Come Presentare Ricorso Alla Corte Di Giustizia Tributaria – Guida

Hai ricevuto un atto dell’Agenzia delle Entrate e vuoi impugnarlo davanti alla Corte di Giustizia Tributaria?

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in ricorsi fiscali e contenzioso tributario – è pensata per aiutarti a difendere i tuoi diritti con precisione e nei tempi previsti dalla legge.

Scopri come si presenta un ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria, quali atti si possono impugnare, quali documenti servono, quali termini rispettare e quali strategie adottare per aumentare le possibilità di successo.

Alla fine della guida troverai tutti i contatti per richiedere una consulenza riservata, analizzare il tuo caso con un avvocato specializzato e preparare una difesa solida per contrastare le pretese del Fisco in modo efficace.

Come Presentare Ricorso Alla Corte Di Giustizia Tributaria – Guida di Studio Monardo

1. Introduzione

Presentare un ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria è il passo formale con cui un contribuente – sia esso un privato cittadino, un’azienda o un professionista – contesta un atto dell’Amministrazione finanziaria o di un ente locale, ritenendolo illegittimo o infondato. Questa guida fornisce istruzioni aggiornate a maggio 2025 su come procedere correttamente, tenendo conto delle più recenti riforme normative. Lo stile è divulgativo ma mantiene un taglio professionale, adatto sia a contribuenti senza specifiche competenze giuridiche, sia a operatori del settore fiscale (avvocati tributaristi, commercialisti, etc.).

Cosa troverai in questa guida: una spiegazione passo-passo dell’iter del contenzioso tributario dinanzi alle Corti di giustizia tributaria (nuova denominazione delle Commissioni tributarie), esempi pratici di simulazioni di ricorsi e atti, modelli di documenti (ricorso introduttivo, memorie difensive, istanze come quella di sospensione), cenni su tutti i principali tributi coinvolti (dall’IRPEF all’IVA, dall’IMU ai tributi locali) e strumenti utili come tabelle riepilogative dei termini e delle scadenze. È inclusa inoltre una sezione FAQ con le domande frequenti e, in chiusura, un elenco di riferimenti normativi e giurisprudenziali aggiornati al 2025.

Perché il ricorso tributario è importante: il processo tributario è lo strumento di tutela con cui il contribuente può far valere i propri diritti contro errori o illegittimità dell’Amministrazione finanziaria (Agenzia delle Entrate, Agenzia Entrate Riscossione) o degli enti locali (Comuni, Regioni) in materia di tributi. Prima di arrivare al giudice, esistono strumenti deflattivi (come l’autotutela, l’accertamento con adesione o – fino al 2023 – il reclamo/mediazione) per tentare di risolvere le controversie senza contenzioso; tuttavia, quando tali strumenti non hanno successo o non sono applicabili, il ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria diviene necessario per ottenere l’annullamento (totale o parziale) dell’atto impugnato. Nelle sezioni che seguono vedremo chi può proporre ricorso, entro quali termini, con quali modalità e come si svolge il giudizio, tenendo conto delle novità più recenti (come l’introduzione del giudice monocratico per le liti minori, l’utilizzo generalizzato del processo telematico, la nuova possibilità di prova testimoniale scritta e le modifiche in tema di mediazione e autotutela introdotte a fine 2023).

2. La Corte di Giustizia Tributaria: struttura e competenze

2.1. Cos’è la Corte di Giustizia Tributaria: la Corte di Giustizia Tributaria è l’organo giurisdizionale specializzato che si occupa delle controversie in materia di tributi. Dal 2023 questa è la nuova denominazione delle precedenti Commissioni Tributarie (Provinciali e Regionali) a seguito della riforma della giustizia tributaria (Legge 130/2022). Si articola su due gradi di giudizio:

  • Corte di Giustizia Tributaria di primo grado: presente in ogni provincia (o su base interprovinciale in alcuni casi), competente per le controversie tributarie che sorgono nel relativo territorio. In passato era denominata Commissione Tributaria Provinciale (CTP).
  • Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado: presente in ogni regione (una per ciascuna Regione o per le Province autonome), competente per le impugnazioni (appelli) avverso le decisioni di primo grado. In passato era la Commissione Tributaria Regionale (CTR).

Queste Corti sono organi indipendenti dall’Amministrazione finanziaria: i giudici tributari esaminano le controversie e decidono in base alle leggi tributarie e alle prove fornite, garantendo al contribuente un giudizio imparziale. A seguito della riforma, è in corso anche un processo di professionalizzazione della magistratura tributaria, con l’ingresso di giudici a tempo pieno reclutati tramite concorso, in sostituzione graduale dei precedenti giudici onorari (spesso professionisti esterni).

2.2. Composizione dei giudici e novità sul giudice monocratico: di regola, le Corti di Giustizia Tributaria giudicano con un collegio di tre giudici (in primo grado) o tre o cinque giudici (in secondo grado, generalmente tre). Tuttavia, per le liti di minor valore economico, è stata introdotta una significativa novità: dal 1° luglio 2023 le controversie di valore fino a 5.000 euro sono decise in composizione monocratica, cioè da un solo giudice tributario. (In precedenza il limite era 3.000 euro). Ciò significa che se il valore della tua controversia non supera 5.000 €, il tuo ricorso in primo grado sarà deciso da un unico giudice, con potenziali benefici in termini di rapidità. Restano escluse dal giudice unico alcune materie anche se di modesto valore (ad esempio, cause che richiedono un collegio per particolari ragioni tecniche, come stabilito dalla legge, ma nella pratica la maggior parte delle liti sotto 5.000 € rientra nel monocratico).

2.3. Tipologia di controversie trattate: la giurisdizione tributaria copre praticamente tutte le controversie relative a tributi di ogni genere:

  • Imposte statali: IRPEF, IRES, IVA, IRAP, imposte di registro, successione, bollo, ecc.
  • Tributi locali: IMU (imposta municipale sugli immobili), TARI (tassa rifiuti), TASI (fino al 2019), CANone unico patrimoniale, addizionali regionali/comunali, e così via.
  • Altri atti dell’amministrazione finanziaria: ad esempio cartelle di pagamento emesse dall’Agente della Riscossione per il recupero di imposte non pagate, ingiunzioni fiscali, rifiuti di rimborso di tributi, provvedimenti sanzionatori in materia tributaria.

La competenza della Corte di Giustizia Tributaria è limitata ai tributi: non rientrano quindi in questa sede, ad esempio, le sanzioni amministrative non tributarie (multe stradali, sanzioni per violazioni diverse dalle fiscali), i contributi previdenziali (che vanno al giudice ordinario) o controversie doganali coperte da giurisdizioni speciali. In caso di dubbio sulla competenza, è sempre bene verificare se la materia è qualificata come “tributo” da leggi specifiche.

2.4. Atti impugnabili dinanzi alla Corte: la legge (art. 19 D.Lgs. 546/1992) elenca espressamente quali atti possono essere oggetto di ricorso. I principali atti impugnabili sono:

  • Avviso di accertamento del tributo: l’atto con cui l’Agenzia delle Entrate (o l’ente impositore) rettifica la dichiarazione del contribuente o contesta maggiori imposte, sanzioni e interessi.
  • Avviso di liquidazione: atto che liquida maggiori imposte dovute (es. in materia di registro, successioni, ecc.).
  • Provvedimento di irrogazione di sanzioni: atto che commina sanzioni amministrative tributarie (ad es. per omissioni dichiarative, ritardi, ecc.), autonomamente impugnabile.
  • Cartella di pagamento (o ruolo): emessa dall’Agente della Riscossione (es. Agenzia Entrate Riscossione) per riscuotere coattivamente imposte o sanzioni non pagate dal contribuente. Si può impugnare la cartella per vizi propri (notifica irregolare, prescrizione, errore di persona, ecc.) oppure per contestare il merito nel caso in cui non sia mai stato notificato l’atto presupposto (ad esempio l’accertamento).
  • Rifiuto (espresso o tacito) di rimborso: se il contribuente ha chiesto il rimborso di un’imposta e l’ufficio lo nega con un provvedimento formale, o non risponde affatto per un certo tempo, tale diniego può essere impugnato.
  • Altri atti relativi a tributi: ad esempio, l’iscrizione di ipoteca o il fermo amministrativo su beni del contribuente motivati dal mancato pagamento di tributi possono essere contestati in commissione; i dinieghi o revoche di agevolazioni fiscali; le intimazioni di pagamento successive a cartelle; gli atti relativi a entrate patrimoniali degli enti locali equiparati per legge ai tributi, ecc.

Novità 2024: a seguito della riforma fiscale, è ora possibile impugnare davanti al giudice tributario anche il rifiuto dell’autotutela in casi specifici. In altre parole, se il contribuente presenta un’istanza di autotutela “obbligatoria” (vedremo oltre cosa significa) e l’ufficio la respinge espressamente o tace oltre un certo termine, tale comportamento dell’ufficio è diventato autonomamente impugnabile. Questo amplia gli “atti impugnabili”, offrendo tutela giurisdizionale anche contro inerzie o dinieghi nell’annullare in via di autotutela atti manifestamente errati.

3. Chi può proporre il ricorso e requisiti di assistenza tecnica

3.1. Legittimazione a ricorrere: il ricorso può essere proposto dal contribuente direttamente interessato dall’atto impugnato. Ciò include:

  • La persona fisica destinataria dell’avviso o della cartella.
  • L’azienda o persona giuridica a nome della quale è stato emesso l’atto (rappresentata legalmente dal rappresentante legale o da un procuratore).
  • Gli eredi del contribuente, se questi è deceduto dopo aver ricevuto l’atto (gli eredi subentrano nelle posizioni attive e passive, quindi possono impugnare avvisi intestati al de cuius, specificando la loro qualità).
  • Il coobbligato in solido, se la legge prevede obbligazioni tributarie solidali (ad es. in alcuni casi di imposta di registro, entrambi i contraenti sono obbligati e legittimati a ricorrere).
  • In alcuni casi, anche il sostituto d’imposta o il responsabile d’imposta può impugnare atti a sé diretti (es. un datore di lavoro per un avviso su ritenute non operate).

Sul fronte opposto, il convenuto nel processo sarà l’ente che ha emesso l’atto: ad esempio l’Agenzia delle Entrate per un avviso di accertamento IRPEF, il Comune specifico per un avviso IMU, l’Agente della Riscossione per una cartella, etc. Il ricorso va notificato a tale ente (in proprio o nella persona del funzionario delegato).

3.2. Assistenza tecnica (avvocato o difensore abilitato): non sempre il contribuente può stare in giudizio da solo. La regola generale prevede che per le cause sopra una certa soglia di valore occorre farsi assistere da un difensore abilitato. In particolare:

  • Per controversie di valore fino a 3.000 € è ammessa l’autodifesa: il contribuente può firmare e presentare il ricorso personalmente, senza bisogno di un professionista (art. 12, c.5 D.Lgs. 546/92). Questa eccezione facilita le liti minori.
  • Per controversie di valore superiore a 3.000 €, vige l’obbligo di assistenza tecnica: il contribuente deve essere rappresentato o assistito da un difensore appartenente a determinate categorie professionali (avvocati, dottori commercialisti ed esperti contabili, consulenti del lavoro – per le materie di loro competenza –, ex funzionari dell’amministrazione finanziaria con determinati requisiti, etc. – come elencati dall’art. 12 D.Lgs. 546/92).

In pratica, se il tuo contenzioso supera i 3.000 €, dovrai conferire incarico ad esempio a un avvocato tributarista o a un commercialista abilitato al contenzioso tributario, che redigerà e firmerà il ricorso per te. Se invece la lite è di piccolo importo (es: una cartella da 1.500 €), puoi scegliere di agire da solo senza difensore.

Importante: il valore della controversia si calcola, di regola, sull’importo del tributo contestato al netto di interessi e sanzioni (se si impugna anche la sanzione come atto autonomo, il valore è la sanzione stessa). Se si contestano più annualità o atti con un solo ricorso, il valore è dato dalla somma dei tributi su cui verte la contestazione. In sede di ricorso, è obbligatorio indicare il valore di lite nelle conclusioni dell’atto introduttivo; la mancata indicazione comporta il pagamento del contributo unificato nella misura massima prevista (vedi oltre la sezione sul contributo).

3.3. Cosa succede se presente l’obbligo e non ci si avvale di un difensore? In passato un ricorso presentato senza difensore non era automaticamente valido. Ora la giurisprudenza (Cass. SS.UU. n. 29919/2017) ha chiarito che il giudice deve invitare la parte a munirsi di difensore, assegnando un termine per sanare la situazione, e solo se il contribuente non provvede allora il ricorso sarà dichiarato inammissibile. Dunque, se per errore un contribuente propone da solo un ricorso di valore superiore a 3.000 €, la Corte tributaria gli ordinerà di nominare un difensore entro un certo termine (tipicamente tramite un’ordinanza presidenziale). Ciò non toglie che è sempre consigliabile rispettare fin dall’inizio l’obbligo di assistenza tecnica, per evitare complicazioni e perché la stesura di atti difensivi efficaci richiede competenze specialistiche.

3.4. Chi può difendere il contribuente: come accennato, sono abilitati alla difesa tecnica nel processo tributario:

  • Avvocati iscritti all’albo (sempre abilitati).
  • Dottori commercialisti ed esperti contabili iscritti al relativo albo.
  • Consulenti del lavoro (limitatamente a tributi di loro competenza, tipicamente contributi previdenziali non rientrano nel tributario, ma talvolta possono assistere su ritenute, ad esempio).
  • Periti commerciali (figura confluita negli esperti contabili).
  • Dipendenti delle associazioni di categoria rappresentative (per le controversie attinenti l’attività dell’associato, ad esempio un funzionario di un’associazione agricoltori può assistere un imprenditore agricolo associato).
  • Funzionari dell’Amministrazione Finanziaria in pensione, che abbiano avuto qualifica dirigenziale o appartengano a certe aree funzionali (questa è una possibilità residuale prevista dalla legge).

Il contribuente deve rilasciare una procura (generale o speciale) al difensore, su foglio separato autenticato o in calce all’atto. Nella pratica, per il processo tributario telematico, la procura alle liti viene firmata dal contribuente, scansionata e allegata al ricorso con firma digitale del difensore, che ne attesta la conformità all’originale cartaceo.

3.5. Quando l’autodifesa non è possibile neppure sotto 3.000 €: ci sono casi in cui, pur se la lite è di valore esiguo, il contribuente non può stare in giudizio da solo. Ad esempio, un soggetto diverso dalla persona fisica (una società di capitali) formalmente deve stare in giudizio tramite legale rappresentante ma comunque con difensore se sopra soglia; oppure un ente che non può comparire se non tramite avvocato. Tuttavia, queste situazioni coincidono quasi sempre con valori sopra soglia. Inoltre il giudice può discrezionalmente ordinare la difesa tecnica anche sotto 3.000 € se la causa è particolarmente complessa (come previsto dall’art. 12, c.5 D.Lgs. 546/92), ma è evenienza rara.

Tabella riepilogativa – Assistenza tecnica e composizione giudicante:

Valore della controversiaDifesa tecnica necessaria?Giudice competente in primo grado
Fino a € 3.000No, possibile difesa personaleGiudice monocratico (unico), salvo eccezioni
€ 3.001 fino a € 5.000, difensore abilitato obbligatorioGiudice monocratico (unico)
Oltre € 5.000, difensore abilitato obbligatorioCollegio (3 giudici)

Nota: in secondo grado, la difesa tecnica è sempre obbligatoria (non esiste autodifesa in appello o cassazione) e il giudizio è sempre collegiale (tranne che per eventuali procedure camerali particolari). In Cassazione occorre un avvocato iscritto alle giurisdizioni superiori.

4. Strumenti pre-contenziosi (come evitare il ricorso): autotutela, adesione, mediazione

Prima di analizzare come si redige e presenta un ricorso, è utile ricordare brevemente gli strumenti deflattivi del contenzioso. Questi sono procedimenti che permettono di evitare (o chiudere anticipatamente) la lite tributaria, riducendo i tempi e spesso anche le sanzioni dovute. Un buon contribuente – o il suo consulente – dovrebbe valutare questi strumenti prima di intraprendere un ricorso, in quanto talvolta consentono di risolvere la questione senza arrivare davanti al giudice. Ecco i principali:

4.1. Autotutela tributaria: è la procedura per cui l’ufficio che ha emanato l’atto riconosce spontaneamente un errore e lo annulla o rettifica d’ufficio, anche fuori dai casi di contenzioso. Il contribuente può presentare un’istanza di autotutela chiedendo all’ente di riesaminare l’atto (ad esempio perché viziato da errore di calcolo, scambio di persona, doppia imposizione, pagamento già effettuato, evidente decadenza o prescrizione, ecc.). L’autotutela è discrezionale: l’ente non è obbligato a annullare, tranne in situazioni particolari previste dalla legge.

Novità: dal 2024 la riforma ha introdotto il concetto di autotutela obbligatoria in taluni casi. Se l’atto presenta vizi manifesti ed immediatamente riscontrabili (come duplicazione di imponibile, errore materiale palese, soggetto sbagliato, etc.), l’ufficio ha il dovere di annullarlo in autotutela (art. 10-quater Statuto del Contribuente introdotto dal D.Lgs. 219/2023). Il contribuente può sollecitare l’annullamento con un’istanza ad hoc; trascorsi 90 giorni senza esito o in caso di diniego formale, questo silenzio/diniego è impugnabile davanti alla Corte Tributaria. Per le situazioni non rientranti nell’obbligo, resta l’autotutela facoltativa: l’ufficio valuta se accogliere l’istanza; in caso di rifiuto espresso, dal 2024 anche tale rifiuto (se formale) può essere impugnato, ma non il silenzio (cioè se l’ufficio tace, il contribuente dovrà agire sul merito dell’atto originario entro i termini di legge, senza poter impugnare il silenzio in sé).

