La Liquidazione dei Beni nel Concordato Preventivo: La Guida

La tua impresa è in crisi e stai valutando il concordato preventivo? Comprendere come avviene la liquidazione dei beni è fondamentale per una gestione efficace della procedura e per massimizzare la soddisfazione dei creditori.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto della crisi d’impresa e procedure concorsuali – è pensata per aiutarti a comprendere le modalità di liquidazione dei beni nel concordato preventivo, sia in continuità aziendale che liquidatorio.

Scopri le differenze tra le due tipologie di concordato, i requisiti richiesti, le modalità di nomina del liquidatore e del comitato dei creditori, e come vengono gestite le vendite dei beni aziendali secondo le disposizioni del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza.

Alla fine della guida troverai tutti i contatti per richiedere una consulenza riservata, analizzare la tua situazione con un avvocato esperto e **costruire una strategia efficace per affrontare la crisi d’impresa attraverso il concordato preventivo, tutelando al meglio i tuoi interessi e quelli dei creditori.

1. Introduzione

Il concordato preventivo è uno strumento di composizione negoziata della crisi d’impresa in cui il debitore propone ai creditori un piano (convenzione) di pagamento dei debiti, in alternativa al fallimento. Nel concordato liquidatorio il piano prevede la vendita dei beni patrimoniali dell’impresa (con possibile cessione anche dell’azienda), al fine di soddisfare i creditori, anziché la prosecuzione dell’attività. Negli altri tipi di concordato (con continuità aziendale, diretto o indiretto, e misto) una quota dei beni può essere liquidata mentre il resto dell’attivo continua a generare reddito. La liquidazione dei beni è dunque il fulcro di tutti i concordati liquidatori e misti: la sua regola generale è disciplinata dal Codice della crisi e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019 e succ. mod.).
In questa guida, aggiornata a maggio 2025, analizziamo in dettaglio la normativa di riferimento (Codice della crisi, D.Lgs. n. 14/2019 e decreti correttivi), la giurisprudenza più recente (Cassazione e Tribunali) e la prassi applicativa, fornendo esempi numerici, tabelle riassuntive e FAQ per rispondere ai quesiti più comuni di avvocati e imprenditori. Saranno descritti gli schemi operativi per predisporre il piano concordatario con vendita dei beni, nonché le modalità pratiche di realizzazione degli attivi (vendite dirette, offerte competitive, nomina del liquidatore). Infine, si tratteranno gli aspetti fiscali e contabili delle operazioni di liquidazione concordataria.

2. Quadro normativo e tipologie di concordato

2.1 Riforma e fonti legislative

La disciplina del concordato preventivo è stata radicalmente riformata dal Codice della crisi e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019), entrato in vigore dal 2022 e più volte modificato dai decreti c.d. correttivi. Il primo correttivo è stato il D.Lgs. 147/2020, seguito dal D.Lgs. 118/2021 (che ha introdotto, tra l’altro, la composizione negoziata della crisi e anticipato alcune disposizioni del Codice) e dal D.Lgs. 83/2022 (adeguamento alla Direttiva UE 1023/2019). Infine, il D.Lgs. 136/2024 (pubblicato il 13 settembre 2024) ha completato l’iter correttivo, aggiornando ulteriormente la procedura concordataria. In sintesi, l’iter di riforma (legge delega 155/2017 → Codice 14/2019 → correttivi 147/2020, 118/2021, 83/2022, 136/2024) ha ridefinito i requisiti e le fasi del concordato preventivo, mantenendo comunque l’obbligo fondamentale: garantire ai creditori un soddisfacimento pari almeno a quanto realizzabile in caso di liquidazione giudiziale.

Le norme principali del Codice della crisi (CCII) relative al concordato sono:

  • Art. 47 CCII – Procedimento di apertura: deposito del piano concordatario, verifica di ammissibilità da parte del Tribunale e nomina del giudice delegato e del commissario giudiziale;
  • Art. 48 CCII – Omologazione: udienza della camera di consiglio, accertamento del consenso dei creditori e del rispetto dei requisiti (maggioranze, prospetto di soddisfacimento minimo, ecc.), iscrizione del concordato nel Registro delle Imprese;
  • Art. 84 CCII – Contenuto essenziale del piano: principio del soddisfacimento almeno pari alla liquidazione (principio del quid); requisiti aggiuntivi (riformulati dal correttivo 2022), tra cui – nei concordati liquidatori – almeno il 20% per i creditori chirografari e un ulteriore apporto esterno (ad esempio pari al 10% dell’attivo);
  • Art. 91 CCII – Offerte di acquisto: possibilità di prevedere, nel piano, offerte dirette di acquisto di beni o azienda e obbligo di pubblicità per raccogliere offerte concorrenti;
  • Art. 94 CCII – Alienazioni pre-omologazione: disciplina le vendite o cessioni di azienda o rami d’azienda con provvedimento del giudice delegato prima dell’omologazione, richiedendo procedure competitive (pubblicità, stima);
  • Art. 114 CCII – Vendite concordatarie: rinvia alle regole della liquidazione giudiziale per tutte le cessioni di beni effettuate dopo il deposito del piano concordatario, confermando il principio di competizione (cfr. art.216 CCII);
  • Art. 216 CCII – Vendite forzate: disciplina generale delle vendite nell’esecuzione dei piani di liquidazione (liquidazione giudiziale e concordato), con obbligo di stima, pubblicità, almeno tre esperimenti di vendita annuali per gli immobili, ecc. (principio di competitività e accelerazione delle procedure).

Inoltre, restano rilevanti alcune norme del Codice Civile e del TUIR: ad esempio, l’art. 2643 c.c. impone l’iscrizione nel Registro delle imprese del concordato omologato. Sotto il profilo fiscale, l’art. 86, comma 5, TUIR (introdotto dal D.L. n.118/2021, conv. in L. 147/2021) stabilisce che la cessione dei beni ai creditori in sede di concordato preventivo non realizza plusvalenze o minusvalenze (c.d. detassazione delle plusvalenze concordatarie), orientamento confermato da Cassazione e Agenzia delle Entrate.

