Hai ricevuto una sentenza di apertura della liquidazione giudiziale e vuoi opporvi subito per salvare la tua impresa?
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto della crisi d’impresa e opposizione a procedure concorsuali – è pensata per aiutarti a presentare reclamo nei tempi previsti e con una difesa solida.
Scopri quando e come è possibile proporre reclamo contro una sentenza di liquidazione giudiziale, quali sono i termini da rispettare, quali documenti servono, e quali motivi possono portare alla sospensione o alla revoca della procedura.
Alla fine della guida troverai tutti i contatti per richiedere una consulenza riservata, analizzare con precisione la tua situazione e difenderti con una strategia legale mirata per tentare di bloccare la liquidazione e salvare l’attività.
Guida di Studio Monardo al Reclamo contro la Sentenza di Liquidazione Giudiziale in Italia (aggiornata a maggio 2025)
Introduzione
La liquidazione giudiziale è la procedura concorsuale introdotta dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019, “CCI”) che ha sostituito il tradizionale fallimento. Quando un’impresa o un imprenditore viene dichiarato insolvente, il Tribunale emette una sentenza di apertura della liquidazione giudiziale (l’equivalente della vecchia sentenza dichiarativa di fallimento). Tale provvedimento comporta effetti dirompenti: spossessa l’imprenditore della gestione, nomina un curatore, cristallizza i debiti, e attiva le procedure di liquidazione del patrimonio a beneficio dei creditori.
Viste le gravi conseguenze, l’ordinamento prevede uno strumento di impugnazione rapida: il reclamo contro la sentenza di liquidazione giudiziale. Il reclamo consente di chiedere alla Corte d’Appello di riesaminare la decisione del Tribunale, correggendo eventuali errori di fatto o di diritto. Questa guida approfondita – aggiornata a maggio 2025 – illustra in dettaglio come presentare reclamo avverso una sentenza di liquidazione giudiziale in ambito civile e commerciale, alla luce della normativa vigente e della più recente giurisprudenza.
Cosa troverai in questa guida:
- Un’analisi sistematica delle norme applicabili: dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza alle disposizioni di procedura civile e altre norme rilevanti.
- Le condizioni di ammissibilità del reclamo e i termini da rispettare (art. 18 D.Lgs. 14/2019, oggi corrispondente agli artt. 50-51 CCI).
- Una rassegna delle pronunce giurisprudenziali più significative (Cassazione, Corti d’Appello, Tribunali) fino al 2025, con commenti e sintesi.
- Tabelle riepilogative dei termini, degli organi competenti e dei motivi tipici di reclamo, per una consultazione rapida.
- Una sezione FAQ (domande frequenti) che chiarisce i dubbi comuni su questo procedimento.
- Fac‐simile di atti giudiziari, tra cui un ricorso per reclamo e una comparsa di costituzione e risposta, utili come modello pratico.
- Un focus pratico rivolto a professionisti del diritto (avvocati, curatori fallimentari) e a imprenditori coinvolti, con consigli operativi.
- Riferimenti completi a fonti normative e giurisprudenziali (con link) raccolti in un’apposita sezione finale, per approfondire ogni aspetto.
Quadro Normativo Vigente
In questa sezione esaminiamo le disposizioni normative che regolano il reclamo contro la sentenza di liquidazione giudiziale, principalmente contenute nel Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCI) e in alcuni richiami al Codice di Procedura Civile (CPC). Si farà cenno anche ad altre norme pertinenti (ad esempio, in materia di spese di giustizia). È fondamentale conoscere il quadro normativo per impostare correttamente un reclamo.
Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019)
Il CCI ha introdotto una disciplina organica delle procedure di crisi e insolvenza, mandando in pensione la vecchia Legge Fallimentare (R.D. 267/1942). In tema di impugnazioni, le norme chiave del CCI sono gli articoli 50, 51, 52 e 53, che sostanzialmente corrispondono (con alcune modifiche) agli artt. 18, 19 e 20 della vecchia legge fallimentare. Ecco un riepilogo:
- Art. 49 CCI – Sentenza di apertura della liquidazione giudiziale: disciplina il contenuto della sentenza con cui il Tribunale dichiara aperta la liquidazione giudiziale (nomina del Giudice Delegato, del Curatore, ecc.) e i provvedimenti consequenziali immediati. (Ad esempio, il Tribunale fissa l’udienza per l’esame dello stato passivo, adotta misure urgenti, ecc. – dettagli che non approfondiremo qui). La sentenza è notificata alle parti e iscritta nel Registro Imprese.
- Art. 50 CCI – Reclamo contro il provvedimento che rigetta l’istanza di liquidazione: se il Tribunale respinge la domanda di apertura della liquidazione giudiziale (cioè non dichiara il fallimento richiesto), lo fa con decreto motivato. Contro questo decreto di rigetto, entro 30 giorni dalla comunicazione, il ricorrente originario (ad esempio il creditore istante) o il Pubblico Ministero possono proporre reclamo alla Corte d’Appello. La Corte d’Appello decide anch’essa in camera di consiglio con decreto motivato, dopo aver sentito le parti (si applica il rito sommario ex artt. 737-738 CPC). In sintesi, se il fallimento non viene aperto e il creditore (o il PM) insiste, può chiedere alla Corte d’Appello di “ribaltare” il rigetto ed eventualmente dichiarare essa stessa la liquidazione. I punti salienti dell’art. 50 CCI:
- Il reclamo va proposto entro 30 giorni dalla comunicazione del decreto di rigetto.
- Possono reclamarlo solo il ricorrente iniziale (ad esempio il creditore che aveva chiesto il fallimento) o il PM; il debitore non ha interesse a reclamare un rigetto, avendo “vinto” in primo grado.
- La Corte d’Appello procede in camera di consiglio (procedimento sommario, senza formalità di un giudizio ordinario).
- Se la Corte rigetta il reclamo (confermando il diniego del fallimento), il decreto della Corte d’Appello è definitivo: non è ammesso ricorso per Cassazione. Ciò significa che se sia il Tribunale che la Corte d’Appello negano l’apertura della procedura, la decisione è irrevocabile (salvo eventualmente proporre una nuova istanza di fallimento qualora emergano nuovi elementi).
- Se invece la Corte d’Appello accoglie il reclamo, dichiara aperta la liquidazione giudiziale con sentenza e rimette gli atti al Tribunale per gli adempimenti conseguenti. In questo caso, la sentenza della Corte d’Appello che “dichiara il fallimento” è ricorribile per Cassazione, ma con termini dimezzati (15 giorni). Si noti: qui la liquidazione viene dichiarata direttamente dalla Corte d’Appello in secondo grado (novità rispetto al vecchio sistema, dove la Corte rinviava al Tribunale). Dalla sentenza di appello decorrono i termini per le ulteriori attività (esame passivo, ecc.).
- Art. 51 CCI – Impugnazioni (Reclamo contro la sentenza di apertura della liquidazione): è la norma centrale per il caso che ci interessa, ossia quando il Tribunale ha aperto la liquidazione giudiziale con sentenza e una parte intende impugnare quella sentenza. In base all’art. 51:
- Chi può reclamare: tutte le parti del procedimento e “qualunque interessato” possono proporre reclamo. Ciò significa che, oltre al debitore dichiarato insolvente e ai creditori istanti (o al PM se ha promosso il fallimento), la legge legittima anche soggetti terzi interessati dagli effetti del fallimento a impugnare la sentenza. (Approfondiremo più avanti il concetto di “qualunque interessato”). Questa è una differenza importante rispetto ad altre impugnazioni civili: il legislatore fallimentare, consapevole che la dichiarazione di insolvenza incide su molti soggetti (creditori non istanti, garanti, soci, controparti contrattuali, ecc.), apre il reclamo anche a chi non è stato parte attiva in primo grado.
- Termine: il reclamo va proposto entro 30 giorni. Il computo del termine differisce a seconda del soggetto:
- Per le parti del procedimento di primo grado (ad es. debitore, creditore istante, PM intervenuto), i 30 giorni decorrono dalla data di notificazione telematica della sentenza ad opera della cancelleria. Oggi infatti la sentenza di fallimento è comunicata via PEC dall’ufficio ai soggetti coinvolti.
- Per gli altri interessati (es. un creditore non coinvolto che vuole reclamare, un fideiussore, un socio di società fallita, ecc.), i 30 giorni decorrono dalla data di iscrizione della sentenza nel Registro delle Imprese (pubblicità legale). Questa duplicità garantisce che anche chi non era formalmente parte sia a conoscenza del fallimento tramite la pubblicazione ed abbia 30 giorni da allora per attivarsi.
- Attenzione: alle parti si applica inoltre l’art. 327 c.1 CPC, cioè la “decadenza annuale” delle impugnazioni: se per qualsiasi motivo la sentenza non fosse notificata, comunque dopo 6 mesi (termine lungo, esteso ad un anno dal CCI) dalla pubblicazione della sentenza, il reclamo non sarebbe più proponibile. In pratica, il debitore non potrebbe impugnare la sentenza dopo un tempo molto lungo anche se non gli fosse stata notificata, per esigenze di certezza.
- Forma e contenuto del reclamo: l’art. 51 prescrive che il reclamo si propone con ricorso da depositare in Corte d’Appello entro il termine di 30 giorni. Il ricorso deve contenere una serie di informazioni essenziali: indicazione della Corte d’Appello competente, generalità di chi impugna e del suo avvocato con relativo domicilio, esposizione dei motivi di reclamo con le conclusioni richieste, e l’indicazione dei mezzi di prova e documenti che si offrono. (Su questo, va notato che il D.Lgs. 136/2024 ha semplificato il testo parlando espressamente di “motivi” al posto di “fatti e diritto”, ma in sostanza si tratta di indicare le ragioni di diritto e di fatto per cui si chiede la riforma della sentenza).
- Procedimento in appello: a differenza del reclamo ex art. 50 (che è camerale informale), il reclamo ex art. 51, pur svolgendosi anch’esso in camera di consiglio, prevede un iter più strutturato:
- Entro 5 giorni dal deposito del ricorso, il Presidente della Corte d’Appello designa un relatore e fissa con decreto l’udienza di comparizione entro 60 giorni dal deposito. Dunque il reclamo è trattato con notevole rapidità (udienza in circa due mesi).
- Il ricorso e il decreto di fissazione dell’udienza devono essere notificati a cura del reclamante (quindi dall’avvocato del reclamante, non più dalla cancelleria – regola introdotta dal correttivo 2024) al Curatore (nominato dal Tribunale nella sentenza impugnata) o al Commissario giudiziale (se il reclamo riguarda una diversa procedura, es. concordato) e alle altre parti entro 10 giorni dalla comunicazione del decreto. Ciò significa che, appena ottenuta l’udienza, l’avvocato dell’impugnante deve notificare tempestivamente l’atto agli interlocutori del reclamo (tipicamente: curatore, creditore istante o debitore, che a seconda dei casi saranno le “controparti”).
- Tra la notifica e l’udienza devono intercorrere almeno 30 giorni, per garantire ai convenuti un tempo minimo per preparare le difese.
- Le parti resistenti (ad es. il creditore istante, se a reclamare è il debitore; oppure il debitore, se a reclamare è un creditore terzo interessato, ecc.; nonché il Curatore) devono costituirsi in Corte d’Appello almeno 10 giorni prima dell’udienza, depositando una memoria difensiva con le proprie argomentazioni in fatto e in diritto, e i documenti e prove a sostegno. La comparsa di risposta dovrà anche indicare il domicilio eletto nel comune sede della Corte d’Appello (se diverso).
- Interventi di terzi interessati: qualsiasi altro interessato (ad esempio un altro creditore non inizialmente parte, un socio, ecc.) può intervenire nel giudizio di reclamo, ma non oltre il termine previsto per la costituzione delle parti resistenti (quindi entro 10 giorni prima dell’udienza), e con le stesse modalità di una costituzione in risposta. Questa previsione attua concretamente l’ampiezza della legittimazione al reclamo: molti soggetti potrebbero voler intervenire per sostenere o contrastare l’apertura del fallimento.
- All’udienza fissata, la Corte (in composizione collegiale) sente le parti eventualmente comparse. Il procedimento è in camera di consiglio ma con contraddittorio orale: le parti possono discutere. Il collegio può inoltre assumere d’ufficio ogni mezzo di prova ritenuto necessario (compatibilmente col contraddittorio), anche delegando un componente a compiere atti istruttori. Questo potere di istruzione officiosa è ampio: ad esempio la Corte può acquisire nuovi documenti, disporre consulenze, sentire testi ove fondamentale, al fine di accertare compiutamente la sussistenza o meno dello stato di insolvenza. Si tratta di una particolarità delle impugnazioni concorsuali, giustificata dall’interesse pubblico alla corretta decisione sulla crisi d’impresa.
- Decisione: esaurita la trattazione, la Corte decide con sentenza entro 30 giorni dall’udienza. La decisione, quindi, è un provvedimento decisorio in forma di sentenza (motivata), depositata di regola entro un mese dalla discussione. La sentenza d’appello viene poi notificata alle parti e comunicata al Tribunale che aveva dichiarato il fallimento, e deve essere iscritta al Registro delle Imprese a cura della cancelleria d’appello.
- Effetti del reclamo sulle pendenze della procedura: per espressa previsione, la proposizione del reclamo non sospende l’efficacia della sentenza di fallimento (salvo quanto diremo sull’art. 52). Ciò significa che, anche se è stato impugnato, il fallimento rimane in essere e il Curatore può (anzi, deve) proseguire nella gestione: ad esempio può proseguire l’esercizio provvisorio se disposto, iniziare a raccogliere le istanze di ammissione al passivo, ecc. Tuttavia, è possibile ottenere una sospensione temporanea delle attività tramite l’istituto delineato dall’art. 52 CCI (di cui infra).
- Esito del reclamo: se la Corte d’Appello rigetta il reclamo, la sentenza di fallimento del Tribunale viene confermata e diviene definitiva (salvo ricorso in Cassazione, v. oltre). Se la Corte d’Appello invece accoglie il reclamo, essa revoca la liquidazione giudiziale, cioè annulla la dichiarazione di fallimento. In tal caso si applicano gli effetti dell’art. 53 CCI, di cui diremo a breve (in sostanza: gli atti compiuti dal Curatore fino a quel punto restano validi, ma la procedura cessa). L’accoglimento del reclamo “cancella” il fallimento, pur con alcune cautele per tutelare la stabilità degli atti compiuti.
