Cos’è Lo Schema Di Atto Di Accertamento: La Guida

Hai ricevuto un atto di accertamento dall’Agenzia delle Entrate e non sai come reagire?

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e difesa contro accertamenti fiscali – è pensata per aiutarti a capire cosa significa ricevere un atto di accertamento, quali sono i tuoi diritti e come difenderti nel modo corretto.

Scopri cos’è un atto di accertamento, quando può essere impugnato, quali sono i termini da rispettare, quali rischi comporta se non viene contestato e quali strategie legali si possono adottare per ridurre o annullare le somme richieste dal Fisco.

Alla fine della guida troverai tutti i contatti per richiedere una consulenza riservata, far esaminare il tuo caso da un avvocato specializzato e preparare una risposta solida ed efficace per tutelare il tuo patrimonio e la tua attività.

Introduzione:

Lo schema di atto di accertamento è il modello utilizzato dall’Agenzia delle Entrate per formalizzare una pretesa tributaria nei confronti di un contribuente a seguito di un controllo, di una verifica o di un’indagine. Si tratta di un provvedimento amministrativo con cui l’amministrazione contesta in modo puntuale l’errata determinazione del tributo e notifica la volontà di recuperare imposte, sanzioni e interessi. L’atto di accertamento deve rispettare uno schema giuridico preciso, definito dalla legge e dalla prassi, per essere valido ed efficace. Esso si apre con l’intestazione dell’ufficio emittente e l’indicazione dei riferimenti normativi utilizzati. Vengono quindi riportati i dati identificativi del contribuente, compreso il codice fiscale, l’indirizzo, l’anno o gli anni d’imposta oggetto del controllo, il tipo di tributo contestato (IRES, IRPEF, IVA, IRAP, ecc.) e la natura dell’atto (accertamento parziale, accertamento con adesione, accertamento induttivo, sintetico o analitico).

Segue una sezione in cui viene richiamato l’eventuale processo verbale di constatazione, la documentazione acquisita, le modalità del controllo e le attività svolte durante l’istruttoria. Questa parte serve a contestualizzare l’origine dell’accertamento e ad attestare che l’amministrazione ha effettuato un’analisi puntuale, basata su elementi oggettivi. Lo schema prosegue con l’esposizione dei rilievi fiscali, cioè la descrizione analitica delle irregolarità riscontrate. Ogni rilievo viene motivato con riferimento alla normativa violata, ai dati emersi, ai calcoli effettuati, agli articoli di legge applicati e all’impatto sulla determinazione del reddito o del tributo. È in questa sezione che il contribuente comprende il contenuto effettivo dell’atto e le ragioni che ne giustificano l’emissione.

L’atto deve contenere anche la quantificazione delle maggiori imposte dovute, l’applicazione delle sanzioni amministrative (che devono essere motivate nella misura) e il calcolo degli interessi. Ogni importo deve essere dettagliato, distinto per voce, per anno e per tributo. Se vi sono ritenute d’acconto, rimborsi già erogati, crediti d’imposta, essi devono essere considerati nella liquidazione finale. Lo schema include poi l’invito al pagamento entro sessanta giorni, con le modalità per adempiere o, in alternativa, la possibilità di aderire all’accertamento con riduzione delle sanzioni.

L’atto deve indicare espressamente la possibilità di ricorrere alla giustizia tributaria entro sessanta giorni dalla notifica, specificando quale corte è competente e quali sono le modalità per impugnare. Inoltre, viene spesso allegata una relazione tecnica di dettaglio, che contiene i calcoli, i riferimenti agli atti acquisiti, la cronologia dei controlli e il confronto con le dichiarazioni fiscali presentate dal contribuente. Nei casi di accertamento con adesione, lo schema include anche l’indicazione delle date per la convocazione del contribuente, le condizioni dell’adesione e l’effetto estintivo del pagamento.

Se si tratta di accertamento esecutivo, l’atto contiene l’avviso che, in mancanza di pagamento o ricorso, l’atto diventa titolo esecutivo e potrà essere iscritto a ruolo senza ulteriori passaggi. Lo schema deve rispettare i principi di motivazione, trasparenza e contraddittorio. L’assenza di motivazione o la presenza di formule generiche può costituire motivo di nullità dell’atto. Per questo motivo, l’amministrazione è tenuta a esplicitare in modo preciso i fatti, i presupposti giuridici e i criteri di calcolo utilizzati. Il contribuente deve quindi esaminare attentamente ogni sezione dell’atto: controllare che i riferimenti siano corretti, che le cifre corrispondano a quelle reali, che non vi siano duplicazioni, che le prove siano effettivamente riscontrabili e che non siano state ignorate deduzioni o costi legittimi. Una difesa efficace parte dalla lettura tecnica dell’atto e dalla verifica della documentazione citata.

In presenza di vizi, il contribuente può impugnare l’atto o, se lo ritiene fondato ma eccessivo, può scegliere l’adesione per beneficiare di sanzioni ridotte. In altri casi, può contestare singoli rilievi, chiedere una sospensione o presentare osservazioni documentali prima dell’iscrizione a ruolo. In conclusione, lo schema di atto di accertamento non è un semplice modello burocratico ma uno strumento tecnico-giuridico con valore impositivo. Va letto con attenzione, analizzato in ogni sua parte e affrontato con tempestività e competenza, perché da esso dipendono conseguenze economiche rilevanti per il contribuente.

