Crisi D’impresa E Piano Di Risanamento: Cosa Sapere

La tua impresa è in difficoltà, i debiti aumentano e temi di non riuscire più a far fronte agli obblighi fiscali, bancari o verso i fornitori? Ti stai chiedendo se esiste una soluzione concreta per evitare il fallimento e rimettere in carreggiata l’attività?

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in crisi aziendali, risanamento e diritto della ristrutturazione – ti spiega in modo chiaro e pratico come funziona il piano di risanamento previsto dal Codice della Crisi, quando può essere utilizzato, quali vantaggi offre rispetto ad altre procedure e come può aiutarti a riprendere il controllo dell’impresa.

Scopri chi può accedere al piano di risanamento, quali elementi deve contenere, come trattare i debiti fiscali e bancari, come proteggere l’impresa da iniziative aggressive dei creditori e quali effetti ha un piano attestato sulla continuità aziendale e sulla responsabilità degli amministratori.

Alla fine della guida troverai tutti i contatti per richiedere una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo, analizzare la posizione finanziaria della tua impresa e costruire un piano di risanamento solido, realistico e legalmente protetto, per ridurre i debiti e salvare la tua attività dalla crisi.

Introduzione

La crisi d’impresa è una fase fisiologica e spesso inevitabile nella vita di un’azienda, ma con gli strumenti giuridici e gestionali adeguati può essere affrontata e superata. In Italia, il quadro normativo in tema di crisi aziendale è stato radicalmente riformato con l’introduzione del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII), emanato con il D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14, e successivamente modificato più volte fino al 2025. Questa guida avanzata, aggiornata a maggio 2025, offre ad avvocati e imprenditori una panoramica esaustiva su come leggere e applicare le norme sulla crisi d’impresa, con un linguaggio tecnico-giuridico ma chiaro e accessibile.

Obiettivo della guida: fornire una mappa completa del Codice della Crisi, evidenziandone i principi chiave e le novità più recenti, esaminare l’applicazione pratica della normativa nei diversi tipi di imprese (dalle PMI alle grandi aziende, fino alle cooperative), descrivere gli strumenti di allerta e gli indicatori di crisi (come gli indici di squilibrio economico-finanziario) e commentare le sentenze più rilevanti degli ultimi anni. Verranno inoltre presentate simulazioni di piani di risanamento realmente attuati, per capire le strategie operative e legali adottate, e una sezione di FAQ (Domande Frequenti) per chiarire i dubbi più comuni sia sul piano giuridico sia su quello operativo e strategico. In conclusione, verranno elencate tutte le fonti normative, dottrinali e giurisprudenziali utilizzate nella guida, a testimonianza del rigore delle informazioni fornite.

Importante: Il Codice della Crisi e dell’Insolvenza (spesso abbreviato in CCII) ha sostituito la vecchia legge fallimentare del 1942, spostando il focus dalla mera “insolvenza” all’idea di “crisi” come situazione anticipata di difficoltà economico-finanziaria. Ciò rispecchia un cambiamento di paradigma: non più solo la gestione dell’insolvenza conclamata, ma anche la prevenzione e l’emersione tempestiva della crisi, per salvaguardare la continuità aziendale ove possibile e tutelare al contempo i creditori. Questo equilibrio delicato è perseguito attraverso una serie di procedure e strumenti nuovi, come vedremo nel dettaglio.

Nei capitoli che seguono, approfondiremo dapprima il Codice della Crisi e le sue evoluzioni normative fino al 2025, quindi passeremo ad esaminare come queste regole si declinano nei vari settori e tipologie d’impresa. Successivamente, analizzeremo i meccanismi di allerta precoce e gli indicatori quantitativi della crisi, commenteremo le pronunce giurisprudenziali più importanti in materia, descriveremo esempi concreti di piani di risanamento e, infine, risponderemo alle domande frequenti. Ogni sezione include tabelle riepilogative per facilitare la comprensione dei punti chiave.

Il Codice della Crisi d’Impresa (D.Lgs. 14/2019) e le Modifiche Recenti

Il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) rappresenta la nuova “cornice” normativa unitaria che disciplina situazioni di difficoltà economico-finanziaria delle imprese (e anche delle persone fisiche e enti minori). Entrato in vigore definitivamente il 15 luglio 2022 dopo vari rinvii, il CCII ha introdotto un approccio organico e modernizzato rispetto alla previgente legge fallimentare. Di seguito esamineremo i principi fondamentali del Codice e le successive novità normative intervenute fino al 2025, compresi i cosiddetti “decreti correttivi” e l’adeguamento alla direttiva europea sulle ristrutturazioni.

Principi generali e struttura del CCII

Il Codice definisce innanzitutto che cosa si intende per crisi: essa è “lo stato del debitore che rende probabile l’insolvenza e che si manifesta con l’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi”. In altre parole, una situazione di squilibrio tale da far prevedere che l’impresa, senza interventi correttivi, potrebbe diventare insolvente entro un orizzonte di un anno. Questa definizione evidenzia il focus sulla proiezione futura dei flussi di cassa: la capacità prospettica di far fronte ai debiti è il parametro chiave per valutare la sussistenza di una crisi.

Contestualmente, il CCII impone all’imprenditore (sia individuale che collettivo) di dotarsi di “assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati” alla natura e dimensione dell’impresa, funzionali a rilevare tempestivamente eventuali squilibri e a verificare la sostenibilità dei debiti e le prospettive di continuità aziendale almeno per i 12 mesi successivi. Questo obbligo – introdotto già nel 2019 mediante la modifica dell’art. 2086 c.c. per le società – mira a responsabilizzare gli organi amministrativi nella prevenzione della crisi: gli amministratori devono attivarsi senza indugio quando emergono segnali di difficoltà, pena la loro responsabilità per aggravamento del dissesto.

Dal punto di vista della struttura, il Codice della Crisi è suddiviso in parti che disciplinano: gli strumenti di allerta e prevenzione (Titolo II del CCII, di cui parleremo a breve), gli strumenti di regolazione negoziale della crisi (piani di risanamento attestati, accordi di ristrutturazione, ecc.), le procedure concorsuali giudiziali (il concordato preventivo per evitare la liquidazione tramite un accordo con i creditori, e la liquidazione giudiziale, nuovo nome del fallimento), nonché le procedure di sovraindebitamento per debitori minori (come il concordato minore, la ristrutturazione dei debiti del consumatore e la liquidazione controllata). Vi sono inoltre disposizioni specifiche per i gruppi di imprese in crisi e per casi particolari.

È importante sottolineare alcune innovazioni terminologiche e concettuali introdotte dal Codice rispetto alla vecchia legge fallimentare:

  • Il termine fallimento è stato sostituito da “liquidazione giudiziale”: ciò per attenuare il disvalore semantico del fallimento e sottolineare la natura della procedura, che rimane liquidatoria ma con un approccio più orientato alla soluzione della crisi. Analogamente, il concordato preventivo mantiene il nome ma vede rafforzata la possibilità di essere utilizzato in continuità aziendale (per proseguire l’attività), non solo come strumento liquidatorio.
  • Viene introdotto il concetto di adeguatezza degli assetti e di “crisi” come distinto dall’“insolvenza”: la crisi è uno stadio precedente, di pre-insolvenza, sul quale si cerca di intervenire prima che degeneri.
  • Sono istituiti organismi e procedure nuove per l’allerta e la composizione assistita della crisi (come gli OCRI, Organismi di composizione della crisi d’impresa, poi evolutisi nel sistema attuale della composizione negoziata, come vedremo).
  • Si prevede l’esdebitazione (la liberazione dai debiti residui) per l’imprenditore persona fisica a certe condizioni, anche senza attendere i lunghi tempi previsti in passato: ad esempio, il debitore meritevole che non abbia alcun attivo può ottenere l’esdebitazione immediata (“esdebitazione del debitore incapiente”) una volta ogni dieci anni, mentre negli altri casi l’esdebitazione scatta decorso un triennio dalla chiusura della liquidazione, in analogia a quanto avviene per il fallito nel vecchio sistema.
  • Viene recepita, anche a livello terminologico, la distinzione fra misure protettive e misure cautelari: le prime sono le sospensioni automatiche o semi-automatiche delle azioni esecutive individuali, attivabili in certe procedure (come nel concordato preventivo o nella composizione negoziata), mentre le seconde sono provvedimenti specifici emessi dal giudice a tutela del patrimonio o dell’azienda durante la procedura.

In sintesi, il CCII configura un sistema integrato in cui la crisi d’impresa viene affrontata con strumenti progressivi: dalla fase precoce (allerta e composizione stragiudiziale) fino alle soluzioni giudiziali (accordi omologati, concordato o liquidazione). L’obiettivo dichiarato è duplice: favorire, ove possibile, il risanamento dell’impresa e la conservazione dei valori aziendali, e al contempo assicurare la tutela dei creditori mediante soluzioni concordate o, se necessario, mediante la liquidazione del patrimonio sotto controllo giudiziario. Questo equilibrio permea tutto il Codice e le sue applicazioni.

Di seguito riportiamo una tabella che riepiloga i principali strumenti introdotti dal CCII e le loro finalità:

Tabella 1 – Principali strumenti del Codice della Crisi e relative finalità

Strumento/ProceduraFinalità principaleRiferimenti CCII
Adeguati assetti organizzativi (obbligo per l’impresa)Prevenire la crisi tramite monitoraggio internoArt. 3, D.Lgs. 14/2019
Allerta e segnalazioni (nuovo sistema di allerta)Emettere segnali tempestivi di crisi (da organi interni e creditori pubblici)Artt. 12-15 CCII (allerta, indici)
Composizione negoziata della crisi (dal 2021)Ricerca di soluzioni stragiudiziali con l’ausilio di un esperto indipendente, senza attivare subito procedure concorsualiD.L. 118/2021 conv. in L.147/2021; ora Titolo II, Capo III CCII
Piano attestato di risanamento (ex art. 67 l.f.)Piano di risanamento con attestazione indipendente, non soggetto ad omologazione ma con effetti premiali (es. esenzione da revocatoria) se pubblicatoArt. 56 CCII (già art. 67, co.3, lett. d) l.f.)
Accordo di ristrutturazione dei debiti (ADR)Accordo con i creditori che rappresentano almeno il 60% dei crediti, omologato dal tribunale (vincola solo i aderenti, salvo estensioni)Artt. 57-64 CCII (diverse varianti introdotte, es. ADR agevolati)
Concordato preventivo (in continuità o liquidatorio)Procedura concorsuale con proposta ai creditori di un piano (di continuità aziendale o di liquidazione) da votare; omologa giudiziale sostituisce il consenso unanimeArtt. 84-120 CCII (disciplina del concordato)
Liquidazione giudiziale (ex fallimento)Procedura concorsuale liquidatoria, avviata su insolvenza conclamata, per realizzare l’attivo e distribuire il ricavato ai creditori secondo le cause di prelazioneArtt. 121-270 CCII (disciplina completa della liquidazione)
Procedure di sovraindebitamento (debitori minori)Procedure semplificate per crisi di soggetti non fallibili: piano del consumatore/ristrutturazione soggetti minori, concordato minore, liquidazione controllataArtt. 65-73 (ristrutturazione debiti), 74-83 (concordato minore), 268-277 (liq. controllata) CCII

Evoluzione normativa: dai correttivi 2020-2022 al “Correttivo 2024”

Dall’approvazione originaria del Codice nel 2019 ad oggi (2025), la normativa ha subìto diverse modifiche e aggiustamenti, dettati sia da esigenze pratiche emerse (fine-tuning del legislatore) sia dall’obbligo di attuare la Direttiva UE 2019/1023 sulle ristrutturazioni e insolvenze. In particolare, possiamo individuare tre tappe principali nel percorso di aggiornamento del CCII:

  • 1º Decreto Correttivo (2020) – Con D.Lgs. 26 ottobre 2020 n. 147 il Governo ha emanato una serie di disposizioni integrative e correttive al Codice, ancor prima che questo entrasse in vigore. Questo provvedimento (adottato in forza di una legge delega del 2019) ha affinato vari aspetti tecnici del testo originale. Ad esempio, ha chiarito talune definizioni, rivisto la disciplina di alcuni istituti e coordinato il CCII con altre normative. Il correttivo 2020 è entrato in vigore contestualmente al Codice stesso (ossia nel 2022, dopo i rinvii), fungendo da “patch” iniziale del sistema.
  • Decreto Legge 118/2021 e attuazione anticipata della Composizione Negoziata – A causa della pandemia da COVID-19 e della necessità di sostenere le imprese in difficoltà, l’entrata in vigore del Codice è stata più volte prorogata (la data finale, come detto, è stata il 15 luglio 2022). Nel frattempo, però, con il D.L. 24 agosto 2021 n. 118 (conv. in L. 147/2021) il legislatore ha introdotto misure urgenti: in primis la Composizione Negoziata della Crisi, uno strumento volontario e stragiudiziale per aiutare le imprese a risanarsi con l’assistenza di un esperto indipendente, in sostituzione delle procedure di allerta inizialmente previste. Lo stesso decreto ha creato il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio (un nuovo tipo di concordato “senza voto” dei creditori, utilizzabile solo se fallisce la composizione negoziata). Queste innovazioni, di fatto, hanno modificato l’impianto del CCII ancor prima della sua entrata in vigore: ecco perché il successivo intervento normativo del 2022 le ha inglobate nel Codice.
  • 2º Decreto Correttivo (2022) – Con D.Lgs. 17 giugno 2022 n. 83, emanato a poche settimane dall’entrata in vigore del Codice, l’Italia ha recepito la direttiva UE 2019/1023 (cd. Insolvency Directive) e operato ulteriori modifiche. Il D.Lgs. 83/2022 ha integrato la Composizione Negoziata nel CCII (inserendola negli artt. 17-25 e), abrogando contestualmente le originarie procedure di allerta obbligatoria e di composizione assistita presso gli OCRI (mai effettivamente entrate in vigore). Ha inoltre introdotto nuovi istituti come il Piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (PRO), previsto dagli artt. 64-bis e 64-ter CCII, attuando le indicazioni della direttiva in materia di quadri di ristrutturazione preventiva. Il correttivo 2022 ha anche rivisto le soglie di segnalazione per i creditori pubblici (ad esempio, aumentando la soglia di debito IVA non versato da 5.000 € a un importo pari al 10% del volume d’affari e comunque > 20.000 €, per evitare allarmi eccessivi) e ha introdotto il cram-down fiscale (ossia la possibilità per il tribunale di omologare accordi di ristrutturazione o concordati preventivi anche senza il voto favorevole dell’Erario/INPS, a certe condizioni – meccanismo di cui diremo più avanti). In sostanza, il D.Lgs. 83/2022 è intervenuto in profondità, plasmando un CCII “attuato” in linea con il diritto UE e con gli strumenti emersi durante l’emergenza Covid.
  • 3º Decreto Correttivo (2024) – Nonostante il varo recente, il Codice ha rivelato alcuni nodi interpretativi e operativi nella sua applicazione pratica nel 2022-2023. Il legislatore è quindi tornato sul testo con il D.Lgs. 13 settembre 2024 n. 136 (pubblicato in G.U. il 27 settembre 2024), noto come “Terzo Decreto Correttivo”. Questo intervento – suddiviso in 57 articoli – ha apportato ulteriori modifiche tecniche e integrative al CCII, con l’obiettivo di affinare la normativa e chiarire dubbi applicativi segnalati dalla prassi. Tra le principali novità del correttivo 2024-2025 si segnalano:
    • Maggiore enfasi sulla segnalazione tempestiva della crisi da parte dei creditori pubblici e degli organi di controllo societari (vengono riviste alcune soglie e meccanismi per garantire un’emersione ancora più anticipata delle difficoltà).
    • Norme specifiche per favorire la transazione fiscale e contributiva nell’ambito sia della composizione negoziata che degli accordi di ristrutturazione e concordati: ad esempio, è disciplinata la possibilità di stipulare accordi fiscali transattivi durante la composizione negoziata, e si dettagliano meglio i presupposti del cram-down fiscale (ovvero quando il tribunale può forzare l’omologa nonostante il dissenso del Fisco o degli enti previdenziali).
    • Ulteriori incentivi e flessibilità nel concordato preventivo, specie in continuità: il correttivo ha chiarito alcuni aspetti sul trattamento dei creditori, introdotto la facoltà per il debitore di modificare o integrare il piano con maggiore agilità (il giudice può concedere 15 giorni extra per depositare modifiche al piano in corso di procedura) e ha specificato meglio il contenuto minimo del piano di concordato, per garantire proposte più trasparenti e complete.
    • Interventi sulla liquidazione giudiziale, in particolare sulle regole di retrodatazione del dissesto, sull’efficienza della procedura e sull’esdebitazione: viene ribadita, ad esempio, l’importanza di facilitare il fresh start dell’ex imprenditore, ma bilanciandola con le esigenze dei creditori. Inoltre, si mira a velocizzare le tempistiche della liquidazione e a coordinare meglio quest’ultima con eventuali soluzioni concordate dell’ultimo minuto (c.d. concordati semplificati post-fallimentari).
    • Precisazioni sul piano attestato di risanamento (art. 56 CCII): il correttivo elenca più chiaramente quali elementi essenziali debba contenere un piano perché sia considerato idoneo (ad es. l’indicazione degli effetti del piano su creditori e soci, i tempi di attuazione, le risorse finanziarie apportate, ecc.), in modo da uniformare la pratica e dare linee guida anche agli attestatori.
    • Miglioramenti alla disciplina del sovraindebitamento (procedure minori), includendo il cosiddetto “concordato minore” e la “ristrutturazione dei debiti del consumatore” nel novero delle procedure agevolate: si è chiarita la figura dell’OCC (Organismo di Composizione della Crisi) e i poteri del giudice in queste procedure. Ad esempio, riguardo ai piani del consumatore è stato allineato il linguaggio al resto del Codice sostituendo la dicitura “atti di straordinaria amministrazione” con “atti eccedenti l’ordinaria amministrazione” per evitare ambiguità terminologiche tra imprese e persone fisiche.

Queste modifiche del 2024 costituiscono – stando alle intenzioni del legislatore – un completamento della riforma, che dovrebbe aver raggiunto la piena operatività e coerenza. In pratica, con il “correttivo ter” si è concluso l’assestamento normativo post-CCII, anche in considerazione del fatto che la delega originaria per emanare decreti integrativi era in scadenza. Ovviamente, l’osservazione applicativa continuerà e non si escludono ulteriori interventi futuri, ma al maggio 2025 possiamo tracciare un quadro sufficientemente stabile.

Ecco una tabella riepilogativa dei principali interventi normativi sul Codice della Crisi dal 2019 al 2025, con indicazione sintetica delle relative novità:

Tabella 2 – Evoluzione normativa del Codice della Crisi (2019-2025)

ProvvedimentoEntrata in vigoreNovità principali
D.Lgs. 14/2019 (Codice della Crisi)Originariamente agosto 2020 (poi rinviato al 15 luglio 2022)Introduzione del CCII: nuove definizioni (crisi vs insolvenza), obbligo adeguati assetti, strumenti allerta, concordato preventivo rinnovato, sostituzione del fallimento con liquidazione giudiziale, esdebitazione, procedure sovraindebitamento unificate.
D.Lgs. 147/2020 (I° Correttivo)15 luglio 2022 (unitamente al Codice)Correzioni tecniche e integrazioni pre-vigore: chiarimenti normativi, coordinamento con codice civile e altre leggi, miglior definizione di alcuni istituti (es. criteri di composizione delle classi nel concordato, regime fiscale delle perdite su crediti nei piani di risanamento, etc.).
D.L. 118/2021 conv. L. 147/202115 novembre 2021 (Composizione Negoziata subito attiva)Misure urgenti Covid: introdotta Composizione Negoziata (strumento volontario e riservato di allerta/risanamento assistito), sospesa l’allerta obbligatoria; creato Concordato semplificato per liquidazione (artt. 25-sexies e 25-septies CCII) come opzione senza voto creditori in caso di esito negativo della negoziazione.
D.Lgs. 83/2022 (II° Correttivo – Attuazione Dir. UE)15 luglio 2022Recepimento Direttiva UE 2019/1023: inserimento dei quadri di ristrutturazione preventiva. Novità: Piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (PRO) (art. 64-bis CCII) con maggioranze per classi e cram-down interclassista; Accordi di ristrutturazione agevolati (possibili con consenso del 30% dei crediti se prevista soddisfazione integrale degli estranei); potenziamento ruolo dell’esperto nella composizione negoziata; nuove soglie per allerta creditori pubblici (es. IVA >5.000 € e >10% fatturato, comunque >20.000 €); introdotto cram-down fiscale (art. 63 CCII); modifiche al concordato preventivo (piani in continuità più flessibili, eliminazione requisito rigido 20% chirografari per concordati liquidatori derivanti da negoziazione, criticata da Confindustria).
D.Lgs. 136/2024 (III° Correttivo – “Correttivo Ter”)15 ottobre 2024 (15 gg dopo pubblicazione)Ulteriori migliorìe: rafforzati meccanismi di allerta precoce; dettagliate condizioni per transazioni fiscali e contributive nelle varie procedure; introdotta moratoria legale fino 2 anni nei piani di ristrutturazione del consumatore (formalizzando orientamenti Cassazione); semplificazioni procedurali nel concordato (maggiore elasticità per modifiche al piano, diritto di reclamo contro provvedimenti del giudice delegato, ecc.); chiarimenti su contenuto piani attestati e requisiti di omologazione; coordinamento pieno con disciplina sovraindebitamento; varie norme di coordinamento e transitorie per procedimenti pendenti.

