Crisi d’impresa e Recupero IVA: Cosa Sapere

La tua impresa è in crisi e hai crediti non riscossi da clienti insolventi? Sai che in alcuni casi puoi recuperare l’IVA già versata?

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e gestione della crisi d’impresa – è pensata per aiutarti a capire come funziona il recupero dell’IVA nei casi di insolvenza e come ottenere un sollievo fiscale concreto.

Scopri in quali situazioni è possibile recuperare l’IVA su fatture non incassate, cosa prevede la normativa in caso di procedure concorsuali, quali termini vanno rispettati, e come inserire correttamente il recupero IVA in un piano di ristrutturazione o liquidazione.

Alla fine della guida troverai tutti i contatti per richiedere una consulenza riservata, valutare la tua situazione con un avvocato esperto e costruire una strategia completa per tutelare la tua impresa e migliorare la gestione dei flussi fiscali durante la crisi.

Introduzione:

La crisi d’impresa rappresenta uno stato di difficoltà economica e finanziaria tale da mettere a rischio la continuità aziendale. Il quadro normativo italiano della crisi d’impresa è stato recentemente riformato dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019) e da una serie di provvedimenti attuativi, tenendo conto anche dei principi dell’Unione Europea. Gli istituti principali del nuovo ordinamento comprendono il concordato preventivo, la liquidazione giudiziale (che sostituisce il fallimento tradizionale), gli accordi di ristrutturazione dei debiti (ARD), il piano attestato di risanamento e la composizione negoziata della crisi, tra gli altri.

Parallelamente, la disciplina fiscale – in particolare quella dell’IVA – deve conformarsi al contesto concorsuale: in caso di insolvenza del debitore, il creditore può trovarsi nella condizione di non incassare i corrispettivi ed avere necessità di recuperare l’imposta già versata. La materia è regolata dagli articoli 26 e 30 del DPR 633/1972 (Testo Unico IVA) e dalle direttive comunitarie (in particolare l’art. 90 della Direttiva IVA 2006/112/CE), nonché dalla prassi ministeriale aggiornata.

Quadro normativo e strumenti di crisi d’impresa

La normativa italiana principale in materia di crisi e insolvenza si articola nel Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019, c.d. «Codice della Crisi»), che ha sostituito progressivamente la vecchia Legge Fallimentare (R.D. 267/1942), e nelle leggi complementari (come la legge n. 3/2012 in materia di sovraindebitamento). Il Codice della Crisi è entrato in vigore gradualmente dal 2022 e recepisce, tra l’altro, il decreto-legge 118/2021 (Decreto PNRR) che ha introdotto la composizione negoziata della crisi.

Gli strumenti previsti dal nuovo ordinamento sono molti e variegati. I principali sono i seguenti (ciascuno disciplinato da specifici articoli del Codice):

  • Concordato preventivo (Titolo IV, art. 84-96 del Codice della Crisi). Procedura giurisdizionale che consente all’imprenditore in difficoltà di proporre ai creditori un piano di soddisfazione parziale o integrale dei debiti. Può essere proposto con o senza continuità aziendale (cd. concordato liquidatorio).
  • Liquidazione giudiziale (Titolo VI, art. 101-121 del Codice). Si tratta della procedura sostitutiva del fallimento, applicabile in caso di insolvenza conclamata. Ha carattere liquidatorio: si procede alla vendita dell’attivo per ripartire il ricavato tra i creditori secondo le norme sulla par condicio creditorum. La dichiarazione di liquidazione giudiziale rileva come stato di insolvenza dal punto di vista fiscale e consente al curatore di formulare apposite dichiarazioni IVA (art. 74-bis DPR 633/1972).
  • Accordi di ristrutturazione dei debiti (ARD) (Titolo IV, art. 59-61). Si tratta di accordi stragiudiziali – omologati dal tribunale – con cui l’impresa propone ai creditori ammessi al passivo una soluzione concordata (normalmente parziale) dei debiti. Gli ARD possono essere “semplici” o “estesi” (se coinvolgono tutti i creditori, anche quelli non aderenti), nonché “agevolati” se consentono al debitore misure fiscali speciali.
  • Piano attestato di risanamento (Titolo III, art. 56). È un documento predisposto dall’imprenditore con l’ausilio di un professionista attestatore, che illustra misure di risanamento dell’azienda e il relativo piano di rientro dai debiti. Deve essere depositato e pubblicato nel Registro delle Imprese; non necessita di omologazione giudiziale, ma l’efficacia dei risultati dipende dall’effettiva realizzazione del piano.
  • Composizione negoziata della crisi (Titolo II, art. 12-25 quinquies, introdotto da DL 118/2021 e codificato dal Codice della Crisi, art. 25-bis ss.). Si tratta di una procedura stragiudiziale di negoziazione protetta, gestita da organismi indipendenti iscritti in apposito Registro, in cui l’impresa, con l’assistenza di professionisti, cerca soluzioni concordate con i creditori (anche finanzieri e erariali) prima che la crisi si aggravi. La legge prevede incentivi premiali (sgravi fiscali e linee di credito ad hoc) per chi ricorre a questo strumento.
  • Procedure speciali. Fanno parte di questo insieme anche istituti particolari come l’Amministrazione Straordinaria (artt. 2500-bis e ss. del c.c. modificati, per grandi imprese strategiche) e la Liquidazione Coatta Amministrativa per enti pubblici o professionisti (art. 101-103 L.F., attualmente abrogati o in fase di superamento). Pur rilevanti in alcuni casi, essi seguono regole specifiche che raramente coinvolgono normativamente il regime IVA comune.