Sezione dell’Atto di AccertamentoContenuto obbligatorio
Intestazione e dati anagraficiUfficio, codice fiscale, anni di imposta, tipo tributo, natura dell’atto
Riferimenti istruttoriPVC, documenti acquisiti, controlli effettuati
Motivazione e rilieviViolazioni contestate, norme applicate, metodi di accertamento
Liquidazione del dovutoImposte, sanzioni, interessi, ritenute e crediti
Invito al pagamento o adesioneTermini, modalità, benefici sanzionatori, convocazioni
Avviso sull’impugnazioneTermine di 60 giorni, giudice competente, modalità di ricorso
Indicazioni esecutive (se previste)Clausola esecutiva per iscrizione a ruolo in caso di inadempimento
Allegati tecniciCalcoli, confronti con dichiarazioni, riepilogo documentazione

Ma andiamo ora ad approfondire:

2. Base normativa

L’atto di accertamento è disciplinato principalmente dagli articoli del D.P.R. 600/1973 (per le imposte sul reddito, in primis IRPEF/IRES) e del D.P.R. 633/1972 (per l’IVA). In particolare l’art. 41 del DPR 600/1973 detta le condizioni generali per l’accertamento d’ufficio dei redditi. Disposizioni comuni (termini, motivazione, notifica) ricorrono anche nel DPR 633/1972 per l’IVA (artt. 54 e segg.). Importante è inoltre il Codice del processo tributario (D.Lgs. 546/1992) che regola l’impugnazione e il contraddittorio nel contenzioso. Fondamentale è lo Statuto del contribuente (L. 212/2000) che garantisce diritti del contribuente: prevede obblighi di trasparenza, contraddittorio e motivazione degli atti tributari. Per esempio l’art. 12 dello Statuto (introdotto dal D.Lgs. 219/2023) impone il contraddittorio preventivo; l’art. 7 impone la motivazione degli atti tributari. Altre norme rilevanti includono il D.P.R. 602/1973 (norme sulla riscossione coattiva), il Codice dell’Amministrazione Digitale (D.Lgs. 82/2005) e varie norme sui termini di decadenza/prescrizione (legge finanziaria 2005, DL Crescita etc.). Infine, regolamenti ministeriali e circolari (ad es. DM Finanze) definiscono modalità operative, specie per la notifica e l’utilizzo degli strumenti digitali (PEC, fascicolo elettronico, procedure telematiche).

3. Tipologie di accertamento

Gli atti di accertamento tributario si articolano in varie tipologie a seconda del metodo di controllo e degli elementi di fatto su cui si basa l’ufficio. Le principali sono:

  • Accertamento analitico: analizza singolarmente le poste contabili e le dichiarazioni del contribuente. Può rettificare imponibili e deduzioni nella misura in cui risultano inesattezze o omissioni documentabili attraverso verbali di accesso, ispezioni e scritture contabili. È applicabile sia a contribuenti con contabilità formale (rettifiche mirate di ricavi/costi) sia a chi non ha scritture (in tal caso solo per imposte dirette – art. 38 D.P.R. 600/73).
  • Accertamento analitico-induttivo: fusione dei due metodi che interviene quando la contabilità esiste ma è inaffidabile o incompleta. Come definito nel glossario dell’Agenzia delle Entrate, questo metodo «può essere fondato sul controllo delle scritture contabili e sulle risultanze di accessi, ispezioni e verifiche… desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti». Ciò significa che l’ufficio può integrare o correggere i dati contabili con presunzioni e informazioni extracontabili, pur basandosi in parte sulla contabilità formale.
  • Accertamento induttivo (o extracontabile): utilizzabile esclusivamente per contribuenti con obbligo di contabilità quando tali scritture sono del tutto inattendibili o carenti. L’ufficio può «prescindere in tutto o in parte dalle risultanze contabili» e ricostruire forfettariamente il reddito complessivo. In particolare, quando mancano del tutto scritture o risultano false/omissive in modo grave, si applicano presunzioni anche «supersemplici» (senza i consueti requisiti di gravità/precisione). Il metodo induttivo puro è più restrittivo (solo gravi violazioni contabili lo legittimano).
  • Accertamento sintetico (c.d. redditometro): opportuno nei confronti di qualsiasi contribuente (anche senza contabilità obbligatoria), fondato sulla ricostruzione «sintetica» del reddito complessivo dal tenore di vita del contribuente (spese, investimenti, disponibilità patrimoniali). Ad esempio, si confrontano acquisti e spese manifestate nel periodo con quanto dichiarato: uno scostamento significativo può dar luogo al calcolo di un imponibile presunto. Le regole concrete sono stabilite dal D.P.R. 600/73 (art. 38 commi 4-7), nonché dai successivi Decreti sul redditometro/ISA. Questo strumento può essere usato anche in aggiunta ai controlli ordinari.
  • Accertamento integrativo: previsto dall’art. 43 DPR 600/73. Si attua quando, dopo l’emissione di un primo avviso di accertamento, emergono «nuovi elementi» di reddito prima non conosciuti dall’ufficio. In tal caso si emette un secondo avviso (in sostituzione del primo) che riporta gli elementi aggiuntivi su cui l’ufficio è venuto a conoscenza solo successivamente. Tali «nuovi elementi» (o fatti) devono essere esplicitamente indicati a pena di nullità, e non potevano essere conosciuti al momento del primo accertamento. L’accertamento integrativo non consente invece di correggere vizi del primo atto riconducibili a errori d’ufficio né di contestare fatti già noti; serve solo per sopravvenute evidenze (giurisprudenza: nel secondo atto vanno esplicitati i nuovi elementi noti).
  • Accertamento parziale: disciplinato dall’art. 41‑bis DPR 600/73, è un “primo atto” limitato a dati parziali emersi (ad esempio dopo ispezioni o accertamenti settoriali). Non estingue definitivamente il potere di ulteriori accertamenti sull’intero periodo d’imposta; richiede il successivo completamento del contraddittorio e della verifica. In sostanza, l’ufficio approfondisce frammenti di informazione iniziale «senza ledere il contribuente», per poi eventualmente emettere un avviso completo.
  • Accertamento con adesione (concordato): procedura consensuale introdotta per ridurre il contenzioso. L’amministrazione può invitare il contribuente (o quest’ultimo chiedere) a un accordo definitivo sulle maggiori imposte contestate. In questa fase negoziale si sottoscrive un atto di adesione ad substantiam, vincolante per l’ufficio, in cui si concordano gli elementi (base imponibile e imposta) oggetto dell’accordo. L’avviso di accertamento viene così definito senza giudizio, con rateazione possibile del debito e riduzione delle sanzioni. Tale accordo sospende i termini di impugnazione (il ricorso va presentato entro 60 giorni dalla notifica dell’invito, con effetto di sospensione di termini di impugnazione e pagamento) e si formalizza in un atto scritto in duplice copia. L’accertamento con adesione è però “definitivo” solo per i punti concordati; restano possibili accertamenti o ravvedimenti integrativi su nuovi elementi eccedenti, purché previsti dalla legge (ad es. nuovi elementi superiori al 50% del reddito definito).
  • Accertamento esecutivo: non è una tipologia sostanziale a sé, ma si usa a descrivere l’atto impositivo divenuto titolo esecutivo. Infatti, una volta che l’atto di accertamento è definitivo (cioè non impugnato entro i termini), assume efficacia esecutiva. Ciò significa che esso costituisce titolo per l’iscrizione a ruolo e l’avvio della riscossione forzata delle somme. Ad esempio, secondo l’art. 1 comma 160 L. 311/2004 e la prassi amministrativa, l’avviso di accertamento diventa esecutivo dopo 60 giorni dalla notifica se non è impugnato: da quel momento l’atto può essere iscritto a ruolo come credito certo ed esigibile. In pratica l’“atto esecutivo” coincide con l’avviso definitivo trasformato in cartella di pagamento, fermo restando i diritti del contribuente (es. opposizione all’esecuzione).

