PLa tua impresa è in crisi e rischia di finire in liquidazione giudiziale? Hai ricevuto un’istanza dal tribunale o sei preoccupato per i debiti non pagati?
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto della crisi d’impresa e procedure concorsuali – è pensata per aiutarti a capire cosa succede, quali sono le conseguenze e come difenderti.
Scopri cos’è la liquidazione giudiziale (ex fallimento), chi può richiederla, cosa comporta per l’imprenditore e per l’impresa, quali beni possono essere coinvolti e quali alternative legali puoi valutare per evitare il fallimento.
Alla fine della guida troverai tutti i contatti per richiedere una consulenza riservata, analizzare la tua situazione con un avvocato esperto e studiare insieme la soluzione più adatta per salvaguardare il tuo patrimonio e la tua reputazione.
Liquidazione Giudiziale: Il 100% delle Strategie per Affrontarla – La Guida di Studio Monardo
Introduzione
La liquidazione giudiziale è la procedura concorsuale prevista dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (C.C.I.I.) che ha sostituito il tradizionale fallimento dal 15 luglio 2022. Si tratta della procedura residuale cui si ricorre quando un’impresa in stato di insolvenza non può essere salvata tramite strumenti che privilegiano la continuità aziendale (come il concordato preventivo o la ristrutturazione dei debiti). In altre parole, la liquidazione giudiziale mira a liquidare il patrimonio del debitore insolvente e a soddisfare in modo ordinato i creditori, secondo le priorità di legge.
Questa guida estesa, aggiornata a maggio 2025, fornirà a imprenditori e consulenti legali un manuale pratico e tecnico su come affrontare la liquidazione giudiziale in Italia. Verranno esaminati i fondamenti giuridici della procedura (disciplinata dagli artt. 121-283 C.C.I.I.), includendo le ultime modifiche normative fino al 2024, la giurisprudenza più recente e gli orientamenti della dottrina. Si illustreranno inoltre strategie operative e check-list per gestire al meglio ogni fase, con esempi applicati ai principali settori produttivi (edilizia, commercio, industria manifatturiera, servizi, tecnologia, agricoltura, etc.), evidenziando le particolarità settoriali dove rilevanti.
Struttura della guida: Dopo una panoramica generale sulla liquidazione giudiziale e sul nuovo quadro normativo, analizzeremo dettagliatamente i presupposti della procedura (soggettivi e oggettivi), gli organi coinvolti (curatore, giudice delegato, comitato dei creditori, ecc.) e gli effetti dell’apertura della liquidazione (sul patrimonio del debitore, sui contratti in corso, sui rapporti bancari, sui dipendenti, sui creditori e sugli amministratori). Seguiranno sezioni dedicate alle strategie pratiche per debitori e creditori – corredate da esempi concreti per ciascuna tipologia di soggetto – e delle check-list operative da seguire prima e durante la procedura. Verranno inoltre presentate tabelle riepilogative (cronologia procedurale, differenze tra vecchia e nuova disciplina, obblighi del debitore, tempistiche chiave) e una sezione di Domande Frequenti (FAQ) per chiarire i dubbi più comuni. In chiusura, un elenco completo e ragionato delle fonti normative, giurisprudenziali e dottrinali citate fornirà riferimenti puntuali a supporto del testo.
Il linguaggio adottato sarà tecnico ma accessibile, così che sia il professionista legale sia l’imprenditore senza specifiche competenze giuridiche possano comprendere appieno come funziona la liquidazione giudiziale e quali strategie mettere in campo per gestirla al meglio. Procediamo dunque con la panoramica generale di questa fondamentale procedura.
Panoramica Generale della Liquidazione Giudiziale
La liquidazione giudiziale è la procedura concorsuale che sostituisce il fallimento nella nuova disciplina introdotta dal C.C.I.I. (D.lgs. 14/2019). Pur avendo cambiato nome per attenuare lo stigma e allinearsi a terminologie europee, la sostanza della procedura rimane similare al vecchio fallimento, sebbene riorganizzata per essere più efficiente e rapida. In sintesi, quando un’impresa non è più in grado di pagare regolarmente i propri debiti ed emergono i presupposti di legge, il tribunale apre la liquidazione giudiziale: gli amministratori perdono la gestione, un curatore viene nominato per amministrare e liquidare i beni, e il ricavato viene distribuito ai creditori secondo l’ordine delle cause di prelazione.
Dal 15 luglio 2022 il Codice della Crisi è pienamente in vigore, dopo essere stato oggetto di due interventi correttivi: uno nel 2020 e uno nel 2022, quest’ultimo per recepire la Direttiva UE 2019/1023 sull’insolvenza. Inoltre, un ulteriore decreto correttivo (D.lgs. 136/2024) è stato emanato nel settembre 2024, apportando alcuni aggiustamenti tecnici di cui si dirà nelle sezioni pertinenti (ad es. sui rapporti di lavoro). Il C.C.I.I. colloca la liquidazione giudiziale dopo le procedure di allerta e di regolazione della crisi, a indicare che essa è l’extrema ratio da attivare quando le soluzioni conservative falliscono.
Ecco alcune caratteristiche generali della liquidazione giudiziale nella nuova disciplina:
- Finalità: liquidare il patrimonio dell’impresa insolvente in modo ordinato, convertendo i beni in denaro per pagare i creditori. A differenza di procedure come il concordato preventivo, non è volta a ristrutturare l’azienda o a garantirne la continuità, se non eventualmente mediante un esercizio provvisorio limitato o la cessione dell’azienda a terzi.
- Sfera di applicazione: colpisce essenzialmente le imprese commerciali insolventi sopra una certa dimensione (escluse le piccole imprese “minori”, le imprese agricole e altri soggetti non fallibili, come dettagliato oltre). Restano regolati da procedure diverse (sovraindebitamento, liquidazione controllata) i casi di crisi di consumatori, professionisti e imprenditori minori.
- Terminologia: il termine fallimento è stato sostituito con liquidazione giudiziale ed il fallito ora è semplicemente il debitore assoggettato alla procedura. Questo cambio lessicale ha implicazioni anche su norme extra-concorsuali: ad esempio, talune cause di ineleggibilità o decadenza per i “falliti” sono state riviste, e l’esdebitazione (la liberazione dai debiti residui) è ora regolata negli artt. 278-283 C.C.I.I. per concedere al debitore persona fisica un “fresh start” a fine procedura. In ogni caso, permangono le sanzioni penali per le condotte fraudolente (reati di bancarotta) anche se si parla di “liquidazione” invece che di fallimento (le norme penali del R.D. 267/1942 restano applicabili).
- Struttura procedurale invariata: la sequenza procedimentale ricalca quella del fallimento: accertamento giudiziale dello stato di insolvenza, apertura della procedura con sentenza, nomina degli organi (giudice delegato, curatore, comitato creditori), cristallizzazione del patrimonio e dei debiti, formazione dello stato passivo dei crediti, liquidazione dell’attivo e ripartizione, chiusura finale. Molte disposizioni della vecchia Legge Fallimentare (R.D. 267/42) rivivono nel C.C.I.I. con numerazione diversa e qualche modifica di dettaglio.
- Efficienza e digitalizzazione: il nuovo Codice enfatizza la celerità e la gestione telematica. Ad esempio, la vendita dei beni avviene preferibilmente tramite procedure competitive telematiche sul Portale delle Vendite Pubbliche; gli scambi di atti e comunicazioni avvengono via PEC; il curatore deve predisporre un programma di liquidazione e rapporti periodici che il giudice verifica, così da evitare stasi. Inoltre, all’apertura della procedura, la cancelleria acquisisce d’ufficio, via collegamenti telematici, i dati fiscali, previdenziali e camerali del debitore, per fornire subito al curatore un quadro informativo completo.
- Carattere unitario e coordinamento con altre procedure: la liquidazione giudiziale è unica per tutti i beni del debitore. In caso di gruppi di imprese, la riforma prevede il coordinamento delle procedure delle varie società e la possibilità di gestione unitaria dinanzi allo stesso Tribunale (ad es. presentazione di un unico ricorso di gruppo se più società del gruppo sono insolventi). In caso di società di persone, come vedremo, la procedura coinvolge anche i soci illimitatamente responsabili nello stesso contesto.
- Aggiornamenti normativi recenti: oltre ai decreti correttivi citati, va ricordato che con D.L. 118/2021 (conv. in L. 147/2021) è stata anticipata la Composizione Negoziata per la crisi, che interagisce con la liquidazione giudiziale: ad esempio, se durante una composizione negoziata la situazione precipita, il Tribunale può essere investito immediatamente della domanda di liquidazione (c.d. consecuzione di procedure). Nel 2022, il D.lgs. 83/2022 ha introdotto norme per conformare il Codice alla direttiva insolvenze, come la possibilità di cram-down fiscale nei concordati e (dal 2024) anche nei concordati proposti all’interno della liquidazione giudiziale (di ciò si dirà più avanti). Infine, come accennato, il D.lgs. 136/2024 ha apportato chiarimenti su alcuni punti, in primis la disciplina dei rapporti di lavoro nella procedura.
In sintesi, la liquidazione giudiziale rappresenta l’insieme di regole e procedure attraverso cui l’ordinamento gestisce il dissesto irreversibile di un’impresa, sacrificando l’interesse del debitore (che perde il patrimonio e la gestione) in favore dell’interesse dei creditori ad una soddisfazione equa e proporzionata sul ricavato dei beni. Nel seguito della guida, approfondiremo ciascun aspetto di questa procedura, fornendo riferimenti puntuali alla legge (C.C.I.I.) e ai più recenti orientamenti giurisprudenziali, nonché consigli pratici e strategie operative.
Presupposti per l’Apertura della Liquidazione Giudiziale
Prima di attivare una liquidazione giudiziale, è necessario che ricorrano specifici presupposti di legge, di natura sia soggettiva (chi può esservi assoggettato) sia oggettiva (quando si considera la situazione di insolvenza). Inoltre, occorre che vi sia un’iniziativa legittima da parte di un soggetto abilitato (istanza di parte o d’ufficio) e il rispetto di eventuali soglie e condizioni. Vediamo questi aspetti in dettaglio.
Presupposti Soggettivi: chi può essere dichiarato in Liquidazione Giudiziale
La liquidazione giudiziale si applica agli imprenditori commerciali che risultino insolventi salvo che possano dimostrare di essere un’impresa minore ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. d) C.C.I.I.. Il Codice definisce infatti una categoria di debitori esclusi dalla procedura: le cosiddette imprese minori. Si tratta di imprese di ridotte dimensioni che presentano congiuntamente tre requisiti finanziari negli ultimi tre esercizi (o dall’inizio attività se più breve):
- Attivo patrimoniale annuo (totale delle attività) non superiore a € 300.000;
- Ricavi lordi annui (fatturato) non superiori a € 200.000;
- Debiti totali (anche non scaduti) non superiori a € 500.000.
Un’impresa che rispetta tutti e tre questi parametri è considerata minore e, in caso d’insolvenza, non verrà assoggettata a liquidazione giudiziale (né ad altre procedure maggiori come concordato preventivo), ma potrà accedere alle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento (come il concordato minore o la liquidazione controllata). L’onere di provare il possesso congiunto di tali requisiti grava sul debitore: se un creditore chiede il fallimento, è il debitore che deve eccepire e dimostrare di rientrare nei limiti dell’impresa minore per evitare l’apertura della procedura. È sufficiente il superamento di anche uno solo dei tre limiti (anche in uno solo degli ultimi tre anni) perché l’impresa perda lo status di minore e diventi fallibile.
Restano inoltre esclusi dalla liquidazione giudiziale, per espressa previsione di legge, alcuni tipi di soggetti indipendentemente dalle dimensioni. In particolare non sono soggetti a liquidazione giudiziale:
- Imprenditori agricoli: chi esercita esclusivamente attività agricola ai sensi dell’art. 2135 c.c. (coltivazione del fondo, silvicoltura, allevamento, attività connesse) non può essere dichiarato fallito né sottoposto a liquidazione giudiziale. Questa regola storica è confermata anche di recente dalla Cassazione: le imprese che svolgono esclusivamente attività agricola non sono assoggettabili a fallimento. Attenzione però: se sotto la veste formale di società agricola si cela di fatto un’attività commerciale, i creditori possono dimostrarlo e ottenere comunque il fallimento (ad es. un’azienda che affianca all’agricoltura attività industriali di trasformazione di proporzioni prevalenti può perdere l’esenzione).
- Professionisti e artisti che non siano organizzati in forma d’impresa: ad esempio un avvocato, un medico o un consulente con studio individuale in crisi seguirà le procedure da sovraindebitamento, non la liquidazione giudiziale.
- Consumatori e privati non imprenditori: se un soggetto non è imprenditore, i suoi debiti (es. personali, familiari) non possono portare al fallimento; in caso di insolvenza potrà semmai accedere alla liquidazione controllata del patrimonio (ex L.3/2012, ora nel C.C.I.I.).
- Start-up innovative: in passato le start-up innovative registrate godevano di una temporanea non-fallibilità (per i primi anni di attività). Questa protezione è stata abrogata con la riforma: dal 2022-2024 anche le start-up innovative, se hanno natura di impresa commerciale e superano i limiti di cui sopra, possono essere poste in liquidazione giudiziale (derogando alla normativa speciale precedente).
- Enti pubblici: fuori dal campo di applicazione del Codice Crisi rimangono gli enti pubblici e le aziende di diritto pubblico, che seguono altre discipline in caso di dissesto (es. procedure di liquidazione coatta amministrativa per alcuni enti, dissesto per enti locali, ecc.).
- Altri enti non commerciali: un’associazione o fondazione che svolge solo attività non commerciale in genere non è soggetta a fallimento. Se però esercita attività d’impresa commerciale in modo prevalente, può diventarlo (la distinzione può essere sottile e basarsi sull’oggetto effettivo).