In tutti questi istituti, l’obiettivo primario è la soluzione della crisi: dalla prosecuzione dell’attività (con risanamento) alla liquidazione per massimizzare la soddisfazione dei creditori. Dal punto di vista fiscale, ciascuna procedura può incidere sul trattamento dell’IVA: in particolare sull’ammontare dell’IVA dovuta e sulla possibilità per i creditori/fornitori di recuperare l’imposta versata su crediti poi non riscossi.

Recupero dell’IVA nel contesto concorsuale: principi generali

L’IVA, per sua natura di imposta indiretta sul consumo, è dovuta sulla “cifra d’affari” (corrispettivi). Se un imprenditore cedente/prestatore di beni o servizi non riceve il pagamento dal cliente (cessionario/committente), sorge il problema di una quota di IVA incassata dallo Stato indebitamente, poiché l’operazione economica non si perfeziona. In linea generale, il diritto comunitario (art. 90 della Direttiva IVA 2006/112/CE) riconosce agli Stati membri la facoltà di consentire al cedente che dimostri l’irreperibilità definitiva del credito di ridurre la base imponibile dell’operazione (vale a dire emettere una nota di variazione IVA in diminuzione). L’Italia recepisce tale principio nell’art. 26 del DPR 633/1972, che disciplina le variazioni in diminuzione dell’IVA.

Art. 26, comma 2, DPR 633/1972 (form. ante 2022): fino al 2021 il comma 2 prevedeva che, nel caso di mancato pagamento (totale o parziale) del corrispettivo a causa di procedure concorsuali infruttuose (o esecuzioni), il cedente potesse portare in detrazione l’imposta corrispondente alla variazione dell’imponibile, senza limiti di tempo, purché divenuto definitivo il fallimento o chiusa la procedura fallimentare con riparto. In sostanza, in un fallimento tradizionale il diritto emergeva solo al termine della procedura (vedi infra).

Con la Legge di Stabilità 2016 (L. 208/2015, commi 126-127) e successivi interventi (DL n. 73/2021 c.d. Sostegni-bis, Legge delega 17/2022, ecc.), l’art. 26 è stato riscritto e integrato con varie disposizione, in particolare il nuovo comma 3-bis del DPR 633/72. Il comma 3-bis stabilisce che, per il cedente/prestatore, il diritto alla nota di variazione in diminuzione nasce “a partire dalla data in cui il cessionario o committente è assoggettato a una procedura concorsuale” (fallimento, concordato, liquidazione coatta, amministrazione straordinaria o altra procedura di crisi riconosciuta dalla legge). Non è più necessario attendere l’esito finale, né l’inserimento del creditore nel passivo; si può agire immediatamente dopo l’apertura della procedura, nel rispetto di un termine finale per l’emissione della nota.

Secondo l’Agenzia delle Entrate e prassi consolidata, il termine ultimo per emettere la nota di variazione IVA in diminuzione è il termine di presentazione della dichiarazione annuale IVA relativa all’anno di apertura della procedura concorsuale. In pratica, il credito di imposta derivante dalla riduzione dell’IVA non incassata deve essere esercitato entro la dichiarazione IVA dell’anno in cui il debitore è fallito (o ha avuto l’accordo, ecc.). Dopo tale scadenza decade la possibilità di rettificare l’imponibile a credito, né è ammessa una dichiarazione integrativa a favore o istanza di rimborso oltre tale termine.

In sintesi, principi generali del recupero IVA in concorsualità:

  • È necessario che il credito sia definitivamente inesigibile (mancato pagamento causato dalla procedura).
  • Il legislatore italiano consente al cedente di emettere la nota di variazione dal momento dell’apertura della procedura concorsuale (senza necessità di attenderne l’esito).
  • La nota di variazione deve essere effettuata entro il termine della dichiarazione IVA relativa all’anno di apertura della procedura.
  • Il creditore non è obbligato ad insinuarsi al passivo per poter utilizzare la norma; può agire anche da esterno alla procedura (purché dimostri l’infruttuosità). L’unico obbligo è che il credito sia stato oggetto di un formale piano di riparto o piano concordatario (anche concorsuale) che ne dichiari l’infruttuosità complessiva o parziale. In sostanza, la procedura (fall. o concordato) in cui è coinvolto il debitore attiva il meccanismo di recupero.
  • Se successivamente viene pagata la parte di debito (anche in parte) a cui si riferisce la nota, il comma 5 dell’art. 26 DPR 633/72 impone al cedente di riattribuire quota di IVA con variazione in aumento. La Circolare AE 20/E/2021 precisa che tale aumento potrà essere dedotto solo dal cessionario che effettivamente corrisponde l’imposta all’erario.

