Come Pagare Meno Tasse Legalmente Con La Partita Iva Se Devi Soldi All’ex Equitalia

Hai una Partita IVA e sei sommerso dai debiti con l’ex Equitalia (oggi Agenzia delle Entrate-Riscossione)? Ti chiedi se puoi pagare meno tasse, bloccare le cartelle esattoriali e salvare la tua attività senza finire nei guai?

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in contenzioso tributario, riscossione e gestione dei debiti fiscali – ti spiega in modo chiaro e pratico come chi ha una Partita IVA può pagare meno tasse in modo legale anche se ha debiti pendenti con l’ex Equitalia, sfruttando gli strumenti previsti dalla legge per alleggerire il carico fiscale e difendersi dalle azioni esecutive.

Scopri quando puoi accedere al sovraindebitamento con esdebitazione, come funziona la transazione fiscale anche per lavoratori autonomi, cosa fare per sospendere fermi, pignoramenti e intimazioni, e come ridurre il debito fiscale grazie a piani sostenibili e legalmente approvati.

Alla fine della guida troverai tutti i contatti per richiedere una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo, analizzare la tua posizione con l’Agenzia delle Entrate-Riscossione e costruire una strategia concreta per rientrare nei limiti della legalità, pagare meno tasse e salvare la tua attività da una crisi irreversibile.

Introduzione

Avere debiti fiscali pregressi con l’ex Equitalia – oggi Agenzia delle Entrate-Riscossione (AER) – non impedisce di continuare a operare con una Partita IVA né di pianificare il proprio carico fiscale in modo da pagare meno tasse legalmente. Dal 1° luglio 2017 Equitalia è stata soppressa e le sue funzioni di riscossione coattiva sono passate ad AER, un ente pubblico economico strumentale dell’Agenzia delle Entrate. Ciò significa che i debiti in carico a Equitalia sono ora gestiti dall’Agenzia Entrate-Riscossione, ma restano debiti personali del contribuente. Aprire o mantenere una Partita IVA è comunque possibile anche in presenza di debiti fiscali: i debiti pregressi non “migrano” automaticamente su una nuova società o attività, e restano a carico della persona fisica che li ha contratti.

In questa guida affronteremo, con taglio giuridico-divulgativo e aggiornamento a maggio 2025, come un imprenditore o professionista con Partita IVA può ridurre al minimo il carico fiscale in modo lecito, pur dovendo gestire debiti esattoriali verso l’ex Equitalia. Analizzeremo gli strumenti legali disponibili – dalle scelte sul regime fiscale alle deduzioni, detrazioni e agevolazioni – e strategie per ottimizzare il carico di IVA, imposte dirette (IRPEF, IRES), IRAP, contributi INPS e altri oneri. Illustreremo inoltre le differenze tra le principali forme giuridiche d’impresa (ditta individuale, società di persone, SRL/SRLS, cooperative, libero professionista) e l’impatto fiscale nei vari settori economici (artigianato, commercio, edilizia, sanità privata, consulenza, tecnologia, ecc.). Non tratteremo la pianificazione fiscale internazionale o il trasferimento all’estero, concentrandoci invece sulle leve offerte dalla normativa italiana vigente.

La guida include FAQ con le domande frequenti, tabelle riepilogative delle aliquote e regimi, ed esempi pratici con simulazioni a 1, 3 e 5 anni, per comprendere i benefici delle diverse strategie nel tempo. Infine, troverete una sezione con tutte le fonti normative e giurisprudenziali citate, incluse leggi aggiornate al 2025 e sentenze rilevanti, a garanzia della solidità giuridica dei consigli forniti. L’obiettivo è fornire una panoramica completa e avanzata – utile ad avvocati, commercialisti, consulenti e imprenditori stessi – su come alleggerire il peso fiscale in modo legale quando si hanno pendenze con il fisco, così da liberare risorse per regolarizzare la propria posizione e far crescere l’attività nel rispetto delle norme.

Debiti con l’ex Equitalia: cosa significano e come gestirli

Prima di esaminare le strategie di risparmio fiscale, è importante contestualizzare la situazione di chi “deve soldi all’ex Equitalia”. Equitalia era l’ente preposto alla riscossione dei tributi non pagati, sostituito dal 2017 da Agenzia delle Entrate-Riscossione. Avere debiti con AER significa che si hanno cartelle esattoriali o avvisi di pagamento non saldati relativi a imposte, contributi o multe. Questi debiti possono derivare, ad esempio, da IRPEF non versata, IVA dovuta, contributi INPS arretrati, ecc., che dopo l’accertamento vengono iscritti a ruolo per la riscossione coattiva.

Chi ha debiti fiscali iscritti a ruolo potrebbe trovarsi di fronte a misure come fermi amministrativi, pignoramenti (su conti correnti, stipendi, ecc.) o ipoteche su immobili, se non si interviene. Gestire il debito esattoriale in modo attivo è fondamentale. Gli strumenti principali per chi ha cartelle pendenti sono:

  • Rateizzazione ordinaria o straordinaria delle cartelle: Si può chiedere di pagare a rate, ottenendo un piano di dilazione. Fino al 2024 la regola generale consentiva piani fino a 72 rate mensili (6 anni) per debiti fino a €120.000, ottenibili con semplice richiesta di temporanea difficoltà; per importi superiori o in caso di grave e comprovata difficoltà economica, si poteva arrivare fino a 120 rate (10 anni). Dal 1° gennaio 2025, la disciplina è stata resa ancora più flessibile: per richieste presentate nel 2025-2026, anche debiti ≤ €120.000 possono essere dilazionati fino a 84 mesi senza necessità di prova (96 mesi se la richiesta sarà nel 2027-2028). In caso di comprovata difficoltà, i piani straordinari possono arrivare comunque a 120 mesi; in particolare, per debiti > €120.000 resta possibile il piano in 120 rate, e persino per debiti ≤ €120.000 si può ottenere un’estensione tra 85 e 120 rate con richiesta nel 2025-26 (fino a 120). Pagare a rate mette in regola il contribuente, evitando azioni esecutive future purché le rate vengano versate puntualmente. Inoltre, avere un piano di rateizzazione attivo ed in regola sospende le misure cautelari/esecutive (l’Agente della riscossione non procede con nuovi pignoramenti se si rispettano le rate).
  • Definizioni agevolate (“rottamazioni” delle cartelle): Negli ultimi anni il legislatore ha introdotto varie “rottamazioni” o “tregue fiscali”, che consentono di estinguere i debiti fiscali con sconti su sanzioni e interessi. L’ultima in vigore è la Rottamazione-quater prevista dalla legge di Bilancio 2023 (L.197/2022) per i carichi affidati tra il 1° gennaio 2000 e il 30 giugno 2022. Chi ha aderito paga solo il capitale (imposta o contributo dovuto) più una quota spese, senza dover versare interessi, sanzioni né interessi di mora e aggio di riscossione. Il pagamento può avvenire in un’unica soluzione oppure dilazionato fino a 18 rate (quattro rate ogni anno dal 2023 al 2027). Ad esempio, una cartella da €10.000 composta da €6.000 di imposta, €2.000 di sanzioni e €2.000 di interessi verrebbe “rottamata” pagando solo i €6.000 originari (oltre a circa € +3% di spese). Importante: la rottamazione non annulla il debito d’imposta, ma solo le penalità accessorie, ed è ammessa per debiti fiscali e contributivi (es. IVA, IRPEF, contributi INPS) ma non per alcune categorie di entrate (come il recupero di aiuti di Stato, certi dazi, ecc.). Per i debiti rottamati è fondamentale rispettare tutte le scadenze delle rate: la normativa prevede una tolleranza di pochi giorni (5 giorni) ma, oltre tale margine, il beneficio decade e tornano dovute per intero sanzioni e interessi. Nel 2023 la scadenza per aderire era il 30 giugno (poi estesa al 30 settembre 2023 in aree colpite da alluvioni), ma il Decreto Milleproroghe 2025 (L.14/2023) ha riaperto i termini di adesione per i contribuenti decaduti da precedenti rottamazioni, permettendo di chiedere la riammissione entro il 30 aprile 2025. Chi avesse perso il beneficio per mancato pagamento, quindi, ha avuto un’ulteriore chance di rientrare nel piano agevolato.
  • Stralcio dei piccoli debiti: La legge di Bilancio 2023 ha previsto anche l’annullamento automatico dei debiti di importo residuo fino a €1.000 affidati a ruolo dal 2000 al 2015. In pratica, al 31 marzo 2023 sono stati annullati d’ufficio (senza necessità di domanda) tutti i mini-debiti di quel periodo, limitatamente però a interessi e sanzioni – il cosiddetto “stralcio parziale”. Gli enti creditori (diversi dallo Stato) potevano deliberare di estendere lo stralcio anche alla quota capitale (rendendolo “integrale”), oppure di evitare lo stralcio. In sintesi, molte vecchie cartelle fino a mille euro sono state cancellate, alleviando la posizione debitoria di tanti contribuenti. È bene verificare sul proprio estratto conto AER se tali debiti risultano annullati. Per i debiti inferiori a €1.000 dal 2016 in poi, non c’è stralcio automatico, ma si può valutare di pagarli o ricomprenderli in una rottamazione (se rientrano nelle date) o rateizzazione.

Importante: avere debiti con AER non impedisce di aprire una nuova attività o società, né di continuare ad operare con la propria Partita IVA. I creditori (incluso il Fisco) però possono rivalersi sui beni e redditi del debitore. Pertanto, se l’imprenditore individuale genera utili, questi restano personalmente aggredibili. Avviare una società di capitali (ad esempio una SRL), dove la responsabilità per i nuovi debiti è della società, può offrire una separazione patrimoniale: i debiti fiscali personali rimangono in capo all’individuo e non si trasferiscono alla società. Tuttavia, attenzione: trasferire attività o beni a terzi o a una società appena costituita al solo fine di sottrarli ai creditori fiscali può configurare il reato di “sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte” (art. 11 D.Lgs. 74/2000). Questo reato scatta in presenza di atti fraudolenti volti a rendere inefficace la riscossione di un debito tributario significativo (sopra una certa soglia, €50.000). La Cassazione ha chiarito che anche operazioni simulate di importo inferiore a €50.000 possono rilevare se concorrono a un disegno fraudolento. Dunque, le strategie devono essere lecite e trasparenti: è perfettamente lecito ottimizzare il carico fiscale o scegliere una forma giuridica più conveniente, mentre è illecito occultare redditi o spostare asset con l’unico scopo di evitare la riscossione.

In quest’ottica, vediamo ora come ridurre legalmente le tasse con la Partita IVA, così da poter disporre di maggior liquidità per onorare gradualmente i debiti pregressi e prevenire di accumularne di nuovi. La parola chiave è pianificazione fiscale: usare tutte le agevolazioni consentite dalla legge per pagare il giusto, e non più del dovuto, evitando al contempo comportamenti elusivi o evasivi che potrebbero aggravare la situazione.

Pagare meno tasse legalmente: principi generali

Pagare meno imposte “legalmente” significa sfruttare i margini di libertà consentiti dall’ordinamento tributario per ridurre il carico fiscale senza violare la legge. In diritto tributario occorre distinguere tra evasione fiscale ed elusione fiscale (abuso del diritto):

  • Evasione fiscale: consiste nella violazione manifesta della legge – ad esempio omettere fatturazioni, dichiarare meno redditi di quelli reali, utilizzare false fatture – al fine di non pagare le imposte dovute. È un comportamento illecito, che comporta sanzioni amministrative molto elevate e, oltre certi importi/percentuali, costituisce reato penale (si pensi alla dichiarazione infedele o omessa, alla sottrazione fraudolenta di beni al fisco, ecc. previsti dal D.Lgs. 74/2000). L’evasione va assolutamente evitata, specie da chi è già nel mirino del Fisco per debiti pregressi: aggraverebbe la posizione e potrebbe portare a denunce penali.
  • Elusione fiscale (abuso del diritto): consiste nell’utilizzare strumenti e forme giuridiche lecite con il solo scopo di ottenere un risparmio d’imposta, senza una reale ragione economica. A differenza dell’evasione, l’elusione non viola una specifica norma tributaria, ma persegue un vantaggio fiscale indebito aggirando lo “spirito” della legge. L’ordinamento italiano, in attuazione di principi UE, ha introdotto dal 2015 una clausola generale anti-elusione: l’art. 10-bis dello Statuto del Contribuente (L. 212/2000) vieta l’abuso del diritto, ossia operazioni prive di sostanza economica che realizzano benefici fiscali contrastanti con le finalità delle norme. In caso di condotta abusiva, l’Agenzia Entrate può disconoscere i vantaggi ottenuti (riqualificando le operazioni) e recuperare le imposte, oltre ad applicare sanzioni amministrative. Tuttavia, l’elusione fiscale non è reato (salvo sconfinare in reati dichiarativi se si superano limiti), ma comporta un contenzioso tributario. È quindi fondamentale muoversi entro i confini della pianificazione fiscale legittima.

La Cassazione ha più volte affermato che il contribuente è libero di scegliere, tra più operazioni o configurazioni giuridiche, quelle fiscalmente meno onerose, purché tali scelte abbiano sostanza economica e non siano fatte allo scopo esclusivo di risparmiare imposte. Ad esempio, costituire una società invece di operare come ditta individuale è lecito e può essere motivato da ragioni organizzative e di responsabilità limitata, oltre che fiscali; al contrario, creare artificiosamente società fittizie, interposte solo per far figurare costi o spostare redditi, sarebbe abuso. In sintesi, “pagare meno tasse legalmente” significa fare tax planning: pianificare l’attività tenendo conto delle regole fiscali e scegliendo quelle opzioni che comportano un minor carico tributario, senza inganno.

Ecco i principali strumenti che approfondiremo, attraverso cui è possibile ridurre il carico fiscale in modo legittimo:

  • Scelta del regime fiscale più favorevole: ad esempio, aderire a un regime forfettario a tassazione agevolata (15% o 5%) se se ne hanno i requisiti, invece che al regime ordinario IRPEF; oppure, valutare il passaggio da impresa individuale (tassata per trasparenza IRPEF) a società di capitali (tassata a IRES) se il livello di reddito e la situazione lo suggeriscono. Anche la scelta del regime IVA (ordinario vs speciali) e delle opzioni contabili può incidere sul cash flow tributario.
  • Detrazioni, deduzioni e crediti d’imposta: sfruttare tutte le spese deducibili dal reddito e le detrazioni dall’imposta previste dalla legge per la propria attività. Per chi è in contabilità ordinaria o semplificata, dedurre i costi inerenti riduce il reddito imponibile su cui si calcolano IRPEF/IRES. Inoltre, esistono crediti d’imposta e bonus (es. credito R&S, bonus investimenti in beni strumentali 4.0, crediti per formazione, per investimenti al Sud, ecc.) che possono abbattere l’imposta lorda dovuta. È fondamentale pianificare gli investimenti in modo da massimizzare l’uso di questi incentivi.
  • Ottimizzazione dei contributi previdenziali: i contributi obbligatori (INPS o casse professionali) sono un costo significativo per chi ha la Partita IVA. Sebbene non siano “tasse” in senso stretto, incidono sul totale da versare. Alcune strategie per ridurne l’impatto includono: scegliere la gestione previdenziale più conveniente (ove possibile), usufruire di eventuali riduzioni contributive (ad esempio lo sgravio del 35% per nuove imprese artigiane/commerciali under 30, se previsto), evitare doppie contribuzioni (es. se si è già dipendenti altrove, chiedere l’esonero dal minimale Inps per la ditta individuale), oppure – in ambito societario – privilegiare la remunerazione sotto forma di dividendi (non soggetti a contributi) rispetto a compensi da lavoro soggetti a contribuzione. Su quest’ultimo aspetto occorre equilibrio, come vedremo, per non sacrificare totalmente la copertura pensionistica.
  • Forma giuridica e struttura dell’attività: la scelta della forma d’impresa influenza la tassazione. Una ditta individuale paga l’IRPEF sui profitti (aliquote progressive fino al 43%) e i contributi personali, mentre una società di capitali (es. SRL) paga l’IRES al 24% sugli utili e poi tassazione separata sui dividendi ai soci (26%), con possibilità di gestione diversa dei flussi finanziari. Anche le società di persone hanno regole proprie (tassazione per trasparenza sui soci). Una cooperativa a mutualità prevalente gode di agevolazioni sull’IRES (parziale esenzione sugli utili accantonati a riserva indivisibile). Valutare pro e contro di ciascuna forma (anche in base al settore: ad esempio alcune professioni possono operare solo come ditte individuali o studi associati, altre come STP, etc.) è parte del tax planning. È possibile, nei limiti della correttezza, anche combinare più entità (es. la propria persona fisica e una società) per gestire diverse attività in modo efficiente, purché ogni schema abbia una ragione operativa credibile.
  • IVA e imposte indirette: l’IVA, essendo un’imposta sui consumi, di norma è neutrale per il titolare di Partita IVA (si addebita ai clienti e si detrae sugli acquisti). Tuttavia, in alcuni casi la gestione dell’IVA può influire sulla liquidità e quindi indirettamente sul “carico” di anticipi finanziari: ad esempio il regime forfettario esonera dall’IVA (non si addebita ai clienti né si detrae, semplificando gli adempimenti), oppure l’uso del regime IVA per cassa (per le ditte che ne hanno i requisiti) consente di versare l’IVA solo dopo l’incasso delle fatture, evitando esborsi anticipati. Inoltre, alcuni settori hanno regole particolari come l’IVA con reverse charge o split payment: se operi come subappaltatore edile in reverse charge, ad esempio, sulle fatture ai tuoi clienti non applichi l’IVA (che sarà assolta dal committente), e questo ti evita di dover versare quell’IVA allo Stato, migliorando la tua posizione finanziaria. Sfruttare queste norme (quando applicabili) riduce i flussi finanziari uscenti legati all’IVA. Anche le accise, imposte locali e altre indirette possono essere ottimizzate (ad es. scegliendo dove ubicare l’attività se vi sono aliquote IMU o TARI diverse, o benefici in zone ZES, ecc., anche se entriamo in ambiti specifici).

Riassumendo: la leva fiscale offre varie opportunità di risparmio lecite, ma occorre pianificare attentamente e possibilmente con l’ausilio di un professionista. Di seguito, entriamo nel dettaglio dei singoli aspetti, con un’analisi delle opzioni e degli effetti per ciascuna area fiscale.

Scegliere il Regime Fiscale Ottimale (Forfettario vs Ordinario)

La prima decisione per chi opera con Partita IVA è il regime fiscale da adottare per la determinazione del reddito e delle imposte. Attualmente, la scelta principale per le persone fisiche titolari di impresa o di lavoro autonomo è tra il regime forfettario (flat tax) e il regime ordinario (contabilità semplificata o ordinaria con tassazione IRPEF progressiva). Questa scelta “influisce molto sulla tassazione” e rappresenta spesso il modo più immediato per ridurre il carico fiscale, se si possiedono i requisiti per il regime agevolato.