In sintesi, conviene sempre presentare istanza di autotutela se si ravvisa un errore palese: potresti ottenere l’annullamento senza spese. Tuttavia, non sospende i termini per fare ricorso! Bisogna quindi stare attenti: se l’ufficio non risponde in tempi brevi, occorre presentare comunque il ricorso entro il termine (di 60 giorni) dall’atto, altrimenti si rischia di perdere il diritto alla tutela giurisdizionale. Spesso il contribuente, per prudenza, presenta sia istanza di autotutela sia ricorso; se poi l’autotutela viene accolta, potrà rinunciare al ricorso.

4.2. Accertamento con adesione: è uno strumento che consente al contribuente di negoziare con l’ufficio un accordo sull’imponibile e sulle imposte dovute, prima che il contenzioso vada avanti. Si applica tipicamente dopo la notifica di un avviso di accertamento (o in alcuni casi prima, a seguito di un PVC – processo verbale di constatazione). Il contribuente presenta una richiesta di adesione o concorda un appuntamento: si instaura un contraddittorio orale con i funzionari, al termine del quale, se si trova un accordo, si firma un atto di adesione con la definizione della nuova imposta dovuta. I vantaggi dell’adesione per il contribuente sono: riduzione delle sanzioni a 1/3 del minimo (invece che andare in giudizio con sanzioni piene) e possibilità di pagamento rateale delle somme. L’accertamento con adesione sospende il termine per fare ricorso: in particolare, la presentazione dell’istanza di adesione entro i primi 60 giorni dalla notifica dell’accertamento comporta l’estensione di tale termine di ulteriori 90 giorni (tempo entro cui si dovrebbe definire l’accordo). Se l’accordo non si raggiunge, il contribuente avrà 60 + 90 giorni per presentare ricorso.

L’adesione è indicata quando il contribuente riconosce almeno in parte la fondatezza della pretesa fiscale e vuole ottenere uno sconto sulle sanzioni ed evitare il processo. Se invece ritiene l’accertamento totalmente sbagliato, probabilmente non si giungerà ad un accordo, e in tal caso l’adesione serve solo a guadagnare tempo. Ricorda che una volta firmato l’atto di adesione e pagata (almeno la prima rata) quanto concordato, l’accertamento si definisce e non è più impugnabile.

4.3. Acquiescenza: così viene definita l’accettazione integrale dell’atto da parte del contribuente con pagamento delle somme dovute usufruendo di una riduzione delle sanzioni. Se il contribuente rinuncia a impugnare un avviso di accertamento e paga entro 60 giorni dall’notifica, le sanzioni si riducono a 1/3 (un terzo). L’acquiescenza è formalizzata con il pagamento; non richiede istanze particolari, ma comporta la rinuncia al ricorso. È conveniente quando si riconosce la validità dell’atto e si vuole solo ridurre la penalità. Attenzione: l’acquiescenza non è reversibile – una volta pagato con sanzioni ridotte, non si può poi ricorrere.

4.4. Reclamo e mediazione (istituto abrogato dal 2024): in passato (dal 2012 al 2023) le controversie di valore fino a una certa soglia dovevano passare per una fase obbligatoria di reclamo/mediazione. Il contribuente inviava il ricorso che, per i primi 90 giorni, valeva come “reclamo” all’ufficio: l’Agenzia o ente poteva riesaminare l’atto e eventualmente accogliere in tutto o in parte le richieste, oppure proporre un accordo di mediazione (con sanzioni ridotte al 35%). Se trascorsi 90 giorni non c’era accordo, il ricorso proseguiva in Corte. Dal 2018 la soglia era 50.000 € (in precedenza 20.000 €). Attenzione: Questo istituto è stato abrogato per i ricorsi notificati dal 4 gennaio 2024 in poi. Dunque, attualmente (2025) non è più necessario proporre il reclamo per le liti minori: il ricorso va direttamente avanti in giudizio per tutte le controversie, di qualsiasi valore.

Transitorio: per i ricorsi notificati fino al 3 gennaio 2024 di valore ≤ 50.000 €, continuano ad applicarsi le vecchie regole del reclamo/mediazione. In pratica, chi avesse avviato un reclamo a fine 2023 segue quella procedura. Ma ciò ha rilievo ormai solo per le cause ancora pendenti di quell’epoca. Nel 2025, tutti i nuovi ricorsi partono subito come tali in Corte, senza fase amministrativa intermedia.

4.5. Conciliazione giudiziale: infine, anche una volta incardinato il ricorso in Corte di Giustizia Tributaria, è possibile per le parti trovare un accordo conciliativo. La conciliazione può essere fuori udienza (proposta per iscritto e perfezionata con scambio di atti prima della decisione) o in udienza (davanti al collegio). Se le parti si accordano su un importo inferiore di imposta, la Corte emette decreto che recepisce l’accordo e la controversia si chiude. Il contribuente ottiene sanzioni ridotte al 40% (in primo grado) o al 50% (in secondo grado) del minimo e paga quanto concordato; l’ente rinuncia al resto. Dal 2024, la conciliazione è stata estesa anche al giudizio di cassazione per le liti in quella sede introdotte da gennaio 2024, al fine di deflazionare ulteriormente il contenzioso. Dunque, in qualsiasi fase (primo grado, appello e perfino Cassazione) le parti possono trovare un accordo transattivo. La conciliazione è particolarmente utile quando ci sono incertezza sugli esiti della causa: si chiude la lite in cambio di una riduzione di sanzioni (e talvolta di parte delle imposte).

Quando scegliere gli strumenti deflattivi: in generale, valuta l’adesione se ci sono margini per ridurre la pretesa evitando il ricorso; usa l’autotutela se l’errore è evidente; scegli la conciliazione se in giudizio emergono elementi per un compromesso. Se invece ritieni l’atto totalmente sbagliato e vuoi far valere le tue ragioni integralmente, prepara il ricorso e prosegui con il giudizio.

5. Termini per presentare il ricorso e decadenze

Una delle cose più importanti nel contenzioso tributario è rispettare i termini. Il mancato rispetto del termine di proposizione del ricorso rende l’atto definitivo e incontestabile (il ricorso tardivo è inammissibile). Vediamo quindi qual è la tempistica da rispettare.

5.1. Termine per la proposizione del ricorso: salvo eccezioni particolari, il ricorso va proposto entro 60 giorni dalla data di notificazione dell’atto impugnato. Ciò significa che dall’indomani della ricezione dell’atto (che avviene tramite raccomandata, PEC o notifica dell’ufficiale giudiziario) si contano 60 giorni di calendario. Se il 60° giorno cade di sabato, domenica o festivo, è prorogato al primo giorno lavorativo successivo. È un termine decadenziale: oltre questo periodo, l’atto non può più essere impugnato e diventa definitivo (fatti salvi casi eccezionali di rimedi straordinari, non oggetto di questa guida).

  • Esempio: Mario riceve un avviso di accertamento IRPEF il 10 marzo 2025. Il termine per fare ricorso inizia l’11 marzo e scade il 10 maggio 2025 (60° giorno). Se il 10 maggio fosse domenica, avrebbe tempo fino a lunedì 11 maggio.

Eccezioni alla regola dei 60 giorni:

  • In caso di rifiuto tacito di rimborso, il ricorso non può essere proposto prima che siano decorsi 90 giorni dall’istanza di rimborso presentata dal contribuente. Trascorsi 90 giorni senza risposta (silenzio), si forma il “diniego tacito” che diventa impugnabile; non c’è un termine massimo immediato, ma conviene attivarsi entro 60 giorni dallo scadere di quei 90 giorni, per analogia con gli altri casi (in realtà, in assenza di risposta l’istanza rimane pendente e il contribuente potrebbe attendere anche oltre, ma si espone al rischio di vedersi eccepire decadenze con interpretazioni controverse). Se invece dopo l’istanza di rimborso l’amministrazione emette un diniego espresso prima dei 90 giorni, allora si impugna quello entro 60 giorni dalla notifica.
  • In caso di silenzio-rigetto sull’autotutela obbligatoria (novità 2024): anche qui occorre attendere 90 giorni dall’istanza di autotutela “obbligatoria” prima di poter ricorrere. Trascorso il silenzio, si apre la possibilità di ricorrere entro 60 giorni (anche qui per analogia).
  • In caso di atti emessi dall’Agenzia delle Dogane (per diritti doganali), il termine è più breve: 40 giorni dalla notifica, per disposizioni speciali.
  • Per alcuni atti diversi dal mero accertamento (es: iscrizione di ipoteca fiscale, fermo), la giurisprudenza ha talvolta ritenuto applicabili termini diversi. Ma in generale, considera 60 giorni la regola aurea.

Interruzione e sospensione dei termini: eventi eccezionali come calamità naturali possono sospendere i termini (con provvedimenti normativi ad hoc). Inoltre, se il contribuente presenta un accertamento con adesione (vedi sopra), i 60 giorni sono sospesi per 90 giorni extra dalla data di presentazione dell’istanza di adesione. In questo caso il computo è: esempio, atto notificato il 1° marzo, il contribuente fa istanza adesione il 20 marzo (entro i primi 60gg), il termine per ricorrere che scadeva il 30 aprile viene “fermato” e riprenderà (se l’adesione non conclude accordo) dal 18 giugno in poi per i giorni residui.

Se l’ufficio emette in autotutela un provvedimento di sospensione dell’atto o di revoca parziale, questo non proroga formalmente i termini di ricorso a meno che non sia comunicato come proposta di annullamento da accettare. Attenzione quindi a non confondere: solo l’adesione (e prima del 2024 il reclamo) sospendono il termine di ricorso in modo esplicito.

5.2. Termini per gli atti del giudizio di appello: se dopo il primo grado una delle parti vuole appellare la sentenza, dovrà farlo entro 60 giorni dalla notifica della sentenza di primo grado. Se la sentenza non viene notificata dalla controparte, il termine cosiddetto “lungo” è di 6 mesi (180 giorni) dalla pubblicazione del dispositivo (deposito della sentenza). Questi termini per appello e per ricorso in Cassazione li approfondiremo nelle sezioni dedicate (capitoli 10 e 11). L’importante è avere presente che ogni fase ha le sue scadenze e la tempestività è fondamentale.

5.3. Esempio pratico di calcolo dei termini:

  • Luigi riceve una cartella esattoriale il 15 settembre 2025. Termine per ricorso: 60 gg => scade il 14 novembre 2025.
  • Maria presenta domanda di rimborso IRPEF il 1° febbraio 2025. L’ufficio non risponde. Dal 3 maggio 2025 (90 gg dopo) Maria potrebbe già proporre ricorso per silenzio. Decide di aspettare; il 1° agosto 2025 l’ufficio notifica un diniego esplicito: Maria avrà 60 gg da quella notifica (scadenza fine settembre) per ricorrere.
  • Società Alfa riceve avviso di accertamento IRES il 10 ottobre 2024. Presenta istanza di adesione il 5 novembre 2024. I 60 gg (che sarebbero scaduti il 9 dicembre 2024) sono sospesi di 90 gg. La nuova scadenza del termine di ricorso diventa il 9 marzo 2025 (salvo accordo nelle more).

Di seguito una tabella riepilogativa dei principali termini del processo tributario in primo grado:

Fase / AttoTermineRiferimento normativo
Presentazione del ricorso (primo grado)Entro 60 giorni dalla notifica dell’atto impugnato. Eccezioni: dopo 90 giorni per silenzio-rimborso o silenzio-autotutela obbligatoria.Art. 21 D.Lgs. 546/92
Notifica del ricorso all’ente resistenteDeve avvenire entro lo stesso termine di 60 giorni (coincide con proposizione del ricorso). In pratica, il ricorso va notificato all’ente impositore entro il 60° giorno.Art. 20 D.Lgs. 546/92
Costituzione in giudizio del ricorrente (deposito in Corte)Entro 30 giorni dalla data di avvenuta notifica del ricorso alla controparte. (Questo è un termine perentorio a pena di inammissibilità).Art. 22 D.Lgs. 546/92
Costituzione in giudizio del resistente (ente)Entro 60 giorni dal ricevimento del ricorso notificato. (Il resistente deposita memorie e documenti).Art. 23 D.Lgs. 546/92
Deposito di documenti dalle partiFino a 20 giorni liberi prima dell’udienza di trattazione. (20 giorni liberi = senza contare il giorno dell’udienza e quello del deposito).Art. 32 D.Lgs. 546/92
Deposito memorie illustrative (conclusive)Fino a 10 giorni liberi prima dell’udienza. (Eventuali memorie di replica a nuove difese avversarie talvolta ammesse fino a 5 giorni prima, se consentito dal presidente).Art. 32 e prat. comm.
Sentenza di primo gradoDi regola depositata entro 30 giorni dalla decisione, ma non c’è un termine perentorio per la Corte. Diventa definitiva se non appellata entro termini previsti.Art. 37 D.Lgs. 546/92
Appello (ricorso in secondo grado)Entro 60 giorni dalla notifica della sentenza di primo grado, oppure 6 mesi dalla pubblicazione se non notificata.Art. 51 D.Lgs. 546/92

(Nota: “deposito” oggi avviene telematicamente, come vedremo, e coincide con l’invio tramite portale; i termini “liberi” significano che non si conta il giorno finale.)

6. Redazione del ricorso introduttivo (primo grado)

Passiamo ora a come scrivere materialmente il ricorso da presentare alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado. Questo atto introduttivo è il documento più importante: contiene le ragioni del contribuente e dà il via al processo. Redigerlo in modo chiaro, completo e rispettoso delle formalità di legge è fondamentale per il buon esito della causa.

6.1. Contenuto obbligatorio del ricorso: l’art. 18 del D.Lgs. 546/1992 elenca gli elementi essenziali che devono comparire nel ricorso, pena l’inammissibilità o comunque la necessità di integrazione. Un ricorso ben fatto dovrebbe includere:

  • Intestazione e autorità adìta: va indicato l’organo giurisdizionale competente, ossia “Alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di [Nome della Provincia/Regione]”. È importante specificare la sede esatta (es: di Milano, di Napoli, etc., a seconda di dove risiede l’ufficio che ha emesso l’atto o dove si trova il tributo in caso di ente locale).
  • Dati del ricorrente: generalità complete del contribuente che ricorre. Per persona fisica: nome, cognome, codice fiscale, residenza (o domicilio eletto ai fini del ricorso se diverso). Per persona giuridica: denominazione, sede legale, codice fiscale/partita IVA, nome del legale rappresentante pro tempore. Se c’è un difensore, indicare anche i suoi dati (nome, titolo professionale, iscrizione albo, studio, PEC).
  • Dati dell’ente resistente: denominazione dell’ente contro cui si ricorre. Esempio: “Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di …” oppure “Comune di …, Settore Tributi”. È prassi indicare anche l’indirizzo della sede e la PEC istituzionale se nota.
  • Atto impugnato: occorre individuare con precisione l’atto che si contesta: tipologia (avviso di accertamento, cartella, etc.), numero di protocollo o riferimento, data di emissione, estremi di notifica (data in cui è stato ricevuto). Ad esempio: “atto n. T12345678/2025 notificato in data 10/03/2025”.
  • Oggetto della domanda: una breve frase iniziale che enuncia cosa si chiede: tipicamente “annullamento, previa sospensione, dell’atto impugnato”. In genere, dopo i dati iniziali molti ricorsi proseguono con formula tipo: “propone ricorso avverso l’atto … chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi”.
  • Esposizione dei fatti: una parte in cui si descrivono le circostanze fattuali. Qui si racconta la vicenda: ad esempio, quando e come si è ricevuto l’atto, a cosa si riferisce (tali annualità d’imposta, tali tributi), eventuali atti antecedenti (come un PVC, un invito, una comunicazione di irregolarità) e ogni elemento utile a contestualizzare. È importante la chiarezza: il giudice deve capire cosa è successo e perché sei stato raggiunto da quell’atto.
  • Motivi di ricorso (ragioni di diritto): questa è la sezione cruciale dove si articolano i motivi di impugnazione, ossia le censure che il ricorrente muove all’atto. Ogni motivo dovrebbe idealmente essere distinto (spesso numerato: “Motivo 1, Motivo 2,…”). Esempi di motivi: “Violazione di legge” (si indica quale legge l’atto avrebbe violato), “Erroneità dei presupposti di fatto”, “Travisamento dei fatti”, “Infrazione di principi dello Statuto del contribuente”, “Omessa motivazione”, “Errori di calcolo”, etc., a seconda del caso. Qui si possono citare norme (articoli di legge, regolamenti) e anche precedenti di giurisprudenza a sostegno. È buona norma argomentare in maniera logica e sintetica: ogni motivo dovrebbe chiudersi con la spiegazione di come l’errore evidenziato comporti l’annullamento (totale o parziale) dell’atto.
  • Richiesta conclusiva (petitum): alla fine, vanno riassunte le richieste al giudice. Di solito: “Si chiede che la Corte adita voglia annullare l’atto impugnato, in tutto ovvero in parte, per i motivi esposti. Con vittoria di spese di giudizio.” Se ci sono richieste incidentali, ad esempio la sospensione dell’atto, vanno inserite (in genere come istanza separata, ma si può menzionare: “nonché disporre in via cautelare la sospensione dell’esecuzione dell’atto”). Inoltre, se il ricorrente vuole optare per la trattazione in pubblica udienza (anziché camerale), dovrebbe farne menzione nelle conclusioni (es: “si chiede la discussione in pubblica udienza”).
  • Indicazione del valore della lite: come detto, è obbligatorio indicare il valore economico della controversia nelle conclusioni. Es: “Valore della controversia: € 20.000,00”. Questo serve per il contributo unificato e per determinare eventualmente il giudice monocratico.
  • Luogo, data e firma: il ricorso si chiude con l’indicazione del luogo e della data di redazione e la firma del difensore (o del contribuente se sta in proprio). Se c’è il difensore, va aggiunta la formula di autenticazione della firma del cliente in calce alla procura (di solito già allegata).
  • Elenco degli allegati: in calce si specifica l’elenco dei documenti allegati al ricorso. Obbligatoriamente: copia dell’atto impugnato, prova della sua notifica (quando disponibile, es. ricevuta PEC o relata), copia della procura alle liti, ricevuta del pagamento del contributo unificato, eventuali documenti a supporto (dichiarazioni, comunicazioni, estratti conto, normative, etc., pertinenti al caso).