In ambito europeo, la Corte di Giustizia UE ha stabilito che i creditori non possono essere puniti da eccessivi formalismi: a chi prova che un credito è divenuto definitivamente inesigibile non può essere preclusa la rettifica della base imponibile (nota di variazione) per motivi meramente procedurali, come l’assenza di insinuazione nel passivo. Ad esempio, la sentenza Di Maura (C-246/16, 23/11/2017) ha dichiarato non conforme al diritto UE la norma italiana che subordinava la variazione alla conclusione infruttuosa di tutto il procedimento fallimentare, permettendo invece di emettere la nota già alla data della dichiarazione di fallimento del debitore. Analogamente, la Corte ha affermato in sentenza C-146/19 (11/06/2020) che gli Stati devono consentire la riduzione della base imponibile quando il cedente dimostra che il credito è definitivamente irrecuperabile. Questi orientamenti (cfr. anche C-172/21, C-672/17, C-588/10) sottolineano il principio di neutralità fiscale: l’IVA può essere recuperata dal cedente se la controprestazione non è stata corrisposta a causa dell’insolvenza del cliente.

Concordato preventivo e recupero IVA

Il concordato preventivo (artt. 84-96 Codice Crisi) è uno strumento concorsuale che consente all’impresa di proporre ai creditori un piano (concordato) di ristrutturazione o liquidazione. Durante il concordato – se omologato – l’azienda può proseguire l’attività o liquidare beni secondo il piano. L’omologazione del concordato e il suo piano attestato (o negoziato) rappresentano gli atti fondamentali per capire quando nasce il diritto alla nota di variazione IVA.

Apertura e decorrenza

Secondo l’art. 96 c.1 Codice Crisi, la domanda di concordato con impliciti effetti temporanei è equiparata, agli effetti di cui agli artt. 85 e seguenti, alla dichiarazione di fallimento. La giurisprudenza (cfr. Cass. 22153/2024) riconosce la “consecutio” fra concordato e fallimento: se il concordato fallisce e il tribunale dichiara poi il fallimento, gli effetti del fallimento si retrodatano alla data di deposito della domanda di concordato, qualora vi sia identità di presupposto. Ciò significa, in sostanza, che dal giorno del deposito del concordato inizia lo stato concorsuale rilevante per il recupero IVA, anche se formalmente la dichiarazione di fallimento (nel nuovo Codice, apertura liquidazione giudiziale) interviene successivamente.

Pertanto, ai fini dell’IVA: se il cedente/prestatore non riceve il pagamento dal debitore che ha presentato concordato, può emettere la nota di variazione già dalla data del deposito della domanda di concordato (che equivale alla “apertura” concorsuale). Il termine per emettere la nota resta comunque quello della dichiarazione IVA annuale del periodo dell’avvio della procedura (deposito domanda o decreto ammissione).

Effetti fiscali e note di variazione nel concordato

Nel concordato, la parte di credito falcidiato (cioè non integralmente rimborsata secondo il piano) può essere recuperata dal cedente tramite nota di variazione. Tuttavia, a differenza della liquidazione giudiziale (dove l’insoluto viene integrato nell’attivo fallimentare), nel concordato la variazione IVA riguarda solo la quota di credito ridotta dal piano concordatario, non l’intero ammontare originario. In altre parole, il cedente emette nota di credito solo sulla parte di corrispettivo che il piano di concordato non fa recuperare.

Dal punto di vista normativo, l’art. 26 DPR 633/72, comma 3-bis lett. a), considera il concordato nell’elenco delle “procedure concorsuali” che fanno sorgere il diritto alla nota. Si applica quindi in via generale il principio del “dies a quo” dal deposito della domanda o dal decreto di ammissione. L’Agenzia delle Entrate ha comunque precisato che la norma non richiede l’insinuazione al passivo del creditore: basta che il debitore sia sottoposto al concordato (omologato o almeno avviato).

Per quanto riguarda la contabilità IVA, una volta emessa la nota di variazione in diminuzione, il cedente annoterà la stessa nei registri IVA del periodo in cui l’operazione è stata annullata o ridotta (di norma, con riferimento al periodo in cui il concordato è stato ammesso). Ciò riduce la base imponibile e il debito d’imposta del cedente, consentendo di detrarre l’IVA non incassata. In caso di successivo pagamento (ad esempio, se il liquidatore fallimentare versa una quota del credito dopo l’omologazione di un concordato fallimentare), dovrà intervenire una variazione in aumento (art. 26 c.5) per la parte incassata.