Regime forfettario – Introdotto inizialmente dalla L. 190/2014 e successivamente modificato, è un regime fiscale agevolato riservato a contribuenti persone fisiche (ditte individuali o professionisti) con ricavi entro una certa soglia. Dal 2023 la soglia di accesso e permanenza è stata elevata a €85.000 annui di ricavi/compensi, in seguito alla Legge di Bilancio 2023, ed è stato confermato per il 2024-2025. Le caratteristiche salienti del forfettario sono:

  • Imposta sostitutiva fissa al 15% sul reddito imponibile calcolato forfettariamente (aliquota ridotta al 5% per i primi 5 anni per le nuove attività, se rispettano talune condizioni). Questa imposta sostituisce IRPEF, addizionali regionali/comunali e IRAP. Ciò significa che, indipendentemente dall’ammontare del reddito (finché nei limiti dei ricavi), il prelievo fiscale è forfettario e proporzionale, non progressivo.
  • Determinazione forfettaria del reddito: non si deducono i costi effettivi, ma si applica al totale dei ricavi/compensi un coefficiente di redditività predeterminato per settore (esempio: commercio 40%, professionisti 78%, artigiani 67% ecc.). Il reddito imponibile è quindi ricavi × coefficiente, e su tale importo si applica il 15% (o 5%). I contributi previdenziali obbligatori versati nel corso dell’anno sono comunque deducibili dal reddito forfettario, riducendo l’imponibile.
  • Esenzione IVA e semplificazioni: il contribuente forfettario non addebita l’IVA in fattura ai clienti, e non può detrarre l’IVA sugli acquisti. È esonerato dalla liquidazione e versamento dell’IVA, nonché da molti adempimenti IVA (dichiarazione annuale IVA, registri IVA). Inoltre è esonerato dagli obblighi di tenuta delle scritture contabili ai fini reddituali (pur dovendo conservare i documenti) e da ISA (indicatori sintetici di affidabilità). In sostanza, contabilità e burocrazia ridotte.
  • Esclusioni e cause di decadenza: non tutti possono aderire al forfettario. Tra le cause di esclusione: avere partecipazioni di controllo in srl con attività riconducibile a quella della partita IVA; superare il limite di ricavi (€85.000); aver percepito redditi di lavoro dipendente o pensione sopra €30.000 nell’anno precedente (novità introdotta dal 2020 poi abrogata nel 2023, quindi attualmente il limite di €30.000 non c’è più); esercitare attività soggette a regimi speciali IVA; emettere prevalentemente fatture a ex datori di lavoro (per evitare trasformazioni artificiose di lavoro dipendente in P.IVA). Inoltre, se si supera €100.000 di ricavi in corso d’anno, scatta l’uscita immediata dal forfettario (dal mese successivo si applica l’IVA e dal nuovo anno si torna a regime IRPEF ordinario). Se invece si supera €85.000 ma non €100.000, si esce dal regime dall’anno successivo.

Il vantaggio del forfettario è chiaro: tassazione al 15% forfettaria, spesso inferiore all’IRPEF che si pagherebbe in regime ordinario già per redditi medio-bassi (il primo scaglione IRPEF 23% arriva fino a 15.000€; oltre, sale al 25%, 35% e 43%). Inoltre non addebitando l’IVA si può essere più competitivi sui prezzi verso clienti finali, e la gestione è più semplice. Tuttavia, se l’attività comporta molti costi e margini ridotti, il coefficiente forfettario potrebbe risultare penalizzante rispetto alla deduzione analitica dei costi reali. Ad esempio, un commerciante forfettario viene tassato sul 40% dei ricavi forfettariamente; se il suo margine effettivo è del 20%, finirà per pagare imposta su un reddito forfettario maggiore di quello reale. Occorre quindi valutare caso per caso.

Regime ordinario (IRPEF) – Chi non rientra o non opta per il forfettario è nel regime ordinario (solitamente con contabilità semplificata per piccole imprese sotto certi limiti di ricavi). Qui si determina il reddito in modo analitico: Ricavi – Costi deducibili = Reddito imponibile. L’utile così calcolato è soggetto a IRPEF con aliquote progressive per scaglioni di reddito, attualmente: 23% fino a €15.000; 25% oltre 15.000 fino a 28.000; 35% da 28.000 fino a 50.000; 43% oltre €50.000 (più addizionali regionali e comunali, che variano). A differenza del 15% secco, l’IRPEF cresce all’aumentare del reddito. Inoltre, l’impresa individuale in regime ordinario dal 2022 non è più soggetta a IRAP (imposta regionale sulle attività produttive) per legge, essendo stata abolita per persone fisiche e società di persone dall’esercizio 2022. Resta l’IRAP solo per società di capitali e enti commerciali.

Nel regime ordinario si possono dedurre tutte le spese inerenti all’attività e detrarre alcuni oneri. Ad esempio, sono deducibili dal reddito d’impresa: acquisto di materie prime, merci, beni strumentali (a quote di ammortamento), canoni di leasing, spese per l’ufficio (affitti, bollette), costi di auto aziendali (in parte, secondo regole specifiche), spese di pubblicità, formazione, assicurazioni professionali, i contributi INPS obbligatori versati, eventuali compensi a collaboratori familiari o dipendenti, ecc. Queste deduzioni riducono il reddito su cui si applica l’IRPEF. Inoltre l’imprenditore può beneficiare, sulla sua IRPEF, delle detrazioni fiscali personali (ad esempio detrazioni per carichi di famiglia, detrazioni per spese sanitarie, interessi su mutui, ristrutturazioni edilizie, ecc.), che in regime forfettario invece non esistono perché l’imposta è sostitutiva.

Il regime ordinario implica anche la gestione dell’IVA: si applica l’IVA sulle vendite (22% l’aliquota ordinaria, o altre a seconda dei beni/servizi) e si detrae l’IVA sugli acquisti. Si effettuano le liquidazioni IVA periodiche e il versamento dell’eventuale debito (o si riporta il credito). Amministrativamente è più oneroso (richiede tenuta dei registri contabili e IVA, dichiarazioni annuali, esterometro, ecc.).

Qual è la scelta migliore? In linea generale: se il volume di affari è sotto €85.000 e si hanno pochi costi deducibili, il regime forfettario tende a convenire per via della tassa piatta ridotta. Esempio: un consulente individuale con €50.000 di compensi annui e poche spese avrebbe in forfettario (coefficiente 78%) un reddito imponibile di €39.000 tassato al 15% = €5.850 di imposta (oltre ai contributi); in regime ordinario, supponendo €10.000 di costi deducibili, avrebbe reddito €40.000 tassato per scaglioni: l’IRPEF sarebbe intorno a €10.380 (calcolata: 23% sui primi 15k = 3.450; 25% sui successivi 13k = 3.250; 35% sui restanti 12k = 4.200) più addizionali – nettamente superiore. Viceversa, se si hanno molti costi (materiali, dipendenti, ecc.) o se i margini sono bassi, il regime ordinario potrebbe risultare più vantaggioso perché consente di abbattere quasi a zero l’imponibile, mentre il forfettario ti tasserebbe comunque su una percentuale forfettaria. Ad esempio, un piccolo commerciante con ricavi €80.000 e costo del venduto di €50.000 + altre spese €20.000, in ordinario avrebbe reddito €10.000 (tasse IRPEF circa €2.300); in forfettario (coeff. 40%) avrebbe imponibile €32.000 e imposta €4.800, quasi il doppio, pur con aliquota minore, perché non può dedurre quei €70.000 di costi.

Caso particolare – Flat Tax incrementale: la legge di Bilancio 2023 ha introdotto (per il solo anno d’imposta 2023) una misura chiamata “flat tax incrementale”. Si tratta di un regime una tantum pensato per chi non è in forfettario, che consente di tassare al 15% l’incremento di reddito 2023 rispetto al maggiore dei redditi del triennio precedente, al netto di una franchigia del 5%, fino a un massimo di €40.000 di imponibile agevolabile. In pratica, se un lavoratore autonomo aveva dichiarato €30.000 come reddito più alto nel triennio 2020-2022, e nel 2023 ne dichiara €50.000, l’incremento è €20.000; tolta la franchigia 5% (€1.000), €19.000 vengono tassati al 15% invece che alle aliquote ordinarie. Questa misura, che va calcolata in dichiarazione dei redditi PF2024, è una tantum e non strutturale, pensata per incentivare a dichiarare redditi maggiori senza l’“ansia” dell’aliquota progressiva. Al momento (maggio 2025) non risulta prorogata per il 2024. È comunque un esempio di come il legislatore stia muovendosi verso forme di flat tax anche per soggetti ordinari. Per il futuro, la Delega Fiscale (L. 111/2023) prevede l’eventuale rimodulazione delle aliquote IRPEF (verso tre scaglioni) e l’estensione della flat tax per gli autonomi, ma si tratta di prospettive in corso di definizione.

In sintesi: Sfruttare il regime forfettario se possibile è una delle strategie più efficaci di risparmio fiscale per le partite IVA, ed è del tutto legale. Bisogna solo rispettare le condizioni imposte dalla norma ed essere consapevoli delle limitazioni (no detrazioni personali, impossibilità di dedurre costi). Se si è costretti o si sceglie il regime ordinario, si potrà comunque intervenire con altre leve (deduzioni, scelte di investimento, ecc.) per mitigare la più alta progressività dell’IRPEF.

Tabella: Confronto rapido Regime Forfettario vs Regime Ordinario (Ditta individuale)

CaratteristicaRegime ForfettarioRegime Ordinario (IRPEF)
Soglia ricavi/compensiFino a €85.000 (uscita immediata oltre €100.000)Nessun limite di ricavi (oltre €65.000 contabilità ord.)
Aliquota imposta15% (5% start-up) imposta sostitutiva (flat tax)IRPEF progressiva 23% – 43% + addizionali
Calcolo reddito imponibileForfettario: ricavi × coeff. redditività (no costi analitici)Analitico: ricavi – costi deducibili effettivi
IVANon si addebita IVA né si detrae (esente IVA art.1 c.54 L.190/2014)Si applica IVA su vendite, con detrazione su acquisti
ContabilitàSemplificata: esonerato da registri IVA e scritture contabili ordinarieContabilità semplificata (registri obbligatori IVA e reddito)
Deduzione contributiContributi INPS deducibili dal reddito forfettarioContributi INPS deducibili dal reddito di impresa
Altre deduzioni costiNON deducibili (forfait implicitamente li considera)Deducibili tutti i costi inerenti documentati
Detrazioni IRPEF personaliNON spettano (imposta sostitutiva)Spettano (detrazioni per lavoro, familiari, oneri detraibili)
IRAPNon dovutaNon dovuta (abolita per persone fisiche dal 2022)
Contributi previdenzialiDovuti alle gestioni di appartenenza (aliquote come ord.)Dovuti in base alla gestione (nessuna differenza di aliquota)
ConvenienzaIdeale per chi ha pochi costi e ampio margine; semplificazione burocraticaIdeale se si hanno molti costi da dedurre; necessario se superata soglia ricavi

Nota: La convenienza va sempre valutata caso per caso con simulazioni concrete. La tabella riassume regole generali aggiornate al 2025.

Deduzioni, Detrazioni e Spese Deducibili: “Scaricare i Costi” in Modo Intelligente

Per pagare meno tasse, soprattutto quando si è in regime ordinario IRPEF, è essenziale dedurre tutti i costi fiscalmente riconosciuti e ottenere le detrazioni spettanti. “Scaricare le spese” (nel linguaggio comune) significa far valere in dichiarazione i costi dell’attività, in modo da abbattere il reddito imponibile e quindi ridurre l’imposta dovuta. Questa sezione è particolarmente rilevante per ditte individuali, professionisti e società di persone in contabilità semplificata/ordinaria, ma molti principi valgono anche per le società di capitali (le quali deducono i costi per determinare l’IRES).

Ecco le principali categorie di spese deducibili per un titolare di Partita IVA in Italia (normativa TUIR, DPR 917/86) e alcune attenzioni per massimizzarne il beneficio:

  • Contributi previdenziali obbligatori: come già accennato, tutti i contributi INPS versati per la propria posizione (gestione artigiani e commercianti, gestione separata, casse professionali) sono deducibili al 100% dal reddito d’impresa o di lavoro autonomo. Ad esempio, un artigiano che versa €4.000 di contributi fissi e percentuali riduce di pari importo il reddito su cui paga IRPEF. Detrarre i contributi è automatico, ma è bene ricordarsi di includere eventuali versamenti facoltativi (riscatti, ecc. se deducibili) e di considerare anche i contributi dei collaboratori a carico dell’impresa.
  • Spese per locali e uffici: affitti, leasing immobiliari, utenze di immobili adibiti all’attività sono deducibili. L’affitto di un ufficio o negozio è di norma interamente deducibile (100%). Se un professionista utilizza una stanza della propria abitazione come studio, può dedurre in percentuale le spese (es. quota di affitto, o ammortamento se proprietario, e bollette) proporzionalmente all’uso professionale (ad es. 20% se un quinto di casa è adibito a studio, con criterio oggettivo). Importante formalizzare contratti d’uso promiscuo o locazione parziale per giustificare la deduzione in caso di verifica. Le utenze (luce, gas, telefono, internet) relative a immobili dell’attività sono deducibili al 100% se intestate all’attività; per cellulari e internet usati promiscuamente si deduce tipicamente una quota (es. telefonia mobile 80% deducibile per imprese, 100% per professionisti ma con forfait 20% imponibile IRAP che ora per PF non rileva più).
  • Beni strumentali e attrezzature: gli acquisti di beni durevoli necessari all’attività (macchinari, attrezzi, computer, automezzi, mobili per ufficio, etc.) sono deducibili tramite ammortamenti. Ovvero, il costo viene ripartito su più anni secondo percentuali stabilite da appositi decreti ministeriali (ad es. attrezzature informatiche 20% annuo, mobili 12%, macchinari vari 15-20%…). Dedurre integralmente e il prima possibile il costo dei beni strumentali riduce il reddito tassabile. Ci sono misure che accelerano le deduzioni: ad esempio il super ammortamento (in passato) o l’attuale credito d’imposta beni 4.0 (che di fatto dà un credito invece della deduzione extra). Nel 2023-2025, le imprese possono usufruire di crediti d’imposta per investimenti in beni tecnologicamente avanzati (aliquote variabili, es. 20% per beni materiali Industria 4.0 nel 2023, con scalare negli anni successivi). Questi crediti riducono direttamente l’imposta da pagare, quindi rappresentano una forma di “deduzione potenziata”. Esempio pratico: un’azienda individuale compra un macchinario da €50.000 nel 2023 che rientra tra quelli “4.0”; ammortamento 15% annuo + credito d’imposta 20% = potrà dedurre €7.500/anno come costo e avere un credito di €10.000 da usare in compensazione in 3 quote annuali. Il beneficio fiscale combinato è notevole, riducendo tasse per più anni. Conviene dunque programmare investimenti in anni in cui sono vigenti tali incentivi e in cui si hanno utili da tassare.
  • Automezzi e spese di trasporto: capitolo delicato. Le spese per autovetture dipendono dall’uso: se l’auto è strumentale all’attività (es. autoscuola, taxi, noleggio, agente di commercio) è deducibile al 100%. Per i professionisti, è deducibile al 20% del costo con un tetto massimo (attualmente €18.075,99 di costo: significa max deducibile €3.615 annuo per 5 anni) per un solo automezzo; carburante e manutenzioni anch’essi al 20%. Per imprese (ditte) l’auto concessa in uso promiscuo a dipendente ha deducibilità 70%, altrimenti normalmente 20% come per i professionisti (sempre con tetto costi). Moto e ciclomotori ancora differenti (il 50% o 20% a seconda dei casi). È importante tenere traccia dell’utilizzo: un eccesso di deduzioni auto senza giustificazione può innescare controlli. Anche le spese di viaggio, vitto e alloggio per trasferte sono deducibili (al 100% per l’impresa; per il professionista c’è il limite del 2% dei compensi per vitto/alloggio deducibili se sostenute direttamente). Sfruttare le trasferte per dedurre rimborsi chilometrici, hotel e pasti effettivamente legati all’attività consente di abbassare il reddito imponibile, ma naturalmente vanno rispettati i limiti normativi e conservati i documenti (ricevute, ecc.).
  • Spese per dipendenti e collaboratori: i compensi corrisposti a terzi per l’attività (stipendi e relativi contributi a dipendenti, compensi a co.co.co o professionisti esterni, provvigioni ad agenti) sono generalmente deducibili integralmente. Anche gli eventuali compensi al coniuge o familiari collaboratori dell’impresa familiare sono deducibili nei limiti delle quote di riparto dell’utile assegnate (occorre avere la costituzione formale di impresa familiare ex art. 230-bis c.c. con atto notarile e comunicazione, per poter ripartire gli utili tra titolare e familiari fino al 49% a questi ultimi: in tal caso, quella parte di reddito sarà tassata in capo ai familiari, spesso con aliquote minori se hanno altri redditi bassi – un modo legale di income splitting familiare). Le imprese possono dedurre anche i ristorni ai soci lavoratori (nelle cooperative) e i compensi agli amministratori. Nel caso di società di capitali, il compenso all’amministratore unico (che magari è anche proprietario) è un costo deducibile per la società e tassato come reddito di lavoro per l’amministratore; questo può ridurre l’utile IRES della società, trasferendo tassazione (e contributi) sul piano personale dove, se contenuta in scaglioni bassi, può portare risparmio rispetto a tassare tutto al 24%+26%. Bisogna però fare attenzione a non esagerare con compensi amministratore fittizi solo per azzerare utili, perché devono essere congrui rispetto al lavoro svolto.
  • Interessi passivi e oneri finanziari: deducibili con limiti. I finanziamenti contratti per l’attività generano interessi deducibili entro il 30% del Risultato Operativo Lordo (per imprese individuali e società di persone questo concetto si applica in modo simile alle società di capitali). In pratica un artigiano che paga interessi sul fido bancario per €2.000 può dedurli se ha un margine operativo lordo di almeno ~€6.667 (30% di 6.667 = 2.000); gli interessi eccedenti eventualmente si riportano a nuovo. Per i professionisti invece gli interessi dei mutui per immobili uso ufficio sono deducibili in quota, quelli su mutui personali no. Le commissioni pagate su anticipi fatture, factoring, ecc. sono deducibili come costi bancari.
  • Accantonamenti e altre spese: alcune imprese possono dedurre accantonamenti (TFR dipendenti, rischi su crediti entro il limite del 5% dei crediti – se forfetario niente di ciò ovviamente). Le perdite su crediti sono deducibili quando certe e precise (ad esempio fallimento del debitore). È importante sfruttare queste deduzioni quando se ne ha diritto, ad esempio dedurre a perdita un credito inesigibile per ridurre l’utile tassabile.

In aggiunta alle deduzioni (che agiscono sul reddito imponibile), vanno considerate le detrazioni d’imposta disponibili per il contribuente persona fisica. Ad esempio, l’imprenditore individuale o professionista potrà applicare, sulla propria IRPEF lorda, le detrazioni per lavoro autonomo (che spettano in misura decrescente al crescere del reddito), quelle per familiari a carico, e quelle per oneri detraibili (19% di spese sanitarie, interessi mutuo prima casa, spese istruzione figli, assicurazioni vita, contributi domestici, bonus ristrutturazioni 50%/65% ecc.). Queste non riducono il reddito dell’attività, ma abbassano l’imposta netta da pagare. In regime forfettario però tali detrazioni non sono utilizzabili direttamente, perché non c’è IRPEF ma un’imposta sostitutiva che non prevede detrazioni (tranne eventuali crediti d’imposta spettanti anche ai forfettari, es. bonus sanificazione emergenza Covid o altri casi straordinari). Dunque, uno svantaggio del forfettario è che se l’imprenditore ha spese personali detraibili (es. spese mediche ingenti) non potrà recuperarle dall’imposta. Può tuttavia beneficiare di deduzioni “sopra linea” come i contributi previdenziali e eventuali erogazioni liberali deducibili dal reddito.