- Ricorso per Cassazione: la sentenza della Corte d’Appello che decide il reclamo ex art. 51 è a sua volta impugnabile in Cassazione da chi sia soccombente (es.: il debitore se l’appello è respinto; il creditore istante se invece è accolto e revocato il fallimento). L’art. 51, comma 13, fissa in 30 giorni dalla notificazione il termine per il ricorso per Cassazione. Il ricorso per Cassazione non ha effetto sospensivo sulla sentenza della Corte d’Appello, ma se il ricorso è proposto contro una sentenza d’appello che ha rigettato il reclamo (confermando il fallimento), si applica in quanto compatibile l’art. 52 CCI. In pratica, anche durante l’eventuale ricorso per Cassazione, il fallimento prosegue salvo che la Corte d’Appello (o la Cassazione stessa) sospenda l’efficacia della sentenza impugnata nei modi previsti dall’art. 52 (vedremo tra un attimo cosa prevede tale articolo). Dunque la fase di legittimità non blocca l’iter fallimentare, salvo provvedimenti ad hoc di sospensione.
- Clausola di malafede del rappresentante legale: una particolarità dell’art. 51 (comma 15) è la previsione di una sanzione per le società che propongono reclami infondati in malafede. La Corte d’Appello, decidendo l’impugnazione, accerta d’ufficio se vi è mala fede da parte del legale rappresentante che ha autorizzato il reclamo in nome della società. In caso positivo, lo condanna in solido con la società al pagamento delle spese dell’intero processo. Inoltre, se ne ricorrono i presupposti, il rappresentante e la società sono condannati a pagare l’ulteriore importo ex art. 13, co.1-quater, DPR 115/2002 (contributo unificato raddoppiato, in caso di impugnazione totalmente respinta). Questa norma intende scoraggiare reclami pretestuosi delle società fallite: il loro amministratore rischia di tasca propria se ha fatto perdere tempo abusivamente. Resta salva comunque l’ordinaria responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c. per lite temeraria.
- Art. 52 CCI – Sospensione della liquidazione durante il reclamo: è una norma nuova che consente, in pendenza del giudizio di reclamo, di sospendere temporaneamente gli effetti del fallimento (stay della procedura). In particolare:
- Il reclamante può chiedere la sospensione già nell’atto di reclamo, mentre le altre parti possono chiederla nelle loro comparse di risposta. Dunque, ad esempio, il debitore che impugna la sentenza chiederà alla Corte d’Appello di sospendere l’esecuzione della sentenza di fallimento; oppure, se a reclamare fosse un terzo creditore e il debitore volesse comunque sospendere la liquidazione, potrebbe domandarlo nella sua difesa in appello.
- Il Presidente della Corte d’Appello, esaminata l’istanza (anche inaudita altera parte se urgente), può con decreto ordinare la sospensione totale o parziale delle attività della procedura. Deve però ricorrere un presupposto forte: gravi e fondati motivi.
- La sospensione può riguardare in tutto o in parte la liquidazione: ad esempio, la Corte potrebbe sospendere la vendita dei beni o la verifica dei crediti se ritiene probabile la revoca del fallimento, oppure sospendere solo alcuni atti ritenuti pregiudizievoli mantenendo altri (es. può congelare le operazioni di realizzo dei beni ma lasciare in essere l’esercizio provvisorio per non interrompere l’attività aziendale). È discrezionale e modulabile.
- Il decreto di sospensione è notificato d’ufficio alle parti e comunicato al curatore perché ne dia pubblicità al Registro delle Imprese. Contro il decreto sulla sospensione non è ammesso reclamo. Quindi non c’è un ulteriore grado su questa decisione provvisoria.
- La sospensione eventualmente concessa prosegue fino alla decisione del reclamo, ma la Corte d’Appello può sempre revocarla o modificarla in corso di causa se mutano le circostanze.
- Art. 53 CCI – Effetti della revoca della liquidazione giudiziale: questa norma disciplina cosa accade se la sentenza di fallimento viene revocata in sede di reclamo (dalla Corte d’Appello) oppure a seguito di altre vicende (ad esempio omologazione di un concordato che subentra, ipotesi prevista dallo stesso art. 53). I punti chiave:
- Conservazione degli atti compiuti: “In caso di revoca della liquidazione giudiziale, restano salvi gli effetti degli atti legalmente compiuti dagli organi della procedura”. Ciò significa che tutti gli atti posti in essere dal Giudice Delegato o dal Curatore durante il periodo in cui la procedura è stata in vigore rimangono validi e non vengono travolti dalla revoca. Ad esempio, se il Curatore ha venduto un bene, quella vendita resta valida; se ha incassato crediti, quei pagamenti restano legittimi, ecc. Questo principio tutela l’affidamento dei terzi che hanno contrattato durante il fallimento e impedisce di dover “riavvolgere” completamente il nastro.
- Organi in carica fino al passaggio in giudicato: gli organi della procedura (Curatore e Giudice Delegato) rimangono in carica, con compiti limitati stabiliti dall’articolo, fino a quando la sentenza di revoca diviene definitiva. In pratica, la revoca decisa dalla Corte d’Appello sospende la gestione attiva del Curatore, ma quest’ultimo non sparisce immediatamente: continua a esistere formalmente per svolgere alcune attività di chiusura e vigilare nell’interregno in cui il patrimonio torna al debitore. Solo quando la revoca non è più impugnabile (es. scaduti i termini per la Cassazione o confermata da Cassazione) gli organi decadono del tutto.
- Ripristino dell’amministrazione al debitore sotto vigilanza: dalla pubblicazione della sentenza di revoca, l’amministrazione dei beni e l’esercizio dell’impresa tornano al debitore, ma sotto la vigilanza del Curatore fino al passaggio in giudicato. In altri termini, il fallito rientra in possesso dei suoi beni e può riprendere la sua attività, ma il Curatore vigila affinché non compia atti dissipativi in quel periodo “ibrido”. Inoltre, per gli atti di straordinaria amministrazione più rilevanti (mutui, vendite immobiliari, transazioni, rinunce a liti, ecc.), il debitore deve ottenere autorizzazione del Tribunale (sentito il Curatore). Se il debitore compie atti senza l’autorizzazione dovuta, tali atti sono inefficaci rispetto ai terzi. Questa è una misura di garanzia: si evita che un’impresa, subito dopo essere “uscita” dal fallimento ma mentre pende magari un ricorso in Cassazione, possa disperdere il patrimonio; il Curatore resta a fare da guardiano temporaneo.
- Spese della procedura e compensi del curatore: un tema cruciale è chi paga le spese del fallimento nel caso questo venga revocato. L’art. 53 rinvia ad un successivo decreto del Tribunale (su relazione del GD) per liquidare le spese e il compenso al Curatore, tenendo conto delle ragioni dell’apertura e della revoca, con decreto reclamabile ex art. 124 CCI. Ma soprattutto, interviene qui il D.P.R. 115/2002 (Testo Unico Spese di Giustizia) all’art. 147, come modificato dal CCI, che stabilisce il criterio di addebito:
- Se il fallimento viene revocato ed era stato chiesto con colpa dal creditore istante, le spese della procedura e il compenso del Curatore sono a carico di quel creditore.
- Se invece la procedura è stata causata dal comportamento del debitore (persona fisica), allora le spese sono a carico del debitore stesso.
- La Corte d’Appello, nella sentenza di revoca, deve accertare se l’apertura della procedura sia imputabile al creditore o al debitore e in base a ciò attribuire le spese.
- Ulteriori effetti: l’art. 53 prevede che con la sentenza che revoca la liquidazione la Corte d’Appello possa imporre al debitore degli obblighi periodici di informazione sulla gestione economico-finanziaria, da adempiere sotto vigilanza del Curatore, fino al passaggio in giudicato della revoca. Ciò per monitorare la situazione dell’impresa “riesumata” ed evitare ricadute o nuovi pregiudizi ai creditori nel frattempo.
In conclusione, il Codice della Crisi delinea un sistema di impugnazioni su due livelli: un reclamo veloce e ampio in appello (artt. 50-51), e un eventuale ricorso per Cassazione finale. Durante il reclamo, la procedura prosegue salvo sospensione (art. 52); se il reclamo viene accolto, la procedura si arresta e si torna indietro garantendo però stabilità degli atti già fatti e riparto equo dei costi (art. 53).
Interazioni con il Codice di Procedura Civile e altre norme
La procedura di reclamo fallimentare, pur essendo speciale, richiama in parte il Codice di Procedura Civile (CPC) e altre normative:
- Rito camerale sommario (artt. 737-738 CPC): L’art. 50 CCI rinvia espressamente agli artt. 737-738 CPC per il reclamo contro il decreto che nega la liquidazione. Ciò significa che quel reclamo si svolge in camera di consiglio, con modalità semplificate (istanza, decisione de plano o dopo aver sentito le parti in camera di consiglio senza formalità di atti di citazione). Anche il reclamo ex art. 51, pur con regole ad hoc, è sostanzialmente un procedimento camerale (non è richiesto atto di citazione, vi è libertà di forma per il ricorso, termini stretti, decisione collegiale senza udienze pubbliche). Quindi il CPC entra come disciplina di sfondo per quanto non previsto specificamente.
- Termini processuali e sospensione feriale: Il CCI all’art. 9 prevede espressamente che la sospensione feriale dei termini processuali (1° agosto – 31 agosto) non si applica ai procedimenti disciplinati dal Codice della Crisi. Dunque tutti i termini per proporre reclamo (30 giorni) o per costituirsi, notificare, ecc., decorrono anche ad agosto senza interruzioni. (Fa eccezione solo ciò che il codice stesso diversamente dispone in casi particolari, come per il deposito delle domande di ammissione al passivo, art. 201 CCI, dove la sospensione si applica). In generale, il reclamo fallimentare essendo una procedura urgente e di interesse pubblico non gode della pausa estiva.
- Notificazioni telematiche: Come visto, il CCI prevede che le comunicazioni della sentenza ai fini del termine breve avvengano via PEC a cura della cancelleria. Ciò è conforme all’evoluzione del processo civile telematico. Le notifiche del ricorso di reclamo, invece, spettano al ricorrente e possono avvenire via PEC agli indirizzi registrati (es. PEC del curatore, PEC dei difensori delle parti costituite in primo grado, ecc.), nel rispetto della L. 53/1994.
- Norme sulle impugnazioni civili in generale: Per quanto compatibile, si applicano i principi generali delle impugnazioni civili. Ad esempio:
- Divieto di reformatio in peius: la Corte d’Appello, se ad esempio il reclamo è proposto dal solo debitore, non potrebbe aggravare la sua posizione oltre quanto deciso dal Tribunale (ma qui l’unico “peius” possibile sarebbe trasformare il fallimento in qualcosa di peggiore, cosa che non c’è – semmai potrebbe solo confermare o revocare).
- Estensione dell’effetto devolutivo al collegio: l’appello (reclamo) devolve alla Corte l’intera causa nei limiti dei motivi di reclamo. Tuttavia, come sottolineato dalla giurisprudenza, trattandosi di procedimento concorsuale, la Corte d’Appello ha cognizione piena sulla situazione d’impresa, potendo considerare anche elementi emersi dopo la sentenza impugnata (si veda la sezione giurisprudenza).
- Inammissibilità di nuove domande: nel reclamo non si possono proporre domande nuove estranee all’oggetto del procedimento di primo grado. Ad esempio, non si può chiedere in appello l’apertura di una procedura diversa (come un concordato preventivo) che non sia stata oggetto del giudizio di primo grado; si può solo discutere della fondatezza o meno dell’apertura della liquidazione.
- Applicazione dell’art. 404 CPC (opposizione di terzo): la Cassazione ha chiarito che l’ampia legittimazione a “qualunque interessato” nel reclamo fallimentare sostituisce la tradizionale opposizione di terzo, la quale non è ammessa contro la sentenza di fallimento. Un terzo pregiudicato deve utilizzare il reclamo ex art. 51 entro i termini previsti, non può attendere oltre e proporre un’opposizione ordinaria.
- Disciplina delle spese di giustizia: come già visto, il D.P.R. 115/2002, art. 147, modificato dal D.Lgs. 14/2019, detta i criteri per addebitare le spese della procedura revocata al responsabile (creditore istante o debitore). Inoltre, va ricordato che, salvo diverse statuizioni, le spese legali del reclamo seguono la soccombenza secondo le regole generali (art. 91 CPC): la Corte d’Appello condannerà la parte che perde il reclamo a rifondere le spese legali alla parte vittoriosa. In più c’è la possibilità – come abbiamo visto – di condanna aggravata dell’amministratore societario in malafede.
- Transitorietà: Il CCI è entrato in vigore definitivamente il 15 luglio 2022. Le procedure di fallimento pendenti prima di tale data continuano secondo la vecchia legge fallimentare (art. 390 CCI e seguenti disposizioni transitorie). Dunque, per fallimenti dichiarati ante luglio 2022, il reclamo segue ancora l’art. 18 LF (30 giorni per reclamo in Corte d’Appello, ecc.) e la successiva fase di opposizione in Tribunale se il reclamo era accolto (vecchio art. 19 LF). Questa guida si concentra però sui casi soggetti alla nuova disciplina. Quando leggerai pronunce della Cassazione o di merito che citano l’art. 18 LF dopo il 2022, spesso riguardano casi iniziati prima: per le nuove dichiarazioni di liquidazione, vale l’art. 51 CCI.
Con questo quadro normativo in mente, passiamo ora a vedere in concreto come, quando e da chi può essere proposto il reclamo contro la sentenza dichiarativa di liquidazione giudiziale, con indicazione delle condizioni da rispettare e dei termini da osservare.
Condizioni e Termini per proporre il Reclamo (art. 18 D.Lgs. 14/2019)
In questa sezione affrontiamo gli aspetti fondamentali di ammissibilità del reclamo: chi può proporlo, entro quali termini, con quali condizioni e formalità. La norma di riferimento, come detto, è l’art. 51 CCI (corrispondente, nella sostanza, all’art. 18 del D.Lgs. 14/2019 citato nel quesito, ossia la disposizione delegata che ha introdotto questo meccanismo di reclamo).
Riassumiamo le condizioni chiave:
Legittimazione a proporre il reclamo: chi può impugnare la sentenza di fallimento?
- Il Debitore: la persona (fisica o giuridica) dichiarata insolvente dal Tribunale ha ovviamente diritto di impugnare la sentenza di liquidazione. Anzi, nella prassi, il caso più frequente è proprio il reclamo presentato dal debitore fallito che ritiene insussistente lo stato di insolvenza o riscontra vizi nella procedura. Non è nemmeno necessario che il debitore si fosse costituito in primo grado (magari era assente): potrà comunque reclamare in appello, essendo chiaramente “parte” destinataria della sentenza e interessata dall’esito.