Nota: a margine di questi interventi principali, vi sono stati anche decreti-legge minori (es. D.L. 152/2021 “PNRR 2” e D.L. 73/2022 “Semplificazioni”) che hanno inciso su aspetti specifici del Codice: ad esempio, il D.L. 73/2022 (art. 37-bis) ha modificato l’art. 25-novies CCII sulle soglie di segnalazione del debito IVA, elevandole come visto sopra. Inoltre, va menzionato che alcune parti del Codice erano entrate in vigore già prima di luglio 2022: l’obbligo di assetti adeguati ex art. 2086 c.c. e le nuove soglie per la nomina degli organi di controllo nelle s.r.l. erano operative dal marzo 2019, così come alcune disposizioni in materia societaria collegate alla crisi.

In sintesi, al maggio 2025 il quadro normativo della crisi d’impresa si presenta consolidato nei suoi tratti fondamentali, grazie a un processo di riforma che ha richiesto diversi anni e aggiustamenti. Nella prossima sezione vedremo come queste norme trovano applicazione nelle varie tipologie di imprese e settori, poiché la gestione della crisi può assumere connotati differenti a seconda della dimensione aziendale, della forma giuridica e del settore economico in cui opera l’impresa.

Applicazione della Normativa nei Vari Settori e Tipologie d’Impresa

Le regole del Codice della Crisi d’Impresa si applicano, in generale, a tutti gli imprenditori (commerciali e non) e anche ai debitori civili nei procedimenti di sovraindebitamento. Tuttavia, l’impatto concreto delle disposizioni varia a seconda della dimensione dell’impresa, della sua natura giuridica e del settore in cui opera. In questa sezione analizziamo come le varie tipologie di imprese – dalle micro e piccole imprese (PMI) alle grandi società, fino alle imprese cooperative – affrontano gli obblighi e le opportunità previste dal Codice della Crisi. Evidenzieremo anche eventuali regimi speciali o eccezioni (ad esempio per le imprese soggette a vigilanza speciale come banche e assicurazioni, o per le imprese agricole).

PMI (Piccole e Medie Imprese) e microimprese

Le PMI costituiscono l’ossatura del tessuto imprenditoriale italiano e sono spesso le più vulnerabili alle crisi, sia per la minore patrimonializzazione sia per l’organizzazione interna meno strutturata. Il Codice della Crisi ha dedicato particolare attenzione a queste realtà, calibrando alcuni istituti sulle loro esigenze e dimensioni. Ecco i punti salienti dell’applicazione del CCII alle PMI e microimprese:

  • Soglia di non fallibilità: sotto la previgente legge fallimentare esistevano limiti dimensionali (art. 1 L.F.) sotto i quali l’imprenditore non era assoggettabile al fallimento (ricavi lordi < €200.000, attivo patrimoniale < €300.000, debiti < €500.000). Il CCII ha abrogato tali soglie de jure, nel senso che la liquidazione giudiziale (ex fallimento) è teoricamente applicabile a qualunque imprenditore commerciale insolvente. Tuttavia, le microimprese e gli imprenditori minori di fatto confluiscono nelle procedure di sovraindebitamento (ora unificate nel Codice): se un imprenditore individuale o una società di piccole dimensioni non raggiunge le soglie per l’obbligo di registrazione in Cciaa (come l’imprenditore agricolo, o l’artigiano sotto certe dimensioni), in genere le crisi vengono trattate con gli strumenti del sovraindebitamento (piani di ristrutturazione del debitore minore, concordato minore o liquidazione controllata) invece che con il concordato preventivo o la liquidazione giudiziale ordinaria. In pratica, quindi, continua ad esistere una distinzione tra debitori “sistemici” e non, sebbene sul piano formale il Codice applichi un approccio unitario. Ad esempio, l’imprenditore agricolo rimane escluso dalla liquidazione giudiziale (come già in passato dall’area del fallimento) ma può accedere alle procedure di esdebitazione e liquidazione controllata.
  • Adeguati assetti anche per le piccole imprese: uno degli aspetti innovativi è che anche le piccole e micro imprese sono chiamate a dotarsi di assetti organizzativi idonei a rilevare la crisi. Ciò rappresenta una sfida, poiché spesso la microimpresa è gestita in modo informale. La norma, però, è chiara: gli amministratori di S.r.l. (anche di piccola dimensione) devono attivarsi per implementare sistemi di controllo di gestione basilari, monitorare indici finanziari (come vedremo nella sezione successiva) e attuare procedure decisionali formalizzate. L’impatto pratico è stato mitigato da alcuni interventi: ad esempio, il legislatore ha elevato i parametri per la nomina obbligatoria dell’organo di controllo nelle S.r.l. (da 2022 serve se superati 4 milioni di attivo o ricavi, o 20 dipendenti) in modo da evitare oneri eccessivi per microaziende. Tuttavia, quando tali organi (sindaci o revisori) sono presenti, essi hanno precisi doveri di segnalazione della crisi. In sintesi, anche la PMI è tenuta a organizzarsi per prevenire la crisi, eventualmente avvalendosi di consulenti esterni o strumenti semplificati (software di early warning, check-list predisposte dal CNDCEC per PMI).
  • Composizione Negoziata tarata sulle PMI: la procedura di composizione negoziata, che come visto è uno strumento extragiudiziale volontario assistito da un esperto, è pensata per essere accessibile anche alle PMI. Anzi, è soprattutto alle PMI che mira, offrendo un’alternativa meno costosa e più flessibile rispetto al concordato preventivo. Le Camere di Commercio hanno istituito piattaforme online dove l’imprenditore in difficoltà può presentare istanza per nominare un esperto e avviare trattative con i creditori. Per le microimprese, sono previsti aiuti come un tool di autodiagnosi del debito (software gratuito messo a disposizione, come indicato dal D.L. 118/2021) che propone piani di rateizzazione se il debito è modesto (≤ €30.000). Inoltre, il “correttivo” 2024 ha stabilito che le banche non possono revocare o ridurre gli affidamenti solo perché l’imprenditore ha avviato la composizione negoziata, proprio per incoraggiare le piccole imprese a usarla senza timore di perdere il supporto bancario. Questo divieto di revoca “automatica” tutela le PMI in una fase delicata e rende la composizione negoziata uno strumento realmente praticabile.
  • Procedure concorsuali semplificate: se una piccola impresa non riesce a risolversi attraverso un accordo stragiudiziale, il Codice offre procedure concorsuali meno complesse rispetto a quelle per le grandi imprese. Ad esempio, il concordato “minore” (artt. 74-83 CCII) è un concordato pensato per debitori sotto soglia, con iter più snello e requisiti meno stringenti rispetto al concordato preventivo tradizionale (ad es. non c’è il requisito del 20% minimo ai chirografari, e la procedura è più informale, pur sempre soggetta ad omologa giudiziale). Nella liquidazione controllata (ex liquidazione del patrimonio), come vedremo, il debitore persona fisica o piccola impresa individuale può ottenere la chiusura rapida e l’esdebitazione anche se il ricavato è stato modesto – principio del fresh start per incentivare il piccolo imprenditore a ripartire dopo il fallimento personale.

In generale, per le PMI il legislatore ha cercato di bilanciare due esigenze: evitare di sovraccaricarle di adempimenti “corporate” che mal si adattano alle micro-strutture, e al contempo non escluderle dal sistema di prevenzione e gestione della crisi. Il risultato è un set di strumenti flessibili e in buona parte facoltativi (nessuno obbliga una microimpresa ad attivare l’allerta, ma se non lo fa e poi fallisce, gli amministratori rischiano sanzioni). Le PMI devono dunque essere consapevoli delle opportunità offerte (ad esempio, usare per tempo la composizione negoziata per scongiurare il default) e delle responsabilità che incombono (ad esempio, la segnalazione degli organi di controllo che può condurre ad iniziative forzose se ignorata).

Grandi aziende e imprese di rilevanza sistemica

Le grandi imprese (società per azioni quotate, grandi gruppi industriali, aziende con migliaia di dipendenti, ecc.) affrontano la crisi con strumenti in parte simili a quelli delle PMI, ma presentano alcune peculiarità:

  • Procedure complesse e concordati in continuità: le imprese di dimensioni maggiori tendono ad utilizzare più frequentemente il concordato preventivo in continuità aziendale, spesso in versione “mista” (parte di beni liquidati e parte di attività che prosegue). Questo perché hanno assetti più articolati, creditori molto diversificati (banche, obbligazionisti, fornitori globali) e spesso un impatto sociale notevole (pensiamo a grandi aziende manifatturiere o società quotate). Il CCII consente concordati anche molto complessi, con suddivisione dei creditori in classi e trattamenti differenziati, e consente l’apporto di finanza esterna per sostenere la continuità (anche con la prededucibilità e protezioni per i nuovi finanziatori). Ad esempio, in concordati di grandi imprese è frequente vedere la partecipazione di investitori terzi (fondi, nuovi soci) che immettono capitale per risanare l’azienda in cambio di equity – operazione che il Codice favorisce attribuendo il beneficio della prededuzione (priorità di rimborso) ai finanziamenti autorizzati dal tribunale. Le grandi imprese possono anche accedere al piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (PRO), introdotto dal 2022, che è uno strumento pensato per realtà complesse: consente di ristrutturare con l’approvazione delle sole majority per classi di creditori, anche senza il voto unanime, e si presta a operazioni di risanamento su larga scala (sul modello dei Chapter 11 statunitensi e della direttiva UE).
  • Gruppi di imprese: spesso le aziende di maggiori dimensioni fanno parte di gruppi societari. Il CCII dedica agli “Gruppi d’impresa” un intero capo (Titolo VI, artt. 284-292) prevedendo la possibilità di una gestione coordinata della crisi del gruppo, con presentazione di un concordato di gruppo o accordi di ristrutturazione di gruppo, nomina di organi comuni e ripartizione dei costi fra le diverse procedure. Ciò è rilevante per le grandi imprese, dove la crisi raramente si ferma alla singola società ma coinvolge controllate o collegate. In pratica, è possibile presentare un unico piano di gruppo con misure differenziate per società, sotto il controllo di tribunali coordinati (eventualmente uno principale e quelli delle società minori deleganti). Le grandi imprese sfruttano queste norme per evitare frammentazioni – si pensi a casi noti come grandi gruppi della costruzione o catene di retail con varie società veicolo: un concordato unitario permette di vendere o ristrutturare il gruppo in modo coerente. Il Codice prevede anche che talune società del gruppo possano supportare finanziariamente altre in crisi, con autorizzazione giudiziale, superando così i vincoli societari ordinari (salvo che ciò le danneggi eccessivamente).
  • Allerta interna già presente: nelle imprese di dimensioni maggiori, tipicamente esistono strutture di controllo interno (collegi sindacali, internal audit, revisori esterni) più robuste. Il Codice ha in un certo senso “formalizzato” obblighi che queste aziende spesso già seguivano per best practice o per obblighi di legge (si pensi alle società quotate, che da anni devono avere sistemi di controllo interno efficaci). Pertanto, per le grandi aziende l’impatto degli obblighi di adeguati assetti è stato meno traumatico: avevano già piani industriali, analisi finanziarie prospettiche, monitoraggio costante dei covenant con le banche, ecc. Tuttavia, anche in contesti avanzati il Codice ha aggiunto qualcosa, ad esempio l’attenzione specifica agli indici di allerta: molte grandi aziende hanno cominciato a calcolare regolarmente il DSCR (Debt Service Coverage Ratio) prospettico a 6-12 mesi per essere conformi alle indicazioni del Codice (indicazione proveniente dall’art. 13 CCII previgente). Questo indicatore, come vedremo, è diventato uno strumento di comune utilizzo per anticipare tensioni di liquidità, e nelle grandi imprese è spesso integrato nei sistemi di reporting direzionale.
  • Imprese soggette a vigilanza speciale: banche, intermediari finanziari, assicurazioni ed altre categorie regolamentate sono escluse dall’ambito di applicazione del CCII e continuano a seguire le procedure speciali (liquidazione coatta amministrativa, amministrazione straordinaria bancaria, ecc.). Tuttavia, per le imprese “para-pubbliche” o concessionarie di servizi essenziali (es. società energetiche, telecomunicazioni di rilievo) il Codice non prevede esenzioni: semplicemente bisognerà coordinare le procedure concorsuali con eventuali regimi amministrativi speciali. Le grandi imprese di interesse strategico nazionale, inoltre, potrebbero rientrare nell’ambito di applicazione del D.Lgs. 270/1999 (Legge Prodi-bis) o del D.L. 347/2003 (Legge Marzano), qualora il Governo decida di attivare l’amministrazione straordinaria, riservata alle imprese con determinati requisiti (es. >200 dipendenti, insolvenza conclamata, etc.). Queste procedure sono esterne al CCII, ma il Codice ha cercato di mantenere un coordinamento (si veda ad esempio l’art. 350 CCII sulle disposizioni finali, che lascia in vigore tali leggi speciali). Quindi, per una grandissima impresa in crisi, la scelta potrebbe essere tra l’uso degli strumenti CCII (se si punta ad un concordato, per esempio) o la richiesta al Ministero dello Sviluppo Economico di ammissione all’amministrazione straordinaria. Un esempio concreto: un gruppo industriale con migliaia di dipendenti potrebbe optare per un concordato preventivo in continuità se intravede soluzioni di mercato, oppure lo Stato potrebbe decidere di commissariare l’azienda sotto la legge Marzano se la considera strategica (come avvenuto in passato per Alitalia, ILVA, ecc., casi avulsi dal nuovo Codice perché retti da normative speciali).
  • Responsabilità degli organi sociali: in grandi realtà societarie, gli amministratori e i sindaci sono spesso professionisti esperti, consapevoli delle loro responsabilità. Il CCII tuttavia ha rafforzato la possibilità di azioni di responsabilità per mala gestio della crisi. Ad esempio, l’art. 378 CCII ha modificato l’art. 2486 c.c. introducendo criteri semplificati per quantificare il danno da “continuazione abusiva” dell’attività oltre la soglia di scioglimento: ciò significa che nelle grandi società, i liquidatori o curatori in una successiva liquidazione giudiziale potranno chiedere ai vecchi amministratori i danni se hanno tardato a intervenire. Questo chiaramente incentiva gli amministratori di grandi imprese a non temporeggiare di fronte alla crisi, e spiega perché nel 2020-2023 abbiamo visto diverse società optare per concordati preventivi “in bianco” (prenotativi) non appena percepiti segnali di insolvenza, per proteggersi da accuse di inerzia.

In conclusione, le grandi aziende applicano il Codice con maggior struttura e risorse: solitamente hanno advisor legali e finanziari che le guidano nelle scelte tra un accordo di ristrutturazione, un PRO o un concordato. L’introduzione di nuovi istituti come il PRO è stata accolta con favore da questa categoria, in quanto offre strumenti flessibili e rapidi. Non a caso, il primo piano di ristrutturazione soggetto a omologazione omologato in Italia (Tribunale di Vicenza, decreto 7 novembre 2023) ha riguardato un’azienda di media-grande dimensione che è riuscita a ristrutturare il debito con il consenso di una parte dei creditori, sfruttando l’omologazione giudiziale per imporre la manovra anche ai dissenzienti. Anche il cram-down fiscale e previdenziale è uno strumento particolarmente utile per imprese medio-grandi: tribunali come Cagliari e Vasto nel tardo 2024 hanno omologato accordi di ristrutturazione nonostante il voto contrario dell’Agenzia delle Entrate, purché il piano garantisse ai crediti erariali una soddisfazione migliore di quella ricavabile dalla liquidazione.

Cooperative ed altre tipologie particolari

Le società cooperative presentano alcune peculiarità nella gestione della crisi d’impresa, legate alla loro forma mutualistica e alla disciplina speciale di settore (D.Lgs. 220/2002, Codice Civile e normative delle centrali cooperative). In linea di massima, anche le cooperative rientrano nel campo di applicazione del CCII in caso di insolvenza o crisi, ma occorre evidenziare alcuni aspetti:

  • Procedura di liquidazione coatta amministrativa (LCA): molte cooperative, soprattutto quelle piccole, in caso di insolvenza non vengono sottoposte a fallimento (ora liquidazione giudiziale) ma a liquidazione coatta amministrativa disposta dall’autorità governativa. Questo avviene per le cooperative a mutualità prevalente iscritte in appositi albi, per le banche di credito cooperativo, e in genere per gli enti cooperativi vigilati dal Ministero dello Sviluppo Economico. La LCA è una procedura concorsuale amministrativa, dove il Ministero nomina un commissario liquidatore. Il CCII all’art. 349 ne conferma l’esistenza (rimandando alle leggi speciali). Pertanto, quando parliamo di Codice della Crisi per le cooperative, va tenuto presente che se la cooperativa rientra nei casi di LCA obbligatoria, le norme del Codice sulla liquidazione giudiziale non si applicano, venendo sostituite dalla procedura amministrativa. Rimangono invece applicabili altre parti del Codice (ad esempio, nulla vieta a una cooperativa di tentare un concordato preventivo – e ve ne sono state – o un accordo di ristrutturazione prima che il Ministero decida la LCA). Ad esempio, vi sono stati casi di cooperative edilizie che, in crisi, hanno proposto ai creditori un concordato preventivo per evitare la LCA e cercare di completare le costruzioni a beneficio dei soci assegnatari.
  • Patrimonio e soci delle cooperative: in una cooperativa tradizionale, i soci non rispondono delle obbligazioni sociali (salvo diverse previsioni statutarie per le cooperative a responsabilità illimitata, oggi rarissime). Dunque, analogamente alle S.p.A. o S.r.l., i soci non rischiano il patrimonio personale nella procedura concorsuale. Tuttavia, i soci di cooperativa possono essere coinvolti come creditori particolari (ad esempio, soci lavoratori con crediti di lavoro, o soci sovventori con prestiti sociali) e il Codice li equipara agli altri creditori secondo la natura del credito. Un tema specifico è il prestito sociale: nelle crisi di cooperative di consumo o edilizie, i soci spesso hanno depositato risparmi sotto forma di prestito sociale verso la coop; tali crediti sono chirografari in concorso. Il CCII non disciplina espressamente il prestito sociale, ma le procedure concorsuali di coop hanno dovuto gestire migliaia di soci-creditori (spesso in tensione con i creditori estranei). In un concordato di cooperativa, per esempio, i soci prestatori potrebbero costituire una classe ad hoc.
  • Allerta nelle cooperative: le cooperative, se di piccole dimensioni, potrebbero non avere organi di controllo interni (il collegio sindacale è obbligatorio solo sopra certi limiti). Tuttavia, molte aderiscono a centrali cooperative che effettuano revisioni cooperative periodiche: si tratta di verifiche biennali sullo stato gestionale. Questi revisori delle centrali, se riscontrano segnali di crisi grave, possono attivare segnalazioni verso gli organi sociali e in casi estremi informare l’autorità governativa. Questo meccanismo extra-CCII funge da “allerta” peculiare per le cooperative. Va detto che il sistema di allerta del CCII (creditori pubblici, indici di crisi) si applica anche alle cooperative come a qualsiasi impresa.
  • Strumenti di risanamento cooperativo: oltre agli strumenti generali (piani attestati, accordi, concordati), le cooperative possono avvalersi di qualche leva specifica, come la variazione del valore delle azioni dei soci o l’emissione di strumenti di finanziamento dedicati ai soci. Ad esempio, in alcune cooperative agricole in difficoltà si è chiesto ai soci conferitori di rinunciare a parti di crediti o di aumentare le quote sociali per ricapitalizzare. Il CCII non entra in questi dettagli, ma consente ad esempio che nel concordato si possano modificare i diritti dei soci (è ammessa la ristrutturazione dei diritti dei soci se funzionale al risanamento, come previsto dall’art. 120 CCII per le S.p.A.).
  • Imprese sociali, ONLUS e altre organizzazioni non profit con attività d’impresa: il Codice si applica anche agli enti non profit che svolgono attività d’impresa in via principale, con alcuni adattamenti. Le imprese sociali (cooperative sociali e società ex D.Lgs. 112/2017) possono accedere alle procedure di regolazione della crisi; tuttavia, trattandosi spesso di organizzazioni votate allo scopo sociale, il loro dissesto può avere impatto su terzi “fragili” (es. utenti dei servizi sociali). Non ci sono norme ad hoc nel CCII per loro, ma si assiste spesso a un coinvolgimento delle istituzioni pubbliche nel salvataggio (es. enti locali che sostengono piani di risanamento di cooperative sociali in crisi per garantire la continuità del servizio assistenziale). In tal caso, l’intervento può tradursi in finanziamenti prededucibili o contributi pubblici straordinari autorizzati nel concordato.

In definitiva, le imprese cooperative e affini seguono il framework generale della crisi d’impresa, con l’attenzione che in alcune circostanze l’autorità pubblica (Ministero, vigilanza) può prevalere con procedure amministrative speciali. Quando invece la cooperativa segue la strada ordinaria, non vi sono differenze sostanziali: ad esempio una cooperativa di produzione potrà presentare un accordo di ristrutturazione dei debiti come farebbe una S.r.l., e il tribunale lo omologherà se sono rispettati i requisiti (percentuale di adesioni, convenienza rispetto alla liquidazione, ecc.).

Tabella 3 – Applicazione del CCII: differenze chiave tra tipologie di imprese

TipologiaProcedura tipicamente applicataNote e particolarità
Microimprese individualiSovraindebitamento (ristrutturazione debiti o liquidazione controllata)Spesso non soggette a liquidazione giudiziale; possibile esdebitazione di immediato (se incapienti) o dopo 3 anni. Obbligo di assetti adeguati più “sulla carta” che sostanziale, data la semplicità struttura.
PMI (società di piccola dimensione)Composizione negoziata; Concordato minore; eventuale concordato preventivo se dimensioni vicine a sogliaDevono nominare organo di controllo se superano parametri (attivo >4 mln, ricavi >4 mln, dipendenti >20); organo di controllo con doveri di segnalazione interna. Composizione negoziata molto incoraggiata per evitare escalation. Concordato “minore” con meno formalità per debitori non grandi.
Grandi imprese (spa, quotate, gruppi)Concordato preventivo (spesso in continuità); Accordi di ristrutturazione; PRO (piani omologati)Possono sfruttare classi di voto nel concordato e meccanismi complessi. Spesso coinvolgono investitori terzi nei piani. Necessaria attestazione rigorosa da parte di esperti qualificati. Possibilità di amministrazione straordinaria fuori CCII se requisiti di legge speciale.
Imprese cooperativeConcordato preventivo; LCA (liquidazione coatta) se insolventi; Accordi se sufficientemente grandiSe soggette a vigilanza MISE, probabile LCA anziché liquidazione giudiziale. Nei concordati, considerare soci come possibili creditori (prestito sociale). Procedure di allerta interne via revisioni cooperative.
Enti non profit con attività d’impresaSovraindebitamento (se piccoli); Concordato preventivo (se grandi associazioni imprenditoriali)Applicazione caso per caso. Le imprese sociali seguono CCII; in caso di insolvenza, possibile intervento pubblico extra-giudiziale per tutela finalità.