6.2. Stile e lunghezza dell’atto: il ricorso tributario non ha un limite di lunghezza, ma è preferibile che sia conciso e chiaro. Recenti riforme hanno enfatizzato il principio di sinteticità: atti troppo prolissi possono essere scoraggiati e addirittura il giudice può tener conto della loro scarsa chiarezza nella liquidazione delle spese. Pertanto, meglio evitare digressioni inutili e concentrarsi sui motivi essenziali. Un ricorso tipico può variare da 5 a 15 pagine, secondo la complessità. È utile suddividere in paragrafi con titoletti (es: “In fatto – …”, “In diritto – …”) e numerare i motivi.

6.3. Forma di deposito: cartaceo o telematico? Dal 1° luglio 2019 il Processo Tributario Telematico (PTT) è diventato obbligatorio per i difensori e le parti abilitate, e con le ultime modifiche normative è diventato lo strumento esclusivo per depositare atti e documenti. In pratica oggi il ricorso si prepara su PC in formato digitale (PDF) e si sottoscrive con firma digitale del difensore. La notifica all’ente resistente avviene tramite PEC (Posta Elettronica Certificata) inviando il ricorso all’indirizzo PEC istituzionale dell’ente (per Agenzia Entrate e Riscossione questi indirizzi sono pubblicati sui siti, per i Comuni spesso si trovano negli atti o sull’Indice PA). Dopo la notifica via PEC, il ricorrente effettua la costituzione in giudizio telematica depositando il tutto tramite il Portale della Giustizia Tributaria (Sistema SIGIT) o sempre via PEC alla casella PEC della Corte tributaria competente.

L’uso del cartaceo ormai è residuale: è ammesso solo in via eccezionale e per i contribuenti che stanno in giudizio personalmente senza PEC. La norma prevede che le parti che si difendono da sole possano eccezionalmente utilizzare il cartaceo, ma devono comunque rispettare le forme di notifica tradizionali (consegna dell’atto tramite ufficiale giudiziario o raccomandata A/R). Di fatto, nel 2025 quasi tutti i ricorsi vengono gestiti telematicamente. Dalla data del 2 settembre 2024, la modalità telematica è diventata obbligatoria senza eccezioni per depositi e notifiche, salvo autorizzazione espressa a usare il cartaceo in casi particolari. Dunque, se non si rientra in ipotesi eccezionali, si dovrà predisporre tutto digitalmente.

6.4. Modello fac-simile di ricorso: Di seguito proponiamo uno schema semplificato di ricorso introduttivo, per dare un’idea di come strutturare l’atto. I dati sono di fantasia:

Alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Roma

Ricorso ex art. 18 D.Lgs. 546/1992

Ricorrente: Sig. Mario ROSSI (C.F. RSSMRA80A01H501U), residente in Roma (RM), Via Esempio n.1,
rappresentato e difeso dall’Avv. Luca Bianchi (C.F. BNC...; fax ...; PEC luca.bianchi@pecordineavvocati.it),
presso il cui studio in Roma, Via... elegge domicilio giusta procura in calce.

Resistente: Agenzia delle Entrate - Direzione Provinciale di Roma 1, in persona del Direttore pro tempore, con sede in Roma, Via... (PEC: dp.roma1.contenzioso@pec.agenziaentrate.it).

Oggetto: Impugnazione avviso di accertamento n. 1234567890 del 01/03/2025, notificato il 10/03/2025, emesso dall’Agenzia delle Entrate DP Roma 1, per IRPEF 2019.

Fatti in breve:
Il Sig. Mario Rossi, titolare di partita IVA ..., ha ricevuto in data 10 marzo 2025 un avviso di accertamento dall’Agenzia delle Entrate, con cui si rettifica il reddito dichiarato per l’anno d’imposta 2019, accertando maggiori ricavi per €50.000 e maggior IRPEF dovuta di € 18.000, oltre sanzioni per € 5.400 (30%) e interessi. L’atto trae origine da una verifica fiscale conclusa con PVC il 20/12/2024, nella quale si contestava un presunto sottofatturato. Il ricorrente ha presentato istanza di adesione il 5/04/2025, che non ha portato ad accordo (conclusa negativamente il 30/05/2025). Pertanto propone il presente ricorso nei termini di legge.

Motivi di ricorso:

1. Violazione di legge – mancata indicazione dei criteri di calcolo (art. 7 L.212/2000): L’avviso impugnato risulta carente di motivazione sotto il profilo della quantificazione dei ricavi non dichiarati. L’ufficio si è limitato ad affermare che “in base a studi di settore” il contribuente avrebbe dovuto dichiarare €50.000 in più, senza però allegare i calcoli o spiegare perché i costi documentati sarebbero stati disattesi. Ciò viola l’art. 7 dello Statuto del Contribuente, che impone di motivare gli atti indicando presupposti di fatto e le ragioni giuridiche. In giurisprudenza si è affermato che la motivazione per relationem è illegittima se gli elementi richiamati non sono allegati (Cass. n. XXXX/…), vizio che ricorre nel caso di specie. 

2. Infondatezza nel merito – prova contraria non considerata: Il ricorrente ha fornito all’ufficio, in fase di adesione, copiosa documentazione (corrispondenza con clienti, contratti) attestante che il minor fatturato 2019 era dovuto a una contrazione reale delle commesse, e non a vendite in nero. Tali elementi, che qui si ripropongono, dimostrano l’assenza di maggiori ricavi. L’accertamento standardizzato basato sugli indici non può prevalere sulla prova concreta offerta dal contribuente, come sancito dalla Corte di Cassazione (v. Cass. SS.UU. n. 26635/2009). L’ufficio non ha confutato tali prove, rendendo l’accertamento ingiustificato nel merito.

(Si possono aggiungere ulteriori motivi, ciascuno numerato e argomentato come sopra.)

Conclusioni:
Alla luce di tutto quanto esposto, il Sig. Mario Rossi, come in epigrafe rappresentato e difeso, chiede che codesta Ecc.ma Corte di Giustizia Tributaria di primo grado voglia:
- In via principale, annullare integralmente l’avviso di accertamento n. 1234567890 del 01/03/2025, per i motivi di legittimità e merito esposti;
- In via subordinata, annullare e/o ridurre detto avviso nella misura ritenuta di giustizia, eliminando in ogni caso la duplicazione di imposta e riquantificando le somme eventualmente dovute;
- Con vittoria di spese di giudizio a carico dell’ente resistente.

Si formula istanza di discussione in pubblica udienza.

Si allegano:
1. Copia avviso di accertamento impugnato e relativa relata PEC di notifica;
2. Procura alle liti sottoscritta (Allegato/sub 1);
3. Ricevuta versamento contributo unificato € 120,00;
4. Documenti di prova (dal n. 2 al n. 10, indice separato);
5. Copia istanza di accertamento con adesione presentata il 05/04/2025.

Luogo e Data: Roma, 08/06/2025

Firma digitale Avv. Luca Bianchi

(Fac-simile puramente indicativo: ogni ricorso va adattato al caso concreto.)

Come si nota dal modello, è importante essere completi nei riferimenti e precisi nelle richieste. Nel caso specifico, il valore della controversia sarebbe di € 18.000 (imposta accertata) + € 5.400 (sanzioni) = € 23.400; essendo sopra 3.000 €, serve difensore, e sotto 50.000 € l’atto produceva effetti di reclamo solo fino al 2023 (ormai non più rilevante). Il contributo unificato versato è di € 120 (come da tabella per valore fino a 25.000 €, vedi sezione 8.3).

6.5. Errori da evitare nella redazione:

  • Non dimenticare di indicare il valore di lite e di pagare il contributo unificato (pena, in costituzione, rilievo d’ufficio e obbligo di integrazione al massimo).
  • Non superare i motivi introdotti: in corso di giudizio non si possono aggiungere nuovi motivi che non siano già compresi (a meno di “motivi aggiunti” per eventi sopravvenuti nei 60 giorni, ma sono casi particolari).
  • Evitare espressioni offensive o sconvenienti: mantenere sempre un tono professionale e rispettoso verso l’autorità giudiziaria e la controparte.
  • Verificare che i documenti citati nei motivi siano effettivamente allegati e viceversa.
  • Se si ricorre contro più atti con un ricorso unico, assicurarsi che vi sia connessione tra essi (es. più cartelle relative allo stesso periodo): altrimenti è preferibile presentare ricorsi separati.

Con un ricorso ben redatto, hai posto le basi per una buona trattazione della causa. Nel prossimo capitolo vedremo cosa fare dopo aver scritto il ricorso: la notifica all’ente e la costituzione in giudizio.

7. Notifica del ricorso all’ente impositore e costituzione in giudizio

Dopo aver redatto e firmato il ricorso, occorre notificarlo correttamente all’ente che ha emesso l’atto impugnato (fase di “proposizione del ricorso”) e successivamente costituirsi in giudizio presso la Corte tributaria depositando gli atti (fase di “iscrizione a ruolo” del ricorso). Vediamo in dettaglio queste operazioni.

7.1. Modalità di notifica del ricorso: la notifica è il modo ufficiale in cui si porta a conoscenza dell’ente resistente che è stato presentato un ricorso contro un suo atto. Oggi, con il processo telematico obbligatorio, la notifica avviene di norma via PEC:

  • Il difensore del contribuente invia un messaggio PEC all’indirizzo PEC istituzionale dell’ente, allegando il ricorso in formato PDF firmato digitalmente, insieme alla procura alle liti e agli eventuali altri allegati rilevanti. L’oggetto e il testo della PEC devono indicare che si tratta di una notifica di ricorso (è consigliato inserire formule tipo “Notificazione telematica ai sensi del D.M. 163/2013”).
  • È necessario utilizzare un indirizzo PEC proprio del notificante (difensore o contribuente). La ricevuta di accettazione e quella di avvenuta consegna generate dal sistema PEC costituiranno la prova della notifica.
  • L’indirizzo PEC del destinatario (Agenzia o Comune) si reperisce: per l’Agenzia delle Entrate, solitamente dall’atto stesso (spesso indicano un loro indirizzo PEC per il contenzioso) o dall’IPA (Indice Pubbliche Amministrazioni); per i Comuni, dall’albo Pretorio online o dall’IPA; per Agenzia Entrate Riscossione, sul sito è disponibile la lista per regioni. È fondamentale inviare alla PEC giusta, altrimenti la notifica potrebbe risultare nulla.

In alternativa alla PEC (ormai residuale, solo se la PEC non funziona o per chi non può usarla), sono possibili le modalità tradizionali:

  • Notifica a mezzo ufficiale giudiziario: l’atto viene consegnato all’UNEP che lo notifica all’ente (in pratica, all’indirizzo della sede dell’ente, consegnandolo alla persona addetta). Poco utilizzato per PA dotate di PEC, ma teoricamente possibile.
  • Notifica a mezzo posta raccomandata A/R: il ricorso si spedisce in plico raccomandato senza busta, con avviso di ricevimento, direttamente all’ente. (Attualmente, però, l’art. 16 D.Lgs. 546 è stato modificato prevedendo la notifica “con raccomandata con avviso di ricevimento” in luogo dell’obsoleto “plico senza busta”, quindi è ammessa la raccomandata standard con ricevuta). Questa modalità è accessibile soprattutto al contribuente senza PEC.

La notifica si intende perfezionata, per il notificante, alla data di invio PEC (o di consegna all’ufficiale/posta) e, per il destinatario, alla data di consegna effettiva (ricevuta PEC di consegna o firma sulla ricevuta postale). In genere ai fini del termine dei 60 giorni conta la spedizione per il ricorrente.

7.2. La costituzione in giudizio del ricorrente: una volta notificato il ricorso, il contribuente deve costituirsi presso la Corte tributaria adita entro 30 giorni. Oggi questa operazione si fa telematicamente:

  • Tramite il Portale SIGIT – Ministero delle Finanze (Giustizia Tributaria): il difensore accede con SPID/CNS o credenziali, sceglie “Deposito Ricorso”, allega il ricorso notificato (inclusivo di relata di notifica PEC), la procura, la ricevuta del contributo unificato e tutti i documenti, compilando i campi richiesti (dati parti, valore, etc.). Alla fine invia e il sistema rilascia una ricevuta di protocollo.
  • In alternativa, tramite invio PEC all’indirizzo PEC della Corte tributaria, allegando tutti gli atti in un unico messaggio. Il D.M. 163/2013 consente anche la costituzione via PEC, ma la prassi più diffusa è usare direttamente il portale (che garantisce anche il controllo formale dei documenti).

Nella costituzione telematica è fondamentale allegare:

  • La copia del ricorso come notificato (il PDF firmato digitalmente che è stato spedito, comprensivo della firma e, se la notifica è PEC, va allegata anche la ricevuta di consegna PEC oppure una attestazione di conformità in cui il difensore dichiara che la stampa del messaggio PEC e ricevute corrispondono all’originale digitale – queste tecnicalità sono dettagliate nel DM 163/2013).
  • La procura alle liti.
  • La copia dell’atto impugnato (scansionato se cartaceo, o la stampa della PEC con cui è stato notificato l’atto originario).
  • La prova della notifica dell’atto impugnato (es: ricevuta PEC dell’atto originario, o relata postale se l’accertamento è arrivato per raccomandata).
  • La ricevuta di pagamento del Contributo Unificato Tributario (CUT) dovuto.

La costituzione è il momento in cui il ricorso viene iscritto nel registro della Corte. Se non ci si costituisce nei 30 giorni, il ricorso (pur notificato) non avrà seguito: tecnicamente è come se non fosse mai giunto al giudice, e verrà dichiarato inammissibile. Dunque, attenzione a non dimenticare questo passaggio.

7.3. Pagamento del contributo unificato: il contributo unificato è una tassa di iscrizione alla causa, variabile in base al valore della lite. Deve essere pagato dal ricorrente al momento della costituzione. Nel processo tributario il pagamento può avvenire tramite modello F23 (utilizzando il codice tributo apposito), oppure – metodo più moderno – tramite il sistema pagoPA dal Portale Giustizia Tributaria. Un metodo tradizionale era l’acquisto e l’applicazione del contrassegno telematico (marca da bollo digitale) sul modulo di deposito, ma con il telematico è caduto in disuso.

Gli importi del contributo unificato tributario (CUT) per primo e secondo grado, attualmente, sono i seguenti:

  • Valore della lite fino a € 2.582,28 → € 30,00 di contributo.
  • Oltre € 2.582,28 e fino a € 5.000 → € 60,00.
  • Oltre € 5.000 e fino a € 25.000 → € 120,00.
  • Oltre € 25.000 e fino a € 75.000 → € 250,00.
  • Oltre € 75.000 e fino a € 200.000 → € 500,00.
  • Oltre € 200.000 → € 1.500,00.

(Questi importi sono stati uniformati per primo e secondo grado; per il ricorso per Cassazione, invece, il contributo è equiparato a quello previsto per le cause civili di pari valore, risultando in pratica raddoppiato rispetto a primo grado in alcune fasce, come dettagliato dalla normativa.)

Il contributo unificato deve essere indicato nell’atto e comprovato al momento del deposito. Se per errore si versa meno del dovuto (per errata valutazione del valore), l’ufficio di segreteria chiederà l’integrazione. La mancata integrazione può portare alla riscossione coattiva della differenza e, in casi estremi, problemi nella registrazione del ricorso. Invece, un eccesso versato non viene automaticamente rimborsato, ma il giudice può disporre la rifusione nelle spese se il ricorrente vince.

7.4. Costituzione dell’ente resistente: dal lato dell’ente impositore, una volta ricevuto il ricorso, esso ha 60 giorni per depositare il proprio atto di costituzione in giudizio (spesso chiamato “memoria di controdeduzioni”). L’Agenzia o l’ente locale si difenderà tipicamente tramite un proprio ufficio legale interno o l’Avvocatura dello Stato (per l’Agenzia Entrate Riscossione spesso è l’Avvocatura). L’atto di costituzione dell’ente deve contenere:

  • L’indicazione dell’ufficio che rappresenta l’ente nel processo.
  • Le controdeduzioni ai motivi di ricorso: punto per punto, l’ente replica alle tesi del contribuente, difendendo la legittimità dell’atto impugnato. Possono essere eccepite anche questioni di inammissibilità (es: ricorso tardivo, vizio di notifica, difetto di giurisdizione, ecc.).
  • Eventuali eccezioni riconvenzionali (l’ente non può aumentare la pretesa in giudizio – c.d. divieto di reformatio in peius – ma può fare domande accessorie, ad esempio chiedere la condanna alle spese, o sottoporre al giudice questioni come la compensazione di un credito, etc.).
  • Documenti a sostegno (spesso allegano copia dell’atto impugnato, del PVC, di comunicazioni al contribuente, estratti di legge, ecc.).

Se l’ente non si costituisce per nulla entro i termini (resta contumace), il processo prosegue comunque sulla base del ricorso del contribuente. La mancata costituzione dell’ente non significa ammissione delle ragioni del ricorrente, ma certamente indebolisce la sua posizione perché rinuncia a difendersi attivamente (il giudice però potrebbe comunque rigettare il ricorso se lo ritiene infondato in diritto anche senza difesa erariale). In pratica, l’Agenzia Entrate si costituisce quasi sempre, specie per cause di un certo rilievo; a volte i Comuni piccoli possono non costituirsi per importi modesti.

7.5. Numero di copie e conformità (per chi opera in cartaceo): nel processo cartaceo (sempre più raro), il ricorrente doveva depositare in segreteria tante copie del ricorso quanti sono i giudici e le controparti, oltre l’originale, e apporre la marca del contributo. Nel telematico, il problema non si pone: si carica una sola copia digitale e saranno le parti/giudici a riprodurla se occorre. Se il contribuente notifica per posta un originale cartaceo, per costituirsi telematicamente dovrà scannerizzarlo e depositarlo dichiarandone la conformità all’originale notificato, come da regole tecniche.

7.6. Riepilogo iniziale del fascicolo processuale: una volta completate le fasi di notifica e costituzioni, il fascicolo del processo conterrà almeno:

  • Ricorso del contribuente con allegati.
  • Prova della notifica del ricorso (PEC o ricevuta).
  • Memoria di controdeduzioni dell’ente con allegati (se presentata).
  • Varie ricevute di deposito telematico.