Tabella 1 – Normativa chiave sul concordato

Norma / RiferimentoContenuto principale
Art. 47 CCIIApertura concordato: deposito piano con documenti (attestazione, relazione), verifica requisiti formali e di fattibilità; nomina giudice delegato e commissario giudiziale.
Art. 48 CCIIOmologazione: udienza in c.c., verifica maggioranze e congruità del soddisfacimento, iscrizione del concordato (eventuali opposizioni).
Art. 84 CCIIRequisiti minimi piani: soddisfacimento dei creditori almeno pari al realizzo liquidativo; nuove percentuali minime per concordati liquidatori (≥20% chirografari + apporto esterno).
Art. 91 CCIIOfferta di acquisto: il piano può prevedere un’offerta di acquisto di azienda/bene da parte di soggetto individuato, con obbligo di pubblicità per raccogliere offerte concorrenti.
Art. 94 CCIIAlienazioni pre-omologazione: il giudice delegato può autorizzare cessioni/affitti di azienda o beni, richiedendo procedure competitive (pubblicità, stima).
Art. 114 CCIIVendite concordatarie: alle vendite/cessioni posteriori al deposito si applicano, in via generale, le regole della liquidazione giudiziale (in quanto compatibili).
Art. 216 CCIIVendite liquidazione: norme generali sulle vendite forzate (esecuzione del piano), con procedure competitive e limiti di tempo (ad es. minimo 3 tentativi per immobile/anno).
Art. 2643 c.c.Iscrizione nel Registro Imprese dell’avvio del concordato omologato (comunica l’esistenza della procedura e dei suoi effetti sui creditori).
Art. 86 TUIR, c.5Detassazione plusvalenze: le cessioni di beni ai creditori in concordato non danno luogo a realizzo di plusvalenze/minusvalenze.

2.2 Tipologie di concordato (liquidatorio, continuità, misto)

Il Codice prevede diverse modalità di concordato preventivo:

  • Concordato liquidatorio: il piano prevede la liquidazione integrale dell’attivo dell’impresa (cessione di beni e azienda) per soddisfare i creditori. I poteri di gestione rimangono formalmente al debitore, ma l’obiettivo è finalizzato alla massima trasformazione degli attivi in denaro. È la procedura più affine alla liquidazione fallimentare, sebbene con assetti più elasticizzati.
  • Concordato con continuità aziendale: si distingue in diretta e indiretta. Nel concordato in continuità diretta (art. 186-bis L. Fall., ora CCII), l’imprenditore continua a esercitare l’attività in proprio, ripianando i debiti con i flussi futuri (affitto o gestione). In quello indiretto (continuità attraverso terzi), l’azienda può essere ceduta o affittata a terzi con clausola di mantenimento dei livelli occupazionali e ripristino (clausola Make-or-Buy del Ministero Sviluppo, MIMIT).
  • Concordato misto: combina elementi di entrambi, prevedendo la cessione/alienazione di parte dell’azienda o di singoli beni non strategici (liquidazione parziale) e contemporaneamente la prosecuzione dell’attività su altre parti (“continuità parziale”). In pratica, una quota dell’impresa viene liquidata (smobilizzo di cespiti), mentre il resto continua l’esercizio con una nuova struttura organizzativa o partner operativo.

Il principio di liceità del piano (art.84) impone che il soddisfacimento offerto ai creditori sia almeno pari a quello che otterrebbero in liquidazione giudiziale. Ciò significa che il valore assegnato alle risorse conferite nel piano (attivo concordatario) deve e- quivalere almeno al valore di realizzo che i beni presenterebbero in fallimento. In particolare, nei concordati liquidatori il legislatore fissa soglie minime: almeno il 20% per i creditori chirografari (non privilegiati) e un apporto aggiuntivo di risorse esterne (tipicamente almeno il 10% del valore dell’attivo). Questi requisiti rafforzano la tutela dei creditori in procedure dove manca la continuità aziendale.

Tabella 2 – Differenze tra tipologie di concordato

TipologiaFinalità principaleGestione aziendaleLiquidazione beniRequisiti particolari
LiquidatorioSmobilizzo totale dell’attivo, cessazioneImpresa ferma; può continuare formalmente come custodeVendita di tutti i beni/aziende (modo atomistico o in blocco)Soddisfacimento ≥ valore liquidativo; ≥20% chirograf. + 10% apporto
Continuità direttaProsecuzione attività dell’imprenditoreImprenditore in carica con organi socialiCessione/affitto di azienda se previsto, ma obiettivo è continuareObblighi di mantenimento livelli occupaz.; piano finanziario sostenibile; eventuale garanzia pari almeno al valore di liquidazione cfr. Direttiva Insolvency
Continuità indirettaProsecuzione tramite terzi (affitto/cessione)Azienda ceduta ad acquirente terzo (con vincoli occupazionali)Cessione del ramo/azienda; norme IVA e L.392/78 se affittoDiritti di Lavoratori (art.2112 c.c. applic. 105 l.fall ancora controverso); clausole contrattuali di gestione
MistoCompromesso tra liquidazione e continuitàParte della struttura ceduta, parte mantenutaAliquote (vendita di beni non strategici + conferma attività residua)Obblighi di liquidazione su beni definibili (art.84 c.8); 20% minimo creditori

3. Il concordato liquidatorio

3.1 Caratteristiche e requisiti

Nel concordato liquidatorio il piano concordatario prevede la vendita di tutti i beni e dei beni aziendali residui, con lo scopo di liquidare l’attivo per pagare i creditori. Formalmente il debitore conserva l’amministrazione attenuata dei beni (art.94 CCII), ma l’orientamento sostanziale del piano è alla cessione coatta o concordata dei cespiti. Il concordato liquidatorio può essere standard o semplificato (per piccoli debitori, ex art.25-sexies CCII). In ogni caso, i requisiti di ammissibilità includono:

  • la verifica, in sede di deposito (art.47), della fattibilità del piano: il tribunale, acquisito parere del commissario, deve accertare che il piano non sia manifestamente inidoneo a conseguire gli obiettivi dichiarati (es. copertura minima del passivo);
  • il rispetto degli obblighi informativi e contabili del debitore (completo elenco dei beni, delle passività, documenti contabili);
  • nel caso di liquidazione, i vincoli aggiuntivi dettati dall’art.84 c.4 (cfr. infra) per i creditori.