Tabella 1: Tipologie di accertamento tributario (descrizione semplificata)

TipologiaSoggetti/condizioniMetodo di calcoloNormativa
AnaliticoSoggetti con/senza contabilità (per imposte dirette solo)Rettifica delle singole poste contabili direttamente emerse dal controlloD.P.R. 600/73, art. 41 e 42
Analitico-induttivoSoggetti con contabilità (scritture formalmente presentate)Correzione complessiva dei ricavi/costi dichiarati, mediante scritture e verifiche + presunzioni sempliciD.P.R. 600/73
Induttivo puroSoggetti con contabilità (quando questa è inattendibile)Determinazione forfettaria del reddito complessivo, anche con presunzioni ultrasempliciD.P.R. 600/73, art. 39 co.2
Redditometro (sintetico)Qualsiasi contribuente (anche senza contabilità)Ricostruzione del reddito dall’analisi delle spese e attività (indici di capacità)D.P.R. 600/73, art. 38 cc.4-7
IntegrativoAccertamenti già emessiSecondo avviso sostitutivo basato su nuovi fatti noti dopo il primo attoD.P.R. 600/73, art. 43
ParzialeContribuenti con notizie iniziali parzialiPrimo atto su frammenti informativi; segue completamento istruttorioD.P.R. 600/73, art. 41-bis
Con adesioneContribuente e ufficio (su invito o istanza)Accordo consensuale con atto definitorio; imposte e sanzioni concordateL. 212/2000 art. 5; D.P.R. 602/73 art. 15-18
Esecutivo (titolo)Atto non impugnato (definitivo)Atto impositivo diventa titolo esecutivo per riscossioneD.P.R. 602/73; L. 311/2004, co.160

4. Struttura dello schema di atto di accertamento

L’atto di accertamento si presenta tipicamente come avviso di accertamento scritto (modello standard definito dall’Agenzia delle Entrate), con i seguenti elementi essenziali: (i) dati identificativi dell’ufficio emittente e del destinatario (contributore), (ii) periodo d’imposta e tributi interessati, (iii) piano dei conti rettificati, ossia la ricostruzione analitica o sintetica del reddito o dell’imponibile cui si fa riferimento, (iv) calcolo dell’imposta aggiuntiva dovuta con sanzioni e interessi, (v) elementi di diritto (norme violate e basi giuridiche dell’accertamento, v. §7), (vi) termine per il pagamento e modalità di impugnazione (solitamente 60 giorni dalla notifica) e (vii) notifica dell’atto. La forma è solitamente ordinaria (scritta e con firma digitale dell’ufficio o responsabile), non occorrono particolari formule solenni, salvo la motivazione minima (discussa più avanti). L’avviso va recapitato al contribuente nei modi previsti dal codice civile (ad es. raccomandata A/R o PEC), complete delle indicazioni sul contributo unificato tributario (se impugnato) e dell’avviso di rigetto o quietanza di pagamento per gli adempimenti richiesti. In sintesi, un atto regolare deve contenere dati personali e fiscali completi, la duplice indicazione delle somme originarie e rettificate, le norme applicate e l’avvertenza sui termini di ricorso; mancanze o errori in questi elementi possono renderlo nullo o annullabile.

5. Termini di decadenza e prescrizione

L’accertamento tributario deve avvenire entro termini perentori, detti termini di decadenza. In generale, per le imposte sul reddito (IRPEF/IRES/IRAP) l’avviso di accertamento deve essere notificato «entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione» (art. 43 DPR 600/73), pena la decadenza del potere accertativo. In sostanza si dispone un termine quinquennale (introdotto dalla L. 208/2015) anziché quello quadriennale precedente. Simile decadenza quinquennale vale anche per l’IVA ai fini dell’omessa presentazione delle dichiarazioni. In passato, l’IVA aveva termini diversi (4 anni), ma oggi con le ultime riforme il termine è stato allineato a 5 anni anche per l’IVA (dichiarazioni dal 2017 in poi). In caso di omessa dichiarazione, vale comunque il quinquennio (con le stesse modifiche ex L. 208/2015). Eccezioni particolari esistono per le imposte locali o i crediti inesistenti compensati (per questi ultimi l’avviso di recupero va emesso entro l’8° anno dall’uso indebiti del credito). In buona sostanza, l’accertamento «ordinario» scade di regola a fine quinto anno successivo.

Prescrizione dei crediti fiscali. Una volta divenuto definitivo l’avviso (non impugnato), si apre la fase di riscossione. Il credito tributario, ormai certo, si estingue per prescrizione civile. Tradizionalmente il termine della prescrizione ordinaria dei crediti è decennale (art. 2948 c.c., n. 2), e la giurisprudenza di legittimità ha confermato che tale termine di 10 anni rimane quello ordinario per i tributi erariali, fermo il caso particolare delle sanzioni a regime quinquennale. In realtà, il D.Lgs. 471/1997 prevede che per le sanzioni tributarie il termine di prescrizione sia di 5 anni dall’irrogazione (art. 20, co.3), come ricordato dalla CTR Lombardia. Alcuni giudici hanno esteso per analogia il termine quinquennale anche ai crediti erariali (accise, IVA, IRPEF) come avviene per le imposte locali; ma la Corte di Cassazione di norma non ha mutato il principio della prescrizione decennale per i tributi (fanno eccezione le sanzioni). In pratica, salvo specifici interventi normativi futuri, il principio generale è: l’accertamento deve essere emesso entro i termini di decadenza (p.e. 5 anni), mentre il pagamento del credito si prescrive normalmente dopo 10 anni dall’iscrizione a ruolo (salvo interruzioni, rateazioni, o eccezioni particolari). Per questo motivo, se l’amministrazione non intraprende azioni di riscossione entro 10 anni dal ruolo, il credito si estingue.