Ora la causa è “instaurata” e pronta per la fase di trattazione e decisione. Nel prossimo paragrafo vedremo come si svolge il dibattimento, dallo scambio di memorie alla discussione in udienza e alla sentenza di primo grado.

8. Svolgimento del giudizio di primo grado

Una volta che entrambe le parti sono costituite (o comunque decorso il tempo per farlo), la controversia entra nel vivo della fase processuale davanti alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado. Esploreremo i vari momenti: eventuali attività istruttorie, trattazione in camera di consiglio o in udienza pubblica, fino alla decisione finale.

8.1. Fase interlocutoria e controlli preliminari: in molti casi, dopo la costituzione delle parti, c’è un periodo di relativa quiete in attesa dell’udienza. La segreteria della Corte assegna il fascicolo a una sezione e a un relatore (uno dei giudici del collegio) e fissa la data di trattazione. Il presidente della sezione effettua alcuni controlli preliminari: ad esempio può rilevare d’ufficio eventuali inammissibilità (ricorso tardivo, vizio di notifica del ricorso, difetto di firma, ecc.) e in alcuni casi può invitare le parti a sanare irregolarità (come detto, se mancava il difensore o la firma, può emettere decreto presidenziale di integrazione). In genere però, salvo irregolarità evidenti, il fascicolo viene portato a decisione collegiale.

Se il ricorso riguarda più atti connessi o ci sono ricorsi distinti su questioni analoghe (ad esempio stesso contribuente per anni diversi, o stesso tema che coinvolge più contribuenti), il presidente può disporre la riunione dei procedimenti, così da decidere con un’unica sentenza.

8.2. Attività istruttoria e prove: il processo tributario è generalmente basato sugli atti scritti e sui documenti prodotti. Non c’è una vera e propria istruttoria dibattimentale come nei processi penali; tuttavia:

  • Le prove documentali sono fondamentali. Ciascuna parte può produrre documenti a supporto delle proprie argomentazioni fino a 20 giorni liberi prima dell’udienza. Quindi, se emergono nuovi documenti rilevanti (ad esempio un ravvedimento effettuato, una perizia, dei contratti), si possono depositare entro tale termine.
  • La prova testimoniale era storicamente non ammessa nel giudizio tributario (art. 7 D.Lgs. 546/92 lo escludeva), se non in forma di dichiarazioni scritte rese dal terzo e confermate in allegati. La riforma tuttavia, in via sperimentale, ha introdotto la possibilità di acquisire testimonianze per iscritto mediante un particolare procedimento. In pratica, la parte può chiedere al giudice di ammettere un testimone su fatti rilevanti: se il giudice acconsente, il testimone non verrà in udienza ma dovrà compilare un modulo di deposizione testimoniale (predisposto dal Dipartimento Giustizia Tributaria) e sottoscriverlo (preferibilmente digitalmente), il quale verrà acquisito al fascicolo. È una forma di testimonianza scritta sotto controllo del giudice. Questa novità mira a colmare (parzialmente) l’assenza di prova testimoniale, ma è limitata: il giudice può ammetterla solo se strettamente necessaria, e resta il divieto di ammettere testi per fatti coperti da presunzione legale (es. i redditi determinati da indagini finanziarie non si provano per testimoni, come già previsto).
  • Consulenza tecnica d’ufficio (CTU): il giudice tributario può nominare consulenti tecnici per valutazioni specialistiche (ad esempio per perizie contabili complesse, valutazioni immobiliari per IMU, etc.). È previsto dall’art. 7 che il giudice possa “assumere informazioni” e avvalersi di ausiliari. Nella pratica, le CTU in campo tributario sono rare, ma possibili in casi complicati di ricostruzione contabile o di stima.
  • Richiesta di informazioni all’Amministrazione: un potere peculiare del giudice tributario (art. 7 c. 3 D.Lgs. 546/92) è chiedere direttamente chiarimenti all’ente impositore, ordinare l’esibizione di documenti in suo possesso o disporre che completi accertamenti. Ad esempio, in cause su cartelle, il giudice può ordinare all’Agente della Riscossione di produrre le prove delle notifiche di ogni atto a monte.

Le parti possono presentare istanze istruttorie (chiedere al giudice di disporre una CTU, di ammettere la testimonianza, etc.), ma la decisione spetta sempre alla Corte, che valuta se la controversia è già decidibile in base agli elementi documentali forniti.

8.3. Scambio di memorie prima dell’udienza: come anticipato, esistono termini per il deposito di memorie illustrative da parte di entrambe le parti:

  • Fino a 10 giorni liberi prima dell’udienza, ciascuna parte può depositare una memoria in cui sintetizza le proprie deduzioni finali. Queste memorie spesso servono per replicare alle tesi avversarie emerse nelle controdeduzioni dell’ente o per sottolineare elementi fondamentali.
  • Non sono previste formalmente “memorie di replica” a 5 giorni (pratica comune nel processo amministrativo), se non quando il giudice le autorizzi in casi specifici. Alcune Corti, per prassi, accettano memorie anche tardive, ma per sicurezza attenersi ai 10 giorni.
  • Dopo il deposito delle memorie illustrative finali, il fascicolo è chiuso: eventuali ulteriori produzioni oltre i termini potrebbero non essere tenute in considerazione, a meno che la controparte non acconsenta o il giudice le ammetta eccezionalmente.

8.4. Fissazione e avviso di trattazione: la segreteria comunica la data fissata per la trattazione della causa, con un avviso di trattazione che viene notificato via PEC ai difensori almeno 30 giorni prima dell’udienza. L’avviso indica se la causa sarà trattata in camera di consiglio o in pubblica udienza e la data/ora.

  • Camera di consiglio significa a porte chiuse, senza presenza delle parti. È la modalità “ordinaria” se nessuna delle parti ha chiesto espressamente la discussione orale. In tal caso, la Corte decide sulla base degli atti scritti.
  • Pubblica udienza significa che la causa sarà chiamata in un’udienza pubblica dove le parti (o i loro difensori) possono comparire e discutere oralmente davanti al collegio. La pubblica udienza avviene se almeno una delle parti ne ha fatto richiesta (di solito il contribuente lo richiede nelle conclusioni del ricorso, o l’ente nella costituzione). Anche d’ufficio il presidente può disporla se la ritiene opportuna. In pubblica udienza, l’udienza è aperta al pubblico e c’è uno scambio orale: prima il relatore espone in sintesi la causa, poi il difensore del ricorrente prende la parola riassumendo i punti salienti, quindi il difensore dell’ente replica. Spesso i tempi sono brevi (pochi minuti per parte, salvo cause complesse) ma servono a enfatizzare i punti chiave e a rispondere ad eventuali domande dei giudici. Finita la discussione, il collegio si ritira in camera di consiglio per deliberare.

Negli ultimi anni, complici le misure emergenziali e l’informatizzazione, è stata introdotta la trattazione da remoto e anche la possibilità di sostituire la discussione orale con note scritte. Ad oggi (2025) la parte può chiedere, in luogo della presenza fisica, di collegarsi da remoto in udienza (es. via videoconferenza). Questo può facilitare avvocati lontani dalla sede della Corte. Inoltre esiste la facoltà di accordarsi per la rinuncia alla discussione orale se entrambe le parti la ritengono non necessaria, lasciando decidere ai giudici su base scritta.

8.5. Discussione in udienza e chiusura del dibattimento: se si tiene la pubblica udienza, come detto le parti fanno i loro interventi orali. Non è il momento per presentare nuovi documenti o nuovi motivi (non ammessi), ma piuttosto per chiarire e convincere. Non c’è giuramento o interrogatorio delle parti in questa sede (non è un processo con testimoni presenti salvo rarissimi casi di audizione informale). Terminata la discussione, il presidente dichiara chiusa la fase di trattazione.

8.6. La deliberazione e la sentenza: dopo la trattazione (sia in camera di consiglio “cartolare” che dopo l’udienza pubblica), il collegio giudicante si riunisce per decidere. Se è giudice monocratico, decide da solo. Nel caso di organo collegiale, decidono a maggioranza. Dalla discussione esce il dispositivo (la decisione finale in sintesi: ad esempio “Accoglie il ricorso e annulla l’atto” oppure “Respinge il ricorso”). Spesso i giudici tributari in camera di consiglio compilano un verbale con il dispositivo e lo depositano in segreteria immediatamente, soprattutto se c’è urgenza (ad esempio, se vi era istanza di sospensione decisa a fine udienza). In ogni caso, entro 30 giorni circa stendono la motivazione completa e la sentenza viene depositata.

Gli elementi della sentenza:

  • Intestazione della Corte e composizione del collegio.
  • Parti in causa e oggetto del contendere.
  • Svolgimento del processo: breve riassunto di ricorso e difese.
  • Motivazione in fatto e diritto: il cuore della sentenza, dove i giudici spiegano quali sono le ragioni della decisione. La motivazione può essere ampiamente articolata oppure semplificata. Dal 2023 è stata introdotta la sentenza in forma semplificata: nei casi di manifesta fondatezza o infondatezza o inammissibilità, il giudice può redigere una motivazione stringata indicando solo il punto decisivo, per velocizzare i tempi.
  • Dispositivo: la pronuncia concreta sul ricorso (accoglimento totale, accoglimento parziale, rigetto) e le spese di giudizio. Sulle spese, il principio generale è che chi perde paga (art. 15 D.Lgs. 546/92), ma il giudice può compensarle in tutto o in parte se vi sono ragioni particolari (soccombenza reciproca, novità della questione, etc.). Novità: se il contribuente vince ma ha prodotto in ritardo documenti decisivi, il giudice può comunque compensare le spese. In caso di accoglimento parziale, di solito le spese vengono divise o compensate.

8.7. Tipi di esito del ricorso di primo grado:

  • Accoglimento totale: l’atto impugnato viene annullato integralmente. Ciò significa che il tributo non è dovuto (o deve essere rimborsato se già pagato) e le sanzioni cadono. Il contribuente vittorioso potrebbe avere diritto alla rifusione delle spese legali.
  • Accoglimento parziale: la Corte può annullare solo in parte l’atto. Ad esempio, ridurre l’imponibile accertato, eliminare una sanzione ma confermare il tributo, dichiarare decaduto una annualità ma valida un’altra. In tal caso l’atto viene modificato nei limiti della decisione.
  • Rigetto: il ricorso viene respinto e l’atto impugnato confermato. Il contribuente dovrà adempiere a quanto richiesto (salvo appello).
  • Estinzione per cessata materia del contendere: se nelle more le parti hanno conciliato o l’ufficio ha annullato in autotutela l’atto, il giudizio si chiude senza decisione di merito, prendendo atto che non c’è più controversia. Idem se il ricorrente rinuncia al ricorso e l’altra parte accetta.
  • Inammissibilità/Improcedibilità: se il ricorso presentava vizi insanabili (es: tardività conclamata, difetto di notifica, difetto di interesse a ricorrere, etc.), la Corte potrebbe non esaminare il merito e dichiarare il ricorso inammissibile. In tal caso l’atto resta valido.

La sentenza, una volta depositata, viene di solito comunicata alle parti via PEC dalla segreteria. Dal deposito decorrono i termini per l’eventuale appello (salvo che la parte interessata provveda a notificarla prima all’avversario per far decorrere il termine breve di 60 giorni).

8.8. Esecutività della sentenza e effetti immediati: a differenza del passato, ora le sentenze delle Corti tributarie sono immediatamente esecutive. Questo vuol dire che:

  • Se il contribuente vince (anche parzialmente), l’Amministrazione finanziaria deve dare esecuzione alla sentenza. Ad esempio, se annullato un avviso, deve sgravare la cartella eventualmente emessa o rimborsare le somme pagate in eccedenza entro 90 giorni dalla notifica della sentenza passata in giudicato (il che avviene se l’ente non appella entro 60 giorni).
  • Se l’ente vince, può riprendere (o proseguire) la riscossione delle somme dovute. Attenzione: nel processo tributario, diversamente dal civile, l’appello non sospende automaticamente l’esecutività della sentenza di primo grado. Tuttavia esistono norme che mitigano il rischio per il contribuente: ad esempio, in caso di rigetto del ricorso, l’ente può riscuotere intanto solo una parte (di regola il 50% delle imposte ancora contestate dopo primo grado) in attesa dell’esito dell’appello.

Quindi dopo la sentenza di primo grado, entrambe le parti devono valutare come procedere: accettare l’esito o proporre appello al grado successivo. Di questo ci occupiamo nel prossimo capitolo.

9. Sospensione dell’atto impugnato (tutela cautelare)

Durante l’attesa dell’esito del ricorso (che come visto può richiedere mesi o anni), il contribuente potrebbe subire gli effetti dell’atto impugnato, ad esempio richieste di pagamento, iscrizione a ruolo, ipoteche, fermi amministrativi. Per evitare che una pretesa fiscale contestata causi un danno grave prima ancora della decisione, l’ordinamento prevede la possibilità di chiedere la sospensione dell’atto impugnato, ovvero una tutela cautelare.

9.1. Perché chiedere la sospensione: presentare il ricorso non sospende automaticamente l’esecutorietà dell’atto. Ad esempio, se impugni un avviso di accertamento dell’Agenzia Entrate, dopo 60 giorni dalla notifica l’ufficio potrebbe già iscrivere a ruolo 1/3 delle imposte accertate e farti arrivare una cartella di pagamento, anche se il ricorso è pendente. Oppure, se impugni una cartella esattoriale, l’Agente della riscossione potrebbe dopo 60 giorni avviare misure cautelari (ipoteca) o esecutive (pignoramenti). Per evitare un danno grave e irreparabile, il contribuente può chiedere al giudice tributario di sospendere l’efficacia dell’atto fino alla decisione di merito.

9.2. Istanza di sospensione: la richiesta si propone con un’istanza motivata, solitamente inserita nel ricorso stesso (nelle conclusioni: “si chiede la sospensione dell’atto impugnato ai sensi dell’art. 47 D.Lgs. 546/92”) oppure con atto separato successivo, indicante gli estremi del ricorso. Nell’istanza occorre dimostrare due cose:

  • “Periculum in mora”: il rischio di subire un danno grave e irreparabile in attesa della sentenza. Ad esempio: l’importo è talmente elevato che pagar subito metterebbe l’azienda in crisi di liquidità o costringerebbe a cessare l’attività; oppure l’Agente della riscossione sta per espropriare l’unica casa di abitazione.
  • “Fumus boni iuris”: la fondatezza, almeno ad una valutazione sommaria, delle proprie ragioni nel ricorso. Non serve convincere il giudice al 100%, ma far vedere che il ricorso non è pretestuoso e presenta argomenti solidi per l’annullamento dell’atto.

L’istanza di sospensione va notificata anche all’ente resistente e va poi trattata in tempi rapidi. In genere la legge prevede che la Commissione (ora Corte) decida entro 180 giorni, ma nella pratica per urgenza spesso viene fissata prima, anche entro 30-60 giorni. Con la riforma 2022-2023, la procedura cautelare è stata potenziata:

  • L’istanza di sospensione può essere decisa da un giudice monocratico (uno dei membri del collegio) nei casi di particolare urgenza. Il giudice unico può emettere decreto motivato di accoglimento o ordinanza di rigetto. Contro la sua decisione, la parte soccombente può proporre reclamo al collegio entro 30 giorni. Questa novità rende più celere ottenere un provvedimento cautelare (non serve riunire tutto il collegio subito).
  • Altrimenti, la sospensione viene decisa dall’intero collegio, in camera di consiglio, con ordinanza.

Se l’istanza è accolta, l’efficacia esecutiva dell’atto (o della parte di esso indicata) è congelata fino alla pubblicazione della sentenza di primo grado. Se rigettata, il contribuente dovrà pagare (eventualmente può riproporre la richiesta in appello se il primo grado rigetta nel merito).

9.3. Esempio di istanza di sospensione (fac-simile):

Istanza di sospensione ex art. 47 D.Lgs. 546/92:

Il Sig. Mario Rossi, ricorrente, chiede la sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato per i motivi di seguito esposti.

– Periculum in mora: l’avviso di accertamento oggetto di ricorso comporta un importo complessivo di € 23.400 tra imposte e sanzioni. In mancanza di sospensione, l’Agenzia Entrate Riscossione potrebbe iscrivere a ruolo provvisorio € 6.000 circa già nelle prossime settimane. Il Sig. Rossi, titolare di una piccola ditta individuale, ha un fatturato annuo di € 50.000 e un utile modesto; l’esborso immediato delle somme (o eventuali azioni esecutive) gli creerebbero una grave crisi di liquidità, mettendo a repentaglio la continuità dell’attività e potenzialmente costringendolo a licenziare l’unico dipendente. Si configura pertanto un danno grave, attuale e difficilmente reversibile.

– Fumus boni iuris: come dettagliato nei motivi di ricorso, l’atto impugnato presenta evidenti profili di illegittimità (difetto di motivazione e infondatezza nel merito) che fanno ritenere probabile l’annullamento in giudizio. In particolare, la pretesa fiscale si basa su mere presunzioni smentite da prove documentali già fornite dal ricorrente. La giurisprudenza in casi simili si è espressa a favore del contribuente (cfr. Cass. n. … allegata). Si confida che la Corte, anche in questa sede cautelare, riconoscerà la non dovutezza della maggior imposta.

Alla luce di quanto sopra, si chiede di sospendere l’esecutività dell’avviso di accertamento n… notificato il …, fino alla definizione del presente giudizio di primo grado.

(Segue data e firma del difensore nel ricorso.)

9.4. Decisione sull’istanza di sospensione: come anticipato, la Corte di solito fissa una camera di consiglio dedicata alla sospensiva. Le parti possono presentare memorie ad hoc (l’ufficio spesso deposita un’osservazione per opporsi alla sospensione, sostenendo che il credito erariale non mette in pericolo il contribuente o che il ricorso è infondato). In camera di consiglio, il giudice o collegio valuta rapidamente i due requisiti:

  • Se li ritiene sussistenti, accoglie la sospensione (con ordinanza motivata). L’ordinanza di sospensione viene comunicata alle parti e vincola l’ente a non procedere alla riscossione. Se l’ente l’avesse già avviata, deve sospendere le attività esecutive.
  • Se non li ravvisa, respinge l’istanza (ordinanza di rigetto). Contro l’ordinanza di rigetto pronunciata dal giudice monocratico, come detto, si può fare reclamo al collegio. Contro un’ordinanza collegiale, invece, l’unica è attendere il giudizio di merito o proporre eventualmente la sospensione in appello se poi si impugna la sentenza.