La giurisprudenza e dottrina richiamano i criteri del vecchio art.186-bis L.fall. (ora art.114 CCII): un concordato in cui parte dei beni viene venduta e parte invece continua a essere utilizzata per l’attività prosegue in continuità parziale secondo la disciplina del concordato in continuità. Ad esempio, Cass. 15/1/2020 n. 734 ha chiarito che un piano che combina una “liquidazione atomistica” di alcuni beni con una prosecuzione dell’attività deve essere valutato in base all’idoneità dei beni residui a garantire un maggior soddisfacimento dei creditori.

Tabella 3 – Requisiti chiave del concordato liquidatorio

RequisitoContenuto
Soddisfacimento minimo (art.84 CCII)Piano soddisfa creditori pari almeno a valore in liquidazione. Per il liquidatorio: ≥20% crediti chirografari + apporti esterni.
AmmissioneTribunale verifica la non manifesta inidoneità del piano (p.es. non simulazione fallimentare); deposito di documentazione completa (bilanci, inventari).
Pubblicità e offerteSe il piano prevede offerte specifiche, occorre pubblicizzarle (art.91 CCII); eventuali aste pubbliche durante la liquidazione.
Organizzazione delle venditeDeve seguire il principio di competitività: stima in base al valore di realizzo, pubblicità e procedure (art.216 CCII); in pratica si applicano (compatibilmente) le regole fallimentari delle vendite.
Liquidatore** (art.84 c.8)Se il piano prevede la “liquidazione del patrimonio” o la cessione dell’azienda, il tribunale deve nominare un liquidatore giudiziale (figura analoga al curatore fallimentare).
Commissario giudizialeResta in carica: vigilanza sul corretto svolgimento della procedura (ex art.94 CCII, sotto sua supervisione il debitore conserva l’amministrazione). Partecipa alla fase esecutiva e formula il parere sul piano.

3.2 Procedimento e piano concordatario

Il piano di concordato liquidatorio deve contenere una descrizione dettagliata dell’attivo (beni mobili, immobili, crediti) e del passivo (classificato per gradi di privilegio). Fondamentale è determinare il valore di liquidazione: i beni devono essere stimati al valore presumibile di realizzo in ipotesi liquidatoria (affidabile e prudente). Su tale base, il piano quantifica la percentuale di soddisfacimento per ciascun ceto di creditori (p.es. privilegiati, ipotecari, chirografari). Si prevede inoltre l’eventuale apporto di risorse esterne (nuovi capitali o finanziamenti senza obbligo di restituzione) che aumenti l’attivo da distribuire.

Lo schema operativo tipico di predisposizione del piano liquidatorio è il seguente:

  1. Inventario e valutazione: analisi dei beni aziendali e patrimoniali; stima prudenziale dei ricavi di vendita (perizie, aste di prova).
  2. Classificazione dei creditori: redazione del passivo ammissibile, suddividendo i creditori per natura giuridica (es. l.circolari, privilegi).
  3. Calcolo del soddisfacimento: definizione delle percentuali d’assegnazione per i creditori (es. agli ipotecari il 100% del credito, ai chirografari ≥20%, ecc.), compatibili con il valore liquidativo complessivo.
  4. Apporto di risorse esterne: individuazione del terzo finanziatore e modalità di conferimento (denaro fresco, con vincolo di esclusività sui proventi). Da ultimo il Tribunale richiede che tali risorse servano ad aumentare l’attivo disponibile per i creditori, non a ridurre il passivo.
  5. Redazione del piano e documentazione: oltre alla proposta concordataria va depositata l’attestazione redatta da professionista (requisito di veridicità e sostenibilità) e gli allegati (bilanci, inventari, contratti rilevanti).
  6. Deposito e apertura procedura (art.47 CCII): con il ricorso in Tribunale, il debitore deposita il piano e paga una cauzione spese (pari al 50% o comunque almeno il 20% dei costi preventivati) entro 15 giorni. Il Tribunale fissa quindi un’udienza di verifica.
  7. Verifica di ammissibilità: il tribunale, acquisito il parere del commissario giudiziale, controlla i requisiti formali (completezza documentale) e sostanziali (obbligo di non pregiudicare i creditori in modo irragionevole). In caso di dubbi, può estendere accertamenti o rigettare la domanda.
  8. Nomina giudice delegato e commissario (art.47 c.4 CCII): il Tribunale nomina un giudice delegato e conferma il commissario giudiziale per curare l’iter (prima e dopo l’omologazione).
  9. Fissazione dei termini di voto: il giudice delegato stabilisce il periodo utile per l’espressione del voto dei creditori (generalmente almeno 15-30 giorni) e la modalità di comunicazione degli esiti.

Terminati questi adempimenti, i creditori esprimeranno il voto sul piano mediante le forme previste (generalmente per classi di creditori). Se si raggiungono le maggioranze richieste dal codice (almeno il 50% del passivo ammesso rappresentato e il 60% dei creditori in termini di valore, o altre percentuali in taluni casi), il tribunale indice l’udienza di omologazione (camera di consiglio). Se la pronuncia è favorevole, il concordato è omologato e pubblicato (iscrizione nel Registro delle Imprese), ed entra in fase esecutiva.

3.3 Esecuzione del piano e vendite concordatarie

Una volta omologato il piano, inizia la fase di liquidazione dei beni. Il debitore (affiancato dal commissario giudiziale e dal liquidatore) provvede agli atti di vendita secondo le modalità stabilite dal piano. La legislazione fissa il principio di carattere generale: tutte le vendite, cessioni o trasferimenti di beni attuate dopo il deposito della domanda concordataria (o in esecuzione del piano) seguono, «in quanto compatibili», le regole dettate per le vendite nella liquidazione giudiziale. In pratica, ciò significa: procedure pubbliche, stima preventiva, rispetto delle forme (es. vendita a mezzo notaio per beni immobili) – salvo che il piano disponga diversamente.

