Resto Al Sud Se L’impresa Fallisce Cosa Succede?

Hai ottenuto un finanziamento con il bando Resto al Sud ma la tua impresa non è riuscita a decollare o è andata incontro a difficoltà gravi? Teme le conseguenze legate alla chiusura dell’attività?

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in agevolazioni pubbliche e difesa in caso di revoca dei contributi – è pensata per aiutarti a capire cosa succede se l’impresa finanziata con Resto al Sud fallisce o viene chiusa.

Scopri quali sono i reali rischi in caso di interruzione dell’attività, se e quando può essere richiesta la restituzione delle somme ricevute, cosa valutano Invitalia e il Fisco, e quali strumenti legali puoi utilizzare per tutelarti.

Alla fine della guida troverai tutti i contatti per richiedere una consulenza riservata, analizzare la tua situazione con un avvocato esperto e costruire una strategia per difenderti da eventuali richieste di rimborso o azioni esecutive.

Introduzione:

Il programma Resto al Sud, gestito da Invitalia, prevede l’erogazione di incentivi pubblici sotto forma di contributi a fondo perduto e finanziamenti agevolati a favore di nuove imprese e attività libero-professionali nelle regioni del Mezzogiorno, nel Centro Italia e in alcune aree del cratere sismico. Ma cosa accade se, dopo aver ottenuto il finanziamento, l’impresa fallisce o comunque non riesce a proseguire l’attività?

In linea generale, quando un’impresa beneficiaria dei fondi Resto al Sud cessa l’attività prima del termine di monitoraggio o non rispetta gli obblighi previsti, può essere soggetta a revoca del finanziamento e alla conseguente restituzione delle somme ricevute, almeno in parte. L’esito dipende da diversi fattori: lo stato di avanzamento del progetto, le cause della cessazione, la parte di contributo eventualmente già utilizzata in modo conforme, e l’atteggiamento collaborativo dell’imprenditore nei confronti di Invitalia.

I fondi Resto al Sud prevedono un monitoraggio quinquennale dell’attività finanziata. Questo significa che il beneficiario si impegna a mantenere in vita l’attività per almeno 5 anni, a non vendere beni acquistati con i fondi, a rispettare il piano presentato, e a comunicare ogni variazione rilevante. Se l’impresa fallisce entro questo periodo e la causa del fallimento è riconducibile a comportamenti dolosi, negligenti o non conformi agli impegni assunti (come l’uso improprio delle somme, la mancata realizzazione del progetto, l’omessa rendicontazione), Invitalia ha il diritto di revocare in tutto o in parte il contributo e attivare la procedura di recupero delle somme erogate, maggiorate di interessi.

Se, invece, la cessazione dell’attività è avvenuta per cause indipendenti dalla volontà del beneficiario, come eventi straordinari, calamità, mutamenti strutturali del mercato, decesso, malattia grave o altro evento oggettivo, Invitalia può valutare caso per caso e non procedere alla revoca automatica, o limitarla alla sola parte non ancora rendicontata o non utilizzata regolarmente. In questi casi, è fondamentale che l’imprenditore comunichi tempestivamente la situazione, produca documentazione adeguata, e si mostri disponibile a una soluzione collaborativa, anche tramite istanza di autotutela.

Va distinta anche la posizione relativa al fondo perduto da quella del prestito bancario agevolato. Il contributo a fondo perduto è soggetto alle regole europee sugli aiuti di Stato e, se revocato, va restituito integralmente. Il finanziamento bancario, invece, segue la logica di un normale prestito: in caso di default, è la banca a iscrivere a sofferenza il credito e ad avviare la procedura di recupero. La garanzia pubblica copre una parte del rischio, ma non solleva automaticamente il debitore dall’obbligo di pagamento.

In caso di apertura di procedura concorsuale, come il fallimento, il concordato o la liquidazione giudiziale, Invitalia si comporta come creditore e può insinuarsi al passivo per il recupero delle somme revocate o non rendicontate. Tuttavia, se la procedura è avviata in buona fede e rispetta i criteri normativi, il debitore può anche proporre un piano di rientro, oppure ottenere l’esdebitazione al termine della procedura, se ne ha i requisiti. I debiti verso Invitalia, in quanto debiti pubblici, possono essere inseriti in piani di ristrutturazione del debito (come il concordato minore o la liquidazione controllata), ma devono essere trattati secondo criteri di parità e convenienza.