Dal lato del cessionario (debitore fallito/concordatario), l’art. 26 c.3-bis lett. b) DPR 633/72 esonera l’obbligo di registrare la nota in diminuzione, quando questa sia stata emessa dal creditore ai sensi del comma 3-bis. In pratica, il debitore non deve esporre nuovamente il documento contabile nel proprio registro se proviene da tale procedura: l’imposta relativa è considerata assolta dal cedente, e il debitore non può portare in detrazione tale imposta (resta neutrale). Questa disposizione opera in ossequio al principio comunitario che la riduzione di base imponibile non deve comportare duplicazioni o effetti distorsivi.

Giurisprudenza rilevante sul concordato

Tra le pronunce di legittimità più recenti segnaliamo la già citata Cass. 22153/2024 che ha consolidato i criteri di decorrenza temporale delle procedure concatenate concordato/fallimento ai fini IVA. In passato, la Cassazione si era pronunciata anche sull’equivalenza, ai fini dell’IVA, della dichiarazione del curatore (art. 74-bis DPR) a una dichiarazione di cessazione attività, come vedremo nel paragrafo sul fallimento. Per quanto riguarda il concordato in senso stretto, non esistono decise pronunce di Cassazione recenti sull’IVA: tuttavia, le CTP e le Corti regionali sono allineate nel ritenere che il credito falcidiato dal piano concordatario dia diritto alla nota di variazione e quindi alla detrazione.

Liquidazione giudiziale (ex fallimento) e recupero IVA

La liquidazione giudiziale è la nuova denominazione della procedura fallimentare nel Codice della Crisi (artt. 101-121). Anche in questo caso la disciplina dell’IVA segue gli schemi generali, con alcune particolarità:

Dichiarazione IVA e credito emergente

Il curatore della liquidazione giudiziale deve compilare entro 4 mesi dalla nomina una dichiarazione IVA per le operazioni prefallimentari (modello 74-bis DPR 633/1972). Tale dichiarazione, come chiarito dalla giurisprudenza della Cassazione (Cass. n. 18320/2024), equivale a una dichiarazione di cessazione dell’attività. Ne consegue che, contabilizzando in tale dichiarazione l’IVA incassata e versata dall’impresa prima del fallimento, si chiude il “rapporto fiscale” preesistente. La Cassazione ha stabilito che da questa dichiarazione scaturisce “il diritto al rimborso dei versamenti effettuati in eccedenza” ai sensi dell’art. 30 DPR 633/72. In sostanza, se il curatore evidenzia un eccedenza di IVA (perché l’azienda aveva versato più di quanto dovuto prima del fallimento), quella eccedenza può essere richiesta a rimborso anche in corso di fallimento.

Questo principio è confermato dalla sentenza Cass. 18320/2024: secondo la Suprema Corte, “la dichiarazione prevista dall’art. 74-bis, comma 1, DPR 633/1972… è equiparabile alla dichiarazione di cessazione di attività, con la conseguenza che… essa, al pari della dichiarazione annuale, chiudendo il rapporto tributario antecedente alla procedura, fa sorgere… il diritto di rimborso dell’IVA versata in eccedenza”. Tale diritto di rimborso spetta in capo alla massa fallimentare (cioè può essere incassato dal curatore per essere poi ripartito tra i creditori), purché il diritto fosse già sorto al momento della dichiarazione di fallimento.

Variazioni in diminuzione nel fallimento

Per il recupero dell’IVA su crediti inesigibili, la legge prevede che il cedente del bene/servizio (fornitore del fallito) possa emettere nota di variazione a riduzione dell’imponibile per i crediti non riscossi a causa della procedura fallimentare (art. 26 DPR 633/72). Secondo l’interpretazione amministrativa e la prassi, quando il fallimento è intervenuto dopo il 26 maggio 2021, vale la regola del comma 3-bis: il fornitore può emettere la nota già dal momento della sentenza dichiarativa, e ha tempo fino alla dichiarazione IVA annuale di quell’anno per esercitare il diritto. Se il fallimento è anteriore a tale data, si applicava la previgente formulazione del comma 2 (con la necessità di attendere il piano di riparto), ma anche in quei casi l’Agenzia attualmente riconosce la possibilità di procedere senza limiti temporali purché il piano di riparto sia definitivo (v. infra e par. FAQ).

Quando il fallito non paga una fattura, il creditore (fornitore) “può portare in detrazione… l’imposta corrispondente alla variazione”. In pratica, emette una nota di credito IVA intestata al debitore fallito e la invia in conservazione (o la registra in contabilità elettronica) entro il termine fiscale previsto. Se poi una parte del corrispettivo venisse comunque riscosso – ad esempio tramite atti esecutivi personali o disposizioni del curatore – scatterà una nota di variazione in aumento per quella parte incassata (art. 26 c.5 DPR 633/72).