In particolare, l’art. 114 CCII (ripreso dalla vecchia legge fallimentare) prevede che tutte le vendite concordatarie successive al deposito del ricorso siano regolamentate dalle norme delle vendite fallimentari. Ciò fa dell’art. 216 CCII il riferimento generale: ad esempio, per gli immobili occorrerà effettuare almeno tre esperimenti di vendita all’anno, con abbassamento del prezzo dopo il terzo tentativo fino a metà del valore iniziale. Tale “competitività” è da considerarsi vincolante anche in concordato. Le vendite privatistiche de facto (negoziazioni, asta “deformalizzata”) possono essere ammesse solo in via residuale o previa autorizzazione del giudice delegato: in particolare, prima dell’omologazione l’art.94 CCII autorizza solo vendite/affitti di azienda in procedura concorsuale (es. per mandare l’azienda in continuità) tramite procedura competitiva. Analogamente, l’art.84 c.9 CCII dispone che se il piano prevede offerta diretta di acquisto da parte di persona determinata, occorre pubblicizzare tale offerta e raccogliere eventuali offerte concorrenti.

Modalità di vendita. Le principali forme liquidatorie sono:

  • Vendite in gara / all’asta: gli organi della procedura bandiscono gare pubbliche per uno o più beni, secondo le procedure di legge. Vantaggi: massimizzazione del ricavo, trasparenza; svantaggi: tempi più lunghi e costi (oneri notarili/pubblicitari).
  • Vendita diretta de-formalizzata (negoziazione privata): i beni possono essere affidati dal commissario o liquidatore a un professionista (es. auctioneer) che ricercare acquirenti, oppure il curatore negozia con un soggetto predeterminato. Tale vendita è disciplinata in parte dal Codice Civile (artt. 2919-2929 c.c.), come previsto per espressa norma (il venditore concordatario resta tutelato dal diritto di recesso fino all’effettivo pagamento). Vantaggi: tempi rapidi, minor oneri procedurali; svantaggi: minor concorrenza. In ogni caso, il Tribunale richiede che la scelta tra gara e trattativa rispetti il principio di convenienza per i creditori (anche Cassazione ha affermato che una maggiore concorrenza contribuisce al miglior soddisfacimento del ceto creditorio).
  • Cessione in blocco di azienda o rami: se il concordato prevede la vendita dell’intera azienda o di sue parti (continuità indiretta o miste), si applica l’art. 216 (in quanto compatibile) o, se previsto, l’art. 182 l.fall. Le cessioni in blocco seguono anch’esse procedure competitive, con la garanzia (per i debiti di lavoro) del principio di responsabilità solidale ex art. 2112 c.c. (anche se il curatore, nei limiti del possibile, cerca di garantire continuità occupazionale). Le norme di deroga del vecchio art.105 l.fall. (esenzione responsabilità successiva, cessione di singoli rami) sono ormai parzialmente recepite nel CCII.

Ruolo del liquidatore e del commissario giudiziale. Nel concordato liquidatorio, l’art.84 c.8 CCII prevede la nomina di un liquidatore giudiziale qualora il piano disponga la liquidazione del patrimonio o cessione dell’azienda. Il liquidatore svolge funzioni analoghe a quelle del curatore fallimentare: raccoglie le offerte, gestisce i ricavi delle vendite, tiene aggiornato il passivo, redige il rendiconto finale. Affianca il debitore nella fase esecutiva, sotto la guida del giudice delegato. Resta comunque operativo il commissario giudiziale nominato in apertura: il commissario ha un ruolo di vigilanza istituzionale sul corretto svolgimento della procedura e sulla rispondenza del piano ai requisiti di legge. In particolare, il commissario assiste alla fase “prenotativa” e alla dichiarazione di concordato (rendendo pareri richiesti dall’art.47) e deve poi controllare l’andamento delle vendite concordatarie (es. partecipando alle aste e verificando le offerte ricevute).

Tabella 4 – Ruoli e responsabilità nella liquidazione concordataria

SoggettoCompiti principali
Tribunale (Giudice Delegato)Decide sull’ammissione del concordato; autorizza cessioni/affitti d’azienda pre-omologazione; vigila sull’attuazione del piano e sulla nomina del liquidatore.
Commissario giudizialeVigila sull’operato del debitore (amministrazione attenuata) e sulla correttezza del piano (attestazione, soddisfacimento min.); sovrintende la fase esecutiva: rende pareri, assiste alle vendite, redige relazioni e il rendiconto finale.
Liquidatore giudizialeEsegue le vendite di beni (all’asta o trattative), cura la raccolta delle offerte e la formazione del ricavo, adempie agli obblighi contabili (aggiornamento del passivo, riparto attivo), predispone la ripartizione secondo il piano.
Debitore proponenteRedige il piano e la proposta, conserva l’esercizio dell’impresa (cfr. art.94 CCII) sotto vigilanza, collabora alle vendite (perizie, consegna documenti), realizza gli apporti pattuiti (altri asset o finanza).
CreditoriEsprimono il voto sul piano (in classi) durante l’assemblea ex art.109 c.2 CCII; possono proporre offerte concorrenti; percepiscono i ricavi delle vendite secondo il grado di credito (privilegiati, chirografari) e le percentuali stabilite.

3.4 Esempi pratici e simulazioni

Esempio numerico semplificato. Immaginiamo un’impresa in concordato liquidatorio con i seguenti dati patrimoniali: immobilizzazioni (immobili) per €100.000, macchinari per €50.000, scorte per €30.000 e crediti per €20.000. Il passivo ammissibile è di €180.000, di cui €50.000 ipotecari, €30.000 privilegi per dipendenti, €100.000 chirografari. Il piano concordatario prevede: (i) vendita di immobili a €80.000, macchinari a €40.000, scorte a €20.000 (totale ricavo €140.000) + (ii) apporto di finanza esterna di €15.000. L’attivo totale disponibile = €155.000. Dopo il pagamento degli ipotecari (€50k) e privilegi (€30k), rimangono €75.000 per i chirografari, ovvero il 75% del loro credito (ben superiore al minimo 20%). Il piano prevede quindi di pagare integralmente i privilegi, l’80% degli ipotecari e il 75% dei chirografari. Il residuo di €15.000 di apporto consente di raggiungere il 75%. Il tribunale valuterà se tale soddisfacimento è almeno pari al liquidabile.