Strategie pratiche sulla deducibilità:

  • Documentare tutte le spese: sembra banale, ma spesso piccoli imprenditori o professionisti trascurano di tenere scontrini, ricevute o fatture per spese minori (parcheggi, pedaggi, cancelleria, aggiornamento professionale). Invece, cumulativamente queste spese possono risultare qualche migliaio di euro annui: dedurle o non dedurle può significare qualche centinaio di euro di tasse risparmiate. È utile adottare un sistema (anche digitale) per raccogliere sistematicamente tutte le spese inerenti durante l’anno.
  • Uso del leasing o noleggio: se non si vuole immobilizzare capitale comprando beni strumentali, il leasing consente deduzioni spesso accelerate. Ad esempio, il leasing auto per professionisti è deducibile con le stesse percentuali (20%) ma in un periodo minimo di soli 4 anni (anziché 5 anni di ammortamento), velocizzando il recupero fiscale. Il noleggio a lungo termine di veicoli ha un tetto deducibile annuale (circa €3.615 anno per auto, analogo al leasing) più la quota servizi, ma dà flessibilità. Anche macchinari e attrezzature in leasing operativo possono portare deduzioni immediate del canone.
  • Spese di formazione e aggiornamento: investire in corsi, master, convegni, libri professionali genera spese deducibili al 100% per i professionisti (nei limiti di €10.000 annui per corsi e convegni, introdotto dal 2017) e integralmente per imprese. Queste spese non solo migliorano il business, ma sono un modo per ridurre il reddito tassabile. Ad esempio un avvocato con reddito €50.000 che spende €5.000 in un master specialistico deduce l’intera somma (nei limiti previsti) risparmiando oltre €1.500 di IRPEF, oltre a migliorare la propria formazione.
  • Utilizzare ammortamenti anticipati: quando consentito, ad esempio con beni nuovi c’è spesso la possibilità di maggiorare le quote (es. in passato il 130% o 140% con super-ammortamento, ora convertito in crediti d’imposta). Anche la scelta di dedurre subito componenti negative facoltative (tipo spese di manutenzione entro il 5% beni, se non si raggiunge il limite si può dedurre il restante nel 5 anni successivi) va fatta a seconda dell’utile: se un anno ho imponibile alto, conviene massimizzare deduzioni; se ho quasi in perdita, potrei rinviare deduzioni a quando le potrò sfruttare meglio. È quindi utile farsi simulare dal commercialista il risultato previsionale a ottobre-novembre per valutare mosse di fine anno (acquisti da anticipare, spese da effettuare, deduzioni da rimandare).
  • Compensare plusvalenze con reinvestimenti: Se si vendono beni strumentali realizzando plusvalenze tassabili, esistono norme che permettono in certi casi di rateizzare la tassazione (ad es. plusvalenze da cessione di azienda o rami, tassabili in 5 anni se richiesto) o di escluderla reinvestendo. Un esempio è la “PEX” (Participation Exemption) per cessione di partecipazioni societarie qualificate in capo a società di capitali: il 95% della plusvalenza è esente se la partecipazione era detenuta da >12 mesi e la partecipata è commerciale. Per le imprese individuali, vendere un immobile strumentale generando plusvalenza può comportare IRPEF elevata: conviene valutare l’opzione di affrancamento (pagando imposta sostitutiva 10% sull’apprezzamento latente prima di cedere) se normative pro-tempore lo consentono. Ogni evento straordinario va pianificato per minimizzare l’impatto fiscale.

In conclusione, “scaricare i costi” in modo completo e consapevole è fondamentale: ogni euro di costo dedotto fa risparmiare fino a 43 centesimi di IRPEF (per chi sta nell’aliquota massima) o 24 centesimi di IRES se società. Bisogna ovviamente evitare di far figurare costi non reali o personali come fossero aziendali (questo sarebbe illecito e in caso di verifica verrebbero ripresi a tassazione con sanzioni). Ma documentare e imputare correttamente tutti i costi legittimi non è mai un problema, anzi è segno di buona gestione fiscale. Un imprenditore con debiti fiscali dovrebbe ancor di più evitare di “regalare” al Fisco imposte su redditi che in realtà non rappresentano capacità contributiva perché erosi dalle spese. Meglio investire nell’attività (o nella propria formazione, o in strumenti di lavoro migliori) e dedurre tali investimenti, piuttosto che risparmiare su tutto e poi pagare il 50% in tasse di quell’importo risparmiato.

Ottimizzare i Contributi INPS e Previdenziali

Oltre alle imposte, chi ha Partita IVA deve considerare il costo della previdenza obbligatoria: contributi INPS (per artigiani, commercianti e professionisti senza cassa) o contributi alle casse professionali autonome (avvocati, ingegneri, medici, ecc.). I contributi possono “pesare” quasi quanto le tasse: ad esempio un commerciante paga circa il 24% di contributi sul reddito (oltre un minimale fisso), un professionista in gestione separata ~26%, un artigiano il 24%, etc. Ottimizzare i contributi non significa evitarli del tutto (sarebbe illegale e controproducente per la futura pensione), ma ridurne l’impatto all’interno di quanto le norme consentono.

Vediamo i principali sistemi previdenziali per le partite IVA e le possibili strategie:

  • Gestione INPS Artigiani e Commercianti: vi sono iscritti d’ufficio gli imprenditori individuali che esercitano attività artigiana o commerciale (inclusi i soci accomandatari di S.a.s. e soci di S.n.c.). L’INPS richiede un contributo minimale fisso annuo (che copre un reddito fino a circa €18.000) e oltre tale reddito un’aliquota percentuale. Per il 2024 il minimale di reddito è €18.555 e il contributo fisso relativo è €3.689 annui, che copre fino a reddito=€18.555; oltre questo, si paga il 24% (artigiani) o 24,48% (commercianti) sull’eccedenza di reddito fino al massimale contributivo (€86.983 per il 2024), e aliquote leggermente aumentate (25-25,48%) sulla parte eccedente €55.000. Strategie: (1) Verificare diritto a riduzioni: i nuovi iscritti under 35 possono chiedere uno sgravio del 35% sui contributi per i primi 5 anni (misura più volte prorogata, da confermare anno per anno) – questo riduce significativamente il peso contributivo. (2) Esonero doppia contribuzione: se il titolare ha già una copertura previdenziale da lavoratore dipendente a tempo pieno, può chiedere di essere esonerato dal versamento del contributo minimale nella gestione artigiani/commercianti (pagherà solo il contributo percentuale sull’eventuale reddito eccedente il minimale). Ciò significa che se, ad esempio, una persona lavora come dipendente e avvia una piccola ditta individuale secondaria, non dovrà pagare i circa €3.700 fissi annui, ma solo una percentuale sugli utili eventualmente prodotti oltre ~€18.000. Questo esonero, introdotto qualche anno fa, è estremamente utile per chi ha attività marginali. Attenzione che bisogna presentare domanda e dimostrare di avere già contribuzione piena in altra gestione. (3) Soci di SRL: curiosamente, l’obbligo INPS artigiani/commercianti sussiste anche per i soci lavoratori di SRL che esercitano attività riconducibili al commercio o artigianato e detengono partecipazione di controllo. In tali casi, oltre all’eventuale compenso da amministratore (che andrebbe in gestione separata), l’INPS spesso pretende l’iscrizione come contribuente commercianti/artigiani con relativo versamento sul reddito figurativo. Una pianificazione è: se si crea una SRL in ambito commerciale/artigiano e non si vuole tale onere, conviene che il socio operativo non abbia la maggioranza del capitale (es. avere un socio di maggioranza non attivo e il socio lavoratore al 49%): la giurisprudenza infatti ha affermato che l’obbligo di iscrizione sussiste per il socio operativo e di maggioranza. Questo però entra in una pianificazione molto fine che coinvolge assetti societari (va fatta con criterio per non configurare abusi).
  • Gestione Separata INPS: vi aderiscono i lavoratori autonomi senza cassa professionale (es. consulenti aziendali, informatici, amministratori di società, co.co.co, ecc.). L’aliquota contributiva 2024 è del 26,23% per i soggetti non assicurati altrove (25% IVS + 0,72% aggiuntivo maternità/malattia + 0,51% ISCRO). Per chi è già pensionato o ha altra tutela previdenziale obbligatoria (es. ha anche un lavoro dipendente), l’aliquota è ridotta al 24%. Non c’è un minimale da versare: si paga in percentuale sul reddito effettivo dichiarato, anche se di pochi euro (c’è però un minimale di reddito molto basso per maturare l’annualità). Strategie: (1) Evitare doppia iscrizione: se si è già iscritti ad altra gestione (es. caso del dipendente con seconda attività di consulente) si paga il 24% invece che 26,23%, e soprattutto non c’è un fisso. Quindi avviare un’attività in gestione separata come side-business è meno oneroso che avviare una ditta commerciale con il fisso, come detto. (2) Compensi amministratore vs dividendi: un titolare di SRL che voglia minimizzare i contributi spesso preferisce non percepire un compenso da amministratore, ma prelevare utili sotto forma di dividendi. I dividendi infatti non scontano contributi INPS. Se Tizio ha una SRL al 100% e lavora in essa, ha due modi per remunerarsi: A) farsi dare un compenso annuo da amministratore (o instaurare un contratto di lavoro, se possibile) – in tal caso pagherà il 26,23% INPS gestione separata sul compenso e l’IRPEF su di esso (ma la SRL deduce il costo, risparmiando IRES 24%); B) distribuire utili a fine anno – in tal caso paga 26% imposta sui dividendi e zero contributi, ma la SRL avrà pagato il 24% IRES sugli utili prima della distribuzione. Bisogna confrontare le incidenze: spesso la soluzione dividendo risulta vantaggiosa per importi elevati, mentre per importi bassi un compenso può generare meno imposte totali grazie agli scaglioni IRPEF bassi. Esempio: utile €30.000. Opzione dividendo: SRL paga €7.200 di IRES (24%), restano €22.800 distribuibili, l’azionista paga €5.928 (26%) di tasse sui dividendi e incassa netti €16.872. Opzione compenso: SRL deduce €30.000, va in utile zero (no IRES), l’amministratore paga contributi 26,23% (circa €7.869) e IRPEF sul netto (€30.000-7.869=€22.131 imponibile IRPEF; IRPEF su 22.131 ≈ €4.116 se consideriamo aliquote 23% su 15k e 25% su 7,131), incassando circa €18.015 netti dopo tasse. In questo scenario, il compenso dà leggermente più netti (18.015 vs 16.872) e per di più l’amministratore ha accumulato contribuzione pensionistica. Per importi molto alti, però, l’IRPEF schizza al 43% e rende i compensi meno efficienti. In definitiva, mixare compensi e utili può ottimizzare: garantire magari un compenso sufficiente a coprire il minimale contributivo e a stare nei primi scaglioni IRPEF, e prendere il resto a dividendo. Inoltre, nel 2025 c’è l’incentivo IRES premiale (vedi oltre) se utili reinvestiti non distribuiti, quindi l’imprenditore potrebbe decidere di non prelevare affatto utili per un certo periodo, riducendo i prelievi soggetti a contributi/tasse ora per avere un beneficio fiscale in società. Ovviamente deve poterselo permettere economicamente.
  • Casse professionali autonome: molte professioni ordinistiche (avvocati, commercialisti, medici, ingegneri, architetti, farmacisti, ecc.) hanno la propria Cassa di previdenza. Le aliquote contributive variano (dal ~12-15% sui redditi per alcune casse fino a oltre 25% per altre, spesso con contributi minimi annuali). Alcune casse (es. Cassa Forense per avvocati) modulano i contributi in base al reddito con scaglioni e prevedono agevolazioni per i neo iscritti. In termini di “pagare meno tasse”, i contributi alle casse sono deducibili IRPEF al pari di quelli INPS. Non c’è molto margine di ottimizzazione, se non: (1) scegliere eventualmente il regime forfettario se i requisiti permettono, poiché alcune casse (es. degli architetti) riducono l’aliquota contributiva se si è forfettari, considerando che non si versa IVA e quindi il contributo integrativo di solito versato sui corrispettivi potrebbe essere minore. (2) Per i professionisti con cassa, costituire uno studio associato o STP in forma societaria non evita i contributi: i redditi professionali societari sono comunque assoggettati a contribuzione presso la stessa cassa per i soci/associati. Dunque non c’è scappatoia reale sul piano contributivo, salvo non esercitare più quella professione e operare in altra veste (ma questo esula dall’ottica di mantenere la stessa attività).

Aliquote e contribuzioni a confronto (2025):

Gestione previdenzialeAliquota contributivaNote
INPS Artigiani (titolari e collaboratori >21)24% del reddito + €3.689 fissi annui (fino €18.555 reddito)+0,48% IVS supplementare per familiari <21 anni (ridotta). Massimale reddito ~€86.983 (oltre non dovuto).
INPS Commercianti24,48% del reddito + €3.689 fissi annui (simile agli artigiani)Percentuale leggermente maggiore per inclusioni assistenziali (maternità commercio).
INPS Gestione Separata (ness. altra copertura)26,23% del redditoInclude 0,72% maternità/malattia + 0,51% ISCRO. Massimale contributivo ~€113.520 (2024).
INPS Gestione Separata (già assicurato altrove o pensionato)24% del redditoNon dovute aliquote aggiuntive. Niente minimale, si versa solo in base al reddito.
Cassa Forense (Avvocati)26% sul reddito professionale (soggettivo) + 4% contrib. integrativo su fatturatoAliquota soggettiva variabile in aumento negli ultimi anni; contributo min. annuale ~€3.000. Neoiscritti under35: riduzione 50% contrib. minimi primi 5 anni.
Cassa Commercialisti (CNPADC)12% soggettivo su reddito fino €103.000, 3% eccedenza (minimo ~€1.000) + 4% integrativoPossibile modulare aliquota in aumento volontariamente.
Cassa Ingegneri/Architetti (Inarcassa)14,5% soggettivo (minimo ~€2.400) + 4% integrativo su fattureUnder35: aliquota soggettiva ridotta a 50% per i primi 5 anni.
Altre casse (medici ENPAM, psicologi ENPAP, etc.)Varia (ENPAM medici: ~19-24% su reddito a scaglioni; ENPAP psicologi 10% + eventuale ripartizione utile)Ognuna ha regole proprie, spesso con contributo minimo e aliquote progressive.

Dalla tabella si nota come le percentuali di contribuzione incidano in modo significativo: ad esempio un artigiano su €30.000 di reddito paga circa €3.689 + 24%*(30.000-18.555)=€3.689+€2.747=€6.436 (oltre 21% del reddito); un professionista senza cassa su €30.000 paga ~€7.869 (26.23%), un avvocato ~€7.800 (26%). Queste somme, essendo deducibili, riducono il reddito ai fini IRPEF, ma restano esborsi vivi.

Come ridurre l’impatto dei contributi? A parte i consigli già citati (usufruire di eventuali riduzioni giovani, evitare doppie contribuzioni, scegliere forma societaria per modulare compensi), va considerato un aspetto: i contributi previdenziali sono comunque un “risparmio forzoso” per la pensione. Dunque pagare meno contributi sì riduce l’uscita attuale, ma può significare pensione futura più bassa. Chi è in difficoltà economica può però valutare, se la legge lo consente, di sospendere temporaneamente versamenti volontari (non pagando il volontario o il contributo eccedente il minimo) o chiedere dilazioni su contributi dovuti. Ad esempio, l’INPS consente rateizzazioni anche dei contributi correnti se dichiarati in Unico e non versati, ma attenzione: restano dovuti con interesse e l’omesso versamento è grave (non penalmente rilevante sotto certe soglie, ma l’INPS è rigido nel recupero). Meglio sarebbe prevenire: ad esempio ridurre l’acconto INPS se si prevede calo di reddito (gli acconti dei contributi sul minimale sono comunque fissi a 4 rate, ma la quota eccedente si può modulare con dichiarazione).

Infine, chi sta valutando cambi di forma giuridica tenga presente il riflesso contributivo:

  • Trasformarsi da ditta individuale a socio/dipendente di SRL può ridurre contributi (es. niente minimale, e possibilità di pagare solo gestione separata su un compenso scelto). Però, se il socio lavora nell’azienda ed è di maggioranza, come detto rischia di dover pagare i contributi commercianti comunque. Allora conviene nominare un amministratore (anche se stesso) e remunerarlo con compenso su cui paga gestione separata (senza minimale) invece di busta paga classica.
  • Se si hanno collaboratori familiari, un’alternativa all’impresa familiare (dove i familiari comunque non pagano ulteriori contributi, solo il titolare li versa sul reddito totale) potrebbe essere assumere il familiare come dipendente part-time (pagando però contributi su di lui). Questo ha senso solo se si vuole far maturare pensione al familiare e dedurre un costo (lo stipendio) che riduce utile su cui si pagano contributi del titolare. Spostare parte di reddito su altri soggetti (familiari, soci) riduce il carico contributivo su uno solo, ma aumenta la platea di chi contribuisce. È uno splitting che può ottimizzare fiscalmente se i nuovi soggetti stanno in scaglioni IRPEF bassi, ma non elimina l’onere complessivo.

In conclusione, la voce contributiva va inserita nelle simulazioni di convenienza: a volte scelte fatte solo per ragioni fiscali (es. forfettario vs ordinario) possono avere impatti contributivi diversi. Ad esempio, uno potrebbe preferire restare sotto gli €85.000 di ricavi per il forfettario, ma questo potrebbe limitare la crescita del business; oppure tenere i propri redditi personali bassi e far maturare pochi contributi. È un bilanciamento tra risparmio attuale e tutela futura. L’importante è conoscere bene regole e opportunità: se esiste uno sgravio o un esonero contributivo per la propria situazione, approfittarne può significare risparmiare migliaia di euro all’anno (ad esempio il giovane neo-commerciante che risparmia il 35%: su contributi da €5.000 risparmia €1.750; il dipendente che evita il minimale ne risparmia ~€3.700 annui). Queste somme possono essere dirottate a pagare le rate di Equitalia o investite nell’attività.

Forma Giuridica dell’Impresa e Impatto Fiscale

La forma giuridica con cui si svolge l’attività economica incide in modo determinante sul tipo di tassazione e anche sul rischio verso i creditori. Un imprenditore che sta cercando di ridurre il carico fiscale e proteggere il proprio patrimonio mentre ha debiti fiscali pregressi deve valutare se la forma in cui opera è la più efficiente. Passare da ditta individuale a società (o viceversa in alcuni casi) può cambiare l’aliquota d’imposta applicabile, il trattamento delle perdite, l’accesso a regimi come il forfettario, e la responsabilità patrimoniale.