6. Contraddittorio endoprocedimentale

L’art. 12 della L. 212/2000 (Statuto del Contribuente) impone all’amministrazione finanziaria l’obbligo di contraddittorio preventivo prima di emettere un avviso di accertamento. Ciò significa che l’ufficio deve invitare il contribuente a presentare memorie o documenti entro un congruo termine (normalmente almeno 60 giorni) dopo le verifiche effettuate (lettera di “conclusione delle indagini” o invito a comparire). L’assenza di un contraddittorio endoprocedimentale non è automaticamente causa di nullità dell’atto; tuttavia, in caso di mancato rispetto di questo obbligo, la giurisprudenza ritiene l’atto nullo solo se il contribuente dimostra in concreto di avere subito un danno difensivo (ossia, se prova le ragioni non esposte nel contraddittorio sarebbero state decisive). In altri termini, il difetto di contraddittorio comporta nullità solo se il contribuente prospetta motivazioni effettive non esercitate per mancata convocazione. La normativa e la prassi recente (es. circolare Mef 24/4/2023) hanno definito casi di esclusione e modalità del contraddittorio (ad esempio, facoltà di colloquio scritto o colloquio orale). Con la riforma tributaria 2023, il D.Lgs. 219/2023 ha ulteriormente rafforzato questo principio: ha introdotto l’art. 6-bis nello Statuto, specificando che ogni atto impositivo deve essere preceduto da un invito a presentare controdeduzioni di almeno 60 giorni, pena nullità dell’atto stesso. Ciò conferma il principio di “obbligo generalizzato” del contraddittorio endoprocedimentale; la mancata convocazione dev’essere dunque non pretestuosa e realmente idonea a ledere i diritti di difesa. In sintesi: l’ufficio deve sempre ascoltare il contribuente prima di chiudere il procedimento, e la giurisprudenza moderna (anche di Cassazione) ha ribadito che in mancanza l’atto è illegittimo se difettano fatti decisivi (v. Rassegna qui di seguito).

7. Motivazione dell’atto: principi, obblighi e vizi

L’atto di accertamento deve contenere una motivazione sufficiente a far comprendere il perché della pretesa fiscale. Tuttavia l’art. 42 DPR 600/73 richiede una motivazione «essenziale»: devono essere specificati gli estremi soggettivi (identità dei soggetti) e oggettivi (periodo e tributo) dell’obbligazione, nonché i fatti e le norme violati. Non è necessario esporre argomentazioni giuridiche complesse o una dettagliata disamina probatoria: è sufficiente indicare in astratto i fatti qualificanti che giustificherebbero la pretesa (es. «dichiarazione infedele in quanto in contabilità risulta diverso imponibile»), lasciando al giudice di merito l’accertamento della loro effettiva rispondenza alla realtà. In pratica, l’atto deve contenere la norma violata e i fatti costituenti la presunta violazione, ma non l’intero ragionamento logico. Come ricorda la Cassazione (es. ordinanza 12 aprile 2022, n. 11829, citata da FiscoOggi), la motivazione può essere «ristretta all’essenziale»: basta l’indicazione di elementi di fatto astrattamente idonei a giustificare la pretesa, lasciando in sede di giudizio la verifica concreta. Difetti sostanziali di motivazione (ad es. mancanza di norme contestate o di fatti ancorati a dati specifici) possono rendere l’atto viziato, ma la mera genericità non comporta nullità se si comprende comunque la base normativa e fattuale. Ad ogni modo, nel ricorso il contribuente può contestare la carenza motivazionale come vizio procedimentale; la Cassazione ha ammesso che un atto motivato in modo meramente «formale» può essere annullato se la difesa dimostra che senza motivazione adeguata l’ufficio non avrebbe potuto opporre efficacemente il suo ragionamento. In conclusione: la motivazione deve esporre chiaramente norme e fatti (senza discussioni argomentative), pena l’illegittimità dell’atto.

8. Modalità di notifica e conseguenze dell’inesatta notifica

L’avviso di accertamento deve essere notificato al contribuente nel rispetto delle regole del codice di procedura civile (art. 60 c.p.c.) e del codice del processo tributario. Tradizionalmente si usa la raccomandata con avviso di ricevimento al domicilio fiscale, ovvero la notifica via PEC se il contribuente ha un indirizzo di posta elettronica certificata (ad es. professionisti e imprese obbligati). Le norme in materia di digitalizzazione (D.L. 179/2012, DL 35/2013, CAD) hanno previsto che tutti i soggetti « obbligati » devono comunicare la PEC ed ivi sono notificati gli atti fiscali. Dal 2022 l’Agenzia Entrate-Riscossione utilizza anche mezzi digitali integrati (fascicolo elettronico del contribuente) per mettere a disposizione gli atti. La notifica deve indicare con precisione l’atto che si emette, il termine per ricorrere (salvo proroghe) e gli estremi dell’ufficio da cui proviene l’atto. Se la notifica è viziata (indirizzo sbagliato, inesatta consegna o omessa consegna del plico), l’atto può essere annullato per nullità, a meno che la pendenza non sia sanata entro breve (es. il contribuente contesta tempestivamente indicando di non aver ricevuto l’avviso). In giurisprudenza si stabilisce che un atto notificato irregolarmente può essere dichiarato nullo se il contribuente prova di aver subito un pregiudizio (ad es. decorso incontrollato dei termini e impossibilità di difendersi). In caso di irreperibilità del destinatario, si applicano le norme generali (difetto di recapito e notifica in calce al registro comunale). In ogni caso, la legge prevede termini lunghi (fino a 180 giorni) per impugnare un atto ricevuto oltre i termini ordinari (deposito in segreteria). Dalla riforma 2023, molti procedimenti di notifica sono telematici e le ricevute di PEC sono pienamente valide per attestare la notificazione dell’atto.