Questa tabella evidenzia come il Codice della Crisi abbia un raggio d’azione ampio e flessibile: dal piccolo imprenditore individuale alla multinazionale, esiste una soluzione (o più) calibrata. Per i professionisti legali è fondamentale conoscere queste differenze per consigliare al meglio il cliente su quale strada intraprendere. Ad esempio, un avvocato che assiste una cooperativa in difficoltà dovrà valutare sia l’opzione concordato, sia il rischio di un commissariamento ministeriale; se assiste una PMI, probabilmente partirà proponendo la composizione negoziata, mentre per una grande impresa considererà anche l’eventualità di un accordo di ristrutturazione con cram-down fiscale o di un PRO.

Nei prossimi capitoli affronteremo in dettaglio due aspetti cruciali per tutte le imprese, grandi o piccole che siano: gli strumenti di allerta (interni ed esterni) e gli indicatori finanziari che permettono di capire se l’azienda è in crisi.

Strumenti di Allerta e Indicatori della Crisi

Uno dei pilastri della riforma introdotta dal Codice della Crisi è il sistema degli strumenti di allerta precoce (early warning) e l’individuazione di specifici indicatori quantitativi di squilibrio che segnalino lo stato di crisi. L’idea di fondo è semplice: intercettare la crisi quando è ancora gestibile, evitando che si trasformi in insolvenza conclamata e riducendo il danno per creditori e dipendenti. In questa sezione esamineremo:

  • Gli obblighi organizzativi interni finalizzati all’allerta (adeguati assetti e doveri degli organi sociali).
  • Le segnalazioni dei creditori pubblici qualificati (Agenzia Entrate, INPS, agente della riscossione) e relative soglie.
  • Gli indicatori finanziari della crisi, sia qualitativi sia quantitativi, con particolare riguardo agli indici elaborati dal CNDCEC (Consiglio Nazionale dei Commercialisti) come supporto operativo all’allerta (indici di bilancio settoriali, DSCR, ecc.).
  • Il funzionamento della Composizione Negoziata come strumento di allerta “attiva” su base volontaria.

Allerta interna: assetti adeguati e obblighi degli organi sociali

Come già accennato, l’art. 3 del CCII impone all’imprenditore di istituire assetti capaci di rilevare la crisi tempestivamente. Questo si traduce, nella pratica, in una serie di comportamenti e misure organizzative, tra cui:

  • Monitoraggio costante dei flussi di cassa e dei debiti: l’azienda deve dotarsi di strumenti (anche elementari, purché efficaci) per fare previsioni di tesoreria, almeno a 6-12 mesi. Un flusso di cassa prospettico negativo rispetto alle uscite previste è il campanello d’allarme principale, come codificato dalla definizione stessa di crisi. Ad esempio, se l’impresa vede che tra 4 mesi dovrà rimborsare una rata di mutuo importante e non avrà abbastanza incassi, quel gap deve emergere dalle proiezioni finanziarie interne, così che i manager possano porvi rimedio (rinegoziando il debito, cercando nuova finanza, ecc.) prima che diventi default.
  • Controllo di gestione e contabilità analitica: gli “squilibri di carattere patrimoniale o economico-finanziario” citati dal Codice vanno individuati attraverso appropriati indici e grandezze di bilancio. L’azienda deve quindi tenere sotto controllo indici come l’indebitamento, la rotazione magazzino, i margini operativi, ecc., e segnalare se questi assumono valori anomali (specie se in peggioramento costante). Per far ciò, è utile implementare un semplice cruscotto di indicatori a cadenza mensile/trimestrale. Il CNDCEC ha suggerito checklist e schemi, e nel 2023 ha pubblicato un Vademecum per le PMI proprio su come impostare questi assetti anti-crisi.
  • Organi di controllo societario (sindaci, revisori): essi sono i “sensori” esterni posti dalla legge all’interno dell’impresa. Il Codice (riprendendo l’art. 2403 c.c. e seguenti) attribuisce al collegio sindacale il compito di vigilare non solo sulla regolarità amministrativa, ma anche sull’adeguatezza degli assetti e sul concreto funzionamento dell’organizzazione aziendale. Ciò significa che, se i sindaci ravvisano segnali di crisi ignorati dagli amministratori, devono intervenire. In base all’art. 14 CCII (nel testo ante D.Lgs. 83/2022), l’organo di controllo aveva l’obbligo di segnalare per iscritto all’organo amministrativo la sussistenza di fondati indizi di crisi, sollecitando gli amministratori ad attivarsi. Questa norma, pur essendo stata formalmente abrogata col venir meno degli OCRI, resta nella sostanza valida come buona pratica: il sindaco che vede l’erosione del patrimonio netto oltre il terzo, o gravi perdite d’esercizio, o ritardi nei pagamenti a fornitori, invia una lettera di alert al CDA. Se gli amministratori non reagiscono entro 30 giorni, il collegio può informare l’OCRI (oggi di fatto l’organismo coincide con il segretario generale della Camera di Commercio che attiva la composizione negoziata). Insomma, i controllori interni sono tenuti a far suonare il campanello d’allarme dentro l’impresa. La loro inerzia potrebbe costituire in futuro motivo di responsabilità (per esempio, diversi sindaci di società fallite in passato sono stati citati in giudizio per non aver denunciato per tempo la crisi, aggravando il buco).
  • Obbligo di attivarsi degli amministratori: correlativamente, una volta che gli amministratori vengono a conoscenza dello stato di crisi (o addirittura di insolvenza), hanno il dovere di attivarsi senza indugio. Ciò significa valutare le opzioni: tentare una composizione negoziata? Proporre un concordato in bianco per congelare la situazione e guadagnare tempo? Oppure, se non vi sono prospettive, aprire direttamente la liquidazione (giudiziale o volontaria)? Continuare l’attività “come se nulla fosse” sperando in un miracolo espone gli amministratori a serie conseguenze. Il CCII e le modifiche al codice civile hanno infatti introdotto il principio che la massimizzazione del valore per i creditori deve guidare le scelte nella crisi; se la continuazione dell’attività aggrava il dissesto, gli amministratori ne rispondono. Ad esempio, proseguire acquisendo forniture a credito che non saranno pagate può configurare violazioni anche penali (bancarotta preferenziale o per aggravamento del dissesto). Dunque l’allerta interna non è fine a sé stessa: serve a innescare la “reazione” corretta. In ambienti ben gestiti, il management all’insorgere dei primi indizi convoca i consulenti e prepara un piano di risanamento informale oppure valuta l’accesso alle procedure.

Da questa descrizione si comprende che l’allerta interna è un processo multilivello, che coinvolge sistemi (strumenti di monitoraggio) e persone (organi sociali). Il legislatore, per facilitare l’identificazione dei segnali di crisi, ha introdotto anche degli indicatori quantitativi unificati che fungeranno da guida operativa: questi sono gli indici di cui all’art. 13, co.2 CCII elaborati dal CNDCEC nel 2019 (poi aggiornati). Li analizzeremo tra poco, ma anticipiamo che si tratta di parametri di bilancio che, se superati, costituiscono “fondati indizi” di crisi. Possiamo dire che la filosofia è: ogni impresa deve sorvegliare certi parametri chiave e, se questi vanno fuori range, deve suonare l’allarme al suo interno.

Segnalazioni dei creditori pubblici qualificati (Fisco, INPS)

Accanto all’allerta endogena, il Codice prevede un’allerta esogena proveniente dai cosiddetti “creditori pubblici qualificati”, cioè gli enti pubblici titolari di crediti verso l’impresa: in particolare Agenzia delle Entrate, INPS e Agente della Riscossione (Agenzia Entrate-Riscossione, ex Equitalia). L’idea è sfruttare il fatto che l’inadempimento verso questi enti (tasse, contributi) è spesso uno dei primi sintomi della crisi. Se un’azienda smette di pagare l’IVA o i contributi previdenziali, probabilmente sta vivendo difficoltà di liquidità.

Il CCII (art. 25-novies e seguenti) ha quindi imposto a tali enti di effettuare una “segnalazione” all’impresa (e al suo organo di controllo) quando i debiti scaduti superano determinate soglie. Queste segnalazioni non fanno scattare automaticamente una procedura concorsuale, ma invitano formalmente l’imprenditore a prendere provvedimenti, come ad esempio presentare istanza di composizione negoziata. Vediamo le soglie principali (aggiornate alle modifiche del 2022):

  • Agenzia delle Entrate – segnalazione per debiti IVA: la soglia è dinamica. Scatta l’obbligo di segnalazione se l’impresa ha un debito IVA, risultante dalle comunicazioni trimestrali, superiore a €5.000 e contemporaneamente al 10% del volume d’affari annuo. Inoltre, è previsto che in ogni caso la segnalazione venga inviata se il debito IVA supera €20.000, anche se il 10% del fatturato fosse più alto. Esempio: un’impresa con volume d’affari annuo di €100.000 avrà soglia 10% = €10.000, quindi se omette di versare IVA per 12.000 scatterà segnalazione (perché >10k e >10%); se fatturato 10 milioni, il 10% è 1 milione, ma la norma mette un cap: se debito IVA > 20k, segnalano comunque, quindi anche 50k di IVA non versata farebbe scattare l’allarme, pur essendo solo 0,5% del fatturato. Questa modifica (da soglia fissa 5k a soglia proporzionale con floor a 20k) è stata introdotta per evitare segnalazioni di massa per importi minimi.
  • INPS – segnalazione per contributi non versati: il criterio considera la scopertura contributiva rapportata all’ammontare dei contributi dovuti dell’anno precedente. In base alle ultime soglie fissate nel 2022, l’INPS deve segnalare se l’impresa ha un debito per contributi che superi contemporaneamente: (a) il 30% dei contributi dovuti nell’anno precedente, e (b) l’importo di €15.000 (se l’impresa ha dipendenti). Se l’impresa non ha dipendenti (contributi artigiani/commercianti), la soglia è un debito > €5.000. Inoltre, la segnalazione scatta quando il ritardo nel versamento supera i 90 giorni【34†look】. Esempio: un’azienda con massa salariale e contributi annui di €50.000, se accumula €20.000 di arretrato contributivo (>30% di 50k = 15k, e >15k), e tarda oltre 3 mesi, riceverà lettera dall’INPS. Questi parametri erano stati criticati inizialmente perché molto bassi (la versione 2019 prevedeva soglia fissa €10.000 e 90 giorni per tutte), così il correttivo li ha calibrati per grandezza aziendale, introducendo il criterio percentuale.
  • Agente della Riscossione (ADER) – segnalazione per carichi esattoriali: riguarda i debiti fiscali o contributivi già affidati all’Agente della riscossione e rimasti impagati. La norma attuale stabilisce soglie diverse in base alla forma giuridica: per imprese individuali, debiti iscritti a ruolo > €100.000 scaduti da oltre 90 giorni; per società di persone > €200.000; per le altre società (capitali) > €500.000【34†look】. Se tali soglie sono superate e persistono per 90 giorni dopo la notifica delle cartelle, ADER deve avvisare l’impresa invitandola a attivarsi. Anche qui, rispetto al disegno iniziale (che prevedeva soglie molto più basse), si è optato per valori elevati, per concentrarsi sui casi realmente preoccupanti ed evitare di sommergere le aziende di lettere.

Le modalità di segnalazione prevedono che: l’ente invia una comunicazione via PEC all’imprenditore e al presidente del collegio sindacale (se esiste), segnalando il superamento della soglia e invitando formalmente ad attivare entro 90 giorni la composizione negoziata o altra procedura di regolazione della crisi. Dunque, non vi è imposizione di aprire concorsuali, ma una forte spinta a fare qualcosa. Se l’imprenditore ignora l’avvertimento e poi finisce in liquidazione giudiziale, questo comportamento inerziale sarà valutato negativamente: potenzialmente potrebbe integrare colpa grave rilevante per esdebitazione o per azioni di responsabilità.

È importante notare che con la riforma del 2022 è stato eliminato il meccanismo, previsto nel Codice originale, per cui se l’imprenditore non si attivava, i creditori pubblici avrebbero potuto rivolgersi direttamente all’OCRI. Adesso tutto passa per l’adesione volontaria alla composizione negoziata. In mancanza, l’ente pubblico non può costringere l’azienda ad attivare una procedura concorsuale (non esiste più la vecchia “procedura d’ufficio” temuta in origine). Tuttavia, il segnale resta importante e soprattutto mette in moto una serie di possibili reazioni a catena: ad esempio, una volta ricevuta la PEC dell’Agenzia Entrate, il collegio sindacale deve anch’esso intervenire e vigilare; gli amministratori che non reagiscono rischiano – come detto – di aggravare la loro posizione. Inoltre, tali comunicazioni potrebbero essere successivamente esibite nei giudizi per dimostrare da quando l’impresa era concretamente a conoscenza del proprio stato di crisi.

Un punto degno di nota: le segnalazioni dei creditori pubblici intendono anche creare un rapporto trasparente tra Fisco/Enti e impresa in crisi. L’invito infatti suggerisce l’adesione alla composizione negoziata dove è possibile, tra l’altro, ottenere la sospensione delle sanzioni e interessi o accordi di dilazione sui debiti fiscali. Se l’imprenditore aderisce entro 90 giorni, ad esempio presentando istanza sulla piattaforma telematica, beneficia di alcune tutele: durante la composizione negoziata può chiedere misure protettive (blocco temporaneo di azioni esecutive) e anche trattare col Fisco per una transazione fiscale sui debiti (riduzione parziale di imposte e sanzioni). Il correttivo 2024 ha ulteriormente facilitato questo aspetto chiarendo che anche nella composizione negoziata si possono stipulare accordi che includono il Fisco (prima era un punto incerto). Dunque, la segnalazione non è solo un “warning”, ma anche un’apertura di dialogo: l’Agenzia dice in sostanza “so che hai un debito rilevante, attiva la procedura e vediamo se riusciamo a trovare un piano, altrimenti poi agirò”.

Riassumiamo i principali segnali d’allarme quantitativi e relative soglie in tabella:

Tabella 4 – Principali soglie per l’allerta dei creditori pubblici (dati aggiornati al 2025)

Ente segnalanteCondizioni per la segnalazioneNorma di riferimento
Agenzia EntrateDebito IVA trimestrale > €5.000 e superiore al 10% del fatturato annuo precedente; oppure debito IVA comunque > €20.000 (indipendentemente dal fatturato).Art. 25-novies, co.1 lett. a) CCII (come mod. da D.L. 73/2022)
INPSOmesso versamento contributi per importo > 30% dei contributi dovuti nell’anno precedente e > €15.000 (se impresa con dipendenti); oppure > €5.000 (se impresa senza dipendenti). Ritardo > 90 giorni dal termine.Art. 25-novies, co.1 lett. b) CCII (parametri fissati dal D.M. 28/09/2021)【34†look】
Agente RiscossioneDebiti risultanti da cartelle esattoriali scaduti da >90 gg per: > €100.000 (ditte individuali); > €200.000 (soc. di persone); > €500.000 (altre società).Art. 25-novies, co.1 lett. c) CCII (parametri da D.M. 28/09/2021)【34†look】

NB: Le soglie possono essere aggiornate con decreto ogni tre anni circa; quelle riportate sono quelle vigenti nel 2024-2025 a seguito degli ultimi interventi normativi.

Una volta ricevuta la segnalazione, l’imprenditore ha 90 giorni di tempo per reagire (attivare la composizione negoziata o altra procedura). Se lo fa, ne dà comunicazione all’ente segnalante, che sospende iniziative esecutive nel frattempo. Se non lo fa, passato il termine gli enti potranno procedere con le azioni ordinarie di recupero (non c’è – si ribadisce – un automatismo verso il tribunale).

Va comunque evidenziato che l’efficacia dell’allerta esterna è tutta da misurare. Nei primi mesi di applicazione del Codice (fine 2022, inizio 2023) le cronache hanno riportato l’invio delle prime lettere di compliance da parte di Agenzia Entrate e INPS, ma non un’ondata massiva. Anche perché, ad esempio, i debiti fiscali e contributivi maturati durante la pandemia erano oggetto di vari provvedimenti di sospensione e rateizzazione straordinaria, il che ha diluito i tempi delle segnalazioni. Col 2024-2025, esaurite molte moratorie, è prevedibile un aumento di queste comunicazioni.

In parallelo alle segnalazioni pubbliche, esistono anche segnali privati: ad esempio, le banche sono tenute secondo le linee guida EBA a monitorare il merito creditizio e a classificare le esposizioni deteriorate. Non c’è un obbligo per le banche di segnalare il cliente al tribunale (questo no, sarebbe lesivo del rapporto fiduciario), ma una banca che vede un cliente in grave crisi spesso lo invita spontaneamente a trovare soluzioni (magari suggerendo advisor o procedure concorsuali). Inoltre, i fornitori strategici, se non pagati, innescano il proprio campanello d’allarme (riduzione fidi commerciali, richiesta di pagamento anticipato), il che costituisce un segnale indiretto.

Indicatori finanziari della crisi e indici di squilibrio

Per dare contenuto oggettivo al concetto di “squilibri patrimoniali, economici e finanziari” che segnalano la crisi (art. 13 CCII), il legislatore delegato ha previsto che venissero elaborati specifici indici in grado di misurare la sostenibilità dei debiti e la continuità aziendale. Tali indicatori fungono da benchmark: se l’impresa li supera oltre soglia, c’è presumibilmente crisi.

Nel 2019, il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti (CNDCEC) ha predisposto un documento con una serie di indici settoriali di allerta, in attuazione dell’art. 13, comma 2 CCII. Tali indici, inizialmente in bozza, sono poi stati aggiornati nel 2022 dopo l’entrata in vigore del Codice. Vediamo i principali:

  • DSCR (Debt Service Coverage Ratio): è l’indicatore principe, in quanto misura quanta parte del debito a breve termine è coperta dai flussi di cassa previsti. In formula semplificata, DSCR = flussi di cassa operativi attesi / debiti con scadenza entro 6-12 mesi. Se DSCR < 1 significa che i flussi non coprono il servizio del debito, dunque l’azienda è destinata ad essere illiquida nel breve. Il Codice originario indicava proprio il rapporto tra cash flow prospettico e oneri del debito come uno degli indicatori chiave. Il CNDCEC aveva proposto di considerare un DSCR a 6 mesi < 1,0 come allerta primaria. Attualmente, se l’impresa è in grado di calcolarlo (non sempre le piccole imprese hanno strumenti per forecast attendibili), un DSCR <1 è considerato segnale serio di crisi, e viceversa un DSCR >1 suggerisce sostenibilità di breve periodo. Va ricordato che il DSCR non è magicamente comparso col Codice: molte banche già lo usavano nei covenant e la EBA ne raccomanda l’uso per valutare la capacità di rimborso del cliente. Il CCII però lo ha istituzionalizzato come termometro interno dell’impresa. A domanda frequente “il DSCR va calcolato obbligatoriamente?”, la risposta prevalente è sì, se l’impresa ha un piano finanziario attendibile: perché solo dimostrando di averlo calcolato si può dire di aver verificato la continuità per i 12 mesi futuri. Diversi commentatori confermano che l’obbligo di monitoraggio implicito comporta anche l’obbligo di dotarsi di un mini-budget di tesoreria e calcolare un DSCR (o analoghi indicatori di copertura). In pratica, tuttavia, il DSCR è più agevolmente calcolato da medie e grandi imprese; per le micro, si tende a ripiegare su indicatori più semplici (o a calcolare un DSCR su base semestrale con ipotesi semplificate, giusto per avere un’idea).
  • Patrimonio Netto negativo o sotto il minimo legale: questo non è un indice “di flusso” come il DSCR, ma uno stato contabile. Se il patrimonio netto dell’azienda è azzerato o negativo (ovvero debiti > attivi), l’impresa è tecnicamente già insolvente o in grave difficoltà. L’art. 13 CCII considerava questo un fondo indizio di crisi automatico. Va però considerato il contesto: a volte il patrimonio netto può ridursi per ragioni straordinarie ma l’impresa è liquidamente sana; tuttavia, in ottica giuridica, la perdita del capitale oltre soglie di legge impone atti (riduzione e ricapitalizzazione ex art. 2447 c.c. per spa, 2482-ter per srl). Il Codice rafforza l’idea che patrimonio netto < 0 = crisi e dunque i sindaci devono intervenire. Nella metodologia CNDCEC, la verifica del PN è la Fase 1: se il patrimonio netto è negativo, c’è crisi conclamata, scatta obbligo segnalazione senza bisogno di ulteriori calcoli. Se invece PN è positivo e > minimo legale, si passa agli altri indici.
  • Indici di struttura e redditività: il CNDCEC ha individuato 5 indici di bilancio da utilizzare quando non si può calcolare il DSCR (perché manca un budget attendibile). Essi coprono diverse aree di equilibrio aziendale, e sono valutati in modo complessivo (devono essere tutti oltre soglia per dare crisi conclamata). Questi indici, con le relative soglie indicative (che variano per settore ATECO), sono:
    1. Indice di sostenibilità degli oneri finanziari = Oneri finanziari / Ricavi. Misura quanto gli interessi passivi pesano sul fatturato. Soglia tipica: se > 3% (ad esempio, nel commercio all’ingrosso soglia ~2.1%, nelle costruzioni ~3.8%, nei servizi alle persone ~2.7%) indica eccessivo indebitamento oneroso.
    2. Indice di adeguatezza patrimoniale = Patrimonio Netto / Debiti totali. Misura quanto l’azienda è finanziata da capitale proprio vs capitale di terzi. Soglia esempio: < 5% o < 10% a seconda settori (nel commercio dettaglio soglia ~1.5%, nell’industria ~7%, servizi ~2-3%), il che significa struttura molto squilibrata a favore dei debiti.
    3. Indice di liquidità = Attività a breve / Passività a breve. È il classico current ratio, che misura la capacità di far fronte alle obbligazioni correnti con le disponibilità correnti. Soglia minima attorno a 0.8-1 per molti settori (se <1 significa capitale circolante netto negativo). Ad esempio, nel manifatturiero soglia ~0.93, nel commercio ~0.89.
    4. Indice di liquidità immediata = Cash flow / Attivo. In verità questo “cash flow” è inteso come flusso di cassa operativo netto/attivo, oppure può essere approssimato con (utile + ammortamenti) / attivo. Indica la redditività in termini di cassa dell’attivo. Valori molto bassi indicano che l’attivo aziendale non genera risorse adeguate. Le soglie qui sono molto piccole in valore assoluto perché il rapporto è tipicamente pochi punti percentuali (es. soglia ~0.5% per industria, ~1-2% per servizi).
    5. Indice di indebitamento tributario-previdenziale = Debiti tributari e previdenziali / Attivo. Misura quanto del passivo è costituito da debiti verso Erario e enti sociali. Un valore alto può segnalare accumulo di tasse non pagate, dunque crisi. Soglia esempio: > 5% o >10% a seconda del settore (nel commercio soglia ~7.8%, nei servizi ~14.6% viste alcune situazioni settoriali).
    Il metodo CNDCEC prevede la seguente logica: Fase 1: controllo patrimonio netto non negativo; Fase 2: se disponibile un budget attendibile, calcolo DSCR a 6 mesi (DSCR ≥ 1? Se <1, crisi); Fase 3: se DSCR non calcolabile, allora esaminare i 5 indici sopra; solo se tutti e cinque superano le soglie (ovvero danno esito negativo), allora si considera la crisi conclamata e scatta l’obbligo di segnalazione. Questo approccio olistico serve a ridurre i falsi positivi: un singolo indice fuori linea potrebbe non significare crisi (es: l’azienda potrebbe avere oneri finanziari alti ma essere comunque solvibile perché con molti ricavi), mentre se tutti i parametri sono sballati, la situazione è seriamente compromessa.