Per quanto riguarda le società di persone con soci a responsabilità illimitata (società in nome collettivo, società in accomandita semplice e accomandita per azioni), la legge prevede l’estensione del fallimento ai soci illimitatamente responsabili. In base all’art. 256 C.C.I.I., la sentenza che dichiara la liquidazione giudiziale di una società di persone produce automaticamente l’apertura della procedura anche a carico dei soci illimitatamente responsabili (anche se persone giuridiche). Questo principio riprende l’art. 147 L.F. e significa che, ad esempio, se fallisce una SNC, falliscono di conseguenza anche tutti i soci. Il Codice ha introdotto una garanzia procedurale: prima di dichiarare la liquidazione dei soci, il Tribunale li convoca in camera di consiglio per sentirli. Inoltre:
- Non si può dichiarare la liquidazione dei soci trascorso oltre un anno dal loro recesso o dalla perdita della responsabilità illimitata (per esempio, se hanno ceduto le quote), purché le formalità pubblicitarie siano state osservate e l’insolvenza riguardi debiti sorti prima della cessazione.
- Se emergono soci illimitatamente responsabili dopo l’apertura della procedura della società (es. un socio occulto scoperto dal curatore), il Tribunale può estendere la procedura a loro su istanza del curatore, di un creditore o di altri soggetti legittimati.
- Se fallisce una ditta individuale ma poi si scopre che in realtà l’impresa faceva capo a una società di persone non dichiarata, si procede parimenti ad estendere la procedura a tale società e ai relativi soci.
Va precisato che i soci accomandanti di una S.a.s. (che per legge rispondono limitatamente) non falliscono per estensione, a meno che abbiano di fatto ingerito nella gestione divenendo di fatto illimitatamente responsabili. In caso di società di capitali (S.r.l., S.p.A.), i soci non rispondono dei debiti sociali, dunque non falliscono (perdono al più il capitale investito).
Esiste infine un requisito temporale: la liquidazione giudiziale di un imprenditore cessato può essere dichiarata entro un anno dalla cessazione dell’attività, purché l’insolvenza si sia manifestata durante l’attività o entro l’anno successivo. Ad esempio, se un imprenditore ha chiuso l’attività e si è cancellato dal Registro Imprese, i creditori hanno un anno di tempo per chiederne il fallimento riguardo ai debiti pregressi. Trascorso l’anno dalla cessazione (formalmente risultante dalla cancellazione dal Registro o da altra evidenza), non è più possibile aprire la procedura concorsuale, salvo riemersione dell’attività stessa come impresa non cessata in realtà. Questo per evitare di inseguire all’infinito piccoli debitori che hanno chiuso bottega. Si noti che cessazione dell’attività non significa necessariamente estinzione dei debiti: se entro un anno appare l’insolvenza riferibile al periodo d’attività, il fallimento può ancora essere aperto.
In conclusione, dal lato soggettivo, la liquidazione giudiziale riguarda principalmente imprese commerciali medio-grandi insolventi. Le imprese di piccola dimensione (entro i limiti di attivo, ricavi e debiti sopra indicati) e categorie particolari (agricoli, professionisti, consumatori) non vi sono assoggettate e seguono percorsi differenti (le procedure di sovraindebitamento). Questa distinzione è cruciale: un consulente deve anzitutto verificare se il proprio cliente rientra tra i soggetti fallibili o meno, perché da ciò dipende la strategia (ad esempio, per un’impresa agricola insolvente si attiverà una liquidazione controllata ex art. 268 C.C.I.I, non la liquidazione giudiziale).
Presupposto Oggettivo: lo Stato di Insolvenza
Oltre a riguardare un soggetto fallibile, la procedura richiede il presupposto oggettivo dell’insolvenza. L’art. 121 C.C.I.I. stabilisce che l’imprenditore fallibile può essere sottoposto a liquidazione giudiziale quando versa in uno stato di insolvenza. Il concetto di insolvenza è definito dall’art. 2, comma 1, lett. b) C.C.I.I. in continuità con la previgente legge fallimentare: esso consiste in “inadempimenti od altri fatti esteriori che dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni“. In pratica, si guarda se il debitore ha accumulato debiti scaduti non pagati, protesti, pignoramenti infruttuosi, o se ha cessato i pagamenti. Bastano indizi oggettivi di incapacità finanziaria permanente (non un semplice ritardo temporaneo) perché un’impresa sia dichiarata insolvente.
La giurisprudenza ha ribadito che lo stato di insolvenza non coincide necessariamente col patrimonio netto negativo, ma si manifesta con la crisi di liquidità irreversibile. Ad esempio, il mancato pagamento sistematico di fornitori e stipendi, o l’inadempimento verso il fisco e le banche, sono segnali tipici. Non serve attendere che tutti i beni siano esauriti: anche un’impresa con molti asset può essere insolvente se non riesce a renderli liquidi per far fronte ai debiti esigibili.
Il Codice della Crisi ha introdotto anche la nozione di “crisi” (art. 2, c.1, lett. a) intesa come probabilità di futura insolvenza, per attivare misure di allerta e composizione negoziata). Tuttavia, per l’apertura della liquidazione giudiziale serve che la crisi sia già degenerata in insolvenza conclamata. Non è ammessa la dichiarazione di fallimento solo perché l’impresa è in situazione di tensione finanziaria potenziale: occorre la prova di insolvenza attuale.
Vi è inoltre un requisito quantitativo: non si procede alla liquidazione giudiziale se l’ammontare dei debiti scaduti e non pagati è inferiore a € 30.000. Questa soglia (già prevista nell’ordinamento previgente) funge da filtro per evitare procedure concorsuali per importi bagatellari. In pratica, se un’impresa ha insolvenze di piccola entità (meno di 30 mila euro in totale) il tribunale non dichiara il fallimento, anche se formalmente insolvente, presumendo che in tali casi sia preferibile una gestione stragiudiziale. Al contrario, superata questa soglia, la gravità economica giustifica l’intervento concorsuale. Va sottolineato che i €30.000 si riferiscono ai debiti scaduti e impagati alla data della decisione: se il debitore ne paga una parte per rientrare sotto soglia, il tribunale può temporaneamente astenersi dal dichiarare il fallimento. Tuttavia, pagamenti frazionati dell’ultimo minuto non sempre salvano, specie se fatti preferendo qualche creditore (possono costituire atti sospetti, come vedremo sulle revocatorie).
Riassumendo, l’insolvenza è il fulcro oggettivo: un imprenditore, pur fallibile, non verrà dichiarato in liquidazione giudiziale se riesce ancora a onorare regolarmente i debiti. Ma quando il dissesto è tale che i creditori iniziano a non essere pagati stabilmente, scatta il presupposto oggettivo. Il tribunale valuta caso per caso, spesso considerando il rapporto tra attivo liquidabile e passivo esigibile: se l’attivo disponibile (cassa, crediti prontamente esigibili) è insufficiente e non vi sono prospettive credibili di recupero, l’insolvenza è conclamata. Una volta verificato ciò, si passa a esaminare la legittimazione e le modalità di attivazione della procedura.
Iniziativa per l’Apertura: chi e come si può richiedere la Liquidazione Giudiziale
Non basta che esistano insolvenza e soggettività fallibile: occorre anche un’iniziativa perché il tribunale apra la procedura. La liquidazione giudiziale infatti non si attiva d’ufficio (salvo peculiari casi di conversione da altre procedure). Gli soggetti legittimati a richiederla sono, principalmente, gli stessi già previsti dalla legge fallimentare:
- Il debitore insolvente, che può presentare direttamente ricorso per la propria liquidazione giudiziale (quello che un tempo si chiamava fallimento in proprio). Spesso l’imprenditore sceglie questa via quando ritiene inevitabile il fallimento, per evitare ulteriori aggravi e magari per poter collaborare da subito (ciò può agevolare poi l’esdebitazione).
- Uno o più creditori non soddisfatti. Qualsiasi creditore (anche uno solo, anche di modesta entità, purché il totale dei debiti impagati sia sopra €30.000) può depositare ricorso per far dichiarare il fallimento del debitore. Non occorre che il credito del ricorrente sia già accertato con sentenza; basta che esista e sia scaduto. Di solito, i creditori istanti sono fornitori, banche, il Fisco o ex dipendenti.
- Il Pubblico Ministero (PM) presso il tribunale, nei casi previsti dall’art. 37 C.C.I.I. (corrispondente all’art. 7 L.F.). Il PM interviene tipicamente se l’insolvenza emerge da un procedimento penale (es. reati commessi dall’imprenditore) o da segnalazioni di autorità di vigilanza. Ad esempio, se dal bilancio depositato o da ispezioni fiscali risulta palese insolvenza, il PM può attivarsi.
- Gli organi di controllo o vigilanza sull’impresa (novità del C.C.I.I.): alcune autorità amministrative possono richiedere il fallimento se ne hanno competenza di settore. Ad esempio, la Banca d’Italia per una società finanziaria, IVASS per un’assicurazione, o anche gli organi di controllo societari (collegio sindacale, revisore) se l’impresa non ha agito di fronte a gravi irregolarità. Questa legittimazione intende responsabilizzare chi vigila sull’impresa a non lasciar aggravare il dissesto.
La domanda si propone con ricorso al Tribunale competente (quello del luogo dove l’impresa ha il centro principale dei suoi interessi, di regola la sede legale). Il procedimento è camerale (non una causa ordinaria) ma garantisce il contraddittorio: il Tribunale fissa un’udienza e convoca il debitore e l’eventuale istante, con un preavviso di almeno 15 giorni. Nelle situazioni urgenti il termine può essere abbreviato. All’udienza, il debitore può contestare lo stato d’insolvenza o la propria fallibilità, adducendo ad esempio di avere patrimonio sufficiente o di essere impresa minore. Può anche proporre soluzioni alternative (come un concordato preventivo “in extremis”, se presenta un piano e ne chiede l’ammissione prima della decisione sulla liquidazione).
Il Tribunale può delegare un giudice relatore per l’istruttoria. Ad esempio, il giudice delegato può essere incaricato di assumere informazioni, escutere testi (creditori, commercialisti, ecc.) per verificare l’insolvenza. Spesso nelle procedure più complesse si svolgono due fasi: una sommaria con acquisizione di documenti (bilanci, elenco creditori, relazione dell’organo di controllo) e poi un breve dibattimento all’udienza. Terminata la fase di accertamento, il Tribunale può:
- Dichiarare l’apertura della liquidazione giudiziale con sentenza (se ritiene provata l’insolvenza e la fallibilità del debitore).
- Rigettare il ricorso (se il debitore non è insolvente, oppure è soggetto non fallibile, o la domanda è prematura/irricevibile).
- Posticipare la decisione in casi particolari: ad esempio, se il debitore ha depositato domanda di concordato preventivo prima o durante la procedura prefallimentare, il Tribunale generalmente sospende la decisione sul fallimento in attesa dell’esito del concordato (ciò in ossequio al principio di favor verso le soluzioni conservative). Oppure, può rinviare se emergono trattative in corso per un accordo stragiudiziale serio, benché la Cassazione abbia chiarito che non è ammissibile concedere lunghi termini per tentativi extragiudiziali mentre c’è un’istanza di fallimento pendente (il rischio è di pregiudicare i creditori).
Se la sentenza dichiara la liquidazione giudiziale, essa produce i suoi effetti immediatamente (salvo poi eventuale impugnazione). La sentenza viene notificata al debitore e al PM e comunicata ai creditori istanti. Contro la sentenza di fallimento, il debitore (o i creditori se la ritengono ingiusta, ad es. se rigettata) possono proporre reclamo alla Corte d’Appello entro 30 giorni. Il reclamo non sospende l’efficacia del fallimento, che intanto prosegue. La Corte d’Appello decide con decreto motivato, reclamabile a sua volta per Cassazione entro 30 giorni dalla notifica. Queste impugnazioni, tuttavia, sono relativamente rare in caso di insolvenza conclamata, e spesso servono solo a questioni di competenza territoriale o simili.
Durante l’istruttoria prefallimentare, il Tribunale può adottare misure cautelari o protettive a tutela del patrimonio: ad esempio, su richiesta dei creditori o del PM può sequestrare beni del debitore se vi è pericolo che vengano dispersi prima della decisione definitiva (art. 54 C.C.I.I.), oppure sospendere temporaneamente le azioni esecutive individuali (art. 55) se ciò non avviene già automaticamente. Questo consente di preservare l’integrità dell’attivo in pendenza del giudizio.
Esempio pratico: un fornitore impaziente presenta istanza di fallimento contro Alfa Srl, che ha debiti scaduti per €100.000. Alfa Srl si oppone sostenendo di avere crediti da incassare sufficienti e chiede tempo. Il Tribunale esamina bilanci e ascolta le parti: risulta che Alfa Srl ha beni ma illiquidi e moltissimi altri debiti. Il giudice può rigettare la richiesta di tempo se ritiene l’insolvenza già manifesta (come affermato da Cass. ord. 18310/2023, non è ammessa una dilazione per tentare un concordato fiscale se i termini sono già scaduti). Dunque il Tribunale emette sentenza di liquidazione giudiziale, nominando un curatore. Alfa Srl potrebbe reclamare, ma se la situazione è oggettiva, difficilmente l’esito cambierà. Nel frattempo la procedura parte immediatamente.
Una situazione diversa: Beta Spa, in crisi, deposita un ricorso per concordato preventivo qualche giorno prima dell’udienza prefallimentare su istanza di una banca creditrice. In tal caso, grazie alla domanda di concordato prenotativo, la procedura di fallimento viene sospesa: l’apertura della liquidazione giudiziale non può essere deliberata finché pende la domanda di concordato (il Codice prevede una priorità alle soluzioni concordate, entro certi limiti temporali). Solo se il concordato verrà successivamente dichiarato inammissibile o non omologato, allora il Tribunale riprenderà in mano l’istanza di fallimento (c.d. consecuzione).