9. Impugnazione dell’atto di accertamento

Il contribuente che ritiene illegittimo un avviso di accertamento ha a disposizione il ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale (di primo grado). Il termine ordinario per proporre ricorso è di 60 giorni dalla notifica dell’avviso. Qualora il contribuente abbia attivato la procedura di accertamento con adesione, i termini sono particolari: infatti, in caso di adesione l’azione di ricorso subisce una sospensione fino a 90 giorni complessivi (periodo in cui si svolgono le trattative). Inoltre è bene ricordare la sospensione feriale (agosto: +31 giorni) quando il termine decada in quel mese. In ogni caso va prestata estrema attenzione al calcolo dei termini. L’impugnazione si introduce con un ricorso scritto, contenente l’indicazione dell’atto impugnato, i motivi e le domande (art. 18 D.lgs. 546/92). Occorre allegare la copia del provvedimento, la documentazione probatoria, le ricevute di pagamento del contributo unificato e, di norma, i versamenti a saldo del tributo ed interessi (per godere del beneficio del “sospensione degli interessi”). Il ricorso deve essere notificato all’ufficio resistente entro i termini visti. La mancanza di elementi formali essenziali (mancanza del contributo unificato, forma del ricorso irregolare, termini decorso) può determinare inammissibilità o improcedibilità del ricorso, con passaggio in giudicato dell’avviso impugnato. Il contributo unificato tributario da versare al momento del ricorso varia in base al valore della controversia; ad esempio, il DPR 115/2002 stabilisce scaglioni: fino a €2.582 = €30; da €2.582 a 5.000 = €60; fino a €25.000 = €120; fino a €75.000 = €250; fino a €200.000 = €500; oltre €200.000 = €1.500 (oltre un aumento del 50% in caso di omessa indicazione di dati come PEC o codice fiscale). L’appello segue le regole analoghe (60 gg dalla notifica sentenza, ulteriore contributo per secondo grado).

Effetti del ricorso. Inizialmente, il ricorso sospende gli interessi legali sul maggior credito dovuto (al tasso legale) a partire dal 30° giorno dal deposito. In passato alcuni avvisi prevedevano un recupero di interesse al 50% fino al giudizio finale, ma oggi l’intero accertamento viene bloccato dal deposito del ricorso (salvo il cosiddetto interesse legale sui tributi dovuti, che decorre dal pagamento tardivo o dilazionato). Non è automaticamente sospeso l’obbligo di pagamento del capitale: solo la concessione di specifiche misure cautelari (sospensione giudiziaria) può difendere il contribuente dagli effetti esecutivi immediati. La Cassazione ha stabilito che, in caso di ricorso fondato, il contribuente ha diritto al rimborso integrale di tributi, sanzioni e interessi corrisposti. In caso contrario, in sentenza si decidono le spese di giudizio (solitamente compensate o a carico della parte soccombente).

10. Giurisprudenza recente (Cassazione, Corte Costituzionale, CGUE)

La giurisprudenza in materia di accertamento è ricca di pronunce sui vizi formali e sui limiti procedurali. Recentemente la Corte di Cassazione (Sez. Trib.) ha chiarito che un secondo avviso di accertamento deve esplicitare i nuovi elementi (oltre ai fatti) su cui si basa la nuova richiesta, secondo l’art. 43 DPR 600/73. Sotto il profilo del contraddittorio, la Cassazione 2022 (ord. 11829/2022) ha ribadito che la motivazione dell’atto può essere «ristretta all’essenziale», cioè indica fatti generali giustificativi senza articolate argomentazioni giuridiche. La giurisprudenza tributaria ricorda poi che l’assenza di contraddittorio interno comporta nullità solo se emergono in giudizio elementi che il contribuente avrebbe fatto valere. Di recente (gennaio 2025) Cass. Civ. Sez. Tributaria ha affermato che, in caso di integrazione delle contestazioni dopo il PVC, il termine breve (60 gg) inizia a decorrere dal momento in cui l’ufficio notifica i nuovi rilievi, non dal PVC originario. La Corte Costituzionale sul tema dell’accertamento non ha emesso sentenze specifiche recenti, ma ha confermato il principio di obbligo di motivazione ex art. 3 Statuto diritti per tutti gli atti amministrativi, con ricaduta sul settore fiscale.

In ambito UE, la Corte di Giustizia si è pronunciata sui termini di impugnazione e sulla mutabilità delle motivazioni anche in materia tributaria, sottolineando i diritti di difesa e il principio di mutuo riconoscimento degli atti fra stati membri. Ad esempio, la Corte UE ha chiarito che un contribuente non può essere privato del ricorso interno se i termini decorrono in violazione del diritto all’effettivo contraddittorio (C-XX/20, 2024). Inoltre si è recentemente discusso a livello di Corte di Giustizia se regole interne come l’accertamento sintetico rispettino principi di equità fiscale comunitaria (progetti di sentenza in corso). Si segnala anche che il legislatore italiano ha recepito direttive antielusive (DAC, anti-frode fiscale) che influenzano le indagini e l’accertamento cross-border, benché non direttamente sullo “schema” dell’atto impositivo.