Cronoprogramma indicativo:

  • Mese 0 (Deposit o): si deposita la proposta di concordato con piano e documenti, versando la cauzione spese (es. €5.000). Il Tribunale fissa la verifica al Mese 1.
  • Mese 1: verifica ammissibilità. Se positiva, nomina giudice delegato e commissario, fissa i termini per le votazioni (es. entro Mese 2).
  • Mese 2: i creditori votano il piano (assemblea con espressione di voto in forma scritta o telematica).
  • Mese 3: udienza di omologazione; se il concordato è approvato, si pubblica l’esito e inizia la liquidazione.
  • Mese 4-6: esecuzione delle vendite. Si svolgono aste per immobili (almeno 3 tentativi con riduzioni progressive come da art.216 CCII), vendite direct di scorte e macchinari tramite trattative autorizzate, incameramento delle somme.
  • Mese 7: raccolta offerte e chiusura delle procedure di vendita. Il commissario redige un rendiconto preliminare.
  • Mese 8: distribuzione finale ai creditori secondo le percentuali del piano; pagamento delle spese di procedura e liquidazione del compenso del commissario.

Diagramma delle fasi principali:

Deposito piano (M0) → Verifica ammissibilità (M1) → Assemblea votazioni (M2) → Omologazione (M3) → Vendite beni (M4-6) → Riparto creditori (M7-8)

4. Concordato con continuità aziendale

4.1 Concordato diretta e indiretta

Nel concordato preventivo con continuità aziendale, l’obiettivo è mantenere l’attività dell’impresa anziché liquidarla totalmente. Le norme prevedono che il debitore, anche affidando l’azienda a terzi, cerchi di ripianare i debiti con i flussi futuri o con operazioni straordinarie. Si distinguono:

  • Continuità diretta: l’imprenditore continua in prima persona l’attività (o tramite nuovo soggetto giuridico). Può accadere mediante gestione autonoma con investimenti esterni o fusione con un’altra impresa operativa.
  • Continuità indiretta: l’azienda o un ramo aziendale viene ceduto o affittato a un terzo (con il vincolo di mantenere i posti di lavoro e la buona conservazione). L’acquirente può anche acquisire i debiti con azione pro solvendo. Dopo l’omologazione, il terzo subentra come nuovo titolare.

In entrambi i casi, il piano concordatario contempla la prosecuzione dell’impresa. Di conseguenza, la liquidazione dei beni riguarda tipicamente solo gli asset non strategici (es. immobili superflui, attrezzature in eccesso) o è resa residuale. Il valore di liquidazione da utilizzare come parametro di confronto viene calcolato ipotizzando la chiusura dell’attività (cessazione), in modo prudenziale. Ad esempio, Tribunale di Firenze (08.01.2025) ha confermato che, nel fissare il valore di liquidazione dell’azienda, si deve considerare lo scenario peggiore di cessione coatta dopo la cessazione dell’attività, escludendo dal calcolo qualsiasi valore di continuità (poiché «non vi sarebbero le condizioni per mantenere l’azienda in attività» in caso di fallimento ipotetico). Su tale base viene quindi determinato il margine incrementale che spetta ai creditori nel concordato rispetto al semplice fallimento. Nel caso in esame, il piano di concordato prevedeva un apporto di finanza esterna di €770.000 per sostenere la continuità; il Tribunale ha verificato la correttezza di tale cifra in base ai dati gestionali e ha autorizzato il finanziamento.

4.2 Piano di continuità e liquidazione parziale

Il piano con continuità può assumere forme diverse: affitto d’azienda, cessione a scopo di affitto, fusione post-concordato, ecc. In ogni caso, deve assicurare che i creditori ottengano almeno quanto avrebbero ricevuto liquidando i beni residui. L’art. 84 CCII (c.2) sancisce che anche la continuità indiretta è una forma legittima di concordato, a condizione di salvaguardare i livelli occupazionali e le ragioni dei creditori (per es. cedendo l’azienda a condizioni compatibili). Il nuovo debitore (cessionario) può assumere i debiti, ma resta ferma la responsabilità solidale ex art. 2112 c.c. sui rapporti di lavoro (in linea con Cassazione 2017 n.18747).

Durante la fase concordataria, il piano deve indicare chiaramente che i beni aziendali avranno una funzione produttiva (in continuità) oppure saranno alienati. In presenza di beni non utilizzati per la continuità, l’art. 114 CCII può trovare applicazione, e per tali vendite valgono le regole ordinarie di liquidazione. Se invece il piano prevede la cessione in blocco dell’azienda (continuità ind., con cessione completa), si applicano le norme di vendita diretta autorizzata (art.94) o, dopo l’omologazione, le regole generalizzate di art.216.

Differenza rispetto al concordato liquidatorio: nel concordato con continuità il soddisfacimento effettivo dei creditori può essere superiore a quello minimamente garantito, grazie alla prospettiva di futuri utili aziendali e alla cessione di avviamento. Tuttavia, il piano deve comunque prevedere come controprova almeno il calcolo del valore di realizzo liquidatorio, che costituisce il parametro prudenziale di confronto. L’eventuale “valore di avviamento” si aggiunge alla consistenza attiva dell’impresa concordataria, ma non può essere conteggiato nel valore di liquidazione nell’ipotesi pessimistico di chiusura. I principi della Direttiva Insolvency (UE 1023/2019) sono stati recepiti per consentire la continuità indiretta (c.d. trasferimento di azienda nel concordato) senza violare il principio di “pari trattamento” dei creditori; in particolare, la nozione di continuità indiretta è espressamente prevista per i concordati (art.84 c.2 CCII).

Esempio pratico di calcolo (valore liquidazione vs valore concordato): riprendiamo i valori dell’esempio precedente. Se si ipotizza la cessazione dell’attività e la semplice liquidazione fallimentare, forse l’immobile si venderebbe a €70.000 (invece di 80), i macchinari a €35.000, le scorte a €15.000: attivo liquidazione = €120.000. Se invece si tiene l’impresa in funzione, magari con l’immobile affittato e gli scarti riciclati, l’azienda in continuità potrebbe valere di più (es. potenziale di reddito). La differenza tra €140.000 (scen. concordato) e €120.000 (scen. liquidaz.) determina il surplus da distribuire ai creditori chirografari. Se il piano ha previsto una trasformazione d’impresa (nuovo business plan), è stato necessario dimostrare la sostenibilità finanziaria (ad es. con apporti esterni come nella sentenza sopra citata).