Il curatore, per il proprio conto, trattiene l’IVA già versata dal fallito sul credito non incassato e la riversa all’erario: in cambio, può portarla in detrazione nella dichiarazione annuale o nelle liquidazioni periodiche dell’anno in cui il fallimento è stato dichiarato, secondo quanto illustrato dalla prassi.

Cassazione sul fallimento: diritto al rimborso

Come visto, Cass. 18320/2024 conferma il diritto di rimborso in caso di eccedenza IVA prima del fallimento. Un altro indirizzo giurisprudenziale (Cass. 22153/2024) ha riguardato la compensabilità dei crediti d’imposta nel contesto concorsuale, estendendo agli erariali (IVA e IRES) il principio che i debiti sorti dopo l’apertura del fallimento possono essere compensati con il credito IVA maturato durante la procedura. La Cassazione, in particolare, ha affermato che “qualora sia richiesto all’amministrazione finanziaria il rimborso di un credito Iva formatosi durante la procedura concorsuale, l’Erario può opporre in compensazione i crediti che siano sorti successivamente all’apertura della procedura”. Nel caso esaminato, infatti, il rimborso IVA del 2017 richiesto dal fallito è stato compensato con un debito IRES formatosi nel 2007, in parte antecedente e in parte successivo alla dichiarazione di fallimento, tenendo conto che il fallimento era retrodatato al deposito del concordato del 2007. In soldoni, la corte ha legittimato la compensazione automatica dei debiti erariali sorti durante la procedura con il credito IVA da essa generato.

Un altro orientamento costante (ripreso anche in Cass. 18642/2023) è che i requisiti sostanziali del credito IVA non possono essere negati per carenze formali (come l’omessa dichiarazione annuale) se il contribuente dimostra l’effettivo diritto alla detrazione. Ciò rafforza la posizione del curatore/fallito nella richiesta di rimborso dell’IVA, mettendo al riparo da cavilli procedurali.

Accordi di ristrutturazione e piano attestato di risanamento

Gli accordi di ristrutturazione dei debiti (ARD) (art. 59 e ss. CCII) e i piani attestati di risanamento (art. 56 CCII) sono soluzioni stragiudiziali (o giudizialmente omologate) alternative al fallimento, finalizzate rispettivamente alla ristrutturazione concordata del debito e al risanamento aziendale tramite impegni del debitore. Dal punto di vista IVA, si applicano analogamente le regole generali, con alcune peculiarità normative:

  • Per gli ARD privati (con accordo omologato ex art. 61, ora 59-61), la legge prevede che possano emettere nota di variazione solo i creditori aderenti all’accordo che siano destinati a soddisfazione parziale dei crediti (falcidiati). In base all’interpretazione fornita dalla prassi e da dottrina (e già prevista implicitamente dalla formulazione originaria del D.P.R. 633/72), nel caso di accodi non estesi ai terzi, i creditori estranei (che dovrebbero essere soddisfatti integralmente) non hanno titolo per rettificare l’imponibile. Tale orientamento è esplicitamente confermato da Cass. 22153/2024 per i creditori dei concordati fallimentari: solo i creditori “falcidiati” possono emettere note a loro proprio favore. Tuttavia, la nuova normativa art. 26, comma 3-bis non fa più distinzione tra “aderenti” o meno: dal lato formale, la possibilità nasce per qualsiasi procedura concorsuale. In concreto, se un ARD non viene concluso positivamente e dà luogo a fallimento, si applica la regola del fallimento descritta sopra. In ogni caso, ai sensi del comma 3-bis, il “dies a quo” per la nota è il momento della pubblicazione dell’accordo di ristrutturazione nel Registro delle Imprese (ovvero dell’omologazione, se richiesto dalla legge).
  • Per i piani attestati di risanamento (art. 56 CCII), che devono essere anch’essi depositati e pubblicati, l’art. 26 co. 3-bis lett. a) DPR 633/72 si applica e identifica il dies a quo nella data di pubblicazione del piano stesso. In effetti, la legge fiscale richiede ora espressamente che il piano attestato sia iscritto nel Registro delle imprese; da quel momento il fornitore ha diritto alla nota di variazione per i crediti che non verranno integralmente soddisfatti. Anche qui il termine finale rimane la scadenza della dichiarazione IVA dell’anno di pubblicazione.

In entrambi i casi (ARD e piano attestato), la ratio è simile a quella del concordato: si tratta di procedure di gestione della crisi con un piano di pagamenti. Il credito IVA non riscosso a seguito del piano può essere recuperato mediante nota emessa dal fornitore, con le stesse modalità del fallimento (die inizio legato alla pubblicazione dell’accordo o del piano, termine finale su base annuale).