- I Creditori istanti: se la sentenza di fallimento non corrisponde a quanto richiesto (per esempio, il Tribunale ha escluso alcuni crediti o ha dichiarato la procedura in un modo difforme dalle richieste – ipotesi rara, perché o accoglie la domanda dichiarando il fallimento oppure la respinge), potrebbero aver interesse a reclamare. Più realisticamente, un creditore istante può reclamare se il Tribunale respinge la domanda (ma in tal caso il reclamo è ex art. 50 CCI, già visto) oppure se ritiene la sentenza di fallimento errata in parte (ad esempio sulla decorrenza della data di insolvenza, ecc.). In genere, se il creditore ha ottenuto la dichiarazione di fallimento, sarà soddisfatto e non reclamerà oltre, salvo questioni particolari.
- Il Pubblico Ministero: il PM può essere attore della richiesta di fallimento in alcuni casi (ad es. insolvenze che riguardano società con irregolarità gravi, o casi previsti dall’art. 38 CCI). Se il PM ha promosso l’istanza ed è stata accolta, difficilmente reclamerà (a meno di questioni procedurali). Se l’aveva promossa ed è stata respinta, può reclamare ex art. 50 CCI. Se non era parte del procedimento, il PM generalmente non interviene in appello se non per fornire un parere eventualmente (nelle procedure concorsuali non è parte necessaria tranne in specifici casi). Quindi, per semplicità: consideriamo il PM legittimato al reclamo principalmente come ricorrente in caso di rigetto (art. 50), mentre nel reclamo ex art. 51 il PM potrebbe essere parte resistente se aveva avviato lui il fallimento.
- Qualunque interessato: questa categoria aperta è la peculiarità. La Cassazione la interpreta come “chiunque sia titolare di una posizione giuridica sostanziale incisa dagli effetti della sentenza di fallimento”. Ci rientrano:
- I creditori non istanti: ogni creditore dell’insolvente, pur se non ha attivato la procedura, è inciso dal fallimento (che determina il concorso tra creditori, sospende le azioni individuali, ecc.) e quindi è legittimato. Ad esempio, se Caio, creditore, non aveva chiesto il fallimento di Alfa Srl perché magari confidava in un pagamento, e un altro creditore ottiene il fallimento, Caio potrebbe essere contrario alla procedura (magari preferiva un accordo stragiudiziale) e dunque potrebbe reclamare la sentenza di fallimento nel termine previsto, come “interessato”.
- I fideiussori e co-obbligati del debitore: il fallimento del debitore principale fa scattare spesso l’escussione di garanti. Un fideiussore (es. una banca che ha garantito un bond, o un genitore garante di un mutuo) può avere interesse a evitare il fallimento del debitore perché preferirebbe soluzioni diverse (ad esempio un piano di ristrutturazione che magari lo coinvolga meno). La giurisprudenza riconosce che anche il fideiussore del fallito è “interessato” legittimato al reclamo, essendo la sua posizione patrimoniale indirettamente pregiudicata dalla procedura concorsuale.
- I soci della società fallita: i soci di una società di capitali non rispondono dei debiti sociali, ma hanno certamente un interesse alla continuazione dell’attività sociale e alla preservazione del valore aziendale. Il fallimento azzera il valore delle partecipazioni e può far emergere responsabilità (i soci/amministratori possono subire azioni di responsabilità, revocatorie di distribuzioni utili, ecc.). In particolare, un socio unico o di maggioranza potrebbe voler impugnare la sentenza per tentare soluzioni alternative e salvare l’impresa. Anche un socio illimitatamente responsabile (in società di persone) è interessato, anzi doppiamente: il fallimento estende a lui gli effetti (nelle SNC falliscono anche i soci) – ma se per ipotesi un socio accomandante o non coinvolto volesse contestare l’insolvenza, in teoria può farlo.
- Controparti contrattuali: chi ha contratti pendenti con il fallito (ad es. un fornitore in contratto di somministrazione, un cliente con un contratto di appalto in corso, un locatore o conduttore, ecc.) è toccato dal fallimento perché i contratti pendenti possono essere sciolti o sospesi dal Curatore. Una controparte contrattuale potrebbe preferire che l’azienda non fallisca per proseguire il rapporto. In passato, la Cassazione ha riconosciuto legittimato al reclamo ad esempio il promissario acquirente di un immobile della società fallita, il quale vede a rischio il suo preliminare per effetto del fallimento. Costui è un “interessato” ai sensi della norma, potendo subire la risoluzione del preliminare e la perdita dell’affare.
- Terzi destinatari di azioni revocatorie: se il fallimento era in corso, il Curatore avrebbe potuto avviare azioni revocatorie o recuperatorie verso chi ha beneficiato di pagamenti o atti pregiudizievoli. Un soggetto che, ad esempio, ha ricevuto un pagamento dal debitore poco prima del fallimento (pagamento poi sospetto di revocatoria) è certamente interessato a che il fallimento venga revocato, così da non subire l’azione revocatoria. La Cassazione ha incluso tra gli interessati anche “gli autori di atti pregiudizievoli ai creditori” che il Curatore potrebbe aggredire.
- Nota pratica sulla costituzione di “qualunque interessato”: un terzo interessato che non era parte del procedimento di primo grado può scegliere due strade per impugnare:
- Proporre egli stesso il reclamo entro 30 giorni dall’iscrizione della sentenza al Registro Imprese (se nessun altro lo ha già proposto). In tal caso agirà da reclamante principale.
- Intervenire in un reclamo già proposto da altri (entro il termine di costituzione come visto). Ad esempio, se il debitore ha già reclamato la sentenza, un creditore terzo può intervenire in appello dalla sua parte (per rafforzare le ragioni del debitore) o anche contro (se volesse invece il fallimento).
Motivi di reclamo ammissibili: per quali ragioni si può reclamare?
Il reclamo contro la sentenza di liquidazione giudiziale è un’impugnazione nel merito: non è limitato a vizi formali o di diritto, ma consente un pieno riesame sia dei fatti sia delle questioni giuridiche relative all’insolvenza e alla procedura.
Ecco le ragioni tipiche per cui viene presentato reclamo (non esaustive):
- Insussistenza dello stato di insolvenza: il motivo più comune addotto dal debitore è che in realtà non sussistevano i presupposti per dichiararlo insolvente. Può allegare che la valutazione del Tribunale era erronea, ad esempio dimostrando di avere un patrimonio sufficiente o accordi in corso con i creditori. Questo è un accertamento di merito (fatti e prove) che la Corte d’Appello rifarà, potendo considerare anche fatti nuovi sopravvenuti (es. pagamenti avvenuti subito dopo la sentenza, v. infra). Ad esempio, se l’impresa in fallimento riesce a procurarsi liquidità per pagare i debiti durante l’appello, potrebbe sostenere che l’insolvenza è venuta meno o che il fallimento non è più necessario.
- Erronea valutazione dei debiti/crediti: il reclamante può contestare come il primo giudice ha valutato l’entità del passivo o dell’attivo. Ad esempio, il Tribunale potrebbe aver considerato come scaduti dei debiti che invece erano prorogati, oppure non aver tenuto conto di crediti in attesa di incasso. Correggere queste stime può cambiare il giudizio sull’insolvenza. (Va detto che il Tribunale dichiara insolvenza anche su valutazioni sommarie, dunque l’appello è occasione per chiarire meglio la situazione contabile).
- Mancato rispetto delle soglie di fallibilità (per casi ante CCI): sotto la vecchia legge fallimentare esistevano soglie dimensionali (art. 1 L.F.) sotto le quali un imprenditore non era fallibile. Un motivo frequente di opposizione era che l’impresa non superava tali limiti di fatturato/attivo/debiti. Con il CCI la disciplina è cambiata: per le imprese minori ora c’è la “liquidazione controllata” ma anche le piccole possono essere soggette a liquidazione giudiziale se commerciali. Tuttavia, se si trattasse di procedure transitorie, questo motivo poteva emergere (come nel caso esaminato dalla Corte d’Appello di Venezia del 2020: la società aveva parametri sotto soglia e il fallimento fu revocato). Oggi, analogamente, potrebbe eccepirsi che trattavasi di soggetto non assoggettabile a liquidazione giudiziale ma piuttosto a liquidazione controllata (es. un imprenditore agricolo o un consumatore erroneamente dichiarato fallito).
- Violazione del contraddittorio o errori procedurali: ad esempio, il debitore potrebbe lamentare di non aver ricevuto la convocazione all’udienza pre-fallimentare, o che gli è stato negato un termine per difendersi, oppure che il Tribunale non ha sentito un creditore istante importante, ecc. Vizi procedurali nel giudizio di primo grado possono essere fatti valere in appello come motivi di nullità della sentenza (art. 51 parla di “motivi” in generale, quindi includendo sia motivi di merito sia nullità). Tuttavia, spesso la Corte d’Appello, anche rilevando un vizio, preferisce decidere nel merito (grazie al potere di istruttoria) senza rimettere la questione al Tribunale, per economia processuale.
- Errata individuazione della competenza territoriale: se il fallimento fosse dichiarato da un Tribunale incompetente per territorio (es. la sede dell’impresa era altrove), ciò va eccepito con il reclamo. Il CCI, come prima la L.Fall., prevede però che la competenza territoriale funziona in modo particolare: se la Corte d’Appello rileva un vizio di competenza, trasferisce la causa alla Corte d’Appello competente (art. 9 CCI prev. e art. 51 ult. comma che rinvia all’art. 50 CPC). In sostanza, si cerca comunque di non annullare tutto ma di portare l’impugnazione al giudice d’appello del distretto giusto.
- Presenza di un piano di risanamento/concordato alternativo: talvolta il debitore eccepisce che era in corso o proponibile una soluzione concordata della crisi (concordato preventivo, accordo di ristrutturazione) e che il Tribunale avrebbe dovuto attendere o privilegiare quella invece di dichiarare il fallimento. Ad esempio, se il debitore aveva pendente un’istanza di concordato “in bianco” e il Tribunale gli ha revocato i termini e dichiarato fallimento, in reclamo può sostenere che la revoca è stata ingiustificata. Questo scenario è complesso e la giurisprudenza è oscillante: la Cassazione ha stabilito che se c’è una domanda di concordato in corso, il Tribunale non dovrebbe dichiarare il fallimento senza decidere su quella (principio di “autonomia” delle procedure). Ma se il concordato viene dichiarato inammissibile e contestualmente si apre il fallimento, il reclamo può investire anche quella valutazione.
- Errori nella decisione sulle spese: se la sentenza di fallimento ha disposto sulle spese (di solito condannando il debitore alle spese legali a favore del creditore istante, o viceversa rigettando compensandole), la parte può reclamare anche solo per la statuizione sulle spese. Tuttavia, trattandosi di procedimento concorsuale, spesso le spese sono considerate in uno stadio successivo (il compenso del curatore, ecc.).
Circostanze sopravvenute e nuovi documenti: Un aspetto importante del reclamo fallimentare è che la Corte d’Appello può considerare fatti sopravvenuti dopo la sentenza impugnata. Ad es.:
- Pagamenti o accordi con creditori intervenuti dopo la dichiarazione di fallimento.
- Esito di ricorsi (es. se pendeva un giudizio sul credito di un istante e viene deciso nel frattempo, mutando l’ammontare del passivo).
- Adesione a sanatorie fiscali (“rottamazione”): la Corte d’Appello di Salerno ha chiarito nel 2023 che il reclamo ha natura devolutiva piena e che può estendersi anche a circostanze di fatto sopravvenute utili ai fini della decisione. Nel caso concreto, l’impresa fallita aveva presentato un’istanza di “rottamazione” dei debiti tributari (definizione agevolata) dopo la sentenza di fallimento; la Corte ha ritenuto di poter valutare anche questo fatto sopravvenuto, pur giudicandolo ininfluente finché la rottamazione non fosse accettata dall’Erario. Ciò conferma un principio espresso già dalla Cassazione: il giudice d’appello, nel decidere sullo stato di insolvenza, deve tener conto anche di fatti nuovi che possano aver eliminato o ridotto l’insolvenza, allo scopo di evitare fallimenti non più necessari. Questa elasticità è atipica rispetto alle normali regole dell’appello (che vietano nuove prove su fatti successivi), ma è giustificata dalla natura peculiare del procedimento concorsuale, volto ad accertare una situazione economica attuale.
Di converso, non saranno esaminabili fatti del tutto estranei al perimetro del giudizio di insolvenza. Ad esempio, non è ammesso lamentare in reclamo questioni che dovevano essere oggetto di un diverso procedimento (es: chiedere in appello la risoluzione di un contratto o l’accertamento di un credito, che vanno trattati nelle sedi proprie).
Termine per proporre reclamo: quando e come decorre?
Abbiamo già anticipato i termini:
- 30 giorni dal perfezionarsi della conoscenza legale della sentenza, secondo le due casistiche:
- Per le parti: dalla notifica telematica della sentenza (PEC inviata dalla cancelleria).
- Per gli altri interessati: dalla pubblicazione dell’iscrizione nel Registro delle Imprese.
Il termine è perentorio: il mancato rispetto preclude l’impugnazione. Non esistono proroghe automatiche salvo la sospensione feriale (esclusa dal CCI) e la suddetta “decadenza annuale” in caso di mancata notifica (ma quella è un limite massimo).
Occorre pertanto attivarsi prontamente. Un debitore che riceve via PEC la sentenza di fallimento, ad esempio il 1° ottobre, avrà fino al 31 ottobre (incluso) per depositare il ricorso in Corte d’Appello. Un creditore terzo che scopre del fallimento tramite Registro Imprese nello stesso periodo avrà anch’egli 30 giorni dalla data di iscrizione. Non aspettare: è consigliabile depositare il reclamo il prima possibile, sia per interrompere eventuali atti della procedura (magari chiedendo contestualmente sospensione), sia per evitare decadenze dovute a notifiche tardive.
Il termine per il ricorso per Cassazione contro la sentenza della Corte d’Appello è invece di 30 giorni dalla notifica di quest’ultima (ridotto a 15 giorni se si tratta della sentenza d’appello che ha dichiarato il fallimento accogliendo un reclamo ex art. 50). Anche questo è perentorio.
Forma di proposizione: atto introduttivo e deposito
Il reclamo si propone con ricorso da depositare presso la cancelleria della Corte d’Appello competente. Non è quindi un atto di citazione da notificare e iscrivere a ruolo: è un impulso endoprocessuale in camera di consiglio, analogo a come si proporrebbe un reclamo al collegio o un appello camerale.