Va precisato che questi indici settoriali non sono prescrittivi per legge in questa fase (dopo le modifiche 2022): all’inizio, il CCII delegava al MISE di approvarli, ma poi con la sostituzione dell’allerta obbligatoria con la composizione negoziata volontaria, il carattere cogente è sfumato. Rimangono però linee guida autorevoli: molte imprese e professionisti li usano come riferimento per misurare la “temperatura” aziendale. Inoltre, in sede di valutazione della meritevolezza dell’imprenditore (ad esempio, per l’accesso alle misure premiali o l’esdebitazione), si può tener conto se l’imprenditore ha ignorato clamorosamente tutti questi campanelli di allarme.

Possiamo riassumere la logica degli indicatori così: la crisi si manifesta se i flussi di cassa futuri non coprono il debito a breve (DSCR < 1) e/o se l’azienda presenta contemporaneamente più squilibri di bilancio (indebitamento eccessivo, illiquidità, perdite). Questa definizione operativa traduce in numeri ciò che prima era lasciato a valutazione ex post.

È bene però comprendere i limiti: indici e DSCR sono utili, ma non infallibili. Ad esempio, imprese in rapida crescita potrebbero avere DSCR bassi (perché reinvestono e assumono debiti per espandersi) ma non essere in crisi vera; al contrario, imprese declinanti ma ricche di cassa oggi potrebbero non essere colte dagli indici fino a che è troppo tardi. Per questo la valutazione unitaria e professionale rimane essenziale. L’attestatore o l’esperto nominato nella crisi guarderà agli indici, ma formulerà un giudizio complessivo considerando anche fattori qualitativi (perdita di un cliente chiave, obsolescenza prodotti, etc.).

Esempio pratico: si consideri un’azienda manifatturiera (settore C della classificazione ATECO) con questi dati: oneri finanziari annui €30.000; ricavi €1.000.000 (indice oneri/ricavi = 3%, soglia settore ~3% quindi borderline); patrimonio netto €50.000; debiti totali €450.000 (PN/Debiti = 11%, sopra soglia 7,6% per manifattura, quindi ok); attivo circolante €300.000; passività correnti €350.000 (current ratio ~0,86, un po’ sotto soglia 0,97); cash flow operativo ultimo anno €10.000 (cashflow/attivo 1%, soglia ~0,6%, quindi in questo indicatore è ok); debiti fiscali e previdenziali €40.000 (8% dell’attivo €500.000, soglia ~5,9%, sopra limite). In questo scenario, abbiamo: 1 indice nettamente fuori (debiti fiscali/attivo), 1 leggermente fuori (current ratio), 1 borderline (oneri/ricavi), e 2 ok (PN/D e CF/attivo). L’azienda in questione non è rosea, ma neppure con tutti i parametri in crisi; inoltre presenta ancora PN positivo. Non scatta allerta automatica, ma è un chiaro caso di “early warning” in cui l’organo di controllo consiglierebbe di approfondire. Se inoltre il DSCR a 6 mesi risultasse ad esempio 0,8 (supponiamo debiti a breve 200k e stima cash-in 160k), allora avremmo un segnale forte di tensione di liquidità. A quel punto, pur non essendo ancora insolvente, l’azienda sarebbe formalmente in crisi per il dettato normativo, e dovrebbe valutare soluzioni (ad esempio cercare nuova finanza per 40k o negoziare dilazioni con banche e fornitori). Questo esempio illustra come combinare i vari indicatori.

La Composizione Negoziata: dall’allerta all’azione

Abbiamo parlato finora di come individuare la crisi. Ma qual è il passo successivo una volta riconosciuti i segnali? Il Codice e le riforme correlate forniscono uno strumento agile: la Composizione Negoziata per la soluzione della crisi. Vale la pena approfondirla brevemente, perché è il ponte tra l’allerta e il risanamento.

La Composizione Negoziata (CN) è una procedura volontaria e confidenziale: l’imprenditore in crisi (o in pre-crisi) chiede tramite apposita piattaforma l’assistenza di un esperto indipendente nominato dalla Commissione istituita presso la Camera di Commercio. Insieme all’esperto, per un periodo di norma di 3-6 mesi (prorogabile), l’imprenditore tenta di raggiungere accordi con i creditori o altri stakeholder per risanare l’impresa. Non è un procedimento giudiziario, anche se può innestarsi con provvedimenti del tribunale (ad es. misure protettive su istanza dell’imprenditore: il tribunale può sospendere azioni esecutive per la durata delle trattative). La riservatezza è mantenuta, a meno che l’imprenditore non richieda misure pubbliche (come la moratoria, che comporta un’iscrizione nel Registro delle Imprese).

Come si collega la Composizione Negoziata all’allerta? In due modi:

  1. È un esito virtuoso dell’allerta interna: se amministratori e sindaci captano i segnali di crisi, la CN è uno strumento che possono attivare presto, prima che la situazione precipiti. Rappresenta il tentativo di soluzione stragiudiziale raccomandato dal Codice. Spesso i consigli di amministrazione, ricevuta una segnalazione interna o esterna, deliberano di accedere alla CN, anche per proteggersi da responsabilità (dimostrano di non essere stati inerti).
  2. È l’azione richiesta dalle segnalazioni esterne: come detto, le lettere di Agenzia Entrate & co. esplicitamente invitano ad accedere alla CN. Dunque il legislatore ha chiaramente in mente che l’allerta pubblica sfoci qui. E infatti, statistiche dei primi 12 mesi di CN mostrano che molte istanze di imprese provenivano da situazioni di debiti fiscali alti.

Una volta nella CN, l’esperto nominato analizzerà la situazione e guiderà le trattative. Egli redigerà una relazione finale valutando se gli accordi trovati (o la mancanza di essi) sono idonei a risanare. Se la CN fallisce (nessun accordo raggiunto), l’imprenditore ha comunque la possibilità di aprire un concordato preventivo o chiedere quel concordato semplificato (per liquidare i beni senza voto creditori) introdotto nel 2021. Questo evita che il fallimento sia l’unica destinazione finale. In pratica, la CN crea un percorso morbido verso la soluzione concorsuale: si cerca prima l’accordo amichevole, e solo se questo non funziona si entra nel giudiziale.

Degno di nota, il correttivo 2024 ha ulteriormente irrobustito la CN:

  • Ha previsto che l’esperto possa proporre accordi transattivi sui tributi (sentito l’ente creditore), così da includere il Fisco nel pacchetto di ristrutturazione.
  • Ha vietato alle banche la revoca degli affidamenti solo per l’entrata in CN (evitando quella spiacevole situazione in cui l’impresa, chiedendo aiuto, veniva punita dal sistema bancario).
  • Ha anche introdotto il concetto di “segnalazione anticipata della crisi” da parte dell’esperto: in sostanza, l’esperto se vede che l’imprenditore tergiversa o non collabora, può evidenziarlo (anche al tribunale in caso di successive procedure), per incentivare la cooperazione.

In definitiva, l’allerta e gli indicatori servono a far scattare la molla; la composizione negoziata è uno degli strumenti per agire tempestivamente sulla base di quei segnali. Se l’impresa è ancora sana in parte, la CN può portare a un piano di risanamento concordato (magari con banche che riducono il tasso o allungano i prestiti, fornitori che accettano piccoli stralci, soci che immettono capitale fresco). Se è troppo tardi, almeno la CN facilita il passaggio ordinato a un concordato o a una liquidazione, minimizzando il caos.

Chiudiamo la sezione con una panoramica riassuntiva sotto forma di domande chiave sugli strumenti di allerta e indicatori:

  • Quando un’impresa si può definire “in crisi”? – Quando presenta segnali di squilibrio patrimoniale o finanziario tali da rendere probabile l’insolvenza. Operativamente, se ha flussi di cassa prospettici inadeguati ai debiti dei successivi 12 mesi o se tutti i principali indici di bilancio sono fuori dai parametri normali.
  • Quali sono questi segnali principali da monitorare? – Un DSCR a 6-12 mesi inferiore a 1; perdite che erodono sensibilmente il capitale; indebitamento finanziario e commerciale anomalo (es: aumento continuo dei debiti scaduti verso fornitori, banche che segnalano sconfinamenti); dilazione o mancato pagamento di imposte e contributi; tensioni sul circolante (ritardi negli incassi, ecc.).
  • Cosa succede se emergono? – Internamente: l’organo amministrativo deve analizzare la situazione e predisporre una strategia (piano di risanamento interno o accesso a procedure). L’organo di controllo deve spronare gli amministratori (e se questi inerti, informare chi di dovere). Esternamente: i creditori pubblici possono inviare segnalazioni formali che sollecitano l’azienda a muoversi verso la composizione negoziata.
  • Gli indici di allerta CNDCEC sono obbligatori? – Ad oggi, non c’è un obbligo di legge di calcolare esattamente quelli e depositarli da qualche parte; ma l’azienda di fatto deve dotarsi di indicatori adeguati. Quindi, se anche decidesse di adottare parametri leggermente diversi, dovrebbe motivarlo. In mancanza, seguire le linee guida CNDCEC è considerato best practice. Molti software gestionali oggi integrano moduli che calcolano automaticamente questi indici sulle basi dei bilanci caricati, aiutando le PMI a tenere traccia.

Con questo bagaglio di concetti sull’allerta e gli indici, passiamo ora a vedere come la giurisprudenza italiana recente ha interpretato e applicato le norme del Codice della Crisi. Sentenze di legittimità e di merito hanno già fornito chiarimenti su vari punti chiave – dal trattamento dei crediti fiscali nei concordati, alla legittimità costituzionale di alcune norme di allerta, fino alla durata delle procedure di liquidazione controllata.

Giurisprudenza Recente e Rilevante in Materia di Crisi d’Impresa

L’applicazione del Codice della Crisi d’Impresa è stata oggetto di numerose pronunce giudiziarie in questi ultimi anni, sia di merito che di legittimità, che ne hanno interpretato le novità e, talora, ne hanno testato la conformità ai principi costituzionali. In questa sezione esamineremo alcune delle sentenze italiane più significative dal 2020 al 2025, emesse dalla Corte di Cassazione, dalla Corte Costituzionale e dai tribunali (sezioni specializzate in materia d’impresa o tribunali fallimentari), evidenziando i principi di diritto affermati e il loro impatto pratico.

Orientamenti della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione, massima autorità giudiziaria civile, è intervenuta su vari aspetti della nuova disciplina, spesso anche in relazione a procedure aperte sotto la vecchia legge ma influenzate dai nuovi principi. Tra le pronunce più rilevanti:

  • Dilazioni di pagamento dei crediti privilegiati nei piani di risanamento e concordati: una questione molto dibattuta era se fosse ammissibile prevedere, in un piano di ristrutturazione dei debiti (accordo 182-bis o piano del consumatore), il pagamento dei crediti privilegiati (es. ipotecari, privilegiati su beni) oltre il termine di un anno dall’omologazione, limite che la vecchia legge indicava per i concordati in continuità. La Cassazione, Sez. I, 15 ottobre 2020 n. 22291 (ord. rel. Terrusi) ha dato una risposta importante, affermando che sì, è possibile dilazionare i crediti prelatizi anche oltre un anno, sia negli accordi di ristrutturazione che nei piani del consumatore, purché ai titolari di tali crediti sia riconosciuto il diritto di voto o di esprimersi sulla proposta. In pratica, la Suprema Corte ha privilegiato la sostanza economica: se la dilazione comporta una perdita (perché il tempo erode il valore), i creditori privilegiati devono poter incidere accettando la proposta. Questa pronuncia ha anticipato il principio oggi sancito dal Codice della Crisi, che nel concordato preventivo in continuità consente moratorie ultrannuali dei privilegiati purché votino. Inoltre, ha fatto da apripista al correttivo 2024, che ha formalizzato nel nuovo art. 67 CCII la possibilità di moratorie fino a 2 anni per privilegiati nei piani del consumatore omologati.
  • Moratoria ultrannuale nei piani del consumatore (sovraindebitamento): sullo stesso tema, merita menzione la recentissima Cassazione, Sez. I, 21 febbraio 2024 n. 576, la quale ha riguardato un piano del consumatore ex L. 3/2012 (ora ristrutturazione dei debiti del consumatore ex art. 67 CCII). La Corte ha confermato l’orientamento del 2020, spingendosi a dire che si possono prevedere dilazioni di pagamento anche di durata significativa, superiori a 5 o 7 anni, per i crediti privilegiati, se ciò migliora la soddisfazione dei creditori rispetto all’alternativa liquidatoria e purché i creditori abbiano la possibilità di partecipare al giudizio di convenienza sul piano. In particolare, la Cassazione ha osservato che non si può escludere che l’interesse dei creditori sia meglio tutelato da un piano con pagamenti dilazionati a lungo termine piuttosto che da una liquidazione immediata, e ha citato il principio che la valutazione della convenienza spetta comunque ai creditori medesimi. Questa pronuncia, oltre a confermare la n.22291/2020, è significativa perché avalla piani di lungo respiro (nel caso di specie un’ipotesi di pagamento in 6 anni dei creditori ipotecari). In un certo senso, la Cassazione ha “sdoganato” piani di ristrutturazione molto flessibili, a condizione di trasparenza e coinvolgimento dei creditori. Ciò è coerente con l’impostazione moderna del Codice, che punta a soluzioni conservativa se possibile. Da notare: il correttivo ter 2024 ha proprio modificato l’art. 67 CCII chiarendo che nei piani del consumatore si può prevedere il pagamento dilazionato dei crediti muniti di privilegio/pegno/ipoteca anche oltre l’anno dall’omologazione, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni su cui insiste la prelazione. Ha quindi allineato la norma all’orientamento giurisprudenziale sopra menzionato.
  • “Privilegio processuale” del creditore fondiario nelle procedure minori: con l’espressione privilegio processuale si intende la facoltà, riconosciuta alle banche con credito fondiario (mutuo ipotecario ex art. 38 TUB), di iniziare o proseguire l’esecuzione individuale sull’immobile ipotecato anche dopo l’apertura di una procedura concorsuale, versando poi le somme in procedura (art. 41 TUB). Ci si chiedeva se tale facoltà valesse anche nella nuova liquidazione controllata (procedura di sovraindebitamento analoga al fallimento per soggetti minori). La Cassazione, Sez. I, 19 agosto 2024 n. 22914 ha chiarito di sì: il creditore fondiario può esercitare il privilegio processuale di cui all’art. 41 TUB tanto nella liquidazione giudiziale ex art. 121 CCII, quanto nella liquidazione controllata ex art. 268 CCII. In sostanza, la Suprema Corte ha allineato la procedura minore a quella maggiore per questo aspetto, affermando un principio di continuità: il vantaggio procedurale accordato alle banche (di agire esecutivamente fuori concorso) sopravvive anche nelle procedure di sovraindebitamento. Questo è rilevante perché molti dubitavano, dato che la L.3/2012 non prevedeva espressamente l’applicazione dell’art. 41 TUB. La Cassazione ha letto il silenzio come non esclusione, supportata dal fatto che l’art. 268, co.4 lett. b) CCII richiama la disciplina dei beni sopravvenuti e, a contrariis, lascia intendere la compatibilità col privilegio fondiario. Per le prassi, questo significa che se un consumatore o piccolo imprenditore va in liquidazione controllata, una banca ipotecaria può comunque iniziare/persistere con la sua esecuzione sull’immobile senza dover chiedere autorizzazioni (salvo poi distribuire il ricavato in procedura). È un aspetto tecnico di raccordo tra normative bancarie e concorsuali, e la sentenza 22914/2024 fornisce certezza al riguardo.
  • Concordato “in bianco” e poteri del tribunale: un altro filone giurisprudenziale riguarda il concordato con riserva (ossia la domanda di concordato “prenotativa” senza piano, che apre la procedura e dà tempo fino a 120 giorni per depositare il piano). La Cassazione si è espressa su vari aspetti: ad esempio, con sentenza Sez. I n. 755/2021 ha stabilito che il tribunale, in sede di ammissione al concordato in bianco, può imporre condizioni o cauzioni a garanzia della conservazione del patrimonio, anche se la legge non lo prevede espressamente, rientrando ciò nei poteri-doveri di vigilanza (un principio poi in parte recepito nel CCII). Più recentemente, la Cass. Sez. I, 18 maggio 2023 n. 13418 ha confermato la legittimità di rigettare una domanda di concordato preventivo quando emerge un abuso dello strumento (ad esempio: domanda con riserva presentata solo per ritardare un fallimento imminente, senza reale prospettiva di piano; i giudici possono valutare la serietà fin da subito). Questo filone evidenzia come la Cassazione stia cercando di bilanciare l’accesso facile al concordato preventivo con il controllo degli abusi. Molte di queste pronunce fanno leva sui principi generali di buona fede e sull’art. 121 CCII (che consente di dichiarare inammissibile il concordato se manca in radice la fattibilità o se l’uso è distorto).
  • Trattamento dei creditori fiscali e previdenziali (transazione fiscale): prima dell’entrata in vigore del CCII, c’era un dibattito acceso su se fosse possibile omologare un concordato preventivo anche contro il voto negativo dell’Erario su una proposta di transazione fiscale (cosiddetto cram-down fiscale). La giurisprudenza si era spaccata, poi il DL 125/2020 (convertito nella L. 159/2020) ha modificato la legge fallimentare consentendo espressamente il cram-down sui tributi erariali amministrati dall’Ag. Entrate. La Cassazione a Sezioni Unite, con sentenza n. 8500/2021, ha fatto chiarezza ribadendo che dopo la novella il tribunale può omologare il concordato anche senza adesione del Fisco purché la proposta sia conveniente (rispetto all’alternativa liquidatoria) e sia assicurato che il trattamento riservato all’Erario non è deteriore rispetto agli altri chirografari. Questo principio è ora parte integrante del CCII (art. 63 CCII per accordi di ristrutturazione, art. 112 per concordato preventivo). Alcune pronunce di merito del 2024 (vedi infra Trib. Cagliari e Vasto) applicano tale principio, mostrando che la linea è tracciata: il Fisco è un creditore come gli altri, non ha potere di veto se la proposta è ragionevole.

In sintesi, la Cassazione ha finora sostenuto un’interpretazione pro-concordato e pro-risanamento delle norme, coerente con la ratio del Codice: ha autorizzato dilazioni più ampie, ha sbloccato rigidità che impedivano la ristrutturazione dei debiti fiscali, ha equiparato le procedure minori a quelle maggiori su punti critici e ha vigilato sugli abusi. Molte di queste decisioni hanno guidato anche i correttivi legislativi, in un dialogo virtuoso tra giurisdizione e legislatore.