Tabella 5 – Confronto tra concordato liquidatorio e continuità

AspettoConcordato liquidatorioConcordato con continuità
ObiettivoMassima liquidazione dell’attivo, chiusura impresaProsecuzione (totale o parziale) dell’attività
Valore di riferimentoValore di realizzo liquidativo (cessazione)Valore continuità (es. avviamento + affitto); il piano deve però mostrare il valore liquidatorio come fallback
Soddisfacimento minimoPercentuali minime per classi (es. 20% chirografari)Almeno pari a liquidazione, ma il piano può prevedere distribuzioni più alte grazie ai flussi gestionali.
Apporto esternoNecessario per superare la soglia legale (p.es. 10% attivo)Frequente: capitalizzazioni o finanziamenti necessari per rilancio; come verifica, Tribunale deve controllare la sostenibilità (es. 770k in Trib. FI).
Durata attesaMediamente breve (vendita completa in max 1-2 anni)Più lunga (esercizio aziendale continuativo, es. 3-5 anni)
Controllo occupazionaleIrrilevante (obiettivo è soddisfacimento creditori)Prioritario (vincoli di mantenimento posti di lavoro e termini di continuità)

5. Vendite e modalità liquidatorie

5.1 Principi generali delle vendite concordatarie

Come anticipato, l’assetto normativo richiede che ogni vendita di beni concordatari segua il principio di pubblicità e competitività, salvo casi eccezionali. Ciò si traduce nell’obbligo di una stima rigorosa degli asset (quantificata ad inizio liquidazione) e nella ricerca di acquirenti in grado di garantire il miglior prezzo. Le vendite possono essere eseguite sia con mezzi ordinari (aste giudiziarie – ex art.216 CCII) sia con metodi derogati (trattative private, offerte in concorrenza). In particolare, le vendite in asta (gare pubbliche) seguono la procedura codicistica della liquidazione giudiziale: almeno tre esperimenti per immobile l’anno, limiti alle offerte al rialzo, possibilità di alleggerire gradualmente il prezzo dopo tentativi infruttuosi. Le vendite fuori asta (stipula di contratto pubblico o atto notarile) richiedono comunque l’intervento giudiziario (decreto o autorizzazione) e l’osservanza dei principi concorsuali di trasparenza.

In ogni caso, la valorizzazione delle vendite nel piano concordatario deve essere realistica: la Cassazione ha ribadito che non sono ammissibili piani basati su previsioni palesemente ottimistiche. Ad esempio, nel caso di Trib. Firenze si è verificato che il valore liquidativo ipotizzato dal piano (aziende+continuità) coincideva con la differenza tra attivo del concordato e attivo liquidatorio; se il piano avesse stimato un ricavo superiore alla stima prudente, sarebbe stato rigettato (mancanza di attendibilità).

5.2 Vendita diretta vs offerte competitive

Una scelta cruciale nell’attuazione del piano riguarda la forma di vendita: si tratta di decidere tra vendita privata diretta (negoziata) o gare/aste pubbliche. Le due modalità presentano trade-off:

  • Vendita diretta (negoziata): un bene o un pacchetto di beni viene affidato a un soggetto individuato (spesso nominato dal tribunale, es. un agente fiduciario o un mediatore) che promuove la vendita direttamente ad acquirenti selezionati. Questa forma, pur essendo più flessibile e rapida, comporta minore concorrenza. Tuttavia il legislatore la ammette in via residue (cfr. art.114 in modo implicito) e talvolta è favorita nei concordati semplificati. È comunque necessario un provvedimento autorizzativo del giudice delegato (art.94 e 216 CCII) e la garanzia che il prezzo ottenuto sia congruo (si basa su comparazione con stime di mercato). La dottrina rileva che la de-formalizzazione accelera i tempi a scapito della concorrenza, per cui resta intatto l’obbligo di adeguata pubblicità (ad esempio tramite portali specializzati).
  • Offerte competitive (aste pubbliche): gli organi procedurali indicono una vera e propria gara (in vendita o affitto). L’asta garantisce la partecipazione di più potenziali acquirenti: di norma, il miglior offerente aggiudica il bene. Questa modalità richiede procedure codificate (ad esempio, stipula di verbali, etc.) e può beneficiare degli strumenti del diritto processuale (decreto di trasferimento, efficacia esecutiva del contratto, art.216 c.2 CCII). Vantaggio principale è il miglior ricavo ottenibile grazie alla concorrenza; svantaggi sono i tempi più lunghi e gli oneri (es. pubblicità, custodia dei beni durante l’iter). La Cassazione ha evidenziato che la trasparenza e l’apertura della gara riducono l’impatto sulle ragioni dei creditori. Le vendite all’asta possono essere atomistiche (bene per bene) o in blocco (pacchetto di beni o azienda intera). L’art.216 CCII si applica anche alle aste concordatarie, analogamente al fallimento.

Tabella 6 – Vendita diretta vs asta pubblica

ModalitàDescrizioneVantaggiSvantaggi
Vendita diretta (negoziata)Contratto negoziato con acquirente individuato; contratto pubblico/privatoTempi rapidi; costi procedura ridotti; più flessibileMinor concorrenza → rischio di prezzo inferiore; richiede autorizzazione giudiziale
Asta pubblica (offerte competitive)Procedura pubblica regolamentata (tribunale e liquidatore gestiscono la gara)Massimo realizzo del bene; trasparenza e parità tra offerentiTempi lunghi; oneri aggiuntivi (ex. spese notarili/pubblicità); complessa organizzazione

5.3 Nomina e funzioni del liquidatore

Nel concordato liquidatorio semplificato (per debitori con risorse limitate), la legge stabilisce procedure particolarmente snelle. Il tribunale nomina un liquidatore giudiziale anche in questo caso: ai sensi dell’art. 25-sexies CCII, il liquidatore assume compiti analoghi a quelli del commissario, ma con poteri di gestione più ampi (può, ad es., revovere i locali aziendali, vendere beni senza attendere ogni autorizzazione). In ogni concordato con liquidazione formale (anche ordinario), la nomina del liquidatore avviene quando il piano prevede la separazione totale del debitore dai beni: in questi casi il liquidatore sostituisce il debitore nell’amministrazione dell’attivo (es. mette in vendita i beni, riscuote crediti). Il liquidatore risponde al giudice delegato e riferisce con un rendiconto finale. Va notato che il codice non impone sempre l’ufficio del liquidatore: se il piano è misto oppure prevede che il debitore compia le vendite in prima persona, può accadere (come suggerisce la dottrina) che il giudice non nomini un liquidatore. Tuttavia, di norma la presenza di un liquidatore è considerata utile per garantire imparzialità e trasparenza nell’esecuzione delle vendite. Il decreto di nomina può anche prevedere i poteri specifici (es. autorizzazione a raccogliere offerte, a contrattare liberamente i beni venduti, ecc.).