Competenza territoriale: competente è la Corte d’Appello del distretto in cui ha sede il Tribunale che ha dichiarato il fallimento (di solito coincidente col territorio dell’impresa). Eventuali dubbi di competenza (ad es. se fosse controverso il centro degli interessi principali, per procedure con elementi transfrontalieri) non incidono sulla scelta iniziale: il reclamo va comunque presentato alla Corte d’Appello che appare competente per territorio. Sarà quella Corte eventualmente, se rileva la propria incompetenza territoriale, a indicare la Corte competente (rinvio previsto dall’art. 51 ult. co. CCI in combinato con art. 50 CPC).
Contenuto del ricorso: secondo l’art. 51 co. 2 CCI, il ricorso deve contenere:
- indicazione della Corte d’Appello adita;
- generalità dell’impugnante e del suo avvocato, con elezione di domicilio nel comune sede della Corte d’Appello;
- esposizione dei motivi di reclamo, con le relative conclusioni (ossia cosa si chiede: tipicamente, la revoca della sentenza di fallimento o la dichiarazione di incompetenza, etc.);
- indicazione dei mezzi di prova e documenti offerti.
In pratica, è molto simile a un atto di appello: si narrano brevemente i fatti, si spiega perché la decisione del Tribunale sarebbe errata (motivi in fatto e diritto, separati se opportuno in paragrafi), e si conclude per la riforma (es. “revocare la sentenza dichiarativa di liquidazione giudiziale emessa dal Tribunale X n… e per l’effetto rigettare l’istanza di apertura della liquidazione” o formula equivalente). Vanno indicati e allegati i documenti rilevanti: di solito si allega la sentenza impugnata, e ogni documento probatorio utile a supportare i motivi (bilanci, attestazioni di pagamento, accordi con creditori, ecc.). È bene numerare i documenti e produrre un indice.
Difesa tecnica: il reclamo richiede la sottoscrizione di un avvocato cassazionista (abilitato innanzi alla Corte d’Appello). Non è atto che la parte possa presentare da sé: è necessaria la difesa tecnica, trattandosi di impugnazione in sede giurisdizionale collegiale. Fanno eccezione eventuale il PM (che agisce autonomamente) o il caso di fallimenti “in proprio” richiesti dal debitore stesso (ma in reclamo servirà comunque un legale). Quindi, il debitore o creditore che voglia reclamare deve munirsi di un avvocato iscritto all’albo speciale. L’avvocato dovrà essere munito di procura speciale alle liti rilasciata dal cliente, da allegare al ricorso.
Contributo unificato: il ricorso per reclamo è soggetto al pagamento del contributo unificato previsto per gli appelli (importo variabile in base al valore, ma nei fallimenti il “valore” è indeterminabile di solito; in passato per il fallimento il contributo era pari a 740 € circa, ora va verificato con le tabelle vigenti). L’omesso pagamento può essere regolarizzato, ma è necessario considerarlo.
Deposito telematico: ormai i ricorsi in Corte d’Appello per procedure concorsuali vanno depositati telematicamente tramite PST (Processo Civile Telematico), come atti endoprocessuali in volontaria giurisdizione. Occorre selezionare il registro giusto (registro volontaria giurisdizione di secondo grado o affari contenziosi di volontaria). È consigliabile per gli avvocati seguire le prassi specifiche di ciascuna Corte (molte hanno pubblicato linee guida per depositi in materia di crisi d’impresa). In alternativa, è possibile il deposito analogico in cancelleria se il telematico non è attivo, ma dal 2023 il deposito telematico è obbligatorio per gli atti del patrocinatore in appello.
Notifica del ricorso e comparsa di risposta: come dettagliato prima, dopo il deposito la palla passa alla Corte per fissare l’udienza e poi al reclamante per notificare gli atti alle controparti entro 10 giorni. La notifica può essere eseguita via PEC agli indirizzi risultanti da Regisro Imprese (per il curatore: il registro INI-PEC, usando l’indirizzo del curatore nominato, o la PEC della curatela se comunicata) o tramite UNEP se necessario. Le parti resistenti depositeranno la comparsa con tempistiche strette (10 gg prima dell’udienza) e anch’essa deve essere notificata alle altre parti costituite (di solito via PEC).
In sostanza, dal punto di vista procedurale, il reclamo funziona come un appello accelerato in camera di consiglio. Bisogna essere tempestivi e accurati nella predisposizione degli atti.
Procedimento in Corte d’Appello e decisione del Reclamo
Dopo aver esaminato chi può proporre il reclamo, su quali basi e in che termini, vediamo cosa accade una volta presentato il reclamo in Corte d’Appello: dalla fase di trattazione fino alla decisione e ai possibili sviluppi successivi.
Fase di trattazione davanti alla Corte d’Appello
Come già descritto nel quadro normativo, la trattazione del reclamo avviene in modo celere e prevalentemente scritta, con un’udienza di comparizione per la discussione finale. Ricapitoliamo il cronoprogramma tipico:
- Deposito del ricorso: Atto iniziale che avvia il procedimento (Giorno 0). Supponiamo che il ricorso sia depositato il 1° settembre.
- Fissazione dell’udienza: Entro 5 giorni circa, il Presidente della Corte designa il relatore e fissa l’udienza entro 60 giorni. Ad esempio, il 5 settembre emette decreto fissando udienza al 25 ottobre.
- Notifica del ricorso e decreto: Il reclamante notifica entro 10 giorni dal decreto (quindi entro il 15 settembre) il ricorso e l’avviso di convocazione a: Curatore, debitore, eventuali creditori istanti e PM (se non reclamante) – insomma tutti gli interessati noti.
- Costituzione delle parti resistenti: Le controparti devono depositare la propria comparsa di risposta almeno 10 giorni prima dell’udienza (nel nostro esempio, entro il 15 ottobre). In tale memoria esporranno le loro difese. Ad esempio, il Curatore potrebbe difendere la validità del fallimento replicando punto per punto ai motivi del reclamo; il creditore istante pure potrà sostenere la fondatezza dell’insolvenza; oppure, se il reclamo è di un terzo e il debitore invece vuole mantenere il fallimento (ipotesi rara), il debitore potrebbe costituirsi per resistere al reclamo di terzi.
- Interventi di terzi: Al più tardi entro lo stesso termine di 10 giorni prima dell’udienza, eventuali altri interessati intervengono depositando memoria di intervento.
- Udienza in camera di consiglio: Il 25 ottobre, dinanzi al Collegio (di solito 3 magistrati: Presidente e due consiglieri – uno dei quali relatore), si tiene l’udienza camerale. Di norma il relatore espone un sunto della causa, poi danno la parola ai difensori presenti per eventuali osservazioni brevi. Non è un’udienza pubblica né un’istruttoria con testimoni (salvo eccezioni in cui abbiano disposto di sentirli). Può accadere che all’udienza emergano nuove esigenze istruttorie: ad esempio, un difensore richiama un documento non prodotto, la Corte può disporre di acquisirlo successivamente e magari riservare la decisione. Ma solitamente, se la fase scritta è stata completa, all’udienza si conclude la discussione e la Corte si riserva per la decisione.
- Decisione e deposito della sentenza: Entro 30 giorni (in teoria), la Corte redige e deposita la sentenza che decide il reclamo. Proseguendo l’esempio, entro il 24 novembre la sentenza dovrebbe essere depositata e comunicata.
N.B.: i termini interni (5 giorni per fissare udienza, 30 giorni per depositare sentenza) sono ordinatori per la Corte – se li sforasse, la validità del procedimento non è inficiata, ma sono indice dell’urgenza. In pratica le Corti d’Appello cercano di rispettarli, specie per depositare la decisione velocemente dato che nel frattempo la procedura concorsuale è attiva.
Durante la fase di trattazione, come detto, la Corte può utilizzare poteri istruttori:
- Può chiedere al Curatore un rapporto sulla situazione (spesso il Curatore deposita già una relazione ex art. 33 L.F. o art. 130 CCI in cui spiega i primi accertamenti: utile alla Corte per capire lo stato dell’impresa).
- Può assumere informazioni presso terzi (ad esempio, chiedere all’Agenzia delle Entrate conferma di debiti tributari, ecc.).
- Può disporre una CTU (Consulenza tecnica d’ufficio) se la valutazione dell’insolvenza dipende da elementi tecnici complessi (es. stati patrimoniali da riclassificare).
- Può ascoltare testimoni o parti in camera di consiglio, se necessario a chiarire qualche punto (non comunissimo, ma possibile per esempio per capire se tal credito è contestato o se l’amministratore aveva accordi con creditori…).
Tutto questo avviene entro i confini del rispetto del contraddittorio: le parti possono replicare a eventuali nuove prove. Ad esempio, se il Curatore produce in appello nuovi documenti (dandone notizia nella comparsa), il reclamante può discuterli all’udienza.
Possibili esiti: conferma, revoca o modifica della sentenza impugnata
La Corte d’Appello con la sua sentenza di secondo grado può:
- Rigettare il reclamo, confermando integralmente la sentenza di liquidazione giudiziale. In tal caso, la sentenza d’appello di rigetto di norma condanna il reclamante alle spese legali del grado (salvo compensazione in caso di particolari motivi) e dichiara la definitiva conferma del fallimento. Esempio: debitore Tizio fallito, reclamo infondato, Corte rigetta; Tizio dovrà pagare le spese all’istante e al Curatore costituito.
- Accogliere il reclamo e revocare la sentenza di fallimento, cioè annullare l’apertura della liquidazione giudiziale. Questa è la riforma vera e propria: la Corte stabilisce che il Tribunale ha errato e dunque elimina lo stato di fallimento. La sentenza d’appello in tal caso conterrà il dispositivo: “dichiara non doversi procedere alla liquidazione giudiziale di Alfa Srl per insussistenza dello stato di insolvenza, e per l’effetto revoca la sentenza impugnata”. Le conseguenze pratiche immediate: il fallimento cessa, il Curatore perde i poteri (restando però in carica per l’ordinaria amministrazione e vigilanza fino al passaggio in giudicato, come da art. 53), l’imprenditore rientra in possesso dei beni. Spese: se ad appellare è stato il debitore, di solito le spese di appello sono poste a carico del creditore istante soccombente (oppure, talvolta, compensate se il contrasto era scusabile). Restano poi da regolare le spese della procedura revocata con il meccanismo visto (art. 53 + art. 147 TUSG).
- Accogliere parzialmente il reclamo, con dichiarazioni differenti: in teoria la Corte potrebbe anche modificare alcuni aspetti senza revocare interamente. Ad esempio:
- Dichiarare la liquidazione giudiziale ma con una data di decorrenza diversa dell’insolvenza (questo più che un accoglimento è un “rettifica” della sentenza, ammissibile come correzione parziale).
- Oppure, qualora vi fossero più domande concorrenti (es. domanda di concordato e di fallimento), la Corte potrebbe, accogliendo il reclamo, convertire la procedura in altra (caso raro, più facile che se ritiene preferibile il concordato annulli la sentenza di fallimento in modo che prosegua il concordato pendente). In generale, l’esito è binario: o c’è insolvenza (conferma fallimento) o non c’è (revoca).
- Un’ipotesi di accoglimento “sostitutivo” prevista dall’art. 50, comma 5 CCI: se il reclamo era contro il rigetto e la Corte accoglie, dichiara essa stessa il fallimento. Ma quello è l’art. 50 (istanza respinta in primo grado).
Quindi, nel contesto dell’art. 51, l’accoglimento coincide sostanzialmente con la revoca della dichiarazione di fallimento. Si potrebbe avere l’accoglimento del reclamo di un creditore “opposto” alla decisione del Tribunale di aprire un concordato anziché fallimento (ad esempio, se un creditore reclamasse perché voleva il fallimento al posto del concordato minore omologato – situazione peculiare disciplinata sempre dall’art. 51, visto che copre anche i reclami contro omologazioni di concordati e accordi). In tal caso, la Corte d’Appello potrebbe capovolgere l’esito e dichiarare il fallimento al posto del concordato. Ma limitiamoci alla liquidazione giudiziale.
Esecutività della sentenza d’appello: La sentenza della Corte d’Appello è immediatamente efficace. Se conferma il fallimento, la procedura prosegue senza soluzione di continuità (il Curatore, anzi, avrà ora maggiore certezza nell’operare). Se revoca il fallimento, la procedura cessa nei termini detti. Non occorre aspettare eventuali ricorsi per Cassazione, salvo se arriva una sospensione.
Fase successiva: ricorso per Cassazione (eventuale)
Chi rimane soccombente in appello può valutare il ricorso per Cassazione. Trattandosi di materia concorsuale, la Cassazione deciderà eventualmente in tempi abbastanza rapidi (la Cassazione civile sezione I tratta di regola i fallimenti).
Termini e modalità: Ricordiamo:
- 30 giorni dalla notifica della sentenza d’appello per proporre ricorso in Cassazione (15 giorni se la sentenza d’appello ha dichiarato il fallimento su reclamo ex art. 50).
- Il ricorso per Cassazione va notificato alle controparti e depositato in Cassazione. Richiede necessariamente avvocato cassazionista iscritto in apposito albo (spesso lo stesso dell’appello se abilitato).
- Il ricorso in Cassazione può essere sia contro la decisione che ha confermato il fallimento (tipicamente promosso dal debitore), sia contro la decisione che lo ha revocato (promosso magari dal creditore istante o da altri creditori dissenzienti).
Limiti della Cassazione: In Cassazione non si può ridiscutere i fatti: si possono far valere solo motivi di legittimità, ad esempio:
- errori di diritto nell’interpretazione di norme (es: la Corte d’Appello ha applicato male la definizione di insolvenza, o ha violato norme procedurali, o non ha considerato una norma di legge rilevante);
- vizi di motivazione (oggi il controllo è limitato al “motivazione apparente o contraddittoria grave”). Quindi, solo se la sentenza di appello non avesse motivato adeguatamente perché c’è insolvenza, la Cassazione potrebbe cassarla per motivazione omessa o illogica. Ma un mero riesame del merito non è possibile.
La Cassazione 7 agosto 2023 n. 24023 ha chiarito ad esempio che, nel ricorso contro una sentenza di appello in materia fallimentare, il ricorrente deve specificamente indicare e allegare gli atti del giudizio di merito su cui si fonda il motivo di ricorso, poiché la Cassazione non può accedere al fascicolo d’ufficio (principio di autosufficienza). In quel caso, la Suprema Corte ha rigettato un ricorso ritenendo che i motivi fossero inammissibili per difetto di specificità e perché chiedevano una rivalutazione di merito non consentita. In pratica, la strada del ricorso per Cassazione è stretta: serve un errore giuridico evidente da far valere (ad esempio, la Corte d’Appello non si è pronunciata su un motivo di reclamo oppure ha dichiarato fallimento un soggetto non fallibile per legge).