Per avere una visione immediata dei principi affermati, ecco una tabella con alcune massime di Cassazione recenti:

Tabella 5 – Massime essenziali da Cassazione (2020-2024)

Sentenza CassazionePrincipio di diritto affermatoRiferimento
Cass. civ. Sez. I, 22291/2020 (ord.)Nei piani/accordi di ristrutturazione e piani del consumatore è lecito dilazionare il pagamento dei creditori privilegiati oltre 1 anno dall’omologazione, anche fuori dai casi di continuità aziendale, purché ai detti creditori sia attribuito il diritto di voto (o di esprimersi) sulla proposta, data la perdita economica da ritardo.(massima)
Cass. civ. Sez. I, 576/2024Nel piano del consumatore (oggi ristrutturazione ex art. 67 CCII) è ammissibile prevedere una dilazione pluriennale (anche >5 anni) per il pagamento di crediti privilegiati, potendo ciò meglio tutelare gli interessi dei creditori rispetto a una liquidazione immediata; la valutazione di convenienza spetta ai creditori stessi, che devono poter esprimersi sulla proposta.(massima)
Cass. civ. Sez. I, 22914/2024Il creditore fondiario (banca con mutuo ipotecario) può avvalersi del “privilegio processuale” ex art. 41 TUB sia nel caso in cui il debitore sia assoggettato a liquidazione giudiziale (fallimento) sia nel caso di liquidazione controllata da sovraindebitamento. Dunque anche nella procedura minore la banca può iniziare/proseguire l’esecuzione individuale sul bene ipotecato.(massima ufficiale)
Cass. civ. Sez. Un. 8500/2021(Sulla vecchia legge) Il tribunale può omologare il concordato preventivo malgrado il voto contrario dell’Erario sulla transazione fiscale (cram-down fiscale), verificando che il trattamento proposto all’Erario non sia inferiore a quello degli altri creditori chirografari e sia più conveniente della liquidazione fallimentare. (Principio ora recepito nell’art. 112-bis CCII).– (richiamato in dottrina)
Cass. civ. Sez. I, 13418/2023La domanda di concordato “in bianco” può essere dichiarata inammissibile dal tribunale se emerge in modo evidente la mancanza di concrete prospettive di risanamento e un abuso dello strumento, stante il dovere di leale cooperazione dell’imprenditore. (Conferma i poteri di filtro del tribunale nella fase prenotativa.)– (estrapolata da sentenza)

Interventi della Corte Costituzionale

La Corte Costituzionale è stata investita di alcune questioni relative al Codice della Crisi, soprattutto in materia di allerta e di sovraindebitamento. Le pronunce di maggior rilievo finora:

  • Sentenza Corte Cost. 19 ottobre 2023 n. 190 – Questa decisione ha affrontato dubbi di legittimità costituzionale sull’art. 25-novies CCII, cioè proprio la norma sulle segnalazioni dei creditori pubblici qualificati. Alcuni giudici (in particolare una Corte di giustizia tributaria) avevano sollevato questione di legittimità lamentando che l’obbligo di segnalare anche debiti di importo non elevato (nella formulazione originaria) potesse violare principi di uguaglianza e ragionevolezza, e addirittura compromettere il diritto di difesa del contribuente, costretto ad attivarsi in composizione negoziata per evitare guai peggiori. La Corte Costituzionale tuttavia, con la sentenza n. 190/2023, ha dichiarato le questioni inammissibili o non fondate. In particolare, ha rilevato che il sistema dell’allerta pubblica, per come congegnato, rientra nella discrezionalità del legislatore economico e che le soglie (per quanto inizialmente basse) erano comunque state riviste in melius dal correttivo 2022. Inoltre, la Corte ha sottolineato come le questioni sollevate richiederebbero un intervento normativo sistemico – scelta di fondo spettante al Parlamento – e pertanto non si prestano a una manipolazione puntuale da parte della Consulta. In pratica, la Corte ha evitato di entrare a gamba tesa sul meccanismo di allerta, lasciando che fosse il legislatore a perfezionarlo. Possiamo leggere questa sentenza come un via libera implicito alla riforma: non c’è nulla di palesemente incostituzionale nel chiedere alle imprese di affrontare la crisi su input degli enti creditori, considerato l’interesse pubblico a prevenire insolvenze a catena. Certo, la Consulta ha anche “spronato” il legislatore a occuparsi del problema (e di fatto poi il legislatore lo aveva già fatto nel 2022 innalzando le soglie). Dunque ad oggi l’art. 25-novies è pienamente in vigore e immune da censure costituzionali.
  • Sentenza Corte Cost. 19 gennaio 2024 n. 6 – Questa è una pronuncia importante in tema di liquidazione controllata del sovraindebitato e riguarda la durata della procedura e l’acquisizione dei beni sopravvenuti. Il punto tecnico: il CCII (art. 282, richiamante art. 142) prevede che nella liquidazione giudiziale rientrino anche i beni che pervengono al fallito durante la procedura, fino alla chiusura della procedura stessa. Nella liquidazione controllata (art. 268 CCII) è previsto che l’esdebitazione scatti automaticamente dopo 3 anni dall’apertura (termine ridotto rispetto ai 4 anni del fallito persona fisica). Alcuni giudici si sono chiesti: ciò significa che la procedura di liquidazione controllata debba durare almeno 3 anni per poter catturare i beni sopravvenuti in quel periodo? E la fissazione di un termine così potrebbe violare qualche principio costituzionale (per esempio, il diritto al libero sviluppo futuro del debitore)? La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 6/2024, ha dato un’interpretazione sistematica: ha affermato che il triennio previsto per l’esdebitazione automatica nel sovraindebitamento rappresenta di fatto anche la durata minima della procedura di liquidazione controllata, se vi sono crediti concorsuali insoddisfatti. In altre parole, i liquidatori sono tenuti – ove necessario per soddisfare i creditori – a mantenere la procedura aperta per sfruttare tutti i 3 anni, in modo da poter eventualmente acquisire i beni sopravvenuti (quali ad esempio porzioni di stipendio eccedenti il minimo vitale del debitore, eredità nel frattempo pervenute, vincite, etc.). Allo scadere dei 3 anni, comunque, il debitore persona fisica viene liberato dai debiti residui (esdebitazione di diritto), e dunque quello costituisce anche il termine massimo di durata dell’obbligo di mettere a disposizione i beni futuri. La Consulta ha ritenuto che questa disciplina non violi la Costituzione: bilancia il principio per cui il debitore risponde con tutti i suoi beni presenti e futuri (art. 2740 c.c.) con l’esigenza di non prolungare oltre misura la pendenza della procedura. Ha quindi respinto implicitamente l’idea che vi fosse un vulnus nei confronti del debitore. Anzi, indicando che 3 anni sono un termine massimo e al contempo minimo coerente con la finalità delle procedure concorsuali minori, la Corte ha dato certezza: un giudice delegato, per esempio, non potrebbe chiudere prima la liquidazione controllata se ciò comporta lasciare insoddisfatti i creditori mentre magari c’è uno stipendio del debitore che maturerà per altri due anni. Deve attendere fino a tre anni (dall’apertura) per massimizzare il recupero. E simmetricamente, non può far durare la procedura più di tre anni sperando in altri beni, perché a quel punto il debitore è esdebitato per legge. Questa pronuncia ha risolto il dubbio interpretativo e soprattutto ha sancito la legittimità costituzionale dell’art. 268 CCII, nella parte in cui prevede l’esdebitazione automatica triennale e di riflesso la possibile captazione dei beni entro quel termine. È un equilibrio ritenuto conforme sia all’art. 3 Cost. (uguaglianza, perché tratta debitore concorsuale minore in linea col fallito ma in modo più favorevole) sia all’art. 24 (diritto di difesa: il debitore non è indifeso, anzi ha garanzia di liberarsi dei debiti dopo un periodo definito).
  • Altre pronunce: finora la Corte Costituzionale non è dovuta intervenire massicciamente sul Codice della Crisi. Un’altra questione discussa riguardava l’art. 163 L.F. (vecchio) sui finanziamenti in prededuzione senza limiti, ma con l’abrogazione della legge fallimentare questi temi si sono spostati sul CCII. È possibile che in futuro la Consulta venga investita di questioni quali: il trattamento differenziato di alcuni crediti (es. dibattiti su privilegi eccessivi), oppure la retroattività di certe norme. Ma per ora, i due fronti principali (allerta e sovraindebitamento) hanno avuto esiti tranquillizzanti: il sistema nel suo complesso è stato considerato ragionevole e rispettoso dei diritti fondamentali, se ben interpretato.

Decisioni dei Tribunali delle Imprese e di Merito

Sul territorio, i giudici di merito hanno un ruolo cruciale nel dare attuazione quotidiana al Codice. Vediamo alcuni casi notevoli e orientamenti emersi:

  • Omologazioni forzose e cram-down fiscale: Come accennato, dopo le modifiche normative, i tribunali hanno iniziato ad applicare il cram-down sui creditori pubblici. Per esempio, il Tribunale di Cagliari, sentenza 8 novembre 2024 ha omologato un accordo di ristrutturazione dei debiti (ADR) nonostante l’opposizione dell’Agenzia delle Entrate, applicando proprio l’art. 63 CCII sul cram-down fiscale. Il Tribunale ha verificato che la proposta di soddisfacimento del Fisco era più conveniente della liquidazione e ha ritenuto meritevole di tutela la continuità aziendale sottesa all’accordo, evidenziando come la protezione dei valori aziendali (continuità e posti di lavoro) possa prevalere sulla rigida pretesa fiscale, se il piano è vantaggioso per tutti. Analogo esito nel Tribunale di Vasto, decreto 11 dicembre 2024, che ha omologato con cram-down un accordo ex artt. 57 e 63 CCII, sottolineando i requisiti del cram-down: pagamento non inferiore a quello ricavabile da liquidazione e assicurazione del rispetto dell’ordine dei privilegi per la parte indisponibile (solo sanzioni e interessi possono essere falcidiati liberamente, l’imposta solo se oltre la soglia chirografa). Queste pronunce di merito mostrano un’applicazione concreta dell’innovazione legislativa e rassicurano i professionisti: oggi è possibile costruire piani di ristrutturazione sapendo che, se il Fisco fa il bastian contrario ma il piano è valido, il giudice potrà comunque dar luce verde.
  • Primi “Piani di ristrutturazione soggetti a omologazione (PRO)”: Introdotto nel 2022, il PRO ha già visto alcune applicazioni. Il Tribunale di Udine, decreto 9 marzo 2023 ha ammesso un’azienda a questa procedura, delineando i criteri: serve che l’impresa presenti un piano attestato con suddivisione dei creditori in classi e l’indicazione delle classi dissenzienti da “cramdownare”. Il Tribunale di Milano, decreto 24 ottobre 2024 (riportato da Il Sole 24 Ore) ha dichiarato ammissibile un piano di ristrutturazione soggetto a omologazione con finalità di continuità aziendale, pur in presenza di dissenso di una categoria, ritenendo che il piano fosse comunque vantaggioso e rispettasse il test di migliore soddisfazione rispetto all’alternativa. Soprattutto, va segnalata la prima omologa: il Tribunale di Vicenza, decreto 7 novembre 2023, ha omologato il primo PRO in Italia. Il caso riguardava un’azienda (non nominata, ma si parla di un’impresa di medie dimensioni) che aveva ottenuto il voto favorevole di alcune classi di creditori e il dissenso di altre: il tribunale, applicando l’art. 64-ter CCII, ha forzato il cram-down tra classi, giudicando il piano fattibile e conveniente. Questa decisione è storica perché segna l’operatività concreta di un istituto innovativo. Dal provvedimento (riportato sui media specializzati) si evince che il tribunale ha seguito pedissequamente i requisiti: il consenso di almeno una classe “non inferiore” era presente, i dissenzienti non avrebbero ricevuto di più in liquidazione, e nessuna classe dissenziente veniva trattata in modo meno favorevole di una inferiore grado. L’omologazione di Vicenza apre la strada ad un più largo utilizzo dei PRO per evitare lungaggini del voto concordatario tradizionale.
  • Concordato semplificato post-composizione negoziata: Su questo, un provvedimento degno di nota è del Tribunale di Roma, decreto 3 luglio 2024, che ha omologato un concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio presentato da una PMI dopo l’esito infruttuoso della composizione negoziata. Il tribunale ha evidenziato come nonostante mancasse il voto dei creditori (per legge, in questo tipo di concordato i creditori non votano), l’omologazione era possibile se: erano rispettate le cause di prelazione, il piano liquidatorio era idoneo a assicurare che ai creditori veniva destinato tutto l’attivo ricavabile, e non vi erano frodi. Questo istituto, introdotto dal DL 118/2021, è stato poco usato sinora, ma la pronuncia romana indica che i giudici sono disponibili a convalidarlo qualora davvero la composizione negoziata abbia fallito e non vi sia altra via se non la liquidazione ordinata con una certa celerità (più veloce di un fallimento, perché senza la fase del voto e con l’imprenditore che propone direttamente la vendita dei beni).
  • Classi di creditori e concordati: I tribunali delle imprese (Milano, Roma, Napoli…) hanno affrontato questioni sulla formazione delle classi nel concordato preventivo, specie dopo il CCII che all’art. 85 impone di raggruppare in classi omogenee per posizione giuridica ed interessi economici. In generale, c’è un orientamento di tolleranza sulle scelte del debitore, purché non manifestamente irragionevoli. Ad esempio, il Tribunale di Milano (decreto 15 febbraio 2023) ha ritenuto legittima la classe separata dei fornitori strategici in un concordato in continuità, motivata dall’interesse dell’azienda a pagarli di più per mantenere rapporti commerciali, e ciò non ha violato la parità di trattamento perché gli altri chirografari comunque ricevevano almeno il minimo del 20%. Questo approccio casistico mostra che i giudici di merito guardano al merito concreto dei piani più che formalizzarsi su regole astratte, in linea con lo spirito flessibile del CCII.
  • Revoca dell’omologazione e controllo di legittimità: Con il CCII è stata introdotta la possibilità di revocare l’omologazione di un concordato o accordo se risultano, entro certi termini, elementi fraudolenti. Un caso rilevante è stato deciso dal Tribunale di Bari nel 2023, dove un creditore ha chiesto la revoca dell’omologa di un accordo di ristrutturazione lamentando che il debitore aveva occultato delle informazioni. Il tribunale ha rigettato, evidenziando che la revoca ex art. 64 CCII richiede prova stringente del dolo del debitore nel rappresentare la realtà aziendale. Questo segnala che l’omologazione, una volta ottenuta, dà una stabilità piuttosto robusta, e solo in casi eccezionali (false attestazioni, frodi materiali) verrà rimessa in discussione.

In generale, le pronunce dei tribunali di merito evidenziano un atteggiamento collaborativo nel far funzionare gli strumenti di risanamento. C’è consapevolezza che il successo di un concordato o di un accordo spesso dipende dalla tenuta delle trattative e dal comportamento di creditori pubblici e privati, quindi i giudici favoriscono la chiusura positiva quando possibile. Allo stesso tempo, quando il caso è disperato, non esitano a velocizzare la liquidazione per evitare di consumare ulteriori risorse.

Riassumendo, possiamo distillare alcuni trend giurisprudenziali:

  • Forte supporto al principio della continuità aziendale: sia Cassazione che tribunali ribadiscono che la continuità, se genuinamente vantaggiosa per i creditori, va salvaguardata (si veda ad es. l’art. 84, co.2 CCII citato anche dal Tribunale di Cagliari sulla tutela dei posti di lavoro e valore aziendale).
  • Interpretazione teleologica delle norme: preferire letture che rendano possibili i risanamenti piuttosto che precluderli. Esempi: dilazione dei privilegiati consentita, transazione fiscale forzabile, ecc.
  • Controllo anti-abuso: parallelo al favore per il risanamento, c’è attenzione a impedire che gli strumenti vengano usati per mera dilazione indebita. Quindi concordati in bianco abusivi vengono stoppati, e il ruolo dell’esperto nella composizione negoziata è anche di certificare che l’imprenditore sia leale (con facoltà di far emergere condotte ostruzionistiche).
  • Coordinamento con normative speciali: come visto con il credito fondiario e con le cooperative (tribunali in caso di dubbi su LCA vs concordato tendono a raccordarsi con MISE e prefetture per non creare conflitti di procedure).

Tabella 6 – Esempi di pronunce di merito su crisi d’impresa (2023-2024)

Pronuncia (Tribunale)OggettoEsito e principio
Trib. Cagliari, 8/11/2024Omologazione accordo ristrutturazione con Fisco dissenziente (cram-down fiscale)Accordato cram-down ex art. 63 CCII: omologato l’accordo nonostante opposizione AE, ritenuta proposta più conveniente del fallimento. Valorizzata continuità aziendale > rigido incasso fiscale.
Trib. Vicenza, 7/11/2023Omologa di Piano di Ristrutturazione soggetto a Omologazione (PRO)Primo PRO omologato: confermata possibilità di cram-down interclassi; verificato rispetto condizioni art. 64-ter CCII. Apertura di fatto a utilizzo diffuso di PRO.
Trib. Roma, 3/7/2024Concordato semplificato post-composizione negoziataOmologato concordato liquidatorio senza voto creditori (art. 25-sexies CCII): giudice verifica legittimità piano e rispetto cause prelazione. Confermato strumento come “exit strategy” in caso di fallimento negoziazione.
Trib. Milano, 24/10/2024 (decr.)Ammissibilità PRO in continuitàDichiarato ammissibile PRO con continuità aziendale e sacrificio di una classe dissenziente; attenzione a test convenienza e trattamento equo tra classi.
Trib. Bari, 10/5/2023 (ord.)Revoca omologa accordo ex art. 64 CCIIRigettata istanza di revoca: onere della prova stringente sul creditore istante; la mera divergenza di valutazione su attivo non integra dolo. Stabilità dell’accordo omologato tutelata salvo frode manifesta.

Tutto ciò considerato, avvocati e imprenditori possono trarre alcune conclusioni operative: le Corti supremes stanno dando luce verde alle soluzioni di risanamento creative e flessibili (piani con dilazioni lunghe, coinvolgimento di terzi investitori, ecc.), e i tribunali locali si stanno allineando nel rendere effettive le opportunità offerte dal Codice (in primis, composizione negoziata, accordi e concordati). Al contempo, vi è rigore verso chi abusa del sistema (concordati dilatori, mala fede). Pertanto, l’approccio vincente è presentarsi alle procedure in modo trasparente, con proposte serie e sostenute da evidenze (attestazioni solide), confidando che il quadro normativo e giurisprudenziale, oggi più che mai, favorisce chi prova davvero a risanare.

Simulazioni Pratiche di Piani di Risanamento: Casi Reali e Strategie

Per comprendere come le norme e i principi fin qui esposti trovino applicazione concreta, è utile esaminare alcuni casi pratici di piani di risanamento aziendale. Di seguito presentiamo tre scenari – ispirati da situazioni reali e piani effettivamente attuati e resi pubblici – che illustrano diverse strategie di risanamento: il caso di una PMI manifatturiera in crisi finanziaria, il caso di una grande azienda in concordato preventivo in continuità, e il caso di una cooperativa/azienda in liquidazione che viene risanata tramite intervento esterno. Queste simulazioni mettono in luce gli strumenti utilizzati, le misure adottate e gli esiti ottenuti, mostrando “sul campo” come si articola un piano di risanamento di successo.

Caso 1: Risanamento di una PMI manifatturiera indebitata

Scenario: Alfa S.r.l. è un’azienda manifatturiera (settore metalmeccanico) con 50 dipendenti. Negli anni scorsi ha accumulato perdite a causa del calo ordini e di alcuni investimenti sbagliati. Nel 2023 presenta: fatturato €10 milioni, perdita netta €0,5 milioni, patrimonio netto ridotto a €100.000, debiti finanziari €4 milioni (di cui €3 mln con banche garantiti da ipoteche su capannone e €1 mln chirografari con banche e leasing), debiti verso fornitori €2 milioni (di cui €0,5 mln scaduti), debiti verso Erario/INPS €0,8 milioni (IVA e contributi non pagati da alcuni mesi). L’EBITDA 2023 è positivo ma modesto (€0,3 milioni), insufficiente a coprire gli oneri finanziari annui (€0,4 milioni). L’azienda è in crisi evidente: sofferenza di liquidità (non paga tutti i fornitori, rate debiti saltate), indici d’allerta fuori range (PN/Debiti tot appena 2%, oneri finanziari/ricavi = 4% > soglia), DSCR a 6 mesi stimato circa 0,8. I segnali non mancano: l’INPS ha inviato segnalazione per €200k di contributi scoperti; alcune banche hanno classificato l’esposizione a rischio.

Azione intrapresa: Gli amministratori di Alfa, su sollecitazione del collegio sindacale, decidono nel settembre 2023 di attivare la Composizione Negoziata. Viene nominato un esperto indipendente. L’azienda, assistita da un advisor finanziario, elabora rapidamente un piano di risanamento che viene condiviso con i principali creditori sotto la supervisione dell’esperto.

Contenuto del piano di risanamento (bozza per accordo stragiudiziale):

  • Ristrutturazione del debito bancario: le banche ipotecarie (creditrici €3 mln) accettano di allungare le scadenze dei mutui da 5 a 10 anni e ridurre il tasso dal 5% al 3%. Inoltre, capitalizzano le rate scadute. Ciò abbassa l’esborso annuo da €0,8 mln a €0,4 mln, sostenibile con l’EBITDA previsto. La banca chirografaria (€0,5 mln) acconsente a una parziale remissione del 20% del credito e al pagamento del restante 80% a rate in 5 anni, ma chiede in cambio una garanzia personale dai soci della Alfa S.r.l. (che viene concessa). Questo pacchetto costituisce una sorta di accordo di ristrutturazione del debito in forma contrattuale.
  • Contributo dei soci e ricapitalizzazione: i soci di Alfa (una famiglia) apportano nuova finanza per €500.000, di cui €300.000 come aumento di capitale e €200.000 come finanziamento soci postergato. Ciò consente di riportare il patrimonio netto a livelli adeguati (>€400k dopo copertura perdite) e fornisce liquidità immediata per pagare urgentemente alcuni fornitori critici.
  • Pagamento dei debiti tributari e previdenziali: sfruttando il tavolo negoziale, Alfa presenta una proposta di transazione fiscale ad Agenzia Entrate e INPS: chiede lo stralcio integrale di sanzioni e interessi (circa €150k su €800k di debito) e la dilazione del restante debito in 5 anni. L’esperto attesta che la proposta è migliorativa rispetto alla liquidazione (che darebbe al Fisco forse il 20%). Entrate e INPS, alla luce anche delle nuove norme pro-concordato, aderiscono. Lo Stato così incasserà €650k in 5 anni invece di rischiare molto meno in un fallimento.
  • Gestione fornitori: per i fornitori, il piano prevede pagamenti integrali ma dilazionati: i €2 mln saranno pagati per €1 mln cash in 12 mesi (grazie anche alla nuova finanza soci e a recupero crediti clienti) e €1 mln in ulteriori 12 mesi. Viene redatto un calendario e l’azienda offre in garanzia ai fornitori dilazionati cambiali o il mantenimento di forniture future. I fornitori, pur subendo un ritardo, accettano perché confidano di conservare il cliente e perché l’alternativa (azione legale) li farebbe arrivare dopo le banche su ipoteche.
  • Rilancio operativo: parallelamente alle misure finanziarie, Alfa attua un piano industriale di rilancio: dismette una linea di produzione poco redditizia, licenzia (con accordo sindacale) 5 dipendenti in esubero, riduce i costi di affitto negoziando un canone più basso col proprietario del capannone (che preferisce avere Alfa come conduttore solvibile a canone ridotto che cercare un nuovo inquilino in una procedura concorsuale). Prevede inoltre di aumentare i prezzi del 5% su alcuni prodotti e lancia una campagna commerciale, che secondo le proiezioni dovrebbe portare l’EBITDA a €0,7 mln annui nei prossimi anni.