Quote giurisprudenziali: si veda Cass. 15/1/2020, n.734 (concordato parziale); Trib. Reggio Emilia 24/10/2023 (apporto fin. esterna); Trib. Firenze 8/1/2025 (valore liquidazione azienda); Cass. 23/11/2023, n.32536 (motivazione compenso commissario).

6. Aspetti fiscali e contabili

6.1 Plusvalenze e fiscalità ordinaria

Dal punto di vista fiscale, la cessione dei beni in concordato rientra nelle normali regole di mercato, con alcune agevolazioni specifiche. La norma cardine è l’art. 86 c.5 del TUIR: essa dispone che “la cessione dei beni ai creditori in sede di concordato preventivo non costituisce realizzo delle plusvalenze e minusvalenze di beni”. In altre parole, le plusvalenze (o minusvalenze) derivanti dalla vendita concordataria di cespiti (anche d’azienda) non vengono tassate. Tale norma, introdotta dal decreto di modifica del 2012 (Art.54 c.6 TUIR, poi art.86 c.5), è stata interpretata estensivamente: sia la Corte di Cassazione (sent. 5112/1996) sia l’Agenzia Entrate (ris. 29/E/2004) hanno confermato che si applica non solo alle cessioni “in solutum” ai creditori (cessio bonorum), ma anche alle vendite a terzi realizzate nell’esecuzione del concordato. In pratica, tutte le plusvalenze realizzate nell’ambito della liquidazione concordataria sono fiscalmente neutre (nel senso che il loro imponibile si azzera). Ciò significa che il venditore (il debitore o la massa concordataria) non pagherà tasse su eventuali guadagni da cessione dei beni, né potrà dedurre perdite di valore. L’effetto è stato voluto per alleggerire il carico fiscale delle operazioni di liquidazione concordataria. Da evidenziare che questo regime è vincolante; in passato, prima dell’introduzione dell’art.86 c.5 TUIR, la questione era dibattuta (alcuni studi sostenevano l’applicabilità solo al “concordato con cessione beni”), ma oggi è pacifica la sua applicazione in ogni concordato preventivo.

Per i creditori che acquisiscono beni in pagamento del credito, l’acquisto avviene al costo fiscalmente riconosciuto del debitore (art. 176 TUIR: cessione di azienda), ossia il valore fiscalmente aggiornato, senza impatto diretto sul loro reddito. Per l’imprenditore debitore, invece, gli effetti contabili sono: estinzione del costo storico dei beni ceduti (cancellazione dal libro cespiti), e registrazione di eventuali perdite o utili di gestione nel conto economico. Tuttavia, fiscalmente tali utili/perdite vengono neutralizzati da quanto detto (se non autorizzati dalla legge).

6.2 Altri aspetti tributari

  • IVA: le vendite di beni e rami aziendali seguono le regole ordinarie ai fini IVA (art. 2 DPR 633/1972). In assenza di specifiche esenzioni, l’aliquota applicabile è quella competente per il bene (es. 22% per i beni strumentali). Anche le cessioni di azienda o di rami possono talvolta usufruire di regimi di esenzione (art. 8, tabella A, parte II T.U.I.R. n. 917/86), se ricorrono i presupposti di trasferimento d’azienda. In pratica, il liquidatore emette regolare fattura di vendita e versa l’IVA dovuta all’erario; i creditori compratori detraggono l’IVA se titolari di attività imponibile. Eventuali autofatture o inversioni contabili non si applicano di regola.
  • Imposte indirette (registro, ipotecarie): la cessione di beni immobili in concordato genera le imposte ordinarie di registro, ipoteca e catastali sulle vendite (di solito aliquote ridotte per successioni e donazioni, se passaggio tra soggetti concordatari; altrimenti quelle ordinarie). Non vi sono esenzioni particolari come avviene per le ristrutturazioni (art. 74-bis DPR 131/1986 si applica a fusioni, non a concordati). Gli atti notarili di vendita concordataria vengono registrati e tassati normalmente. In passato alcuni interpreti avevano ipotizzato analogie con la cessio bonorum, ma tali ipotesi restrittive sono state superate: il regime applicabile è quello delle vendite a titolo oneroso effettuate nell’ambito di una procedura concorsuale.
  • Ritenute e IRES/IRPEF: il compenso del liquidatore e del commissario è tassato come compenso professionale (ritenuta d’acconto e IVA sui propri servizi). Per l’imprenditore è previsto il normale trattamento fiscale delle spese e costi di procedura (i costi giustificati e inerenti all’impresa sono deducibili ai fini delle imposte dirette, nel rispetto dei requisiti ordinari). Non vi è particolarità fiscale derivante dal concordato stesso; ad esempio, non esistono crediti d’imposta o sgravi automatici (a differenza delle transazioni fiscali extraconcorsuali introdotte nel 2022).

Box Riassuntivo (Aspetti fiscali): la liquidazione concordataria gode di un regime fiscale agevolato per quanto riguarda le plusvalenze (art.86 c.5 TUIR), che vengono tassate per 0. Ogni utile di cessione non imponibile riduce di pari importo il valore fiscale del bene. Per il resto, valgono le regole ordinarie IVA e delle imposte indirette sulle vendite.

7. FAQ – Domande frequenti

Q1: In cosa differisce un concordato liquidatorio da un fallimento?
A: Nel fallimento il giudice delegato nomina un curatore che prende in consegna i beni e li vende secondo le regole del fallimento. Nel concordato liquidatorio, invece, l’imprenditore resta formalmente in carica sotto vigilanza, e si predispone un piano concordatario omologato che definisce la liquidazione. In pratica, l’obiettivo di vendita dei beni è simile, ma nel concordato è vincolato all’esito positivo della procedura e può godere delle “agevolazioni” concordatarie (es. detassazione plusvalenze, possibilità di apporto di nuovi mezzi finanziari). Inoltre, i creditori decidono attraverso il voto sul piano, anziché subire passivamente il fallimento.