Per completezza, va menzionato che esisteva un istituto parallelo agli accordi di ristrutturazione: l’accordo di ristrutturazione ex art. 182-bis L.F. (ora art. 57 CCII), introdotto dalla L. 134/2012. Anche per questi accordi, oggi disciplinati dall’art. 26, comma 3-bis, lett. a) del DPR 633/72, il dies a quo è fissato nella data del decreto di omologazione dell’accordo stesso (purché pubblicato). In pratica, per tutti i piani e accordi similari, la norma delimita chiaramente il momento da cui il fornitore può rettificare l’IVA: dalla pubblicazione del progetto approvato dalle controparti (e, se previsto, omologato dal tribunale).

Esempio di termine di recupero (summing up)

Per chiarezza, ricapitoliamo alcuni casi tipici di inizio termine (dies a quo) per l’emissione della nota di variazione in base al comma 3-bis art. 26 DPR 633/72:

  • Liquidazione giudiziale (fallimento): la data di deposito della sentenza di apertura della procedura.
  • Concordato preventivo: la data di deposito del ricorso o del decreto di ammissione (equivalente a fallimento ai fini).
  • Accordo di ristrutturazione (ex art. 57 o tit. IV): la data di pubblicazione del progetto di accordo nel Registro delle Imprese o del decreto di omologa.
  • Piano attestato di risanamento: la data di pubblicazione del piano nel Registro delle Imprese (già richiesta dal Codice).
  • Composizione negoziata della crisi: la data di deposito dell’istanza o di pubblicazione dell’accordo finale (v. prossimo par.).

Tutte le note devono comunque essere emesse entro il termine fiscale sopra indicato (dichiarazione IVA annuale del periodo di avvio della procedura).

Composizione negoziata della crisi

La composizione negoziata (art. 25-bis ss. Codice Crisi) è un istituto nuovo e stragiudiziale, finalizzato a prevenire la crisi conclamata. Pur non essendo esplicitamente citato nel DPR 633/72, il legislatore delegato (Legge 17/2022) ha introdotto misure premiali anche in ambito IVA, prevedendo che le disposizioni del comma 3-bis siano estese anche a questa procedura.

Dal punto di vista operativo, come ricordato nell’analisi normativa, con l’entrata in vigore del Decreto correttivo-ter al Codice della Crisi (D.Lgs. 136/2024, in vigore dal 28 settembre 2024) è stata formalmente riconosciuta la possibilità di emettere note di variazione ai creditori nei confronti di un cessionario assunto nella composizione negoziata. In pratica, una volta che l’impresa convenuta in composizione negoziata presenta ai creditori i piani o accordi per la ristrutturazione, i creditori (anche non finanziari) potranno recuperare l’IVA sul credito non incassato a partire dal momento della pubblicazione degli accordi negoziati nel Registro delle Imprese.

Questa disposizione armonizza la composizione negoziata con gli altri strumenti di composizione della crisi. L’Agenzia delle Entrate ha recentemente puntualizzato (interpello 324/2023) che le regole attuali non si applicano a procedure diverse da quelle espressamente menzionate, ma una loro interpretazione estensiva in ottica UE sarebbe auspicabile. In concreto, per la composizione negoziata – istituto basato su contratti con i creditori – si deve fare riferimento all’art. 26 co. 3-bis, lett. a) del DPR 633/72 in analogia con gli accordi privati: la prima pubblicazione dei contratti negoziati nel Registro delle imprese rappresenta il dies a quo per la nota di variazione. Il termine ultimo resta la dichiarazione IVA annuale di quell’anno. Anche qui, la nota potrà essere emessa indipendentemente dall’insinuazione nel passivo dei creditori.

Altri aspetti fiscali e operativi

  • Trattamento del curatore/fallito: Come visto, il curatore può recuperare l’IVA a credito (versata in eccesso) grazie alla dichiarazione prefallimentare (modello 74-bis) equiparata alla dichiarazione di cessazione. Inoltre, se il debitore fallito ha un eccedenza IVA risultante dalle operazioni pre-inizio procedura, questo credito può essere chiesto a rimborso o portato in compensazione secondo le consuete regole (Cass. 22153/2024).
  • Regime IVA del debitore: Se il debitore fallito ha operazioni imponibili non riscosse, l’esonero dal dover registrare il documento di variazione in diminuzione (art. 26 c.3-bis lett. b DPR 633/72) si applica anche in liquidazione e negli accordi: il debitore cesserà di detrarre l’IVA assolta sul credito non incassato, ma non verserà imposta su di essa.
  • Differenza tra procedure: In sintesi, come evidenziato anche da alcuni commentatori, la principale differenza operativa tra liquidazione giudiziale e concordato (o accordi di ristrutturazione) è che nella liquidazione la quota di credito non pagata rientra per intero nell’attivo concorsuale, mentre nel concordato solo la parte ridotta dal piano. Dal punto di vista dell’IVA, ciò si traduce nel fatto che il cedente in fallimento può emettere nota su tutto il credito insoluto, mentre in concordato solo sulla quota residua da piano.
  • Normativa nazionale-UE: La disciplina italiana deve coesistere con le direttive comunitarie. In particolare, l’art. 90 della Direttiva IVA stabilisce che la rettifica della base imponibile è prevista in caso di annullamento o riduzione del prezzo, ma consente agli Stati di limitare questo rimedio. La giurisprudenza UE ha precisato che non si possono introdurre vincoli che rendano effettivamente impossibile l’esercizio del diritto di riduzione. L’orientamento UE privilegia la sostanza (se il debito non è pagato, il diritto alla riduzione scatta) rispetto a formalismi (come l’esito certo della procedura).
  • Prassi ministeriale: L’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti in varie circolari e risposte a interpello. Ad esempio, la Circolare 20/E/2021 ribadisce che dal 26/5/2021 in poi è sufficiente l’avvio della procedura per giustificare la nota. Risposte a interpello (es. 485/2022) hanno sottolineato che se il cedente sceglie di partecipare alla procedura senza emettere la nota, poi non potrà recuperare l’IVA ex post.