Riassumendo, l’apertura della liquidazione giudiziale è un procedimento giudiziario che garantisce al debitore il diritto di difesa ma, in presenza dei presupposti, sfocia in una sentenza dichiarativa dagli effetti dirompenti. Nei capitoli seguenti esamineremo proprio tali effetti e l’iter della procedura una volta dichiarata.
Organi della Procedura di Liquidazione Giudiziale
Con la sentenza dichiarativa di liquidazione giudiziale, il Tribunale contestualmente nomina gli organi che gestiranno la procedura concorsuale. Essi sono in parte analoghi a quelli previsti nella vecchia legge fallimentare. Gli organi principali sono:
- Il Tribunale fallimentare (collegio di tre giudici) che emette la sentenza dichiarativa e decide sulle eventuali impugnazioni allo stato passivo, sui concordati nella procedura, sulla chiusura e altre questioni rilevanti.
- Il Giudice Delegato (G.D.): un giudice del tribunale nominato nella sentenza, delegato a sovrintendere e dirigere le operazioni della procedura. Ad esempio, il G.D. ammette o esclude i crediti, autorizza gli atti del curatore quando richiesto e vigila sull’andamento generale.
- Il Curatore: figura cardine, è il professionista incaricato di amministrare il patrimonio fallimentare, liquidare i beni e soddisfare i creditori secondo la legge.
- Il Comitato dei Creditori: organo collegiale composto da 3 o 5 creditori rappresentativi delle varie categorie (di norma un creditore privilegiato, uno chirografario e magari un rappresentante dei lavoratori se ci sono dipendenti), con funzioni consultive e di controllo sull’operato del curatore.
- L’eventuale Esperto ex art. 133 C.C.I.I.: novità del Codice, il Tribunale può nominare, se utile, uno o più esperti per coadiuvare il curatore in specifiche operazioni. Ad esempio, un consulente del lavoro per gestire numerosi licenziamenti, o un esperto settore per valorizzare particolari cespiti.
- Il Debitore stesso non è un “organo” ma rimane parte del procedimento con doveri di collaborazione; se è una società, i suoi amministratori in carica al momento del fallimento conservano alcuni obblighi procedurali (consegna documenti, etc.) pur non avendo più poteri gestori.
- Il Pubblico Ministero, dopo l’apertura, non è un organo attivo nella gestione (salvo vigilare genericamente sulla legalità), ma interviene in eventuali snodi (es. pareri su concordato fallimentare, o promuove azioni di incompetenza).
Analizziamo i ruoli più in dettaglio.
Il Curatore: nomina, requisiti e ruolo
Nomina: Il curatore è nominato dal Tribunale con la sentenza dichiarativa (o con decreto successivo se per qualche ragione la nomina viene differita). Deve trattarsi di un soggetto dotato di specifica professionalità ed esperienza in materia concorsuale, iscritto all’albo dei gestori della crisi (istituito dal C.C.I.I.) oppure in possesso dei requisiti di legge (dottore commercialista, avvocato o esperto in gestione aziendale). Non possono essere nominati curatori i parenti del debitore, i creditori o chi abbia conflitti di interesse evidenti. La nomina del curatore viene comunicata immediatamente e il curatore deve dare accettazione entro breve (spesso 2 giorni). Da quel momento entra in carica come pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni.
Revoca e sostituzione: Se il curatore nominato non svolge adeguatamente i suoi compiti o emergono incompatibilità, il Tribunale può sempre revocarlo e sostituirlo, d’ufficio o su richiesta motivata del giudice delegato, del comitato dei creditori o della maggioranza dei creditori stessi. Ciò garantisce che la gestione rimanga nelle mani di persone competenti e imparziali per tutta la durata della procedura.
Funzioni e poteri: Il curatore è l’organo esecutivo della procedura. Le sue principali funzioni includono:
- Presa in consegna dei beni del fallito: appena nominato, il curatore si reca presso la sede dell’impresa e altri luoghi in cui si trovano beni del debitore per prenderne possesso. Può avvalersi dell’ausilio della forza pubblica se necessario. Forma l’inventario dei beni, anche con l’assistenza di un notaio se richiesto. Da questo momento, tutti i beni di pertinenza del debitore (ad eccezione di quelli impignorabili per legge) sono sotto la custodia e amministrazione del curatore.
- Gestione corrente dell’azienda (se in esercizio provvisorio): se il Tribunale o il G.D. hanno disposto l’esercizio provvisorio dell’impresa (per salvaguardarne il valore come “azienda funzionante”), il curatore prosegue temporaneamente l’attività d’impresa del fallito sotto la sua responsabilità, compiendo gli atti di ordinaria amministrazione necessari e quelli di straordinaria amministrazione autorizzati dal giudice. L’art. 211 C.C.I.I. disciplina l’esercizio dell’impresa in liquidazione: è la prosecuzione provvisoria dell’attività già prevista dall’art. 104 L.F. – il curatore può assumere nuovi contratti, continuare la produzione, pagare dipendenti e fornitori post-fallimento, se ciò è nell’interesse dei creditori (ad esempio per completare commesse o preservare il valore avviamento).
- Amministrazione del patrimonio fallimentare: il curatore amministra tutti i beni acquisiti alla massa attiva. Questo implica, ad esempio, riscuotere i crediti vantati dal fallito (inclusi eventuali canoni di locazione, crediti commerciali, rimborsi fiscali), incassare saldi attivi di conti correnti, gestire immobili (dare in affitto se conviene, custodire e manutendere), assicurare i beni, etc. Se vi sono beni deperibili o che comportano spese eccessive di custodia, può chiedere al GD di venderli subito in via d’urgenza.
- Conservazione e azioni recuperatorie: il curatore ha il dovere di conservare l’integrità dell’attivo e attivarsi per reintegrarlo ove diminuito da atti pregiudizievoli. In particolare, esercita le azioni revocatorie (ordinaria ex art. 165 C.C.I.I. e fallimentare ex art. 166 C.C.I.I.) per far dichiarare inefficaci atti compiuti dal debitore prima del fallimento che hanno leso la par condicio (pagamenti preferenziali, vendite sottocosto a prossimi, ecc. – si veda oltre la sezione dedicata). Inoltre, il curatore può promuovere azioni di responsabilità verso gli amministratori o i sindaci della società fallita qualora abbiano con la loro gestione provocato danni ai creditori (art. 255 C.C.I.I., che richiama le azioni ex art. 2394 c.c. e 2486 c.c.). Ad esempio, se gli amministratori hanno proseguito l’attività aggravando il dissesto, il curatore potrà citarli in giudizio per risarcimento, quantificando il danno secondo i criteri presuntivi introdotti (la differenza di patrimonio netto tra il momento in cui avrebbero dovuto cessare e la data del fallimento, cfr. art. 2486 co.3 c.c. introdotto dall’art. 378 C.C.I.I.).
- Formazione dello stato passivo: uno dei compiti più delicati è l’istruttoria sulle domande di insinuazione dei creditori. Il curatore riceve le domande di credito, esamina i documenti, può chiedere chiarimenti ai creditori e al debitore, e infine predispone un progetto di stato passivo con l’elenco dei crediti ammessi o esclusi, indicando per ciascuno l’eventuale causa di prelazione e l’importo. In udienza (dinanzi al G.D.) il curatore sostiene le sue conclusioni e può opporsi alle pretese infondate. Il suo lavoro preparatorio è fondamentale affinché il giudice possa emettere un decreto sullo stato passivo ordinato e conforme a legge.
- Programma di liquidazione: il C.C.I.I. (riprendendo l’art. 104-ter L.F.) richiede che entro un certo termine dall’apertura (di solito 60 giorni, prorogabili fino a 180 nei casi complessi) il curatore predisponga un programma dettagliato di liquidazione. In tale programma indica come intende vendere i beni (singolarmente o in blocco, se mantenere provvisoriamente l’esercizio d’impresa, se tentare una cessione unitaria dell’azienda, i tempi previsti, etc.). Il programma va sottoposto all’approvazione del comitato dei creditori e comunicato al giudice delegato. Una volta approvato, il curatore deve attenersi ad esso nell’eseguire la liquidazione. Ogni atto di vendita deve essere autorizzato dal G.D. che verifica la coerenza col programma.
- Vendita dei beni: il curatore procede poi a liquidare l’attivo secondo le modalità stabilite nel programma e dalla legge. Come menzionato, le vendite devono avvenire con procedure competitive e preferibilmente modalità telematiche tramite il portale pubblico, salvo deroga autorizzata se tali modalità risultano pregiudizievoli per i creditori. Il curatore può indire aste, anche avvalendosi di operatori specializzati (notai per aste telematiche, case d’asta per beni mobili, ecc.), oppure trattative private se l’asta va deserta o per beni di modesto valore. Ogni realizzo in denaro confluisce nel fondo delle disponibilità del fallimento, custodito su conto corrente bancario intestato alla procedura.
- Riparto dell’attivo ai creditori: quando si accumulano somme liquide, il curatore elabora piani di riparto (parziale e finale) da sottoporre al G.D. e al comitato. Il riparto distribuisce le somme tra i creditori ammessi, rispettando l’ordine delle prelazioni (prima le spese di giustizia e i crediti prededucibili, poi i privilegiati e garantiti, infine i chirografari, ciascuno in proporzione). Il G.D., verificata la regolarità, autorizza il pagamento. Il curatore allora paga i creditori secondo il piano: ad esempio emettendo bonifici o assegni per gli importi spettanti a ciascuno.
- Tenuta della contabilità e relazioni: il curatore deve tenere una contabilità della gestione fallimentare, annotando incassi e pagamenti (Registro delle Entrate e Uscite). Inoltre redige relazioni periodiche sull’andamento della procedura al giudice delegato e, al termine, un rendiconto finale. Nel corso della procedura può essere chiamato a relazionare lo stato delle operazioni (ad es. il C.C.I.I. prevede rapporti semestrali).
- Chiusura della procedura: quando tutte le operazioni di liquidazione e distribuzione sono concluse, il curatore presenta il rendiconto finale e un prospetto di chiusura. Il giudice delegato convoca il comitato e il debitore per eventuali osservazioni. Infine, il Tribunale dichiara chiusa la procedura con decreto. Il curatore a questo punto cessa dalle sue funzioni, previa esecuzione degli ultimi adempimenti (cancellazione di iscrizioni pregiudizievoli, cancellazione della società dal Registro Imprese, ecc.). Al curatore viene liquidato un compenso dal Tribunale, commisurato all’attivo realizzato e al passivo distribuito, secondo scaglioni previsti dal DM 2022 (in passato DM 30/2012).
In sintesi, il curatore accentra in sé i poteri di amministrazione e disposizione del patrimonio fallimentare, agendo però sotto la vigilanza del giudice delegato e col controllo del comitato dei creditori. La sua figura è fondamentale: dal suo operato dipende in gran parte l’esito efficiente o meno della procedura. Un curatore diligente massimizzerà i valori di realizzo, ridurrà i tempi morti e terrà informati i creditori; viceversa, un curatore inattivo o impreparato può dilapidare risorse o prolungare oltremodo la procedura. Per questo la legge prevede meccanismi di sostituzione e responsabilità: il curatore risponde civilmente dei danni causati da sue colpe nella gestione e, nei casi gravi, può incorrere anche in sanzioni (ad es. se appropria indebitamente somme del fallimento, commette reato).
Va ricordata la possibilità di affiancare al curatore uno o più “coadiutori” o esperti: figure scelte per assisterlo su aspetti specifici. L’art. 133 C.C.I.I. consente la nomina di un esperto su deliberazione del comitato dei creditori o su decisione del tribunale, qualora sia utile un supporto specialistico. L’esperto svolge incarichi particolari indicati nella nomina (es.: liquidazione di determinati beni, conduzione dell’esercizio provvisorio di un ramo aziendale, ecc.) e ha poteri e doveri analoghi al curatore limitatamente a quei compiti. Un caso tipico: se il fallimento ha un elevato numero di lavoratori, potrebbe nominarsi un esperto consulente del lavoro che gestisca gli adempimenti di licenziamento collettivo, calcolo TFR, domande al Fondo di garanzia, ecc., così da alleggerire il curatore. Sia l’esperto sia eventuali coadiutori (persone di fiducia scelte dal curatore stesso previa autorizzazione del comitato) agiscono sotto la responsabilità del curatore, che ne coordina l’opera. Anche loro, come il curatore, sono tenuti all’accettazione formale e agiscono come pubblici ufficiali, potendo essere revocati se necessario.
In conclusione, il curatore è il motore della procedura: dalla sua nomina fino alla chiusura, egli rappresenta l’interesse collettivo dei creditori nella gestione del patrimonio del debitore insolvente. Una conoscenza approfondita dei suoi poteri è utile non solo al professionista che eventualmente ricopra tale ruolo, ma anche ai creditori e al debitore stesso, per interfacciarsi correttamente e comprendere cosa aspettarsi.
Il Giudice Delegato: funzioni di vigilanza e controllo
Il giudice delegato (G.D.) è il magistrato designato dal Tribunale nella sentenza di apertura per seguire la procedura. Le sue principali attribuzioni sono:
- Direzione della fase di verifica dei crediti: il G.D. presiede l’udienza di esame dello stato passivo. Riceve dal curatore il progetto di stato passivo, esamina documenti e istanze, e in udienza decide su ogni credito, emettendo i provvedimenti di ammissione o esclusione. Il suo ruolo in questa fase è cruciale perché da esso dipende la formazione dell’elenco ufficiale dei creditori partecipanti al concorso.