Analizziamo le principali forme giuridiche d’impresa in Italia e i rispettivi pro e contro dal punto di vista fiscale (tralasciamo gli aspetti civilistici puri, pur importanti in caso di debiti):

Ditta Individuale (Impresa Individuale)

È la forma più semplice: la persona fisica titolare svolge attività d’impresa. Fiscamente, non c’è distinzione tra persona e impresa: gli utili sono reddito del titolare e tassati in capo a lui con IRPEF progressiva. Caratteristiche chiave:

  • Tassazione: Reddito di impresa soggetto a IRPEF per scaglioni (o a imposta sostitutiva 15% se in regime forfettario). Le perdite fiscali eventualmente generate possono essere portate a compensazione di futuri redditi di impresa (nell’arco di 5 anni per le ditte individuali in contabilità semplificata; illimitatamente se in ordinaria, ma solo con redditi della stessa categoria). Non possono compensare altri redditi personali (salvo casi di contabilità ordinaria con opzione IRPEF, piuttosto complessi). Le addizionali regionali e comunali colpiscono anche il reddito d’impresa e possono aggiungere 1-3% circa secondo il luogo. La ditta individuale non paga IRES, né imposte separate sui prelievi: se il titolare preleva utili per sé, non c’è ulteriore tassazione (già pagato IRPEF).
  • Contributi: come visto, il titolare si iscrive a gestione INPS corrispondente (artigiani/commercianti se attività commerciale, gestione separata se la sua è un’attività di lavoro autonomo non avente albo né natura commerciale – c’è una sottile distinzione: es. il fotografo che apre P.IVA può essere considerato artigiano se produce e vende foto, o professionista se vende creatività? Le classificazioni vanno fatte con attenzione al codice ATECO). I contributi sono a carico del titolare. Il titolare risponde illimitatamente dei debiti, anche fiscali: l’Agenzia Entrate Riscossione può aggredire il suo conto personale, i suoi immobili, ecc. (salvo beni impignorabili come prima casa se specifiche condizioni).
  • Vantaggi fiscali: la ditta individuale in regime forfettario è fiscalmente avvantaggiata (flat tax 15%). Inoltre è l’unica forma, insieme alle società di persone, a essere esente da IRAP dal 2022 (le SRL & co. pagano IRAP su base regionale). Può suddividere il reddito con i familiari tramite “impresa familiare” (contratto di famiglia) attribuendo quote di utili a moglie, figli, ecc. Così la quota assegnata ai collaboratori viene tassata con IRPEF nelle loro dichiarazioni, spesso a scaglioni più bassi, e al titolare resta un reddito minore su cui pagare imposte. L’impresa familiare è lecita (va dichiarata e i familiari devono lavorare nell’impresa), ed è un modo per contenere la progressività senza cambiare natura giuridica. Ad esempio, marito titolare 60%, moglie collaboratrice 40%: su €50.000 di utile, €20k tassati in capo alla moglie (che magari non ha altri redditi, pagando IRPEF bassa) e €30k sul marito.
  • Svantaggi: l’IRPEF progressiva può diventare molto onerosa per utili elevati (>€50k scatta 43%). Il titolare viene tassato anche sugli utili che magari lascia reinvestiti in azienda (non c’è distinzione tra utile distribuito o trattenuto: sempre IRPEF su tutto l’utile fiscale dell’anno). Non c’è possibilità di “spalmare” il reddito su più teste se non con impresa familiare o trasformando in società. Inoltre, la ditta individuale non consente di includere soci con capitale (a parte finanziatori senza titoli di partecipazione). Dunque per crescite importanti spesso si passa a società.

Quando conviene la ditta individuale? Per attività di piccole dimensioni, a conduzione personale o familiare, e soprattutto se si può adottare o rimanere nel regime forfettario. Ad esempio, un artigiano con ricavi €60k, spese €20k, utile €40k: se forfettario pagherà 15% su reddito forfettario (es. 67% di 60k = 40,2k, quasi il suo utile, quindi ~€6k di imposta) + contributi; se fosse SRL pagherebbe 24% IRES + eventuale 26% sui dividendi se li estrae. La ditta individuale conviene anche per la semplicità di gestione (unico soggetto fiscale, meno formalità).

Tuttavia, se il titolare ha debiti personali grandi, la ditta è patrimonialmente rischiosa: i creditori possono aggredire direttamente i beni dell’impresa e personali senza formalità aggiuntive. Alcuni, in tali situazioni, valutano di limitare i danni trasformando l’attività in una società (specie SRL) per proteggere il nuovo patrimonio generato dall’attività. Ciò deve essere fatto con criterio e non in frode ai creditori (ad esempio conferire l’azienda individuale in una SRL quando si è già insolventi può essere contestato come atto in frode). Ma se i debiti esattoriali sono gestiti a parte (rateizzati o in corso di definizione) e l’attività è sana, la trasformazione in SRL può essere giustificata da ragioni organizzative e di limitazione del rischio d’impresa futuro.

Libero Professionista (Lavoratore Autonomo)

Caso in parte assimilabile alla ditta individuale, ma giuridicamente diverso: parliamo di chi esercita una professione intellettuale non in forma di impresa. Ad esempio avvocati, medici, consulenti, designer, etc., che operano come persone fisiche titolari di partita IVA, ma non sono imprese commerciali. Fiscalmente:

  • Il reddito di lavoro autonomo è anch’esso soggetto a IRPEF progressive (o a 15% se regime forfettario) e addizionali. Anche qui si deducono i costi inerenti (studi di settore aboliti, ma restano ISA come indice statistico). Niente IRAP per professionisti individuali dal 2022. Possono detrarre le spese personali come gli altri PF. Non c’è concetto di utile reinvestito: tutto il reddito professionale è tassato indipendentemente dall’uso.
  • Contributi previdenziali: se la professione ha una cassa dedicata, il professionista versa alla cassa (deducendo i contributi). Se non c’è cassa (es. consulente marketing non iscritto ad albo), allora Gestione Separata INPS con aliquota ~26%. Se il professionista ha anche un lavoro dipendente, può ridurre l’aliquota INPS come visto.
  • Studi associati e STP: i professionisti possono associarsi creando uno studio associato (che è una società semplice o associazione senza personalità giur.) oppure dal 2012 anche una Società Tra Professionisti (STP) che può essere di tipo societario (anche SRL). Fiscalmente, uno studio associato è trattato come una società di persone: il reddito viene ripartito tra i soci ed essi lo tassano con IRPEF. Una STP costituita come SRL invece subisce IRES 24% sull’utile e poi i soci (che devono essere professionisti) tassano i dividendi al 26%. Però attenzione: molte casse professionali (es. avvocati) in caso di STP pretendono comunque contributi sugli utili come se reddito professionale. Il quadro non è ancora completamente uniforme, ma generalmente aprire una STP in forma di SRL non sfugge alla logica contributiva (si paga la cassa sui compensi/prestazioni fatte dalla società per il socio professionista). Lo scopo di una STP è più organizzativo e di responsabilità, raramente di risparmio fiscale, anzi potrebbe pagare IRAP se supera certi limiti dimensionali.

Quando conviene rimanere professionista singolo? In termini di tasse, il professionista singolo in forfettario ha la combinazione migliore (5% start-up /15%). Se supera i limiti, paga IRPEF ma può comunque dedurre molte spese (tra cui l’eventuale affitto studio, auto 20%, formazione, segretaria, ecc.). Finché il suo reddito non è altissimo, rimanere come persona fisica evita la complicazione di una struttura societaria e la doppia tassazione eventuale. Se però i redditi iniziano a superare di molto i €50-60k annui, e magari ci sono ragioni per accogliere soci (es. far entrare un junior o condividere spese con altri professionisti), si valuta la forma associata. Ma a livello di imposte pure, due avvocati che si associano non risparmiano nulla: semplicemente ognuno pagherà IRPEF sulla sua quota di reddito (salvo forse ottimizzazioni su costi condivisi). La valutazione cambia se consideriamo che una STP SRL, pagando 24% IRES, potrebbe a certe condizioni essere più efficiente su utili alti lasciati a riserva, ma nella professione solitamente si distribuisce quasi tutto ai soci ogni anno.

Nota sui debiti fiscali: un professionista con debiti Equitalia personali potrebbe pensare di schermarsi con una STP SRL, ma deve comunque restare socio (obbligatoriamente socio professionista). Le quote societarie del professionista sono anch’esse aggredibili dal fisco (possono pignorare le sue quote di SRL). E i suoi eventuali compensi come amministratore o utili distribuiti possono essere pignorati presso la società o banca. Insomma, non c’è un vero scudo, a meno di cedere la proprietà a terzi, il che però lo escluderebbe dal controllo ed esporrebbe ad altre problematiche (oltre a poter essere considerato atto in frode se fatto maldestramente).

Società di Persone (S.n.c. e S.a.s.)

Le società di persone (società in nome collettivo, società in accomandita semplice) sono forme intermedie: hanno autonomia patrimoniale imperfetta (i soci rispondono con il proprio patrimonio dei debiti sociali, illimitatamente nella S.n.c. e solo i soci accomandatari nella S.a.s.), e fiscalmente sono “trasparenti”: non pagano esse stesse l’imposta sui redditi, ma attribuiscono ai soci il reddito prodotto in proporzione alle quote, e ciascun socio lo dichiara nella propria IRPEF. Quindi da un punto di vista di tassazione:

  • La società calcola il reddito con regole da impresa (ricavi-costi, etc.), ma poi questo reddito viene diviso tra i soci (secondo percentuali da atto costitutivo) e va a finire nelle loro dichiarazioni personali IRPEF. Anche se l’utile non viene materialmente distribuito, il socio comunque ci paga le tasse sopra (situazione analoga alla ditta individuale: non c’è distinzione utile trattenuto/distribuito). Non c’è ritenuta sui soci o imposta aggiuntiva: direttamente IRPEF in capo ai soci. Esempio: due soci al 50% in S.n.c. che fa €40.000 di utile, ciascuno avrà €20.000 di reddito da società di persone da dichiarare e pagare (circa €3.700 di IRPEF cadauno se non hanno altre entrate).
  • Non è possibile optare per il regime forfettario in quanto tale, perché il forfettario è solo per persone fisiche. Le società di persone possono però avere contabilità semplificata se sotto limiti di ricavi, e hanno anch’esse l’esonero IRAP dal 2022 (nessuna IRAP dovuta dalle S.n.c./S.a.s. dal periodo 2022 in poi, per effetto della L. 234/2021). Quindi l’eliminazione IRAP ha reso queste società più appetibili rispetto al passato, quando c’era un 3,9% di IRAP a erodere gli utili. Ora a livello di imposte dirette, una S.n.c. è simile a due ditte individuali dal punto di vista IRPEF, ma consente formalmente di essere in più persone in una stessa impresa.
  • Contributi: i soci di S.n.c./S.a.s. artigiane o commerciali sono soggetti all’INPS commercianti/artigiani come le ditte individuali. Ognuno paga i contributi sul reddito della società a lui attribuito (condividendo di fatto il minimale: se la società genera meno di €18.000 per socio, ciascun socio comunque paga il minimale fisso). Per i soci accomandanti di S.a.s. (che non possono lavorare per legge, solo capitalisti), l’INPS in teoria non dovrebbe chiederli come commercianti; ma se in pratica lavorano, rischiano riqualifiche. Nelle società tra professionisti di tipo società di persone (es. “associazione tra avvocati” formalizzata come S.s.), i contributi vanno alla cassa come se fossero redditi per i soci.
  • Vantaggi fiscali: la società di persone permette di suddividere gli utili tra più soggetti, riducendo la concentrazione di reddito in capo a uno solo. Questo è utile se i soci sono membri di una famiglia o comunque se hanno altri redditi differenti: si sfruttano più scaglioni IRPEF bassi. A differenza dell’impresa familiare (dove i familiari non sono soggetti giuridici distinti e il titolare resta illimitatamente responsabile), qui ognuno è co-imprenditore. Il passaggio da ditta individuale a S.n.c. non dà vantaggi d’imposta immediati, anzi può complicare leggermente (serve tenere scritture contabili se in ordinaria), ma può giustificarsi se si vuole coinvolgere soci con capitale o lavoro. In termini di debiti, un socio con debiti personali non protegge i suoi beni entrando in una S.n.c., perché i creditori potrebbero attaccare anche la quota di utile a lui spettante e pure la società se il socio è principale (nella S.n.c. i creditori sociali devono escutere prima il patrimonio sociale e poi quello dei soci, ma i creditori personali di un socio possono aggredire gli utili spettanti a quel socio e, in caso di scioglimento, la quota di liquidazione). Insomma, la protezione patrimoniale è limitata. A differenza di una SRL, dove i debiti della società non risalgono (in genere) ai soci, qui i soci rispondono sempre. Quindi a livello di rischio verso i creditori, le società di persone non isolano il patrimonio personale – non sono l’ideale per proteggersi da aggressioni se un socio è indebitato.
  • Svantaggi: l’IRPEF progressiva rimane (non c’è IRES); se gli utili crescono molto, i soci subiranno aliquote alte. Non c’è possibilità di tassazione separata dei dividendi perché non esistono dividendi “differiti”: la tassazione avviene anche senza distribuzione. Le società di persone non possono fruire di alcuni incentivi riservati a società di capitali (es. ACE – Aiuto alla Crescita Economica, che permette deduzione notional sugli aumenti di capitale proprio – teoricamente l’ACE c’era anche per imprese individuali e S.n.c, ma con l’eliminazione IRAP 2022 potrebbe non avere più rilievo). Non possono fare operazioni straordinarie complesse come fusioni se non trasformandosi, hanno meno appeal per investitori esterni (nessuno investe in una S.n.c. a meno di entrare come socio illimitatamente responsabile).

Quando conviene una S.n.c./S.a.s.? Potrebbe essere adatta a piccole società familiari o di pochi soci, che vogliono la semplicità (nessun capitale minimo richiesto, costi ridotti) e non temono la responsabilità illimitata. Dal punto di vista fiscale, se i soci hanno redditi relativamente modesti, la trasparenza fiscale va bene. Se però i soci non sono sullo stesso livello di tassazione, può succedere che un socio paghi su utili di cui di fatto non dispone (se, ad esempio, si lascia utili in società per investimenti futuri, i soci li tassano ma li lasciano dentro).

Una S.a.s. permette di avere soci accomandanti (che rispondono limitatamente al capitale conferito) – quindi un investitore accomandante ha responsabilità limitata, pur senza costituire una SRL. Può essere utile ad esempio avere un socio accomandante che mette capitale e un accomandatario che lavora. Però fiscalmente non cambia: l’accomandante paga IRPEF sulla sua quota di utili anch’egli, e se non partecipa al lavoro l’INPS su di lui non dovrebbe gravare. Diciamo che se proprio si vuole una sorta di “semi-società di capitali” con tassazione trasparente, la S.a.s. è un ibrido (accomandante = socio di capitale limitato, accomandatario = socio operativo illimitato).

Società di Capitali (SRL, SRLS, SPA)

Le società di capitali (tipicamente per PMI: la SRL o la sua variante semplificata SRLS; per aziende più grandi anche S.p.A.) sono entità giuridiche distinte dalle persone dei soci. Sul piano fiscale, le società di capitali pagano l’IRES sui propri utili, e i soci pagano imposte solo se e quando ricevono utili (dividendi) o altri compensi (es. stipendio come amministratore). Questo crea una doppia fase di tassazione, ma con aliquote spesso vantaggiose.

Caratteristiche fiscali principali:

  • IRES e IRAP: L’IRES è l’imposta sul reddito delle società, ad aliquota proporzionale 24% (aliquota fissa dal 2017) sul reddito imponibile societario. Non importa quanto utile fa la SRL, paga sempre il 24% sull’utile (salvo eventuali agevolazioni future, vedi IRES “premiale” sotto). A questo 24% si aggiunge l’IRAP regionale, attualmente al 3,9% base (può variare per settore e regione). L’IRAP per una SRL è calcolata su base simile al reddito ma con qualche differenza (niente deduzione costo del personale a tempo indeterminato, ma negli ultimi anni la legge di bilancio 2022 ha di fatto azzerato l’IRAP per ditte e società di persone ma non per le società di capitali che restano soggette). Quindi il prelievo complessivo sull’utile societario è circa il 27,9% (24 + 3,9) salvo deduzioni IRAP. Tuttavia, ad esempio, le SRL unipersonali senza dipendenti hanno una deduzione IRAP forfettaria di €40.000 che può azzerare l’IRAP per utili modesti. Per semplicità possiamo considerare IRES 24% come riferimento.
  • Dividendi: quando la società di capitali distribuisce utili ai soci (persone fisiche), questi dividendi sono tassati con un’aliquota fissa 26% (imposta su redditi di capitale). Non c’è più credito d’imposta come un tempo, e non conta da quanto tempo uno è socio (tranne per utili prodotti prima 2018 vigono vecchie regole pro-quota). Quindi il socio persona fisica subisce 26% su quanto incassa. Se il socio è un’altra società, c’è l’esenzione 95% (meccanismo PEX), ma non è il caso tipico delle PMI – tuttavia potrebbe, se uno crea holding.
  • Remunerazione soci-lavoratori: I soci che lavorano in azienda possono percepire un compenso amministratore o stipendio come dirigente/dipendente. Tali somme sono deducibili per la società (abbassano l’utile IRES) e tassate in capo al socio come reddito di lavoro (con IRPEF) oltre a contributi. Questo consente una certa flessibilità: uno potrebbe scegliere di farsi retribuire dal proprio SRL in forma di salario fino a x euro (per coprire spese personali) e lasciare il resto degli utili in azienda tassati al 24%. Come mostrato prima, questo può ridurre il totale delle tasse rispetto a prendere tutto come IRPEF piena.
  • Perdite fiscali: Le società di capitali dal 2011 hanno un regime di compensazione perdite diverso dalle persone fisiche: le perdite sono riportabili illimitatamente negli anni successivi ma utilizzabili per l’80% degli utili di ciascun anno (possono coprire per intero solo entro il limite dell’80%, lasciando sempre almeno 20% dell’utile imponibile). Le ditte individuali in contabilità ordinaria avevano regole simili, ma in semplificata solo 5 anni. Ciò significa che una SRL può pianificare investimenti iniziali in perdita e poi recuperare fiscalmente le perdite su utili futuri. Le ditte individuali forfettarie non possono nemmeno dedurre le perdite come tale (non esiste concetto di perdita forfettaria).
  • IRAP base imponibile: per le SRL industriali/commerciali l’IRAP base imponibile è l’utile + costi del personale + oneri finanziari (poi deduzioni varie). Le micro SRL spesso non pagano IRAP se senza dipendenti, per via di deduzioni. Ma se si cresce e si hanno dipendenti, l’IRAP incide. Anche questo va considerato: una ditta individuale con dipendenti dal 2022 non paga IRAP; una SRL con dipendenti sì (anche se deduce € per dipendente fino a annullare base se piccoli stipendi, c’è modulazione).