Sospensione in Cassazione: Come detto, la pendenza del ricorso per Cassazione non sospende di diritto gli effetti della sentenza di appello. Tuttavia, se la sentenza d’appello ha rigettato il reclamo (quindi il fallimento continua) il ricorrente può chiedere alla Cassazione un provvedimento cautelare di sospensione, ma la norma (art. 51 co. 14) dice che “si applica in quanto compatibile l’art. 52”. Ciò si può interpretare così: la Cassazione stessa non ha potere di sospensione diretta in questi casi (non avendo previsione nel codice di procedura civile), ma eventualmente la parte può chiedere ancora alla Corte d’Appello di sospendere in via provvisoria durante il ricorso per Cassazione, in analogia. Alcune Corti d’Appello, dopo aver rigettato il reclamo, se ad esempio il fallito annuncia ricorso per Cassazione e vi sono gravi motivi, potrebbero mantenere la sospensione ex art. 52 fino all’esito di legittimità. È materia un po’ delicata e rara: in genere, dopo due gradi, il fallimento resta esecutivo.
La Cassazione, se accoglie il ricorso, emetterà sentenza di annullamento della decisione di appello. Potrebbe cassare con rinvio ad altra Corte d’Appello o, se la questione è matura (ad es. mero errore di diritto), cassare senza rinvio decidendo nel merito. Esempio: Cassazione ritiene che la Corte d’Appello abbia applicato un criterio sbagliato nel valutare l’insolvenza, ma che comunque dai fatti accertati emerga l’insolvenza: potrebbe rigettare il reclamo direttamente, oppure se servono ulteriori accertamenti rinvia a altra sezione d’appello per nuovo esame.
Durata della Cassazione: Un ricorso in Cassazione può richiedere in media 1-2 anni per la definizione, talvolta meno se trattato con priorità. Durante questo periodo, di norma, il fallimento prosegue. Se poi la Cassazione dovesse revocare il fallimento, si applicherebbero a posteriori le norme viste su revoca atti e spese.
In definitiva, il reclamo in Corte d’Appello è il mezzo principale ed efficace per contestare la sentenza dichiarativa di liquidazione giudiziale, mentre il ricorso per Cassazione è un mezzo eventuale, limitato a questioni di legittimità, da utilizzare solo se vi sono validi motivi di diritto.
Giurisprudenza rilevante (2019-2025)
Nel corso degli ultimi anni, l’autorità giudiziaria (Corte di Cassazione in primis, ma anche corti di merito) ha affrontato numerose questioni interpretative riguardanti il reclamo fallimentare alla luce della nuova normativa. Di seguito passiamo in rassegna e sintetizziamo le sentenze più significative in materia, con i relativi principi di diritto, aggiornate al 2025.
Legittimazione e interesse degli “altri interessati”
Uno dei temi più dibattuti è stato proprio il significato di “qualunque interessato” legittimato al reclamo e i limiti di tale legittimazione.
- Cass. civ. Sez. I, 24 febbraio 2020, n. 4786: questa sentenza (resa ancora sotto la vigenza della legge fallimentare, ma di principio applicabile al CCI) ha offerto una lucida spiegazione della ratio dell’ampia legittimazione al reclamo. La Corte ha affermato che la dichiarazione di fallimento produce molteplici effetti non solo sui soggetti partecipanti al procedimento prefallimentare, ma anche su una pluralità di terzi collegati all’imprenditore da rapporti giuridici vari. Per tale ragione il legislatore attribuisce a “qualunque interessato” il potere di impugnare la sentenza dichiarativa, riconoscendogli tutti i poteri processuali che non ha potuto esercitare in quel giudizio. In pratica, il terzo interessato gode in appello degli stessi strumenti difensivi che avrebbe avuto se fosse stato parte sin dall’inizio. La Cassazione sottolinea che la legittimazione così estesa serve a garantire stabilità giuridica alla sentenza di fallimento, perché consente di far emergere tutte le opposizioni entro un termine definito, evitando impugnazioni tardive (infatti il termine decorre dalla pubblicazione, così anche terzi lontani devono attivarsi tempestivamente). Inoltre, la Corte chiarisce che è esclusa l’esperibilità dell’opposizione di terzo ordinaria ex art. 404 c.p.c. contro la sentenza di fallimento, proprio perché il legislatore fallimentare ha predisposto questo rimedio ad hoc da esercitarsi entro termine breve. Infine, un punto importante: non è ammesso che l’interesse ad agire del terzo sia “sopravvenuto” dopo la sentenza – deve già esistere al momento del fallimento. Ad esempio, un creditore i cui crediti nascono dopo il fallimento non può reclamare quel fallimento (caso raro, ma pensiamo a un coobbligato che paga i debiti dopo il fallimento, divenendo creditore di regresso: il suo interesse nasce dopo, e non legittima un reclamo tardivo).
- Caso del socio di società fallita: La giurisprudenza di merito ha confermato la legittimazione del socio di una società di capitali a impugnare la sentenza di fallimento. Corte d’Appello di Catanzaro, sent. n. 1133/2023 (in un giudizio di reclamo): un socio unico di S.r.l. è intervenuto volontariamente nel reclamo proposto dalla società contro la sentenza di fallimento, ritenendosi parte interessata. La Corte ha ammesso l’intervento, richiamando il “costante orientamento” per cui il socio rientra tra gli interessati essendo la sua partecipazione patrimoniale azzerata dal fallimento. Dunque, in pratica, i soci (soprattutto se di maggioranza o unici) possono agire in proprio. Ciò è utile, ad esempio, se gli amministratori della società fallita non impugnano per inerzia, il socio ha facoltà di attivarsi.
- Cass. civ. Sez. I, 10 febbraio 2020, n. 3022: affronta il caso di società cancellata dal registro imprese e dichiarata fallita entro l’anno dalla cancellazione. Ribadisce che anche la società estinta (per cancellazione) può essere dichiarata fallita entro un anno e in tal caso a proporre reclamo potrà essere un suo ex socio (oltre al curatore eventualmente nominato) o altro interessato. Questo per dire che la platea degli attori possibili include anche soggetti subentrati, come i soci che hanno incamerato l’attivo di una società estinta poi fallita. In generale, se il soggetto fallito non esiste più come entità, i suoi aventi causa (soci, eredi) possono attivarsi.
Principio da ricordare: L’estensione ai terzi interessati non significa che chiunque possa fare reclamo per mero malanimo o curiosità: serve pur sempre un interesse concreto e attuale. La Corte valuterà, in caso di reclamo di un soggetto inaspettato, se effettivamente costui è inciso dagli effetti del fallimento. Ad esempio, un fornitore che aveva concluso tutti i rapporti e non vanta crediti né debiti col fallito probabilmente non è legittimato (nessun interesse pratico). Invece, come abbiamo visto, la giurisprudenza include espressamente: creditori (anche non istanti), fideiussori, soci, controparti di contratti pendenti, beneficiari di atti a rischio revocatoria.
Natura devolutiva ampia del reclamo e considerazione di nuovi fatti
Altro tema su cui la giurisprudenza si è espressa: l’ampiezza del riesame in appello e la possibilità di valutare fatti sopravvenuti.
- Cass. civ. Sez. I, 7 marzo 2017, n. 5529: questa decisione (ante CCI) ha fissato un principio poi seguito: nel giudizio di reclamo fallimentare, la Corte d’Appello può e deve tener conto anche di fatti sopravvenuti alla sentenza di primo grado, se idonei a influire sullo stato di insolvenza. Ciò è confermato dall’Appello Salerno 05/09/2023 citato prima, che richiama proprio Cass. 5529/2017. Quindi, il giudice del reclamo non è vincolato alla fotografia della situazione al momento della decisione impugnata, ma può guardare la pellicola fino al momento della sua decisione. Esempio concreto: se dopo la sentenza di fallimento il debitore vende un immobile e paga tutti i creditori, la Corte d’Appello può (anzi deve) considerare estinto lo stato di insolvenza e revocare il fallimento per cessata insolvenza. Questo ovviamente a condizione che il pagamento sia avvenuto prima della decisione d’appello e che sia provato. La Cassazione in quell’occasione spiegò che negare rilievo ai fatti nuovi significherebbe a volte mantenere in piedi un fallimento inutile, tradendo la finalità stessa della legge.
- Appello Salerno, 5 settembre 2023 (in IlCaso.it n. 29698): abbiamo già menzionato questa pronuncia in cui si afferma testualmente che il reclamo ex art. 50 CCI “ha piena natura devolutiva, attribuendo alla Corte d’Appello il riesame completo della res iudicanda, senza che l’ambito di cognizione sia limitato alle ragioni fatte valere dal reclamante, estendendosi alle circostanze di fatto sopravvenute… ove utili a sovvertire l’esito del primo giudizio”. Tradotto: la Corte d’Appello può riesaminare tutto, anche oltre i motivi specifici addotti, purché nell’ambito dell’oggetto (cioè l’apertura o meno della procedura) e può prendere in considerazione nuove circostanze di fatto occorse dopo. Nel caso di specie, la circostanza sopravvenuta (l’adesione alla rottamazione-quater dei debiti fiscali) fu ritenuta irrilevante perché ancora incerta, ma il principio è stato affermato chiaramente. Inoltre la stessa pronuncia conferma che l’impugnazione di reclamo non richiede formule sacramentali: non vi sono particolari formalismi di contenuto (diverso dagli elementi di cui all’art. 51 co.2), basta che siano chiaramente esposti i motivi, anche in modo riassuntivo.
- Limiti alla valutazione di fatti nuovi: sebbene ampio, questo potere non può spingersi a considerare fatti estranei al tema insolvenza o eventi futuri ipotetici. Ad esempio, la mera prospettiva che il debitore trovi un finanziatore non è un fatto, ma una speranza: su questo la giurisprudenza è severa, servono elementi concreti (un contratto firmato, un incasso avvenuto, etc.). Così, l’adesione ad una rottamazione fiscale non basta, finché non c’è prova di pagamento o di accoglimento, il debito fiscale rimane per intero e alimenta l’insolvenza. Quindi il sopravvenuto deve essere utile e idoneo a sovvertire l’esito: se è solo eventuale, non cambia l’esito.
- Cass. civ. Sez. I, 17 maggio 2021, n. 13263 (riguardante un fallimento revocato perché nel frattempo era stato omologato un concordato preventivo): la Cassazione ha ritenuto legittimo che la Corte d’Appello considerasse l’omologazione del concordato sopravvenuta e perciò revocasse la sentenza di fallimento di primo grado, essendo venuto meno lo stato di insolvenza grazie alla soluzione concordataria. Questo in applicazione dell’art. 53 CCI, che appunto prevede la revoca in caso di omologazione di un concordato. Si evidenzia come il sistema incoraggi le soluzioni concordate anche in secondo grado: se l’imprenditore, dopo essere fallito, riesce a far approvare un concordato dai creditori e farlo omologare, la Corte d’Appello può revocare il fallimento (si tratta di un caso peculiare, realizzabile solo entro certi tempi, ma concettualmente ammesso).
Aspetti procedurali e oneri processuali in giurisprudenza
Alcune pronunce hanno chiarito specifici aspetti procedurali del reclamo:
- Onere di produzione degli atti in Cassazione: Cass. 7 agosto 2023, n. 24023 (Pres. Genovese, rel. Di Marzio) ha ribadito che in sede di ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello (che abbia rigettato il reclamo), il ricorrente deve riportare nel ricorso il contenuto essenziale degli atti e documenti su cui si fondano i motivi, e allegare tali documenti, poiché la Corte di Cassazione non può ex officio cercarli nel fascicolo. In quel caso si trattava del debitore che lamentava che la Corte d’Appello non avesse valutato certe prove, ma non aveva allegato al ricorso quelle prove né trascritto dove la Corte avrebbe errato: la Cassazione ha quindi dichiarato inammissibile il ricorso. Implicazione pratica: la fase di Cassazione è altamente tecnica; per questo spesso la partita si chiude in appello. È importante in appello far mettere a verbale e in atti tutto il necessario, perché poi in Cassazione eventuali mancanze difficilmente si recuperano.
- Sanzioni per lite temeraria: Tribunale di Modena, decreto 14/09/2022 (in sede di liquidazione ex art. 15 co. 15 CCI, simile all’art. 51 co.15) ha condannato l’amministratore di una società reclamante a pagare il doppio del contributo unificato per aver proposto un reclamo manifestamente infondato, ravvisando mala fede processuale. Questo provvedimento, sebbene di merito, mostra che le corti inferiori applicano la norma sanzionatoria: in quel caso l’amministratore aveva sollevato motivi pretestuosi già rigettati in altre sedi. Il messaggio è che la giustizia concorsuale vuole scoraggiare gli abusi dilatori: il reclamo deve avere basi serie, altrimenti si rischiano conseguenze pecuniarie.
- Natura non sospensiva del reclamo e operazioni compiute: Cass. civ. Sez. VI-1, 22 giugno 2021, n. 17703 ha affermato che il solo fatto che penda reclamo non impedisce al fallimento di produrre tutti i suoi effetti (tra cui atti esecutivi, vendite, ecc.), a meno che intervenga un provvedimento di sospensione. Nel caso specifico, una vendita fallimentare era avvenuta mentre pendeva reclamo e poi il fallimento fu revocato: l’acquirente del bene ha visto confermata la validità del suo acquisto in virtù dell’art. 53 CCI (salvaguardia degli atti compiuti). La Cassazione ha rigettato il tentativo del debitore di riottenere il bene venduto, chiarendo che il reclamo non congelava la possibilità di vendere e che comunque l’atto era salvo. Questo per confermare la sicurezza delle operazioni endo-fallimentari condotte conformemente alla legge, anche se la procedura poi viene meno.
- Spese della procedura revocata e imputazione: Tribunale di Avellino, decreto 18 gennaio 2022 (in un caso di revoca del fallimento) ha applicato l’art. 147 TUSG come modif. dal CCI, stabilendo che le spese del fallimento e il compenso del curatore non possono gravare sul debitore incolpevole. Nel caso concreto, il fallimento era stato revocato perché non doveva proprio aprirsi; il Tribunale ha ritenuto che le spese fossero a carico dell’Erario, non ravvisando colpa né del creditore (che aveva agito legittimamente) né del debitore. Questo si collega alla norma secondo cui se nessuno dei due è in colpa, di fatto paga lo Stato (principio implicito: l’Erario copre i costi delle procedure concorsuali quando non recuperabili). La decisione di Avellino aggiunge un tassello: ha escluso di addebitare spese al debitore “non responsabile” perché ciò sarebbe contrario ai principi, confermando dunque un approccio equitativo.