Se l’impresa non ha ancora ricevuto l’intero finanziamento al momento della crisi, Invitalia può bloccare l’erogazione delle tranche successive e procedere alla revoca parziale, limitandosi alla somma già erogata. Anche in tal caso, il beneficiario ha diritto di presentare osservazioni, giustificazioni o opposizioni, nei termini previsti. In mancanza di pagamento spontaneo, si procede con l’iscrizione a ruolo e l’emissione di cartelle di pagamento, contro cui il contribuente può agire se vi sono vizi formali o di merito.

In sintesi, se l’impresa finanziata con Resto al Sud fallisce, non sempre scatta automaticamente la revoca totale del finanziamento. L’esito dipende dalle cause della crisi, dalla correttezza formale e sostanziale del beneficiario, dalla documentazione presentata e dall’effettivo uso delle somme. Tuttavia, la responsabilità non viene annullata dalla semplice chiusura dell’attività, e il soggetto resta esposto a richieste di restituzione, salvo che non attivi strumenti legali di difesa, ristrutturazione o esdebitazione.

Aspetto del Fallimento dopo Resto al SudDescrizione sintetica
Periodo di monitoraggioL’attività deve durare almeno 5 anni dal finanziamento
Revoca per inadempienzeScatta se uso scorretto, cessazione ingiustificata o obblighi disattesi
Casi di forza maggiorePossibile esonero parziale da revoca con adeguata documentazione
Parte fondo perdutoVa restituita se revocata, salvo esenzione accolta
Parte finanziamento bancarioSegue regole di normale prestito, con responsabilità del debitore
Procedura concorsualeInvitalia si insinua al passivo come creditore
Istanza in autotutelaStrumento per evitare revoca o chiedere riesame
Azioni successiveBlocco erogazioni, cartelle di pagamento, recupero coattivo
Possibili difeseRicorso al TAR, opposizione alla cartella, piani di ristrutturazione
Esdebitazione finaleAccessibile se si chiude positivamente una procedura di crisi o liquidazione controllata

Ma andiamo ora ad approfondire:

1. Quadro normativo di Resto al Sud

Prima di analizzare le conseguenze del fallimento, ricordiamo la disciplina dell’agevolazione Resto al Sud. La misura è stata introdotta dal decreto-legge 20 giugno 2017, n. 91, convertito in legge 3 agosto 2017, n. 123 (art. 1), e attuata dal decreto ministeriale 9 novembre 2017, n. 174 (pubblicato in G.U. 5.12.2017 n. 284). Resto al Sud mira a promuovere nuove imprese costituite da giovani e under-56 nelle regioni del Mezzogiorno e in alcune aree terremotate del Centro Italia. Le agevolazioni consistono in:

  • 50% contributo a fondo perduto (non restituito);
  • 50% finanziamento a tasso agevolato (mutuo a 8 anni, incluso 2 di preammortamento).

Il massimale del finanziamento è di 200.000 euro per impresa (proporzionale al numero di soci), erogato da banche convenzionate con Invitalia, con garanzia statale fino all’80% del prestito. L’impresa beneficiaria deve usare i fondi per investimenti previsti nel piano approvato, e si impegna a mantenere l’attività per almeno 5 anni e a restituire regolarmente il finanziamento. Queste condizioni sono vincolanti: in caso di violazione (per esempio chiusura anticipata dell’attività o cessazione della produzione), è prevista la revoca delle agevolazioni e il recupero delle somme concesse.

Dal 2020 in poi si è affiancata la nuova legge fallimentare: il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14) che ha riformato la materia concorsuale. Secondo questa normativa, dal 15/8/2020 la classica procedura di fallimento è stata sostituita da nuove procedure di composizione assistita della crisi, concordato preventivo e liquidazione giudiziale. Tuttavia, per semplicità continueremo a usare il termine fallimento inteso come qualunque procedura concorsuale di insolvenza (fallimento, liquidazione giudiziale, ecc.) avviata da o contro l’impresa. Le regole di Resto al Sud – in particolare l’obbligo di non chiudere nei primi 5 anni – prevalgono come clausole contrattuali e di legge specifiche.