Vantaggi delle società di capitali:

  • Aliquota fiscale bassa su utili reinvestiti: Il 24% IRES è inferiore anche al primo scaglione IRPEF (23%) se consideriamo addizionali. Quindi la società permette di accumulare utili pagando un’imposta moderata. Se i soci non hanno bisogno di prelevare tutto l’utile ogni anno, lasciare capitale in azienda è fiscalmente efficiente. Inoltre il Governo ha previsto con la Delega Fiscale e già in Legge di Bilancio 2025 una spinta a trattenere utili: per il 2025 le società che accantonano almeno l’80% degli utili 2024 a riserva e fanno investimenti in beni 4.0 e assunzioni, avranno IRES ridotta al 20% sugli utili 2025. Questa “IRES premiale” (commi 436-444 L. 207/2024) è una sorta di “mini IRES” per favorire patrimonializzazione: è per ora solo per il 2025, ma indica la tendenza. In prospettiva, la delega fiscale art. 6 prevede IRES 15% per utili reinvestiti in sviluppo e non distribuiti. Se questo si concretizzerà, le SRL avranno un fortissimo incentivo fiscale (15% vs IRPEF ben più alte). Già oggi, come visto, molte società piccole usufruiscono di ACE (Aiuto alla Crescita Economica) che consente di dedurre dal reddito societario una quota figurativa (1,3% nel 2021, percentuali variate) dei nuovi apporti di capitale/utili accantonati. L’ACE riduce l’imponibile IRES. Quindi c’è un premio implicito a chi capitalizza la società. Un imprenditore individuale invece non ha nulla di simile: se reinveste i guadagni nell’attività, li ha comunque tassati IRPEF personalmente.
  • Possibilità di pianificazione tra persone: in società, come detto, i soci possono decidere se prendersi stipendi, dividendi o lasciare utili. C’è margine per ottimizzare anno per anno. Esempio: il socio A magari è anche dipendente altrove con reddito alto, il socio B no; si può decidere di far percepire più compenso a B e niente A, e poi entrambi prendere dividendi (uguali per quota sociale). Oppure remunerare i soci con fringe benefit (anche in SRL <50 dipendenti si possono dare premi di risultato detassati o buoni welfare). Tutto ciò in una ditta individuale non esiste, essendo unica persona. La SRL può ad esempio accumulare liquidità e pagare i soci in un secondo momento in cui magari quei soci avranno aliquote minori (es. ci sono stati casi di imprenditori che accumulano utili e poi trasferiscono le quote ai figli che incasseranno dividendi tassati solo al 26% – prima c’era pure l’assegno di divorzio deducibile se con utili, ma sono strategie particolari).
  • Responsabilità limitata: non fiscale ma patrimoniale, il che può indirettamente far risparmiare soldi: se l’attività è a rischio di passività, la SRL protegge il patrimonio personale (a meno di garanzie personali date). Attenzione però: per i debiti tributari di una SRL, se la società non paga, l’Agenzia può rivalersi sugli amministratori per sanzioni in caso di violazioni e, in taluni casi di condotta illecita, sui soci/amministratori per la riscossione (ad esempio l’art. 2495 c.c. responsabilità post liquidazione se attivo insufficiente, o azione per pagamenti di tributi omessi in caso di dolo, ecc.). Ma nella normalità, la SRL consente di compartimentare i debiti: i debiti personali pregressi del socio restano suoi, quelli nuovi della società restano in capo alla società. Dunque, se Tizio ha debiti Equitalia personali per €100k e crea la “Tizio SRL” per proseguire l’attività, i nuovi redditi generati resteranno formalmente della SRL e i creditori di Tizio non potranno pignorare direttamente il conto della SRL (potranno al limite aggredire la quota societaria di Tizio o gli utili quando distribuiti). Questo barriera può dare respiro. Bisogna però agire correttamente: conferire l’azienda individuale nella SRL può far scattare revocatorie se fatto a debiti già esistenti; meglio in tal caso creare la SRL ex novo per le nuove attività, mantenendo separate le due sfere. Questa valutazione va fatta con un legale per non incorrere in ipotesi di sottrazione fraudolenta art.11 D.lgs 74/2000 (già citato, soglia €50.000) se si trasferiscono beni per sfuggire al Fisco. Esempio: Caio ha un magazzino attrezzature intestato a sé e ha debiti fiscali; se lo conferisce in una SRL di cui è socio unico con l’intento di salvare il magazzino dal pignoramento, quell’atto potrebbe essere considerato fraudolento e revocabile, a meno che contestualmente Caio metta in atto un piano di rientro dei debiti e dimostri che la creazione della SRL ha valide ragioni (es. attirare un investitore socio, ottenere crediti). La linea è sottile, pertanto mai fare passaggi di beni last minute senza consulenza legale.
  • Accesso a investimenti e incentivi: solo le società possono, ad esempio, emettere strumenti finanziari, fare crowdfunding (una SRL innovativa può raccogliere equity crowdfunding), attrarre soci di capitale senza coinvolgerli in gestione (specie una S.a.s. o SRL con quote minoritarie). Questo può indirettamente portare vantaggi economici e fiscali (più capitale per pagare debiti o investire in progetti che genereranno crediti d’imposta). Anche alcuni incentivi statali o regionali sono riservati a società (ad esempio bandi per startup innovative, credito d’imposta quotazione, etc., non pertinenti al tema “pagare meno tasse” ma utili per sviluppo).

Svantaggi delle società di capitali:

  • Costi fissi maggiori: costituzione notarile, diritti camerali annuali, contabilità più rigorosa (bilancio, revisione se sopra soglie, ecc.). Questi costi non impattano sulle imposte, ma sul cash sì. Quindi non conviene avere una SRL se i guadagni sono piccolissimi: rischia di essere antieconomica.
  • Doppia tassazione se si preleva tutto: se i soci prelevano interamente l’utile come dividendo ogni anno, la combinazione IRES+26% finisce per essere quasi equivalente alle aliquote IRPEF alte. Un rapido calcolo: utile 100 prelevato interamente -> società paga 24 di IRES, rimangono 76, il socio paga 26% di 76 = 19,76. Totale imposte 24+19,76 = 43,76 su 100, ossia 43,76%. Poco diverso dal 43% IRPEF max. Considerando addizionali IRPEF, la doppia tassazione può essere leggermente più alta del solo IRPEF oltre 50k. Quindi la SRL conviene se non si preleva tutto come utile tassato. Se c’è bisogno che i soci prendano quasi tutto ogni anno, l’efficienza fiscale si riduce. In tal caso, tanto vale a volte restare come società di persone e pagare IRPEF direttamente (almeno niente burocrazia aggiuntiva). In pratica, per redditi medio-alti la SRL conviene se si lascia crescere l’azienda; se è solo un veicolo per l’attività personale corrente e si tira fuori ogni anno tutto, il risparmio è modesto (qualche punto percentuale al massimo, proveniente dal differenziale IRAP vs addizionali, etc.).
  • Trasparenza (opzione): esiste la possibilità per le SRL di piccole dimensioni (srl “di persone” con massimo 10 soci persone fisiche e fatturato < 5 mln) di optare per la trasparenza fiscale (art. 116 TUIR), cioè tassare direttamente i soci come fosse una società di persone. Questo potrebbe sembrare un controsenso dopo quanto detto, ma a volte si fa per evitare doppia tassazione in start-up che vanno in perdita (i soci possono così dedurre la quota di perdita pro-quota nelle loro dichiarazioni), oppure per distribuire utili senza subire l’imposta sui dividendi (già tassati IRPEF). È un’opzione triennale vincolante. La citiamo perché, in casi particolari, se i soci hanno aliquote IRPEF basse (ad es. perché hanno altre detrazioni o redditi bassi), una SRL trasparente unisce vantaggi di responsabilità limitata con tassazione leggera per i soci. Tuttavia se i soci hanno redditi alti, allora conviene regime IRES normale.

SRL ordinaria vs SRLS: La SRLS (società a responsabilità limitata semplificata) introdotta dal 2012 è sostanzialmente identica alla SRL come regole fiscali. Cambia solo l’atto costitutivo standard, capitale minimo 1 euro, zero spese notarili iniziali (ma ormai anche una SRL ordinaria può avere capitale 1 euro). Quindi dal punto di vista delle imposte, non c’è differenza: pagano stesse aliquote e stessi adempimenti. La SRLS è giusto un’opzione per chi vuole ridurre i costi di avvio e ha esigenze societarie semplici (lo statuto standard non si può modificare molto). Molte startup cominciano come SRLS per poi trasformarsi in SRL ordinaria.

Cooperative: Le società cooperative sono società di capitali o di persone con scopo mutualistico. Fiscalmente hanno regole speciali: se hanno mutualità prevalente (cioè operano soprattutto coi soci a condizioni di vantaggio), godono di agevolazioni IRES molto significative: l’art. 12 L. 904/1977 prevede l’esenzione del 30% degli utili netti destinati a riserva legale. Inoltre, le somme accantonate a riserve indivisibili possono essere dedotte dall’imponibile entro certi limiti. In parole povere, una cooperativa che reinveste gli utili in riserve indivisibili (non distribuibili ai soci) può azzerare o quasi l’IRES su quella parte. Ad esempio, le cooperative di produzione e lavoro a mutualità prevalente hanno una percentuale di utili esenti (fino al 100% se tutti in riserva indivisibile, tranne un 3% obbligatorio ai Fondi mutualistici). Secondo alcune fonti: nelle coop a mutualità prevalente, il 60% degli utili destinati a riserva è detassato (80% per coop agricole, 70% per coop consumo), mentre le cooperative “a mutualità non prevalente” hanno esenzione al 30% sugli utili a riserva legale. In aggiunta, i ristorni (rimborsi di parte degli utili ai soci proporzionalmente alle operazioni mutualistiche) sono deducibili come costi. Questo fa sì che le cooperative possano arrivare ad un carico fiscale bassissimo se seguono gli obblighi mutualistici (limiti di remunerazione del capitale, ecc.). Inoltre spesso le cooperative godono di aliquote ridotte di imposte indirette, contributi pubblici, ecc.

Tuttavia, una cooperativa è un modello particolare: deve avere almeno 3 soci (generalmente molti di più per mutualità prevalente), ha controlli pubblici, e in caso di cessazione il patrimonio indivisibile va devoluto a Fondi mutualistici (non ai soci). Non è uno strumento creato primariamente per risparmiare tasse, ma per perseguire uno scopo mutualistico (es. cooperative di lavoratori che si auto-organizzano). Ci sono stati abusi in passato di cooperative create al solo scopo di ridurre oneri contributivi (finti soci-lavoratori per evitare contributi, ecc.), fenomeni che hanno portato a interventi normativi. Quindi, se l’unico obiettivo è ridurre le tasse, la cooperativa non è la strada a meno che il modello mutualistico sia davvero calzante all’attività (es. un gruppo di artigiani che forma una coop per condividere mezzi e utili). Anche perché far funzionare e gestire una cooperativa richiede competenze e adempimenti (assemblee, vigilanza, rispetto di parametri) che la rendono più complessa di una SRL standard.

In sintesi sulle forme giuridiche:

  • La Ditta Individuale/Professionista conviene per semplicità e per accesso a forfettario; lo svantaggio è l’IRPEF progressiva e la confusione tra patrimonio personale e aziendale in caso di guai (ma strumenti come impresa familiare possono aiutare a dividere reddito).
  • La Società di Persone consente di avere soci, divide reddito e responsabilità tra essi ma non offre protezione patrimoniale verso l’esterno e mantiene la tassazione per scaglioni IRPEF.
  • La Società di Capitali (SRL) offre aliquota fiscale proporzionale vantaggiosa, flessibilità di pianificazione e protezione del patrimonio personale dei soci, a costo di maggior formalità e di una potenziale doppia tassazione dei redditi distribuiti.
  • La Cooperativa offre vantaggi fiscali notevoli (quasi esenzione su utili reinvestiti) ma richiede scopo mutualistico genuino e vincoli su utili.

Chi ha debiti con ex Equitalia dovrebbe considerare anche l’aspetto patrimoniale: la SRL può evitare che i nuovi profitti vengano immediatamente aggrediti dai creditori personali, mentre in ditta individuale ogni attivo generato può essere pignorato sul conto personale. C’è chi in situazioni di forte esposizione debitoria personale sceglie di far operare l’attività attraverso un soggetto giuridico terzo (ad esempio la moglie o un nuovo socio di fiducia titolare della società) mantenendo un ruolo dietro le quinte, in modo che formalmente i nuovi redditi non appartengano al debitore. Questa però è una zona grigia: può configurare intestazione fiduciaria di beni che, se dimostrata come fittizia, non protegge dal fisco (il quale potrebbe far valere la sostanza economica). Ad esempio, se Caio trasferisce tutti i beni a una SRL intestata al figlio ma continua di fatto a gestire e beneficiare, l’AdE potrebbe contestare interposizione fittizia. Se invece la cessione è reale (il figlio ci mette capitale e assume rischio), allora è lecito, ma Caio ha anche perso il controllo dell’attività. In ogni caso, aggirare i creditori con schermi societari è rischioso: meglio usare la società per proteggere i frutti futuri del proprio lavoro, ma contestualmente trattare con i creditori per sanare il passato.

Analisi Settoriale: Specificità Fiscali nei Principali Settori Economici

Le regole fiscali di base valgono per tutte le attività, ma alcuni settori economici beneficiano di regimi particolari o presentano consuetudini operative che influiscono sulle scelte fiscali. Vediamo alcuni esempi di settori (artigianato, commercio, edilizia, sanità privata, consulenza, tecnologia) e come in ciascuno di essi un titolare di Partita IVA può muoversi per pagare meno tasse legalmente.

Settore Artigianato

Profilo: Include mestieri come falegnami, idraulici, elettricisti, impiantisti, panettieri, sarti, estetisti, etc. Spesso ditte individuali o piccole S.n.c., con forte componente di lavoro personale e magari 1-5 dipendenti apprendisti o familiari.

Fiscalità caratteristica: Spesso l’artigiano opera come ditta individuale iscritta all’Albo Artigiani (con obbligo di INPS artigiani). Molti artigiani rientrano nei limiti di ricavi del forfettario (85k) e quindi ne usufruiscono. Ad esempio un elettricista con ricavi €50k, costi limitati (un furgone, attrezzi, carburante), può trovare ottimo il forfettario (coefficiente redditività 67% per impiantisti, quindi su 50k paga 15% di circa 33.5k = €5.025 imposte). Se fosse in ordinario, ipotizzando €15k di costi avrebbe 35k di utile tassato con IRPEF ~€8.680 + addizionali. Inoltre il forfettario lo esonera dalla tenuta IVA e semplifica, cosa gradita a chi preferisce dedicarsi al lavoro pratico più che alla burocrazia.

Chi sfora il forfettario o non può aderirvi (perché magari ha soci, o ha dipendenti e spese alte) andrà in regime semplificato IRPEF. Qui l’ottimizzazione sarà: dedurre tutti i costi (il mezzo di trasporto, l’abbigliamento da lavoro se ha logo, le trasferte, le spese per formazione su nuovi macchinari), sfruttare i crediti d’imposta se acquista macchinari tecnologici (ci sono stati crediti 4.0 anche per macchine utensili connesse, ecc.), assumere apprendisti (costo del lavoro in apprendistato è fortemente sgravato contributivamente e l’IRAP non si applica comunque). Gli artigiani che hanno laboratorio in casa possono dedurre quote di utenze e locali come detto.

Molti artigiani sono imprese familiari: tipico il marito elettricista con moglie collaboratrice amministrativa. Formalizzare l’impresa familiare consente di attribuire magari il 49% dell’utile alla moglie, che magari ha anche un altro lavoro part-time e sta in scaglioni bassi; il nucleo familiare complessivamente paga meno IRPEF rispetto a se l’utile stesse tutto sul marito. Bisogna fare attenzione però: la collaboratrice familiare non deve avere un lavoro troppo impegnativo altrove (la norma chiede partecipazione del familiare all’impresa con carattere di prevalenza o quantomeno abitualità). E l’INPS: i collaboratori familiari di impresa artigiana pagano contributi anche loro (come coadiuvanti), con aliquota ridotta se <21 anni. Spesso in famiglia preferiscono evitare troppi contributi doppi e tengono un titolare unico pagando lui l’INPS sull’intero reddito.

Nel settore artigiano ci sono molti regimi IVA particolari: e.g. reverse charge in edilizia (vedi settore edilizia) applicabile agli impiantisti; regime del margine se fanno restauro mobili usati, etc. Non riguardano tanto “pagare meno tasse” ma adempimenti. Però uno spunto: l’artigiano edile che lavora come subappaltatore in edilizia ha le fatture in reverse charge (niente IVA esposta). Questo significa che spesso va a credito IVA (perché compra materiali con IVA ma fattura senza IVA): un credito IVA può essere chiesto a rimborso o in compensazione per pagare altri tributi. Un artigiano edile con debiti Equitalia potrebbe fare istanza di compensazione: ad esempio, se ha €5.000 di credito IVA annuale e allo stesso tempo ha rate da pagare ad AER, può usare quel credito per compensare F24 di altri tributi o contributi (riducendo l’esborso). L’ordinamento consente la compensazione orizzontale, salvo che se il contribuente ha debiti iscritti a ruolo > €1.500, scatta il blocco compensazione automatica dei crediti d’imposta (art. 31, c.1 D.L.78/2010): oltre quella soglia, l’AdER può sospendere l’erogazione dei rimborsi e usarli per il debito. Quindi avere crediti IVA quando si hanno debiti esattoriali in genere porta a compensazione forzata. Non c’è modo di evitarlo, ed è giusto così (il fisco compensa crediti e debiti). Pertanto, un artigiano indebitato dovrebbe beneficiare del fatto che almeno i suoi crediti d’imposta vanno a ridurre il debito.

Forma giuridica: la stragrande maggioranza degli artigiani è ditta individuale o al più S.n.c. familiare. Raramente si costituisce una SRL, se non quando l’attività cresce molto (es. un’impresa di installazioni con 10 dipendenti e grossi appalti può scegliere SRL per limitare responsabilità verso terzi). Ma il piccolo artigiano di solito rimane individuale per i vantaggi sopra esposti (forfettario, gestione semplice). In caso di debiti, come detto, se teme pignoramenti può valutare SRL (magari intestata a moglie/figlio) ma qui entriamo in discorsi di asset protection borderline.

Settore Commercio (Vendita al dettaglio/ingrosso, E-commerce)

Profilo: Negozianti, ristoratori, gestori di bar, commercianti all’ingrosso, agenti di commercio, e anche chi fa e-commerce.

Fiscalità caratteristica: Spesso contabilità semplificata con margini non altissimi (comprano merci e rivendono con mark-up). Di conseguenza, il regime forfettario per commercianti ha coefficiente di redditività solo 40% (se attività di vendita di beni) – molto vantaggioso se i margini sono maggiori di così, ma penalizzante se i margini reali sono inferiori. Ad esempio, un negozio di abbigliamento con ricavi €80.000 e costo acquisto merci €50.000 avrebbe utile lordo €30.000, margine 37,5%. Forfettario gli imputerebbe reddito €32.000 (40%), leggermente superiore all’utile reale e su quello pagherebbe 15%. In ordinario avrebbe reddito effettivo €30.000 tassato magari al 27% medio IRPEF. In questo caso siamo lì. Se invece i margini fossero più alti (es. vendite di prodotti artigianali propri, costi bassi), forfettario stravince. Se i margini sono più bassi (es. grande distribuzione con ricarichi modesti), forfettario può far pagare tasse su reddito più alto di quello reale (non scordiamo però che contributi INPS riducono il reddito forfettario, quindi se quell’esercente paga €5.000 di INPS, quell’importo abbassa l’imponibile forfettario).