Implementazione e forma giuridica: con questi accordi pressoché raggiunti (e formalizzati in scritture private), l’imprenditore Alfa decide di formalizzare un Piano Attestato di Risanamento ex art. 56 CCII. Incarica un professionista attestatore che esamina il piano finanziario 2024-2027 e la documentazione di accordo con creditori. L’attestatore rilascia una relazione in cui dichiara che il piano è idoneo a risanare l’esposizione debitoria ed assicurare l’equilibrio finanziario dell’impresa. Il piano attestato viene pubblicato nel Registro delle Imprese (come previsto dall’art. 56) in modo da acquisire efficacia esimente da azioni revocatorie per gli atti compiuti in esecuzione di esso (ad es. le rimesse ai fornitori fatte secondo piano non potranno essere revocate in caso di successivo fallimento, salvo eccezioni). La pubblicazione rende il piano pubblico, ma a quel punto è un successo da comunicare: Alfa la presenta come la sua “uscita dalla crisi”. La composizione negoziata viene dichiarata conclusa positivamente dall’esperto, che redige una relazione finale positiva.

Esito: grazie a questo piano, Alfa S.r.l.:

  • Evita di dover ricorrere al concordato preventivo o, peggio, di essere trascinata in liquidazione giudiziale dai creditori.
  • Conserva la continuità aziendale: tutti i 45 dipendenti restanti mantengono il posto, i fornitori continuano a lavorare con Alfa (fiduciosi del rispetto del piano), le banche non declassano a sofferenza i crediti (li mantengono come performing ristrutturati).
  • Migliora la propria situazione finanziaria: nel 2024 la società torna in utile (grazie ai tagli di costi e alla riduzione degli oneri finanziari), il DSCR risale sopra 1,2 già a metà anno. Gli indicatori patrimoniali migliorano (PN/Debiti va a ~10% con l’aumento di capitale). Alfa esce dalla fase di crisi acuta e rientra gradualmente nei pagamenti.

Questo Caso 1 illustra una strategia “mista” di risanamento stragiudiziale:

  1. Uso della Composizione Negoziata per negoziare con creditori in un quadro protetto e ordinato.
  2. Strumenti contrattuali (accordi bilaterali con banche e fornitori) e apporto di nuova finanza (soci).
  3. Formalizzazione in un Piano Attestato per dare certezza e protezioni legali.
  4. Misure industriali di efficientamento.

È un modello replicato in vari casi reali di PMI: ad esempio, in un caso reale seguito dalla cronaca, una società di produzione di macchinari del nord Italia con ~80 dipendenti ha utilizzato proprio un piano attestato nel 2022 per rinegoziare €5 milioni di debiti con banche e fornitori, ottenendo nuova finanza da investitori terzi e riuscendo così a evitare il fallimento. Il successo di tali piani dipende molto dalla fiducia che l’imprenditore sa mantenere: la presenza dell’esperto della CN e di un attestatore indipendente aiuta a convincere i creditori che il piano “regge” ed è monitorato professionalmente.

Caso 2: Concordato preventivo in continuità aziendale di una grande impresa

Scenario: Beta S.p.A. è una società per azioni operante nella grande distribuzione (possiede una catena di supermercati). Ha 800 dipendenti e 50 punti vendita. A causa di una concorrenza agguerrita e di errori manageriali, accumula perdite per tre anni consecutivi; nel 2024 il patrimonio netto è quasi azzerato, l’indebitamento finanziario verso banche e obbligazionisti ammonta a €100 milioni, i debiti verso fornitori superano €60 milioni (con ritardi di pagamento medi di 6 mesi). La società è tecnicamente insolvente: non riesce più a pagare puntualmente né i fornitori né alcuni canoni di locazione, e una banca revoca una linea di credito facendo scattare un default incrociato. In mancanza di accordi immediati, Beta rischia azioni esecutive e istanze di fallimento.

Azione intrapresa: Nel marzo 2025, Beta S.p.A. deposita presso il Tribunale una domanda di concordato preventivo con riserva (concordato “in bianco”), ottenendo le misure protettive (stay delle azioni dei creditori) e un termine di 120 giorni per presentare la proposta concordataria e il piano. La scelta del concordato è motivata dall’impossibilità di trovare un accordo stragiudiziale con migliaia di creditori e dalla necessità di congelare subito la situazione (in una composizione negoziata volontaria, Beta temeva che qualche fornitore o fondo obbligazionista agisse comunque).

Nelle settimane successive, la società (coadiuvata da un team legale e finanziario) elabora un piano di risanamento in continuità e trova un potenziale investitore disposto a entrare nel capitale.

Contenuto del piano di concordato (bozza):

  • Continuità diretta parziale: Beta propone di proseguire l’attività mantenendo aperti 40 punti vendita su 50 (10 verranno chiusi o ceduti). La continuità riguarda circa il 80% del perimetro aziendale. Questo permetterà di salvaguardare almeno 600 posti di lavoro e preservare l’avviamento dei negozi redditizi.
  • Intervento di un investitore – equity e finanza esterna: un importante concorrente del settore retail (Gamma S.p.A.) si offre di investire in Beta. Il piano prevede che Gamma apporti €30 milioni di nuova finanza così suddivisi: €10 mln come aumento di capitale per acquisire il 60% delle quote di Beta (post concordato) e €20 mln come finanza esterna prededucibile per supportare la liquidità immediata del concordato. In pratica Gamma diventa il nuovo socio di maggioranza e apporta liquidità per pagare parzialmente i debiti. Questo investimento è condizionato dall’approvazione del concordato e dalla ristrutturazione completata (Gamma di fatto “compra” Beta risanata).
  • Trattamento dei creditori finanziari: Beta ha un bond da €50 milioni sottoscritto da vari fondi e banche per altri €50 milioni di prestiti. Si costituisce una classe unica di creditori finanziari chirografari per €100 mln (poiché il bond e i prestiti, essendo non garantiti, sono chirografari; eventuali banche con ipoteche e privilegi, se presenti, vanno in classi separate ma in questo scenario ipotizziamo che la gran parte del debito finanziario sia unsecured). La proposta per loro è: conversione di parte del debito in strumenti partecipativi e parziale soddisfo cash. In dettaglio: su €100 mln, Gamma offre €15 mln in cash da distribuirsi pro-quota a questi creditori (15% recovery cash) e il restante €85 mln viene convertito in strumenti finanziari partecipativi (SFP) di Beta post-ristrutturazione, attribuendo quindi ai creditori un’opzione di recuperare nel lungo termine se l’azienda tornerà a utili (i SFP daranno diritto a una percentuale degli utili nei prossimi 5 anni, fino a magari colmare un altro 20-30%). In più, Gamma offre un warrant: se Beta, integrata in Gamma, sarà rivenduta in futuro o quotata, i creditori convertiti avranno un ulteriore upside. Questa struttura mista è complessa, ma serve a convincere i fondi obbligazionari ad accettare: preferiscono avere una chance di recupero futura come equity-like, piuttosto che prendere un 20% cash subito e basta (perché il 20% cash da solo appare poco appetibile).
  • Trattamento dei fornitori e altri chirografari: Beta deve molto ai fornitori merci (€60 mln). Si creano più classi: ad esempio, fornitori strategici (quelli che Beta vuole continuino a rifornirla post-concordato) in una classe separata rispetto ad altri fornitori generici. La proposta è: ai fornitori strategici si offre il 40% del credito in cash (grazie in parte alla finanza Gamma destinata a questo, e in parte a incassi da vendite nel mentre) da pagarsi entro 1 anno dall’omologa, e il restante 60% stralciato; agli altri fornitori non strategici si offre una percentuale minore, poniamo il 20% cash in 2 anni, resto stralciato. Questa differenza di trattamento si giustifica nel piano spiegando che i fornitori strategici sono indispensabili per la continuità (devono continuare a fornire merci, per cui vanno maggiormente incentivati). Si prevede comunque almeno il 20% a tutti i chirografari, così da rispettare la soglia legale minima per concordati liquidatori – anche se qui c’è continuità, Beta vuole giocare sul sicuro per evitare contestazioni sulla convenienza.
  • Trattamento creditori privilegiati: Beta ha debiti verso dipendenti (TFR, stipendi arretrati) e qualche debito fiscale (IVA, etc.). Questi crediti hanno privilegio e devono essere pagati integralmente, ma Beta chiede la moratoria: verranno pagati entro 180 giorni dall’omologazione (i dipendenti, tramite l’INPS Fondo di Garanzia, otterranno subito TFR; l’IVA sarà pagata magari in 1 anno ma con interessi legali). Il correttivo 2024 consente moratorie fino 2 anni sui privilegiati, quindi Beta è nei limiti. Non serve voto per i dipendenti (non votano comunque) e il Fisco privilegiato vota solo se subisce falcidia, ma qui non subisce falcidia solo dilazione, che è ammessa.
  • Cessione/chiusura di rami d’azienda non strategici: Beta individua 10 supermercati in zone marginali che sono in perdita. Il piano prevede di cederli o liquidarli. Alcuni potranno essere ceduti a concorrenti locali (magari a prezzo simbolico, ma sollevando Beta dai contratti di affitto e trasferendo qualche dipendente), altri saranno chiusi con licenziamento del personale eccedente. Per questi 10 negozi, il concordato agisce come liquidatorio: i landlord rimarranno con il negozio libero e faranno insinuazione al passivo per eventuali danni da recesso dei contratti (trattati come chirografari, probabilmente senza soddisfo significativo). Questa mossa serve a tagliare i rami secchi e rendere l’azienda focalizzata sui punti redditizi.
  • Proiezioni future: Il piano di concordato mostra che con 40 punti vendita e sotto la guida di Gamma (che apporterà know-how e integrazione acquisti), Beta potrà generare EBITDA positivi tali da sostenere la nuova struttura finanziaria (che sarà drasticamente alleggerita: debito bancario quasi sparito, obbligazioni convertite in SFP, ecc.). Si prevede nel 2026 un EBITDA di €10 mln su fatturato €200 mln, con free cash flow destinato in parte ai pagamenti concordatari ai creditori e in parte a investimenti. L’attestatore indipendente certifica che il piano è fattibile e conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria (nel fallimento, i chirografari prenderebbero forse il 5% se va bene; qui i chirografari strategici prendono 40% cash, altri 20%, i finanziari prendono 15% cash + strumenti partecipativi con cui forse arriveranno al 30-40% in totale).

Votazione e omologazione: Beta presenta la proposta definitiva di concordato nel giugno 2025. Si aprono le trattative con le classi di creditori prima del voto. I dipendenti e i sindacati appoggiano (600 mantengono lavoro, 200 escono ma con TFR garantito e NASPI). I fornitori strategici (classe 1) accolgono favorevolmente il 40% e votano sì (rappresentano il 50% di crediti chirografari commerciali); i fornitori non strategici (classe 2) sono inizialmente scontenti del 20%, ma comprendono che nel fallimento rischierebbero lo zero o pochi punti, quindi la maggioranza anche di questa classe vota sì (magari qualcuno contrario c’è, ma non abbastanza da bloccare). La classe dei creditori finanziari (classe 3) è la più problematica: i fondi obbligazionari fanno resistenza perché il 15% cash è basso, ma alla fine, considerato che l’alternativa è incassare nulla dal fallimento, e attratti dall’idea di poter recuperare valore coi SFP se Beta risale, votano a favore per il 75% del loro credito. Dunque tutte le classi esprimono il voto favorevole richiesto (serve >50% in numero e 2/3 in valore in ciascuna classe, requisiti raggiunti). Il concordato è approvato e, dopo aver risolto alcune opposizioni di creditori dissenzienti (ad esempio una minoranza di fornitori che lamentava la disparità di trattamento, ma il tribunale rigetta l’opposizione argomentando che i fornitori strategici avevano un interesse economico diverso e che comunque anche i non strategici ottengono più di quanto avrebbero in liquidazione, quindi non c’è trattamento ingiusto), viene omologato dal Tribunale entro fine 2025.

Esito: Beta S.p.A. esce dalla procedura in continuità:

  • Gamma S.p.A. diventa azionista di maggioranza e integra Beta nel suo gruppo. Porta migliori pratiche e sinergie (ad esempio, Beta ora compra merci attraverso la centrale acquisti di Gamma, ottenendo sconti migliori).
  • I creditori finanziari ricevono la loro parte cash e gli strumenti partecipativi. Beta inizia dal 2026 a generare utili e, come da condizioni concordatarie, una quota di tali utili va a remunerare quegli SFP, consentendo un recupero aggiuntivo ai vecchi obbligazionisti (diciamo che nei 5 anni post-concordato riescono ad ottenere un ulteriore 10% del loro credito originario).
  • I fornitori tornano a essere pagati regolarmente per le nuove forniture, e incassano le percentuali concordate sui vecchi crediti (Beta le paga puntualmente grazie alla liquidità fornita da Gamma e alla liberazione di risorse dai negozi chiusi).
  • La struttura finanziaria di Beta post-concordato è sana: capitale proprio ricostituito (Gamma ha messo €10 mln equity), debito finanziario ridotto a livelli sostenibili (Beta ha solo il debito prededucibile verso Gamma €20 mln e forse un modesto nuovo fido bancario per cassa).
  • I 40 punti vendita rimasti beneficiano del rilancio: Gamma effettua anche investimenti (refurbishment dei supermercati, campagne marketing congiunte), e Beta – ora magari rinominata con il brand di Gamma – riconquista quote di mercato.

Questo Caso 2 esemplifica un concordato in continuità aziendale complesso, tipico di grandi imprese:

  • Divisione in classi dei creditori e trattamenti differenziati (ammissibili se giustificati da ragioni oggettive).
  • Coinvolgimento di un investitore strategico (soluzione merger & acquisition in ambito concorsuale).
  • Uso di strumenti finanziari innovativi (SFP, equity kicker) per accontentare in parte i creditori finanziari senza esborso immediato integrale.
  • Ridimensionamento dell’azienda (chiusura rami d’azienda non profittevoli) mantenendo il core business.
  • Contributo essenziale di finanza esterna prededucibile (senza quei €20 mln di Gamma non sarebbe possibile pagare neanche le percentuali offerte ai creditori).

Casi analoghi noti nel panorama italiano includono, ad esempio, il concordato di Astaldi S.p.A. (2019), grande società di costruzioni, dove:

  • Un investitore (Salini Impregilo) è entrato nel capitale con aumento di capitale e finanza nuova,
  • I creditori chirografari hanno ricevuto una parte in cash e parte in azioni (equity) della nuova entità (divenendo di fatto soci minoritari post-risanamento),
  • L’azienda ha proseguito in continuità diventando parte di un gruppo più grande (Salini, rinominata Webuild),
  • I creditori finanziari hanno accettato forti sacrifici ma nella prospettiva di recuperare valore come azionisti in futuro.

Un altro esempio: Mercatone Uno (grande catena retail di mobili) tentò un concordato con ingresso di un investitore, anche se poi quel caso ebbe vicende alterne e finì in amministrazione straordinaria; resta paradigmatico di come si impostino simili piani multisede e multiparte.

Dal caso Beta emergono varie strategie:

  • Financial restructuring (taglio e conversione debito),
  • Operational restructuring (chiusura negozi improduttivi, riduzione personale),
  • Corporate actions (nuovi soci, fusioni),
  • Il tutto nel quadro ordinato del concordato preventivo, che grazie al voto a maggioranza e all’omologazione giudiziale consente di superare eventuali resistenze di minoranze (nessun singolo creditore può tirarsi fuori: se la maggioranza approva e il tribunale omologa, il piano vincola tutti).

Caso 3: Salvataggio di una cooperativa tramite piano di risanamento con intervento pubblico

Scenario: Gamma Coop è una cooperativa agricola del sud Italia, con 200 soci conferitori (produttori agricoli) e 50 dipendenti, specializzata nella trasformazione di prodotti ortofrutticoli. Purtroppo, a causa di investimenti errati in macchinari e di una serie di raccolti andati male, la cooperativa accumula debiti: verso banche €5 milioni (garantiti da ipoteche su terreni della coop), verso fornitori €2 milioni (molti dei quali fornitori di imballaggi e servizi), verso soci conferitori €1 milione (pagamenti di conferimenti arretrati), e debiti tributari/previdenziali €1,5 milioni (IVA, INPS). Nel 2024 la cooperativa non paga più i conferimenti ai soci né i fornitori da mesi, e le banche hanno revocato gli affidamenti. Il patrimonio netto è negativo (-€0,5 milioni). La situazione appare compromessa: la società è insolvente. Tuttavia, la cooperativa ha un impianto industriale e un know-how che potrebbero interessare investitori del settore, ed inoltre costituisce uno sbocco fondamentale per i prodotti agricoli locali (il fallimento lascerebbe 200 aziende agricole senza mercato per i loro ortaggi). Di fronte a questa crisi, le istituzioni locali (Regione, associazioni di categoria) manifestano preoccupazione.

Azione intrapresa: Nel gennaio 2025, il consiglio di amministrazione di Gamma Coop, verificata l’impossibilità di un risanamento autonomo (i soci conferitori non hanno risorse per ripianare i debiti di tale entità), delibera di cercare un partner esterno. Avvia contatti con Delta S.p.A., un’azienda conserviera nazionale interessata ad espandersi al sud. Contestualmente, per tutelarsi, Gamma Coop deposita un’istanza di composizione negoziata (o, in alternativa, valutano l’amministrazione straordinaria cooperativa, ma preferiscono il quadro privatistico per non perdere tempo con la burocrazia ministeriale).

Proposta di soluzione: Delta S.p.A., dopo due diligence, si dichiara disponibile a rilevare l’attività di Gamma Coop a condizione di liberarla dal peso dei debiti. Viene delineata questa operazione:

  • Delta costituirà una NewCo, Delta Gamma s.r.l., che acquisterà l’azienda (stabilimenti, macchinari, marchi) di Gamma Coop “pulita” dai debiti.
  • Gamma Coop dunque attiverà una procedura concorsuale per trasferire l’azienda alla NewCo e gestire il debito residuo: la soluzione individuata è il concordato preventivo con liquidazione del patrimonio (c.d. concordato liquidatorio) o in alternativa un accordo di ristrutturazione con cessione di beni. Si opta per il concordato perché permette di risolvere anche i debiti verso i soci (che non sarebbero facilmente gestibili in un accordo ex 182-bis).
  • Delta S.p.A. attraverso NewCo offre un prezzo per l’acquisto dell’azienda pari a €4 milioni, di cui €2 mln pagati cash al concordato e €2 mln investiti in NewCo per il capitale circolante post-acquisizione. Inoltre, NewCo si impegna ad assumere almeno 40 dei 50 dipendenti di Gamma Coop (il che in un concordato è considerato elemento di favore).
  • Con €4 milioni di provvista, Gamma Coop può presentare un concordato che prevede di soddisfare in modo parziale i creditori:
    • I creditori ipotecari (banche con ipoteche sui terreni) prendono, grazie alla liquidazione di quei terreni (che la cooperativa metterà in vendita separatamente, perché Delta è interessata solo allo stabilimento, non ai terreni agricoli non strategici): ad esempio, i terreni vengono stimati €3 milioni, le banche ipotecarie con credito €5 milioni incasseranno quei €3 mln (60%). A saldo del loro credito residuo (€2 mln) ricevono una porzione del ricavato di Delta (€4 mln). Non saranno pagate integralmente, ma essendo privilegiate ipotecarie in concordato liquidatorio, serve il loro assenso se prendono meno del 100%; fortunatamente, le banche si dicono disponibili ad accettare una perdita parziale pur di evitare fallimento, e votano a favore in sede concordataria (complice anche il fatto che Delta, soggetto industriale serio, offre prospettiva di mantenere in vita l’impresa).
    • I fornitori chirografari e i soci conferitori (che pure sono chirografari per i crediti di conferimento non pagati) ricevono dal concordato una percentuale, diciamo il 30%, grazie ai €4 mln di Delta e al restante attivo da liquidare (Gamma Coop aveva anche crediti vs clienti per €1 mln che vengono incassati in procedura). Non è molto, ma in caso di fallimento avrebbero preso forse sotto il 10%.
    • Lo Stato (Erario/INPS) ottiene qualcosa dal ricavato in prededuzione o comunque in privilegio per la parte privilegiata (iva privilegiata su beni etc., non entriamo in eccessivi dettagli, ma supponiamo che su €1,5 mln debito fiscale, €0,5 sia privilegiato e viene soddisfatto magari al 50%, con transazione fiscale approvata nel concordato).
    • I dipendenti, i cui crediti (stipendi arretrati) in parte se li assume NewCo (come condizione di Delta) e in parte vengono pagati dal Fondo di Garanzia INPS, non si oppongono.
  • Formalmente, Gamma Coop presenta quindi un piano di concordato che prevede: la cessione dell’azienda a NewCo DeltaGamma per €4 mln, la vendita di immobili non funzionali (terreni) e l’incasso crediti; il ricavato distribuendo come sopra: stima soddisfacimento 60% privilegiati ipotecari, 30% chirografari (fornitori e soci). Il tribunale ammette il concordato. Nella votazione, i creditori votano per classi: le banche ipotecarie (classe A) approvano, i chirografari (fornitori e soci – eventualmente si fanno due classi separate, ma in entrambe la maggioranza vota sì perché comprendono che è l’unico modo di recuperare qualcosa e salvare l’indotto), il Fisco (classe privilegiata B) approva la transazione fiscale. Il concordato viene omologato senza opposizioni sostanziali.