Tabelle riepilogative

Strumento di crisiData inizio recupero IVATermine per note di variazioneEffetti fiscali principali
Liquidazione giudiziale (fallimento)Data sentenza dichiarativa / deposito domanda conc.Dichiarazione IVA annuale anno aperturaCredito di imposta su IVA non incassata sul totale credito insoluto; curatore dich. 74-bis = cessazione.
Concordato preventivoData deposito domanda o del decreto di ammissioneDichiarazione IVA annuale anno aperturaNota di variazione su quota di credito falcidiato (parte non pagata); nessun obbligo di registrazione da parte del debitore.
Accordo di ristrutturazioneData pubblicazione progetto di accordo (o omologaz.)Dichiarazione IVA annuale anno aperturaNota su quota di credito ridotta dall’accordo (per creditori aderenti); il debitore non registra variazione.
Piano attestatoData pubblicazione piano nel Registro impreseDichiarazione IVA annuale anno aperturaNota sul credito non soddisfatto dal piano; il debitore non registra variazione.
Composizione negoziataData deposito istanza / accordo nel Registro impreseDichiarazione IVA annuale anno aperturaNota su credito non incassato da accordi negoziati; in prospettiva esteso co. 3-bis art. 26 DPR 633/72.

Tabella: riepilogo comparativo di strumenti di composizione della crisi d’impresa, date iniziali e termini per il recupero dell’IVA.

FAQ (Domande & Risposte)