9.5. Decorso della sospensione: la sospensione concessa in primo grado cessa con la pubblicazione della sentenza di primo grado. Se poi si appella e serve mantenere la sospensione, occorrerà richiederla di nuovo al giudice d’appello (non è automatica). Se in primo grado è stata negata e nel frattempo si va in appello, si può rinnovare la richiesta al giudice di appello.

In conclusione, l’istanza cautelare è uno strumento essenziale quando il contribuente rischia di subire conseguenze pesanti durante il processo. Va però usato con consapevolezza: non tutte le situazioni giustificano la sospensione (se il danno economico è modesto in rapporto alle capacità del contribuente, ad esempio, potrebbe non essere accolto). Una buona preparazione dell’istanza, evidenziando concretamente il danno e la bontà della causa, aumenta le chance di successo.

10. Il giudizio di appello (secondo grado) presso la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado

Se una delle parti è insoddisfatta dell’esito del primo grado, può ricorrere in appello dinanzi alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado (la vecchia Commissione Regionale). L’appello è un nuovo giudizio, di merito ma limitato ai motivi contestati, che riesamina la sentenza di primo grado. Ecco come procedere.

10.1. Chi può appellare e in quali casi: possono proporre appello:

  • Il contribuente soccombente in tutto o in parte in primo grado (cioè se il ricorso è stato rigettato oppure accolto solo parzialmente).
  • L’ente impositore se è rimasto soccombente (ad esempio se il ricorso è stato accolto totalmente o in parte significativa).
  • È possibile anche l’appello incidentale: se una parte appella, l’altra che inizialmente non intendeva farlo può a sua volta proporre appello sulle parti sfavorevoli della sentenza. L’appello incidentale si inserisce nella stessa procedura, nei limiti di quanto contestato.

Non tutte le sentenze sono appellabili: le decisioni delle Corti di primo grado su controversie di valore inferiore a €3.000 erano un tempo non impugnabili (sentenze “definitive” in primo grado). Occorre verificare la normativa vigente – a seguito della riforma, questo limite potrebbe essere rivisto, ma in generale attualmente anche le liti minori sono appellabili (quel limite valeva per Cassazione in passato e potrebbe non essere più applicabile). In ogni caso, la gran parte delle sentenze tributarie può essere appellata in secondo grado.

10.2. Termini per l’appello: come già accennato:

  • Termine breve: 60 giorni dalla notifica della sentenza di primo grado fatta dalla controparte. Se la parte vincitrice in primo grado notifica formalmente la sentenza al soccombente, quest’ultimo ha due mesi per appellare.
  • Termine lungo: 6 mesi (180 giorni) dalla pubblicazione (deposito) della sentenza, se non notificata. Questo termine lungo è soggetto a sospensioni feriali (31 giorni in estate, ma al 2025 le cause tributarie rientrano nella sospensione feriale di agosto).
  • La decorrenza si calcola come di consueto dall’evento (notifica o deposito) al deposito dell’appello presso la segreteria della Corte di secondo grado.

10.3. Contenuto e forma dell’atto di appello: l’atto di appello è molto simile ad un ricorso di primo grado, con alcune particolarità:

  • Va intestato alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado competente (di norma, quella della regione o Provincia autonoma in cui ha sede la Corte di primo grado che ha emesso la sentenza).
  • Le parti si definiscono “appellante” (chi propone appello) e “appellato” (chi lo subisce).
  • Deve indicare la sentenza impugnata (numero e data, emessa dalla Corte di primo grado di …).
  • Deve contenere i motivi di appello: ovvero le ragioni specifiche per cui si censura la sentenza di primo grado. Non basta ripetere pari pari i motivi del ricorso originario: bisogna spiegare dove il primo giudice avrebbe sbagliato. Esempi: “erronea valutazione delle prove”, “violazione di legge nell’interpretare l’art. X”, “omessa pronuncia su un motivo”, etc. In pratica, se hai perso in primo grado, arguire perché invece la decisione corretta sarebbe stata quella opposta; se hai vinto in parte, contestare il punto su cui hai perso. Se è l’ente che appella, argomenterà perché la Commissione ha annullato indebitamente l’atto.
  • Le conclusioni in appello normalmente chiedono alla Corte di secondo grado di riformare la sentenza impugnata nella parte sfavorevole. Ad esempio, il contribuente chiederà di riformare la sentenza di primo grado nella parte in cui ha respinto alcuni motivi e quindi di annullare l’atto per quei capi; l’ente chiederà di rigettare il ricorso originario riformando la sentenza che l’aveva accolto.
  • Si può reiterare l’istanza di sospensione se l’atto era rimasto sospeso e ora, avendo vinto il contribuente in primo grado, l’ente non può riscuotere fino a appello (situazione particolare: se il contribuente aveva vinto, l’atto è annullato e di solito l’appello dell’ente non ridà vita all’atto salvo espressa istanza di sospensione della sentenza di primo grado da parte dell’ente stesso; vedi oltre).
  • L’appello va notificato e depositato con le stesse modalità telematiche viste per il ricorso (PEC all’ente controparte – che è l’appellato ora – e costituzione in Corte di secondo grado). Andrà pagato un nuovo contributo unificato dello stesso importo del primo grado (non aumentato; solo in Cassazione, se sarà, raddoppierà). Infatti, la tabella contributo prevede importi identici per Commissione provinciale e regionale.

10.4. Effetto devolutivo e limiti dell’appello: l’appello devolve al giudice di secondo grado le questioni già oggetto del primo giudizio e specificamente contestate nei motivi d’appello. In altre parole, la Corte di secondo grado riesaminerà i motivi del ricorso iniziale nella misura in cui l’appellante li ha riproposti. Se un punto non è contestato in appello, diviene definitivo. Ad esempio, se in primo grado il contribuente aveva 5 motivi e ne ha vinti 2 e persi 3, e in appello contesta solo 2 motivi persi, il terzo motivo perso e non appellato si considera abbandonato e la sentenza sul punto diventa definitiva.

Non si possono introdurre nuovi motivi di illegittimità non dedotti prima, né nuove domande. Il giudizio di appello non è un “nuovo primo grado” integrale: è un controllo su ciò che è già stato dibattuto. È ammessa invece la produzione di nuovi documenti in appello? Fino a poco tempo fa sì, con una certa liberalità (purché pertinenti e non disponibili prima). Ma con la riforma fiscale 2023 si è introdotto il divieto di nuove prove in appello, analogamente al processo civile. Quindi, dal 2024 in avanti, le parti dovrebbero portare tutte le prove già in primo grado, e in secondo non saranno ammesse nuove produzioni salvo quelle legate a necessità di confutazione di quanto emerso in sentenza di primo grado o documenti formatisi dopo (ad es., un pagamento effettuato nel frattempo). Questo per velocizzare e valorizzare il primo giudizio come sede principale di accertamento dei fatti.

10.5. Svolgimento del giudizio di appello: ricalca sostanzialmente il primo grado:

  • L’appellante notifica e deposita l’appello; l’appellato si costituisce entro 60 giorni con controdeduzioni all’appello (spesso chiamato “controdeduzioni in appello” o anche controappello se vuole contro-impugnare aspetti a suo favore).
  • Viene fissata l’udienza. Anche in appello si può avere trattazione scritta o pubblica udienza, e le parti possono depositare memorie finali entro 10 giorni prima.
  • La Corte di secondo grado esamina gli argomenti di appello confrontandoli con la sentenza di primo grado e con gli atti originari. Può confermare la sentenza (rigettando l’appello) o riformarla in tutto o in parte.
  • Sentenza di appello: contiene anch’essa motivazione e dispositivo. Può succedere: conferma integrale del primo grado (appello respinto); riforma totale (ad es. il ricorrente vince in secondo grado dopo aver perso in primo, o viceversa); riforma parziale (accoglimento di appello su alcuni punti e non su altri).
  • Le spese di lite del grado di appello sono normalmente regolate in sentenza tenendo conto dell’esito complessivo dei due gradi. Se il contribuente perde in appello dopo aver vinto in primo, potrebbe essere condannato a restituire le spese del primo grado eventualmente compensate o ricevute, oltre alle spese di appello (anche se spesso in tali casi i giudici compensano). Viceversa, se vince in appello, otterrà di regola le spese di entrambi i gradi.

10.6. Sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata: se in primo grado il contribuente ha vinto, la sentenza annullando l’atto dà diritto a non pagare. Se l’ente appella, può chiedere in appello la sospensione dell’esecutività della sentenza di primo grado (che altrimenti sarebbe esecutiva). È una situazione opposta rispetto a prima: qui l’atto è annullato ma l’ente vuole poter riscuotere in attesa dell’esito di appello. L’ente deve dimostrare che dall’esecuzione della sentenza di primo grado (cioè dal rimborso o dalla mancata riscossione) gli deriverebbe un grave danno difficilmente reversibile – fattispecie più rara, di solito l’erario non ha danni irreparabili ad attendere, salvo importi eccezionalmente grandi). Comunque, giuridicamente è previsto. Anche il contribuente, se in primo grado ha perso e la sentenza gli impone di pagare, può chiedere al giudice d’appello la sospensione di quella sentenza (in pratica una rinnovata sospensione dell’atto, tramite sospensione della sentenza sfavorevole).

10.7. Fine del secondo grado: la sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado definisce il merito della controversia. Dopo questa, l’ulteriore impugnazione possibile è solo il ricorso per Cassazione, che però attiene a motivi di diritto, non più al riesame dei fatti. In altre parole, con il secondo grado si chiude l’analisi della vicenda fattuale e dell’applicazione della legge al caso; la Cassazione eventualmente valuterà solo errori di diritto o vizi logici della sentenza di appello.

Da notare che se il secondo grado conferma l’annullamento dell’atto (contribuente vittorioso), la vicenda tributaria si chiude lì (salvo Cassazione dall’ente su questioni di diritto). Se invece il secondo grado dà torto al contribuente (conferma o ripristina la pretesa), il contribuente, oltre alla Cassazione, potrebbe valutare se ci sono spazi per definizioni agevolate o sanatorie (nei periodi in cui vigono condoni sulle liti pendenti, come a volte predisposto dal legislatore).

11. Il ricorso per Cassazione (terzo grado di giudizio)

La Corte di Cassazione a Roma rappresenta il terzo e ultimo grado di giudizio, ma limitatamente a questioni di legittimità. In campo tributario, il ricorso per Cassazione è ammesso contro le sentenze delle Corti di giustizia tributaria di secondo grado (oltre che contro quelle di primo grado non appellate, se ammissibile, ma ciò è raro essendo di solito precluso per valore). Vediamo i tratti essenziali.

11.1. Motivi di ricorso per Cassazione: non è un terzo esame nel merito. I motivi di ricorso per Cassazione devono riguardare:

  • Violazioni di legge: ad esempio, la sentenza di appello ha mal applicato o violato una norma tributaria sostanziale o processuale.
  • Vizi di motivazione: ovvero errori logici o mancanza di motivazione nella sentenza impugnata (questo motivo è stato ristretto dalla riforma del 2012: oggi è invocabile solo se la motivazione manca del tutto o è talmente contraddittoria da equivalere a mancanza).
  • Ulteriori vizi come l’ultra petizione (il giudice ha deciso oltre i limiti richiesti), difetto assoluto di giurisdizione, nullità del procedimento per errori processuali gravi, etc.

Non è possibile contestare l’apprezzamento del giudice di merito sui fatti o sulle prove: ad esempio, non posso chiedere a Cassazione di rivalutare se un certo documento provi o meno qualcosa, se la Commissione di appello lo ha già valutato. Posso però eccepire che la Commissione non ha considerato un documento decisivo presentato (omessa valutazione di un fatto decisivo, altro motivo tassativo ammesso).

11.2. Chi può proporre ricorso in Cassazione: analogamente all’appello, il soccombente in secondo grado, totale o parziale. Quindi o il contribuente o l’ente, se hanno perso in appello. Anche in Cassazione si possono presentare ricorsi incidentali (se una parte propone ricorso, l’altra può controricorrere e proporre a sua volta ricorso su aspetti diversi entro 40 giorni).

È richiesto che il difensore in Cassazione sia un avvocato iscritto all’albo speciale per le giurisdizioni superiori (salvo il caso particolare in cui l’Avvocatura dello Stato rappresenta l’ente impositore, essendo abilitata di diritto).

11.3. Termine per ricorrere in Cassazione: 60 giorni dalla notifica della sentenza di appello, oppure 6 mesi dal deposito se non notificata (gli stessi termini dell’appello). Il ricorso va notificato alla controparte (se il contribuente ricorre, notifica all’Agenzia o ente locale, di solito presso l’Avvocatura dello Stato che lo ha difeso; se è l’ente che ricorre, notifica al contribuente, presso il suo difensore domiciliatario) e va depositato in Cassazione (ora anch’essa accetta depositi telematici).

11.4. Contributo unificato in Cassazione: come già detto, l’importo aumenta. In Cassazione si applica la tabella del processo civile. In particolare il contributo tributario in Cassazione è pari a quello civile, quindi in molte fasce è il doppio del primo grado. Ad esempio:

  • Liti di valore oltre 200.000 € in Cassazione: contributo € 3.372 (rispetto a 1500 € dei gradi precedenti).
  • Liti minori: se il valore è entro 25.000 €, il contributo in Cassazione era indicato come € 1.036 per valore indeterminabile e simili. Comunque come ordine di grandezza, aspettarsi contributi sostanzialmente raddoppiati rispetto al primo grado.

11.5. Procedura in Cassazione: il ricorso per Cassazione è in gran parte scritta. Le fasi:

  • Ricorso e controricorso: il ricorrente deposita il ricorso e notifica, la controparte entro 20-40 giorni può depositare un controricorso difensivo replicando ai motivi e eventualmente proponendo ricorso incidentale.
  • Assegnazione alla sezione (generalmente la sezione tributaria della Cassazione, o se di particolare importanza, alle Sezioni Unite).
  • Decisione: in Cassazione spesso la decisione avviene in camera di consiglio senza intervento di avvocati, salvo che una parte richieda espressamente l’udienza pubblica o la Corte la disponga. Gli avvocati possono presentare memorie fino a pochi giorni prima dell’adunanza in camera di consiglio. Se c’è udienza pubblica, possono discutere oralmente brevemente davanti ai giudici di Cassazione.
  • Ordinanza o sentenza: la Cassazione può decidere con ordinanza (spesso per i casi più semplici o in camera di consiglio) oppure con sentenza (in pubblica udienza o Sez. Unite).

Le decisioni possibili:

  • Rigetto del ricorso: se i motivi non sono fondati. In tal caso la sentenza di secondo grado diventa definitiva. La Cassazione condanna il ricorrente alle spese e al pagamento di un ulteriore importo (c.d. “doppio contributo unificato” previsto dall’art. 13 c.1-quater DPR 115/2002) pari al contributo unificato già versato, come sanzione per l’esito negativo.
  • Accoglimento del ricorso: se ravvede errori nella sentenza impugnata. In caso di accoglimento, la Cassazione può:
    • Cassare con rinvio: annulla la sentenza di appello e rinvia ad altra sezione della Corte di secondo grado (o eccezionalmente a quella stessa, ma con diversa composizione) per un nuovo esame conforme ai principi di diritto affermati. Ad esempio: “la CTR ha sbagliato a non considerare la prova X, si cassa e rinvia affinché, tenendo conto di tale documento, riesamini il caso”. Il processo dunque torna a livello di merito per rimediare all’errore sotto la guida della Cassazione.
    • Cassare senza rinvio: ciò avviene se la causa è matura per essere decisa nel merito e non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto. Per esempio, se la disputa era su un punto di diritto risolto il quale la causa è definita, Cassazione può decidere essa stessa. In tal caso, se accoglie un motivo, pronuncia la decisione nel merito (es: annulla l’avviso definitivamente, oppure conferma l’avviso respingendo il ricorso originario).
  • Decisione parziale: la Cassazione può accogliere alcuni motivi e non altri, cassando quindi parzialmente la sentenza e rinviando o decidendo di conseguenza sui punti accolti.

La pronuncia della Cassazione è definitiva su quanto deciso. Se c’è rinvio, la nuova sentenza che verrà emessa potrà a sua volta essere impugnata in Cassazione solo per vizi diversi eventualmente.

11.6. Esecuzione provvisoria e sospensione in Cassazione: la presentazione del ricorso per Cassazione non sospende l’esecutività della sentenza d’appello. Quindi se in appello il contribuente ha perso, di norma deve pagare il dovuto, anche se ricorre in Cassazione (salvo chiedere una sospensione in sede di Cassazione – cosa possibile ma concessa raramente, solo per rischio di danno grave e irreparabile come nelle altre fasi). Viceversa, se in appello ha vinto, può pretendere il rimborso, ma l’Amministrazione in genere aspetta l’esito finale; potrebbe chiedere alla Cassazione di sospendere la sentenza d’appello (analogamente all’appello per sospendere quella di primo grado) ma succede di rado.

11.7. Conciliazione in Cassazione: come accennato, dal 2024 è stato esteso l’istituto della conciliazione anche al giudizio di Cassazione per le liti nuovi di quell’anno. Ciò significa che anche in Cassazione le parti possono trovare un accordo transattivo, tipicamente sulle somme dovute, e chiedere alla Corte di dichiarare estinto il giudizio per conciliazione. Questo è utile ad esempio se, pendente il ricorso in Cassazione, cambia la normativa o si preferisce chiudere la questione: l’ente magari rinuncia a parte del dovuto e il contribuente paga, chiudendo la lite.