2. Quando scatta la revoca dell’agevolazione

Il fulcro giuridico delle conseguenze è la revoca delle agevolazioni. Il decreto attuativo n. 174/2017 elenca i casi di revoca totale o parziale delle agevolazioni. In particolare, scatta la revoca totale (con decadenza del provvedimento di concessione e obbligo di restituzione integrale dei contributi ricevuti) quando:

  • l’impresa cessa volontariamente l’attività o la cede/loca a terzi entro 5 anni dal completamento del programma di spesa;
  • l’impresa si trova in condizione di fallimento o liquidazione giudiziale prima di 5 anni;
  • l’impresa non consente i controlli previsti o modifica sostanzialmente il progetto approvato;
  • si verificano altri inadempimenti gravi previsti dal regolamento o dalla convenzione con Invitalia.

In tutti questi casi la conclusione è la decadenza del contributo: il beneficiario perde il diritto a ulteriori erogazioni e deve restituire tutto il contributo già erogato. Il recupero avviene anche coattivamente (iscrizione a ruolo con interesse al tasso legale). Da notare che la norma parla di decadenza solo entro i primi 5 anni: se invece il fallimento o la liquidazione avviene dopo tale periodo, normalmente non scatta la revoca automatica, essendo terminato l’impegno minimo. Tuttavia, il finanziamento resta pur sempre un debito da restituire.

Esempio pratico: un’impresa chiude per fallimento al secondo anno. Secondo il regolamento DM n.174/2017, la chiusura anticipata (anche se per cause di forza maggiore) “comporta la revoca totale delle agevolazioni”. L’impresa dovrà restituire l’intero contributo a fondo perduto ricevuto: sul punto, fonti legali e interpretazioni concordano che il beneficio era vincolato alla prosecuzione dell’attività. Di conseguenza, Invitalia chiederà formalmente la restituzione del contributo (in genere emettendo cartelle esattoriali) e accederà alle garanzie o all’azione esecutiva se il beneficiario non paga.

In sintesi, la chiusura dell’attività nei primi 5 anni implica quasi sempre la perdita del contributo. Laddove la procedura di insolvenza diventa giudiziale, il debito per contributo può essere inserito nel passivo, ma l’esito tipico è che “lo Stato si insinua come creditore e tenterà di recuperare il contributo nel limite del possibile”. Quindi, contrariamente a qualche interpretazione semplificata, in caso di fallimento il fondo perduto non scompare: esso diventa un credito di Invitalia verso l’imprenditore o i soci (salvo esito del fallimento).

3. Fallimento giudiziale dell’impresa beneficiaria

Il fallimento giudiziale (oggi sostituito dalla liquidazione giudiziale) si verifica quando il tribunale dichiara insolvente l’impresa. In questo scenario, si attivano due principali filoni di conseguenze per l’impresa Resto al Sud:

  • Dialogo con Invitalia: una volta ammessa al passivo fallimentare, Invitalia entra nel credito come qualsiasi creditore per la parte prestito (mutuo) non per la parte a fondo perduto. In altre parole, lo Stato non reclama il contributo come credito privilegiato nel fallimento (perché in origine era un contributo vincolato al proseguimento), ma può comunque attivare separate procedure di recupero dell’agevolazione revocata. Il curatore fallimentare negozierà spesso con Invitalia un piano di rientro del mutuo (prestito) o una transazione, ma raramente otterrà uno sconto sul contributo già revocato. Nel caso avverso, Invitalia può iscrivere a ruolo le somme del contributo da recuperare.
  • Rapporti con la banca finanziatrice: in Resto al Sud, la banca eroga il prestito agevolato garantito dallo Stato (80%). In fallimento, la banca normalmente escute la garanzia statale. Ciò significa che il Fondo di Garanzia pagherà l’80% residuo del capitale all’istituto finanziario, il quale a sua volta resterà creditore di un residuo 20% (quindi passerà una quota a carico del fallimento). Il paradosso è che lo Stato, dopo aver pagato la banca, si rivaluterà sul beneficiario: come confermato da varie fonti, “lo Stato paga la banca (80%) ma poi si rivale su di voi per lo stesso importo”. Pertanto l’imprenditore resta obbligato a restituire il prestito (nei limiti delle proprie capacità) o sarà perseguito per la parte rimasta scoperta (e per il contributo).