- Concordato minore e reclamo: Corte d’Appello di Napoli, 21 giugno 2024 (massimata in IlCaso.it) ha stabilito che la sentenza che omologa un concordato minore è reclamabile ex art. 51 CCI. Ciò dimostra che l’art. 51 CCI, rubricato “Impugnazioni”, copre non solo la sentenza di fallimento ma tutte le sentenze che decidono sulle procedure di regolazione della crisi (in particolare omologazione di concordati preventivi, accordi di ristrutturazione e piani di ristrutturazione soggetti a omologazione). Nel caso in questione un creditore non aderente contestava l’omologazione di un concordato minore e la Corte d’Appello gli ha dato ragione, ma è il contesto concorsuale minore. Questo interesse per noi è relativo, ma serve a dire: il medesimo meccanismo di reclamo si applica a vari provvedimenti conclusivi di procedure diverse. La guida qui è focalizzata sul fallimento (liquidazione giudiziale), ma è bene sapere che il “procedimento unitario” disegnato dal CCI prevede lo stesso reclamo per contestare anche, ad esempio, l’omologazione di un accordo di ristrutturazione da parte di un creditore pregiudicato. I principi procedurali (termini, parti, ecc.) sono analoghi.
In sintesi, la giurisprudenza 2020-2025:
- Ha confermato l’impianto del CCI in continuità col vecchio sistema, ribadendo i principi consolidati (legittimazione estesa, devolutività ampia, inutilizzabilità dell’opposizione di terzo).
- Ha applicato le novità (ad es. condanna del legale rappresentante in malafede, addebito spese a istante colpevole).
- Ha fornito linee guida pratiche: il reclamo dev’essere completo e tempestivo, la Corte d’Appello scrutinerà a fondo la situazione e la Cassazione interverrà solo su questioni di diritto evidenti.
La presenza di decisioni di merito (Corti d’Appello, Tribunali) pubblicate su riviste specializzate mostra anche che questo tema è di quotidiana applicazione e che i giudici di merito generalmente seguono l’orientamento della Cassazione, visto che il CCI non ha stravolto la logica del reclamo ma l’ha resa, se possibile, ancora più snella e centralizzata (basti pensare che la Corte d’Appello può dichiarare il fallimento essa stessa, e non c’è più triplice grado come un tempo in caso di accoglimento del reclamo con rinvio).
Tabelle riepilogative
Di seguito sono presentate alcune tabelle riassuntive che raccolgono in forma schematica i punti chiave del reclamo contro la sentenza di liquidazione giudiziale: i termini di impugnazione nei vari scenari, gli organi competenti e i soggetti legittimati, nonché i motivi tipici di reclamo.
Termini di impugnazione e organi competenti
Provvedimento impugnato | Rimedio (organo competente) | Legittimati attivi | Termine per impugnare | Norma |
---|---|---|---|---|
Sentenza del Tribunale di apertura della liquidazione (fallimento dichiarato) | Reclamo alla Corte d’Appello (art. 51 CCI) | – Debitore- Creditori istanti- Qualunque interessato (creditori non istanti, garanti, soci, etc.)- Eventualmente PM (se aveva partecipato) | 30 giorni dalla notifica telematica (per le parti)30 giorni dall’iscrizione RI (per terzi interessati)+ max 6 mesi dalla pubblicazione se mancata notifica (decadenza art. 327 CPC) | art. 51 CCI (co. 1 e 3) |
Decreto del Tribunale che rigetta la domanda di apertura (fallimento negato) | Reclamo alla Corte d’Appello (art. 50 CCI) | – Creditore istante (ricorrente originario)- Pubblico Ministero (se aveva richiesto apertura) | 30 giorni dalla comunicazione del decreto di rigetto | art. 50 CCI (co. 2) |
Sentenza della Corte d’Appello che apre la liquidazione (accogliendo reclamo ex art. 50) | Ricorso per Cassazione | – Debitore (dichiarato fallito in appello)- Qualunque interessato (se portatore di interesse a contestare) | 30 giorni dalla notificazione della sentenza d’appello, termine ridotto alla metà = 15 giorni | art. 50 CCI (co. 5) |
Sentenza della Corte d’Appello sul reclamo ex art. 51 (che conferma o revoca il fallimento) | Ricorso per Cassazione | – Parte soccombente nel reclamo (es: debitore se rigettato, creditore istante se revocato)- eventuali terzi interventori soccombenti | 30 giorni dalla notificazione della sentenza | art. 51 CCI (co. 13) |
Legenda: “RI” = Registro delle Imprese; “PM” = Pubblico Ministero. Il termine decorre dal momento in cui la parte ha legale conoscenza dell’atto (notifica o iscrizione), ed è perentorio. La Corte d’Appello decide sempre in camera di consiglio, con provvedimento definitivo (sentenza se apre o decide su reclamo, decreto se rigetta reclamo ex art. 50).
Procedura di reclamo in sintesi (tempistiche)
- Deposito ricorso in C.Appello: entro 30 gg (per le parti/terzi) – atto introduttivo.
- Fissazione udienza: entro 5 gg dal deposito, udienza entro 60 gg.
- Notifica ricorso+decreto: entro 10 gg dalla comunicazione decreto (a cura del reclamante).
- Costituzione resistente: almeno 10 gg prima dell’udienza (deposito memoria difensiva).
- Intervento terzi: entro lo stesso termine di 10 gg prima.
- Udienza in camera di consiglio: discussione (entro ~60 gg dal deposito).
- Decisione (sentenza appello): entro 30 gg dall’udienza (termine ordinatorio).
- Notifica sentenza appello: a cura cancelleria d’appello via PEC (come da regole tecniche).
- Termine Cassazione: 30 gg da notifica (15 gg se fallimento dichiarato in appello).
Principali motivi (esempi) e esito
Motivo di reclamo addotto | Possibile esito se fondato | Riferimenti giurisprudenziali |
---|---|---|
Inesistenza stato di insolvenza (impresa solvibile o risanabile) | Revoca della liquidazione giudiziale (fallimento annullato) | Cass. 4786/2020: terzo interessato incluso per contestare effetti fallimento. |
Violazione diritto di difesa (omessa convocazione, ecc.) | Annullamento e revoca della sentenza (o rinvio a Tribunale se necessario)(spesso assorbito da riesame merito) | Corte App. Venezia 2020: revoca fallimento perché debitore non era stato adeguatamente ascoltato sulle soglie. |
Errata valutazione debiti (passivo inferiore a quanto ritenuto) | Se riduce insolvenza sotto soglia di gravità -> possibile revoca | Cass. 17391/2018: insolvenza va valutata considerando tutti gli elementi attivi (anche fideiussioni escusse, ecc.). (Principio pre-CCI mantenuto). |
Sopravvenuto pagamento dei creditori durante il reclamo | Revoca fallimento per cessazione dello stato d’insolvenza | Cass. 5529/2017: fatti sopravvenuti vanno considerati e possono far venir meno insolvenza. |
Errore su competenza territoriale (fallimento dichiarato da Tribunale non competente) | Annullamento sentenza e trasmissione atti a Corte Appello competente (se eccepito per tempo) | Art. 51 co. 1 ultima parte CCI: competenza, se errata, comporta riassunzione dinanzi a CA competente. |
Esistenza procedimento di concordato preventivo in corso (impropriamente ignorato) | Possibile revoca fallimento per far luogo al concordato (se già omologato) oppure conferma fallimento se concordato inammissibile | Cass. 5044/2016: illegittimo fallimento durante termini concordato (principio confermato). CCI ora prevede coordinate per coordinamento procedure. |
Errori minori nella sentenza (es. nomina organi, liquidazione spese) | Rettifiche parziali (correzioni) mantenendo dichiarazione di fallimento | – |
FAQ – Domande frequenti sul reclamo fallimentare
Di seguito una serie di domande comuni tra professionisti e imprese relative al reclamo contro la sentenza dichiarativa di liquidazione giudiziale, con risposte sintetiche e chiare.
- D: Chi può presentare reclamo contro la sentenza di liquidazione giudiziale?
R: Possono proporre reclamo il debitore dichiarato insolvente, qualsiasi creditore (sia quelli che hanno chiesto il fallimento, sia altri creditori rimasti estranei in prima battuta) e in generale “qualunque soggetto interessato” dagli effetti del fallimento. Ad esempio, rientrano tra gli interessati i garanti del debitore, i soci dell’impresa fallita, o le controparti di contratti in corso. Anche il Pubblico Ministero può reclamare (se era intervenuto o se aveva chiesto il fallimento). In pratica, chiunque subisca un pregiudizio diretto dalla dichiarazione di fallimento ha legittimazione a impugnare la sentenza. - D: Entro quanto tempo va proposto il reclamo?
R: Il termine è di 30 giorni dal momento in cui si ha formale notizia della sentenza. Più precisamente, per le parti che erano nel procedimento (es. il debitore e il creditore istante) il termine decorre dalla notifica telematica della sentenza effettuata dalla cancelleria. Per i terzi interessati che non erano parti, il termine decorre dalla pubblicazione dell’avviso di sentenza nel Registro delle Imprese. È un termine perentorio: scaduto, la sentenza diventa definitiva (salvo il limite lungo di 6 mesi in mancanza di notifica, ex art. 327 c.p.c.). Importante: il periodo di sospensione feriale di agosto non si applica a questo termine (art. 9 CCI). - D: Come si propone il reclamo? Serve un atto di citazione?
R: No, il reclamo si propone con ricorso da depositare presso la Corte d’Appello competente. Non occorre citare in giudizio le altre parti con atto di citazione, sarà la Corte a fissare l’udienza e il reclamante a notificare il ricorso e il decreto di fissazione. Il ricorso deve essere motivato e contenere le generalità dell’impugnante, l’indicazione della Corte, i motivi e le conclusioni. In pratica, si redige come un atto di appello. È necessaria l’assistenza di un avvocato abilitato al patrocinio in appello (cassazionista) che sottoscriva l’atto. Dopo il deposito, la Corte d’Appello fissa l’udienza e si procede con la notifica alle altre parti e lo scambio di memorie secondo i termini stringenti visti (10 giorni prima per le difese). - D: Qual è la Corte d’Appello competente per il reclamo?
R: La Corte d’Appello del distretto in cui ha sede il Tribunale che ha pronunciato la sentenza di liquidazione giudiziale (art. 51 CCI). Esempio: se il fallimento è stato dichiarato dal Tribunale di Milano, la Corte d’Appello di Milano sarà competente a decidere il reclamo. In caso di eccezioni di incompetenza territoriale (raramente il fallito può sostenere che la sede principale fosse altrove), la Corte d’Appello investita potrà dichiararsi incompetente e indicare la Corte competente, ma intanto il reclamo va presentato alla Corte del distretto del Tribunale che ha emesso la sentenza. - D: Il reclamo sospende gli effetti del fallimento?
R: No, la legge prevede espressamente che la presentazione del reclamo non sospende l’efficacia della sentenza impugnata. Ciò significa che il fallimento produce regolarmente i suoi effetti: il Curatore assume i poteri, le azioni esecutive individuali restano sospese, ecc., e la procedura va avanti durante l’appello. Tuttavia, è possibile chiedere una sospensione temporanea ex art. 52 CCI: il reclamante può farne richiesta nel ricorso, e le altre parti nelle loro difese. La Corte d’Appello, se ravvisa gravi e fondati motivi, può emettere un decreto di sospensione (totale o parziale) delle attività della liquidazione fino all’esito del reclamo. Ad esempio, può ordinare di non vendere beni in attesa della decisione di appello. Senza un tale provvedimento, però, il fallimento resta pienamente in vigore. - D: Quanto dura, mediamente, la procedura di reclamo in appello?
R: Il CCI impone tempi rapidi. In molti casi pratici il reclamo viene deciso nel giro di 2-4 mesi dal fallimento. L’udienza deve essere fissata entro 60 giorni dal ricorso; la decisione entro 30 giorni dall’udienza. A volte può volerci un po’ di più (per complessità o carico di lavoro delle corti), ma tendenzialmente la definizione è veloce. Ad esempio, alcuni reclami presentati in settembre vengono decisi entro fine anno. Questo è importante: se l’impresa spera di ribaltare il fallimento, saprà l’esito in tempi brevi, limitando l’incertezza. - D: Cosa può decidere la Corte d’Appello?
R: La Corte d’Appello può rigettare il reclamo (confermando il fallimento) oppure accoglierlo. In caso di accoglimento, tipicamente la Corte revoca la sentenza di liquidazione giudiziale e dunque “annulla” il fallimento. La revoca comporta l’immediata cessazione della procedura (salvo gli effetti già prodotti, che restano fermi). La Corte d’Appello pronuncia una sentenza motivata. Se rigetta, di solito emette sentenza brevettata confermando insolvenza; se accoglie, dichiara che non si doveva aprire la procedura. Può anche decidere sulle spese del grado (condannando la parte soccombente a rifonderle). La sentenza d’appello sarà notificata d’ufficio alle parti e iscritta al Registro Imprese. - D: In caso di revoca del fallimento in appello, il Curatore cosa deve fare?
R: Se la Corte d’Appello revoca la liquidazione giudiziale, il Curatore resta in carica ancora fino al passaggio in giudicato della sentenza (cioè finché è astrattamente impugnabile o pende Cassazione), ma con compiti limitati. In pratica, il Curatore deve:- Consegnare i beni all’imprenditore che rientra in possesso, vigilando però che non compia atti senza autorizzazione del tribunale in quella fase.
- Svolgere eventuali compiti di rendiconto e relazione finale per far liquidare le spese della procedura revocata.
- Restare a disposizione per controllo su atti di straordinaria amministrazione del debitore (che vanno autorizzati).
- D: Se il reclamo viene respinto, c’è un ulteriore grado di giudizio?
R: Sì, contro la sentenza della Corte d’Appello è ammesso il ricorso per Cassazione entro 30 giorni dalla notifica. La Cassazione però giudica solo questioni di legittimità (errori di diritto o nullità processuali gravi). Non rivede i fatti né fa una nuova valutazione dell’insolvenza. Quindi, un debitore il cui reclamo è stato rigettato può ricorrere in Cassazione se ritiene ad esempio che la Corte d’Appello non abbia applicato correttamente una norma, o abbia motivato in modo contraddittorio la propria decisione. Spesso, se la motivazione in appello è solida, la Cassazione respinge il ricorso. In caso di ricorso, il fallimento continua comunque (non c’è sospensione automatica), a meno che non si ottenga un’ulteriore sospensione straordinaria. Dunque, la Cassazione è un rimedio limitato. In caso di accoglimento del ricorso, la Cassazione potrebbe rinviare a altra Corte d’Appello per un nuovo esame o decidere direttamente (ad es. dichiarare la procedura improcedibile per un vizio insanabile). Ma queste sono evenienze particolari. - D: Quali sono i costi del reclamo?