11.8. Oltre la Cassazione: la sentenza della Cassazione (o l’eventuale sentenza di rinvio non impugnata ulteriormente) mette fine al contenzioso tributario ordinario. Resta teoricamente solo la possibilità di un ricorso per revocazione (straordinario) in caso di errori di fatto, dolo, scoperta di documenti decisivi prima ignoti, etc., o un ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo se si ritiene violato un diritto fondamentale (spesso lamentato per l’eccessiva durata del processo, in casi di giustizia lenta, o per negata equità). Ma queste sono ipotesi molto peculiari e al di fuori del percorso standard.

A questo punto la pretesa tributaria è definitivamente accertata: se il contribuente ha vinto, nulla è dovuto e vanno rimborsate le eventuali somme pagate; se ha perso, deve pagare il dovuto (al netto di quanto già versato in pendenza di causa). Le spese legali saranno poste a carico secondo quanto deciso nell’ultima sentenza.

Chiudiamo quindi la parte dedicata al procedimento contenzioso ordinario. Nella sezione seguente, verranno presentati alcuni esempi pratici di ricorsi riferiti a specifici tipi di atti e tributi, per vedere in concreto come si applicano le regole sopra esposte.

12. Esempi pratici di ricorso per i principali tributi

Di seguito proponiamo alcune simulazioni pratiche di casi comuni di ricorso tributario, per chiarire l’applicazione delle regole a situazioni specifiche. Ogni esempio descrive una situazione-tipo, il comportamento del contribuente e alcuni spunti su come impostare il ricorso o l’atto difensivo relativo.

12.1. Ricorso contro un avviso di accertamento IRPEF (persona fisica)Caso: Il signor Giovanni Bianchi, lavoratore autonomo, riceve un avviso di accertamento per IRPEF anno 2020 con cui l’Agenzia delle Entrate contesta redditi non dichiarati per € 30.000, basandosi su movimenti bancari ritenuti non giustificati. L’avviso notifica maggior IRPEF € 8.000 più sanzioni 90% (€ 7.200) e interessi. Giovanni ritiene che l’accertamento sia ingiusto perché quei movimenti erano passaggi di denaro tra conti familiari (non ricavi).

Azioni: Giovanni, tramite il suo commercialista, tenta un contraddittorio con l’ufficio spiegando la provenienza delle somme, ma l’ufficio conferma l’atto. Decide quindi di ricorrere. Il valore della lite è € 8.000 (imposta) + € 7.200 (sanzione) = € 15.200, quindi contributo € 120. Essendo >3.000€, nomina un difensore (un tributarista). Presenta ricorso entro i 60 giorni.

Nel ricorso: l’avvocato di Giovanni imposterà i motivi così:

  • Violazione di legge (art. 32 DPR 600/73): contestare che l’Ufficio ha considerato reddito imponibile tutti i prelievi non giustificati, mentre dopo la L. 311/2004 la presunzione sui prelievi non vale più per lavoratori autonomi (questo è un argomento tecnico-giuridico).
  • Difetto di motivazione: l’avviso non spiega adeguatamente perché le spiegazioni date in sede di contraddittorio (passaggi tra conti) sarebbero respinte. Questo viola l’obbligo di motivare sul perché si ritiene non provata la natura non reddituale delle entrate.
  • Infondatezza nel merito: illustrare le prove: allegare estratti conto da cui si vede che i bonifici in entrata sul conto di Giovanni provenivano dal conto cointestato con la moglie, quindi non sono ricavi da terzi. Se possibile, allegare dichiarazioni scritte di terzi (testimoni) o documenti che spieghino l’origine (es: movimentazione di risparmi, girofondi).
  • Errata applicazione sanzioni: sostenere in subordine che, trattandosi al più di errore scusabile sui movimenti bancari, la sanzione del 90% è eccessiva e si dovrebbe disapplicare per obiettiva incertezza.

Nel petitum, chiedere annullamento totale dell’avviso, o in subordine l’annullamento parziale (ad esempio eliminando i movimenti tra conti familiari dal calcolo). Probabilmente si chiederà anche la sospensione, se Giovanni non può pagare 1/3 (€ ~5.000) senza danno – sebbene l’importo non sia enorme, potrebbe arguire che la sua liquidità è limitata.

Possibile esito: la Corte valuta le prove. Se Giovanni documenta bene i passaggi interni, è possibile un accoglimento parziale: magari alcuni movimenti vengono esclusi (quelli chiaramente tra conti suoi), altri dove non c’è prova restano imponibili. La sentenza potrebbe ridurre l’imponibile accertato e le sanzioni proporzionalmente. In tal caso, Giovanni pagherà solo su quanto confermato. Se invece la Corte accoglie pienamente le tesi di Giovanni, annullerà tutto (nessuna imposta dovuta). Se respinge, Giovanni potrà appello, ma dovrebbe intanto pagare.

12.2. Ricorso di una società contro avviso di accertamento IVA/IRESCaso: La Alfa S.r.l. subisce un accertamento per l’anno 2019: l’Agenzia contesta costi indebitamente dedotti per fatture considerate false (operazione inesistente con un fornitore cartiera). Vengono recuperati a tassazione € 50.000 di costi, con maggior IRES € 12.000 e IVA indetraibile € 11.000, sanzioni amministrative per infedele dichiarazione 90% e per IVA indebita 90%. La società ritiene invece che le operazioni fossero reali (merce effettivamente ricevuta) e che eventuali irregolarità del fornitore non erano conoscibili.

Azioni: la società conferisce incarico a un avvocato tributarista. Valore della lite consistente (~ € 23.000 imposte, € ~20.000 sanzioni). Si può valutare se fare accertamento con adesione: l’ufficio potrebbe proporre di ridurre sanzioni se l’azienda rinuncia a dedurre quei costi. Ma Alfa S.r.l. è decisa a resistere perché ha prove (bolle, trasporti) della fornitura reale. Avvia l’adesione per guadagnare tempo, ma l’accordo fallisce. Dunque presenta ricorso.

Nel ricorso: i motivi punteranno su:

  • Legittimità delle operazioni: citare documenti (DDT, pagamenti tracciati, utilizzo della merce nei processi produttivi) per dimostrare che la transazione è avvenuta. Contestare che l’ufficio non possa disconoscere la fattura se la società era inconsapevole di eventuali frodi del fornitore (richiamare giurisprudenza UE e Cassazione sul diritto a detrazione IVA se c’è buona fede).
  • Carenza di prova dell’ufficio: sottolineare che l’onere di provare la frode spetta al fisco. Nel verbale magari c’è solo che il fornitore non aveva struttura, ma Alfa presenta prove contrarie (es: c’era consegna).
  • Buona fede: anche se il fornitore era irregolare, Alfa ha agito regolarmente (ha verificato la partita IVA attiva, ha i bonifici su conto intestato alla ditta fornitrice, etc.), dunque non può subire sanzioni come se avesse partecipato alla frode.
  • Motivi procedurali eventuali: se l’accertamento presenta vizi formali (ad esempio mancata concessione del termine di 60 giorni dall’avviso di PVC), aggiungerli.

Istanza cautelare: qui l’importo è alto, la società può subire iscrizione a ruolo di 1/3 di imposte. Alfa allega che pagar subito ~€11k potrebbe impattare su stipendi? (Se è solida forse no, dipende dalla situazione finanziaria; comunque tenta la sospensione sul fumus solido e danno nel dover accantonare somme).

Possibile esito: casi di fatture false spesso vanno per le lunghe, magari fine fino in Cassazione. In primo grado, se la società fornisce prova convincente, la Corte può annullare l’accertamento riconoscendo buona fede (specialmente per l’IVA, se appare assenza di negligenza). Oppure, se la Corte è più severa, potrebbe mantenere la ripresa (società perde) sostenendo che doveva accorgersi. La decisione dipende molto dalle prove e dalla giurisprudenza applicata.

12.3. Ricorso contro avviso di accertamento IMU di un ComuneCaso: La signora Franca Verdi riceve dal Comune un avviso di accertamento IMU per l’anno 2022 su un immobile ereditato. L’ente le contesta omesso pagamento IMU su un fabbricato rurale che secondo lei doveva essere esente in quanto strumentale all’attività agricola svolta dal marito. Importo richiesto: € 1.000 di imposta + € 200 sanzioni. Valore lite € 1.200, contributo unificato € 30 (sotto 2.582€). Franca può stare in giudizio da sola perché <3.000 €, ma non è esperta. Si rivolge comunque a un CAF o professionista per assistenza.

Azioni: Innanzitutto verifica la norma: effettivamente i fabbricati rurali strumentali sono esenti IMU? Sì, dal 2014 i fabbricati rurali strumentali scontano aliquota IMU ridotta (esenzione solo se censiti diversamente). Potrebbe esservi un errore di classificazione catastale: se il catasto non ha riconosciuto ruralità, il Comune ha calcolato IMU.

Strumenti deflativi: prima di ricorrere, Franca potrebbe presentare istanza di autotutela al Comune spiegando che l’immobile è rurale strumentale (magari allegando documenti: attestato di connessione all’attività agricola). Se il Comune riconosce l’errore, annullerà l’accertamento. Spesso però i Comuni attendono il ricorso.

Ricorso: Franca ha 60 gg. Nomina facoltativamente un difensore (non obbligatorio, ma utile). Nel ricorso indicherà:

  • Erronea soggettività passiva: se l’immobile era intestato in parte al marito, valutare se l’avviso a lei è corretto (questioni secondarie).
  • Esenzione/riduzione spettante: motivo principale: il fabbricato è censito come rurale strumentale (fornire visura catastale e documenti attività agricola). Quindi l’IMU non è dovuta (o è dovuta in misura minima se il Comune aveva aliquota ridotta, magari chiederà annullamento totale se legge prevede esenzione).
  • Eventuale vizio formale: ad esempio, se l’avviso non motivava il perché non considerava rurale l’immobile.

Data la modesta entità, Franca potrebbe chiedere discussione in via breve, magari senza udienza (non conviene spendere più di spese legali di quanto deve). Spesso in cause sotto pochi migliaia di euro i Comuni piccoli neanche si costituiscono, oppure delegano un funzionario.

Possibile esito: se la Commissione riscontra la ruralità, annulla l’IMU accertata (o la riduce all’aliquota giusta). Franca ottiene così giustizia. Questa è una tipica lite locale a basso valore.

12.4. Ricorso contro una cartella di pagamento (ruolo)Caso: Il sig. Luigi Neri riceve nel 2025 una cartella da Agenzia Entrate Riscossione intimante € 5.000 per IRPEF anno 2018. Luigi però non ha mai ricevuto un avviso di accertamento per quell’anno e non sa da dove provenga il debito.

Azioni: Prima di tutto Luigi chiede all’agente della riscossione l’estratto di ruolo o informazioni: scopre che la cartella si riferisce a un avviso di accertamento 2018 notificato per posta nel 2022 a un vecchio indirizzo. Lui nel 2022 era residente altrove e non l’ha mai saputo. In casi così, Luigi deve impugnare la cartella eccependo la mancata notifica dell’atto presupposto (l’accertamento). La giurisprudenza ammette che si impugni direttamente la cartella deducendo la nullità della notifica dell’atto originario, rendendolo invalido e così pure la cartella.

Valore lite € 5.000 (tributo e interessi), contributo € 60, difensore non strettamente obbligatorio (5k > 3k -> obbligo sì). Luigi si rivolge a un avvocato.

Ricorso: contro la cartella, atti resistenti saranno due: Agenzia Entrate Riscossione e l’Agenzia delle Entrate (perché si contesta l’accertamento sottostante). Motivi:

  • Omessa notifica dell’atto presupposto: L’avviso 2018 è stato spedito ad indirizzo errato, quindi mai perfezionata la notifica al contribuente. Si allegano prove: certificato storico di residenza di Luigi mostrando che dal 2021 risiedeva altrove; la copia relata di notifica dell’avviso (presa dall’estratto di ruolo) indicando indirizzo vecchio. Secondo legge, un atto mai notificato non è divenuto definitivo, quindi la cartella è emessa senza titolo e va annullata.
  • Prescrizione/decadenza: inoltre, se l’atto doveva notificarsi entro il 31/12/2022 per l’anno 2018 (ad esempio), e non è stato validamente notificato, il diritto dell’ufficio di accertare potrebbe essere decaduto. O quantomeno la cartella è stata notificata nel 2025 oltre termini di riscossione (ma qui entra il discorso che se l’accertamento non è valido, decaduto anch’esso).
  • Vizi propri eventuali: se la cartella stessa avesse difetti (mancanza motivazione, interessi mal calcolati), aggiungerli.

Qui fondamentale allegare l’estratto di ruolo ottenuto e le prove di notifica viziata.

Possibile esito: se il giudice conferma che Luigi non ha ricevuto l’atto perché notificato male, annulla la cartella e anche l’accertamento sottostante (perché logicamente inesistente ai fini legali). Luigi così non deve pagare nulla. L’Agenzia Entrate potrebbe dover rinotificare l’accertamento, ma se nel frattempo sono trascorsi i termini di decadenza, perde il gettito. Non di rado, tuttavia, l’Agente della riscossione potrebbe eccepire che Luigi avrebbe dovuto impugnare solo l’accertamento e non la cartella, ma se Luigi non ne era a conoscenza non poteva; la Cassazione ormai avalla il rimedio attraverso l’impugnazione della cartella per far valere la nullità a monte (cosiddetto “doppio binario” di tutela).

12.5. Ricorso contro un provvedimento di irrogazione sanzioni (no imposte)Caso: La ditta individuale Beta riceve un atto di contestazione con sola sanzione di € 3.000 per tardiva presentazione della dichiarazione IVA (dichiarazione inviata con 40 giorni di ritardo, sanzione edittale dal 120% al 240% dell’imposta, definita dall’ufficio in misura fissa). Beta ha versato comunque l’IVA dovuta, quindi non c’è imposta in contestazione, solo la sanzione.

Le sanzioni tributarie, pur essendo atti autonomi, si impugnano ugualmente davanti alla Corte tributaria. Beta può valutare se fare acquiescenza: pagando entro 60gg avrebbe riduzione a 1/3 (quindi 1.000 €). Se ritiene la sanzione ingiusta (magari aveva un motivo per il ritardo, es. causa di forza maggiore), può ricorrere.

Valore lite € 3.000, difensore necessario (uguale o superiore a 3k). Beta ricorre chiedendo magari l’esimente.

Motivi nel ricorso:

  • Non punibilità per forza maggiore: Beta argomenta di aver avuto un impedimento grave (ad esempio incendio uffici, lutto, malattia grave) che ha causato il ritardo nella dichiarazione. La legge (D.Lgs. 472/97) prevede che se il contribuente prova che il fatto è dovuto a causa a lui non imputabile, la sanzione va annullata.
  • Erronea qualificazione: in subordine, se non c’era forza maggiore, chiedere almeno l’applicazione del minimo edittale, o l’attenuante della collaborazione (Beta ha comunque presentato spontaneamente la dichiarazione anche se tardiva, e pagato l’imposta).
  • Cumulo giuridico: se ci fossero più violazioni formali insieme, invocare il cumulo per ridurre.

Questo è un caso in cui magari la mediazione pre-2024 sarebbe stata utile, ma ora c’è direttamente il ricorso.

Possibile esito: se Beta dimostra la forza maggiore (es. esibisce certificati medici, verbali di vigili del fuoco, ecc.), la Corte può annullare la sanzione applicando l’art. 6 comma 5 del D.Lgs. 472/97 (non punibilità per mancanza di colpa). Se invece non lo ritiene sufficiente, forse confermerà la sanzione ma Beta potrà comunque pagare ridotto 1/3 durante il processo (il pagamento però equivarrebbe ad acquiescenza, quindi chiuderebbe il caso). Beta potrebbe anche aver fatto ravvedimento operoso prima di ricevere la contestazione: se avesse pagato sanzione ridotta per tardiva dichiarazione, potrebbe opporre che la sanzione non era dovuta interamente. Insomma, le vicende sanzionatorie hanno particolarità ma seguono lo stesso iter processuale.

12.6. Ricorso avverso diniego di rimborso IVACaso: La società Gamma S.p.A. presenta istanza di rimborso IVA annuale per € 100.000 (eccedenza di credito). L’Ufficio, dopo controllo, emette un provvedimento di diniego di rimborso sostenendo che parte del credito non è spettante (perché derivante da operazioni soggettivamente inesistenti). Gamma intende contestare questo diniego.

Valore lite € 100.000, contributo € 500. Ricorso di competenza della Corte tributaria (materia IVA). Trattandosi di diniego espresso, non c’è importo da versare (anzi c’è credito da ottenere). Gamma dovrà far valere che il credito IVA è legittimo: in sostanza è simile a un accertamento negativo del credito.

I motivi di ricorso saranno correlati a quelli di una ripresa: proverà che quelle operazioni contestate erano reali e quell’IVA a credito spettava (simile all’esempio 12.2 magari). Nel ricorso chiederà di annullare il diniego e conseguentemente riconoscere il diritto al rimborso. In questi casi, se vince, il giudice dichiara il diritto al rimborso di tot euro oltre interessi. L’ufficio poi deve provvedere a eseguire.

Nelle controversie da rimborso, spesso c’è la sospensione invertita: il contribuente può chiedere un provvedimento che obblighi l’ufficio a accantonare o garantire il rimborso? Non esattamente, ma i tempi sono cruciali. La cosa positiva è che l’ufficio non può incassare nulla, quindi non c’è pericolo di esecuzione. Semmai, Gamma vorrebbe i soldi subito: c’è la possibilità di ottenerli in corso di causa presentando garanzie, tramite la procedura amministrativa (spesso, se l’ufficio non si oppone, può concedere rimborso parziale sotto garanzia bancaria anche se c’è contenzioso).

Possibile esito: se Gamma prova le sue ragioni, sentenza a favore con condanna l’ufficio a erogare il rimborso. Altrimenti, se perde, il credito rimane negato. Spesso liti così vanno in appello e Cassazione, per l’alto valore.


Questi esempi coprono diverse categorie: imposte dirette (IRPEF/IRES), IVA, tributi locali (IMU), procedura di riscossione (cartella), sanzioni amministrative, rimborsi. Nella realtà, i ricorsi possono riguardare anche altre materie (es. avvisi di liquidazione di imposta di registro, classamento catastale, ecc.), ma il metodo di approccio è analogo: individuare il fatto, la norma applicabile, i punti contestabili, e seguire le regole processuali illustrate.

