, bilanciamento attuato attraverso la comparazione degli scenari alternativi (continuazione vs liquidazione). L’evoluzione normativa recente mostra un progressivo ampliamento delle possibilità di composizione negoziale di tali debiti, mantenendo però ferme alcune garanzie (soddisfacimento minimo, controllo giudiziario, adesione necessaria in sede extragiudiziale).

FAQ – Domande frequenti (giuridico-operative)

Di seguito una serie di domande e risposte frequenti riguardanti la gestione dei debiti fiscali e contributivi nelle situazioni di crisi d’impresa, con un taglio pratico e operativo.

  • D: Che cos’è la “transazione fiscale” e in quali procedure si applica?
    R: La transazione fiscale è uno strumento negoziale che consente al debitore di ristrutturare i debiti tributari (e contributivi) proponendo al Fisco un pagamento parziale e/o dilazionato, in deroga al principio di integrale soddisfazione. Si applica principalmente nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti, dove è disciplinata rispettivamente dagli artt. 88 e 63 CCII. Con le riforme recenti, è stata estesa anche alla composizione negoziata della crisi (art. 23 co.2-bis CCII). In tutti i casi, la transazione fiscale mira a garantire all’Erario un trattamento almeno equivalente a quello che otterrebbe nella liquidazione fallimentare alternativa. Operativamente, si traduce in un accordo (inserito nel piano concordatario o nel testo dell’accordo di ristrutturazione) in cui l’Agenzia delle Entrate e l’INPS accettano di considerare soddisfatti i propri crediti tributari/previdenziali se il debitore esegue il piano concordato (es. pagamento del XX% entro tot anni). L’efficacia dell’accordo è subordinata all’omologazione da parte del tribunale, salvo che nella composizione negoziata dove l’adesione è extragiudiziale e viene solo autorizzata dal giudice.
  • D: L’imprenditore in crisi può includere i debiti fiscali in un concordato preventivo?
    R: Sì, certamente. Dal 2019 il Codice della Crisi prevede espressamente la possibilità di proporre nel concordato preventivo un trattamento specifico per i debiti fiscali e contributivi, tramite la transazione fiscale (art. 88 CCII). Il piano concordatario può quindi contemplare il pagamento parziale e/o dilazionato di imposte e contributi, purché venga rispettata la soglia minima di soddisfacimento pari al valore di liquidazione (in base ai privilegi). In pratica, l’offerta al Fisco deve garantire almeno quanto otterrebbe in un fallimento della società. È ammessa la dilazione fino a 6–10 anni in continuità (tipicamente 5 anni se rate trimestrali, estendibili a 10 con rate mensili). L’Agenzia delle Entrate ha diritto di voto nella classe dei crediti erariali (così come l’INPS per i contributi). Se ritiene non conveniente la proposta, può votare contro. Tuttavia, se il Fisco esprime un voto negativo ingiustificato, il tribunale ha facoltà di omologare comunque il concordato (c.d. omologazione forzosa o cram-down) ai sensi dell’art. 63 CCII, a condizione che: (a) il piano rispetti le condizioni di convenienza (nessun danno per l’Erario rispetto alla liquidazione) e (b) sia assicurato un soddisfacimento minimo, indicato dalla legge in almeno il 30% del credito fiscale (percentuale elevabile al 40% in mancanza di altri creditori chirografari significativi). Quindi il dissenso del Fisco non è più un veto assoluto, se il piano nel complesso conviene ai creditori e garantisce un ritorno dignitoso all’Erario. Resta fermo che, se invece il piano offrisse al Fisco meno del dividendo fallimentare, l’omologa sarebbe negata per violazione dell’art. 88 CCII.
  • D: È possibile includere anche l’IVA e le ritenute nel taglio dei debiti?
    R: Sì. Una delle novità ormai consolidate è la possibilità di falcidiare l’IVA e le ritenute fiscali all’interno della transazione fiscale. In passato c’erano incertezze perché si riteneva tali imposte “indisponibili”, ma la normativa attuale e le pronunce comunitarie consentono il loro trattamento come gli altri tributi. L’importante è che l’accordo sia autorizzato da una norma (come appunto l’art. 88 o art. 63 CCII): ciò soddisfa il principio di riserva di legge. Quindi, in un concordato o accordo omologato, si può legittimamente pagare solo una percentuale dell’IVA dovuta, senza incorrere in violazioni di legge. Ovviamente l’IVA, essendo spesso credito privilegiato, dovrà essere soddisfatta almeno per la parte coperta da patrimonio liquidabile dell’azienda, ma l’eventuale eccedenza chirografaria può essere ridotta o anche azzerata se il piano lo giustifica. Le ritenute non versate (ad es. ritenute sui redditi di lavoro autonomo) seguono lo stesso regime dell’IVA. In sede di composizione negoziata, analogamente, il nuovo art. 23 co.2-bis consente di includere tutti i tributi, IVA compresa, nell’accordo transattivo. Dunque sì: oggi il perimetro della transazione fiscale è onnicomprensivo (salvo tributi locali, esclusi sino a intervento delegato futuro).
  • D: I tributi locali (IMU, TARI, IRAP regionale) si possono stralciare nel piano?
    R: Attualmente no, non attraverso la transazione fiscale ordinaria. Come evidenziato, la disciplina vigente di concordato e accordi riguarda i tributi “amministrati dalle agenzie fiscali” (Erario statale) e i contributi previdenziali statali. I tributi locali (imposte comunali, regionali) non rientrano perché i relativi enti impositori non sono parti della transazione fiscale ex lege. La legge delega 111/2023 prevede di colmare questo vuoto con decreti attuativi, ipotizzando la falcidia dei tributi locali nell’ambito della composizione negoziata, ma finora non si è data attuazione. Dunque, se un’impresa ha grossi debiti verso un Comune (es. IMU arretrata su immobili) o verso la Regione (IRAP se non riscossa dall’AdE, addizionali), deve gestirli a parte. Nella pratica: in un concordato, i tributi locali andranno inseriti al passivo e soddisfatti integralmente se privilegiati (ad es. l’IMU ha privilegio sull’immobile fino a 2 anni di imposta) o come gli altri chirografari se chirografari – ma non si può imporre loro un taglio a meno che l’ente locale aderisca spontaneamente. Molti Comuni non hanno strumenti per “votare” piani di concordato, quindi spesso non aderiscono e il loro credito resta fuori dalla transazione, richiedendo pagamento integrale. Detto questo, se l’importo è modesto, in sede di riparto il curatore/trustee li paga per intero; se è ingente e chirografario, se la maggioranza di tutti i creditori vota sì, il Comune dissenziente viene comunque trascinato dal concordato omologato (cioè riceverà solo il dividendo come gli altri chirografari, nonostante non abbia acconsentito, ma qui non si parla di transazione fiscale, bensì di effetti generali dell’omologa sui chirografari). Discorso analogo per l’IRAP regionale o tributi minori: non c’è uno strumento ad hoc finché non verrà emanato il decreto delegato promesso. Nel frattempo, i professionisti spesso cercano intese caso per caso con gli enti locali più disponibili oppure prevedono nel piano di pagare integralmente quei tributi per evitare contestazioni di legittimità.
  • D: Cosa succede se durante la composizione negoziata l’Agenzia Entrate rifiuta la mia proposta di accordo fiscale?
    R: In tal caso, l’accordo transattivo fiscale non può perfezionarsi. Come detto, nella composizione negoziata non c’è cram-down: il dissenso dell’Erario è insuperabile. Se l’Agenzia Entrate (o Riscossione) non aderisce, il debitore ha comunque altre opzioni: può rinegoziare modificando la proposta secondo le indicazioni ricevute (magari l’Erario chiede una percentuale maggiore o garanzie, e il debitore può tentare di assecondare), oppure – se proprio non c’è intesa – l’imprenditore può decidere di accedere a una procedura concorsuale formale. In pratica, la composizione negoziata può fungere da preludio: se il Fisco non accetta stralci extragiudiziali, il debitore potrebbe depositare un concordato preventivo o un accordo di ristrutturazione in tribunale, sfruttando lì il meccanismo dell’omologa giudiziale. Ciò ovviamente allunga i tempi e comporta costi, ma è l’alternativa prevista. Va anche notato che se il Fisco rifiuta un accordo comunque conveniente (cioè in cui avrebbe preso almeno quanto in fallimento), potrebbe poi vedersi imporre un risultato simile in sede di concordato con cram-down. Questo a volte può essere fatto presente in sede negoziale per convincere l’Agenzia: “Accettate ora il 50% in 5 anni, perché tanto in concordato il giudice ve lo potrebbe imporre se dimostriamo che in fallimento prendereste meno”. Non c’è garanzia che l’argomento persuada, ma fa parte della dialettica. Durante la negoziazione, l’impresa beneficia delle misure protettive (moratoria azioni esecutive), ma se decide di ripiegare su un concordato, dovrà presentare domanda prima che scadano le protezioni (massimo 180 giorni salvo proroghe). Infine, se l’esito della negoziazione è negativo e non c’è tempo o fattibilità per un concordato ordinario, resta l’opzione del concordato semplificato liquidatorio, che però non consente stralci concordati: lì il Fisco riceverà il ricavato di liquidazione secondo prelazioni e fine (sostanzialmente come un fallimento semplificato). Quindi il mancato accordo col Fisco in sede negoziale spinge verso la soluzione concorsuale: o un concordato per continuare (con tribunale che può forzare l’Erario) o la liquidazione giudiziale/semplificata.