- Poteri autorizzativi sugli atti del curatore: la legge richiede l’autorizzazione del giudice delegato per una serie di atti di straordinaria amministrazione del curatore. Ad esempio, per vendere beni immobili o aziendali, per transigere controversie, per assumere decisioni di particolare rilievo fuori dal programma di liquidazione, il curatore deve fare istanza al G.D. e ottenere un decreto di autorizzazione. Il G.D. valuta la legittimità e la convenienza (sentito il comitato dei creditori quando previsto) prima di dare luce verde.
- Vigilanza generale sull’operato del curatore: il G.D. controlla che il curatore compia diligentemente gli atti nei tempi dovuti (es.: predisposizione del programma, redazione delle relazioni, attivazione delle azioni di recupero). Può chiedere spiegazioni e sollecitare adempimenti. Se rileva negligenze gravi o condotte scorrette, può segnalarlo al Tribunale affinché valuti la rimozione del curatore.
- Decisione su questioni della procedura: il G.D. emana decreti su istanze varie che sorgono durante la procedura. Ad esempio, decide sull’ammissione in prededuzione di spese, sul compenso del curatore e degli ausiliari (proposta di liquidazione poi deliberata dal Tribunale), sulla chiusura anticipata per insufficienza dell’attivo, e così via.
- Coordinamento con il comitato dei creditori: il G.D. indice le riunioni del comitato dei creditori, ne raccoglie i pareri, e in caso di contrasto può anche sostituirsi a esso (ad esempio se il comitato non esprime parere nei termini, il G.D. può autorizzare l’atto ugualmente).
- Rapporto col debitore: il G.D. può procedere all’interrogatorio del fallito (come previsto dall’art. 49 L.F., ripreso nel Codice). Si tratta di convocare il debitore (o i legali rappresentanti, se società) per porre domande sullo stato dell’attivo e del passivo, le cause dell’insolvenza, l’esistenza di atti revocabili, e ottenere informazioni utili. Le dichiarazioni vengono verbalizzate e possono servire anche come elementi probatori. Il debitore ha l’obbligo di comparire e rispondere sinceramente.
- Tenuta dell’udienza di approvazione del rendiconto: a fine procedura, il G.D. esamina il rendiconto presentato dal curatore, ascolta eventuali contestazioni dei creditori o del debitore, e redige un verbale con cui propone al Tribunale l’approvazione o evidenzia problemi.
Il giudice delegato è dunque una sorta di regista che, pur non intervenendo nell’amministrazione diretta (che spetta al curatore), garantisce legalità e correttezza procedurale. La sua presenza offre ai creditori una tutela: sanno che c’è un controllo giurisdizionale costante. Ciò non toglie che, in caso di divergenze, i creditori possano ricorrere al Tribunale (in composizione collegiale) contro eventuali decreti del G.D. lesivi dei loro diritti. Ad esempio, se un creditore ritiene erronea la decisione del G.D. di escludere il suo credito, può fare opposizione allo stato passivo al Tribunale; oppure se il G.D. autorizzasse un atto di vendita secondo condizioni contestate, i creditori potrebbero sollevare il caso al collegio.
Il G.D. inoltre interagisce con il PM quando necessario, segnalando eventuali fatti di rilevanza penale emersi (es. scritture contabili mancanti, ammanchi di beni – elementi che potrebbero configurare bancarotta fraudolenta). In alcuni tribunali, il G.D. trasmette la relazione del curatore sulle cause del dissesto al PM per le valutazioni penali di competenza.
In pratica, per il debitore e per i creditori, il giudice delegato è il riferimento per qualsiasi istanza: se un creditore vuole consultare i documenti del fallimento, chiederà al G.D. l’autorizzazione; se il debitore persona fisica avesse necessità di ottenere somme per il sostentamento familiare attingendo dall’attivo (cosa rara ma prevista per evitare eccessivo pregiudizio, ad esempio un assegno di mantenimento), dovrebbe rivolgersi al G.D.; se emergono dubbi interpretativi sulla legge durante la procedura, è il G.D. a indirizzare con propri provvedimenti.
In conclusione, il giudice delegato è garante della legalità e speditezza della liquidazione giudiziale. Dalla sua capacità di intervento dipende anche l’evitare ritardi o abusi. Nei tribunali più organizzati, i giudici delegati hanno linee guida per uniformare prassi, ad esempio tempi standard per il programma di liquidazione, modalità di pubblicità delle vendite, ecc., il che migliora l’efficienza complessiva.
Il Comitato dei Creditori: composizione e ruolo
Il comitato dei creditori è l’organo collegiale rappresentativo dei creditori concorsuali, previsto per consentire una forma di partecipazione e controllo da parte loro nella gestione del fallimento. È nominato dal giudice delegato subito dopo la formazione dello stato passivo (una volta noto l’elenco dei creditori ammessi e le categorie). Nelle procedure di piccole dimensioni o con pochi creditori, il G.D. può decidere di non nominare alcun comitato (se ritiene che non sia necessario). In tal caso, i suoi poteri di parere/autorizzazione sono esercitati direttamente dal G.D.
Quando nominato, il comitato è composto da tre membri effettivi (e di solito due supplenti). Il giudice cerca di scegliere creditori che rappresentino le varie classi di interesse: tipicamente un creditore privilegiato (es. una banca ipotecaria o l’Erario), un creditore chirografario (un fornitore senza garanzie) e, se presenti, un creditore lavoratore (dipendente) o un fornitore strategico. Ciò per equilibrare prospettive diverse. I membri possono anche essere persone diverse dal creditore ma designate da questo (es. un legale rappresentante). Non possono far parte del comitato i creditori in conflitto d’interessi (es. un creditore che sia anche parente del debitore, o che abbia un interesse particolare contrario agli altri).
Funzioni: Il comitato dei creditori ha principalmente ruolo consultivo e di autorizzazione in alcune scelte, come disciplinato dagli artt. 135-140 C.C.I.I.:
- Pareri obbligatori: il curatore deve sentire il parere (non vincolante) del comitato in merito al programma di liquidazione, alle proposte di concordato fallimentare, alla continuazione o scioglimento di contratti importanti, etc. Il parere viene reso per iscritto o per email certificata entro 10 giorni dalla richiesta (o altro termine assegnato dal G.D.). Ad esempio, se il curatore intende proseguire l’esercizio provvisorio, chiede il parere del comitato; se vuole iniziare un’azione di responsabilità costosa e incerta, idem.
- Autorizzazione di atti del curatore: per alcuni atti è richiesto doppio controllo: sia l’autorizzazione del G.D. sia il parere favorevole (o autorizzazione) del comitato. Ad esempio, per la continuazione dei contratti pendenti oltre i 60 giorni, l’art. 172 C.C.I.I. prevede l’assenso del comitato; per la vendita dell’azienda o di rami d’azienda è prassi che il comitato approvi il bando di gara e i criteri. In generale, vendite di un certo rilievo economico sono sottoposte al comitato prima che il giudice le autorizzi.
- Sorveglianza sull’operato del curatore: il comitato può chiedere al curatore informazioni sull’andamento delle operazioni e verificare i registri contabili del fallimento. I membri possono anche segnalare al G.D. eventuali condotte del curatore non convincenti.
- Iniziativa di revoca del curatore: il comitato, se unanime, può chiedere al tribunale la sostituzione del curatore (o del commissario giudiziale in altre procedure) motivandola. Questo potere è un contrappeso: se i creditori percepiscono che il curatore non tutela i loro interessi, hanno voce per farlo cambiare.
- Autorizzazione a azioni legali contro il curatore: se emergessero ragioni per citare in giudizio il curatore per danni (azione di responsabilità), il comitato rappresenta i creditori nel deliberare tale azione, previa autorizzazione del Tribunale.
I membri del comitato svolgono il loro incarico gratuitamente (hanno solo diritto al rimborso delle spese vive). È un dovere che assumono in nome e per conto della collettività dei creditori, con obbligo di riservatezza sulle informazioni apprese. Possono dimettersi per gravi motivi o essere sostituiti dal G.D. se inerti.
Nella pratica, il comitato spesso interagisce con il curatore in modo informale: riunioni periodiche (anche in videoconferenza), scambio di email per i pareri, etc. Ciò garantisce snellezza. Il Codice incoraggia modalità agili: i pareri possono essere dati anche con mezzi telematici e non occorre la riunione fisica se tutti esprimono l’assenso scritto.
Ruolo nelle decisioni strategiche: un comitato dei creditori attivo può influenzare le strategie di liquidazione. Ad esempio, potrebbe suggerire al curatore di valutare un’offerta di concordato fallimentare presentata da terzi se appare vantaggiosa, oppure opporsi alla vendita di un immobile ritenendo che convenga attendere tempi migliori. Il curatore non è vincolato ai consigli informali, ma deve tener conto dell’orientamento dei creditori, perché in ultima analisi opera nel loro interesse. Formalmente, però, a parte i casi in cui la legge richiede il “nulla osta” del comitato, il curatore potrebbe agire con la sola autorizzazione del G.D. anche contro il parere contrario del comitato (purché motivi il perché e il G.D. condivida). In tali frangenti, i creditori dissenzienti potrebbero sempre portare la questione al collegio, ma raramente si arriva a tanto: di solito si cerca consenso.
Se un componente del comitato ha un interesse particolare su una decisione (es. la vendita di un bene dato in pegno a lui), deve astenersi dal voto su quella specifica deliberazione per evitare conflitti.
In assenza del comitato (per scelta di non nominarlo o dimissioni non sostituite), il Codice prevede che i poteri di autorizzazione passino al giudice delegato, ma comunque è buona prassi consultare i maggiori creditori individualmente.
Il Debitore durante la procedura: posizione e obblighi
Benché spogliato dei suoi beni e privo di poteri di gestione, il debitore fallito (sia esso imprenditore individuale o i legali rappresentanti della società fallita) rimane un soggetto rilevante nella procedura, gravato da obblighi precisi:
- Obbligo di collaborare lealmente: il debitore deve mettere a disposizione del curatore e degli organi tutte le informazioni utili e la documentazione contabile-amministrativa. Deve consegnare libri sociali e scritture contabili, bilanci, estratti conto bancari, elenco dei creditori e debitori, corrispondenza commerciale, timbri, chiavi di casseforti, ecc. Se trattiene qualcosa intenzionalmente, commette reato di bancarotta semplice o fraudolenta documentale. L’art. 292 C.C.I.I. punisce specificamente l’omessa consegna di scritture contabili. Inoltre, il debitore deve segnalare al curatore l’esistenza di eventuali beni non evidenti (ad es. merci depositate presso terzi, crediti verso soggetti esteri, etc.).
- Obbligo di rendere i conti: gli amministratori di società devono predisporre un bilancio finale alla data del fallimento e spiegare cosa è successo nelle ultime gestioni. Spesso il curatore chiede chiarimenti sulle poste di bilancio, sulle variazioni di magazzino, sulla destinazione di certi fondi. Il debitore deve fornire spiegazioni ed eventualmente integrarle con documenti.
- Obbligo di comparizione e informazioni: il debitore può essere convocato dal curatore, dal G.D. o dal Tribunale in qualsiasi momento per fornire informazioni. Deve presentarsi e rispondere. Ad esempio, il curatore può inviare questionari scritti su operazioni sospette fatte pre-fallimento, o il G.D. può disporre un interrogatorio formale. Anche i creditori (in sede di esame del passivo) possono porre domande al debitore, tramite il giudice, se necessario per chiarire crediti contestati.
- Divieti e restrizioni personali: con la dichiarazione di fallimento, se il debitore è una persona fisica, scattano alcune incapacità personali (residuo del vecchio status di “fallito”). Per esempio, durante la procedura il fallito non può ricoprire cariche societarie in altre imprese, né esercitare attività d’impresa in proprio senza informare il tribunale. Non vi è più, invece, l’antiquato divieto di espatrio o di allontanarsi dalla residenza senza permesso (previsto dal vecchio art. 49 L.F. ma caduto in disuso e non riproposto espressamente nel C.C.I.I.). Tuttavia, se il debitore persona fisica non si fa trovare e non collabora, il G.D. può disporre la sua ricerca coattiva con i Carabinieri per interrogarlo.
- Dovere di aggiornare il domicilio: il debitore deve comunicare ogni variazione del proprio indirizzo o recapito digitale (PEC) per permettere le notifiche. La legge impone al fallito di mantenere attivo un domicilio digitale (PEC) fino alla chiusura. In mancanza, le comunicazioni avverranno presso la cancelleria ma ciò può pregiudicare i suoi diritti se non ne viene a conoscenza.
- Possibilità di compiere atti a titolo personale: il debitore può comunque compiere atti che riguardano la sua sfera personale non connessa al patrimonio fallimentare. Ad esempio, può sposarsi, fare testamento, riconoscere un figlio, ecc. Questi atti restano validi. Anche contrarre debiti nuovi non è vietato, se trova chi glieli concede nonostante il fallimento (fermo restando che tali nuovi creditori non partecipano al fallimento e potranno soddisfarsi solo sul debitore una volta chiusa la procedura, o sui suoi eventuali redditi non toccati dal fallimento).
- Effetti sui beni di proprietà non compresi nel fallimento: se il debitore persona fisica possiede beni impignorabili (es. alcune somme di natura strettamente personale, stipendi nei limiti del necessario, etc.), può disporne normalmente. Va tuttavia distinto: la legge individua i beni esclusi dalla massa attiva (art. 268 c.p.c. richiamato in materia fallimentare, es: abiti, utensili, generi alimentari, strumenti indispensabili per esercitare la professione eventualmente fino a un certo valore). Di quei beni il curatore non si interessa e il debitore li gestisce liberamente.