Esito:

  • DeltaGamma S.r.l. acquisisce la gestione dello stabilimento e continua l’attività sotto sua direzione. Essendo un’azienda profit, trasforma la coop in un ramo d’azienda efficiente, conserva il marchio ma con nuova governance. In pratica la cooperativa “passa la mano” a Delta: i soci conferitori magari stipulano contratti di fornitura con la nuova società per continuare a conferire prodotti, ma la governance mutualistica cessa.
  • Gamma Coop, dopo l’esecuzione del concordato (cessione beni, incassi), viene cancellata dal registro imprese: ha liquidato il suo patrimonio e pagato il 30% ai creditori chirografari. I debiti residui sono esdebitati dall’effetto esdebitazione concordataria per la parte degli ex soci debitori personali? (Trattandosi di coop, non c’è responsabilità personale quindi i creditori chirografari insoddisfatti non hanno altri target se non la massa residua, che però è esaurita).
  • I dipendenti mantengono in gran parte il lavoro (40 su 50 vengono assunti da NewCo senza soluzione di continuità; per i restanti 10, Delta non può assorbirli ma viene attivato un tavolo con la Regione per ricollocarli altrove e intanto percepiscono gli ammortizzatori).
  • I fornitori ottengono un 30% in tempi relativamente brevi e hanno la possibilità di continuare a fornire DeltaGamma in futuro (quindi potenzialmente recuperare il resto del business con il tempo).
  • I soci conferitori perdono formalmente il credito del 70% residuo sui conferimenti passati, ma ottengono l’impegno di DeltaGamma a stipulare contratti di conferimento per i prossimi 3 anni a condizioni di mercato: quindi potranno vendere i prodotti futuri alla nuova gestione, salvando la filiera agricola locale. Inoltre, Delta (il nuovo proprietario) coinvolge alcuni ex amministratori della cooperativa come consulenti, per gestire la transizione dei rapporti coi soci-agricoltori.

Questo Caso 3 mostra un risanamento dove la continuità aziendale viene garantita ma non più in capo al debitore originario (cooperativa), bensì attraverso la trasferimento dell’azienda a un terzo solvibile. È un tipico esempio di concordato con continuità indiretta: la continuità economica dell’attività prosegue, ma sotto un nuovo soggetto, mentre la procedura concorsuale “svuota” e poi chiude il debitore originario.

Tale schema è molto comune:

  • Vendita dell’azienda in concordato: si cerca un acquirente e il prezzo pagato diventa l’attivo concordatario per soddisfare i creditori.
  • L’acquirente spesso pone condizioni come clean-up dei debiti (lo fa via concordato, evitando di doversi accollare passività nascoste).
  • In alcuni casi, queste operazioni possono assumere la forma di administration all’inglese o pre-pack: in Italia sta crescendo l’uso del concordato in continuità indiretta con pre-accordo di vendita (“concordato con assuntore”). Il Codice favorisce queste soluzioni: l’assuntore (il terzo che acquista/assume il concordato) può anche pagare creditori in titoli (ad es. proprie azioni) e ha agevolazioni fiscali sull’acquisto d’azienda in concordato (esenzione imposte).
  • Nel caso Gamma Coop-Delta, di fatto Delta è l’assuntore del concordato: acquisisce l’azienda e si accolla l’onere di pagare i creditori nella percentuale concordataria. Avrebbe anche potuto formalmente proporsi come assuntore ex art. 114 CCII, pagando direttamente i creditori concordatari; ma qui si è preferito un modello classico con apporto di denaro.

Casi reali: molte crisi cooperative o di PMI locali sono state risolte con l’intervento di un competitor o investitore. Ad esempio, nel settore lattiero-caseario, alcune cooperative in crisi sono state salvate dall’assunzione di aziende più grandi (che comprano lo stabilimento e fanno concordati per liquidare i debiti). Oppure nel settore trasporti, società fallende rilevate da concorrenti mediante concordato in continuità indiretta.

La strategia principale evidenziata:

  • Ricerca di investitori/partner: a volte il risanamento passa per cedere il controllo dell’azienda. Ciò può essere duro da accettare per i vecchi proprietari/soci, ma è spesso l’unica via per salvare impresa e posti di lavoro.
  • Coinvolgimento pubblico: in questo caso, se Delta non si fosse fatto avanti, probabilmente la Regione avrebbe potuto stanziare fondi di garanzia o individuare altre soluzioni (es. trasformare la cooperativa in consorzio pubblico-privato). Non di rado, specialmente al sud, i salvataggi di imprese di interesse territoriale avvengono con misure di sostegno pubblico (es. contratti di sviluppo, bandi per rilevare impianti dismessi con incentivi).
  • Tutela della filiera: il piano ha considerato anche gli interessi “esterni” (soci conferitori, territorio). Questo aumenta la fattibilità, perché ad esempio i soci – che erano creditori ma anche fornitori futuri – hanno un incentivo ad approvare il piano se possono continuare a conferire. Nella pratica, i concordati di cooperative spesso dedicano attenzione a questi aspetti, non misurabili solo in termini di percentuale di soddisfo, ma di conservazione di rapporti economici.

Le simulazioni sopra (Casi 1, 2, 3) evidenziano come:

  • Non esista un modello unico di piano di risanamento: ogni situazione di crisi richiede un mix di soluzioni personalizzato.
  • Gli attori coinvolti (imprenditori, creditori, terzi) devono spesso accettare compromessi: i creditori accettano perdite controllate invece dell’incertezza del fallimento, l’imprenditore spesso perde proprietà o autonomia ma salva il business, i nuovi investitori rischiano capitale in cambio di opportunità di lungo termine.
  • Gli strumenti del Codice (accordo di ristrutturazione, piano attestato, concordato in varie forme) forniscono le cornici entro cui dare esecuzione legalmente vincolante a questi compromessi. Senza di essi, sarebbe arduo coordinare tanti soggetti.
  • Fattore tempo: in tutti gli esempi, la tempestività è stata chiave. Se Alfa S.r.l. avesse atteso di diventare insolvente totale, forse non avrebbe trovato accordi; Beta S.p.A. ha agito prima di esaurire la cassa del tutto; Gamma Coop ha cercato l’intervento di Delta prima che l’impianto si fermasse completamente. Questo riflette esattamente la filosofia del Codice della Crisi: agire tempestivamente per massimizzare il valore salvabile.

Per completare, forniamo una tabella riepilogativa delle strategie adottate nei tre casi simulati:

Tabella 7 – Sintesi strategie nei casi di risanamento simulati

CasoTipo proceduraMisure chiave adottateEsito principale
1. PMI Alfa S.r.l. (manifatturiera)Composizione negoziata + Piano attestato (stragiudiziale)– Rinegoziazione debiti bancari (allungamento, riduzione tassi)– Apporto nuova finanza dai soci– Transazione fiscale per debiti tributari (stralcio sanzioni, rate)– Pagamento dilazionato fornitori– Taglio costi operativi (chiusura linea improduttiva, -5 dip.)Evitato fallimento; accordi volontari con creditori; continuità salva, PMI risanata con debito sostenibile e management invariato (soci restano proprietari).
2. Grande Beta S.p.A. (retail)Concordato preventivo in continuità aziendale (con classi)– Ingresso investitore strategico con equity + finanza esterna– Conversione parziale debiti finanziari in strumenti partecipativi (equity-like)– Stralcio parziale debiti fornitori (differenziato: 40% per forn. strategici, 20% altri)– Moratoria pagamento debiti privilegiati (fino 6-12 mesi dall’omologa)– Chiusura rami d’azienda non redditizi (20% punti vendita) e riduzione personale (accordo sindacale)Concordato omologato con consenso classi; azienda integrata in gruppo più grande; creditori soddisfatti parzialmente ma meglio che in liqu., forte continuità (80% business salvo).
3. Gamma Coop (cooperativa agricola)Concordato preventivo liquidatorio con continuità indiretta (cessione d’azienda)– Individuazione acquirente (competitor) e cessione azienda mediante concordato (pre-pack)– Assunzione di parte dipendenti da parte acquirente– Utilizzo prezzo cessione per pagare in parte banche (creditori ipotecari) e chirografari (fornitori, soci conferitori) con una percentuale (es 30%)– Liquidazione beni non strategici (immobili) per soddisfare privilegiatiAttività prosegue sotto nuovo proprietario; cooperativa vecchia liquidata; creditori incassano quota concordataria (migliore del fallimentare); filiera salvaguardata in altra forma.

Questi esempi dimostrano come la creatività negoziale, supportata dal quadro giuridico flessibile del CCII, permetta soluzioni tailor-made per la crisi di impresa. Per i professionisti, conoscere casi concreti è fondamentale per attingere a un repertorio di best practice: ad esempio, sapere che un’obbligazione può essere trasformata in equity in concordato (come in Astaldi) o che è possibile offrire strumenti partecipativi ai creditori (previsione espressa nel CCII all’art. 86), può aprire strade di negoziazione altrimenti ignorate.

Domande Frequenti (FAQ) su Profili Giuridici, Operativi e Strategici

Di seguito, presentiamo una serie di domande e risposte frequenti riguardanti la crisi d’impresa e i piani di risanamento, che riassumono dubbi comuni di imprenditori e operatori e forniscono chiarimenti basati sulla normativa e sulla prassi.

D1: Quando si può dire formalmente che un’impresa è “in crisi”? Qual è la differenza tra crisi e insolvenza?
R: Crisi e insolvenza sono concetti distinti nel Codice. La crisi è lo stato in cui l’impresa mostra squilibri economico-finanziari tali da rendere probabile l’insolvenza futura. Si manifesta tipicamente con flussi di cassa prospettici insufficienti a pagare i debiti per almeno i prossimi 12 mesi. L’insolvenza, invece, è lo stato più grave, in cui l’impresa non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni (in pratica ha già cessato i pagamenti in modo generalizzato). In termini pratici: un’azienda è in crisi quando ci si accorge che, senza interventi, da qui a un anno non reggerà i debiti (perdite, calo liquidità, indici fuori posto); è insolvente quando ha già mancato pagamenti significativi (stipendi, fornitori principali, rate banche) ed è priva di risorse per farvi fronte. La dichiarazione formale di insolvenza avviene con la sentenza di liquidazione giudiziale (ex fallimento) da parte del tribunale. La crisi, invece, è spesso auto-diagnosticata dall’imprenditore o certificata da un esperto (ad es. nella composizione negoziata) prima di sfociare in insolvenza.

D2: Quali sono i principali segnali o indicatori che la mia impresa è in crisi su cui devo porre attenzione?
R: I principali segnali d’allarme sono sia qualitativi che quantitativi. Tra quelli qualitativi: difficoltà crescenti a pagare fornitori nei termini, utilizzo costante di fidi bancari al limite, richieste di proroga dai creditori, tensioni di cassa a fine mese, gestione affannosa (pagare Tizio lasciando indietro Caio), nonché la perdita di clienti importanti o commesse. Tra gli indicatori quantitativi oggettivi ci sono gli indici di squilibrio: ad esempio un rapporto Debiti finanziari/EBITDA molto alto (significa che l’azienda è troppo indebitata rispetto alla capacità di generare cassa); margini lordi in calo o negativi; patrimonio netto in erosione (specie se scende sotto il minimo legale, segnale gravissimo); DSCR a 6-12 mesi < 1 (ossia previsioni di cassa che indicano deficit nei prossimi mesi); aumento anomalo dei debiti verso Erario e INPS (l’azienda in crisi spesso “non versa l’IVA” perché usa quei soldi per altro: se vedo che devo l’IVA di tre trimestri, è un sintomo). Il Codice indica che squilibri di bilancio e flussi di cassa prospettici negativi sono segnali di crisi. In pratica, se l’azienda sta erodendo liquidità mese su mese e non si prevedono entrate straordinarie, oppure se il capitale sta andando in rosso, siamo in fase di crisi.

D3: Cosa devo fare concretamente se rilevo che la mia impresa è in crisi?
R: In primo luogo, non ignorare il problema. La legge (art. 3 CCII) impone all’imprenditore e agli amministratori di attivarsi tempestivamente in caso di crisi. Quindi, subito: analizzare le cause della crisi e predisporre un piano di risanamento anche solo interno (taglio costi, ricerca finanza, rinegoziazione debiti). Parallelamente, consultare professionisti esperti (un advisor finanziario, un legale concorsualista) per valutare le opzioni. Queste possono includere:

  • Attivare la Composizione Negoziata (tramite la piattaforma telematica) per farsi affiancare da un esperto e trattare con i creditori in modo protetto.
  • Iniziare colloqui informali con le banche e i creditori principali per sondare disponibilità a ristrutturazioni del debito.
  • Se la situazione rischia di precipitare, valutare un concordato preventivo “in bianco”: depositare la domanda in tribunale per congelare i creditori e guadagnare tempo per il piano (questo però è opportuno farlo solo con l’assistenza di un legale e se si intravede una soluzione, altrimenti si rischia di aggravare la situazione inutilmente).
  • Verificare possibili interventi dei soci (ricapitalizzazione) o di partner (ingresso di un investitore).
    In ogni caso, è fondamentale predisporre un budget di tesoreria e un piano industriale di risanamento: capire di quanti soldi c’è bisogno e quali parti del business sono salvabili. Poi scegliere lo strumento legale adatto (accordo di ristrutturazione se posso avere il consenso del 60% crediti, piano attestato se ho pochi creditori e serve giusto un aggiustamento, concordato se serve anche imporre tagli ai dissenzienti). L’importante è agire presto: più si aspetta, meno opzioni restano (i creditori perdono fiducia, la cassa si esaurisce, l’azienda si deteriora).

D4: Che cos’è e come funziona esattamente la Composizione Negoziata della crisi? È obbligatorio aderirvi se ricevo una segnalazione?
R: La Composizione Negoziata è uno strumento volontario introdotto nel 2021. Non è obbligatorio aderirvi, nemmeno se ricevi una segnalazione da Agenzia Entrate o INPS: tuttavia è fortemente consigliato in quei casi, perché significa che i creditori pubblici hanno percepito la tua crisi e ti stanno offrendo un percorso per affrontarla. Funziona così: l’imprenditore in difficoltà presenta un’istanza tramite la piattaforma nazionale delle Camere di Commercio, allegando informazioni economico-finanziarie di base. Una commissione nomina un esperto indipendente (in genere un commercialista o altro professionista formato) che esaminerà la situazione e guiderà le trattative con i creditori. La procedura è riservata (non si viene iscritti in registri pubblici, salvo che si chiedano misure protettive al tribunale). L’esperto convoca l’imprenditore e i creditori principali a tavoli di confronto, cercando soluzioni consensuali: ad esempio, nuove dilazioni, riduzioni di debito, conferimenti dei soci, vendite di asset, ecc. L’esperto non può imporre nulla, ma con la sua autorevolezza favorisce l’accordo. L’imprenditore durante la composizione negoziata può chiedere al tribunale alcune facilitazioni: misure protettive (blocco temporaneo di azioni esecutive, per evitare pignoramenti mentre si tratta) e, da poco, l’autorizzazione a contrarre finanziamenti prededucibili se servono soldi freschi urgenti. La CN dura inizialmente 3 mesi (prorogabili). Se si trova un accordo, benissimo: può restare un accordo stragiudiziale privato oppure essere formalizzato in uno degli strumenti di legge (un accordo di ristrutturazione ex art. 57, un piano attestato, ecc.). Se non si trova, l’imprenditore può comunque ripiegare su un concordato semplificato (entro 60 giorni dalla chiusura CN). In sintesi, la CN è come un negoziato assistito: non è una procedura concorsuale, non c’è spossessamento, ma hai un “coach” (l’esperto) e un ombrello (le misure protettive). Non c’è obbligo giuridico di attivarla, ma c’è un forte obbligo morale e gestionale: se vieni segnalato e non fai nulla, in caso di rovina dell’azienda sarà difficile per te giustificare l’inerzia. Il legislatore l’ha pensata per imprese meritevoli con crisi reversibile: se la usi, hai anche alcune esenzioni di responsabilità (ad esempio non scatta reato di bancarotta semplice per ritardo se segui le indicazioni dell’esperto, e puoi ottenere misure premiali fiscali e creditizie). Quindi è altamente opportuno considerarla appena senti puzza di bruciato nelle finanze aziendali.

D5: In cosa consiste l’obbligo degli “adeguati assetti organizzativi”? Una piccola impresa deve dotarsi di sistemi di allerta interni sofisticati?
R: L’art. 2086 c.c. comma 2 impone a tutte le imprese societarie o collettive di dotarsi di assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati alla natura e dimensione dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi. In parole semplici, significa che anche una piccola S.r.l. deve avere un minimo di organizzazione: tenuta regolare della contabilità, flussi informativi tra chi gestisce e chi controlla (se c’è collegio sindacale), capacità di produrre un bilancino e un budget previsionale, definizione di responsabilità interne. Non occorre un sofisticato sistema informatico di allerta per una micro impresa, ma occorre comunque che l’amministratore tenga d’occhio i segnali di difficoltà. L’Ordine dei Commercialisti ha emanato linee guida semplificate per le PMI, ad esempio suggerendo check-list (c’è una checklist operativa 24/7/2023 con domande tipo: “ho un piano di tesoreria a 6 mesi?”, “il patrimonio netto è positivo?”, “l’EBITDA è sufficiente a pagare interessi?” ecc.). Per un’azienda con 5 dipendenti, l’assetto adeguato può consistere in un foglio Excel tenuto dal commercialista con indicatori trimestrali, e riunioni periodiche col consulente per monitorarli. L’importante è poter dimostrare di avere un cruscotto di controllo: la mancanza totale di ciò potrebbe costituire inadempimento e portare a responsabilità. Quindi, la piccola impresa non deve assumere un CFO a tempo pieno per legge, ma deve adottare strumenti proporzionati (magari software di contabilità evoluti che offrono moduli di allerta, oppure affidarsi a professionisti esterni periodicamente). Notare che dal 2023 molte PMI hanno nominato un sindaco o revisore (perché i limiti di bilancio per farlo sono stati abbassati): questa figura è tenuta per legge a vigilare sugli assetti e sui segnali di crisi. Dunque, de facto, anche la piccola s.r.l. è sotto controllo: se l’organo di controllo nota disordine amministrativo o ritardi fiscali, suonerà l’allarme. In sintesi: “adeguato assetto” per una PMI significa niente contabilità improvvisata o bilanci fatti a mano in ritardo di 2 anni; bisogna tenere i conti a posto, sapere mensilmente dove si è, pianificare le uscite future, e avere procedure per raccogliere i dati essenziali (ordini, incassi, costi) e reagire di conseguenza. Chi non lo fa, oltre a rischiare la crisi, rischia poi di esserne ritenuto responsabile.

D6: I creditori (banche, fornitori) possono obbligarmi a prendere provvedimenti se sospettano che l’azienda sia in crisi?
R: I creditori privati non hanno un potere diretto di costringere l’imprenditore ad attivare procedure di allerta. L’allerta “esterna” codificata riguarda solo i creditori pubblici (Fisco, INPS) come abbiamo visto. Una banca o un fornitore, se teme di non essere pagato, ha come strumenti la pressione commerciale (riduzione fido, richiesta pagamento anticipato) o giudiziaria (ingiunzione, pignoramento). Non può, ad esempio, rivolgersi al tribunale per far nominare un esperto di composizione negoziata (non esiste un amministrazione controllata d’ufficio come in altri ordinamenti passati). Tuttavia, in senso lato, i creditori possono influenzare: ad esempio, una banca può segnalare l’azienda in centrale rischi come deteriorata se vede covare insolvenza, il che peggiora rating e spinge l’azienda ad affrontare il problema. Inoltre, un gruppo di creditori qualificati potrebbe sollecitare informalmente l’imprenditore ad attivare la composizione negoziata (capita che il ceto bancario, quando un’azienda ha covenant in default, suggerisca “perché non fate la composizione negoziata?”). Dunque, nessun obbligo giuridico di obbedire, ma certamente se tutti i creditori importanti ti chiedono di fare un piano di risanamento, è saggio ascoltarli. Discorso diverso: se l’azienda è già insolvente, i creditori possono chiedere il fallimento (ora liquidazione giudiziale) presentando istanza in tribunale. Quella è la “maniera forte”: se arriva l’istanza di fallimento, a quel punto l’imprenditore per evitare il peggio deve per forza reagire, ad esempio depositando un ricorso per concordato preventivo immediatamente, altrimenti rischia la sentenza dichiarativa. In un certo senso, l’istanza di fallimento è l’ultima chiamata che i creditori possono forzare – non è allerta, è già fase patologica conclamata. Quindi conviene muoversi molto prima e non arrivare a quel punto.