Un aspetto del commerciante: spesso ha dipendenti (commessi, camerieri). Le spese di personale sono deducibili dal reddito d’impresa (e abbassano IRAP fino a de facto eliminarla, per imprese individuali IRAP comunque non c’è più). Quindi assumere non penalizza il reddito fiscale, anzi i costi riducono l’utile su cui si pagano imposte. Ci sono anche incentivi all’assunzione: esoneri contributivi per under 36 assunti a tempo indeterminato (fino 3 anni), sgravi per assunzione donne, Naspi trasformata in incentivo se si assume disoccupato ecc. Questi sono vantaggi indiretti (meno contributi da pagare = più risorse per investire o ridurre i prezzi). Inoltre, crediti d’imposta come quello per pos/tappetino pagamenti elettronici (tax credit commissioni POS 30%) o credito sanificazione Covid (se ancora attivo per 2021) ecc., aiutano a recuperare costi.

Nel commercio, gestione del magazzino e valorizzazione incide sul reddito tassabile: conviene far risultare l’inventario in modo preciso; svalutare le rimanenze se obsolescenti (nei limiti di legge) per dedurre il costo; stare attenti a movimentazioni di fine anno per non sovrastimare il reddito.

Attenzione a settori speciali: i ristoranti e bar (somministrazione) hanno coefficiente forfettario 40% anch’essi come commercio. Se ben avviati, spesso superano 85k ricavi, quindi escono dal forfettario. Molti di questi creano società di capitali (SRL) per protezione e per gestire eventuali soci investitori. Un ristorante SRL paga 24% su utili ma poi se vuole distribuire ai soci, altri 26%. Può convenire se i margini sono alti e si reinveste (magari per aprire un secondo locale) – in quei casi la SRL è strumento preferibile. Se invece è un bar piccolo a conduzione familiare, di solito resta impresa familiare per i motivi visti.

Gli agenti di commercio (figure di intermediazione) hanno regime fiscale un po’ peculiare: deduzioni forfettarie di alcune spese (es. 1,5% dei compensi deducibile per spese non documentate fino 15k, e 0,75% oltre, max €15k deduzione), e contributi Enasarco obbligatori (che non sono deducibili dal reddito del’agente, attenzione: l’agente versa contributi previdenziali su base provvigioni a una fondazione – metà li deduce come costo, metà li paga il preponente, è un discorso a parte). Per un agente il forfettario non è disponibile perché escluso (chi fa attività con ritenuta d’acconto come agenti non può forfettario, salvo eccezioni) fino a fine 2022; dal 2023 credo abbiano tolto alcune cause, ma mi sembra che gli agenti rimangano esclusi dal forfettario. Quindi gli agenti hanno per forza regime ordinario. In questo caso, per pagare meno tasse, l’agente dovrà dedurre bene i costi di auto (80% fino tetto maggiore, trattandosi di agente può dedurre maggiore percentuale forse 80% invece di 20% come professionista comune – infatti agenti hanno regime auto dedicato: deducono 80% costo auto fino 25.000 circa di costo), dedurre spese viaggio, ecc. e magari aprire una società se le provvigioni sono altissime per sfruttare aliquota IRES. Alcuni grossi agenti (es. agenti plurimandatari con provvigioni > 200k) si sono organizzati in SRL o S.a.s. per assorbire costi (auto di grossa cilindrata, ufficio) e pianificare dividendi. Ma va visto caso per caso e occhio a normative Enasarco.

Settore Edilizia e Impiantistica

Profilo: include imprese di costruzioni, ristrutturazioni, impiantisti elettrici/idraulici su larga scala, pittori edili, ecc. Molte sono microimprese artigiane, altre sono aziende più strutturate.

Fiscalità caratteristica: L’edilizia ha conosciuto nel 2020-2022 i superbonus e bonus edilizi, generando meccanismi di crediti d’imposta cedibili che hanno impatto fiscale (ma quello riguarda riduzione di tasse per i committenti, non per l’impresa, salvo i margini su lavori trainati dai bonus). Per l’impresa edile, consideriamo la normale tassazione.

Spesso si lavora in reverse charge se subappalto (niente IVA incassata, quindi posizione perenne a credito IVA). Come detto, questo comporta chiedere rimborsi IVA frequenti o compensare con altre imposte. Un’edilizia con dipendenti e mezzi beneficia di costi deducibili elevati (stipendi operai, carburante macchine). Chi fa investimenti in macchinari (escavatori, gru) può usufruire di iperammortamento/credito beni 4.0 se i macchinari sono dotati di sensoristica e interconnessione (ci sono anche in edilizia).

Molte imprese edili sono SRL: perché il rischio d’impresa è alto (crolli, cause, penali) e vogliono proteggere soci. Dal lato fiscale, una SRL edile può sfruttare ACE, IRES a 24%. Inoltre in edilizia è comune non distribuire utili ma tenerli come mezzi per garanzie e acquistare nuovi mezzi – si adatta alla logica societaria. Un artigiano edile piccolo invece magari rimane ditta individuale per flessibilità.

Attenzione: in edilizia esiste la “durata pluriennale dei lavori” – le imprese utilizzano il criterio della percentuale di completamento per imputare ricavi su appalti a cavallo di esercizi (salvo optare per completamento). Ciò può essere gestito per livellare il reddito imponibile tra anni (evitando picchi tutti in un anno che farebbero salire aliquote). Pianificando fatturazioni e SAL (stati avanzamento) opportunamente a fine anno, si può spostare parte di utile all’anno successivo se opportuno, restando nel lecito (rispettando il principio di competenza).

Contributi: i costruttori e impiantisti edili spesso sono artigiani, quindi INPS artigiani. Se hanno soci operativi, come detto, questi pagano contributi. Qui un aspetto: le imprese edili pagano anche Cassa Edile per i lavoratori (che non è fiscale ma un costo contrattuale). Non ha incidenza su tasse se non come costo deducibile.

Pagamenti: le imprese con lavori pubblici devono emettere fatture in split payment (la PA versa l’IVA direttamente all’Erario). Ciò crea anche crediti IVA che devono essere recuperati.

Superbonus e crediti fiscali: se un’impresa ha accettato crediti edilizi come pagamento, li può usare in F24 per pagare tasse e contributi. Molte ditte con debiti hanno potuto compensare cartelle esattoriali con crediti da bonus fiscali, grazie alla compensazione. A maggio 2025, il meccanismo è in fase di chiusura (stop cessione da 2023 salvo eccezioni). Ma se l’impresa detiene ancora crediti, può usarli.

Settore privato sanitario (studi medici, dentisti, cliniche)

Profilo: medici specialisti, dentisti, cliniche private, laboratori analisi.

IVA: i servizi sanitari resi alla persona sono spesso esenti IVA (art. 10 DPR 633/72). Ciò significa che un dentista o un medico non addebita IVA ai pazienti, ma di contro non detrae l’IVA sugli acquisti. Questo è un grosso tema: un dentista che compra un macchinario da €100.000 + IVA 22% = paga €122.000 ma quell’IVA €22.000 è un costo per lui, deducibile come costo (essendo parte del prezzo) ma non recuperabile come credito IVA. Quindi i professionisti sanitari tendono a soffrire il peso dell’IVA a loro carico. A volte, per investimenti grossi, usano stratagemmi leciti: ad esempio, creare una società di servizi separata che acquista gli apparati e li noleggia allo studio medico esente. La società di servizi deduce e recupera l’IVA (perché essa fa operazione imponibile di noleggio), e il medico paga canone con IVA che però per lui è costo deducibile (non detraibile). Fiscalmente, in gruppi organizzati, il leasing operativo di attrezzature e affitto di ramo d’azienda è usato per far ricadere l’IVA a monte su soggetti che la detraggono (questi schemi però devono avere sostanza, altrimenti l’Agenzia può contestare abuso di diritto se la società di servizi è considerata interposta).

Regimi fiscali: molti medici/dentisti operano come studi individuali (reddito autonomo IRPEF). Con redditi spesso alti, a volte costituiscono STP o Srl Odontoiatrica. Esempio: clinica dentistica con più soci dentisti – possono aprire una Srl che assume personale, compra materiali (pagando IVA ma potendo detrarla solo per le prestazioni non sanitarie, se ne fa, tipo vendita prodotti). Il reddito di una clinica come Srl sarà IRES 24%. Ma i servizi medici resi sono esenti, l’IVA sugli acquisti (materiali dentali) per la parte esente è indetraibile e va a costo. Purtroppo l’IVA non detraibile aumenta il reddito imponibile IRES (perché rimane come costo), ma almeno è tassato al 24 e non al 43. Potrebbe convenire per profitti alti, e per la possibilità di includere soci finanziatori non medici (con la STP si può fino a 1/3 soci non professionisti per capitale).

Per pagare meno tasse: i professionisti sanitari in genere non possono usare forfettario se hanno convenzioni con SSN? In realtà, se sono autonomi e entro €85k, possono. Molti medici di base sono regime sostitutivo (hanno un regime specifico di deduzione forfettaria spese 22%). Se possibile, usano forfettario 15% con coeff 78% come altri professionisti: per un medico specialista con ricavi €70k e spese basse (uno studio in affitto), pagare 15% su reddito forfettario €54.600 = €8.190 imposte è ottimo rispetto a IRPEF che sarebbe ~€18k. Quindi conviene.

Dentisti spesso sforano soglia e non possono forfettario. Allora useranno la società per aliquota fissa. Notare: se un dentista è in forfettario, non addebita IVA comunque (esente o escluso, in forfettario non addebita per legge), e paga 15% senza detrarre costi – simile a come era comunque (già non detraeva IVA e spese se forfettario ha coeff 78%). Bisogna valutare se il coeff. conviene: un dentista con attrezzature costose e segretarie può avere costi elevati – in forfettario non li “sfrutta”, in ordinario sì. Se spese >22% dei ricavi, l’ordinario può convenire.

Contributi: medici hanno ENPAM, percentuali moderate; dentisti hanno sempre ENPAM; altre professioni sanitarie hanno ENPAPI, etc. Deducibilità contributi come per altri.

Settore Consulenza e Servizi (non regolamentati)

Profilo: consulenti aziendali, informatici, marketing, designer freelance, formatori, ecc.

Fiscalità: spessissimo in regime forfettario se sotto soglia, perché tipicamente hanno pochi costi (vendono know-how) quindi quell’imposta 15% è un regalo. Molti fanno il 5% start se nuovi. Dunque ovvio: sfruttare il forfettario finché possibile, eventualmente spezzare attività in più partite IVA? Attenzione, l’abuso del diritto potrebbe ravvisare una frammentazione artificiosa per restare sotto soglia (es. marito e moglie aprono due P.IVA e si dividono contratti ma di fatto è uno, potrebbero contestarlo). Ma se sono due professionisti reali, ok.

Se i compensi superano €85k, questi consulenti a volte creano SRL unipersonali per continuare con flat 24%. Un consulente con €120k di fatturato e €20k di costi: come ditta pagherebbe IRPEF ~€37k, come SRL paga IRES €24k e se prende dividendi €26% su (120-20-24=76) €76 = €19.7, totale 24+19.7 = €43.7k in peggiore ipotesi (tutto prelevato) – un po’ di più. Se invece lascia qualcosa in azienda, conviene. Oppure può farsi assumere dalla sua SRL con stipendio calibrato – c’è flessibilità. Se consulente ha moglie e figli, a volte crea SRL e li assume per farli partecipare a reddito in modo dedotto (il figlio sviluppatore assunto, stipendio dedotto, reddito spostato al figlio con aliquota minore di quell’età, il padre prende meno utili, etc.). Perfettamente lecito se il familiare lavora davvero. Così “splitta” reddito come non potrebbe da autonomo.

Contributi: consulente senza albo = gestione separata 26%. In SRL se no compenso -> no contributi (solo su utili 26% tasse). Come visto, decidere la forma giuridica incide su contributi pure.

Tecnologia e Startup

Profilo: startup innovative, sviluppo software, piattaforme digitali. Spesso iniziano in pochi soci e cercano investitori.

Fiscalità: godono di alcune esenzioni iniziali (esenzione da diritti camerali, qualche deroga su remunerazione amministratori in equity). Ci sono incentivi fiscali per gli investitori (detrazione IRPEF 30% dell’investimento in startup fino €1M, o deduzione IRES 30% per società, portata a 50% per 2020-2021, ora 30% di nuovo). Ma questo riguarda chi investe, non la startup. La startup come società paga IRES 24%, spesso è in perdita i primi anni (può accumulare perdite da riportare). Può ottenere crediti d’imposta R&D (20% delle spese ricerca) e innovazione, che compensano imposte future. Spesso niente utili da distribuire per anni (reinveste, quindi quell’aliquota bassa conviene e nessuna ulteriore tassazione ai soci finché non escono vendendo quote – in quel caso, cessione partecipazioni qualificate esenti 95% se società, o tassate 26% se persona).

Forme: quasi sempre SRL o SPA innovative per attrarre capitali. Se un informatico startupper iniziasse come ditta per pagare 15% su utile, sarebbe penalizzato quando deve far entrare soci, quindi di solito accetta la SRL e convive col 24% (che comunque è ottimo).

Pagare meno tasse: sfruttare al massimo i crediti d’imposta (ricerca e sviluppo, design, formazione 4.0), dedurre il costo del personale altamente qualificato (in alcuni casi c’è super deduzione 110% per personale R&D), e soprattutto l’esonero triennale dal versamento di imposta di bollo e diritti camerali se iscritti come startup innovative (piccolo risparmio). Inoltre i soci-lavoratori possono ricevere stock option o work for equity che non costituiscono reddito imponibile se la società è innovativa: un enorme vantaggio fiscale per loro (pagano tasse solo su eventuale capital gain vendendo azioni, non sul momento assegnazione). Questa norma (DL 179/2012) consente di remunerare dipendenti/collaboratori di startup con quote/azioni esentasse – in pratica paghe senza versare IRPEF né contributi. È un risparmio fiscale notevolissimo (ma con rischio, perché monetizzi solo se la startup ha successo). Per cui startup con problemi di cassa usano equity per compensare i team (spostando la prospettiva di guadagno più avanti). Non direttamente “pagare meno tasse” nell’immediato, ma riduce il costo del lavoro e l’esborso tributario correlato.

Conclusione settori: ognuno ha sue finezze. L’artigiano massimizzerà deduzioni e valuterà il forfettario, il commerciante curerà magazzino e personale, l’edile gestirà crediti e lavori pluriennali, il medico troverà equilibri su IVA indetraibile, il consulente giocherà su forfettario finché può e poi su forma societaria, la startup sfrutterà crediti e strumenti di equity. Ciò che è comune: in ogni settore una buona consulenza fiscale può far risparmiare importi significativi. Le normative cambiano spesso (ogni Legge di Bilancio introduce incentivi nuovi o modifiche).

Va inoltre citato il fattore geografico: in alcuni casi ci sono agevolazioni fiscali per zone depresse o regioni del Sud (es. credito d’imposta investimenti al Sud 45% macchinari, esonero totale contributivo per assunzioni in Sud per 3 anni, regime ZES con semplificazioni). Un imprenditore meridionale con debiti dovrebbe informarsi su tali bonus: potrebbero dargli risparmi sostanziosi da reinvestire o per pagare i debiti (es. un credito d’imposta investimenti può essere usato in F24 per compensare anche cartelle).

In conclusione, la personalizzazione settoriale del tax planning è la chiave: capire il proprio business e sfruttare ciò che il sistema offre a quell’attività. E ricordare sempre di muoversi nei confini legali: ad esempio, cedere merce in nero per ridurre utili è evasione, così come pagare dipendenti fuori busta per dedurre di più è illecito e anche moralmente scorretto. Invece, documentare tutto il documentabile e scegliere correttamente il regime è pienamente legittimo e anzi consigliabile.

Simulazioni pratiche a 1, 3 e 5 anni

Per comprendere concretamente l’effetto delle strategie fiscali nel tempo, presentiamo alcune simulazioni sull’andamento di tasse e contributi nell’arco di 1, 3 e 5 anni in diversi scenari. Le simulazioni aiutano a vedere il risparmio cumulato ottenibile legalmente con scelte oculate, e come questo possa liberare risorse per, ad esempio, pagare un debito esattoriale in meno tempo.

Caso 1: Ditta individuale vs SRL per un’attività redditizia

Scenario: Marco è un consulente/artigiano (il caso è simile in termini numerici) con attività ben avviata. Genera un reddito (utile netto prima delle tasse) di circa €80.000 annui. Supponiamo costi e ricavi tali che Marco raggiunga €80k di utile sia come ditta individuale che come SRL (in SRL ciò sarebbe l’utile prima di stipendi amministratore). Marco vuole confrontare se rimanere ditta individuale (IRPEF) o trasformare in SRL e prendersi dividendi. Non consideriamo debiti pregressi qui, solo carico fiscale.

Ipotesi:
– Ditta individuale in regime ordinario (fuori forfettario per soglia). IRPEF calcolata su €80.000 (deduzioni minime, consideriamo no carichi famiglia per semplicità).
– SRL: paga 24% IRES su €80.000 = €19.200. Rimangono utili post-imposte €60.800. Marco li distribuisce interamente a sé come dividendo, tassato al 26% = €15.808. Totale imposte €19.200 + €15.808 = €35.008.
– Confronto con IRPEF: Aliquote 2025 su 80k: 23%*15k + 25%*13k + 35%*22k + 43%30k = 3.450 + 3.250 + 7.700 + 12.900 = €27.300 (più addizionali regionali e comunali, poniamo 2% totale su 80k = €1.600). Totale IRPEF+addiz. ≈ €28.900. Contributi gestione separata 26% su 80k = €20.800 (deducibili in parte da reddito, ma per semplicità li includiamo dopo). Marco in ditta paga €28.9k tasse + contributi €20.8k = €49.7k outflow.
– In SRL, se non prende compensi, ha solo imposte €35k e niente contributi su dividendi. Ma normalmente Marco vorrà anche coprirsi previdenzialmente: può decidere di prendere ad es. €30k come compenso amministratore, e distribuire il resto €50k come dividendo. Scenario misto: compenso €30k → SRL utile imponibile scende a €50k (IRES €12k). Dividendo distribuibile €38k (50-12+compenso risparmiato come utile? rifacciamo con precisione: utile lordo 80 – costo amm.30 = utile 50, tasse 12, utile netto 38). Dividendo €38k tassato 26% = €9.88k. Marco su compenso €30k paga contributi gestione separata 26% = €7.8k e IRPEF su €30k (23% su 15k =3450; 25% su 13k=3250; 35% su 2k=700) ≈ €7.400. Totale esborso: Società €12k IRES; Marco imposte €7.4k + contrib €7.8k + su dividendo €9.88k = €37.08k. Più alto di solo dividendo (€35k) perché paga contributi, ma ha coperto pensione su 30k reddito.
– Ditta scenario contributi artigiani? Se fosse artigiano invece di gestione separata, i numeri cambiano contributi: su 80k pagherebbe ~€3.7k + 24%
(80-18.5)=€3.7k+€14.7k=€18.4k contributi. IRPEF €28.9k. Totale ~€47.3k. In SRL come socio-lavoratore artigiano però l’INPS chiede contributi comunque se lavora → potrebbe dover pagare come socio 24% su reddito pro-quota. Diventa complicato.
Risultato: In 1 anno, la SRL con prelievo solo dividendi comporta imposte minori (€35k vs €49k, risparmio ~€14k rispetto ditta con contributi gestione separata) ma zero contributi (non accumula pensione). La SRL con mix riduce comunque l’esborso (€37k vs €49k ditta, ~€12k risparmiati) e versa contributi su €30k (garantendo un minimo di pensione futura). Nel caso artigiano, il risparmio annuo è un po’ minore (circa €10k).
Proiettando su 3 anni, ipotizzando uguale reddito ogni anno: ditta pagherebbe ~€150k totali tra tasse e contributi, SRL mix ~€111k → risparmio ~€39k in 3 anni. A 5 anni: ditta ~€250k, SRL ~€185k → risparmio ~€65k in 5 anni. Questi risparmi potrebbero essere destinati in SRL a ripianare i debiti di Marco (ad esempio, i €65k risparmiati in 5 anni bastano a pagare magari tutte le rate di una rottamazione Equitalia di analogo importo originario €80k con sanzioni abbuonate).