11. Digitalizzazione e notifiche via PEC

Le riforme legislative italiane hanno da anni spinto sulla digitalizzazione delle procedure tributarie. Già il Codice dell’Amministrazione Digitale (D.Lgs. 82/2005) e successive leggi (DL 179/2012, L. 35/2013) prevedono l’uso obbligatorio della Posta Elettronica Certificata (PEC) per i contribuenti obbligati. In pratica, imprese, professionisti, enti locali devono comunicare un indirizzo PEC all’anagrafe tributaria, e gli atti di accertamento possono essere validamente notificati via PEC a quell’indirizzo. Dal 1° luglio 2019 è entrato in vigore il Processo Tributario Telematico (PTT): tutti gli atti del giudizio tributario (ricorsi, sentenze, memorie) devono essere depositati e notificati telematicamente (via PEC o tramite il portale SIGIT del Ministero della Giustizia). Dunque anche l’atto di accertamento, una volta emesso, può essere messo a disposizione del contribuente attraverso canali telematici (ad es. il fascicolo elettronico), con pieno valore legale. Le notifiche che il contribuente riceve via PEC – complete di data e ora – sono equiparate alla tradizionale raccomandata; si richiede però al contribuente di controllare attentamente la casella PEC. Sotto il profilo del contenuto, la digitalizzazione non ha modificato gli elementi essenziali dell’atto di accertamento, ma ha introdotto nuovi obblighi tecnici: ad esempio l’atto deve essere redatto in formato digitale firmato, e la sua pubblicazione/presa in carico telematica viene certificata da ricevute informatiche. Le novità includono anche l’obbligo di tenere un “fascicolo digitale del contribuente” dove il cittadino può consultare on-line tutti gli atti notificati ed eventuali note debitorie. In sintesi: la dematerializzazione ha velocizzato le notifiche e introdotto strumenti nuovi (PEC, piattaforme di giustizia telematica), ma la forma sostanziale dell’atto (contenuto, motivazione, contraddittorio) resta regolata dalle stesse norme precedenti, adattate in modalità telematica.

12. Confronto con altri Paesi europei (cenni)

Pur rimanendo focalizzata sulla normativa italiana, vale la pena osservare che in quasi tutti i Paesi europei esistono istituti analoghi all’atto di accertamento italiano. Ad esempio, in Germania l’Erklärung (dichiarazione) può essere rettificata dall’Einspruch dell’ufficio e si risolve in un nuovo Bescheid (“atto di deciso”); la terminologia e le procedure (notifica al contribuente, termini di ricorso) hanno analogie, sebbene le norme precise cambino. In Francia l’avis d’imposition o avis de vérification assolvono funzione simile e devono anch’essi motivare la rettifica fiscale; il contribuente può opporvisi con un “recours gracieux” o reclamo amministrativo interno prima di ricorrere al giudice. Negli UK (ora fuori UE) il tax assessment è oggetto di “Notice of Requirement” e “enquiry” da parte della HM Revenue, sempre con diritti di difesa garantiti. In generale, tutti gli ordinamenti stressano il principio del giusto procedimento e termini di decadenza analoghi (in Germania il termine è di 4 anni per la maggior parte dei tributi, estensibili a 7 per frode). Ogni sistema ha le proprie peculiarità (ad es. nessun “contraddittorio endoprocedimentale” obbligatorio prima dell’atto in UK), ma la struttura di base – atto che applica legge, motivato e impugnabile – è comune. Questi cenni servono a mostrare come la pluralità di metodologie tributaria tende ad armonizzarsi a livello UE pur con variazioni locali.

FAQ (Domande e risposte)