Prospettive giuridiche: in fallimento, i contratti di finanziamento vengono risolti e tutti i creditori (banche, Invitalia, fornitori) vantano un credito sul patrimonio residuo. Invitalia entra «nello stato passivo […] per la somma equivalente al prestito». Il contributo a fondo perduto viene considerato come decadenza (revoca): resta un debito verso l’Erario, che sarà tra gli ultimi creditori del fallimento (chirografario). Dunque, pur essendo in procedura concorsuale, l’imprenditore non perde automaticamente il debito verso lo Stato: come spiega un’analisi giuridica recente, “caduta l’impresa non esonera dal rimborso; anzi formalmente accelera la richiesta di restituzione di tutto (prestito + contributo)”. Solo se il fallimento lascia un attivo azzerato e l’imprenditore è nullatenente (senza beni personali o cauzioni), l’azione di recupero potrebbe rimanere inevasa, ma il credito rimane comunque aperto.

3.1 Conseguenze per i soci e l’amministratore

Nel sistema di Resto al Sud di norma non sono richieste garanzie personali (salvo casi di grandi finanziamenti o fideiussioni per anticipi), ma l’inadempienza può comunque comportare responsabilità civili o penali. Infatti, se nel corso delle verifiche sulla rendicontazione Invitalia o l’autorità fiscale dovessero rilevare irregolarità, frodi o distrazioni di fondi, i soci o l’amministratore potrebbero rispondere personalmente per danni erariali, truffa ai danni dello Stato o bancarotta fraudolenta. Ad esempio, utilizzare parte del contributo per spese non ammissibili può configurare obbligo di restituzione per danno erariale (cfr. normative Fisco-Investimenti) o fattispecie penali di reato.

Nel fallimento, inoltre, il curatore fallimentare può intraprendere azioni di responsabilità (art. 2476 c.c. e seguenti) contro gli amministratori se emerge colpa di gestione nell’insolvenza. La “perdita irrisolta” del contributo potrebbe essere considerata illecito erariale, esponendo l’amministratore o gli organi direttivi a procedimenti contabili (art. 43, d.lgs. n. 174/2006). Se il contributo è già stato revocato prima del fallimento, i soci vengono segnalati come cattivi pagatori e l’informativa sul credito deteriorato rimane nei sistemi di vigilanza. In definitiva, il fallimento di un’azienda Resto al Sud può tradursi in contenzioso amministrativo o penale verso i responsabili, oltre che in obblighi di restituzione verso Invitalia e le banche.

4. Liquidazione volontaria e cessazione anticipata

Molti imprenditori affrontano la crisi aziendale optando per la liquidazione volontaria o la semplice chiusura dell’attività anziché attendere la sentenza di fallimento. Anche questa scelta ha conseguenze severe per il contributo Resto al Sud. Infatti, come visto, il regolamento considera la chiusura volontaria prima dei 5 anni equivalente alla revoca dell’agevolazione. Pertanto, cessare l’attività comporta comunque l’obbligo di restituzione dell’intero contributo in conto capitale e la decadenza dal provvedimento. Dal punto di vista bancario, la liquidazione volontaria può portare alla chiamata in garanzia statale dell’80% del prestito residuo, con conseguente rivalsa dello Stato sul liquidatore. In pratica, anche in questo caso la partita aperta si chiude come in una procedura concorsuale: le banche escuteranno la garanzia e Invitalia potrà reclamare i contributi revocati, spesso maturando posizioni debitorie formali (cartelle di pagamento) contro l’impresa e i soci.