Dal lato societario, quando fallisce una società, gli amministratori in carica al momento della dichiarazione decadono di fatto dai poteri (lo scioglimento della società è automatico ex art. 2484 c.c., causa di scioglimento la dichiarazione di fallimento). Tuttavia, la società fallita conserva la propria soggettività giuridica fino alla chiusura: questo significa che in alcune cause la società rimane parte (ma rappresentata dal curatore). Gli amministratori cessati devono consegnare i documenti e restare a disposizione per chiarimenti. Essi non possono effettuare alcun atto di gestione dopo il fallimento, pena nullità/inefficacia degli stessi e possibili sanzioni.
Responsabilità e sanzioni per il debitore: se il debitore non adempie ai suoi obblighi, rischia conseguenze rilevanti. In sede civile, una mancata cooperazione può comportare diniego dell’esdebitazione a fine procedura (la liberazione dai debiti gli sarebbe negata se ha tenuto comportamenti ostativi). In sede penale, molte condotte sono incriminate: l’omessa presentazione delle scritture o l’occultamento di beni configura bancarotta fraudolenta; la dissipazione di attivo prima del fallimento pure; le false dichiarazioni ai creditori, etc. Ad esempio, se un imprenditore fallito nasconde un macchinario per sottrarlo alla liquidazione, commette bancarotta fraudolenta patrimoniale; se distrugge o trucca le scritture contabili per impedire la ricostruzione del patrimonio, commette bancarotta fraudolenta documentale; se semplicemente non ha tenuto contabilità per negligenza grave, è bancarotta semplice. Pertanto, durante la procedura, il debitore è incentivato a comportarsi correttamente: la collaborazione è la strada maestra per evitare guai ulteriori e per avere chance di esdebitazione finale.
Partecipazione alle fasi della procedura: benché privo di potere decisionale, il debitore può far valere le proprie ragioni in alcune fasi:
- All’udienza di verifica del passivo, il debitore può contestare l’ammontare o la fondatezza di crediti insinuati (ad esempio negando un debito non risultante dalle scritture). Il suo intervento può indurre il giudice a escludere crediti dubbiosi. Tuttavia, il debitore non ha “voce in capitolo” formale come i creditori; può però presentare osservazioni scritte o verbali.
- Se viene proposta un’offerta di concordato fallimentare (accordo per chiudere la procedura pagando in parte i creditori), il debitore può presentare una propria proposta di concordato oppure aderire a proposte di terzi. Ha anche facoltà di opporsi all’omologazione di un concordato sfavorevole se ritiene di poter ottenere un trattamento migliore con la liquidazione (per esempio, se una proposta di concordato di un terzo esproprierebbe anche dei beni non fallimentari del debitore).
- In fase di riparto, se per assurdo residuassero somme dopo il pagamento integrale di tutti i creditori (evento raro), il debitore è il destinatario dell’eventuale avanzo. Più concretamente, il debitore persona fisica può avere interesse a vigilare che il curatore non liquidi beni eccedenti il necessario se il ricavato basterebbe per pagare i creditori: ad esempio, se il curatore vendesse un immobile e dopo pagati tutti i creditori resterebbe un surplus di cassa, esso spetta al fallito.
- Il debitore può proporre reclamo contro i decreti di chiusura della procedura se ritiene non siano stati considerati tutti i crediti o attività (ma è teorico, normalmente un debitore non reclama contro la chiusura, semmai potrebbe reclamare se la chiusura fosse negata).
- Soprattutto, il debitore a fine procedura può presentare istanza di esdebitazione per ottenere la cancellazione dei debiti residui non soddisfatti. Questa è una posizione attiva: deve dimostrare di aver cooperato e di meritarla (assenza di condanne per bancarotta fraudolenta, aver soddisfatto almeno parzialmente i creditori salvo incapienza, etc.). Se concessa, l’esdebitazione ha un effetto personale importantissimo per il debitore che potrà ripartire senza lo “zaino” dei vecchi debiti.
Caso particolare: se il fallimento riguarda un imprenditore defunto, la procedura può ugualmente aprirsi (entro l’anno dalla morte se l’insolvenza preesisteva). In tal caso gli obblighi che sarebbero del debitore ricadono sugli eredi, se hanno accettato l’eredità (o sul curatore dell’eredità giacente). Se l’erede ha accettato con beneficio di inventario, la procedura fallimentare prevale comunque sul beneficio (l’erede beneficia della separazione patrimoniale ma il fallimento cerca attivo nei beni ereditari). Se invece nessuno ha accettato e l’eredità è giacente, il Tribunale può nominare un curatore dell’eredità e proseguire.
In conclusione, il debitore fallito vive una situazione di spossessamento patrimoniale ma non di totale estraneità: rimane un attore (seppur subordinato) della procedura. Un imprenditore che si trovi in questa condizione deve capire che la condotta proattiva e collaborativa è nel suo stesso interesse: per facilitare la chiusura rapida, evitare imputazioni penali e magari ottenere il beneficio della liberazione dai debiti. Viceversa, atteggiamenti ostruzionistici peggiorerebbero solo la sua posizione.
Effetti dell’Apertura della Liquidazione Giudiziale
La sentenza che dichiara l’apertura della liquidazione giudiziale di un’impresa insolvente produce numerosi effetti giuridici immediati, che investono sia la sfera patrimoniale del debitore sia i rapporti con i creditori e i contratti in corso. Si tratta in buona parte di effetti automatici e propri della procedura concorsuale, volti a cristallizzare la situazione al momento dell’apertura, evitando ulteriori iniziative individuali e preparando la massa attiva e passiva per la gestione collettiva. Analizziamo i principali effetti:
Effetti sul Patrimonio del Debitore (Spossessamento)
Come primo effetto fondamentale, con la dichiarazione di liquidazione giudiziale si realizza lo spossessamento del debitore rispetto al suo patrimonio. Ciò significa che il debitore perde la disponibilità e l’amministrazione di tutti i beni di sua proprietà esistenti alla data della sentenza (e di quelli che potrà eventualmente acquisire durante la procedura fino alla chiusura). Tali beni formano il “compendio fallimentare” o massa attiva, che viene gestito in via esclusiva dal curatore nell’interesse dei creditori.
In pratica:
- Il debitore non può più compiere validamente atti dispositivi sui propri beni: vendite, donazioni, costituzioni di garanzie effettuate dopo la dichiarazione di fallimento sono colpite da inefficacia verso i creditori (art. 142 L.F. prev., ora principi generali del concorso). Se ad esempio, il giorno dopo la sentenza, l’imprenditore vendesse a qualcuno un macchinario della sua azienda fallita, quell’atto non ha effetto e il macchinario resta del fallimento; l’acquirente dovrà restituirlo e potrà solo insinuare un credito restituibile.
- Il potere di amministrazione e gestione passa integralmente al curatore: è costui che può alienare i beni, riscuotere i crediti, proseguire contratti, ecc., come già descritto. Il debitore viene privato della possibilità di gestire o disporre del proprio patrimonio, anche se formalmente ne rimane il proprietario (nel fallimento non c’è trasferimento di proprietà alla massa, c’è solo un vincolo di destinazione dei beni al soddisfacimento dei creditori).
- Gli atti compiuti dal debitore in violazione dello spossessamento sono giuridicamente inefficaci: la legge li considera come non opponibili al fallimento. Il curatore può facilmente farli annullare o ignorarli. Ad esempio, se il debitore incassa un proprio credito su un cliente e se ne appropria, quell’incasso spetterebbe in realtà al fallimento; il cliente che ha pagato al fallito dovrà pagare di nuovo al curatore se non era esonerato (salvo forse il caso di pagamento ignorando in buona fede del fallimento, ma oggi con la pubblicità telematica ciò è difficile).
- Eccezioni: alcuni beni del debitore non entrano nella massa e quindi non sono toccati dallo spossessamento:
- Beni ed entrate future che il debitore persona fisica guadagna col proprio lavoro durante il fallimento: se ad esempio il titolare di ditta individuale fallisce e poi trova un impiego come dipendente altrove, lo stipendio corrente post-fallimento non rientra nella massa attiva (salvo pignorabilità parziale per mantenimento, ma quella è una questione tra debitore e eventuali creditori personali non concorsuali).
- Beni impignorabili per legge (art. 545 c.p.c.): ad es. effetti di stretta utilità personale, medaglie al valore, alimenti, ecc. Questi non entrano nel fallimento e il debitore li conserva. Su di essi il curatore non ha poteri.
- Se il debitore è una società, i beni intestati a soggetti terzi non cadono ovviamente (ma attenzione a patrimoni destinati, trust, ecc.: qui il curatore può contestare se erano simulazioni).
- I beni acquistati dal debitore dopo l’apertura: a rigore, tutto ciò che il fallito acquista o eredita durante la procedura (fino alla chiusura) dovrebbe entrare nella massa fallimentare (diversamente dal diritto anglosassone dove solo i beni pre-petition confluiscono). Ad esempio, se un imprenditore fallito riceve un’eredità durante il fallimento, anche quell’eredità è aggredibile dal curatore per soddisfare i creditori (a meno che rinunci formalmente all’eredità, se ancora in tempo). L’art. 46 L.F. previgente sanciva questa estensione; il C.C.I.I. lo sottintende. Quindi lo spossessamento si protrae sino alla chiusura: i creditori hanno diritto anche sui sopravvenuti. Fa eccezione quanto necessario al mantenimento del debitore e della famiglia, stabilito caso per caso dal giudice.
- Procedimenti esecutivi individuali: con lo spossessamento, i beni vengono unificati sotto il curatore. Pertanto, le eventuali esecuzioni forzate individuali pendenti (pignoramenti, sequestri) perdono efficacia: i beni pignorati confluiscono nel fallimento e saranno liquidati in quella sede. Il Codice sancisce infatti il divieto di azioni esecutive individuali dalla data della dichiarazione di fallimento (vedi oltre effetti per i creditori).
- Atti a titolo gratuito recenti: se il fallito, prima del fallimento, aveva donato o regalato beni, il curatore può revocarli con azione revocatoria fallimentare (entro 2 anni dall’atto, di regola), recuperandoli alla massa. Ciò rientra nelle azioni di inefficacia che proteggono la massa attiva.
- Beni in possesso di terzi: il curatore esercita il diritto di ritiro dei beni di proprietà del fallito ovunque si trovino. Se ad esempio macchinari o scorte erano presso terzisti o depositari, costoro devono restituirli al curatore. Se il debitore aveva venduto un bene ma non consegnato prima del fallimento, occorre guardare alle norme sui contratti pendenti.
In sostanza, lo spossessamento crea una sorta di “cristallizzazione patrimoniale” alla data di apertura: da quel momento il perimetro dei beni appartenenti al fallimento è definito e sotto tutela, e il debitore non vi ha più accesso. Da notare che, diversamente da alcune legislazioni, in Italia il debitore fallito non subisce limitazioni alla libertà personale (non viene incarcerato né gli viene impedito di spostarsi) – a meno che non vi siano procedimenti penali paralleli. Il fallito, però, perde la gestione economica di sé stesso finché dura la procedura.
Nel caso di società, la perdita dei beni è accompagnata dallo scioglimento della società: la società fallita è in liquidazione coatta, in pratica, e al termine della procedura verrà cancellata dal Registro Imprese, cessando di esistere (se c’è un attivo residuo, verrà distribuito ai soci, evento raro).
Un effetto importante dello spossessamento è che tutti i creditori concorsuali devono rivolgersi alla procedura e non possono aggredire i beni, perché questi sono sotto l’egida del curatore. Ciò porta all’altro lato della medaglia: gli effetti verso i creditori.
Effetti verso i Creditori: divieto di azioni individuali e accertamento del passivo
Con l’apertura della liquidazione giudiziale, opera un principio fondamentale: la par condicio creditorum. Tutti i creditori concorsuali (cioè i creditori chirografari e privilegiati per crediti sorti prima della dichiarazione) vengono obbligatoriamente coinvolti nella procedura e non possono più agire individualmente contro il debitore. Gli effetti principali sono:
- Sospensione e divieto delle azioni esecutive individuali: dalla data della sentenza di fallimento, nessun creditore può iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari sul patrimonio del debitore. I pignoramenti in corso vengono dichiarati improcedibili; i beni eventualmente già pignorati confluiscono nel fallimento. Anche i giudizi di cognizione (cause civili) aventi ad oggetto il pagamento di somme o l’esecuzione di obblighi pecuniari restano sospesi: il creditore deve spostare la sua pretesa nel concorso. Ad esempio, se un fornitore aveva una causa pendente per una fattura non pagata, dopo il fallimento deve interrompere la causa e insinuare il suo credito nel fallimento; non otterrà una sentenza di condanna individuale.
- Divieto di acquisire titoli di prelazione sul patrimonio: dopo la dichiarazione, il debitore non può costituire garanzie e, anche se lo facesse, sarebbero inefficaci. Inoltre, se un creditore aveva ottenuto un sequestro conservativo o altra misura cautelare prima del fallimento, questa non si tramuta in privilegio (secondo il C.C.I.I., diversamente dal passato in cui il sequestro poteva prelazionarsi).
- Stop agli interessi sui crediti chirografari: dal giorno della dichiarazione, i crediti chirografari (non garantiti) cessano di produrre interessi (art. 153 L.F. prev.). Gli interessi maturati fino a quella data restano dovuti (e vanno insinuati), quelli successivi no. Questo per evitare che nelle lunghe procedure i crediti aumentino a discapito della par condicio. I crediti privilegiati invece possono maturare interessi, ma potranno essere pagati nei limiti della capienza del bene su cui hanno prelazione (es. interessi ipotecari sino a capienza del ricavato).