R: I costi includono il contributo unificato per l’impugnazione (variabile, indicativamente qualche centinaio di euro) e ovviamente l’onorario dell’avvocato incaricato. Se il reclamo viene respinto, il reclamante di solito è condannato a pagare anche le spese legali delle altre parti (curatore e eventuali creditori costituiti). Se invece il reclamo viene accolto, normalmente le spese legali di quel grado sono a carico del creditore istante soccombente (salvo diversa valutazione della Corte che potrebbe compensarle in parte, specialmente se il contrasto verteva su questioni non chiare). Da notare: in caso di reclamo temerario, oltre alle spese si rischiano sanzioni (il doppio del contributo unificato) a carico della parte e del legale rappresentante della società reclamante. Quanto alle spese della procedura fallimentare eventualmente annullata, quelle sono determinate successivamente: il Curatore ha diritto al compenso per il lavoro svolto pro tempore, e come detto sarà deciso a chi addebitarlo (creditore o debitore, a seconda della colpa, o allo Stato se nessuno ha colpa specifica). Se il fallimento invece prosegue (reclamo respinto), i costi del reclamo stesso diventano debiti prededucibili (spese di giustizia) da soddisfare nella procedura. - D: Cosa succede se nessuno fa reclamo?
R: Se entro 30 giorni nessuna parte impugna, la sentenza di fallimento diventa definitiva. Non sarà più possibile contestarla (tranne casi eccezionali di revocazione per dolo o errore di fatto, istituti rarissimi in questo contesto). Dunque la procedura di liquidazione giudiziale seguirà il suo corso fino alla chiusura naturale (riparto finale o altra definizione). I creditori verranno ammessi al passivo, si liquideranno i beni, ecc. In pratica, il fallimento entra nella sua fase gestoria senza pendenze di impugnazioni. Ricordiamo che anche i terzi interessati devono attivarsi entro il medesimo termine: se lo perdono, non possono poi ricorrere a strumenti alternativi (l’opposizione di terzo non è ammessa). Quindi il silenzio-assenso delle parti entro 30 giorni cristallizza lo status di fallimento. - D: Il debitore può proporre direttamente un concordato o un accordo in appello per evitare il fallimento?
R: Non tramite il procedimento di reclamo stesso – il reclamo serve solo a giudicare la correttezza o meno della sentenza di fallimento. Tuttavia, il debitore fallito, durante l’appello, può presentare parallelamente un concordato fallimentare ai sensi del CCI (un piano ai creditori sotto l’egida del tribunale fallimentare). Se questo concordato viene approvato dai creditori e omologato prima che la Corte d’Appello decida, l’appello potrebbe essere dichiarato improcedibile per sopravvenuta cessazione della materia del contendere (il fallimento si chiuderebbe per concordato omologato). Più frequentemente, il debitore può in sede di reclamo far presente che c’è un accordo in corso e chiedere la sospensione ex art. 52 per portarlo a termine. La legge però non consente di “convertire” il reclamo in una domanda di concordato: sono piani separati. In passato c’era la possibilità di presentare un concordato in extremis in appello (c.d. concordato in sede di opposizione a fallimento); oggi formalmente non è previsto nel reclamo ex art. 51, ma nulla vieta all’imprenditore di attivare comunque strumenti di composizione paralleli. Ad esempio, potrebbe chiedere la composizione negoziata della crisi: ciò però non incide direttamente sul giudizio in corso (se non come eventuale argomento per la revoca del fallimento, se fosse avviato un percorso risolutivo concreto). - D: In caso di rigetto del reclamo, il debitore può chiedere l’esdebitazione?
R: Sì, ma quella è una cosa distinta: l’esdebitazione (liberazione dai debiti residui dopo la chiusura del fallimento) potrà chiederla alla fine della procedura di liquidazione giudiziale (dopo il riparto finale). Non c’entra con il reclamo contro l’apertura. Se il reclamo è rigettato e il fallimento prosegue, il debitore dovrà collaborare nella procedura; una volta che sarà chiusa (con concordato fallimentare o riparto finale), potrà presentare istanza di esdebitazione al Tribunale che, se ha tenuto condotta cooperativa, gli cancellerà i debiti rimasti insoddisfatti (art. 282-283 CCI). Ma questo è dopo la procedura, non un’alternativa ad essa. Dunque il reclamo è l’unica chance di evitare o ritardare il fallimento stesso; l’esdebitazione invece serve a “ripulire” la posizione del fallito onesto a procedimento concluso.
Queste FAQ coprono le richieste più comuni. Si evince che il reclamo fallimentare è uno strumento potente ma concentrato in tempi brevi e modalità rigorose: chi intende usarlo deve attivarsi prontamente con l’ausilio di professionisti qualificati e preparare una strategia difensiva solida.
Fac-simile di atti giudiziari
In questa sezione forniamo due modelli esemplificativi degli atti principali coinvolti in un procedimento di reclamo avverso una sentenza di liquidazione giudiziale:
- Ricorso per reclamo (art. 51 CCI) – atto introduttivo da depositare in Corte d’Appello.
- Comparsa di costituzione e risposta – atto difensivo del resistente (ad esempio del Curatore o del creditore istante) da depositare in appello.
Disclaimer: I fac-simili andranno sempre adattati al caso specifico (dati anagrafici, motivi peculiari, autorità competente, ecc.). Vengono forniti a solo scopo orientativo, con un linguaggio formale in linea con gli atti giudiziari italiani.
Fac-simile di Ricorso per Reclamo (Corte d’Appello)
CORTE D’APPELLO DI [CITTÀ]
Ricorso ex art. 51 D.Lgs. 14/2019 (Codice della Crisi)
Per il reclamo avverso la sentenza di apertura di liquidazione giudiziale
Ricorrente: [Nome Cognome], nato a [luogo] il [data], C.F. [cod.fiscale], in qualità di legale rappresentante della [Denominazione Società] S.p.A. (C.F./P.IVA [___]) con sede in [Comune], via [___], n. [__]; elettivamente domiciliato in [Comune sede Corte d’Appello] via [___], n. [__] presso lo studio dell’avv. [Nome Avvocato] (C.F. [___]) che lo rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al presente atto e dichiara di voler ricevere le comunicazioni via PEC all’indirizzo [PEC avvocato].
Resistente:Curatore della procedura di Liquidazione Giudiziale n. [___] Tribunale di [___] – dott. [Nome Curatore], C.F. [___], con studio in [___], PEC [___];
Altri resistenti: [se vi sono] – es. Banca XYZ S.p.A., creditore istante, C.F. [___], in persona del legale rapp.te pro tempore, con sede in [___].
Oggetto: Reclamo avverso la sentenza n. [___] emessa in data [___] dal Tribunale di [___], RG n. [___], pubblicata il [data] e notificata il [data] (cron. notif. [___]), che ha dichiarato l’apertura della liquidazione giudiziale di [Società] S.p.A.
Fatti di causa:
Il Tribunale di [___], adito da ricorso per apertura di liquidazione giudiziale presentato in data [___] da [Banca XYZ S.p.A.], con la sentenza impugnata ha dichiarato lo stato di insolvenza di [Società] S.p.A. e l’apertura della procedura di liquidazione giudiziale, nominando il Giudice Delegato e il Curatore (dott. [Nome]). La decisione si basa sul presunto stato di insolvenza della società, rilevato dal mancato pagamento di esposizioni verso la Banca istante e altri creditori (come risultante dall’istruttoria prefallimentare).
La società ricorrente ritiene tale pronuncia ingiusta e viziata, in quanto la situazione debitoria era in via di risanamento e non ricorrevano i presupposti di legge per la declaratoria di fallimento. Si espongono quindi i motivi di reclamo.
Motivi di reclamo:
1. Insussistenza dello stato di insolvenza della società ricorrente.
Il Tribunale ha omesso di considerare elementi decisivi attestanti la continuità aziendale e la solvibilità prospettica di [Società] S.p.A. In particolare, dai bilanci 2022 e situazioni contabili al [data] (doc. 3 e 4) emerge un patrimonio netto positivo di €[___] e disponibilità liquide per €[___]. La temporanea tensione di liquidità manifestatasi nel [mese/anno] – dovuta al ritardo nei pagamenti di alcuni clienti – era già stata superata alla data della sentenza impugnata: infatti, in data [___] la società ha incassato crediti per €[___] (doc. 5, evidenza di bonifici) con cui ha integralmente saldato l’esposizione verso Banca XYZ S.p.A. (€[___], doc. 6 quietanza). Pertanto, al momento della dichiarazione di fallimento non sussistevano più inadempimenti di importo rilevante né incapacità strutturale di far fronte alle obbligazioni. Il Tribunale ha ritenuto insolvente la società basandosi su debiti scaduti al [data precedente], ma non ha tenuto conto dei pagamenti avvenuti successivamente né delle linee di credito accordate per €[___] (doc. 7, delibera bancaria del [___]). Secondo consolidata giurisprudenza, lo stato di insolvenza è uno “stabile inadempimento non transitorio” e va valutato alla luce delle complessive condizioni patrimoniali dell’impresa: nel caso di specie era transitorio e già risolto, sicché la declaratoria ex art. 121 CCI risulta priva di fondamento. Si chiede quindi la revoca della sentenza impugnata per difetto del presupposto oggettivo dell’insolvenza.
2. Violazione del contraddittorio – Omessa considerazione di proposta di concordato minore in corso.
In subordine, si evidenzia che la società ricorrente, prima dell’udienza prefallimentare, aveva presentato ricorso per concordato minore ex art. 74 CCI in data [___] (RG [___] Tribunale [___], doc. 8 copia ricorso e decreto di fissazione). Il Tribunale ha tuttavia omesso qualsiasi valutazione al riguardo e non ha atteso l’esito della procedura minore, pronunciando immediatamente la liquidazione giudiziale. Ciò configura violazione dell’art. 40 CCI e dei principi di coordinamento tra procedure: il debitore aveva attivato uno strumento di composizione negoziale, che avrebbe potuto soddisfare i creditori in misura soddisfacente (come da piano depositato, doc. 9). Ignorando tale iniziativa, il Tribunale ha precluso una soluzione meno gravosa, in potenziale conflitto con il principio della prevenzione del fallimento in presenza di procedura concordataria pendente. La Corte d’Appello è pertanto chiamata a verificare la persistenza dell’insolvenza anche alla luce di detta proposta concordataria (che vede l’adesione del [__]% dei crediti, doc. 10) ed eventualmente a revocare la sentenza impugnata per consentire la prosecuzione della procedura concordataria. Quanto meno, la pronuncia di fallimento risulta affetta da vizio di istruttoria per non aver acquisito elementi su tale proposta, incidente sullo stato di decozione.
3. Erronea quantificazione del passivo – Debito tributario dilazionato.
Il Tribunale ha incluso tra le passività esigibili un debito verso l’Erario di €[___]. Tuttavia, tale importo era oggetto di rateizzazione accordata dall’Agenzia delle Entrate in data [___] (doc. 11, piano di dilazione), con rate mensili regolarmente onorate sino al [mese/anno]. Non trattavasi dunque di debito immediatamente esigibile in unica soluzione alla data di apertura della liquidazione. La presenza di un piano di dilazione attivo esclude lo stato di insolvenza su quel segmento di debito, dovendosi considerare la regolarità dei pagamenti rateali (doc. 12 attestazione AE di regolarità fino a [data]). Ignorando la dilazione, il primo giudice ha sovrastimato il passivo scaduto, traendo un quadro alterato dell’insolvenza. Correggendo tale errore di fatto, il rapporto debiti/attività risulta sostenibile. Anche per tale ragione si impone la riforma della sentenza dichiarativa.
Mezzi di prova: Il ricorrente si riserva di produrre documenti a confutazione delle eventuali difese avversarie. In particolare deposita sin d’ora i documenti numerati da 1 a 12 (elencati nell’indice allegato) a supporto dei motivi di cui sopra. Chiede, ove occorra, consulenza tecnica contabile per la verifica dell’insussistenza dello stato d’insolvenza alla data del [___]. Si indica sin da ora quale testimone il dott. [Nome], commercialista della società, sul punto del reperimento dei finanziamenti successivi e della fattibilità del piano di rientro (circostanze di cui al motivo 1).
Conclusioni:
Si chiede che l’Ecc.ma Corte d’Appello di [Città], contrariis reiectis, voglia:
- in via principale, accogliere il reclamo e conseguentemente revocare la sentenza n. [___] del Tribunale di [___] pubblicata il [data], dichiarativa dell’apertura della liquidazione giudiziale di [Società] S.p.A., escludendo lo stato di insolvenza della società;
- in via subordinata, adottare ogni opportuno provvedimento ai sensi dell’art. 52 CCI, sospendendo l’esecuzione della sentenza impugnata nelle more della decisione sul reclamo (e/o nelle more della definizione della procedura di concordato minore pendente);
- con ogni conseguente statuizione in ordine alle spese di lite, da liquidarsi a carico delle parti resistenti in caso di accoglimento del reclamo.
Si producono: documenti nn. 1-12 (come da indice allegato).
Si deposita copia autentica della sentenza reclamata (doc. 1).
Si deposita attestazione di iscrizione della sentenza al Registro Imprese in data [___] (doc. 2).
Luogo, data: [Città], lì ___
Firma avvocato ____________
Procura speciale alle liti: [... testo della procura notarile o in calce ...]
(Segue l’indice dei documenti allegati e la procura alle liti firmata dal cliente.)
Fac-simile di Comparsa di Costituzione e Risposta (Resistente in appello)
CORTE D’APPELLO DI [CITTÀ]
Comparsa di costituzione e risposta
nell’ambito del reclamo ex art. 51 CCI RG [numero] proposto da [Società] S.p.A.
Resistente costituito: Curatore della Liquidazione Giudiziale di [Società] S.p.A. – dott. [Nome Curatore] – rappresentato e difeso dall’Avv. [Nome Avv. Curatore] (C.F. [___]) con studio in [___], giusta delibera di nomina a difensore ex art. 25 CCI e procura in calce, elettivamente domiciliato presso lo studio in [sede Corte appello se diversa], PEC [___].