13. FAQ – Domande frequenti sul ricorso tributario

Di seguito una serie di domande comuni con relative risposte sintetiche, per chiarire i dubbi più frequenti dei contribuenti e operatori sul tema dei ricorsi tributari.

D1: Che differenza c’è tra Commissione Tributaria e Corte di Giustizia Tributaria?
R: Nessuna differenza nelle funzioni: è cambiato solo il nome a partire dal 2023. Le Commissioni Tributarie Provinciali e Regionali ora si chiamano rispettivamente Corti di Giustizia Tributaria di primo e secondo grado, per effetto della riforma (L.130/2022). Quindi leggere di “ricorso in Commissione Tributaria” o “ricorso in Corte di Giustizia Tributaria” si riferisce alla stessa procedura, solo con la nuova denominazione.

D2: Entro quanto tempo devo presentare un ricorso tributario?
R: Il termine generale è 60 giorni dalla notifica dell’atto che vuoi impugnare. Fa eccezione il caso di silenzio-rifiuto su un’istanza di rimborso (in cui devi attendere 90 giorni di silenzio prima di poter ricorrere). Se perdi questo termine, il ricorso sarà inammissibile. Ci sono però alcune sospensioni: ad esempio, se presenti un’istanza di accertamento con adesione, i 60 giorni si allungano di 90 (quindi in totale 150 giorni). Ricorda che 60 giorni si contano “dal giorno dopo” la notifica e includono sabati e domeniche (che se cadono come ultimo giorno prorogano al primo feriale successivo).

D3: Presentare un ricorso sospende l’obbligo di pagamento?
R: No, non automaticamente. L’atto impugnato rimane efficace. Ad esempio, un avviso di accertamento può essere iscritto a ruolo per 1/3 anche se hai fatto ricorso, a meno che tu non ottenga una sospensione cautelare dal giudice. Quindi, se ritieni di subire un danno a pagare subito, devi fare apposita istanza di sospensione al tribunale tributario (vedi sezione 9). Ci sono tuttavia norme che attenuano la riscossione: se fai ricorso contro un accertamento, l’Agenzia non può riscuotere più di 1/3 fino alla sentenza di primo grado; dopo la sentenza di primo grado, se perdi, può riscuotere 2/3; solo dopo sentenza definitiva può riscuotere tutto. In ogni caso, per evitare anche quei pagamenti parziali, serve la sospensione. Per cartelle già emesse su atti definitivi invece la sospensione è difficile, a meno di vizi gravi.

D4: Quanto costa fare un ricorso tributario?
R: Ci sono due tipi di costi:

  • Il contributo unificato da versare alla presentazione (che varia in base al valore: da 30 € per liti piccole fino a 1.500 € per liti oltre 200.000 €). Ad esempio, per una lite di 10.000 € paghi 120 € di contributo unificato. Se poi fai appello, pagherai di nuovo lo stesso importo; in Cassazione, circa il doppio.
  • L’eventuale onorario del difensore se ti affidi a un professionista. Quello dipende dal tariffario e dall’accordo con il tuo avvocato/consulente; spesso proporzionato al valore e complessità, potrebbe variare da poche centinaia di euro per cause semplici a importi maggiori per cause complesse e di alto valore.
  • In caso di soccombenza, potresti essere condannato a rifondere le spese legali all’altra parte (cioè pagare le spese dell’Avvocatura dello Stato o dell’ente, liquidate dal giudice). Viceversa, se vinci, di solito è l’ente a doverti rimborsare in parte o tutto quanto hai speso per il legale (il giudice stabilisce un importo forfettario secondo parametri).

D5: Serve per forza un avvocato per fare ricorso?
R: Dipende dal valore della lite. Se il valore (imposta+eventuali sanzioni contestate) supera € 3.000, , è obbligatorio farsi assistere da un difensore tecnico abilitato (avvocato, commercialista ecc.). Se invece il valore non supera € 3.000, puoi stare in giudizio da solo (autodifesa) presentando personalmente il ricorso e comparendo tu. Tuttavia, anche in questi casi, se non ti senti sicuro, è consigliabile consultare un esperto, perché il diritto tributario è complesso. Nota: € 3.000 è il totale del tributo contestato; se impugni solo sanzioni, conta l’importo delle sanzioni. Per valore pari a 3.000 esatti, l’obbligo c’è (la norma dice “pari o superiore a 3000 €”). Ricorda anche che per Cassazione serve necessariamente un avvocato cassazionista (specializzato).

D6: Dove e come si presenta il ricorso? Devo andare di persona in Commissione?
R: Oggi i ricorsi si presentano per via telematica. Non devi più portare fisicamente le carte in Commissione come un tempo (salvo rarissime eccezioni per chi è senza PEC). In pratica:

  • Si notifica il ricorso all’ente che ha emesso l’atto via PEC (se hai un difensore, lo farà lui; se sei da solo e hai una PEC, puoi farlo tu; altrimenti via raccomandata).
  • Poi si deposita il ricorso tramite il Portale della Giustizia Tributaria (SIGIT) o via PEC alla Corte. Questo vale sia per primo grado sia per appello e Cassazione (per Cassazione, il deposito telematico è in fase di completamento, finora era in parte cartaceo ma dal 2022-23 è anch’esso digitalizzato).
    Quindi, puoi fare tutto online. Se però vuoi presentare in modalità cartacea (ammesso solo se sei senza difensore e impossibilitato con PEC), devi stampare ricorso e documenti in più copie e recarti o spedire alla segreteria della Corte tributaria competente. In sintesi, il canale telematico è la norma.

D7: Come faccio a sapere qual è la Corte di Giustizia Tributaria competente per il mio ricorso?
R: La competenza territoriale in materia tributaria segue il criterio:

  • Per atti di Agenzia delle Entrate o Agenzia Riscossione: è competente la Corte di primo grado nella cui circoscrizione ha sede l’ufficio che ha emanato l’atto. Ad esempio, se l’avviso arriva dall’Agenzia Entrate – Direzione Provinciale di Firenze, il ricorso va alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Firenze (che ha sede a Firenze). In pratica, spesso coincide con la provincia di tuo domicilio fiscale, ma attenzione, se hai una cartella emessa dal concessionario regionale, devi guardare l’ufficio dell’ente creditore.
  • Per tributi locali (IMU, TARI): competente la Corte di primo grado del luogo dove si trova il Comune (es: atto del Comune di Bari -> Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Bari).
  • Per contenzioso catastale: competente dove è sito l’immobile.
  • Per atti dell’Agenzia Dogane: c’è competenza per distretto doganale.
    Comunque l’atto impugnato di solito indica un riferimento territoriale. Le Corti di giustizia tributaria di primo grado coincidono con le province (qualche eccezione: tipo Bolzano e Trento per province autonome). In appello, sarà la Corte di secondo grado della regione. Se sbagli sede, il ricorso può essere dichiarato inammissibile o trasferito; meglio controllare bene.

D8: Posso impugnare più atti con un unico ricorso?
R: Sì, a certe condizioni. La regola è che puoi cumulare nel medesimo ricorso più atti connessi tra loro emessi verso lo stesso contribuente. Ad esempio, se hai ricevuto tre avvisi di accertamento per IVA 2016, 2017, 2018, potresti fare un ricorso cumulativo trattandoli insieme (connessione per identità di parti e natura). Oppure, se impugni un avviso di accertamento e anche l’atto di irrogazione sanzioni separato che si riferisce allo stesso accertamento, puoi farne un unico (parte di fatto e diritto comune). Se però gli atti sono troppo eterogenei (es: una cartella IMU e un avviso IRPEF non hanno legame), è meglio separare i ricorsi. La Corte può sempre disporre la riunione di ricorsi separati se c’è connessione, o al contrario può decidere di separare questioni diverse inserite in un ricorso. In generale, mantieni in uno stesso ricorso ciò che proviene dalla stessa situazione di fatto e contro lo stesso ente.

D9: Cosa succede se vinco il ricorso in primo grado?
R: Se ottieni una sentenza favorevole:

  • L’atto impugnato viene annullato (in tutto o in parte secondo la decisione). Questo significa che non devi pagare ciò che era richiesto in quell’atto. Se nel frattempo avevi pagato qualcosa (magari per evitare aggravi), hai diritto al rimborso di quanto non dovuto.
  • Di solito, se hai chiesto le spese, il giudice condanna l’ente a rimborsarti le spese legali (ti liquida un importo, che l’Agenzia dovrà pagarti).
  • Tuttavia, attenzione: la controparte (es. Agenzia Entrate) può decidere di appellare la sentenza. In tal caso la vicenda non è chiusa: si va in secondo grado. L’ente, comunque, di solito in attesa dell’appello non riprende la riscossione (non può se la sentenza ti è favorevole, a meno di chiederne la sospensione). Quindi, fino all’esito dell’appello, sei salvo. Se l’ente non appella entro 60 giorni (o 6 mesi) la sentenza passa in giudicato e diventa definitiva: vittoria piena.
  • Esempio: vinci in CTP, l’Agenzia appella in CTR. In pendenza dell’appello, l’atto è annullato, ma prudenzialmente potresti attendere a richiedere il rimborso delle somme eventualmente pagate fino a quando la sentenza sarà definitiva (per evitare poi complicazioni in caso di ribaltamento). Comunque hai diritto di esigerlo subito; l’ente di solito aspetta l’esito finale.

D10: E se perdo il ricorso?
R: Se la sentenza ti è sfavorevole:

  • Dovrai pagare quanto dovuto (salvo tu decida di appellare in secondo grado). L’ente può procedere alla riscossione del dovuto dopo 30 giorni dalla notifica della sentenza (o subito se la sentenza è letta in udienza e passati i termini brevi). Nella prassi, se fai appello, l’ufficio attende l’esito di secondo grado prima di riscuotere il restante 2/3, ma non è garantito.
  • Potresti anche essere condannato alle spese verso l’ente (pagare le spese di giudizio all’Agenzia/Comune, di solito qualche centinaio di euro liquidati in sentenza).
  • Hai comunque diritto di appellare la sentenza entro 60 giorni. Se appelli, puoi chiedere di sospendere l’esecutività della sentenza (soprattutto se comporta un pagamento ingente). La CTR può sospendere la sentenza di primo grado analogamente alla sospensiva dell’atto (non è frequentissimo, ma previsto).
  • Se non appelli, la sconfitta diventa definitiva: l’atto è valido e dovrai adempiere. In alcuni casi, se emergono elementi nuovi in tuo favore dopo, l’unica chance sarebbe l’autotutela (convincere l’ufficio a rivedere, ma non è obbligato) o altre procedure straordinarie (revocazione per errore, etc., molto limitate).

D11: Se l’Agenzia delle Entrate mi offre un accordo durante il processo, posso accettare?
R: Sì, è la conciliazione giudiziale. In ogni stato e grado (ora anche in Cassazione) puoi cercare un accordo col Fisco. Funziona così: tu e l’ufficio vi mettete d’accordo su un importo minore da pagare (magari solo il tributo senza sanzioni, o con sanzioni ridotte) per chiudere la lite. Formalizzate la proposta e la depositate. La Corte, se tutto regolare, omologa l’accordo con un decreto. Tu dovrai pagare quanto concordato entro i termini stabiliti (o prima rata), e la controversia termina lì, con le sanzioni ridotte (in primo grado al 40% delle somme irrogabili, in appello 50%). È un buon strumento se la tua posizione non è solidissima: eviti i rischi di continuare il giudizio e paghi meno del massimo. Assicurati, però, che l’accordo sia equilibrato; se pensi di aver ragione piena potresti preferire attendere la sentenza. Spesso la conciliazione avviene in udienza: il presidente chiede “volete conciliare?” e se entrambe le parti sono d’accordo, si rinvia l’udienza per tentare l’accordo.

D12: Posso fare qualcosa se durante la causa mi accorgo di aver dimenticato di allegare un documento importante?
R: Sì, hai tempo fino a 20 giorni prima dell’udienza per depositare documenti integrativi. Ad esempio, presenti il ricorso ma dimentichi di allegare una ricevuta; puoi depositarla successivamente (entro il limite suddetto). Nell’udienza di primo grado è bene avere già tutto. In appello invece la possibilità di nuovi documenti è ora molto ridotta (divieto di nuove prove salvo eccezioni). Quindi, cerca di portare tutte le prove in primo grado. Se il documento ti è venuto in possesso solo dopo (ad es. un documento che l’ufficio non ti aveva dato prima), puoi produrlo anche tardivamente ma spieghi la ragione. Se ti accorgi dopo la sentenza di primo grado che avevi una prova fondamentale non considerata, purtroppo non potrai presentarla in appello se avresti potuto farlo prima – il giudice d’appello non dovrebbe ammetterla (post riforma).

D13: E se durante la causa cambia una legge o esce una sentenza della Corte Costituzionale rilevante?
R: In generale il giudice applica la legge vigente al momento del decidere. Se una norma tributaria viene dichiarata incostituzionale durante il processo, la puoi invocare e la Corte tributaria dovrà disapplicarla. Se esce una legge di condono o definizione agevolata, puoi aderirvi se ne hai i requisiti, anche se la causa è iniziata (ad es., definizione liti pendenti: versi un tot percento e chiudi la lite, rinunciando al ricorso). In tal caso dovrai fare un’istanza di cessazione della materia del contendere allegando la prova di adesione alla sanatoria. Quindi, occhi aperti a novità normative che potrebbero offrire scorciatoie (nel 2023, ad esempio, c’è stata la definizione agevolata delle liti fino a 100.000 € con pagamento ridotto in base agli esiti di primo grado). Riguardo a sentenze di Cassazione a Sezioni Unite molto importanti: puoi segnalarle al tuo giudice anche last minute (nella memoria a 10 giorni) e sperare ne tenga conto, ma non è un “vincolo” come una norma.

D14: Se ho già pagato l’imposta o la cartella, ha senso fare ricorso?
R: Pagare spontaneamente l’imposta dovuta non preclude il ricorso sulle sanzioni o altri aspetti. Ad esempio, ricevi un accertamento IRPEF di € 10.000 imposta + € 3.000 sanzioni; pensi che forse l’imposta sia dovuta ma vuoi contestare la sanzione perché c’è incertezza. Puoi decidere di pagare i € 10.000 per non accumulare interessi e fare ricorso solo sulla sanzione. L’importante è che nel ricorso dichiari che impugni la parte sanzionatoria (o comunque il pagamento effettuato non significa acquiescenza integrale se specifichi che contesti le sanzioni). Anzi, pagare l’imposta e contestare le sole sanzioni è un approccio legittimo e a volte consigliato (ti metti in regola col tributo e discuti solo la penalità). Se invece hai pagato tutto e non hai sollevato riserve, potrebbe essere interpretato come acquiescenza (accettazione) e precludere il ricorso. Quindi, se paghi volontariamente con lo sconto delle sanzioni a 1/3, hai fatto acquiescenza e non puoi più ricorrere. Se paghi perché magari l’atto è esecutivo ma non intendi rinunciare a contestarlo (pagamento “in pendenza di giudizio”), evidenzia che paghi in ottemperanza provvisoria ma senza acquiescenza. In tal caso, se poi vinci, avrai diritto al rimborso.

D15: Che significa che perdo il ricorso “perché tardivo” o “per difetto di giurisdizione”?
R: Sono questioni procedurali. “Tardivo” vuol dire presentato oltre i 60 giorni: il giudice non entra nel merito e lo dichiara inammissibile. “Difetto di giurisdizione” significa che hai portato in Commissione una questione che non spetta ai giudici tributari. Esempio: impugni una multa stradale davanti alla Corte tributaria – questa dirà difetto di giurisdizione (perché andava al giudice di pace). Oppure contesti in Commissione un avviso di addebito INPS (contributi previdenziali): anche lì, materia da giudice del lavoro, non tributario. In questi casi, il giudice tributario non può decidere e dichiara il ricorso inammissibile. A volte, per salvare il contribuente, può trasmettere gli atti al giudice competente (non è previsto formalmente ma è stato fatto in alcune pronunce). Comunque, conviene presentare al foro giusto, per non perdere tempo.

D16: Quanto dura in media una causa tributaria?
R: I tempi variano molto a seconda della regione e del carico di lavoro. Indicativamente:

  • Primo grado: può durare da 6 mesi a 2 anni. In molte Corti una prima udienza arriva entro 8-12 mesi dal deposito. Alcune più rapide (es. in alcune province con meno arretrato, anche 4-6 mesi).
  • Secondo grado: simile, a volte un po’ più lungo (1-2 anni).
  • Cassazione: purtroppo la Cassazione tributaria è notoriamente congestionata; un ricorso in Cassazione può restare pendente anche 3-5 anni prima di essere deciso, a meno che non rientri in procedure accelerate.
    Ci sono stati progressi con il telematico e normative per smaltire arretrato. Ad esempio, l’introduzione del giudice monocratico per cause fino 5k può velocizzare quelle minori. La legge delega 2023 mira a ridurre il contenzioso in Cassazione (hanno introdotto filtri e conciliazione). Ma se intraprendi tutti e tre i gradi, potresti aspettare anche 5-7 anni totali per una sentenza definitiva. Tienilo presente se decidi di portare avanti: magari vale la pena transare se la posta in gioco non è altissima, per chiudere prima.

D17: Se l’atto arriva a fine anno, posso far finta di nulla per guadagnare tempo?
R: Attenzione: se non fai nulla entro 60 giorni, l’atto diventa definitivo e poi non puoi più contestarlo. Alcuni pensano di aspettare un secondo atto (ad esempio la cartella) per impugnare tutto insieme. Questo è rischioso: se l’atto principale ti è stato notificato regolarmente e non lo impugni, quando arriverà la cartella non potrai contestare il merito, solo vizi formali. È vero che se l’Agenzia notifica un accertamento a ridosso di Natale, i 60 giorni cadono a febbraio e a volte arriva la pace fiscale o definizioni: puoi utilizzare tutto il termine, ma non oltre. In sintesi: non ignorare gli atti confidando in chissà cosa; avvia sempre il ricorso (o altro strumento come l’adesione) nei termini. Potrai sempre rinunciare in seguito se trovi un accordo o una sanatoria, ma intanto hai preservato i tuoi diritti.