  • D: Se la mia azienda ha debiti solo verso il Fisco (o in gran parte verso il Fisco), posso comunque accedere agli strumenti di composizione della crisi?
    R: Sì, gli strumenti sono accessibili anche se l’Erario è l’unico o il principale creditore. Non c’è un divieto. Certo, la situazione monocreditore pubblico pone alcune sfide: ad esempio, in un accordo di ristrutturazione serve il consenso del 60% dei crediti; se praticamente l’Agenzia Entrate rappresenta più del 40% e dice no, non si può omologare (perché il suo voto è determinante per raggiungere la soglia). In un concordato preventivo, se il Fisco è ad esempio il 70% del passivo e vota contro, non si raggiungerà la maggioranza di favore (50%+1) e quindi il concordato verrebbe bocciato in votazione. Lì non potrebbe intervenire il cram-down perché questo presuppone che il piano sia stato approvato dalle maggioranze di legge (e poi c’è solo il dissenso ingiustificato del Fisco). Se la maggioranza non si forma, la procedura muore. Quindi, più il debito è concentrato sul Fisco, più è cruciale ottenere la sua adesione. Gli strumenti comunque possono essere usati: ad esempio, con un debito 90% Fisco e 10% altri, la composizione negoziata è un contesto ideale per trattare direttamente; se si andasse in concordato, di fatto l’esito dipenderebbe completamente dal voto dell’Erario. In passato molte situazioni così venivano gestite con istanze di rateazione o rottamazioni, che però sono misure amministrative, non concorsuali. Oggi, se l’importo è rilevante, conviene tentare la strada del negoziato assistito e magari far intervenire la Direzione regionale dell’Agenzia (che ha potere di transigere in ambito composizione negoziata). In nessun caso l’Erario è tenuto ad aderire per il solo fatto di essere unico creditore – anzi, da regolamento interno, l’Agenzia Entrate dà il nulla osta solo se la proposta rispetta precise condizioni di recupero. Quindi un imprenditore con solo debiti fiscali potrebbe trovarsi, paradossalmente, ad avere minor potere negoziale (perché il Fisco sa di essere l’ago della bilancia). È comunque possibile, con il supporto dell’esperto e di professionisti, costruire una proposta convincente (es. pagamento 30% subito grazie a un finanziatore + restante in 4 anni, contro un presumibile 5% in caso di fallimento): in vari casi l’Agenzia ha aderito quando il confronto numerico e di tempi era favorevole. In ultima analisi, se il Fisco rifiuta e non ci sono altri creditori, il debitore può solo evitare il fallimento liquidando spontaneamente la società (se è società di capitali) o chiedendo la liquidazione controllata (se persona fisica, sperando poi nell’esdebitazione). A quel punto il Fisco incasserà quello che c’è e dovrà chiudere in perdita il resto.
  • D: Una volta omologato un concordato o accordo con transazione fiscale, cosa succede ai debiti fiscali residui?
    R: Vengono stralciati definitivamente, a patto che il debitore esegua integralmente la proposta approvata. L’omologazione del concordato o dell’accordo di ristrutturazione ha effetto vincolante per tutti i creditori compresi, quindi i crediti fiscali e contributivi sono “novati” dall’accordo omologato: l’Erario non potrà più pretendere importi ulteriori oltre quanto stabilito. Se, ad esempio, su €100 di debito IVA il concordato prevede pagamento 40 (40%) e viene omologato, l’Agenzia Entrate Riscossione dovrà emettere lo sgravio della parte eccedente (€60) dopo che il concordato è chiuso positivamente. La transazione fiscale rappresenta infatti una disposizione legislativa di esdebitazione parziale (ex art. 88 CCII), che libera il debitore. Attenzione però: la condizione essenziale è che il debitore rispetti il piano. In caso di inadempimento grave del concordato, si può aprire la risoluzione della procedura e, a quel punto, i debiti originari rivivono per la parte non pagata. Nel concordato preventivo, la risoluzione fa decadere i benefici e il fallimento seguente vedrà di nuovo il Fisco insinuarsi per l’intero credito (detratto quanto eventualmente ricevuto). Dunque, l’impresa deve eseguire le obbligazioni concordatarie per ottenere la liberazione del debito residuo. Nel caso di accordo di ristrutturazione, l’omologazione comporta che l’accordo è legge tra le parti: se il debitore poi non paga le rate pattuite, l’Erario può agire per l’esecuzione forzata dell’accordo (e l’accordo stesso di solito prevede clausole risolutive). Quindi, prudentemente, l’azienda deve considerare l’accordo come l’ultima chance: adempiendolo, il sollievo sul debito è definitivo; fallendo, la situazione ritorna critica. Invece, se tutto va bene, al termine la parte falcidiata è cancellata e, nel caso di persona fisica, ciò equivale a un’esdebitazione; per la società, significa che quel debito non c’è più (se restano altri debiti insoddisfatti verso creditori estranei, rimarranno ma spesso la società viene liquidata/estinta comunque).
  • D: Qual è la durata massima concessa per pagare i debiti fiscali e contributivi in questi strumenti?
    R: Dipende dallo strumento:
    • Rateazione amministrativa ordinaria (cartelle): 72 rate mensili standard (~6 anni) estensibili a 120 rate (~10 anni) in casi eccezionali di grave e comprovata difficoltà. Queste sono le dilazioni concesse direttamente da Agenzia Riscossione fuori dalle procedure concorsuali.
    • Concordato preventivo: la legge non fissa un tetto esplicito (se non il buon senso della fattibilità). In prassi, il piano di concordato raramente eccede i 5 anni per i pagamenti dilazionati. Tuttavia, è ammesso prevedere una durata maggiore in continuità – alcune interpretazioni ammettono fino a 10 anni per pagamenti di determinati crediti privilegiati, specie se la massa attiva lo consente (nel nostro esempio, art. 86 CCII richiama il quinquennio, ma l’art. 88 consente estensione in casi particolari). Comunque, Agenzia Entrate di solito non accetta transazioni ultra-decennali. In casi eccezionali, specie nei concordati con prevalenza di debito fiscale, si sono viste proposte di 7-8 anni, ma l’attestatore deve giustificarle bene. Il Codice stesso, all’art. 84 co.4 lett. c, stabilisce che il piano deve indicare i tempi di adempimento e se i tempi superano i 90 giorni dall’omologa vanno attualizzati: ciò lascia intendere che alcune classi possono essere pagate anche oltre i 2-5 anni, ma valutando il valore attuale.
    • Accordo di ristrutturazione: qui la durata è pattizia. L’accordo può prevedere rate anche lunghe (es. 120 mesi). L’importante è che sia sostenibile e che i creditori (tra cui l’Erario) accettino. Nulla impedisce teoricamente un accordo che dilazioni i tributi su 15 anni, ma in pratica l’Amministrazione finanziaria ha linee guida interne che difficilmente gli permettono di impegnarsi su orizzonti troppo lunghi senza garanzie. Tipicamente, un accordo di ristrutturazione approvato può arrivare a 5-6 anni di durata, raramente di più.
    • Composizione negoziata: similmente, l’accordo transattivo col Fisco può avere dilazioni. Non c’è un massimo normativo. Probabile limite pratico: l’Agenzia potrebbe non spingersi oltre 6 anni (72 rate) perché è il limite noto delle rateazioni; però essendo sede negoziale, potrebbe valutare caso per caso. La normativa emergenziale (ad es. DL 73/2021) in qualche caso ha concesso piani straordinari decennali per ripresa post-Covid, quindi non è escluso che accettino 8-10 anni se c’è motivazione. Ciò dovrà risultare nell’attestazione di convenienza (il professionista deve dimostrare che con 10 anni di tempo l’Erario recupera più che procedendo subito con esecuzioni).