Premessa:
Il Curatore si costituisce nel presente giudizio di reclamo al fine di chiedere il rigetto dell’impugnazione e la conferma della sentenza dichiarativa di liquidazione giudiziale emessa dal Tribunale di [___] n. [___]/2023. A tal fine deduce quanto segue.
In fatto:
- La società [Società] S.p.A. è stata dichiarata insolvente con sentenza del [data] dal Tribunale, su ricorso del creditore Banca XYZ per crediti scaduti di €[___]. Dalla relazione ex art. 49 CCI redatta dal Giudice Delegato (doc. 1, che si deposita) e dalle prime verifiche effettuate dal Curatore emerge una situazione patrimoniale gravemente deficitaria: patrimonio netto negativo per €[___], esposizione debitoria complessiva di circa €[___] verso 15 creditori, attivo liquidabile modesto (limitato a beni strumentali dal valore stimato inferiore a €[___]).
- Il Curatore, insediatosi il [data], ha raccolto le istanze di ammissione al passivo (doc. 2: elenco provvisorio crediti insinuati per €[___]) e predisposto inventario dei beni (doc. 3).
- Contrariamente a quanto sostenuto dal reclamante, allo stato non risulta che la società abbia effettivamente pagato i debiti né che disponga di risorse per soddisfarli: l’unico pagamento rilevante è quello verso Banca XYZ di €[___] in data [post], attingendo però a risorse provenienti da altri debiti (scoperto di conto utilizzato presso Banca ABC, come da evidenze acquisite).
- Quanto alla pretesa proposta di concordato minore menzionata dal reclamante: dagli atti fallimentari risulta che tale proposta era stata depositata ma già dichiarata inammissibile con decreto del Tribunale di [___] in data [___] per mancanza delle condizioni (doc. 4, decreto di inammissibilità). Di ciò il reclamante stranamente non fa menzione.
In diritto:
1. Sussistenza dello stato di insolvenza alla data della dichiarazione di fallimento:
Il fallimento è stato correttamente dichiarato poiché la società versava in stato di insolvenza ai sensi dell’art. 2, co. 1, lett. b) CCI. Il reclamante si concentra su taluni pagamenti successivi, ma omette di considerare che l’insolvenza non è l’incapacità di pagare un singolo debito bensì la situazione di impotenza strutturale a soddisfare le proprie obbligazioni nel loro insieme. Alla data del [data sentenza] la società:
- aveva debiti scaduti da mesi verso diversi fornitori (es. Alfa Srl €50.000 da 8 mesi, Beta Srl €120.000 da oltre 6 mesi – v. doc. 5, stato passivo);
- presentava esposizioni bancarie nei confronti di Banca ABC (€[___]) e Banca XYZ (€[___]) ben superiori alle liquidità disponibili;
- non pagava stipendi da 3 mesi ai 10 dipendenti (doc. 6, comunicazioni sindacali).
Questo quadro configura insolvenza conclamata. Il fatto che in data [successiva] sia entrato un pagamento straordinario non muta la valutazione ex tunc: come affermato dalla Suprema Corte, pagamenti occasionali di alcuni debiti non escludono l’insolvenza se il complesso delle obbligazioni rimane insoddisfatto (cfr. Cass. 1234/2019). Nel caso concreto, i debiti verso fornitori e altri istituti sono rimasti insoluti. Dunque, la sentenza va confermata.
2. I pagamenti sopravvenuti non hanno risanato la situazione:
Anche esaminando gli eventi successivi (come consentito in sede di reclamo in virtù della natura devolutiva piena), deve constatarsi che l’asserito risanamento è meramente parziale e temporaneo. Il reclamante dichiara di aver pagato Banca XYZ (€[___]), ma per farlo ha incrementato l’esposizione verso Banca ABC utilizzando una linea di fido non coperta (ciò spiega perché il debito verso ABC risulta aumentato negli estratti conto, doc. 7). Inoltre restano impagati €[___] verso l’Erario (il piano di rateizzo citato dal reclamante è decaduto a causa del mancato pagamento di due rate, doc. 8 dell’Agenzia Entrate). Pertanto, al momento attuale, il passivo scaduto è ancora superiore a €[___], a fronte di attività liquide esigue. La situazione di dissesto permane. La giurisprudenza (App. Salerno 5.9.2023) sottolinea che solo circostanze sopravvenute idonee a sovvertire l’esito giustificano la revoca del fallimento:contentReference[oaicite:143]{index=143}: nel caso in esame i fatti nuovi (pagamento di un creditore e proposta di transazione fiscale) non sovvertono affatto l’insolvenza, la quale anzi perdura estesa ad altri creditori.
3. Concordato minore inammissibile e irrilevante:
La società aveva presentato domanda di concordato minore, ma come documentato (doc. 4) la stessa è stata dichiarata inammissibile prima della sentenza di fallimento per carenza della documentazione e inattendibilità del piano. Quindi non vi era alcuna procedura alternativa pendente che il Tribunale dovesse attendere. In ogni caso, la proposta prospettava il pagamento del 20% ai chirografari, il che conferma l’insolvenza (ammettendo incapienza per l’80%). La revoca del fallimento per far posto a quel concordato comporterebbe un pregiudizio per i creditori chirografari, i quali invece col fallimento potrebbero beneficiare di eventuali azioni risarcitorie o revocatorie. Pertanto la scelta del Tribunale di dichiarare il fallimento è stata non solo legittima ma anche opportuna, essendo l’unica procedura idonea a trattare l’insolvenza profonda della società.
4. Regolarità del procedimento di primo grado:
Non risulta alcuna violazione del contraddittorio: la società è stata ritualmente convocata per l’udienza prefallimentare del [data] ma, pur presente il suo difensore, non ha offerto elementi convincenti per escludere l’insolvenza. La decisione è stata emessa dopo il rigetto della proposta concordataria e l’istruttoria era completa. Ogni deduzione difensiva del reclamante è stata considerata (v. motivazione sentenza impugnata pag. 3-4 dove si confutano le stesse argomentazioni riproposte in reclamo). Dunque non si ravvisa alcun vizio procedurale.
Conclusioni:
Per tutti i motivi esposti, il Curatore resistente chiede che la Corte d’Appello voglia:
- Rigettare il reclamo proposto da [Società] S.p.A., perché infondato in fatto e in diritto, e per l’effetto confermare la sentenza dichiarativa di liquidazione giudiziale del Tribunale di [___].
- Con vittoria di spese e compensi del presente grado di giudizio, da distrarsi in favore del sottoscritto procuratore antistatario (oppure da attribuirsi alla procedura ai sensi dell’art. 146 TUSG, se applicabile).
Si producono i seguenti documenti:
1. Relazione ex art. 49 CCI del G.D. [___]
2. Elenco domande di insinuazione depositate
3. Inventario beni della procedura
4. Decreto Tribunale [___] del [data] di inammissibilità del concordato minore
5. Situazione debitoria fornitori al [data]
6. Lettere sindacali su stipendi arretrati
7. Estratto conto Banca ABC al [data]
8. Comunicazione Agenzia Entrate [data] (decadenza rateazione)
Luogo, data: [Città], lì ____
Firma Avv. ________________ (difensore Curatore)
Procura
Il Curatore della Liquidazione Giudiziale di [Società] S.p.A., dott. [Nome], nomina e costituisce suo procuratore speciale l’Avv. [Nome] conferendogli ogni potere di legge per rappresentarlo nel presente giudizio di reclamo avanti alla Corte d’Appello di [___].
Firmato [Curatore] _____________________
(Segue elenco documenti prodotti).
I modelli di cui sopra mostrano come strutturare gli atti principali: il ricorso deve contenere i motivi dettagliati di doglianza, mentre la comparsa di risposta confuta punto per punto tali motivi, portando elementi a sostegno della conferma o rigetto. Naturalmente in casi reali gli atti possono essere più estesi o includere ulteriori sezioni (es. eccezioni preliminari, se ve ne fossero, come incompetenza, inammissibilità per tardività, etc.).
Fonti normative e giurisprudenziali
(In questa sezione raccogliamo le fonti citate e consultate, con indicazione del riferimento e link ove disponibili, per permettere approfondimenti e verifica.)
Normativa:
- D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 – Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCI), in vigore dal 15/07/2022. Disposizioni rilevanti: artt. 2 (definizione di insolvenza), 9 (sospensione feriale termini), 40 (procedure concorrenti), 50 (reclamo contro rigetto domanda di liquidazione), 51 (Impugnazioni: reclamo contro sentenza di apertura), 52 (sospensione delle procedure in pendenza di reclamo), 53 (effetti della revoca della liquidazione giudiziale), 124 (reclamo contro provvedimenti del tribunale in procedure concorsuali), 147 D.P.R. 115/2002 (come modificato dall’art. 366 CCI).
- Codice di Procedura Civile, disposizioni richiamate:
- Art. 737-738 c.p.c. – Procedimento in camera di consiglio (applicato al reclamo ex art. 50 CCI).
- Art. 327 c.p.c. – Termine lungo per impugnazioni (applicabile ex art. 51 co.3 CCI).
- Art. 404 c.p.c. – Opposizione di terzo (non ammessa contro sentenza di fallimento, supplita dal reclamo).
- Art. 669-terdecies c.p.c. – Reclamo cautelare (in parte assimilabile al reclamo concorsuale per prassi).
- Art. 96 c.p.c. – Responsabilità processuale aggravata (richiamato per sanzionare mala fede/frivolezza).
- Art. 50 c.p.c. – Regolamento di competenza in appello (rinvio in caso di incompetenza territoriale).
- R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (vecchia Legge Fallimentare) – per confronto storico: art. 18 L.F. (reclamo a Corte appello); art. 19 L.F. (opposizione a decreto corte appello); art. 1 L.F. (esclusioni soggettive e limiti dimensionali di fallibilità, applicati fino al 2022); art. 147 L.F. (fallimento esteso ai soci illimitatamente resp.). NB: Abrogata dal 15/7/2022 per le procedure nuove.
- D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (T.U. Spese di Giustizia), art. 147 (come modificato dal D.Lgs. 14/2019, art. 366) – “Spese a carico di chi ha causato la procedura poi revocata”: creditore istante con colpa o debitore persona fisica se responsabile.
- Legge 7 ottobre 1969, n. 742, art. 1 – Sospensione feriale termini processuali (non applicabile ex art. 9 CCI).
Giurisprudenza di legittimità:
- Cass. civ. Sez. I, 24 febbraio 2020, n. 4786 – Legittimazione “qualunque interessato” al reclamo ex art. 18 L.F.: ampia interpretazione, natura del reclamo assimilata a opposizione di terzo. (Disponibile in IlCaso.it, sez. Giurisprudenza, massima 23354).
- Cass. civ. Sez. I, 7 agosto 2023, n. 24023 – Onerosità del ricorso per Cassazione contro sentenza Corte appello fallimentare: necessità di autosufficienza e produzione atti di merito; conferma che la Cassazione esamina solo vizi di legittimità. (Riferimento: DirittoDellaCrisi.it, art. di commento Pres. Genovese, Est. Di Marzio).
- Cass. civ. Sez. I, 10 febbraio 2020, n. 3022 – Conferma dichiarazione di fallimento di società entro un anno da cancellazione; legitimatio di soci a reclamo; richiamo art. 10 L.F. (ora 33 CCI). (Non specificamente citata nel testo ma attinente a legittimazione post-estinzione società).
- Cass. civ. Sez. I, 7 marzo 2017, n. 5529 – Poteri della Corte d’Appello in sede di reclamo: ammissibilità considerazione fatti sopravvenuti; natura non limitata ai motivi originari (cfr. App. Salerno 2023). (Massimata, richiamata in dottrina e da App Salerno).
- Cass. civ. Sez. I, 19 agosto 2024, n. 22914 – (In tema di privilegio fondiario, citata solo in passim) Contiene dictum su art. 150 CCI = art. 51 L.F. lessicalmente; irrilevante ai fini del reclamo in sé. (Eius.it).
- Cass. civ. Sez. I, 23 maggio 2016, n. 10486 – (Vecchia ma fondamentale) Pagamenti parziali non eliminano insolvenza se resta incapacità generale. [Principio applicato nella comparsa fac-simile].
- Cass. civ. Sez. I, 13 luglio 2017, n. 17391 – Definizione di insolvenza e considerazione passività, anche debiti non immediatamente esigibili se incapacità prospettica (utilizzata in motivazioni).
- Cass. civ. Sez. VI-1, 22 giugno 2021, n. 17703 – Effetti atti compiuti durante pendenza reclamo: validità vendite, applicazione art. 53 CCI, impossibilità di restituzione beni a seguito revoca. (Cita art. 53 CCI e 52; reperibile su banche dati Cassazione).
Giurisprudenza di merito:
- Corte d’Appello di Salerno, 5 settembre 2023 – Liquidazione giudiziale, reclamo ex art. 50 CCI e adesione rottamazione: conferma natura devolutiva piena reclamo e valutabilità fatti sopravvenuti, con riferimento a Cass. 5529/2017. Inoltre afferma irrilevanza adesione a definizione agevolata debiti fiscali finché non perfezionata. (Pubblicata su IlCaso.it, n. 29698).
- Corte d’Appello di Venezia, sent. 31 gennaio 2020 – Caso di revoca fallimento per difetto di “fallibilità” dimensionale: applica analogicamente art. 147 TUSG anche a società, imputando spese alla debitrice per non aver eccepito tempestivamente (mala fede). (Commentata da avv. Ticozzi).
- Corte d’Appello di Napoli, 21 giugno 2024 – Concordato minore reclamabile ex art. 51 CCI: riconosce che art. 51 si applica anche a sentenze di omologazione concordato minore, quindi creditore può reclamare. (IlCaso.it massima).
- Tribunale di Avellino, decreto 1° marzo 2022 – In caso di revoca fallimento, spese e compenso curatore non a carico debitore incolpevole: richiama art. 147 TUSG come modificato, ponendo spese a carico Erario in difetto di colpa delle parti. (Sintesi in unijuris.it).
- Tribunale di Modena, decreto 14 settembre 2022 – Condanna ex art. 96 c.p.c. amministratore società reclamante per lite temeraria: applicazione art. 51 co. 15 CCI (doppio contributo) per reclamo infondato. (Non pubblica, segnalazione dottrinale).
- Corte d’Appello di Catanzaro, sent. n. 1133/2023 (10/10/2023) – Ammissibilità intervento socio unico nel reclamo; definizione di “interessato” secondo orientamento Cassazione (si cita “costante orientamento di legittimità”). (Documento PDF reperito).
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