Naturalmente, se i redditi annuali fossero inferiori (es. €40k), la convenienza SRL diminuirebbe o scomparirebbe perché l’IRPEF su 40k è molto più bassa percentualmente (circa 20%). Quindi l’insegnamento è: per redditi alti e stabili, il passaggio a società di capitali può far risparmiare decine di migliaia di euro in pochi anni, soldi utili anche a regolarizzare situazioni debitorie; per redditi bassi, invece, potrebbe non valerne la pena.

Caso 2: Regime Forfettario vs Ordinario per professionista con crescita

Scenario: Anna è una consulente freelance. Primo anno fattura €60.000, secondo €90.000, terzo €120.000, quarto €130.000, quinto €150.000 (ha quindi una crescita rapida). Costi trascurabili (€5-10k annui). Vuole confrontare restare in regime ordinario (semplificato) fin da subito, o aderire al forfettario finché possibile e poi transitare in ordinario.

Ipotesi:
Opzione A (tutto ordinario): Anna paga IRPEF + INPS gestione separata ogni anno sul suo reddito reale (ricavi – costi). Stimiamo reddito imponibile ≈ ricavi – €10k costi. Contribuzione 26%, deducibile, e IRPEF su imponibile netto contributi. Facciamo calcolo sintetico:
Anno1: reddito €50k, IRPEF c.ca €11k, INPS €13k → ~€24k;
Anno2: reddito €80k, IRPEF ~€24k, INPS €20.8k → ~€44.8k;
Anno3: reddito €110k, IRPEF su 110k (43% su parte >50k) ~€36k + addiz, INPS €28.6k → ~€64.6k;
Anno4: reddito €120k, IRPEF ~€40k, INPS €31.2k → ~€71.2k;
Anno5: reddito €140k (150-10), IRPEF ~€48k, INPS €36.4k → ~€84.4k.
Totale 5 anni ≈ €289k versati.

Opzione B (forfettario poi ordinario):
Anno1: ricavi 60k, forfettario 15% su 60k0.78=46.8k = €7.0k imposta, contributi 26% su reddito effettivo 50k=€13k (deducibili parzialmente ma irrilevante ai fini imposta sostitutiva) → totale ~€20k.
Anno2: ricavi 90k. Attenzione: oltre soglia 85k ma sotto 100k → esce dal forfettario dall’anno successivo. Anno2 rimane ancora forfettario. Imposta 15% su 90
0.78=70.2k = €10.53k, contributi 26% su reddito ~80k = €20.8k → tot ~€31.3k.
Anno3: esce da forfettario, ora regime ordinario. Reddito 110k, IRPEF ~€36k, INPS €28.6k (come calcolato) → €64.6k.
Anno4: reddito 120k, IRPEF ~€40k, INPS €31.2k → €71.2k.
Anno5: reddito 140k, IRPEF ~€48k, INPS €36.4k → €84.4k.
Totale 5 anni Opzione B ≈ €271.5k versati.

Risultato: con regime forfettario nei primi 2 anni, Anna ha risparmiato rispetto all’opzione A circa: anno1 (24k vs 20k = 4k risp.); anno2 (44.8k vs 31.3k = 13.5k risp.). Totale ~€17.5k risparmiati nei primi due anni. Negli anni successivi paga uguale all’opzione A. Quindi su 5 anni spende €289k vs €271.5k: risparmio €17.5k appunto. Questo malgrado nel secondo anno ha sforato soglia, ma grazie alla norma di fuoriuscita differita al 2024, ha beneficiato del forfettario anche su 90k (anche se dal 2024 poi fuoriesce). Se avesse sforato 100k in anno2, sarebbe uscita subito per quell’anno su eccedenza.

Quindi restare in forfettario il più possibile le ha dato un vantaggio cumulato. In 3 anni il risparmio era ~€17.5k; in 5 anni sempre €17.5k perché poi paga uguale. Se la crescita fosse stata più graduale (restando forfettaria 3 anni ad es.), il gap sarebbe maggiore.

Utilizzo del risparmio: €17.5k in due anni poteva essere destinato ad esempio a ridurre debito o investito.

Nota: Non abbiamo considerato che nel 2023 esiste anche la flat tax incrementale – ipotesi: se Anna fosse stata in ordinario e avesse avuto +30k reddito dal 2022 al 2023, avrebbe potuto pagare 15% su quell’incremento, riducendo un po’ imposta 2023. Ma comunque il forfettario è più incisivo.

Caso 3: Pagamento accelerato di un debito grazie al risparmio fiscale

Scenario: Luigi ha un debito con ex Equitalia di €50.000 residui (capitale+interessi ridotti, grazie a rottamazione). Ha ottenuto un piano in 5 anni = €10.000/anno da pagare. La sua impresa (ditta individuale commerciale) genera un reddito prima delle tasse di circa €40.000 annui (costante). In situazione normale, Luigi paga IRPEF (€8.7k) + INPS (€18.4k come visto per artigiano su 40k) = ~€27.1k, gli restano netti ~€12.9k. Nonostante gli resti 12.9k, deve pagare 10k a Equitalia, gli rimane quasi nulla (2.9k) per vivere – scenario critico.

Luigi valuta opzioni per aumentare il cash disponibile:

  • Opzione A: rimanere ditta ma passare a regime forfettario (se sotto 85k, lui 40k è eleggibile). Forfettario commercio coeff 40% su 40k -> imponibile 16k, imposta 15% = €2.4k. Contributi INPS: su 40k reddito effettivo, pagherà ~€3.7k + 24%*(40-18.5) = €3.7k + €5.17k = €8.87k. Totale esborso anno = €2.4k + €8.87k = €11.27k. Gli rimangono €28.73k, con cui può pagare i €10k di rata e gli restano €18.73k per sé (molto meglio di 2.9k!).
  • Opzione B: trasformare in SRL unipersonale. Reddito 40k a SRL: IRES 24% = €9.6k, utile netto €30.4k. Se li prende come dividendo: 26% di 30.4k = €7.9k. Totale imposte €17.5k, niente contributi se lui non prende compensi (ma se lavora, INPS potrebbe chiedergli come socio? Potrebbe farsi amministratore e versare solo gestione separata su un minimo). Diciamo scenario estremo: €17.5k esborso, restano €22.5k, può pagare rata 10k e restano €12.5k. Non male, ma il forfettario è risultato migliore (esborso 11.27k vs 17.5k). Inoltre qui Luigi non ha versato contributi – rischioso per futura pensione.

Scelta ottimale: Luigi adotta regime forfettario (il suo fatturato magari 100k vendite con margine 40k). Ogni anno paga ~€11.3k di tasse+contributi, riesce con facilità a pagare €10k di rata debito e tenere ~€18k per mantenimento/investimenti. In 5 anni, se l’attività regge, avrà saldato €50k di debito. Se fosse rimasto in ordinario, probabilmente non avrebbe avuto liquidità per pagare tutte le rate (gli rimanevano solo €2.9k anno, avrebbe accumulato altri debiti!).

Questa simulazione evidenzia come l’adozione del regime fiscale ottimale può fare la differenza tra riuscire o meno a onorare un piano di rientro. Luigi passando a forfettario ha liberato circa €15-16k all’anno di cash in più rispetto a prima: una somma vitale per estinguere il debito e non soccombere.

Caso 4: Impresa familiare vs SRL a conduzione familiare

Scenario: Azienda artigiana (es. falegnameria) con reddito annuo €70.000, gestita da marito e moglie. Valutiamo:

  • Impresa familiare: Titolare marito 51%, collaboratrice moglie 49% utili. Reddito 70k assegnato 35.7k a marito e 34.3k a moglie. Ciascuno paga IRPEF sui rispettivi importi. Marito con 35.7k reddito -> IRPEF ~€8k; moglie 34.3k -> IRPEF ~€7.5k (aliquote simili). Tot IRPEF famiglia ~€15.5k. Contributi INPS: il titolare paga su reddito intero 70k (artigiani: €3.7k + 24%(70-18.5)=3.7+12.36= €16.06k). Collaboratrice moglie se coadiuvante paga contributi su reddito agricoli? In impresa familiare, il titolare versa su tutto, i collaboratori no (non versano? O pagano come coadiuvanti quota minima?), in realtà la legge prevede che anche i familiari debbano iscriversi e versare contributi come coadiuvanti. Quindi moglie contribuente INPS su 34.3k (minimale + 24% ecc). In pratica la coppia versa contributi quasi doppi: titolare 16k, collaboratrice simile su sua quota ~€8.87k (minimale 3.7 + 24%(34.3-18.5)=3.7+3.78=7.48k, se ho fatto giusto). Tot contributi ~€23.5k. Esborso complessivo ~€39k. Resta €31k disponibile per loro.
  • SRL familiare: Marito e moglie soci 51/49, entrambi amministratori-lavoratori. Utile 70k in SRL, IRES 24% = €16.8k, utile netto €53.2k. Se distribuiscono dividendi: marito riceve 27.1k, moglie 26.1k, ciascuno tassa 26%: marito €7.05k, moglie €6.79k. Tot imposte €16.8+13.84=€30.64k. Contributi: se sono amministratori con compensi zero e soci lavoratori, dovrebbero iscriversi a INPS artigiani (perché SRL artigiana, soci di maggioranza che lavorano). Dovrebbero entrambi pagare contributi come nel caso ditta (ahimè, l’INPS li prende lo stesso!). In SRL, l’INPS richiede: socio di maggioranza lavoratore = contributi. Marito 51% lavoratore, ergo paga contributi su reddito di riferimento (che reddito considera? Forse reddito di impresa diviso per soci o forfettario?), e moglie 49% forse esente se minoranza? Se interpretato alla lettera circolare INPS, socio di SRL artigiana è obbligato se: possiede >50% e lavora; se possiede <50% anche se lavora non obbligato. Dunque, potenzialmente in questa SRL: marito 51% lavora -> contributi artigiano su reddito imputabile, moglie 49% lavora ma formalmente minoranza -> potrebbe evitare iscrizione (questo è un trucco a volte usato). Quindi ipotizziamo: marito versa contributi su 70k (come ditta era 16k), moglie nulla. Tot versamenti €16k. Totale esborso imposte+contri SRL scenario = €30.64k + €16k = €46.64k. Questo risulta più alto di impresa familiare €39k, perché l’IRPEF splitting aveva giovato e contributi comunque li pagavano entrambi ma la moglie con reddito più basso paga contributi uguali (fisso) e meno IRPEF.

Ma, se la moglie in SRL davvero non dovesse contribuire, e magari potessero ridurre il reddito imponibile con qualche strategia societaria (tipo farle un compenso admin e ridurre utile, però allora lei pagherebbe contributi gestione separata 26% su quello), insomma non c’è un vantaggio chiaro nel fare SRL se lo scopo era ridurre tassazione familiare a questo livello di utile.

Risultato: per famiglie con redditi non altissimi, la classica impresa familiare può risultare efficace per contenere IRPEF (in questo caso IRPEF totale 22% circa) anche se si paga doppio INPS. Con SRL, se davvero uno riesce a far pagare contributi ad uno solo dei due (tramite assetto 51/49), si riduce leggermente l’onere contributivo ma l’imposta societaria + su dividendi era più alta che l’IRPEF familiare.

Osservazione: se l’utile salisse molto (es. 140k), l’impresa familiare pagherebbe IRPEF sui soci (alcuni scaglioni al 43 su metà=21.5k su ognuno, in realtà ancora 35% max su quei 70k a testa, non superano 50k), l’IRPEF resterebbe mediamente sotto 30%. In SRL, 24+26 combinato 43.76%. Quindi conviene la trasparenza ancora, fino a un punto in cui ogni socio supera 50k.

Dunque, in 5 anni, se mantengono 70k, differenza accumulata: impresa fam ~€39k anno *5 = €195k spesi; SRL ~€46.6k *5 = €233k spesi. Avrebbero speso €38k in più con SRL in 5 anni – errore di scelta.

Conclusione simulazioni:

  • Cambiare regime o forma può far risparmiare decine di migliaia di euro su orizzonte pluriennale, utilissimi per ripagare debiti o reinvestire.
  • Ma va fatto un calcolo accurato: non sempre la soluzione “società” è migliore, dipende da reddito e composizione familiare. A volte strumenti semplici (forfettario, impresa familiare) bastano a ottimizzare.
  • Pianificare sul medio termine (3-5 anni) è essenziale: ad esempio entrare in forfettario per 2 anni e poi superare soglia comunque conviene rispetto a restare ordinario subito.
  • Il risparmio cumulato in 5 anni se ben pianificato può ridurre drasticamente l’esposizione debitoria: uno potrebbe decidere di versare proprio il risparmio fiscale conseguito direttamente al piano di rientro, accelerandolo.

Ad esempio Luigi di Caso3, risparmia ~€15k l’anno *5 = €75k, più che abbastanza per estinguere €50k. Avrà usato il resto per interessi o per aumentare il tenore. Senza quell’ottimizzazione, in 5 anni avrebbe pagato solo le rate a stento e non avrebbe investito.

In generale, queste simulazioni dimostrano l’importanza di fare budget e previsioni: un bravo consulente fiscale può dire “se adotti questa struttura risparmi X all’anno, quindi in Y anni hai risparmiato XY”. Quando l’imprenditore riflette su quell’XY (che può essere decine di migliaia di euro), capisce che investire un po’ di tempo e magari costi di consulenza per pianificare conviene.

FAQ – Domande Frequenti su Fisco e Partita IVA con debiti esattoriali

D: Posso aprire una Partita IVA o una società se ho debiti con Equitalia (Agenzia Entrate-Riscossione)?
R: Sì, avere debiti fiscali pregressi non impedisce di aprire una nuova Partita IVA o costituire una società. Il debito rimane personale e non “trasloca” automaticamente sulla nuova attività. Tuttavia, se apri una ditta individuale, i guadagni futuri saranno comunque tuoi e dunque aggredibili dai creditori. Aprire una società di capitali separa i patrimoni: i debiti passati restano tuoi, e i creditori non possono rivalersi direttamente sui beni della società (potrebbero semmai pignorare le tue quote o gli utili che incassi). È lecito farlo, ma va evitata ogni manovra fraudolenta di occultamento di beni. Se hai in corso un piano di rientro, comunicarlo e continuare a pagare è fondamentale. In sintesi: puoi avviare nuove attività, ma informa il tuo consulente della situazione debitoria per scegliere la forma più adeguata e valuta un accordo con AER parallelamente.

D: Equitalia/AER può pignorarmi l’incasso delle fatture o il conto aziendale se ho debiti?
R: Se operi come ditta individuale, non c’è distinzione tra conto personale e aziendale: AER potrebbe pignorare il conto bancario, i crediti verso clienti, mettere fermo sui veicoli, ecc., secondo le procedure ordinarie (dopo la notifica di cartella e mancato pagamento, emissione di intimazione, ecc.). Ci sono però dei limiti: ad esempio, sui crediti derivanti da lavoro (anche autonomo) la legge prevede limiti di pignorabilità (in genere 1/5 dello stipendio o compensi continuativi). Per i crediti di impresa, invece, un cliente tuo debitore potrebbe ricevere un atto di pignoramento presso terzi e dover pagare Equitalia invece che te (succede soprattutto con crediti verso Pubblica Amministrazione con il “blocco pagamenti” sopra €5.000 di debito tributario). Se operi tramite SRL, i creditori fiscali non possono toccare i crediti della società verso i suoi clienti (perché sono della società, non tuoi), né il conto intestato alla società per soddisfare un debito tuo personale. Potrebbero però pignorare la tua quota di utili quando la società li distribuisce, o perfino le tue quote societarie (mettendole all’asta). In pratica, la forma societaria offre una protezione: i flussi finanziari rimangono nel circuito aziendale finché non li prelevi. Questo dà modo di gestire meglio i pagamenti. È importante però non confondere le finanze: se hai un conto personale e su quello incassi come ditta individuale, è esposto; un conto intestato a una SRL per pagamenti aziendali è pignorabile solo per debiti della SRL (non i tuoi). Dunque, la risposta dipende dalla struttura: per ditte individuali (con procedure e limiti di legge), molto più difficile per società (solo indirettamente).

D: Conviene che intestchi la mia attività a un familiare per sfuggire ai debiti?
R: Intestare la nuova attività (ad es. aprire la Partita IVA a nome della moglie o costituire una SRL intestata a un familiare) può sembrare una scorciatoia per “schermarsi”. Dal punto di vista legale, non è vietato aprire un’attività a nome di un parente, ma bisogna stare attenti: se in realtà l’attività è sempre gestita da te e il familiare è solo un prestanome, l’Agenzia potrebbe contestare un’interposizione fittizia. Soprattutto se i guadagni finiscono comunque a te “sotto banco”, si configura un’evasione e potenzialmente reati. Se invece il familiare partecipa davvero e assume il rischio d’impresa, allora è lecito. Tieni presente però due cose: 1) Stai caricando il familiare di tutte le responsabilità civili e penali dell’impresa (nonché dei futuri debiti fiscali se non gestite bene le tasse correnti); 2) I creditori potrebbero comunque indagare e, in caso di movimenti sospetti di fondi tra la società/familiare e te, cercare di aggredirli (ad esempio, se incassi tramite il familiare ma i soldi vengono subito girati a te, lascerai tracce). In generale, soluzioni opache sono sconsigliate: meglio creare una struttura societaria trasparente dove magari il familiare è socio di maggioranza (per ridurre la tua quota aggredibile) e tu minoranza operativa – questo è più difendibile se c’è una logica (es. il capitale ce lo mette il familiare). Meglio ancora: affrontare il problema alla radice, negoziando un piano con Equitalia e usando l’attività per produrre il reddito con cui pagare i debiti, piuttosto che architettare sotterfugi rischiosi.

D: Ho sentito parlare del reato di “sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte”: quando rischio di incorrerci?
R: Il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11 D.Lgs. 74/2000) si configura quando un contribuente compie atti simulati o fraudolenti sui propri beni per evitare il pagamento di imposte dovute, e l’ammontare del debito fiscale eccede determinate soglie (oggi €50.000). Esempi: intestare fittiziamente i propri beni ad altri, svuotare il conto corrente, vendere simulatamente un immobile a un parente per non farlo pignorare, creare una società fittizia per nascondere disponibilità. La Cassazione ha chiarito che anche operazioni sotto soglia possono rilevare se fanno parte di un disegno fraudolento. Dunque, se hai un debito fiscale importante e compi operazioni sul tuo patrimonio, fai attenzione: se vendi un bene vero a valore di mercato per pagare debiti o per esigenze reali, non è reato; ma se fai atti “di cartapesta” (es. finta vendita a prezzo irrisorio a un prestanome) allora stai entrando in terreno penale. Costituire una società di per sé non è reato, anzi è lecito, ma potrebbe diventarlo se la usi solo per nascondere asset: ad esempio, conferire la tua casa alla società per non farla ipotecare dal Fisco sarebbe facilmente attaccabile (oltre al fatto che il conferimento di un immobile personale a una SRL è atto con tracciabilità e non ti solleva da un’eventuale ipoteca se era già iscrivibile). In sintesi: rischi il penale se compi trucchi su beni quando hai debiti fiscali rilevanti. La via corretta è trattare col Fisco (rottamare, rateizzare) piuttosto che tentare di far sparire i beni. E se devi davvero alienare qualcosa (per esigenze di liquidità ad esempio), fallo a valori di mercato e preferibilmente usa il ricavato per pagare i debiti, così dimostri la buona fede.