    • Sovraindebitamento (concordato minore/piano): anche qui, non c’è limite fisso. Un piano del consumatore può dilazionare i pagamenti fino a 20 anni se è credibile (es. pagamento di debito fiscale tramite trattenute su stipendio per 15 anni, il giudice potrebbe ammetterlo se il debitore è giovane). Ovviamente, più si diluisce il pagamento meno valore ha la proposta. In genere i piani non eccedono i 5-7 anni, ma non c’è preclusione.
    In generale, la dilazione massima di pagamento dei debiti tributari/contributivi in procedure concorsuali è determinata dalla fattibilità e convenienza: un pagamento troppo prolungato potrebbe essere considerato inaccettabile (il Fisco preferirebbe escutere subito). Circa le sanzioni e interessi, spesso gli accordi prevedono di pagarli per ultimi o addirittura solo se avanza qualcosa (subordinati): ad esempio, si può proporre “pago 100% imposte in 5 anni, e le sanzioni solo se dopo aver pagato tutti rimangono utili”. Le Agenzie su ciò in genere acconsentono perché il loro focus è sul tributo. Le circolari Entrate n. 16/E 2018 e 34/E 2020 forniscono indicazioni operative dettagliate sulla durata e modalità delle transazioni fiscali, spiegando che la proposta deve avere solide basi finanziarie e che l’eventuale dilazione concessa nel concordato deve risultare sostenibile e vigilata (ad esempio con covenants e controllo del commissario). Ad ogni scadenza rilevante, il debitore dovrà dimostrare di essere in regola per evitare decadenze.
  • D: Cosa comporta la transazione fiscale sul piano fiscale dell’azienda? (profili contabili e fiscali)
    R: La chiusura di un accordo di transazione fiscale ha alcuni effetti da considerare:
    • Dal lato contabile, il debitore iscriverà nelle sue scritture la riduzione del debito come una sopravvenienza attiva. Esempio: aveva €100 di debito verso Erario, l’accordo ne prevede pagamento €40; quando l’accordo diviene efficace, si elimina il debito per €100 e si iscrive debito di €40 verso Erario e una sopravvenienza attiva di €60. Tuttavia, tale sopravvenienza non è imponibile ai fini IRES/IRAP in quanto deriva da riduzione di debiti prevista da procedura concorsuale omologata (art. 88 co.4-quater TUIR prevede la non imponibilità delle sopravvenienze da concordato o accordo omologato). Ciò evita che l’azienda risanata si trovi a pagare tasse sul debito “perdonato”.
    • Dal lato del Fisco creditore, esso contabilizza la perdita come una remissione di debito autorizzata da legge. L’eventuale IVA stralciata non deve essere rettificata dall’Erario nelle liquidazioni periodiche (mentre se fosse il contrario, cioè se un creditore privato rinuncia a un credito IVA, c’è la problematica detrazione IVA). Qui è il debitore che beneficerà della quota IVA non versata senza dover emettere fatture o note di variazione: semplicemente, l’omologa funge da “titolo” per chiudere il conto.
    • Le sanzioni amministrative tributarie relative ai debiti oggetto di transazione sono per legge condonate nel momento in cui la transazione è omologata e soddisfatta. L’art. 180 CCII e il D.Lgs. 472/97 prevedono l’estinzione delle sanzioni tributarie in concordato preventivo e accordo omologato, se previste dal piano (il che è sempre, visto che si falcidiano interessi e sanzioni prima del capitale). Ciò viene poi formalizzato dall’ufficio locale con provvedimenti di sgravio.
    • Se vi erano procedure esecutive in corso (pignoramenti, ipoteche) da parte del Fisco, queste vengono meno: la transazione e l’omologazione portano alla sospensione/estinzione delle esecuzioni individuali (lo stesso tribunale di solito ordina la cancellazione di ipoteche, fermi ecc., a seguito dell’attuazione del piano).
    • Un aspetto importante: la transazione fiscale non incide su eventuali obbligazioni di garanzia di terzi. Se, ad esempio, un socio aveva fatto da fideiussore per il debito tributario, la remissione accordata all’azienda non libera il fideiussore salvo patto contrario dell’Erario. In genere l’Agenzia chiede espressamente la rinuncia del fideiussore a eccepire il beneficio. Quindi il garante potrebbe ancora essere escusso per l’importo condonato (anche se poi, avendo pagato, subentrerebbe nel credito originario chirografario ormai inesigibile verso la debitrice, quindi in pratica è un rischio teorico salvo il Fisco puntare proprio sul terzo). Nelle trattative, spesso si negozia anche la posizione dei garanti: l’Erario talvolta è disposto a liberare i garanti se ritiene soddisfacente il piano, ma formalmente potrebbe non farlo. Sta al garante eventualmente intervenire in omologa per chiedere la liberazione (difficile da ottenere se l’Erario non acconsente espressamente).
    In conclusione, dal punto di vista operativo la transazione fiscale consente all’impresa di ripulire il proprio bilancio dai debiti tributari pregressi una volta completato il piano, senza subire impatto fiscale sulla parte abbuonata. D’altra parte, l’Erario contabilizza delle perdite su crediti ma a fronte di incassi (anche differiti) che in alternativa sarebbero stati incerti o nulli in caso di fallimento.
  • D: Quali sono le conseguenze penali se accedo a una procedura di composizione della crisi per i debiti fiscali?
    R: L’accesso a procedure di concordato, accordo o composizione negoziata non estingue automaticamente eventuali reati tributari già configurati (come l’omesso versamento IVA). Tuttavia, può avere ricadute positive:
    • Se il debitore onora il piano e quindi paga interamente il debito tributario (anche se ridotto) prima della sentenza penale, può invocare l’estinzione del reato per integrale pagamento (ex art. 13 D.Lgs. 74/2000). Ad esempio, se nel concordato erano dovuti €40 su €100 di IVA e l’azienda paga quei €40, il reato di omesso versamento €100 si estingue perché l’integrale debito tributario è considerato saldato (per legge il residuo non è più dovuto, quindi paga il dovuto ai fini penali). Questo è un punto delicato ma l’orientamento è che integrale pagamento significhi integrale secondo l’accordo legalmente vincolante.
    • Se il piano prevede un pagamento rateale, la nuova normativa del 2024 considera non punibile il reato se il debito è in corso di estinzione mediante rateizzazione concordata e il contribuente è in regola con i pagamenti. Quindi la pendenza di un concordato/accordo con regolare adempimento delle rate potrebbe sospendere di fatto l’azione penale: non scatterebbe il sequestro preventivo e, se a fine piano tutto è pagato come da accordo, vi sarà causa di non punibilità definitiva. Diversi procedimenti penali vengono infatti rinviati in attesa dell’esito del concordato.
    • Inoltre, come già discusso, la riforma prevede la non punibilità in caso di crisi di liquidità non imputabile. La circostanza che l’imprenditore abbia tempestivamente attivato una procedura di crisi (invece di restare inerte) può essere valutata come elemento a suo favore, provando la buona fede e la volontà di adempiere appena possibile. Questo può rientrare nell’ambito di quelle “misure idonee a fronteggiare la crisi” che, se non esperibili, lo scusano: in altre parole, se non c’era modo di pagare se non ricorrendo a un concordato, e ciò è stato fatto, si dimostra che la causa è la crisi e non la malafede.
    • Infine, qualora il reato fosse già stato consumato prima (ad es. omesso versamento IVA di due anni fa), la condotta postuma dell’imprenditore – come pagare parzialmente in concordato – può rilevare in sede di determinazione della pena o di concessione di attenuanti (per ravvedimento operoso). Molti tribunali tengono conto dell’esito delle procedure concorsuali per modulare la risposta sanzionatoria.
    In sostanza, l’utilizzo degli strumenti del Codice della Crisi aiuta a regolarizzare la posizione fiscale e, di riflesso, mette l’imprenditore in una luce migliore sotto il profilo penale. Non garantisce impunità automatica (salvo i casi di integrale soddisfazione o causa di forza maggiore riconosciuta), ma crea le condizioni per poter usufruire delle scriminanti o attenuanti previste dalla legge. Resta inteso che le procedure concorsuali non hanno effetto su eventuali reati diversi (es. frodi fiscali da dichiarazione infedele, false fatture) i quali seguono il loro corso indipendentemente dal pagamento o meno.