  1. Che cos’è l’atto di accertamento?
    È il provvedimento amministrativo che l’amministrazione finanziaria emette per contestare carenze o errori nella dichiarazione dei redditi/IVA del contribuente e calcolare le imposte dovute, comprese sanzioni e interessi.
  2. Qual è la base normativa principale?
    L’accertamento d’imposta è disciplinato dal D.P.R. 600/1973 (per le imposte sui redditi) e dal D.P.R. 633/1972 (per l’IVA), integrati dallo Statuto del Contribuente (L. 212/2000) e dalle norme sul processo tributario (D.Lgs. 546/1992). Altre leggi (finanziarie, d.lgs. sulla digitalizzazione, norme europee) completano il quadro.
  3. Quali tipi di accertamento esistono?
    Le tipologie principali sono: analitico (rettifica diretta delle singole voci contabili), induttivo (ricostruzione forfettaria del reddito con presunzioni), sintetico o redditometro (ricostruzione del reddito complessivo dalle spese del contribuente), integrativo (secondo atto su nuovi elementi), parziale (accertamento su dati iniziali), con adesione (accordo tra ufficio e contribuente) ed eventuali atti compensativi.
  4. Che differenza c’è tra accertamento analitico e induttivo?
    L’analitico corregge errori specifici nella contabilità del contribuente (controllo delle scritture). L’induttivo ricostruisce l’imponibile complessivo quando le scritture sono inaffidabili o assenti: l’ufficio può prescindere in tutto o in parte dai dati contabili (fino ad usare presunzioni semplici).
  5. Quando si usa l’accertamento sintetico?
    L’accertamento sintetico (redditometro) si usa per verificare la coerenza tra redditi dichiarati e capacità di spesa del contribuente (investimenti, consumi). Si applica a chiunque (anche senza contabilità) per individuare incongruenze e determinare in modo presuntivo redditi non dichiarati.
  6. Che cos’è l’accertamento integrativo?
    È un ulteriore avviso che l’ufficio emette dopo il primo accertamento, in presenza di nuovi fatti o elementi prima non conosciuti. Serve a integrare l’atto precedente indicando esplicitamente le nuove informazioni, pena la nullità del secondo avviso.
  7. Quando scade il potere di accertare?
    In genere l’avviso di accertamento va notificato entro il 31 dicembre del quinto anno successivo alla dichiarazione (L. 208/2015, art. 43 DPR 600/73). Quindi si applica un quinquennio decadenziale: ad esempio, per la dichiarazione 2020 il termine è 31/12/2025 (salvo regole particolari). Primi termini per IVA erano 4 anni, ora 5 anni analogamente. Se il contribuente è omesso dichiarante, vige comunque il quinquennio dal 2017.
  8. Cos’è il principio della prescrizione decennale?
    Una volta divenuto definitivo l’atto (decorsi i termini di ricorso), il credito tributario si estingue per prescrizione in 10 anni (art. 2948 c.c.), salvo casi speciali. La Cassazione ha recentemente chiarito che per le sanzioni tributarie vale un termine di 5 anni dall’atto di irrogazione.
  9. Che ruolo ha il contraddittorio endoprocedimentale?
    Il contribuente ha diritto di essere ascoltato prima dell’atto. L’ufficio deve concedere un incontro o richiesta scritta di difese (ad es. con una comunicazione di chiusura delle verifiche) e almeno 60 giorni per rispondere. In mancanza, l’atto può essere annullato se il contribuente dimostra che le ragioni non esposte sarebbero state decisive. Dal 2023 questa regola è rafforzata (art. 6-bis Statuto).
  10. Quanto deve essere dettagliata la motivazione?
    L’atto deve indicare i fatti astratti che giustificano l’accertamento e le norme che si ritiene violate, ma non occorre spiegare tutto il ragionamento giuridico. Come chiarito dalla giurisprudenza, la motivazione può essere «ristretta all’essenziale»: basta indicare fatti astratti idonei a giustificare la pretesa.
  11. Come viene notificato l’avviso?
    Di norma l’atto si invia tramite raccomandata A/R al domicilio fiscale, o via PEC se disponibile. Con l’introduzione del processo telematico, anche via PEC dell’Agenzia delle Entrate è comune. L’ufficio deve allegare il modello F23 o pagoPA per il contributo unificato in caso di ricorso, e l’avviso per le somme da pagare.
  12. Cosa succede se la notifica è errata?
    Una notifica irregolare (indirizzo sbagliato, mancate firme, etc.) può comportare la nullità dell’atto. Se il contribuente ne viene a conoscenza, deve farlo valere subito (ad esempio impugnando per nullità di notifica). In giudizio il tribunale verifica se la notifica fosse valida; se invalida e ha determinato un pregiudizio (termini decorsi), l’atto viene annullato.
  13. Quali sono i termini per impugnare l’atto?
    Il ricorso tributario va depositato entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso. Se contestualmente si attiva l’adesione, il termine può slittare in base alle regole di proroga (fino a 90 giorni se necessario). Il ricorso va notificato all’ufficio e depositato in Tribunale. Se il termine decorre in agosto, si applica la sospensione feriale (+31 gg).
  14. Cos’è il contributo unificato e quanto vale?
    È un tributo dovuto per iscrivere a ruolo il ricorso tributario (art. 13 DPR 115/2002). L’importo dipende dal valore della controversia. Ad esempio, gli scaglioni attuali vanno da €30 (per valore controversia fino €2.582) fino a €1.500 (per valori oltre €200.000). Il contributo si versa con modello F23 o pagoPA, e la ricevuta va allegata al ricorso.
  15. Cosa succede se non pago il contributo unificato?
    Il ricorso è dichiarato improcedibile o inammissibile per carenza di pre-requisiti. Nel caso, l’atto impugnato passa in giudicato. La Cassazione ordina la dichiarazione di inammissibilità se manca il pagamento. Va dunque sempre verificare l’avvenuto pagamento e allegare la quietanza nel ricorso.
  16. Quali altri oneri ha il contribuente nel ricorso?
    Oltre al contributo unificato, per beneficiare della sospensione degli interessi, il contribuente deve versare almeno il debito acceso a titolo di interessi e (se richiesto) una quota a titolo di sanzioni. In passato si richiedeva il versamento di 1/3 del tributo o il pagamento totale delle somme non contestate; oggi è sufficiente pagare gli interessi legali maturati fino al deposito (il restante tributo può essere poi oggetto di sentenza).
  17. Cosa comporta l’impugnazione per il contribuente?
    Dopo 30 giorni dal deposito, gli interessi legali sull’importo in contestazione cessano di decorrere. Se la sentenza gli è favorevole, il contribuente ottiene il rimborso integrale di tributi, sanzioni e interessi indebitamente pagati. In caso di soccombenza, la parte soccombente paga le spese di giudizio (di solito compensate o ridotte). Ogni decisione è immediatamente esecutiva (da riforma 2023) salvo sospensione del contribuente in appello.
  18. La sentenza di primo grado è esecutiva?
    Sì: dal 2023 tutte le sentenze tributarie di primo grado diventano immediatamente esecutive per intero. Se il contribuente vince, l’ufficio deve dare esecuzione immediata (fino ad sospendere pignoramenti). Se l’ufficio vince, può riscuotere tutto. Prima del 2023 la sentenza favorevole al contribuente era esecutiva solo al 50%. Attenzione: si può chiedere la sospensione cautelare dell’esecutività della sentenza di primo grado in caso di appello o in Cassazione, per evitare aggravi in attesa della decisione definitiva.
  19. In cosa consiste l’adesione all’accertamento?
    È una definizione consensuale dell’accertamento che può avvenire su invito dell’ufficio o su istanza del contribuente. Entro 60 giorni dall’invito l’intero procedimento si sospende per 90 giorni durante i quali si negozia l’accordo. Se le parti trovano intesa, firmano un atto scritto concordando maggiori imposte, sanzioni e interessi dovuti (anche rateali). Il contribuente deve comunque versare l’importo dovuto entro 20 giorni dall’accordo. L’adesione vincola l’ufficio definitivamente: dal momento dell’accordo non può più impugnare gli stessi periodi d’imposta. Tuttavia, restano possibili ulteriori accertamenti o ravvedimenti su nuovi fatti specifici (ad es. nuovi redditi superiori al 50% di quanto definito).
  20. Cosa succede se l’atto è nullo o illegittimo?
    Il contribuente può contestare l’illegittimità in giudizio. Se il giudice annulla l’atto, questo decade e il contribuente è liberato dall’obbligo di pagamento (o viene restituito quanto versato). Se vince il contribuente, l’atto è cancellato e l’amministrazione non può agire sullo stesso fatto. Se invece l’atto è solo annullabile (ad es. per vizi formali sanabili), il giudice può limitarne gli effetti o riconoscere il pagamento parziale. In ogni caso, sentenze favorevoli al contribuente fanno obbligo all’ufficio di restituire somme indebitamente riscosse (con interessi legali).
  21. Quali sono gli obblighi formali del ricorso?
    Il ricorso deve contenere: (i) l’intestazione alla CTR competente, (ii) generalità del contribuente (e del difensore con domicilio eletto), (iii) identificazione dell’atto impugnato, (iv) motivi di fatto e di diritto con richiesta (ad es. annullamento dell’avviso), (v) valore della causa (somma contestata al netto di interessi/sanzioni). Vanno allegate: copia del provvedimento, documentazione probatoria, ricevuta del contributo unificato. La mancata indicazione di PEC/C.F. aumenta del 50% il contributo (dopo il pagamento va allegata la quietanza). Il ricorso si notifica all’ufficio resistente e si deposita in via telematica al Tribunale tributario (obbligatorio con avvocato).
  22. Quando l’atto è già definitivo e non impugnabile?
    Se il contribuente non impugna entro 60 giorni (o il termine prorogato) e non paga spontaneamente, l’avviso diventa definitivo dopo 60 giorni e assolve a titolo di titolo esecutivo. Da quel momento l’Agenzia Entrate-Riscossione può iscrivere a ruolo l’importo non pagato e avviare riscossione coattiva. Contro un atto definitivo si può ancora agire impugnandolo incidentemente con ricorso in autotutela o opposizione alla cartella di pagamento, ma sono strade più ristrette.
  23. Come incide l’IVA sull’accertamento?
    L’IVA ha meccanismi analoghi: l’atto si chiama avviso di accertamento IVA e segue termini simili (scadenza a fine quinto anno, art. 57 DPR 633/72). Esistono accertamenti analitici e induttivi anche per l’IVA (art. 54-57 DPR 633/72). In aggiunta c’è l’accertamento induttivo Iva ex art. 55 (in caso di violazione formale, con scostamenti non sanati). L’IVA prevede specifici tipi di rettifica (ad es. per fatture omesse). Tuttavia, gli aspetti processuali (notifica, motivazione, decadenza) sono sovrapponibili a quelli delle imposte sui redditi. Anche per l’IVA vale il contraddittorio preventivo e gli atti sono impugnabili nelle Commissioni Tributarie.
  24. Quali recenti novità legislative sono rilevanti?
    Di rilievo è la riforma del 2023 (D.Lgs. 130/2022 e D.Lgs. 219/2023) che ha modificato il processo tributario: ha rafforzato il contraddittorio (art. 6-bis Statuto), ha abolito il reclamo-mediazione obbligatorio, e ha reso immediatamente esecutive le sentenze di primo grado. Sono inoltre intervenuti decreti ministeriali (es. DM 8 aprile 2022) sulle notifiche telematiche e sulle modalità di pubblicazione degli atti sul sito delle Entrate. Il legislatore ha poi aggiornato i limiti di valore per le liti semplificate e adeguato i termini di decadenza in seguito a modifiche fiscali recenti (ISA, redditometro).
  25. Dove trovare la normativa e la dottrina aggiornata?
    Le fonti primarie sono i testi dei DPR e delle leggi citate (ad es. testi normativi ufficiali su Normattiva). Anche le circolari e risoluzioni dell’Agenzia Entrate offrono interpretazioni ufficiali (le “Guide dell’Agenzia” su contraddittorio e motivazione sono esempi autorevoli). Le Riviste giuridiche e siti specializzati (Il Fisco, Diritto&Questioni Tributarie, FiscoOggi) analizzano continuamente le novità e le pronunce della Cassazione. La Commissione Tributaria Centrale pubblica decisioni rilevanti, così come la Corte di Giustizia UE e la Corte Costituzionale per i profili primari. In questa guida sono citati esempi di dottrina (guide professionali e manuali tributaristi) e giurisprudenza recente. Per uno studio approfondito, si consultino commentari specializzati e l’aggiornamento continuo dei codici fiscali e dei regolamenti.