D: Quali spese posso dedurre per ridurre il reddito tassabile?
R: Tutte le spese inerenti alla tua attività che siano documentate possono essere dedotte dal reddito (se sei in regime ordinario). Alcune categorie comuni: affitti e bollette di ufficio/negozio; materie prime, merci e forniture; attrezzature, macchinari, arredi (tramite quote di ammortamento annuali); veicoli aziendali (deduzione con limiti: per autovetture uso promiscuo 20% per ditte individuali, 100% se strumentali o commerciali come furgoni; agenti 80%); spese di manutenzione e riparazione beni (deducibili entro 5% del valore beni, eccedente spalmabile in 5 anni); spese di pubblicità e marketing; spese di viaggio, vitto e alloggio per trasferte di lavoro (100% per impresa, 2% plafond per professionisti); spese di aggiornamento professionale e formazione; compensi a dipendenti e collaboratori, contributi pagati per loro, TFR accantonato; contributi previdenziali obbligatori tuoi (Inps o cassa); assicurazioni professionali (es. RC professionale) e garanzie (fideiussioni per appalti, deducibili come costo di esercizio); spese per consulenze di terzi (commercialista, legale, ecc.); imposte e tasse inerenti (bollo auto autocarro, IMU su immobili strumentali – quest’ultima deducibile al 100% dal 2023). Inoltre puoi dedurre eventuali rettifiche di ricavi (resi, sconti passivi) e accantonamenti obbligatori (es. fondo svalutazione crediti entro limiti). Insomma, ogni costo legato all’attività riduce l’utile tassabile. Anche le spese di benefit ai dipendenti (fringe benefit esenti) sono deducibili per l’azienda. Tieni presente che alcune spese hanno limiti forfettari (es. l’uso promiscuo casa/ufficio: puoi dedurre solo la quota parte, tipicamente % metri quadri). Ma con il supporto di un commercialista potrai “spulciare” ogni voce di spesa e assicurarti di dedurla correttamente. Se sei in regime forfettario, invece, non deduci nulla analiticamente: hai un abbattimento forfettario a monte. In tal caso, l’unica “spesa” che rileva sono i contributi, che puoi comunque dedurre dal forfettario.

D: È vero che da ditta individuale pago le tasse su tutto l’utile anche se lo reinvesto in azienda, mentre con una società posso lasciare l’utile e pagare meno tasse?
R: Sì. La ditta individuale (o la società di persone) è “trasparente”: tutto l’utile dell’anno concorre a formare il tuo reddito imponibile IRPEF, anche se quei soldi li lasci nel c/c aziendale e non li prelevi. Non c’è distinzione tra utili distribuiti o trattenuti. Invece, in una società di capitali, l’utile viene tassato una prima volta con IRES (24%) a livello societario, ma se non viene distribuito ai soci non subisce altre imposte. I soci pagheranno eventuali tasse solo quando (e se) percepiranno dividendi. Questo crea la possibilità di differire o ridurre la tassazione personale: ad esempio, la società può accumulare utili per anni pagando solo il 24%, e magari reinvestirli in macchinari, crescita, ecc., senza far salire l’IRPEF dei soci. Inoltre attualmente e ancor di più in futuro sono previsti incentivi per utili reinvestiti: la legge delega fiscale prevede IRES ridotta al 15% sugli utili reinvestiti in sviluppo e non distribuiti. Già per il 2025 c’è la cosiddetta “IRES premiale” al 20% per chi accantona 80% di utili a riserva e investe/hiring. Quindi, confermando la domanda: come ditta paghi su tutto l’utile (fino al 43% se sei in scaglione alto) anche se lo lasci in azienda; come SRL paghi 24% (o meno con agevolazioni) se tieni l’utile in azienda, e solo quando deciderai di distribuirlo ai soci scatterà il 26% su quella somma. Questo può tradursi in risparmi significativi o in un vantaggio di flusso di cassa/fondi propri disponibili. Attenzione però: se la società è unipersonale e accumula utili, e poi il socio vende la società, potrebbe realizzare una plusvalenza tassata (anche se se trascorrono 5 anni può essere non imponibile in parte). Ma sono considerazioni da pianificare in ambito più avanzato.

D: Cosa succede se non riesco a pagare le tasse correnti mentre sto pagando il debito pregresso?
R: È essenziale evitare di accumulare nuovo debito fiscale mentre stai regolarizzando il vecchio. Se non paghi le imposte correnti (IVA, ritenute, acconti IRPEF/IRES) rischi di vanificare lo sforzo: le nuove pendenze andranno anch’esse a ruolo, con sanzioni e interessi, e potresti perdere i benefici di eventuali rottamazioni sul vecchio (in genere, no, la rottamazione decade solo se non paghi le rate di essa stessa; tuttavia un continuo inadempimento sui tributi correnti potrebbe portare l’Agenzia a revocare dilazioni o a negare certificati). Inoltre, certi reati scattano per omessi versamenti IVA > €250k o ritenute > €150k: quindi occhio a non sforare soglie penali. Se proprio hai problemi di liquidità, comunica col Fisco: è possibile chiedere un saldo e stralcio o una rateazione anche sulle nuove somme (per importi >€5.000 puoi rateizzare cartelle senza necessità di garanzie fino a 72 rate). Nel 2023, con la “tregua fiscale”, chi aveva rottamato poteva anche rateizzare i nuovi debiti in 20 rate trimestrali. La strategia migliore è: riduci il carico fiscale legale (con i metodi di cui abbiamo parlato) per rendere sostenibile il pagamento di tutto. Se nonostante ciò, prevedi difficoltà a pagare IVA o contributi, valuta di ridurre l’attività o i costi (meglio guadagnare un po’ meno ma essere in regola, che spingersi oltre e cadere in un circolo vizioso). In sintesi: se non paghi il corrente, accumuli nuovi debiti che rischiano di aggravare la tua situazione e di riattivare azioni esecutive. Meglio contattare subito Agenzia Entrate o Riscossione per trovare soluzioni (dilazione immediata su avvisi bonari, compensazione con crediti se ne hai, ecc.).

D: Ho una SRL e pensavo di non versare l’IVA per qualche mese per avere liquidità: quali sono i rischi?
R: Altissimi. L’IVA che incassi appartiene per legge all’Erario, non è tua. Usarla come “fido” è molto pericoloso. Se ometti di versare IVA oltre una certa soglia (€250k annui) commetti reato penale (art. 10-ter D.Lgs.74/2000). Ma anche sotto soglia, riceverai un avviso bonario dopo la dichiarazione, con sanzione 30% e interessi, e se non paghi in 30 giorni si forma cartella esattoriale. Per un’azienda indebitata, accumulare ulteriori cartelle di IVA è l’ultima cosa da fare. Molti imprenditori in crisi finanziaria cadono in tentazione di usare l’IVA incassata per far fronte a spese immediate: è comprensibile nell’emergenza, ma va evitato. Meglio piuttosto richiedere IVA per cassa (paghi l’IVA solo quando incassi effettivamente la fattura: se i tuoi clienti ritardano, non anticipi IVA) o concordare con fornitori pagamenti diversi. Se proprio hai saltato un versamento IVA, corri ai ripari con il ravvedimento operoso: puoi versare con qualche settimana/mese di ritardo con sanzione ridotta (che è molto inferiore al 30%). Ad esempio, se ravvedi entro 90 giorni, sanzione 1.67% al mese di ritardo circa. È un male minore. Non versare l’IVA per mesi invece porta a sanzioni piene, interessi e difficoltà. Una SRL che accumula debiti IVA ricorrenti inoltre espone l’amministratore al rischio di azioni di responsabilità e di fallimento in proprio (se poi la società fallisce, le omissioni IVA possono essere contestate come mala gestio). Quindi sconsigliato assolutamente. Usa i risparmi fiscali ottenuti altrove (es. riduzione acconti IRPEF/IRES se stimi reddito minore, compensazione crediti) ma non l’IVA o le ritenute dei dipendenti (stesso discorso: sono somme altrui).

D: Cosa posso fare se non riesco proprio a pagare i debiti con Equitalia?
R: Se la mole di debito è tale da essere oggettivamente impagabile rispetto ai tuoi redditi e patrimoni, esistono procedure di soluzione della crisi da sovraindebitamento. Ad esempio, la legge n.3/2012 (ora integrata nel nuovo Codice della Crisi d’Impresa) consente al piccolo imprenditore o consumatore sovraindebitato di proporre un piano del consumatore o accordo di ristrutturazione davanti al giudice, o la liquidazione del patrimonio, per liberarsi dei debiti residui non sostenibili (è una sorta di “esdebitazione”). Queste procedure richiedono la consulenza di un OCC (Organismo di Composizione Crisi) e la presenza di certi requisiti (onestà del debitore, almeno qualcosa da offrire ai creditori, ecc.). In tali piani si possono includere anche i debiti tributari (l’AdER può aderire a stralci parziali). È una soluzione estrema, ma se ti trovi in uno scenario dove anche pagando meno tasse e stringendo la cinghia non riusciresti mai a colmare il debito, vale la pena informarsi su queste procedure di “fresh start”. Tieni conto però che comportano di solito la liquidazione di eventuali beni disponibili e un controllo delle tue finanze per diversi anni, oltre al fatto che verrai segnalato nelle banche dati. Prima di arrivare a ciò, assicurati di aver sfruttato tutte le opportunità: rottamazioni, stralcio mini-debiti, dilazioni massime (oggi fino a 10 anni). Anche un debito molto alto, spezzato in 10 anni senza sanzioni (grazie a definizioni agevolate), può diventare gestibile se l’attività produce reddito. Se invece il debito è totalmente fuori portata (€200k e reddito €10k annuo ad esempio), allora valutare la procedura di sovraindebitamento con un avvocato/commercialista esperto è opportuno. Ricorda: ignorare il problema non lo risolve; atti come fermi, ipoteche, pignoramenti arriveranno. Meglio anticipare e trovare una soluzione legale di esdebitazione piuttosto che farsi inseguire a vita dai creditori.

Conclusione

Pagare meno tasse legalmente è possibile e, come abbiamo visto, spesso è la chiave per riuscire a onorare anche debiti fiscali pregressi. L’ordinamento italiano, pur con tutte le sue complessità, offre a imprenditori e professionisti una serie di strumenti e scelte – dal regime fiscale alla forma d’impresa, dalle deduzioni agli incentivi – che, se utilizzati con cognizione, permettono di alleggerire significativamente il carico tributario senza uscire dalla legalità.

Il filo conduttore è la pianificazione: occorre analizzare la propria situazione attuale (entità dei debiti, redditività dell’attività, composizione familiare, etc.), conoscere le norme vigenti e in arrivo, e disegnare un percorso ottimizzato. Spesso questo richiede il supporto di consulenti qualificati (commercialisti, tributaristi, avvocati) – un investimento che si ripaga ampiamente con i risparmi ottenuti. Abbiamo visto casi in cui la differenza tra una gestione fiscale efficiente e una trascurata può valere decine di migliaia di euro in pochi anni. Soprattutto, può fare la differenza tra un contribuente “in trappola”, che ogni anno vede crescere i debiti, e un contribuente che invece riesce a rimettersi in carreggiata, pagando il dovuto ma non l’oltre il dovuto.

Chiave è mantenere sempre la legalità e trasparenza nelle operazioni: ridurre le tasse legalmente significa utilizzare le opportunità offerte dalle leggi, non cercare scorciatoie illecite. Il confine tra lecito e illecito, come abbiamo ribadito, sta nell’avere o meno valide ragioni economiche per le proprie scelte. Aprire una SRL perché dà benefici fiscali e protegge il patrimonio è lecito (ed è anzi buona gestione); intestare una società a un prestanome per nascondersi, no. Dedurre tutte le spese effettive è lecito; inventarsele, no. Sfruttare un condono o una rottamazione è lecito (sono leggi dello Stato); non dichiarare redditi sperando in futuri condoni, no.

Oggi (maggio 2025) la situazione normativa ci offre varie agevolazioni: regime forfettario esteso, rottamazione-quater in corso, nuovi piani di dilazione fino a 10 anni, taglio IRAP per piccoli, incentivi investimenti e assunzioni, prospettive di mini-IRES. È un contesto favorevole per chi vuole davvero regolarizzarsi e guardare avanti. L’imprenditore o professionista lungimirante dovrebbe approfittarne, facendo “pulizia” del passato e ottimizzando il futuro.

In conclusione, pagare meno tasse legalmente non è solo possibile, ma è il percorso corretto per ritrovare sostenibilità finanziaria: meno tasse => più liquidità => più capacità di pagare debiti e investire => attività che prospera => ancora meno incidenza percentuale di tasse. È un circolo virtuoso. Combattiamo invece il circolo vizioso di tasse alte perché si è irregolari, e irregolarità che aumentano perché tasse alte. Con buona consulenza, disciplina e magari qualche sacrificio iniziale, è possibile invertire la rotta. Molti imprenditori italiani, pur schiacciati da un fisco complesso, ce l’hanno fatta – anche grazie alle opportunità offerte dalle stesse norme tributarie.

Il messaggio finale è: non aspettare, pianifica ora. Ogni euro risparmiato legalmente è un euro guadagnato due volte: una volta perché resta nelle tue tasche e un’altra perché ti avvicina alla libertà dai debiti.

Fonti Normative, Giurisprudenziali e di Prassi Citati

  • D.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917 (TUIR) – Testo Unico delle Imposte sui Redditi, articoli vari su determinazione reddito d’impresa e di lavoro autonomo (in particolare art. 54 per lavoro autonomo, art. 56 e segg. per impresa, art. 115-116 opzione trasparenza società capitali).
  • D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 – Istituzione e disciplina dell’IVA, art. 10 (operazioni esenti, includendo prestazioni sanitarie).
  • Legge 30 dicembre 2021 n. 234 – Legge di Bilancio 2022, ha ridotto da 5 a 4 gli scaglioni IRPEF e abolito IRAP per imprenditori individuali e società di persone.
  • Legge 29 dicembre 2022 n. 197 – Legge di Bilancio 2023, ha innalzato il limite forfettario a €85.000, introdotto flat tax incrementale 15% 2023, previsto Rottamazione-quater debiti 2000-2022 e Stralcio automatico debiti ≤ €1.000 (2000-2015).
  • Legge 30 dicembre 2023 n. 213 – Legge di Bilancio 2024, ha introdotto IRES “premiale” 20% per utili 2024 accantonati e reinvestiti (commi 136-143, ora confluiti nella legge bilancio 2025 per decorrenza).
  • Legge 20 dicembre 2024 n. 207 – Legge di Bilancio 2025, commi 436-444 art.1 introducono “IRES premiale” al 20% per il 2025 (in continuità col Ddl bilancio citato in dicembre 2024).
  • Legge 9 agosto 2023 n. 111 – Delega al Governo per la riforma fiscale, prevede riduzione IRES al 15% per utili reinvestiti e non distribuiti (art. 6) e revisione IRPEF a 3 aliquote.
  • D.Lgs. 29 luglio 2024 n. 110 – Ha modificato l’art.19 DPR 602/73 in materia di rateazioni, innalzando a 84-96-108 rate le dilazioni automatiche dal 2025 e semplificando accesso 120 rate.
  • Decreto-Legge 22 ottobre 2016 n. 193 conv. L.225/2016 – Ha soppresso Equitalia dal 1° luglio 2017 e istituito Agenzia delle Entrate-Riscossione.
  • Cassazione penale, sez. III, sent. n. 15133/2018 – Ha statuito che il reato di sottrazione fraudolenta (art.11 D.Lgs.74/2000) sussiste anche per atti fraudolenti su beni di valore inferiore alla soglia (€50k) se inseriti in un disegno volto a frodare il Fisco.
  • Cassazione SS.UU. sent. n. 30055/2008 – (Non citata sopra testualmente, ma fondamentale) Ha introdotto in via giurisprudenziale il principio generale anti-elusione poi recepito in L.212/2000 art.10-bis.
  • Cassazione sez. Trib. sent. n. 9135/2021 – Richiamata per i principi sull’abuso del diritto fiscale, ritenuto di matrice unionale e ora codificato: vietato l’uso distorto di strumenti giuridici per solo risparmio d’imposta.
  • Art. 10-bis L. 27 luglio 2000 n. 212 (Statuto del Contribuente) – Norma generale antiabuso introdotta dal 2015, definisce abuso del diritto operazioni prive di sostanza economica che realizzano vantaggi fiscali indebiti.
  • Art. 11 D.Lgs. 10 marzo 2000 n. 74 – Reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (pena fino a 4-6 anni se >€50k). Soglia di punibilità €50.000 di debito tributario.
  • Circolare INPS n.33 del 7/2/2024 – Determina aliquote contributive Artigiani 24% e Commercianti 24.48% 2024 e minimale reddito €18.555.
  • Circolare INPS n.24 del 29/1/2024 – Aliquote Gestione Separata 2024: 26,23% per professionisti senza altra tutela, 24% con altra tutela (più dettagli su aliquote aggiuntive ISCRO, maternità ecc.).
  • INPS – Regime contributivo soci di Srl artigiana/commerciale – (Circolare INPS n.22/2002 e succ.) Principio della doppia iscrizione: socio di Srl che sia contemporaneamente amministratore e lavoratore prevalente viene iscritto sia a Gestione Separata (per compenso amministratore) sia a Gestione Commercianti/Artigiani se possiede controllo società e vi lavora. Interpretazioni: socio lavoratore non di maggioranza potrebbe evitare seconda iscrizione (prassi non univoca).
  • Agenzia Entrate-Riscossione – FAQ e documenti: sul sito AER vi sono informazioni sulla Definizione agevolata 2023, sullo Stralcio debiti fino 1000€ (e relative delibere enti locali), sulle rateizzazioni (sezione “Rateizzazione” aggiornata alle novità dal 2025).
  • Confcommercio – Approfondimento 11/3/2025: “Rottamazione quater, tutte le scadenze 2025”, riepilogo termini e riapertura milleproroghe.

Come Pagare Meno Tasse Legalmente con la Partita IVA Se Devi Soldi all’ex Equitalia: Perché Affidarti a Studio Monardo

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Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

🔹 Avvocato esperto in diritto tributario e difesa delle partite IVA in crisi
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Perché agire subito

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Conclusione

Anche con una partita IVA indebitata con l’ex Equitalia, puoi pagare meno tasse legalmente e tornare operativo.
La legge ti offre strumenti di tutela, ma vanno attivati da chi conosce bene ogni procedura.

Affidarsi all’Avvocato Giuseppe Monardo significa avere al tuo fianco una guida legale specializzata nella difesa di professionisti, artigiani e freelance in crisi fiscale.

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La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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