Casi pratici: simulazioni di gestione dei debiti fiscali in aziende in crisi

Passiamo ora ad alcuni casi di studio ipotetici che illustrano l’applicazione concreta degli strumenti giuridici descritti in differenti situazioni aziendali. Si tratta di scenari esemplificativi – ispirati a situazioni reali – con l’obiettivo di mostrare come un imprenditore o un professionista possa affrontare i debiti erariali e contributivi durante la crisi d’impresa.

Caso 1: Alfa S.r.l. – Impresa edile con debiti IVA e INPS, concordato in continuità

Profilo: Alfa S.r.l. è una società di costruzioni (70 dipendenti) attiva in appalti pubblici. A seguito di ritardi nei pagamenti da parte di alcuni committenti pubblici e dell’aumento dei costi delle materie prime, Alfa si trova in crisi di liquidità. Ha accumulato debiti IVA per €500.000 (non è riuscita a versare l’IVA su stati di avanzamento lavori incassati in ritardo) e debiti contributivi per €300.000 verso INPS e Cassa Edile (ha pagato gli operai ma non tutte le contribuzioni). Ha anche debiti verso banche (€1 mln garantiti da ipoteca su un capannone) e fornitori (€800.000). Nonostante la crisi, Alfa ha un portafoglio ordini significativo e vorrebbe evitare l’interruzione dei cantieri.

Soluzione scelta: composizione della crisi tramite concordato preventivo in continuità aziendale con transazione fiscale e contributiva (artt. 84 e 88 CCII).

Passi operativi:

  1. Accesso alla procedura: Alfa deposita ricorso per concordato con riserva (art. 44 CCII) per beneficiare subito della protezione dai creditori. Il tribunale concede il termine per presentare il piano definitivo, durante il quale le azioni esecutive (tra cui due fermi amministrativi e un pignoramento dell’Agente Riscossione) sono sospese. Ciò impedisce che i mezzi aziendali vengano bloccati.
  2. Piano e proposta: Con l’ausilio di un advisor finanziario, Alfa predispone un piano che prevede: pagamento integrale dei debiti privilegiati (in particolare i debiti INPS privilegiati ultimi 2 anni e l’IVA dell’ultimo anno, circa €200k, attinti dal valore di vendita di un immobile non strumentale); pagamento parziale dei debiti chirografari, offrendo il 40% a fornitori e Fisco chirografario, grazie ai flussi di cassa futuri generati da nuovi cantieri in continuità nei prossimi 5 anni. Il debito bancario ipotecario sarà ristrutturato fuori dal concordato con proroga (essendo ipotecario, viene comunque pagato integralmente ma a scadenze modificate previa trattativa bilaterale). La transazione fiscale proposta include: IVA falcidiata al 50% dell’ammontare totale (sanzioni e interessi stralciati interamente), da pagarsi in 4 anni; contributi INPS non privilegiati falcidiati al 50% anch’essi, in 4 anni. La transazione contributiva proposta alla Cassa Edile: pagamento 100% contributi dovuti ai fondi operai in 2 anni (si opta di non stralciarli, per mantenere rapporti col sistema associativo). In pratica, il Fisco riceverebbe €250k invece di €500k di IVA, l’INPS €150k invece di €300k. I fornitori chirografari riceverebbero anch’essi circa 40%. Il piano dura 5 anni. Il tutto è accompagnato da un rigido cronoprogramma e dalla previsione che, se Alfa incasserà un credito pendente in arbitrato (potenziale upside), esso verrà destinato pro-quota ad aumentare il dividendo di tutti i chirografari, Fisco compreso.
  3. Attestazione: Un professionista indipendente redige la relazione ex art. 87 CCII, attestando che il piano è fattibile e che il concordato offre ai creditori pubblici un soddisfacimento nettamente migliore rispetto alla liquidazione: in caso di fallimento, infatti, Alfa chiuderebbe i cantieri, perdendo i margini futuri, e il Fisco recupererebbe solo la vendita coattiva del capannone (che coprirebbe giusto i crediti ipotecari e privilegiati, lasciando a zero IVA e contributi chirografari). Nel concordato invece incasserebbero 40%. L’attestatore conferma che la continuità genererà un plusvalore di circa €1 mln, indispensabile a pagare anche in parte i chirografari.
  4. DURC e continuità: Alfa ottiene dal giudice, sentito il commissario giudiziale, l’autorizzazione a continuare gli appalti pendenti. Grazie al piano che prevede integrale pagamento dei contributi privilegiati, l’INPS rilascia un DURC provvisorio regolare durante la procedura, permettendo ad Alfa di ricevere i pagamenti SAL dalle stazioni appaltanti. Ciò contribuisce alla cassa per eseguire il piano.
  5. Adesioni e voto: Viene indetta l’adunanza dei creditori. Agenzia delle Entrate e INPS vengono formalmente ammesse al voto nelle rispettive classi. Nel frattempo, l’azienda – tramite i propri consulenti – ha interloquito con gli uffici fiscali presentando la proposta transattiva dettagliata con tutti i dati e la perizia (come suggerito dalla Circolare 34/E). Agenzia Entrate decide di aderire formalmente votando (valuta che 50% in 4 anni è soddisfacente rispetto all’alternativa fallimentare). INPS invece vota no, perché la propria direttiva interna le impone di non acconsentire a falcidie sui contributi privilegiati (anche se qui sono pagati integrali, l’INPS contesta che i contributi chirografari siano tagliati). Nonostante il voto contrario dell’INPS, la classe dei debiti chirografari nel complesso raggiunge il 70% di consensi (fornitori principali e AE favorevoli). La maggioranza legale c’è.
  6. Omologazione: Un creditore minore propone opposizione lamentando che Alfa avrebbe potuto vendere più asset per pagare di più; l’INPS pure si oppone per il trattamento contributi. Il tribunale, però, ritiene soddisfatte le condizioni di legge: in particolare, dichiara che il trattamento riservato a INPS non è inferiore a quello dei chirografari analoghi (anche i fornitori ricevono 40%, quindi par condicio rispettata) e che l’INPS non avrebbe comunque ottenuto di più in caso di liquidazione. Inoltre, l’opposizione del creditore viene respinta anche perché il commissario giudiziale ha confermato che gli asset immobiliari residui erano già ipotecati e non davano ricavato per i chirografari. Pertanto, il tribunale omologa il concordato. Grazie all’art. 48 CCII (cram-down), l’omologa avviene nonostante il dissenso formale dell’INPS, in quanto la proposta rispetta la convenienza e la soglia di legge (per crediti contributivi la soglia è equiparata a quella fiscale) ed erano stati raccolti suffragi a maggioranza. L’omologa approva quindi la transazione fiscale e contributiva: il debito IVA di Alfa è ufficialmente ridotto a €250k e quello contributivo INPS a €150k, esigibili nei termini previsti dal piano.
  7. Esecuzione: Alfa inizia ad eseguire il concordato. I cantieri proseguono e generano utile; grazie a ciò la società paga puntualmente le rate trimestrali all’Agenzia Entrate e all’INPS come da accordo. Il commissario vigila semestralmente e relaziona che tutto procede. Dopo 4 anni, Alfa ha versato interamente i €400k dovuti a Erario e INPS. Nel frattempo, l’arbitrato che pendeva si è risolto a suo favore, generando un incasso extra: come promesso, Alfa ne ha destinato il 20% in aggiunta ai creditori chirografari, portando il dividendo finale di fornitori e Fisco chirografario dal 40% al 45%.
  8. Chiusura e liberazione: A fine piano, il tribunale dichiara adempiuto il concordato. Le Agenzie emettono i provvedimenti di sgravio: le cartelle per IVA sono chiuse, le sanzioni collegate annullate e il DURC di Alfa torna definitivamente regolare. Alfa continua la sua attività più snella da debiti e con reputazione ristabilita; i debiti fiscali residui (gli €300k di IVA falcidiata) non sono più esigibili. Dal lato penale, l’amministratore di Alfa – che era stato indagato per omesso versamento IVA – ha visto il procedimento archiviato, poiché ha pagato integralmente l’IVA concordataria e ha dimostrato che il mancato versamento originario era dovuto ai ritardi dei pagamenti pubblici (circostanza ora riconosciuta come esimente). Il concordato dunque ha consentito di salvare l’impresa edile e i suoi posti di lavoro, assicurando comunque all’Erario una parte significativa delle proprie spettanze (meglio di un fallimento) e normalizzando la situazione contributiva per il futuro.

Caso 2: Beta S.a.s. – Negozio di abbigliamento in crisi, sovraindebitamento del titolare

Profilo: Beta S.a.s. gestisce un negozio di abbigliamento al dettaglio. I soci accomandanti sono i parenti, l’accomandatario è il sig. B (titolare). A causa dell’avvento dell’e-commerce e della crisi dei consumi, il negozio ha accumulato stock invenduto e calo di fatturato. B ha contratto debiti con fornitori per €100.000, un debito bancario di €50.000 (fido) e ha debiti verso il Fisco per €30.000 (IVA di 2 anni non versata) e verso l’INPS per €10.000 (contributi gestione commercianti non pagati). Il negozio non è fallibile (fatturato sotto soglia). Il titolare ha in proprietà solo un’auto e il 50% della casa coniugale (gravata da mutuo). L’attività non è più sostenibile e B intende chiudere il negozio e liberarsi dai debiti, eventualmente liquidando le rimanenze per pagare parzialmente i creditori.

Soluzione scelta: Procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento – in particolare, un piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore presentato dal sig. B come debitore sovraindebitato (dato che i debiti sono in gran parte personali, e Beta S.a.s. essendo società minore rientra comunque in sovraindebitamento).

Passi operativi:

  1. Ricorso ex L.3/2012 (ora CCII): B si rivolge a un OCC (Organismo Composizione Crisi) e predispone un piano del consumatore (ora ristrutturazione del consumatore) ai sensi degli artt. 67-73 CCII. In qualità di piccolo imprenditore non fallibile, può utilizzare questa procedura.
  2. Contenuto del piano: B propone di cessare l’attività commerciale, vendere tutte le rimanenze di magazzino e arredi del negozio, e destinare il ricavato – stimato in €40.000 – ai creditori. Offre quindi un rimborso pari al 40% circa del debito totale (€40k su €100k+). Propone di ripartirlo così: innanzitutto pagare le spese di procedura e un piccolo creditore salariale (una commessa part-time) privilegiato, poi pagare Agenzia Entrate €12.000 su €30.000 di IVA (40%) e INPS €4.000 su €10.000 (40%), e i restanti €24.000 distribuirli ai fornitori (che avrebbero anche loro circa il 40%). La banca, avendo garanzie personali dei soci, è fuori piano perché recupererà escutendo i garanti (il piano lo può prevedere). L’auto di B verrà venduta per €5.000 e inclusa nei €40.000. La casa non viene toccata perché è cointestata e soprattutto ipotecata dalla banca per il mutuo residuo (che B continuerà a pagare).
  3. Meritevolezza e convenienza: B allega al piano documenti che provano che il suo sovraindebitamento non è dovuto a spese voluttuarie ma al calo degli affari e a eventi fuori dal suo controllo (la pandemia, concorrenza online). L’OCC redige una relazione attestando che B è meritevole (non ha colpe gravi né ha aggravato la posizione) e che il piano offre ai creditori un soddisfacimento superiore rispetto alla liquidazione controllata (in cui si venderebbe poco o nulla, perché forzatamente il negozio vuoto non vale e la casa è già della banca). In particolare, stima che in una liquidazione il Fisco non vedrebbe nulla, mentre col piano prende il 40%.
  4. Trattamento del Fisco: L’Agenzia delle Entrate e l’INPS vengono informate del deposito del piano. Non avendo voto deliberativo, possono solo presentare osservazioni. La proposta di pagare il 40% è supportata dal fatto che B non ha altri beni aggredibili, quindi è prendere 40 o rischiare zero. L’AE non formula opposizione, l’INPS sì (sostiene che i contributi non andrebbero tagliati per equità verso i lavoratori). L’OCC replica che la casa di B è già ipotecata e non c’è altro.
  5. Omologazione giudiziale: Il Tribunale verifica d’ufficio i presupposti: il rapporto di B con il fisco mostra che non ha commesso frodi (solo tardivi pagamenti per mancanza fondi), i creditori ottengono col piano più di quanto otterrebbero in liquidazione (il giudice calcola che in liquidazione la casa non sarebbe liberabile e l’auto verrebbe pignorata venduta a valore minore) e la condotta di B è stata corretta (ha cercato di mantenere l’attività il più possibile, poi si è attivato tempestivamente). Decide quindi di omologare il piano nonostante la contestazione INPS, ritenendo che l’imposizione di pagare i contributi al 100% renderebbe impossibile il piano e peraltro l’INPS non ha prospettato soluzione migliore. Si valorizza il fatto che B ha destinato il ricavato liquidabile pro-quota a tutti i creditori, Erario incluso, senza favoritismi.
  6. Esecuzione del piano: B cessa l’attività, organizza una vendita promozionale degli stock e ricava €30.000. Vende l’auto per €5.000. Trova un acquirente per gli arredi a €3.000. Raccoglie in totale circa €38.000 (leggermente inferiore al previsto). Informa il Tribunale tramite OCC, che autorizza un pagamento riproporzionato (creditori riceveranno circa il 38% anziché 40). B versa all’Agenzia delle Entrate €11.400 e all’INPS €3.800, chiudendo così i loro crediti (che erano di €30k e €10k rispettivamente). Versa i restanti €22.800 ai fornitori chirografari (alcuni di questi rinunciano a incassare importi minimi, aumentando leggermente la quota degli altri).
  7. Esdebitazione: A fine esecuzione, il giudice dichiara eseguito il piano e contestualmente, su istanza di B, dichiara l’esdebitazione del sovraindebitato per tutti i residui ancora non soddisfatti. Significa che i creditori non soddisfatti per intero – ivi compreso il Fisco per il 60% non pagato – non possono più rivalersi su B. In altre parole, il sig. B è libero dai suoi debiti pregressi e può ripartire da capo come consumatore o eventualmente aprire in futuro una nuova attività, senza lo zaino fiscale. Notare che l’esdebitazione è “di diritto” per il consumatore che ha rispettato il piano (ex art. 278 CCII). D’ora in avanti, l’Agenzia Entrate non potrà pretendere i €18k di IVA e relative sanzioni non incassate.
  8. Post-esdebitazione: B trova impiego come commesso presso un supermercato, riuscendo così a mantenere il mutuo casa. L’INPS gli invia comunicazione che il suo estratto conto contributivo per quei 2 anni rimane scoperto al 60%, ma ciò non gli impedisce in futuro di ricevere pensione (inciderà solo sull’importo). Sul fronte penale, B era a rischio di denuncia per omesso versamento IVA (aveva €15k annui non versati per 2 anni, soglia 250k non superata, dunque reato non configurato perché sotto soglia) e per omesso versamento contributi (€5k annui, sotto soglia 10k quindi non costituiva reato). Non aveva dunque procedimenti penali; se li avesse avuti, il completamento del piano e l’esdebitazione sarebbero stati comunque elementi favorevoli per ottenere clemenza.

Risultato: il piccolo imprenditore commerciale ha potuto chiudere la sua attività non fallibile con una procedura ordinata, ottenendo la cancellazione dei debiti fiscali residui e contributivi, pur pagando una frazione proporzionata delle imposte dovute. I creditori pubblici non hanno ostacolato il piano perché trasparente e più vantaggioso del recupero forzato individuale. Questo caso mostra come gli strumenti di sovraindebitamento possano offrire un “fresh start” anche rispetto a debiti tributari, salvaguardando al contempo il principio di equità (il pagamento parziale è stato comunque il massimo possibile).

Caso 3: Gamma S.p.A. – PMI tecnologica, composizione negoziata e vendita di azienda

Profilo: Gamma S.p.A. è una startup innovativa nel settore software gestionale. Ha 15 dipendenti altamente qualificati. Nonostante un buon prodotto, la società è andata in tensione finanziaria perché gli investitori non hanno confermato un round di finanziamento atteso. Gamma ha debiti verso banche per €200.000 (anticipazioni su fatture), debiti verso fornitori per €100.000 (servizi cloud) e debiti verso l’Erario per €80.000: in particolare, €50.000 di IVA non versata nell’ultimo anno (Gamma ha fatturato a clienti ma non ha incassato in tempo da poter versare l’IVA) e €30.000 di ritenute IRPEF dipendenti omesse negli ultimi 6 mesi (ha preferito pagare gli stipendi netti ma non aveva fondi per versare le ritenute). Ha inoltre €20.000 di debiti INPS per contributi dipendenti. Il totale debiti è sui €400k. Gamma però possiede un software molto promettente e una base clienti fidelizzata; un competitor, Delta S.r.l., si è mostrato interessato ad acquisire Gamma per incorporarne la tecnologia e i talenti. Delta offrirebbe €300.000 per comprare l’azienda Gamma (intendendo sia l’IP software che assumendone alcuni dipendenti), a condizione di acquisirla “pulita” dai debiti. Gamma quindi cerca un modo per trasferire l’azienda a Delta, soddisfare i creditori con il ricavato e poi liquidarsi.

Soluzione scelta: Procedura di composizione negoziata della crisi con accordo di vendita dell’azienda e contestuale transazione fiscale per regolare i debiti IVA/ritenute.

Passi operativi:

  1. Nomina esperto: Gamma accede alla piattaforma di composizione negoziata e ottiene la nomina di un esperto indipendente. Nel frattempo chiede ed ottiene misure protettive dal tribunale (tutela dai creditori per 3 mesi, prorogabili).
  2. Negoziazione col competitor: Con la supervisione dell’esperto, Gamma negozia con Delta i dettagli dell’operazione. Delta è disposto a pagare €300k cash per acquistare “l’azienda Gamma”, ossia tutti gli asset immateriali (software, marchio, contratti clienti) e a farsi carico di 10 dipendenti su 15 (per gli altri Gamma provvederà a TFR con parte del prezzo). Delta esige che l’acquisto avvenga libero da ipoteche, pignoramenti ecc. e che Gamma si impegni a regolare i debiti fiscali rimasti in capo a Gamma con parte del prezzo.
  3. Proposta di transazione fiscale: Gamma elabora – con l’ausilio dell’esperto e dei suoi consulenti – una proposta ad Agenzia Entrate: pagamento parziale di tutti i debiti tributari in un’unica soluzione contestuale alla cessione. In concreto, offre di pagare €50.000 su €80.000 di debito fiscale complessivo (IVA+ritenute), cioè circa il 62%, entro 30 giorni dal perfezionamento della cessione d’azienda. Spiega che così il Fisco riceverà immediatamente una somma maggiore di quanto vedrebbe in caso di fallimento (dove stima zero, perché gli asset intangibili senza l’acquirente non avrebbero mercato). Offre inoltre €10.000 su €20.000 (50%) all’INPS per chiudere i contributi arretrati. I fornitori chirografari riceveranno il restante del prezzo pro quota (si prevede ~50%).
  4. Relazione asseverata: Gamma incarica un professionista di redigere la relazione ex art. 23 co.2-bis CCII. L’attestatore conferma che la proposta è conveniente per l’Erario: se Gamma fallisse, Delta probabilmente acquisterebbe a prezzo ribassato o rinuncerebbe (non volendo passività), e comunque la procedura costosa eroderebbe valore. Invece la vendita in composizione negoziata massimizza il prezzo perché c’è continuità. Egli valuta che in scenario di fallimento il Fisco prenderebbe forse il 20% e in tempi lunghi, mentre qui 62% subito.
  5. Adesione Agenzia Entrate: Si svolgono incontri tra Gamma (con l’esperto) e i funzionari dell’Agenzia. Questa appare convinta dalla logica “meglio poco ma sicuro ora”. Propone solo una piccola modifica: esigere €55.000 invece di €50.000, portando la percentuale al ~69%. Gamma, per non compromettere l’affare, accetta, riducendo leggermente la quota destinata ai fornitori. INPS, allineandosi, chiede 60% (12k su 20k) per approvare. Gamma accetta anche questo. Si forma così un accordo transattivo fiscale: Fisco €55k, INPS €12k, da pagarsi entro l’atto di cessione.
  6. Autorizzazione giudice: L’esperto riferisce l’esito: c’è un accordo di massima con Delta per la cessione e con il Fisco/INPS per la transazione. Gamma chiede al tribunale l’autorizzazione a concludere il contratto di cessione d’azienda a Delta e l’accordo transattivo fiscale (art. 23 co.4 CCII). Il tribunale esamina le relazioni e autorizza, vincolando che il ricavato vada depositato in un conto vincolato per pagamenti concordati.
  7. Esecuzione dell’accordo: Si firma l’atto di cessione d’azienda: Delta paga €300k, di cui €50k su un conto escrow per garanzia di eventuali passività sconosciute e €250k direttamente a Gamma. Immediatamente Gamma effettua i pagamenti pattuiti: versa €55k all’Agenzia Entrate (che provvede a sgravare le cartelle e a rinunciare a sanzioni e interessi residui), versa €12k all’INPS (che rilascia DURC e quietanza liberatoria per i contributi dovuti fino alla cessione), versa €10k al fondo TFR per liquidare i 5 dipendenti non riassunti, e distribuisce €173k ai fornitori (circa 50%). La banca ipotecaria viene rimborsata con €10k (era in credito residuo minore dopo incasso di garanzie).
  8. Conseguenze: Delta integra l’azienda acquistata e la rende produttiva; Gamma S.p.A. resta come contenitore, ora senza azienda né dipendenti, ma anche quasi priva di debiti (ha solo qualche migliaio di euro di spese legali da saldare). Gamma avvia la procedura di liquidazione volontaria e in pochi mesi si estingue. Gli amministratori di Gamma evitano il fallimento e responsabilità connesse. I creditori hanno ricevuto più della metà dei loro crediti in tempi brevi. Agenzia Entrate ha incassato 69% del suo credito immediatamente e ha formalmente rinunciato al resto, non essendo più esigibile. L’accordo fiscale nella composizione negoziata si è svolto con successo e senza necessità di omologa (è stata sufficiente l’autorizzazione in camera di consiglio). Sul piano penale, i reati di omesso versamento contestabili (IVA €50k -> reato sussisteva, ritenute €30k -> reato sussisteva) vengono dichiarati estinti in fase di indagini preliminari, poiché Gamma ha versato integralmente il dovuto (sia pure ridotto per accordo) prima dell’azione penale, e soprattutto perché le cause erano imputabili a crediti non riscossi – circostanza che il PM riconosce come assenza di dolo alla luce del nuovo art. 6 D.Lgs. 74/2000. Gli amministratori quindi non subiscono incriminazioni.

Risultato: Attraverso la composizione negoziata, un’azienda tech in crisi è riuscita a vendere il proprio asset senza dover passare per il tribunale fallimentare, e a negoziare un accordo win-win col Fisco: l’impresa ha salvato il valore avviamento, il competitor ha acquisito tecnologia e il Fisco ha comunque riscosso una somma cospicua in brevissimo tempo. Questo caso evidenzia la flessibilità della composizione negoziata nel gestire debiti fiscali fuori dalle rigidità concorsuali, pur garantendo trasparenza e controllo (relazione asseverata, autorizzazione giudice). Senza questo strumento, Gamma sarebbe probabilmente fallita e il Fisco avrebbe incassato poco o nulla; così invece l’Erario è stato partner del salvataggio.

Conclusione

La gestione dei debiti fiscali e contributivi nella crisi d’impresa è un tema delicato che richiede un equilibrio tra l’interesse pubblico alla riscossione e l’esigenza di evitare che il “peso” fiscale impedisca ogni prospettiva di risanamento. La riforma introdotta con il Codice della Crisi d’Impresa e i successivi correttivi ha tracciato un percorso innovativo: da un lato riconosce la possibilità di accordo e sacrificio anche per i crediti erariali (un tempo intangibili), dall’altro predispone garanzie procedurali per assicurare che tali accordi siano equi e giustificati (attestazioni, omologazioni, soglie di soddisfacimento minimo). Strumenti come la transazione fiscale e contributiva, il cram-down fiscale e la composizione negoziata rappresentano oggi leve fondamentali per il professionista che assiste imprese in difficoltà: permettono di ridurre il monte debitorio pubblico a un livello sostenibile, preservando la continuità aziendale quando vi sono prospettive. Al contempo, le recenti modifiche normative (2024) in ambito penale tributario offrono all’imprenditore onesto un incentivo a emergere dall’ombra: se la crisi non è colpa sua e attiva gli strumenti per porvi rimedio, l’ordinamento tende a non punirlo come un evasore.

Avvocati e imprenditori devono quindi conoscere a fondo queste opportunità, sapendo bilanciare il vincolo legale dell’indisponibilità del tributo – superabile solo per via eccezionale – con l’obiettivo di uscire dalla crisi. Ogni caso richiede un’analisi specifica: la comparazione tra disciplina previgente e attuale ci insegna che oggi c’è maggiore flessibilità negoziale, ma entro confini tracciati (non si può, ad esempio, proporre al Fisco meno del dividendo falimentare senza rischiare il rigetto). I casi pratici dimostrano come, con preparazione e buona fede, si possano trovare soluzioni che soddisfino parzialmente anche l’Erario, evitando soluzioni distruttive che non giovano a nessuno.

In definitiva, l’aggiornamento 2025 del Codice della Crisi offre un arsenale completo per affrontare i debiti fiscali e contributivi: dagli accordi in continuità con transazione fiscale sino alla liquidazione con esdebitazione, passando per il negoziato assistito. La chiave del successo sta nella tempestività (attivarsi ai primi segnali di difficoltà), nella trasparenza (dati chiari e piani realistici attestati) e nella collaborazione con gli enti (che oggi hanno strumenti per sedersi al tavolo). Con queste premesse, anche il Fisco può diventare – da rigido esattore – un attore della soluzione della crisi, nella cornice garantita dalla legge.