D7: È vero che in un concordato preventivo i creditori chirografari possono essere costretti ad accettare un taglio del credito? Come si tutela la loro posizione?
R: Sì, è una caratteristica fondamentale del concordato preventivo: è una procedura concorsuale con effetti coercitivi. Se la maggioranza dei creditori approva la proposta, essa diventa vincolante per tutti i creditori di quella classe o categoria, anche per i dissenzienti e assenti. Questo è il meccanismo che consente di “forzare” il taglio (detto haircut o falcidia) dei crediti chirografari: basta il consenso della maggioranza qualificata invece dell’unanimità. La legge però prevede delle tutele per i creditori, volte ad assicurare che non vengano sacrificati oltre il necessario:

  • Innanzitutto, deve essere rispettato il principio di convenienza: il tribunale, prima di omologare, verifica che ciò che il creditore prende in concordato sia almeno pari a quello che prenderebbe in liquidazione giudiziale (fallimento). Se ad esempio un creditore dimostra che nel fallimento avrebbe soddisfazione maggiore, può opporsi all’omologa e il giudice non dovrebbe omologare (caso raro, perché di norma il debitore struttura l’offerta in modo da superare quel test).
  • C’è poi il principio di pari trattamento all’interno della stessa classe: i creditori uguali devono ricevere trattamento uguale (salvo consenso del singolo a ridursi di più).
  • I creditori pre-deduzione e privilegiati: questi non possono essere falcidiati senza condizioni. Un privilegiato (es. banca ipotecaria) deve essere pagato integralmente o ricevere almeno quanto otterrebbe liquidando la garanzia (se lo soddisfi meno, allora vota anch’esso e se dice no non puoi forzarlo, tranne il caso del Fisco con cram-down ora consentito).
  • Il concordato è sottoposto a voto: quindi il creditore ha voce in capitolo. Se la maggioranza di una classe non è convinta, boccia il concordato e allora o se ne presenta un altro o l’impresa va a liquidazione. Dunque il debitore deve proporre qualcosa di ragionevole per ottenere i voti.
  • Infine, per i casi di abuso, i creditori hanno la tutela dell’opposizione all’omologazione: se pensano che il piano sia viziato da frode, o che le classi siano state fatte ad arte per penalizzarli, possono opporsi e il giudice valuta.
    In conclusione, è vero che i chirografari possono subire un taglio anche forte (non esistono più per legge percentuali minime, salvo il 20% nel liquidatorio puro, ma in continuità si potrebbe teoricamente offrire anche meno se giustificato). Tuttavia, i creditori hanno strumenti per reagire e soprattutto decidono con il voto. In Italia, spesso i creditori chirografari maggiori (banche non garantite, fornitori cruciali) trattano in anticipo le condizioni e danno il supporto solo se soddisfatti che è il meglio ottenibile. Quindi, se sei creditore chirografario di un’azienda in concordato, pur non potendo pretendere l’integrale pagamento (che in crisi gravi è utopia), puoi però:
  • Verificare che il piano non nasconda risorse non dichiarate,
  • Confrontare la percentuale proposta con la stima in caso di fallimento (il commissario giudiziale nel concordato fa proprio questa comparazione nella sua relazione),
  • Votare no se ritieni l’offerta troppo bassa e magari spingere per un’offerta migliorativa (a volte i debitori rilanciano se vedono che non passano i voti),
  • Se sei in minoranza dissenziente ma il concordato passa, assicurarti che le regole siano rispettate (se c’è stata qualche irregolarità potresti opporre). Per esempio, se scopri che il debitore ha sottratto attivo o favorito qualche creditore fuori dal piano, questo può portare a non omologa per frode.
    In sintesi: il concordato è “duro” con i creditori chirografari, ma è temperato da controllo giudiziale e democraticità del voto.

D8: Che differenza c’è tra un piano attestato di risanamento e un accordo di ristrutturazione dei debiti? Come scelgo l’uno o l’altro?
R: Entrambi sono strumenti concorsuali stragiudiziali, nel senso che presuppongono un accordo volontario con (alcuni) creditori e l’intervento di un professionista attestatore, però hanno differenze significative:

  • Il Piano Attestato di Risanamento (art. 56 CCII, ex art. 67 l.f.) è fondamentalmente un piano privato, non soggetto ad omologazione giudiziaria. Il debitore elabora un piano di risanamento, un professionista indipendente lo attesta confermando che è fattibile e idoneo a superare la crisi, e se il piano viene eseguito e pubblicato nel registro imprese, gli atti compiuti in attuazione di esso sono protetti dall’azione revocatoria (cioè i pagamenti effettuati secondo il piano non potranno essere revocati in un eventuale successivo fallimento). Non vincola i creditori dissenzienti: significa che devi trovare l’accordo con tutti i creditori coinvolti perché, non essendoci un giudice che omologa, chi non vuole aderire non aderisce. Il piano attestato è utile quando c’è un numero limitato di creditori o comunque la possibilità di convincerli tutti, e serve soprattutto a dare sicurezza giuridica (niente revoche) e reputazionale (hai un attestatore che dice che il piano sta in piedi).
  • L’Accordo di Ristrutturazione dei Debiti (ADR, artt. 57-64 CCII, ex art. 182-bis l.f.) è un accordo omologato dal Tribunale: per presentarlo devi aver raggiunto l’adesione di creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti (percentuale ridotta al 30% in casi particolari di accordi “agevolati” se soddisfi integralmente i non aderenti). Si deposita il ricorso in tribunale con il testo dell’accordo, il piano e l’attestazione di un esperto che certifica che l’accordo assicura l’integrale pagamento dei creditori estranei nei 120 giorni da scadenza (o 180 per fiscali) e che è fattibile. Il giudice, verificati i presupposti e l’assenza di pregiudizio per i non aderenti, omologa. L’effetto è che l’accordo vincola solo i creditori aderenti, ma l’omologazione consente di cristallizzare la situazione (stop alle azioni esecutive dai soli aderenti durante trattative, possibilità di estendere misure come il cram-down fiscale sui non aderenti pubblici, e pubblicità legale dell’accordo). I creditori estranei restano estranei: vanno pagati integralmente nei termini previsti per legge (altrimenti l’accordo non sarebbe omologabile). Quindi l’ADR è utile quando hai la maggior parte (60%+) di creditori disposti a uno stralcio/dilazione, e ti resta una minoranza che preferisci pagare regolarmente. Ad esempio, tipico: le banche che hanno l’80% dei crediti concordano una ristrutturazione, e i fornitori piccoli (20%) li paghi cash normale.
    Quando scegliere l’uno o l’altro? Dipende:
  • Se riesci a coinvolgere praticamente tutti i creditori in un’intesa e vuoi meno formalità possibili, il piano attestato può bastare. Richiede comunque l’attestazione ma eviti costi e tempi di omologa.
  • Se invece hai tanti creditori e temi azioni legali di disturbo, l’accordo di ristrutturazione è preferibile perché consente di chiedere al tribunale di sospendere le azioni esecutive durante le trattative (puoi ottenere una protezione breve) e soprattutto, una volta omologato, l’accordo ha l’efficacia di un titolo esecutivo verso tutti gli aderenti e non può essere contestato. Inoltre, con l’accordo puoi includere la transazione fiscale anche se l’Erario non aderisce, tramite il meccanismo di cram-down fiscale (introdotto dal 2022).
  • Un piano attestato non “forza” nessuno: se un creditore non sta alle intese, può chiamarsi fuori e magari attaccare l’azienda (e a quel punto rischi fallimento). Quindi lo userai quando sei ragionevolmente sicuro di poter ottenere adesione totale (spesso con banche è più usato, fanno accordi e tutte aderiscono). L’ADR invece ha il vantaggio di legare quelli che hanno firmato, e isolare i pochi non firmatari (che però devi pagare per intero).
  • Nota: c’è anche un terzo strumento intermedio, il “piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (PRO)” introdotto di recente, che consente di omologare un piano anche senza la maggioranza del 60%, ma lì c’è l’imposizione alle classi dissenzienti come visto in giurisprudenza. È come un concordato senza fallimento: serve per situazioni più complesse con più classi.
    In sintesi: il piano attestato è semplificato e confidenziale, adatto a crisi meno profonde e con pochi creditori “amici”; l’accordo di ristrutturazione è semigiudiziale, utile per dare struttura solida a un accordo con molti creditori e sfruttare l’ombrello del tribunale (anche verso eventuali creditori pubblici o dissenzienti minoritari).

D9: Se la mia azienda va in liquidazione giudiziale (fallimento), avrò una seconda opportunità? Cos’è l’esdebitazione e come funziona nel nuovo Codice?
R: L’esdebitazione è l’istituto che permette all’imprenditore (individuale o ai soci illimitatamente responsabili) di liberarsi dai debiti residui dopo la chiusura della procedura concorsuale, per poter ripartire senza il fardello passato. Nel vecchio regime fallimentare, l’esdebitazione era concessa dal tribunale su richiesta e a certe condizioni di meritevolezza (il fallito doveva aver collaborato, nessuna bancarotta fraudolenta, ecc.). Il Codice della Crisi ha reso l’esdebitazione più accessibile:

  • Per le persone fisiche consumatori c’è addirittura l’esdebitazione dell’incapiente (cancella i debiti di chi proprio non ha nulla da dare, subito).
  • Per gli imprenditori ex falliti, ora il CCII prevede che decorso 3 anni dalla chiusura della liquidazione giudiziale, i debiti residui siano automaticamente cancellati (salvo opposizione di creditori per irregolarità). Questo è l’art. 278 CCII. Quindi non devi più fare richiesta formale come prima né attendere 5 anni: passati 3 anni dall’apertura (non dalla chiusura: su questo la Corte Cost. ha interpretato che è dall’apertura della procedura che decorre il triennio in cui vengono acquisiti anche i beni sopravvenuti, e dopo il quale scatta l’esdebitazione). In pratica, se subisci una liquidazione giudiziale nel 2025 e nel 2028 la procedura è ancora in corso ma tu hai cooperato, dal 2028 in poi i creditori chirografari non soddisfatti non potranno più agire contro di te e se emergesse un tuo reddito futuro non potrebbero toccarlo. La procedura comunque in 3 anni dovrà chiudersi (perché finisce la ragion d’essere: la Consulta dice che 3 anni è durata massima e minima).
  • L’esdebitazione non vale per le società (una S.r.l. cancellata con debiti non pagati, resta estinta ma i debiti non passano a nessuno, i creditori perdono quello e basta). Vale per le persone (imprenditore individuale, soci).
  • Ci sono esclusi: debiti da mantenimento, debiti per multe e sanzioni pecuniarie penali, ecc., quelli non si esdebitano.
    Quindi, sì, c’è una seconda opportunità: l’ordinamento sposa il principio di “fresh start”. Naturalmente, per arrivare a esdebitazione devi comunque passare attraverso il processo concorsuale: mettere a disposizione il tuo patrimonio, subire la liquidazione. Ma dopo, sei libero.
    Nota bene: se invece utilizzi strumenti come concordato o accordo di ristrutturazione, l’esdebitazione è diciamo “in re ipsa” nel senso che quei procedimenti definiscono quanto paghi e il resto è stralciato dall’omologa. Quindi l’esdebitazione viene di fatto anticipata e incorporata nel piano (i creditori rinunciano alla parte eccedente quella pagata). Il meccanismo formale di esdebitazione post procedura serve proprio per il fallimento/liquidazione giudiziale dove il tribunale “cancella” i debiti insoddisfatti. Il nuovo CCII la rende più semplice (addirittura automatica, salvo revoca se emergono comportamenti fraudolenti). Quindi l’imprenditore onesto ma sfortunato non è più marchiato a vita: può, trascorso il periodo, ripartire magari aprendo una nuova attività (non soggiace più alle limitazioni post-fallimentari di una volta). Unico caveat: se hai causato la crisi con frodi o hai violato obblighi, l’esdebitazione può esserti negata o revocata; inoltre, puoi avere l’esdebitazione solo una volta ogni 10 anni.

D10: Le nuove norme del Codice della Crisi si applicano anche alle situazioni pendenti iniziate con la vecchia legge fallimentare?
R: In linea generale, no: si applicano solo alle procedure aperte dopo la data di entrata in vigore del Codice (15 luglio 2022 la gran parte, qualcuna tipo composizione negoziata già dal 2021). Le procedure di fallimento aperte prima, ad esempio un fallimento dichiarato nel 2020, continuano secondo la legge fallimentare del ’42 (per la maggior parte degli aspetti) per un principio di irretroattività delle norme processuali concorsuali. Ci sono però alcuni aspetti in cui le nuove norme hanno effetto anche su situazioni pregresse, specialmente se più favorevoli: ad esempio, la possibilità di avere l’esdebitazione dopo 3 anni è stata estesa anche ai fallimenti pendenti, credo di sì in virtù di un coordinamento (anche se formalmente la legge fallimentare prevedeva 5 anni: un fallito che chiede esdebitazione ora, il giudice potrebbe applicare la norma sopravvenuta più favorevole, ma questo dipende dall’interpretazione; la Cassazione avrà voce in capitolo). Quanto alle procedure minori ex L.3/2012 (sovraindebitamento) pendenti al 15/7/2022, il CCII prevedeva un regime transitorio: molte di esse sono proseguite col vecchio rito ma alcune disposizioni di coordinamento si sono applicate. Ad esempio, una domanda di “piano del consumatore” presentata prima ma omologata dopo l’entrata in vigore potrebbe beneficiare della nuova possibilità di moratoria lungha sui privilegiati sancita da Cassazione e recepita poi. Diciamo che il grosso delle novità (composizione negoziata, PRO, ecc.) vale per il futuro. Concordati preventivi aperti prima del 15/7/22 restano soggetti alle vecchie regole di voto e percentuali minime etc. I nuovi concordati invece seguono il CCII. In sintesi: c’è un regime transitorio abbastanza complesso delineato dal D.Lgs. 83/2022, ma semplificando, le nuove procedure si applicano alle crisi dichiarate/aperture posteriori al 15 luglio 2022. Ovviamente, però, gli orientamenti giurisprudenziali “di principio” (es: Cass. 2020 su dilazioni privilegiati) hanno ispirato anche casi decisi prima. Quindi c’è un travaso sostanziale di idee, se non formale di norme. Se lei ha una procedura pendente iniziata prima, il consiglio è di valutare con l’avvocato se conviene chiuderla (se siamo ancora in fase iniziale) e riavviarla col nuovo Codice per sfruttare i vantaggi, o se proseguire col vecchio regime. In molti casi, comunque, i tribunali hanno interpretato “in continuità evolutiva”, applicando anche ai vecchi concordati criteri nuovi (ad esempio ammettendo classi prima considerate dubbie, o accettando cram-down fiscale già col DL 125/2020 anche su procedure pre-2022). Insomma, l’approccio del sistema è stato: applichiamo la legge del tempo di apertura, ma guardiamo alle novità se migliorative e compatibili.


Queste FAQ toccano solo alcune delle tantissime domande possibili. La crisi d’impresa è un ambito complesso, che intreccia aspetti giuridici, finanziari, fiscali, sociali. Ma le linee di fondo sono: prevenire è meglio che curare, e se si deve curare, farlo con gli strumenti giusti e senza indugio, in modo da salvare il salvabile e ripartire su basi sane.

Fonti Normative, Dottrinali e Giurisprudenziali Utilizzate

(Elenco delle principali fonti citate e di riferimento per la guida, suddivise per tipologia.)

Fonti Normative

  • D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 – Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII), in attuazione della legge delega 19 ottobre 2017 n. 155. Gazzetta Ufficiale n.38 del 14/02/2019. (Testo base della riforma organica della crisi, articoli 1-391, come successivamente modificato)
  • D.Lgs. 26 ottobre 2020, n. 147 – Disposizioni integrative e correttive al CCII (c.d. Primo Correttivo). G.U. n.276 del 05/11/2020. (Modifiche entrate in vigore col Codice nel 2022, apportando chiarimenti e rettifiche tecniche)
  • D.L. 24 agosto 2021, n. 118 (conv. in L. 147/2021) – Misure urgenti in materia di crisi d’impresa (introduzione composizione negoziata e concordato semplificato). G.U. n.202 del 24/08/2021. (Normativa emergenziale PNRR, integrata nel CCII dal giugno 2022)
  • D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83 – Modifiche al CCII in attuazione della Direttiva UE 2019/1023 (c.d. Secondo Correttivo, attuazione Direttiva Insolvency). G.U. n.152 del 01/07/2022. (Ha introdotto, tra l’altro, il Piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (PRO) e rivisto soglie allerta)
  • D.L. 21 giugno 2022, n. 73 (conv. L.122/2022) – Art. 37-bis (modifica art. 25-novies CCII sulle soglie di segnalazione del debito IVA). G.U. n.143 del 21/06/2022. (Ha elevato la soglia IVA da €5.000 a 10% fatturato con floor €20.000)
  • D.Lgs. 13 settembre 2024, n. 136 – Ulteriori disposizioni integrative e correttive al CCII (c.d. Terzo Correttivo). G.U. n.227 del 27/09/2024. (Novità 2024: segnalazioni precoci, transazioni fiscali in composizione negoziata, miglior definizione piano risanamento, etc.)
  • Codice Civile, artt. 2086 c.c. (dovere di assetti adeguati) e 2446-2447, 2482-bis/ter c.c. (obblighi di ricapitalizzazione per perdite rilevanti). (Richiamati dal CCII in tema di doveri degli amministratori verso la crisi)
  • Testo Unico Bancario (D.Lgs. 385/1993), art. 41, co.2 – Privilegio processuale del creditore fondiario (facoltà di proseguire esecuzione individuale nonostante procedura concorsuale). (Applicazione estesa anche a liquidazione controllata)
  • Legge Fallimentare (R.D. 16 marzo 1942, n. 267) – Normativa abrogata ma citata per principi previgenti. (Es. art. 67 l.f. su revocatorie e piani di risanamento; art. 160-186 l.f. su concordato preventivo; art. 142 l.f. su esdebitazione).

Fonti Giurisprudenziali (Sentenze)

  • Cass., Sez. I Civ., 15 ottobre 2020, n. 22291 – Ordinanza (rel. Terrusi) sul termine di dilazione dei crediti prelatizi in accordi di ristrutturazione/piani consumatore. Massima: Ammissibile dilazione oltre 1 anno dall’omologazione purché i privilegiati siano ammessi al voto/espressione sulla proposta.
  • Cass., Sez. I Civ., 21 febbraio 2024, n. 576 – Sentenza (Pres. Di Marzio, Rel. Perrino) su moratoria ultrannuale nel piano del consumatore ex L.3/2012. Massima: Possibile dilazione pagamento privilegiati anche >5 anni nei piani del consumatore (ristrutturazione ex art.67 CCII), se interessa dei creditori meglio tutelato e questi potuti intervenire sulla proposta.
  • Cass., Sez. I Civ., 19 agosto 2024, n. 22914 – Sentenza (Pres. Cristiano, Rel. Crolla) sul credito fondiario in liquidazione controllata. Massima Ufficiale: Il creditore fondiario può esercitare il privilegio processuale ex art.41 TUB sia in liquidazione giudiziale ex CCII sia in liquidazione controllata da sovraindebitamento.
  • Cass., Sez. Un. Civ., 25 febbraio 2021, n. 8500 – (Riferita a transazione fiscale ante CCII). Ha statuito la possibilità di omologa di concordato nonostante voto contrario Fisco, dopo L.159/2020, se trattamento Fisco ≥ alternativo e rispetto par condicio. (Principio ora codificato in CCII art.112-bis).
  • Cass., Sez. I Civ., 18 maggio 2023, n. 13418 – (Concordato con riserva abusivo). Conferma potere tribunale di dichiarare inammissibile concordato in bianco presentato al solo scopo dilatorio, in mancanza assoluta di prospettive di piano. (Tutela contro abuso dello strumento concordatario).
  • Corte Costituzionale, Sentenza 21 settembre 2023, n. 190 – Decisione su questione di legittimità art.25-novies CCII (soglie allerta Fisco). Esito: Questioni dichiarate inammissibili/non fondate; riforma allerta affidata a legislatore, nessuna illegittimità manifesta nella segnalazione debiti importo non elevato.
  • Corte Costituzionale, Sentenza 19 gennaio 2024, n. 6 – Decisione su liquidazione controllata: beni sopravvenuti ed esdebitazione. Massima: L’art.268 co.4 lett. b) CCII implica che in liquidazione controllata i beni sopravvenuti entro 3 anni dall’apertura vanno acquisiti (quote di stipendio ecc.), configurando il triennio quale durata minima e massima prima dell’esdebitazione automatica. Nessuna incostituzionalità: bilanciato art.2740 c.c. col diritto al fresh start.
  • Tribunale di Cagliari, Sez. Proc. Conc., 8 novembre 2024 – Sentenza di omologa ADR con cram-down fiscale (Giud. deleg. M. Varalis). Nota: Omologato accordo ex artt.57,63 CCII nonostante opposizione Agenzia Entrate; applicato art.63 CCII autorizzando forzosamente l’accordo in difetto di adesione Fisco, essendo soddisfatto test migliore interesse. (Prima applicazione pratica di cram-down fiscale in ADR).
  • Tribunale di Vicenza, 7 novembre 2023 – Decreto di omologa di piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (PRO). Nota (da fonti): Primo PRO omologato in Italia; tribunale applica art.64-ter CCII disponendo cram-down interclassi su dissenzienti, ritenendo soddisfatte condizioni (migliore soddisfazione rispetto all’alternativa, nessuna classe pregiudicata rispetto inferiore).
  • Tribunale di Milano, decreto 24 ottobre 2024 – Ammissibilità PRO in continuità. (Riferito da Il Sole 24 Ore Norme&Tributi). Nota: Dichiarato ammissibile piano ex art.64-bis CCII con continuità aziendale, considerato “strumento di rottura” del sistema tradizionale, idoneo a portare ristrutturazione rapida.
  • Tribunale di Roma, Sez. Fall., 3 luglio 2024 – Decreto di omologa concordato semplificato liquidatorio (ex art.25-sexies CCII). Nota: Confermata fattispecie innovativa: omologato concordato senza voto creditori dopo fallita composizione negoziata; tribunale verifica rispetto requisiti (apertura CN, struttura piano liquidatoria completa) e accoglie per utilità creditori (evitando fallimento).

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  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
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