Nota: se la cessazione è dovuta a cause esterne (pandemia, crisi settoriale), non ci sono eccezioni automatiche. Le norme non distinguono per causa imputabile o meno: l’agevolazione era condizionata al mantenimento dell’impresa. Ciò spiega perché anche chi chiude per ragioni legittime «di forza maggiore» vede il contributo revocato. L’unica attenuante possibile è negoziare con Invitalia (cfr. Domande&Risposte), ma non esiste un automatismo di perdono del debito.

5. Tabelle riepilogative delle conseguenze

Ecco alcune tabelle di sintesi per chiarire i diversi scenari giuridici:

Situazione dell’impresaEsito sull’agevolazioneObblighi per l’imprenditore
Attività prosegue regolarmente (entro 5 anni)Agevolazione valida.Restituisci il mutuo secondo piano (50% erogato).
Impresa cade in fallimento (giudiziale) entro 5 anniRevoca totale dell’agevolazione (decadenza contributo).Restituzione del contributo ricevuto; mutuo nel passivo fall. Invitalia creditore.
Impresa fallisce dopo 5 anniNon c’è decadenza automatica; contributo già erogato rimane perso dal punto fiscale.Pagare il mutuo (banca + eventualmente rivalsa Stato).
Cessazione volontaria entro 5 anni (chiusura)Revoca totale, decadenza agevolazione.Restituzione del contributo e mutuo; eventuale rivalsa Stato.
Cessione o affitto dell’attività (entro 5 anni)Revoca totale (progetto non più realizzato dallo stesso beneficiario).Restituzione del contributo.
Trasferimento beni/immobili finanziati (entro 5 anni)Revoca totale.Restituzione del contributo; sospensione mutuo + rivalsa Stato.
Inadempimenti documentali o controlli negatiRevoca totale/parziale.Restituzione totale o proporzionale del contributo.
Impresa Resto al Sud in crisiAzioni possibili (pro e contro)
Negoziare transazione con InvitaliaPro: possibilità di ridurre il debito (Legge Bilancio 2021 favorisce transazioni). Contro: l’esito non è garantito, bisogna avere liquidità.
Applicare la composizione (CCII)Pro: piani di rientro giudiziali (concordato, accordo di ristrutturazione). Contro: procedure complesse e costose, non cancellano necessariamente contributo.
Liquidazione volontariaPro: controllo diretto del processo di chiusura. Contro: comporta revoca agevolazioni e debiti in capo a soci.
Sovraindebitamento personalePro: possibilità di esdebitazione (legge n.3/2012) per persone fisiche. Contro: riservato a debiti non fiscali di fascia bassa, si azzera solo debiti personali.

Queste tabelle riassumono sinteticamente come ogni scenario (fallimento, concordato, liquidazione) impatti sul contributo e sui debiti residui dell’impresa. In tutti i casi, il requisito temporale dei 5 anni e gli obblighi contrattuali sono determinanti per valutare il diritto all’agevolazione.

6. Domande e risposte frequenti

Di seguito rispondiamo ai dubbi più comuni degli imprenditori finanziati da Resto al Sud che si trovano in difficoltà:

  • D: Devo restituire tutto se chiudo entro i primi 2 anni?
    R: Sì. La chiusura anticipata dell’attività prima di 5 anni comporta la revoca totale delle agevolazioni. Invitalia chiederà la restituzione dell’intero contributo a fondo perduto ricevuto. L’età di 2 anni rientra nel periodo vincolato, perciò anche una chiusura non dolosa causa la perdita del contributo. L’unica somma non recuperata in sede fallimentare è la porzione di contributo già finanziato dal Fondo di Garanzia (banca), ma lo Stato rivalendosi restituirà in toto le somme concesse.
  • D: E se l’impresa fallisce per cause non imputabili (ad esempio crisi economica)?
    R: Purtroppo il criterio di responsabilità non viene preso in considerazione: il contributo era subordinato al mantenimento dell’iniziativa. Pertanto, anche in caso di forza maggiore o evenienza imprevista, la chiusura anticipata resta causa di revoca. Invitalia potrà eccepire in contratto che il beneficiario si è svincolato dal progetto originale. Eventualmente si può tentare una transazione o far valere la buona fede, ma non esistono norme che esonerino automaticamente incolpevoli.
  • D: Se fallisco, la banca perde tutto?
    R: No. In caso di fallimento, la banca che ha erogato il mutuo agevolato ricorre alla garanzia statale. Ciò significa che il Fondo di Garanzia coprirà l’80% del capitale residuo: la banca ottiene il 100% del credito ma poi cede lo Stato (80%) e trattiene il 20% finale. Il debitore residuo (soci o azienda) rimarrà pur sempre obbligato alla parte non garantita e all’eventuale ripiano del contributo. Dunque la banca non rischia di perdere sul mutuo (al netto del 20%), mentre lo Stato diventa creditore di quella quota e del contributo revocato.
  • D: Posso ripartire da capo con nuova impresa nonostante il fallimento?
    R: Sì, non esiste divieto assoluto di avviare nuova attività. Però bisogna soddisfare certe condizioni. Se il contributo è stato revocato e non restituito, il beneficiario può essere escluso da nuovi incentivi similari (ON, Smart&Start, Resto al Sud ecc.), fino a quando non estingue il debito. Inoltre, se il fallimento è stato dichiarato, potresti rimanere iscritto alla Centrale Rischi e avere difficoltà nell’accesso al credito per qualche tempo. In ogni caso, se decidi di ripartire, è fondamentale rispettare tutte le procedure di nuova domanda e non versare dichiarazioni ingannevoli.
  • D: Che differenza c’è tra fallimento volontario e concordato preventivo?
    R: Il concordato preventivo è una procedura concorsuale in cui l’impresa insolvente propone un piano di ristrutturazione ai creditori. In Resto al Sud, ottenere il concordato non evita la revoca del contributo se presentato prima di 5 anni; si consideri comunque la cessazione d’attività come causa di decadenza. Invece, il fallimento volontario (oggi liquidazione giudiziale volontaria) si verifica quando gli amministratori chiedono direttamente l’apertura della procedura: anche in questo caso scattano le medesime conseguenze sulla perdita dell’agevolazione. Il risultato (decadenza) è sostanzialmente uguale: il contributo deve essere restituito.
  • D: Posso evitare la restituzione con una scusa?
    R: No. Ignorare la richiesta di Invitalia è pericoloso. Come spiega un esperto, “ignorare il problema vi porterà a ricevere cartelle, interessi e magari provvedimenti penali”. La via corretta è collaborare: pianificare con Invitalia un piano di rientro del prestito e negoziare il contributo. Dal 2021 esistono linee guida per la transazione dei crediti in sofferenza: è possibile proporre di pagare una parte del debito residuo, dilazionarla o attenuare le sanzioni, soprattutto se non avete redditi o beni. Cercate di trovare un accordo: “non fate l’errore di sparire”, altrimenti rischiate di veder aggrediti beni futuri e subire un irreversibile danneggiamento della reputazione creditizia.
  • D: In caso di fallimento, i dipendenti perdono lo stipendio?
    R: Il Fondo di Garanzia Statale (associato al licenziamento collettivo) risponde per gli stipendi fino a un anno; l’impresa non li paga più. Ma questo è indipendente dall’agevolazione. In ogni caso, i contributi non pagati INPS/INAIL restano a carico dell’impresa/soci.

Queste risposte sintetiche evidenziano che la normativa agevolativa è molto rigida sui tempi e sulle modalità di utilizzo degli aiuti. Anche problemi economici inattesi non escludono l’obbligo di recupero dei fondi pubblici.

7. Cosa fare dopo il fallimento o la chiusura: indicazioni pratiche

Superare un fallimento Resto al Sud è difficile, ma alcune azioni possono limitare le conseguenze:

  1. Contattare subito Invitalia: non ignorate la comunicazione di revoca. A volte l’Agenzia stila un piano di rientro o concede rateazione tramite Equitalia. Dimostrate buona fede: inviate subito lettere con spiegazioni veritiere sulla crisi, proponete un accordo di pagamento se possibile.
  2. Richiedere consulenza legale: un avvocato esperto in crisi d’impresa può guidarvi nella gestione del fallimento stesso (liquidazione giudiziale o concordato) ed esaminare se esistono vizi procedurali nell’apertura della revoca. In alcuni casi (frode, irregolarità bancarie) potrebbero emergere profili di responsabilità anche per altri soggetti.
  3. Esaminare piani di composizione alternativa: considerare strumenti come la procedura di sovraindebitamento (Legge n.3/2012) per ottenere esdebitazione delle posizioni personali residua, se rientrate nei requisiti.
  4. Accettare la procedura concorsuale: nel fallimento gestito dal Tribunale, collaborate con il curatore per chiarire la situazione contabile. Cercate di mantenere i beni aziendali (macchinari, immobili) in quanto il curatore potrebbe venderli per recuperare credito, a beneficio di tutti i creditori (anche dello Stato).
  5. Evitare comportamenti scorretti: non fate le cosiddette “incubazioni” di crediti (es. dichiarare il fallimento di proposito per poi aprire altra impresa cointestando la stessa partita IVA). La normativa anti-frode dell’UE vieta il cumulo di aiuti nazionali con stessi scopi e vi esporreste a pesanti sanzioni penali.
  6. Ripianare il debito residuo: se possibile, pianificate un budget per saldare le somme richieste dallo Stato. Una soluzione spesso praticata è proporre al curatore/Invitalia un saldo e stralcio: versare una percentuale ragionevole del dovuto per cancellare il debito residuo. Dal 2021 Invitalia ha linee guida per accettare sconti fino a un certo limite, valutando l’attitudine al recupero del credito.
  7. Preparare un nuovo progetto imprenditoriale solido: se volete intraprendere nuovamente, preparate un nuovo business plan robusto, rispettate i requisiti (attività ammissibili, area geografica, età), e siate trasparenti sul passato finanziario. La banca potrebbe richiedere forme di garanzia aggiuntive o partner con capitale se siete segnalati come cattivo pagatore.

In definitiva, l’atteggiamento migliore è responsabilità e proattività. Cedere alla disperazione o scoraggiare l’interlocuzione con Invitalia spesso peggiora la situazione. Invece, chi dimostra volontà di risolvere i debiti ottiene per lo meno un calendario di rientro dilazionato e limitazione di sanzioni. Come suggerito dall’Avvocato Verrengia, “è sempre consigliabile cercare una riduzione o una rateizzazione del debito con Invitalia, piuttosto che ‘sparire’”.

8. Riferimenti normativi e giurisprudenziali

Questa guida fa riferimento a numerose fonti legislative e interpretative chiave:

  • Decreto-legge 20 giugno 2017, n. 91, convertito con L. 3 agosto 2017, n. 123 – Introduzione della misura “Resto al Sud”.
  • Decreto 9 novembre 2017, n. 174 (DMI MCT-MEF-MISE) – Regolamento attuativo Resto al Sud (articoli con requisiti, modalità di erogazione e fattispecie di revoca).
  • Decreto Legislativo 12 gennaio 2019, n. 14 – Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (nuova legge fallimentare).
  • Legge 30 dicembre 2020, n. 178 (Legge di Bilancio 2021) – Introduzione di disposizioni per facilitare la transazione e il recupero crediti di Invitalia per crediti difficili da riscuotere (utili per la negoziazione dopo revoca).
  • Art. 2086 c.c. e ss. – norme generali sulla continuità aziendale e responsabilità degli amministratori in caso di insolvenza.
  • D.P.R. 602/1973 – Codice delle procedure di riscossione (che Invitalia utilizza per iscrivere a ruolo i debiti di agevolazione non pagati).
  • Legge Fallimentare abrogata (R.D. 267/1942) e altre discipline antecedenti – citate solo per contesto storico; oggi sostituite dal Codice della crisi.

Per le interpretazioni e applicazioni pratiche si rimanda, in particolare, alle sezioni FAQ del sito ufficiale Invitalia (area “Domande e risposte Resto al Sud”), alle circolari e linee guida interne di Invitalia e alle note di prassi ministeriale (MIMIT). Sul fronte giurisprudenziale, non esistono al momento sentenze specifiche in cassazione sul fallimento di aziende Resto al Sud, ma principi di diritto comune sull’agevolazione pubblica (es. Cass. civ. su restituzione contributi e responsabilità erariale) si applicano analogamente.

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