Fonti normative e giurisprudenziali

  • Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) – D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14, entrato in vigore il 15 luglio 2022, e successive modifiche: D.Lgs. 26 ottobre 2020 n. 147 (Primo correttivo), D.Lgs. 17 giugno 2022 n. 83 (Secondo correttivo di attuazione direttiva UE 2019/1023), D.Lgs. 13 settembre 2024 n. 136 (Terzo correttivo 2024). Principali articoli citati: art. 23 CCII (composizione negoziata della crisi), art. 63 CCII (accordi di ristrutturazione con transazione fiscale), art. 84-88 CCII (concordato preventivo in continuità e liquidatorio, transazione fiscale nel concordato), art. 74-83 CCII (concordato minore), art. 67-73 CCII (ristrutturazione debiti consumatore), art. 268-277 CCII (liquidazione controllata), art. 48-64 CCII (procedura concordataria, voto, omologazione cram-down).
  • Legge Fallimentare previgente – R.D. 16 marzo 1942 n. 267 (disciplina abrogata). In particolare: art. 182-ter L.F. (transazione fiscale introdotta dal DL 35/2005 conv. L. 80/2005, più volte modificato); art. 186-bis L.F. (concordato con continuità, introdotto dal DL 83/2012 conv. L. 134/2012); soglie di non fallibilità art. 1 L.F.; disciplina sovraindebitamento L. 27 gennaio 2012 n. 3 (ora incorporata nel CCII).
  • Legge 9 agosto 2017 n. 155 – Legge delega per la riforma delle discipline della crisi e dell’insolvenza (delega 2017).
  • Legge 9 agosto 2023 n. 111 – Legge delega al Governo in materia di giustizia e processo tributario (delega fiscale 2023), art. 9 lett. a) in tema di estensione trattazione tributi locali nelle crisi.
  • Decreto-Legge 24 agosto 2021 n. 118 conv. in L. 147/2021 – Misure urgenti per il risanamento aziendale (ha introdotto la composizione negoziata della crisi e il concordato semplificato).
  • D.M. 30 gennaio 2015 – Decreto Interministeriale sulla semplificazione del DURC (stabilisce il DURC provvisorio in concordato con continuità) e Circolare Ministero Lavoro n. 19/2015 con chiarimenti.
  • Codice Civile – art. 2135 c.c. (imprenditore agricolo definizione); art. 2752, 2777 c.c. (privilegi generali tributi); art. 2753 c.c. (privilegio contributi); art. 2558 c.c. (cessione d’azienda e debiti, in riferimento responsabilità acquirente).
  • TUIR (D.P.R. 917/1986) – art. 88 co.4-ter e 4-quater (sopravvenienze attive non tassabili da riduzione crediti in procedure concordatarie).
  • D.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 – art. 19 (rateazione cartelle esattoriali fino 72/120 rate); art. 90 (giurisdizione tributaria su transazioni fiscali).
  • D.Lgs. 18 dicembre 1997 n. 472 – art. 14 (responsabilità acquirente d’azienda per sanzioni tributarie) modificato dal correttivo 2024; art. 13 (estinzione sanzioni tributarie in concordato preventivo).
  • Circolari Agenzia Entrate – n. 16/E del 23 aprile 2018 (primi chiarimenti su transazione fiscale dopo DL 50/2017); n. 34/E del 29 dicembre 2020 (istruzioni operative e coordinamento con Codice Crisi); Circolare AE n. 31/E del 1° settembre 2022 (sospensione termini fiscali nelle procedure ex CCII).
  • Provvedimento Agenzia Entrate – 29 gennaio 2024 (istruzioni operative agli uffici per istruttoria transazioni fiscali, citato in quadro normativo).
  • Codice Penale e Leggi penali tributarie – D.Lgs. 10 marzo 2000 n. 74: art. 10-bis (omesso versamento ritenute >150k), art. 10-ter (omesso versamento IVA >250k), art. 10-quater (indebita compensazione); art. 13 (causa di non punibilità per pagamento integrale). D.Lgs. 14 giugno 2024 n. 87 (riforma sanzioni 2024), in attuazione art. 20 L. 111/2023: modifiche agli artt. 13 e 13-bis D.Lgs. 74/2000 (introduzione causa non punibilità per crisi di liquidità non imputabile), spostamento termine consumazione reato al 31/12 anno succ. dichiarazione. D.L. 26 ottobre 2019 n. 124 conv. L. 157/2019: soglie attuali reati omissivi. Legge 17 marzo 2023 n. 34 (delega penale tributaria).
  • Cassazione Civile e Penale – Giurisprudenza:
    • Cass. Civ., sez. I, 17 marzo 2023 n. 7776: conferma legittimità cram-down fiscale se convenienza rispettata (pronuncia post CCII, principi analoghi).
    • Cass. Pen., sez. III, 13 dicembre 2024 n. 45803: “l’imprenditore in grave crisi che preferisce pagare i dipendenti anziché i contributi commette comunque reato ex art. 2 co.1-bis L. 638/83; la crisi di liquidità non esclude il dolo generico dell’omissione contributiva”. Riferimento a condotta non scusabile.
    • Cass. Pen., sez. III, 1 ottobre 2024 n. 41238: in tema di omesso versamento IVA, enfatizza la necessità di valutare le deduzioni difensive circa mancati incassi da clienti (inizio apertura verso esimente).
    • Cass. Pen., sez. III, 20 giugno 2024 n. 24340: ribadisce che il pagamento del debito tributario estingue i reati di omesso versamento IVA/ritenute (art. 13 D.Lgs.74/2000).
    • Corte Costituzionale, sent. 17 marzo 2023 n. 46: aveva sollecitato il legislatore a riequilibrare il sistema sanzionatorio tributario, evidenziando l’eccessiva severità verso crisi non imputabili.
    • Tribunale di Asti, sent. 27 giugno 2014: esempio di giudice di merito che assolve per omesso versamento contributi sotto soglia 10k (ora depenalizzato)

Debiti Erariali e Contributivi nel Codice della Crisi d’Impresa: Perché Affidarti a Studio Monardo

Hai un’impresa in difficoltà con debiti verso l’Agenzia delle Entrate, INPS o INAIL?
Stai ricevendo cartelle esattoriali, avvisi di addebito, diffide o preavvisi di pignoramento?

⚠️ I debiti erariali (fisco) e contributivi (previdenza) sono tra i più pericolosi: crescono in fretta, attivano azioni immediate e possono bloccare l’attività in pochi giorni.
Ma il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza offre strumenti concreti per ridurre, rinegoziare e sospendere questi debiti legalmente.

✅ Puoi accedere alla transazione fiscale, riducendo imposte, sanzioni e interessi
✅ Puoi bloccare azioni esecutive e cautelari, come pignoramenti, ipoteche e fermi
✅ Puoi inserire i debiti contributivi in piani di ristrutturazione o concordati preventivi
✅ È possibile ottenere l’omologazione anche senza il consenso dell’ente pubblico, in presenza di convenienza

Cosa può fare per te l’Avvocato Giuseppe Monardo

✅ Verifica l’ammontare e la natura dei tuoi debiti erariali e previdenziali, distinguendo tra importi dovuti e prescritti

✅ Ti assiste nella scelta della procedura più adatta: transazione fiscale, accordo di ristrutturazione, composizione negoziata o concordato preventivo

✅ Redige e presenta il piano al tribunale, includendo i creditori pubblici nel rispetto delle norme vigenti

✅ Negozia con Agenzia delle Entrate, INPS e altri enti la soluzione più sostenibile per l’impresa

✅ Ti difende in caso di opposizione da parte dei creditori pubblici, fino all’omologazione forzata del piano

Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

🔹 Avvocato esperto in diritto tributario, crisi d’impresa e transazioni con enti pubblici
🔹 Gestore della Crisi da Sovraindebitamento – iscritto al Ministero della Giustizia
🔹 Negoziatore della Crisi d’Impresa – abilitato ex D.L. 118/2021
🔹 Fiduciario OCC – Organismo di Composizione della Crisi

Perché agire subito

⏳ I debiti verso il Fisco e gli enti previdenziali non si fermano da soli: servono strumenti legali per bloccarli

⚠️ Se non intervieni in tempo, rischi azioni esecutive, chiusura dell’attività e responsabilità personali degli amministratori

📉 Rischi concreti: blocco dei conti, ritiro dell’autorizzazione all’attività, esclusione dal sistema bancario

🔐 Solo un avvocato esperto può costruire un piano efficace, approvabile e tutelante per l’imprenditore

Conclusione

I debiti erariali e contributivi, se non gestiti, soffocano l’impresa e travolgono chi la guida.
Ma con gli strumenti giusti del Codice della Crisi, è possibile rinegoziarli, ridurli e salvare l’attività.

Affidarsi all’Avvocato Giuseppe Monardo significa avere al proprio fianco un professionista esperto nella difesa dell’impresa e nella trattativa con gli enti pubblici.

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