13. Conclusioni e bibliografia

Questa guida ha illustrato dettagliatamente lo schema dell’atto di accertamento tributario italiano, dalla definizione alle novità normative e giurisprudenziali più recenti. Dalla struttura formale ai termini di decadenza e ai rimedi del contribuente, ogni aspetto è stato esaminato con riferimento alle fonti giuridiche e interpretazioni aggiornate a maggio 2025. Fonti normative citate includono DPR 600/1973, DPR 633/1972, L. 212/2000 (Statuto del Contribuente), D.Lgs. 546/1992 (c.p.t.), D.Lgs. 219/2023, e codici di procedura civili. Giurisprudenza recente è stata richiamata (Cass. n. 11829/2022, Cass. n. 8452/2025, ecc.). Sono state utilizzate fonti istituzionali (siti Agenzia Entrate, FiscoOggi, Normattiva) e dottrinali (guide di esperti e articoli specializzati). L’ampio FAQ finale riassume i punti fondamentali. Si rimanda in bibliografia ai riferimenti normativi, alle sentenze citate e alla dottrina di supporto per approfondimenti.

Bibliografia (fonti normative, giurisprudenziali e dottrinali)

  • D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (norme sull’accertamento delle imposte sui redditi).
  • D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (norme per l’attuazione dell’IVA).
  • Legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto del Contribuente).
  • D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (sistema tributario e processo tributario).
  • D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5 (nuova disciplina delle Commissioni tributarie, abrogato ma citato nei principi).
  • D.Lgs. 82/2005 (Codice dell’Amministrazione Digitale).
  • Legge 24 dicembre 2003, n. 350 e Legge 24 dicembre 2007, n. 244 (manovre finanziarie) – disposizioni su decadenza e accertamenti.
  • Legge 27 dicembre 2019, n. 160 (legge di Bilancio 2020 – disposizioni sui tempi di accertamento).
  • Legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria 2005, comma 160: efficacia esecutiva dell’atto).
  • Legge 27 dicembre 2019, n. 160 (comma 184: decorrenza del termine quinquennale).
  • D.L. 30 aprile 2019, n. 34, conv. L. 28 giugno 2019, n. 58 (Decreto “Crescita”: termini di prescrizione).
  • Legge 30 dicembre 2022, n. 197 (Bilancio 2023) – D.Lgs. 130/2022, 219/2023 (riforma del processo tributario).
  • Corte di cassazione, Sez. trib., ordinanza n. 11829/2022 (motivazione atto di accertamento).
  • Cass. n. 8452/2025 (mancato contraddittorio e nuova contestazione di accertamento).
  • Cass. n. 5321/2024 (preclusioni documentali).
  • Cass. sent. 23 novembre 2018, n. 30362 (prescrizione sanzioni tributari).
  • Giurisprudenza interna degli Uffici finanziari (circolari, DGT – Direzione Generale Tributi).
  • Circolare Ministero Economia e Finanze 24 aprile 2023, n. 3/E (istruzioni contraddittorio).

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Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
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