  1. D: Quando si può emettere la nota di variazione IVA in caso di fallimento del debitore?
    R: Con l’attuale normativa (art. 26 DPR 633/72, comma 3-bis), il cedente può emettere la nota di variazione già dal giorno della dichiarazione di fallimento (o dell’apertura della liquidazione giudiziale). In caso di fallimenti dichiarati dopo il 25/5/2021, non è richiesto attendere il piano di riparto. La nota deve però essere emessa entro il termine di presentazione della dichiarazione IVA relativa all’anno dell’apertura della procedura. Se il fallimento è anteriore a tale data, vale la regola tradizionale: il cedente poteva agire anche oltre, fino all’esaurimento della procedura, purché definitiva (art. 26 c.2 DPR 633/72).
  2. D: Il creditore deve insinuarsi nel passivo per avere diritto alla variazione d’imponibile?
    R: No, non è necessario che il creditore presenti domanda di insinuazione al passivo (o si accodi agli accordi) per utilizzare l’art. 26 c.3-bis. La norma parla di “assoggettamento” del debitore a procedura concorsuale, senza vincoli di partecipazione del creditore. Un credito non pagato per effetto del fallimento/concordato dà diritto alla nota anche se il creditore non ha mai chiesto di essere ammesso. L’Amministrazione finanziaria ha ribadito che si può emettere la nota “senza necessità di preventiva ammissione al passivo”.
  3. D: Qual è l’effetto fiscale della nota di variazione sul cessionario/debitore?
    R: Quando il cedente emette la nota di variazione in diminuzione ai sensi del comma 3-bis, il debitore è esonero dall’obbligo di registrarla. Non deve né versare l’IVA relativa né portarla in detrazione. La riduzione dell’imponibile si applica a monte: il cedente decurta l’imposta e il debitore non la trattiene. In pratica, l’operazione si estingue sotto il profilo IVA senza effetti contabili per il debitore, il quale non può detrarre l’imposta del fornitore ma neppure deve versarla nuovamente.
  4. D: Cosa succede se, dopo l’emissione della nota, la procedura concorsuale rende disponibile parte del credito?
    R: Se il debitore (fallito o concordatario) paga integralmente o parzialmente la somma a cui si riferiva la nota di credito, il cedente è tenuto a riattribuire l’imposta con una nota di variazione in aumento (art. 26 c.5 DPR 633/72). L’Agenzia precisa che questa nota di “reintegro IVA” può essere dedotta (risarcita) solo dal cessionario che ha corrisposto effettivamente l’imposta all’Erario. In pratica, si ristabilisce l’IVA originaria nella misura corrispondente alla parte pagata.
  5. D: Il termine di presentazione della dichiarazione IVA come scadenza finale è tassativo?
    R: Sì. La prassi (circolare 20/E/2021) conferma che il diritto a emettere nota di variazione decade con la scadenza della dichiarazione annuale IVA del periodo di apertura della procedura. Dopo tale data non è ammesso né l’integrativa a credito né il rimborso (art. 30-ter DPR 633/72) del medesimo credito IVA. L’unico eccezione è se la procedura era iniziata prima del 2016: in quel caso si poteva agire senza termine fino alla chiusura definitiva (previgente art. 26 c.2).
  6. D: È possibile agire in variazione anche per le procedure di sovraindebitamento?
    R: L’istituto della composizione assistita per sovraindebitamento (L. 3/2012) è destinato ai piccoli imprenditori e privati. Non essendo esplicitamente citato nell’art. 26, l’interpretazione corrente è che per tali procedure non si applicano le regole speciali del comma 3-bis. Tuttavia, essendo questo contesto analogo (accolto un piano di ristrutturazione debiti), si potrebbe ragionare per analogia qualora esistessero norme fiscali specifiche. Ad oggi la prassi fiscale non si è espressa chiaramente, dunque è prudente trattare le note di variazione nel sovraindebitamento come in un concordato ordinario (previa verifica se pubblicazione del piano è richiesta).
  7. D: Qual è l’impatto della riforma IVA (DL 36/2022 attuativa della Legge delega fiscale) sul recupero IVA in crisi?
    R: La riforma fiscale in atto prevede allineamenti tra procedura concorsuale e regime IVA. In particolare, la legge delega n. 59/2022 invita a estendere i commi 3-bis, 5 e 10 dell’art. 26 DPR 633/72 a tutte le procedure del Codice della Crisi. Ciò significa che, in futuro, dovrebbero estendersi le regole di emissione delle note di variazione e i termini uniformi a ogni istituto (liquidazione, concordato, ARD, composizione, ecc.). Inoltre, si prevede un rafforzamento del monitoraggio dei crediti fiscali in procedura, ma le misure specifiche saranno definite nei decreti delegati. In sintesi, la tendenza normativa è verso una piena uniformità delle regole IVA nell’ambito della crisi, riducendo le disparità attuali tra procedure.
  8. D: Cosa dice la Corte di Giustizia UE sul recupero dell’IVA in insolvenza?
    R: Come già evidenziato, la Corte di Giustizia è intervenuta più volte, ribadendo che l’art. 90 Direttiva IVA deve essere interpretato secondo i principi di neutralità e neutralità fiscale. In sentenze come Di Maura (C‑246/16) e C-146/19, l’UE ha chiarito che gli Stati membri non possono subordinare la riduzione dell’imponibile a condizioni che rendano impossibile o eccessivamente oneroso il diritto del cedente. In linea generale, se un imprenditore dimostra che il credito è “definitivamente inesigibile”, l’ordinamento deve consentire la nota di variazione anche se il creditore non ha partecipato alla procedura concorsuale del debitore.

Conclusioni e fonti normative

Il regime di recupero dell’IVA nei casi di crisi d’impresa è quindi complesso e articolato, ma orientato dal principio che l’imposta imposta non dovuta per il mancato incasso del corrispettivo debba poter essere riconosciuta al cedente. La riforma del Codice della Crisi ha introdotto importanti novità, uniformando e semplificando la disciplina dell’art. 26 DPR 633/72 per tutte le procedure concorsuali. I professionisti devono prestare attenzione alle date di avvio delle procedure, ai termini di legge e alle formalità contabili per assicurarsi che il diritto alla detrazione IVA sia esercitato correttamente. La ricca giurisprudenza recente (Cassazione e Corte UE) conferma i diritti sostanziali dei contribuenti, al netto di requisiti formali, e promuove la neutralità del tributo anche in presenza di insolvenza.

Fonti normative e giurisprudenziali: D.P.R. 633/1972 (art. 26, 30, 30-ter, 74-bis, ecc.); Direttiva 2006/112/CE (art. 90 e 273); D.Lgs. 14/2019 (Codice della Crisi); Legge Fallimentare (R.D. 267/1942); L. 208/2015; D.L. 73/2021; L. 17/2022; DLgs 127/2015; L. 3/2012; Circolari AE nn. 20/E/2021, 77/E/2000; Risposte a interpello AE nn. 485/2022, 471/2023, 178/2019; Cass. 18320/2024, 22153/2024, 18642/2023, 18837/2020; CGUE C-246/16, C-146/19, C-172/21.

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