- Compensazione dei crediti e debiti pregressi: se un creditore del fallito è anche suo debitore (situazione di conto reciproco), la legge ammette la compensazione solo se i relativi crediti e debiti sono sorti prima dell’apertura del fallimento e se le condizioni della compensazione esistevano già a quella data. Ad esempio, una banca presso cui il fallito aveva un conto attivo può compensare tale saldo con il proprio credito per mutuo concesso, solo se entrambi i rapporti esistevano e i crediti erano esigibili prima del fallimento. Se invece il credito della banca è sorto dopo (o se il conto è stato alimentato dopo l’apertura), non v’è compensazione. Il Codice conferma l’impianto dell’art. 56 L.F. in materia di compensazione, con l’eccezione di alcuni casi di finanza interinale autorizzata che hanno privilegio (prededuzione) e dunque esulano.
- Accertamento del passivo concorsuale: tutti i creditori per poter partecipare alle ripartizioni devono sottoporsi alla procedura concorsuale di insinuazione al passivo. Entro il termine fissato (comunicato dal curatore nell’avviso ai creditori), ciascun creditore presenta domanda al tribunale indicante l’importo del proprio credito, la causa (es. fornitura, prestito, danno, ecc.), l’eventuale titolo di prelazione (pegno, ipoteca, privilegio) e i documenti giustificativi. Questo riguarda i crediti sorti prima della dichiarazione (creditori concorsuali). I creditori i cui crediti nascono durante la procedura (c.d. crediti prededucibili, come le spese di procedura, forniture al curatore, ecc.) non devono insinuarsi ma saranno soddisfatti man mano come costi.
- Formazione dello stato passivo: come già descritto a proposito del curatore e G.D., vi sarà un’udienza di verifica. L’effetto pratico per i creditori è che la loro pretesa individuale viene trasformata in diritto di partecipazione al concorso: se ammessa, il loro credito viene riconosciuto nel novero dei debiti da soddisfare, se esclusa dovranno eventualmente fare opposizione. Lo stato passivo cristallizza anche l’importo del credito (spesso decurtando eventuali interessi non dovuti o penali eccessive).
- Crediti eventuali o condizionali: se un credito è sottoposto a condizione sospensiva, viene ammesso con riserva (sarà soddisfatto se/quando la condizione si realizza). Se il credito è in causa (sub iudice) contro il fallito, il giudice delegato può ammetterlo con riserva in attesa della definizione della causa, oppure escluderlo e demandare al giudizio di opposizione. Se un creditore ha garanzie personali (fideiussioni) potrà insinuarsi per l’intero e l’eventuale recupero extra-fallimentare dal garante sarà regolato a posteriori via surroghe.
- Titoli di credito: i portatori di cambiali, assegni, etc., devono insinuarsi depositando i titoli in originale. Le cambiali in protesto scadute valgono come prove agevolate.
- Crediti litigiosi: se prima del fallimento vi era una lite tra debitore e un presunto creditore (es. il debitore contestava quel debito), dopo il fallimento la lite sta in piedi ma il creditore deve comunque insinuarsi. Sarà magari ammesso con riserva e dovrà proseguire la causa contro il curatore per far rimuovere la riserva.
- Interventi nelle liti del fallimento: i creditori possono anche intervenire nelle cause promosse dal curatore (es. revocatorie o azioni di responsabilità) per sostenere la curatela, ma di solito è il curatore che rappresenta tutti.
In pratica, l’apertura del fallimento impone ai creditori di abbandonare ogni iniziativa individuale e di convogliare le proprie pretese nel procedimento concorsuale. Questo garantisce l’uguaglianza di trattamento: il patrimonio sarà distribuito secondo le prelazioni e proporzionalmente per i chirografari, evitando che il primo che pignora prenda tutto a scapito degli altri.
Riguardo ai creditori privilegiati e con pegno/ipoteca: il loro diritto di prelazione è riconosciuto ma anch’essi non possono procedere da soli alla vendita del bene. Ad esempio, una banca con ipoteca su un immobile del fallito deve insinuarsi come creditore ipotecario; sarà il curatore a vendere l’immobile e poi a pagare la banca con preferenza sul ricavato. Il creditore ipotecario non può eseguire separatamente la sua ipoteca (stop alle esecuzioni). Tuttavia, la legge consente alcune eccezioni: i creditori pignoratizi su titoli di credito in alcuni casi possono escutere il pegno con procedura extra-fallimentare (grazie alla disciplina speciale delle garanzie finanziarie, D.Lgs. 170/2004), e i creditori muniti di azioni di restituzione o rivendica (es.: un proprietario che rivendica un bene in possesso del fallito, come nel caso di vendite con riserva di proprietà non ancora pagate) possono agire per recuperare quei beni fuori dal concorso, come spiegato oltre nella parte sui contratti pendenti.
Altro effetto per i creditori riguarda l’eventuale scioglimento delle garanzie fideiussorie: se terzi avevano prestato garanzie per il debitore poi fallito, il fallimento può far scattare clausole di decadenza o escussione. Ad esempio, la banca che ha una fideiussione chiederà subito al garante di pagare una volta aperto il fallimento, senza attendere l’esito (perché il fallimento è causa di esigibilità immediata delle fideiussioni salvo patto contrario). Il garante che paga subentra poi nel diritto di credito verso il fallito (diventando creditore concorsuale al posto del creditore originario, surroga).
In sintesi, gli effetti verso i creditori sono la collettivizzazione delle pretese e la fissazione delle regole concorsuali: stop alle cause individuali, riparto dell’attivo secondo graduatorie concorsuali. Ciò assicura ordine e parità di trattamento, ma richiede ai creditori di attivarsi nelle sedi giuste (presentare domanda di insinuazione nei termini, vigilare sulla procedura, ecc.), pena perdere ogni possibilità di soddisfazione.
Effetti sui Contratti in Corso di Esecuzione
Una delle questioni più delicate nel fallimento riguarda il destino dei contratti pendenti, ossia quei contratti bilaterali non completamente eseguiti da entrambe le parti al momento dell’apertura del fallimento. L’esempio classico: un appalto di fornitura in cui il fornitore ha consegnato solo in parte la merce e il fallito ha pagato solo in parte; oppure un contratto di leasing in corso; un preliminare di vendita immobiliare non ancora rogato; un contratto di locazione ancora in essere; contratti di fornitura continuativa, etc.
Il Codice (riprendendo sostanzialmente l’art. 72 L.F. e segg.) stabilisce una regola generale: l’apertura della liquidazione giudiziale non determina lo scioglimento automatico dei contratti sinallagmatici in corso, ma rimette la scelta al curatore, con l’obiettivo di massimizzare l’utilità per la massa. Più in dettaglio, la disciplina dei “rapporti pendenti” (artt. 172-186 C.C.I.I.) prevede:
- Sospensione iniziale: dal momento del fallimento e fino alla decisione del curatore, i contratti in corso rimangono sospesi. Ciò significa che nessuna delle due parti è tenuta ad eseguire la prestazione finché non si chiarisce il da farsi. Ad esempio, se l’impresa fallita era parte di un contratto di appalto come esecutore, i lavori sono sospesi nell’attesa.
- Scelta del curatore entro un certo termine: il curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori e del giudice delegato, ha la facoltà di subentrare nel contratto in luogo del fallito, oppure di sciogliersi dal contratto. Il Codice concede al curatore uno spatium deliberandi (spazio di decisione) di 60 giorni dall’apertura (termine confermato per analogia all’art. 172, già previsto dall’art. 72 L.F.), entro cui comunicare al contraente la sua scelta di subentrare. Se entro tale termine il curatore non comunica nulla, di regola il contratto si scioglie automaticamente (salvo alcune eccezioni).
- Subentro (esecuzione del contratto): se il curatore decide di eseguire il contratto pendente, lo fa assumendo gli obblighi contrattuali del fallito. Ciò richiede l’autorizzazione del comitato dei creditori e del G.D., poiché può comportare oneri per la massa. Quando il curatore subentra, le prestazioni ancora dovute dal contraente di controparte dovranno essere eseguite e quelle a carico del fallimento saranno adempiute con oneri a carico della procedura ma considerati debiti di massa in prededuzione (perché utili alla procedura). Esempio: se il curatore subentra in un contratto di fornitura di materie prime perché intende completare la produzione e vendere i prodotti finiti, pagherà le forniture successive come debiti prededucibili (verranno saldati preferenzialmente, prima dei creditori concorsuali).
- Scioglimento: se il curatore opta per il recesso dal contratto, il contratto si considera risolto alla data del fallimento. L’altra parte contrattuale ha diritto solo a far valere in danno del fallimento un eventuale risarcimento del danno per mancata esecuzione, che diventa un credito concorsuale chirografario (salvo cause di prelazione specifiche). Il curatore non deve pagare penali o indennizzi come debito di massa, è tutto relegato nel concorso. Ad esempio, se un cliente aveva versato una caparra per un acquisto e il curatore sceglie di non dar seguito al contratto, il cliente vanta un credito di restituzione e di eventuale risarcimento come creditore concorsuale.
- Mancata scelta esplicita: se il curatore non dichiara nulla entro il termine, di solito si intende come scioglimento (vecchio art. 72 co. 2 L.F.). Tuttavia, la controparte può sollecitare il curatore o chiedere al G.D. di fissare un termine più breve per la decisione, trascorso il quale, silenzio = scioglimento.
- Esecuzione provvisoria in pendenza di decisione: in alcuni casi particolari, prima dei 60 giorni il curatore potrebbe dover far qualcosa per preservare il contratto. Il Codice consente di eseguire temporaneamente un contratto in attesa della decisione finale (ad esempio continuare a tenere manutentivo un impianto nel frattempo).
- Inopponibilità di clausole di scioglimento automatico: spesso i contratti contengono clausole del tipo “in caso di fallimento di una parte il contratto si risolve di diritto”. Il Codice (come la vecchia legge) considera nulle tali clausole, per non vincolare il curatore: l’apertura del fallimento di per sé non scioglie il contratto, a meno che il curatore lo decida, indipendentemente da pattuizioni contrarie (art. 172, co. 1, ultima parte).
- Eccezioni per specifici tipi di contratto: vi sono norme specifiche per alcuni contratti:
- Contratto di lavoro subordinato: l’apertura della liquidazione giudiziale non costituisce di per sé motivo di licenziamento. I rapporti di lavoro dipendenti restano sospesi fino a quando il curatore, con autorizzazione del G.D. e sentito il comitato, decida di subentrare (proseguire l’attività con quei dipendenti) o recedere. Il D.lgs. 136/2024 ha riscritto l’art. 189 C.C.I.I. per chiarire che, se non c’è prosecuzione dell’esercizio d’impresa né cessione azienda, il curatore comunica ai dipendenti il recesso (licenziamento) e tale recesso ha effetto dalla data di apertura della liquidazione. In altre parole, i lavoratori vengono licenziati con effetto retrodatato al fallimento, così non maturano ulteriori retribuzioni post-fallimentari (che sarebbero inutili). I lavoratori hanno diritto all’indennità di mancato preavviso e al TFR, che vengono ammessi al passivo come crediti concorsuali privilegiati. Inoltre, il fallimento paga il cosiddetto “ticket licenziamento” (contributo NASpI) che è anch’esso ammesso al passivo. Se invece l’azienda continua o viene ceduta in esercizio, i contratti di lavoro possono proseguire con il curatore o essere trasferiti all’acquirente con le tutele ex art. 2112 c.c., salvo deroghe autorizzate nei concordati preventivi (nel fallimento ordinario l’art. 2112 c.c. si applica alle cessioni d’azienda).
- Locazione di immobili:
- Se il fallito è conduttore (affittuario) di un immobile, il contratto non si scioglie per il fallimento, ma il curatore può recedere dalla locazione con preavviso di 90 giorni (art. 177 C.C.I.I., ex art. 80 L.F.). Se il curatore non recede e continua ad usare l’immobile per l’azienda fallita (esercizio provvisorio), deve pagare i canoni correnti come debito di massa. I canoni scaduti prima restano credito concorsuale. Il locatore non può sfrattare per morosità pre-fallimentare, ma può chiedere la risoluzione per inadempimento del curatore se questi non paga i canoni post-fallimento.
- Se il fallito è locatore (proprietario) di un immobile affittato a terzi, la regola generale ex art. 177 è che la procedura subentra nel contratto e il conduttore continua a pagare i canoni al curatore. Il curatore può recedere con preavviso di 90 giorni se, ad esempio, conviene vendere l’immobile libero; in tal caso però deve corrispondere un indennizzo al conduttore pari a 3 mensilità (salvo diversa minor somma fissata dal G.D.), che sarà credito concorsuale del conduttore. Il conduttore ha inoltre prelazione sull’acquisto dell’immobile se il curatore decide di venderlo (diritto di prelazione ex art. 177 co.5).
- Vendita con riserva di proprietà (patto di riservato dominio): se il fallito era acquirente a rate di un bene mobile con riserva di proprietà del venditore fino al pagamento completo, il curatore può subentrare continuando a pagare le rate oppure sciogliersi. Se si scioglie, il venditore può recuperare il bene e trattenere le rate già incassate a titolo di indennità (art. 180 C.C.I.I., ex art. 73 L.F.). Se invece il fallito era venditore con riserva di proprietà, il fallimento generalmente chiederà la restituzione del bene se l’acquirente non paga (ma l’acquirente potrà insinuarsi come chirografario per le rate già pagate).
- Contratto di leasing: il leasing finanziario in corso al fallimento del utilizzatore prevede che il curatore possa sciogliersi. In tal caso, il lessor (società di leasing) riprende il bene e ha diritto a insinuare come credito la differenza tra l’importo pattuito e il valore ricavato ricollocando il bene (art. 177 co.4 C.C.I.I., ex art. 72-quater L.F.). È una formula complessa, ma in sostanza la società di leasing ottiene indietro il bene e un credito per l’eventuale perdita economica.