D18: L’Agenzia delle Entrate mi ha inviato una “proposta di mediazione” con un certo sconto: cos’è e come incide sui termini?
R: Fino al 2023, nelle liti sotto 50.000 €, l’Agenzia era obbligata a esaminare il reclamo e poteva formulare una proposta di mediazione. Con la riforma, dal 2024 la mediazione non è più obbligatoria. Tuttavia, l’Agenzia può sempre, anche a processo avviato, proporre una conciliazione. Se ti arriva una proposta (magari ti dicono: paghi il 70% del tributo e chiudiamo), valuta con il tuo consulente: se accetti, concludete l’accordo (che sarà ratificato dalla Corte come conciliazione). Se rifiuti, il processo prosegue. Occhio: una proposta non sospende formalmente il processo, ma se siete in trattativa potete chiedere un breve rinvio d’udienza per definire. Quanto ai termini, se la proposta arriva prima di depositare il ricorso (scenario reclamo/mediazione pre-2024), quell’iter durava 90 giorni. Ora però non c’è più reclamo: dunque, oggi la proposta di definizione avviene di solito dopo che hai depositato ricorso, nel contesto di conciliazione. In tal caso, i termini processuali li può gestire il giudice disponendo un rinvio per favorire l’accordo.

D19: Quali sono le principali fonti normative da conoscere per il contenzioso tributario?
R: La “Bibbia” del processo tributario è il D.Lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, che è stato più volte modificato. Regola competenza, termini, atti, ecc. È indispensabile. Poi c’è il D.P.R. 115/2002 (Testo unico spese di giustizia) per il contributo unificato. Lo Statuto del contribuente (L. 212/2000) contiene principi (come il termine di 60 gg per adeguarsi e il contraddittorio). Le norme sostanziali tributarie (TUIR per redditi, DPR 633/72 per IVA, Dlgs 472/97 per sanzioni, ecc.) servono per i motivi di merito. E devi essere aggiornato alle riforme recenti: la Legge 130/2022, il D.Lgs. 119/2022 (ha introdotto alcune cose), e soprattutto i decreti attuativi del 2023 (D.Lgs. 156/2015 per modifiche pregresse, L. 111/2023 delega e D.Lgs. 220/2023 per processo, D.Lgs. 219/2023 per autotutela). Sembra complicato, ma per un contribuente medio l’importante è sapere i concetti base (60 giorni, come notificare, ecc.), mentre il professionista conoscerà i dettagli normativi. In fondo a questa guida trovi un elenco di riferimenti normativi e di sentenze utili.

D20: Cosa è cambiato nel processo tributario con le ultime riforme?
R: Riassumendo le novità principali aggiornate al 2025:

  • Nome degli organi: Commissioni→Corti di Giustizia Tributaria.
  • Giudice monocratico in primo grado per liti fino a €5.000 (dai ricorsi notificati dal 1/7/2023).
  • Processo telematico divenuto la regola esclusiva (dal 2024 tutte notifiche e depositi telematici, con rare eccezioni).
  • Prova testimoniale scritta ammessa con modulo ad hoc (novità dal 2023) – prima era vietata.
  • Abolizione del reclamo/mediazione obbligatori dal 2024: ora si parte subito col ricorso.
  • Autotutela obbligatoria introdotta e possibilità di impugnare il silenzio rifiuto su di essa e i dinieghi espressi (dal 2024).
  • Sanzioni processuali: il giudice può compensare spese se il vincitore ha prodotto tardi documenti decisivi; attenzione a sinteticità atti (non una rivoluzione ma un monito).
  • Divieto di nuove prove in appello codificato (dal 2023).
  • Conciliazione allargata: incentivata e applicabile anche in Cassazione (per ricorsi dal 2024).
  • Sospensive: introdotto reclamo su ordinanza cautelare monocratica.
  • Cassazione: filtri di inammissibilità per questioni di scarso valore (c’è stato un progetto di filtro per liti sotto certi importi o non significative, per ora c’è l’art. 348-bis c.p.c. che si applica nei limiti, ma è tema tecnico).

In sostanza, il processo sta diventando più simile a quello civile ordinario, con digitalizzazione e principi di economia processuale.

Queste FAQ coprono i dubbi più comuni. Se hai ulteriori domande specifiche sul tuo caso, è bene consultare un professionista o gli uffici preposti (alcuni uffici delle Entrate hanno sportelli di assistenza sul contenzioso, e il Portale della Giustizia Tributaria offre del materiale informativo).

14. Tabelle riepilogative

Per fissare meglio alcuni concetti chiave, riportiamo due tabelle riassuntive: la prima sui termini principali del processo tributario, la seconda sugli importi del contributo unificato per valore della lite.

Tabella 1 – Termini del processo tributario

Termine/ScadenzaDescrizione
60 giorni dall’attoTempo per notificare il ricorso dall’atto impugnato (termine di impugnazione ordinario).
90 giorni dall’istanza di rimborso/autotutelaFormazione del silenzio-rifiuto impugnabile. Prima non si può ricorrere, dopo sì (consigliato ricorrere entro 60 gg successivi).
30 giorni dalla notifica del ricorsoTermine per la costituzione in giudizio del ricorrente (deposito presso la Corte).
60 giorni dal ricevimento del ricorsoTermine per la costituzione in giudizio del resistente (deposito controdeduzioni).
20 giorni liberi prima dell’udienzaTermine fino al quale le parti possono produrre documenti integrativi.
10 giorni liberi prima dell’udienzaTermine per depositare memorie illustrative (deduzioni finali).
Entro 30 giorni dal deposito sentenzaTermine (ordinatorio) entro cui la Corte dovrebbe depositare la sentenza con motivazioni (spesso variabile).
60 giorni dalla notifica sentenza di 1º o 2º gradoTermine per proporre appello o ricorso per Cassazione (cd. termine breve).
6 mesi dalla pubblicazione sentenzaTermine lungo per appello o Cassazione se la sentenza non viene notificata dalla controparte.
30 giorni dalla notifica sentenza definitivaTermine per il pagamento spontaneo delle somme dovute in sentenza (trascorsi i quali l’ente può iniziare esecuzione, salvo sospensioni).
20 giorni dalla notifica ordinanza sospensivaTermine entro cui il ricorso sospeso deve essere riassunto a ruolo per il merito (altrimenti la sospensione perde efficacia).

(“giorni liberi” significa che nel conteggio non si considera il giorno dell’udienza né quello del termine stesso.)

Tabella 2 – Contributo Unificato Tributario (primo e secondo grado)

Valore della lite (in €)Contributo unificato dovuto (in €)
Fino a € 2.582,28€ 30,00
da € 2.582,29 a € 5.000,00€ 60,00
da € 5.000,01 a € 25.000,00€ 120,00
da € 25.000,01 a € 75.000,00€ 250,00
da € 75.000,01 a € 200.000,00€ 500,00
Oltre € 200.000,00€ 1.500,00
Valore indeterminabile€ 120,00 (primo e secondo grado)
Ricorso per CassazioneImporti come per il processo civile (es: oltre € 200.000 → € 3.372)

Note: Il valore si determina sul tributo principale contestato (senza interessi e aggi eventualmente). Se si impugnano solo sanzioni, quello è il valore. Se il ricorso riguarda più annualità/atti cumulati, il valore è la somma dei tributi in contestazione. Il contributo unificato va versato una volta per grado: in appello si ripaga la stessa cifra del primo grado. In Cassazione si applicano le tariffe civili (più alte per valori elevati). Se non si indica il valore nel ricorso, la normativa prevede il contributo massimo (1.500 €), quindi è importante dichiararlo.

15. Riferimenti normativi e giurisprudenziali (aggiornati a maggio 2025)

Di seguito elenchiamo le principali fonti normative e alcune pronunce giurisprudenziali di rilievo citate o inerenti alla materia, utili per approfondimenti:

Normativa primaria:

  • D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546“Disposizioni sul processo tributario” – Codice di procedura tributaria. (Testo base, con modifiche recenti da L.130/2022 e D.Lgs. 119/2022 e 220/2023).
  • D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115Testo Unico spese di giustizia – (Art. 13 tariffa, contributo unificato; art. 15 per compenso spese, ecc.).
  • Legge 27 luglio 2000, n. 212Statuto dei diritti del contribuente – (art. 6 comma 2 sul contraddittorio, art. 7 su motivazione atti, art. 10 principi di collaborazione; modificato dal D.Lgs. 219/2023 con introduzione artt. 10-quater e 10-quinquies sull’autotutela).
  • D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472Disposizioni generali sanzioni tributarie – (principi su sanzioni, cause non punibilità, ravvedimento).
  • D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19 – (Elenco atti impugnabili in giudizio tributario).
  • D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 21 – (Termine di 60 giorni per proporre ricorso).
  • D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 12 – (Assistenza tecnica obbligatoria oltre € 3.000; contiene soglie e categorie di difensori).
  • D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 17-bis – (Reclamo e mediazione tributaria, introdotto dal D.L. 98/2011 e modif. dal DL 50/2017 soglia 50k, abrogato dal D.Lgs. 130/2023 per i ricorsi dal 2024).
  • Legge 31 agosto 2022, n. 130Riforma giustizia tributaria 2022 – (introduce giudici professionali, cambi di nome, prova testimoniale scritta come sperimentazione, giudice monocratico per liti fino 3k, ecc.).
  • D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, art. 40 comma 2 (conv. L. 41/2023) – (Estende giudice monocratico a liti fino € 5.000 dai ricorsi notificati dal 1/7/2023).
  • Legge 9 agosto 2023, n. 111Delega per la riforma fiscale 2023 – (tra cui principi per rafforzare contraddittorio, digitalizzazione processi, revisione sanzioni, deflazione contenzioso in Cassazione).
  • D.Lgs. 30 dicembre 2023, n. 219Modifiche allo Statuto contribuenti su autotutela – (introduce autotutela obbligatoria: art. 10-quater e 10-quinquies L.212/2000; obbligo annullare atti illegittimi manifesti; risposte in 90 gg; impugnabilità dinieghi).
  • D.Lgs. 30 dicembre 2023, n. 220Disposizioni sul contenzioso tributario (attuazione delega) – (novità sul processo: obbligo telematico, regolarizzazione vizi telematici, sentenze semplificate, spese e principio di lite temeraria sui documenti tardivi, impugnabilità diniego autotutela, divieto nuove prove in appello, reclamo su sospensive monocratiche, estensione conciliazione, ecc.).
  • D.M. Economia 23 dicembre 2013, n. 163Regolamento processo tributario telematico – (disciplinava il PTT: ora integrato da normative 2021/22 che lo rendono obbligatorio; definisce notifiche via PEC, firme digitali, portal SIGIT).
  • D.L. 6 luglio 2011, n. 98, art. 39 (conv. L. 111/2011) – (introduzione contributo unificato nel tributario e reclamo obbligatorio inizialmente).
  • D.L. 24 aprile 2017, n. 50, art. 10 (conv. L. 96/2017) – (innalza soglia mediazione a 50.000 € e riduce sanzioni conciliazione 40%-50%).

Giurisprudenza (Sentenze) di riferimento:

  • Cass., Sez. Unite, 13 dicembre 2017, n. 29919 – (Sull’assistenza tecnica obbligatoria: il giudice deve invitare a munirsi di difensore prima di dichiarare inammissibile l’atto per difetto di firma tecnica).
  • Cass., Sez. Unite, 29 luglio 2013, n. 18184 – (Impugnabilità delle cartelle per vizi propri e possibilità di dedurre mancata notifica dell’atto presupposto; conferma tutela del contribuente via cartella se atto mai ricevuto).
  • Cass., Sez. Unite, 5 ottobre 2004, n. 20604 – (Giurisdizione tributaria su atti relativi a tributi – definisce confini; atti dell’esattore impugnabili se concernenti obbligazioni tributarie).
  • Cass., Sez. Unite, 25 luglio 2007, n. 16154 – (Il valore della lite per contributo e competenza va determinato in base all’importo del tributo, al netto degli interessi, e con riferimento a ciascun atto impugnato).
  • Cass., Sez. Unite, 8 settembre 2016, n. 17931 – (Sul litisconsorzio necessario in materia tributaria: ad esempio, tutti i soci e la società in accertamenti a società di persone; se non integrati, nullità processuale).
  • Cass., SS.UU., 4 giugno 2008, n. 14815 – (Annullabilità dell’intero accertamento se non notificato a tutti i coobbligati necessari, es. soci).
  • Cass., Sez. V, 18 aprile 2018, n. 9510 – (Sul principio di non contestazione nel processo tributario e possibilità di ammettere nuovi documenti in appello ante riforma – ora superato dal divieto del 2023).
  • Cass., Sez. V, 17 maggio 2018, n. 12065 – (Ribadisce che in appello non si possono proporre eccezioni nuove non sollevate in primo grado, salvo rilevabili d’ufficio).
  • Cass., Sez. V, 16 novembre 2020, n. 25718 – (In tema di prova testimoniale: prima della riforma 2022 non ammessa; anticipa apertura verso testimonianze scritte in recepimento indicazioni CEDU).
  • Cass., Sez. V, 8 novembre 2022, n. 32741 – (Conferma impugnabilità del diniego di autotutela solo in presenza di obbligo specifico dell’amministrazione – contesto pre-riforma; la riforma 2023 ora consente impugnazione in certe ipotesi tassative di autotutela obbligatoria).
  • Corte Costituzionale 2 aprile 2014, n. 98 – (Dichiara incostituzionale la norma che impediva appello per le sole spese: ora è sempre appellabile la sentenza, anche se si discute solo di spese).
  • Corte Costituzionale 7 marzo 2008, n. 50 – (Legittimità del contributo unificato nel processo tributario e rigetto dubbi di incostituzionalità).
  • Corte Costituzionale 23 luglio 2019, n. 198 – (Conferma la giurisdizione tributaria per i tributi locali e legittimità di certe procedure; in generale delimita l’ambito).

Prassi e altri riferimenti:

  • Circolare Agenzia Entrate n. 38/E del 29 dicembre 2015 – (Chiarimenti su riforma D.Lgs. 156/2015: spese di giudizio, conciliazione, mediazione).
  • Relazione illustrativa al D.Lgs. 156/2015 – (Utile per comprendere ratio di modifiche su reclamo, conciliazione, etc.).
  • Linee guida MEF sul processo tributario telematico – (Aggiornamenti 2021/2022, disponibili sul portale Giustizia Tributaria).
  • Sito Agenzia Entrate – “Contenzioso e strumenti deflativi” – (schede informative su autotutela, acquiescenza, adesione, ricorso, conciliazione, con ultimo agg. Feb 2025) – utile per un inquadramento pratico dalla prospettiva dell’Ente.

Presentare Ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria: Perché Affidarti a Studio Monardo

Hai ricevuto un avviso di accertamento, una cartella esattoriale o un provvedimento dell’Agenzia delle Entrate che ritieni ingiusto?

Hai solo una possibilità per opporti in modo efficace: presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria.
Ma attenzione: i termini sono rigidi, le regole procedurali complesse, e un errore formale può farti perdere la causa senza nemmeno essere ascoltato.

La difesa fiscale non si improvvisa. Serve preparazione tecnica, strategia e rapidità.

Cosa può fare per te l’Avvocato Monardo

Analizza il provvedimento ricevuto, individuando vizi di forma, motivazioni errate o irregolarità sostanziali

Redige e presenta il ricorso telematicamente, entro i termini stabiliti dalla legge (generalmente 60 giorni)

Chiede la sospensione dell’atto, per evitare esecuzioni forzate durante il contenzioso

Ti rappresenta in udienza, sostenendo la tua difesa con argomentazioni tecniche e giuridiche solide

Segue anche eventuali appelli o gradi successivi, fino alla definizione completa della controversia

Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

🔹 Avvocato esperto in contenzioso tributario e difesa contro l’Agenzia delle Entrate
🔹 Gestore della Crisi da Sovraindebitamento – iscritto al Ministero della Giustizia
🔹 Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa – abilitato ex D.L. 118/2021
🔹 Fiduciario OCC – Organismo di Composizione della Crisi
🔹 Coordinatore nazionale di legali e consulenti esperti in diritto tributario e riscossione coattiva

Perché agire subito

⏳ Hai soltanto 60 giorni dalla notifica dell’atto per presentare ricorso
⚠️ Trascorso il termine, l’atto diventa definitivo e immediatamente esecutivo
📉 Rischi gravi: pignoramenti, fermi, blocchi su conti correnti, iscrizioni ipotecarie
🔐 Solo con una difesa tempestiva e tecnica puoi bloccare tutto e far valere le tue ragioni

Conclusione

Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria è l’unico strumento efficace per opporsi alle pretese ingiuste del Fisco.
Ma per farlo davvero bene, serve chi lo fa ogni giorno.

Affidarsi all’Avvocato Giuseppe Monardo significa avere una difesa solida, preparata e tempestiva contro l’Agenzia delle Entrate, in ogni fase del contenzioso.

Qui sotto trovi tutti i riferimenti per richiedere una consulenza fiscale dedicata.

Leggi con attenzione: Se stai affrontando difficoltà con il Fisco e hai bisogno di una rapida valutazione delle tue cartelle esattoriali e dei debiti, non esitare a contattarci. Siamo pronti ad aiutarti immediatamente! Scrivici su WhatsApp al numero 351.3169721 oppure inviaci un’e-mail all’indirizzo info@fattirimborsare.com. Ti ricontatteremo entro un’ora per offrirti supporto immediato.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
Si invita a leggere attentamente il disclaimer del sito.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

My Agile Privacy
Privacy and Consent by My Agile Privacy

Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. 

Puoi accettare, rifiutare o personalizzare i cookie premendo i pulsanti desiderati. 

Chiudendo questa informativa continuerai senza accettare. 

Torna in alto

Abbiamo Notato Che Stai Leggendo L’Articolo. Desideri Una Prima Consulenza Gratuita A Riguardo? Clicca Qui e Prenotala Subito!