Q2: Qual è la percentuale minima da destinare ai creditori chirografari in un concordato liquidatorio?
A: La legge prevede che nel concordato liquidatorio i creditori chirografari (non privilegiati) debbano ricevere almeno il 20% del loro credito. Oltre a questo, il piano deve prevedere un apporto di mezzi esterni (ad es. patrimonio sociale o finanza di nuovi soci) pari ad almeno il 10% dell’attivo aziendale. Questi requisiti sono vincolanti per l’ammissibilità del concordato.

Q3: Cosa sono le offerte competitive e come si applicano nel concordato?
A: Le offerte competitive consistono nel procedere a vendere i beni (o l’azienda) attraverso una gara pubblica aperta a tutti gli interessati (come in un’asta). Nel concordato, se il piano prevede di vendere un bene, il Tribunale richiede che venga svolta una vendita competitiva con pubblicità (è richiesto almeno un annuncio pubblicitario e l’invito a presentare offerte). Ad esempio, per un immobile si possono effettuare aste successive con riduzioni di prezzo (secondo art.216 CCII). Le offerte competitive sono d’obbligo in genere per le cessioni autorizzate prima dell’omologazione (art.94 CCII). Le vendite dirette senza gara possono essere ammesse solo se specificamente autorizzate o nel concordato semplificato, sempre nel rispetto del principio di conseguire il maggior ricavo possibile.

Q4: Che differenza c’è tra vendita atomistica e cessione dell’azienda?
A: Vendita atomistica significa alienare bene per bene (es. vari immobili e macchinari separati), alla stregua di una liquidazione “pezzo per pezzo”. Cessione dell’azienda in blocco significa vendere l’intera impresa (o un ramo) come un solo lotto. Nel concordato in continuità indiretta, di solito si opta per cessione dell’azienda a un terzo. Nel concordato liquidatorio puro, ci si limita spesso alla vendita atomistica, a meno che il piano non preveda esplicitamente la cessione della totalità (a quel punto si parla di cessione in blocco, che richiede la nomina di liquidatore e segue specifiche procedure codicistiche). La scelta impatta su tempi e risultati: la cessione in blocco può essere più rapida e mantenere valore d’azienda, ma richiede un compratore unico, mentre la vendita atomistica può coinvolgere più offerenti per ogni asset.

Q5: Quali obblighi ha il commissario giudiziale durante le vendite concordatarie?
A: Il commissario giudiziale vigila sul processo di liquidazione. Formalmente l’imprenditore conserva la gestione (art.94 CCII) ma sotto sorveglianza. In concreto, il commissario deve: approntare le vendite nei modi stabiliti (ad es. assistere alle aste, verificare che le offerte siano congrue), controllare il rispetto del piano (che i proventi siano destinati ai creditori come previsto), e infine redigere il rendiconto finale della procedura. Secondo Cass. 23/11/2023 n.32536, anche il decreto di liquidazione del compenso del commissario deve essere motivato in modo analitico, evidenziando le attività svolte e i risultati conseguiti. In sostanza, il commissario agisce come “occhio pubblico” dei creditori nelle vendite concordatarie.

Q6: Come cambia la contabilità del debitore in concordato?
A: In concordato non c’è spossessamento formale completo dell’imprenditore: i beni restano nel suo attivo contabile fino alla vendita. Durante la procedura, il debitore deve tenere i libri contabili aggiornati (se tenuti regolarmente), inserire eventuali variazioni (affitti, redditi di gestione, ecc.) e contabilizzare la cessione dei beni come una cessione di immobilizzazioni. Nei conti, la vendita genera una perdita o un utile di realizzo (differenza tra costo storico e prezzo di vendita). Tuttavia, come detto, fiscalmente tale plusvalenza viene azzerata. A livello civilistico, spesso viene chiesto di costituire un apposito fondo rischi o perdita, ma in prassi il risultato economico della liquidazione confluisce nel conto economico d’esercizio. Non esistono crediti d’imposta né obblighi particolari aggiuntivi (gli oneri delle procedure restano deducibili come spese straordinarie d’impresa).

8. Conclusioni

La liquidazione dei beni nel concordato preventivo è una fase cruciale, che richiede rigore normativo e cura operativa. Questa guida ha illustrato i profili di complessità della procedura: dalla verifica dei requisiti legali (art.84 CCII) alla predisposizione di un piano con valori liquidativi affidabili, dalle modalità di vendita all’assegnazione delle risorse ai creditori. La dottrina e la giurisprudenza più recente (ad es. le pronunce citate) confermano il principio della massima concorrenza nelle vendite e l’obbligo di non danneggiare i creditori. Allo stesso tempo, il legislatore ha introdotto flessibilità – ammette infatti offerte dirette e cessioni in blocco – purché il risultato finale sia almeno pari al recupero liquidativo. Gli strumenti operativi (comunicazioni al Registro, offerta minima, tabelle di riparto) garantiscono efficienza e trasparenza. Gli aspetti fiscali agevolati (esenzione plusvalenze) incentivano l’uso del concordato come soluzione di crisi. In sintesi, il concordato con liquidazione dei beni è oggi una procedura più snella e protettiva rispetto al passato, ma richiede attenzione alle molte regole di forma e ai meccanismi di soddisfazione creditizia descritti.

Fonti

  • Normativa: Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, e succ. mod.); Legge Fallimentare (R.D. n.267/1942, art.182 e ss.); Decreti correttivi (D.Lgs. 147/2020, 118/2021, 83/2022, 136/2024); DPR 633/1972 (IVA); TUIR (art.86 co.5); Codice Civile (artt.2643, 2919-2929, 2112);
  • Cassazione: Sez. I, 15 gen. 2020, n. 734 (concordato misto); Sez. I, 23 nov. 2023, n. 32536 (liquidazione compenso commissario); Sez. I, 4 giu. 1996, n. 5112 (plusvalenze conc.); Sez. I, 16 ott. 2006, n. 22168 (interpretazione art.54/86 TUIR); SS.UU., 27 lug. 2004, n. 14083 (vendite concordatari); e altra giurisprudenza.
  • Tribunali: Trib. Firenze, 8 gen. 2025 (determ. valore liquidazione concordato); Trib. Reggio Emilia, 24 ott. 2023 (finanza esterna e apporto); Cass. Trib. dic., Tariffe e circolari ministeriali (art.39 L.F. su documenti di piano).

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