- Appalto di opere o servizi: se il fallito è committente e l’appaltatore è in corso d’opera, il curatore può sciogliersi o subentrare; se si scioglie, paga quanto dovuto per lavori già eseguiti come credito concorsuale dell’appaltatore (con eventuale privilegio edile). Se invece il fallito è appaltatore (impresa esecutrice) – situazione comune in edilizia – il contratto di appalto privato segue la regola generale (art. 186 C.C.I.I., ex art. 81 L.F.): scioglimento di diritto salvo subentro del curatore entro 60 giorni. Nella prassi, quasi sempre il curatore sceglie lo scioglimento, perché il committente raramente vuole proseguire con un’impresa fallita; il committente potrà far completare l’opera ad altri e insinuare il danno nel fallimento. Nota: negli appalti pubblici, l’originaria legge fall. prevedeva lo scioglimento automatico (art. 81 ult. co.), ma il Codice Crisi ha spostato tale previsione nell’art. 172 ultimo comma riferendosi genericamente ai “contratti pubblici”. Ciò significa che nei contratti con la P.A., il fallimento dell’appaltatore comporta la facoltà per l’ente di risolvere il contratto ex lege. Tuttavia, normative speciali (Codice Appalti) consentono in alcuni casi al curatore di chiedere di proseguire l’esecuzione se la P.A. acconsente e se ciò garantisce il completamento più celere dell’opera. In pratica, gli appalti pubblici seguono regole proprie: spesso la stazione appaltante rescinde e escute la cauzione, e il curatore può solo far valere il credito per il lavoro svolto.
- Preliminare di vendita immobiliare: se il fallito era promittente venditore di un immobile e l’atto definitivo non è stato stipulato prima del fallimento, il contratto preliminare è considerato pendente. Il curatore può scegliere di non dar corso alla vendita (specie se il prezzo pattuito è inferiore al valore di mercato attuale), sciogliendo il preliminare; in tal caso il promissario acquirente ha solo diritto di credito (per la caparra o acconti versati) da insinuare. Tuttavia, la legge speciale (Dlgs 122/2005 tutela acquirenti di immobili da costruire) e l’art. 193 C.C.I.I. prevedono che se l’immobile è destinato ad abitazione e il promissario acquirente ha trascritto il preliminare ed è in regola coi pagamenti, può chiedere al G.D. di autorizzare la esecuzione del contratto (ossia ottenere il rogito pagando il saldo al fallimento). Se invece il curatore vende l’immobile a terzi, il promissario ha diritto di prelazione sull’acquisto alle stesse condizioni (art. 200 C.C.I.I., ex art. 72-bis L.F.).
- Contratti di finanziamento e conto bancario: se il fallito aveva fidi bancari o mutui, in genere tali contratti contengono clausole di risoluzione in caso di fallimento. La banca creditrice non ha più l’obbligo di erogare ulteriore credito (e chiude i fidi), ma resta creditrice per il dovuto e dunque partecipa al passivo. Il conto corrente in essere viene bloccato: il saldo attivo va al fallimento, il saldo passivo è un debito verso la banca (concorsuale). Operativamente il curatore spesso chiude i conti del fallito e ne apre uno nuovo intestato alla procedura.
- Contratti di assicurazione: se il fallito aveva assicurazioni su beni (incendio, furto) o RC aziendale, di solito conviene al curatore mantenerle almeno fino alla vendita dei beni, quindi può continuare pagando i premi come costi di massa. Se invece intende cessare, lascia scadere o comunica recesso dove possibile. Le assicurazioni vita del fallito persona fisica, se riscattabili, diventano attivo (il curatore può riscattarle per far cassa). Polizze a beneficio di terzi restano efficaci (ma eventuali beneficiari se erano creditori concorsuali potrebbero essere contestati come atto a favore di creditori).
- Contratti di proprietà intellettuale/licenze: se il fallito concede in licenza un brevetto o marchio, il curatore può decidere di proseguire o sciogliere la licenza (solitamente prosegue, incassando royalties). Se il fallito è licenziatario (utilizzatore) di un brevetto, val la regola generale.
- Contratti intuitu personae: se il contratto è basato sulle qualità personali del fallito (es: mandato, commissione, società di persone), il fallimento tipicamente causa lo scioglimento automatico, perché l’intuitus personae viene meno. Ad esempio, la società semplice o SNC in cui entra in fallimento un socio si scioglie (art. 2272 c.c.), e resta la massa da liquidare.
- Effetti sui contratti di società: la dichiarazione di fallimento di una società di capitali provoca lo scioglimento ex lege della società (art. 2484 c.c.), con nomina del curatore al posto dei liquidatori; i contratti sociali cessano di produrre effetti tra i soci (non c’è più scopo lucrativo). Se fallisce un socio di società di persone, l’art. 2270 c.c. prevede lo scioglimento del rapporto sociale limitatamente a quel socio, ma come visto l’art. 256 C.C.I.I. tende a far fallire direttamente la società e gli altri soci (quindi in pratica quell’articolo perde rilevanza per via dell’estensione).
- Contratti di conto corrente bancario: se c’è un conto corrente ordinario in essere, non esattamente “pendente” in senso di prestazioni future, ma per prassi le banche chiudono il conto al fallimento. Il curatore ne apre uno nuovo proprio. I rid bancari, gli SDD, le carte di credito aziendali, decadono.
Ricapitolando, la regola generale: il curatore valuta caso per caso i contratti in corso e decide se conviene alla massa proseguirli o meno. Il default è lo scioglimento, poiché la finalità liquidatoria raramente giustifica portare avanti i contratti (specie se comportano costi). Tuttavia, in alcuni casi il subentro è prezioso: si pensi a un fallimento dove è in corso una commessa quasi ultimata che frutterebbe pagamento – il curatore può completarla per incassare il saldo, magari impiegando provvisoriamente le risorse aziendali. Oppure un leasing dove il riscatto è vantaggioso, può pagare le ultime rate e rivendere il bene con profitto.
Effetti dello scioglimento sui contratti: la controparte sciolta dal contratto col fallimento diventa creditore per il danno subito. Spesso questi danni sono di difficile quantificazione e vengono liquidati come crediti chirografari. Esempio: Tizio aveva stipulato un contratto per far pubblicità all’azienda di Caio; Caio fallisce prima della campagna. Tizio ha perso altre occasioni nel frattempo: potrà insinuare un credito per le spese preparatorie e il lucro cessante, ma sarà chirografario.
Effetti della continuazione: se il curatore subentra, la controparte è tenuta ad adempiere regolarmente, ma può chiedere garanzie al curatore se l’adempimento del fallimento appare incerto. In alcuni casi la legge lo prevede: ad esempio, se il curatore subentra in un contratto di appalto come committente, l’appaltatore può domandare cauzioni.
Caso particolare: Contratti bancari e strumenti finanziari. I contratti derivati eventualmente in corso (swap, future, ecc.) di solito prevedono clausole di risoluzione anticipata in caso di insolvenza, con calcolo di un close-out netting. Tali clausole sono ammesse grazie alla normativa comunitaria: il fallimento di una parte determina la chiusura automatica di tutti i rapporti derivati e la compensazione dei valori in un unico credito/debito. Il curatore quindi troverà magari un debito (o un credito) netto da regolare con la controparte finanziaria, il quale entra nel passivo o nell’attivo concorsuale. Questo meccanismo è esentato dal divieto di clausole risolutive, per via del D.Lgs. 170/2004 e art. 14 D.Lgs. 179/2012, che tutelano i sistemi di netting.
Inoltre, va menzionato l’effetto sui rapporti societari: se il debitore fallito partecipava in altre società come socio, le sue quote/azioni diventano beni del fallimento. Il curatore subentra nei diritti patrimoniali di socio (dividendi, quote di liquidazione eventuale) e può venderli. Non subentra invece in qualità di amministratore se il fallito rivestiva tale carica altrove: quell’amministrazione decade per interdetto legale (un fallito difficilmente può restare amministratore di un’altra società, per cause di legge).
Effetti sui Rapporti Bancari e Finanziari
La dichiarazione di fallimento di un’impresa genera conseguenze immediate nei rapporti con le banche e gli intermediari finanziari, data l’onnipresenza di tali rapporti nella gestione d’impresa. In particolare:
- Conti correnti e depositi: non appena notificata la sentenza, le banche presso cui l’impresa ha conti e depositi bloccano le operazioni sui conti intestati al fallito. Il curatore, una volta nominato, comunicherà alle banche la propria nomina e chiederà il saldo dei conti. I saldi attivi (creditori) vengono trasferiti al fallimento: la banca li mette a disposizione del curatore, che di solito li preleva per versarli sul conto della procedura. Qualsiasi delega o potere di firma del fallito sul conto decade. Se ci sono casse contanti o cassette di sicurezza, vengono inventariate e sigillate fino all’apertura da parte del curatore alla presenza del G.D. o di un notaio.
- Fidi e linee di credito: la quasi totalità delle linee di affidamento bancarie (scoperti di conto, anticipi, castelletto salvo buon fine, etc.) contiene clausole per cui la banca può revocare l’affidamento in caso di insolvenza o fallimento del cliente. Pertanto, con la dichiarazione di fallimento tutte le linee di credito si considerano revocate. Il conto corrente affidato viene chiuso e calcolato il saldo. Se risulta uno scoperto (saldo passivo), la banca lo insinuerà al passivo come credito chirografario o eventualmente privilegiato se assistito da pegno su crediti (come nel caso di anticipi fatture pro-solvendo garantiti dalle fatture). Se risulta un saldo attivo, come detto, va al curatore. Anche eventuali carte di credito aziendali vengono disattivate e la società emittente insinuerà eventuali somme dovute (ad esempio per spese fatte prima del fallimento non ancora addebitate).
- Mutui e finanziamenti a medio termine: il fallimento determina la decadenza dal beneficio del termine (art. 55 L.F. prev., confermato), quindi tutti i finanziamenti a rimborso rateale diventano esigibili per l’intero. La banca mutuante può insinuare al passivo il capitale residuo più interessi maturati fino alla data del fallimento. Gli interessi successivi, come visto, non maturano se chirografari; se il mutuo aveva ipoteca, gli interessi di legge (al tasso legale o convenzionale se minore, e limitati all’ultimo biennio ante fallimento per le ipoteche, art. 2855 c.c.) potranno essere considerati nel privilegio. La banca in genere avvia la procedura di insinuazione e attiva eventuali garanzie reali o personali extra-fallimentari (pignoramento dell’immobile ipotecato tramite il curatore o escussione del fideiussore).
- Garanzie personali (fideiussioni): se vi sono fideiussori che garantivano i debiti dell’impresa, la banca (o altro creditore garantito) tipicamente, dopo la dichiarazione di fallimento, non potendo più perseguire il debitore principale, escute il fideiussore. Il fideiussore (spesso i soci o una società collegata) sarà tenuto a pagare. Una volta pagato, il fideiussore si surroga nei diritti della banca e potrà insinuarsi al passivo del fallimento al posto di essa (in pratica il creditore originario esce, entra il garante surrogato). Se il fideiussore non paga volontariamente, potrà essere citato o raggiunto da decreto ingiuntivo, ma questo esula dal fallimento (è rapporto tra banca e garante). Il fallimento, dal canto suo, non sospende le azioni contro i coobbligati: l’art. 150 L.F. (oggi ripreso) chiarisce che la sospensione delle azioni vale solo contro il debitore fallito, ma i creditori possono agire contro eventuali coobbligati in solido o garanti. Quindi, i garanti del fallito spesso subiscono una immediata escalation di richieste dopo la sentenza.
- Compensazione tra banca e fallito: molto frequentemente, l’imprenditore ha rapporti reciproci con la banca: ad esempio un conto corrente attivo da €10.000 e un mutuo passivo residuo da €50.000. In tal caso, come accennato, la banca può compensare fino a concorrenza i due importi (se coesistevano prima): qui la banca tratterrà i €10.000 del conto a riduzione del proprio credito, e insinuerà solo la differenza (€40.000). Questo è permesso perché sia il credito della banca (mutuo) che il controcredito del cliente (saldo conto) esistevano prima del fallimento ed erano esigibili. Se invece il fallito avesse depositi fatti dopo il fallimento (non dovrebbe accadere, perché depositi post fallimento li farebbe il curatore su conto intestato a sé), non potrebbe la banca compensarli con debiti pregressi. Nei fatti, le banche sono molto solerti a dichiarare compensazione appena sanno del fallimento, per non dover restituire liquidi al curatore mentre hanno un credito. La compensazione è automatica ex lege ove sussistano le condizioni, non serve domanda giudiziale.
- Rapporti di finanziamento particolari: se l’impresa aveva ad esempio emesso cambiali finanziarie o obbligazioni, i possessori divengono creditori concorsuali (gli obbligazionisti nominano un rappresentante comune per insinuarsi). Se aveva factoring pro-solvendo, il factor con crediti anticipati e non incassati insinua la differenza.
- Operazioni di tesoreria: spesso l’impresa insolvente ha cambiali tratte o ricevute bancarie già presentate in banca per l’incasso salvo buon fine. Col fallimento, la banca sospende l’avviso al debitore ceduto e restituisce gli effetti al curatore (se non sono stati incassati prima). Se erano stati incassati prima ma non girati alla società poi fallita, la banca li compensa col proprio credito di anticipo.
- Rapporti di garanzia reale: se il debitore fallito aveva concesso pegni o ipoteche alla banca, tali garanzie restano valide. La banca ipotecaria verrà soddisfatta sul ricavato del bene ipotecato (dopo spese). Se l’ipoteca era su bene di terzi (es. un immobile di un socio a garanzia di mutuo societario), quel bene essendo di terzo non è nel fallimento, e la banca potrà pignorarlo separatamente (il fallimento non tocca tali beni estranei). Se però il bene di terzo viene escusso e non basta, la banca per la differenza sta nel fallimento come chirografaria.
- Assegni emessi dal fallito: gli assegni bancari emessi dall’impresa prima del fallimento, se non ancora incassati, non possono più essere pagati dalla banca dopo la notifica del fallimento (perché la banca blocca il conto). Chi li possiede dovrà insinuarsi come creditore. Se l’assegno è stato incassato dopo il fallimento per ritardo dell’informazione alla banca, il curatore potrebbe chiedere alla banca la restituzione (salvo fosse incassato lo stesso giorno e la banca non ne era a conoscenza).
- Effetti sui servizi bancari: i RID/SEPA di pagamento automatico (utenze, fornitori) attivi sul conto del fallito vengono revocati. I terminali POS se c’erano, vengono ritirati (ma in esercizio provvisorio il curatore può stipulare accordi temporanei per continuare ad accettare pagamenti). Le garanzie bancarie emesse a favore del fallito (fideiussioni attive) restano nel patrimonio: ad esempio, se c’era una fideiussione a favore di un creditore del fallito che poi non serve più, il curatore può escuterla se se ne verifica la condizione (ma di solito sono a favore di terzi, non attivabili a vantaggio del fallito stesso).
- Rapporti con il fisco e enti previdenziali: anche se non banche, citiamoli qui: Equitalia (ora Agenzia Entrate Riscossione) e INPS non possono avviare o proseguire pignoramenti dopo il fallimento e devono insinuarsi per i tributi e contributi dovuti. Eventuali fermi amministrativi su veicoli del fallito decadono per legge (i veicoli devono essere venduti liberi). All’apertura, la cancelleria notifica la sentenza a Agenzia Entrate e INPS che sospendono le azioni esecutive e inviano i debiti al curatore. I rapporti bancari per pagamenti fiscali come F24 vengono chiusi.
Riassumendo, sul versante bancario il fallimento comporta:
- Interruzione immediata di ogni operatività sui conti del debitore.
- Chiusura o congelamento dei conti, con riversamento di eventuali saldi al fallimento.
- Accelerazione delle posizioni creditizie delle banche, che diventano tutte scadute ed esigibili.
- Attivazione di compensazioni legali e di garanzie collaterali.
- Le banche diventano tra i principali creditori nel passivo fallimentare (spesso con posizioni privilegiate per ipoteche o con robusti crediti chirografari).
- Il curatore in genere intrattiene con le banche rapporti per l’amministrazione: sceglie una banca (anche tra quelle creditrici, ma su altro rapporto) dove aprire il conto della procedura. Da quel momento, la banca del fallimento è la depositaria delle somme liquidate e può svolgere servizio di cassa (spesso il Tribunale indica una banca convenzionata).
Un aspetto positivo per i creditori fornitori: con il fallimento, possono ottenere il rimborso dell’IVA non incassata dai loro crediti inesigibili, emettendo nota di variazione IVA a partire dall’apertura della procedura. In passato dovevano attendere la chiusura, oggi la legge consente subito la detrazione dell’IVA sul credito verso il fallito, migliorando la posizione fiscale del creditore. Questo è un riflesso indiretto sugli effetti per creditori.
Impatto Fiscale e Contributivo della Liquidazione Giudiziale
Il fallimento di un’impresa genera numerose implicazioni sul piano fiscale, sia per quanto riguarda i debiti tributari dell’impresa fallita, sia per il trattamento di eventuali sopravvenienze, perdite e crediti di imposta, oltre agli aspetti procedurali relativi agli adempimenti fiscali durante la gestione concorsuale.
Elenchiamo i principali punti:
- Debiti fiscali e contributivi pregressi: i debiti verso l’Erario (IVA, imposte sui redditi, IRAP) e verso enti previdenziali (INPS, INAIL) alla data del fallimento diventano crediti concorsuali. Di norma, tali crediti godono di cause di prelazione:
- L’IVA non versata e le ritenute non versate hanno privilegio speciale sui beni oggetto (per l’IVA su beni specifici? In realtà l’IVA oggi ha privilegio generale come le imposte dirette).
- Le imposte dirette, IVA e altri tributi erariali godono di privilegio generale mobiliare ex art. 2752 c.c. (gli importi relativi alle ultime annualità hanno prelazione sul mobiliare).
- I contributi previdenziali vantano privilegio generale ex art. 2753 c.c.
- Le sanzioni pecuniarie per violazioni tributarie invece sono chirografarie (non privilegiate).
La presenza di tali privilegi fa sì che spesso il Fisco e gli enti abbiano diritto a una quota preferenziale dell’attivo insieme ad altri privilegiati come dipendenti e banche garantite.
- Sospensione delle azioni esattoriali: dichiarato il fallimento, si bloccano le procedure esecutive anche da parte dell’Agente della Riscossione (pignoramenti, fermi, ipoteche successive). I pignoramenti già in corso (es. presso terzi) decadono e le somme eventualmente in custodia presso terzi andranno al curatore. L’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ex Equitalia) deve presentare insinuazione per le cartelle esattoriali non pagate. Se ha iscritti fermi amministrativi o ipoteche su beni del fallito prima della procedura, tali vincoli rimangono (l’ipoteca dà prelazione, il fermo di per sé no e anzi va rimosso per poter vendere il bene: il curatore tipicamente chiede la cancellazione del fermo sui veicoli per venderli all’asta).
- Adempimenti fiscali durante la procedura: il curatore deve farsi carico di alcune incombenze:
- Presentare le dichiarazioni dei redditi e IVA relative all’anno in cui è avvenuto il fallimento, per il periodo ante fallimento (fino alla data della sentenza). Questo a nome del fallito. Inoltre, per ogni anno di gestione del fallimento, presentare una dichiarazione dei redditi dell’esercizio fallimentare (solo se il fallimento produce redditi tassabili) e la dichiarazione IVA della procedura se durante la liquidazione svolge operazioni rilevanti IVA.
- In pratica, se l’impresa fallita cessa l’attività, il curatore presenta la dichiarazione finale di cessazione ai fini IVA entro 4 mesi e le dichiarazioni fiscali per la frazione d’anno. Se invece c’è esercizio provvisorio o affitto d’azienda, la procedura stessa è un soggetto passivo IVA per le operazioni compiute dal curatore.
- Il curatore deve inoltre gestire eventuali istanze di rimborso di crediti fiscali dell’azienda: ad esempio, se l’impresa aveva un credito IVA rilevante, può chiederne il rimborso all’Agenzia Entrate. Tali crediti fiscali entrano nell’attivo fallimentare. Sono privilegiati a favore dello Stato? No, i crediti d’imposta dell’azienda sono attivo puro. L’Agenzia però potrebbe in compensazione trattenerne parte se la stessa impresa ha debiti fiscali (ma nel fallimento la compensazione tra crediti e debiti fiscali segue regole particolari: un tempo non ammessa, ora la L. 193/2016 consente compensazione dei rimborsi IVA con debiti iscritti a ruolo, anche in fallimento se il credito è capiente).
- Relativamente all’IVA sulle operazioni del curatore: quando il curatore vende beni del fallimento, se il fallito era soggetto IVA, tali vendite sono normalmente soggette a IVA (salvo beni esenti o fuori campo). Il curatore emette fattura (con partita IVA del fallito, che rimane attiva per la procedura) e incassa l’IVA, la quale però è debito di massa da versare all’Erario con preferenza assoluta (perché post-fallimento). Il curatore deve quindi versare l’IVA incassata periodicamente. Se non la versa, quell’IVA diventa un debito prededucibile comunque da soddisfare prima di chiudere.
- Se il curatore paga fornitori durante l’esercizio provvisorio, può detrarne l’IVA, ecc., quindi tiene le scritture IVA per la gestione concorsuale.
- Trattamento fiscale delle perdite e utili: il periodo ante fallimento viene considerato concluso alla data di apertura. Le perdite fiscali pregresse dell’impresa decadono: non potranno essere usate (non essendoci più redditi futuri della stessa soggettività). Non è possibile trasferirle a terzi.## Procedura di Liquidazione Giudiziale: Fasi e Tempistiche
La procedura di liquidazione giudiziale si svolge attraverso diverse fasi, dal momento dell’istanza iniziale sino alla chiusura definitiva. Di seguito riepiloghiamo le principali tappe, con le relative tempistiche indicative:
Fase della Procedura | Descrizione | Tempistiche Indicative |
---|---|---|
Istanza di apertura (ricorso) | Deposito del ricorso per liquidazione giudiziale da parte del debitore, di un creditore o del PM al Tribunale competente. | Variabile: quando emergono insolvenza e iniziativa |
Udienza pre-fallimentare | Convocazione del debitore e dell’istante davanti al Tribunale; esame dello stato d’insolvenza e delle eccezioni (es. non fallibilità, importo debiti). | ≥15 giorni di preavviso dalla notifica; termini abbreviabili in urgenza |
Sentenza dichiarativa di liquidazione | Decisione collegiale che accerta l’insolvenza e apre la procedura. Nella sentenza sono nominati il giudice delegato, il curatore e (eventualmente) i membri provvisori del comitato creditori. | Subito dopo l’udienza (in caso di accoglimento); se rigetto, possibilità reclamo in 30 gg |
Pubblicazione e comunicazioni iniziali | Iscrizione della sentenza al Registro Imprese, comunicazione via PEC a creditori noti e autorità (Agenzia Entrate, INPS, etc.), notifica al debitore. | Entro 1 giorno la cancelleria invia estratto al Registro Imprese; comunicazioni ai creditori di regola entro pochi giorni |
Inventario e presa in consegna dei beni | Il curatore accetta la nomina e si insedia, recandosi nei locali dell’impresa, inventariando i beni, mettendo sigilli se necessario, assumendo la custodia. | Immediato: entro pochi giorni dalla sentenza (il curatore deve attivarsi appena ricevuta la nomina) |
Avviso ai creditori e deposito dello stato passivo | Il curatore invia ai creditori e ai titolari di diritti un avviso di convocazione per l’esame dello stato passivo, indicando luogo e data dell’udienza e il termine per presentare le domande di insinuazione. | L’avviso va spedito entro 30 giorni dalla sentenza (termine usuale previsto dal G.D.); il termine per domande è tipicamente 30 giorni prima dell’udienza di verifica. |
Domande di insinuazione (crediti e rivendiche) | I creditori presentano le domande di ammissione al passivo, e i terzi eventuali le domande di rivendica o restituzione di beni. Le domande tardive sono possibili fino a definizione del passivo (con eventuale postergazione nei riparti). | Generalmente entro 30-60 giorni dalla sentenza (termine fissato dal giudice delegato; ex L.F. 30 gg prima dell’udienza di verifica). Domande tardive: ammesse fino a chiusura stato passivo (con perdita diritto ai riparti già eseguiti). |
Udienza di verifica dello stato passivo | Il giudice delegato, coadiuvato dal curatore, esamina le domande di credito. Si decide su ogni credito: ammissione (con o senza privilegio), esclusione o riserva. Redazione del verbale di verifica e formazione del decreto sullo stato passivo. | Di solito 60–120 giorni dopo la sentenza di fallimento, a seconda del volume di creditori. (Il C.C.I.I. punta a udienze ravvicinate, entro 90 giorni in molti tribunali). |
Impugnazioni dello stato passivo | Creditori esclusi o ammessi in parte possono proporre opposizione, revisione o impugnazione allo stato passivo dinanzi al Tribunale (collegio). Anche il curatore può proporre impugnazioni per crediti ammessi indebitamente. | Entro 30 giorni dalla comunicazione del decreto di esito del passivo (termine per opposizione ex art. 201 L.F., mantenuto). La decisione su impugnazioni può richiedere mesi o anni (procedimento a cognizione piena). |
Eventuale esercizio provvisorio/affitto d’azienda | Se autorizzato, il curatore continua temporaneamente l’attività d’impresa per preservare il valore dell’azienda o completare opere in corso, oppure stipula un contratto d’affitto dell’azienda a terzi. | Disposto contestualmente alla sentenza o poco dopo su istanza del curatore (durata: tipicamente qualche mese, prorogabile su ok del tribunale). |
Relazione iniziale del curatore | Il curatore redige una relazione particolareggiata sulle cause del dissesto, la gestione del debitore, l’eventuale stato di insolvenza pregresso. Viene trasmessa al G.D., al PM e al Registro Imprese. | Entro 60 giorni dall’accettazione (ex art. 130 C.C.I.I., già art. 33 L.F.). Termine prorogabile. |
Predisposizione del programma di liquidazione | Il curatore elabora il piano per realizzare l’attivo: modalità di vendita dei beni, tempi stimati, eventuale esercizio provvisorio, cause pendenti da proseguire, azioni revocatorie da esercitare, ecc. Sottopone il programma al comitato dei creditori per approvazione e al G.D. per l’autorizzazione. | Entro 60 giorni dalla scadenza del termine per le osservazioni del comitato creditori (indicativamente 90-180 giorni dall’inizio). In casi complessi il termine può arrivare a 6 mesi. |
Attuazione del programma – Liquidazione dell’attivo | Il curatore procede a vendere i beni mobili (anche tramite commissionari o aste telematiche) e immobili (asta telematica sul Portale delle Vendite Pubbliche), a incassare crediti, a escutere garanzie, a sciogliere o proseguire contratti pendenti, e a esercitare azioni legali (revocatorie, risarcitorie) approvate. | Dalla approvazione del programma fino alla liquidazione completa. I tempi variano: medio 1-3 anni per liquidare attivi ordinari; se vi sono immobili difficili o cause pendenti, la fase può estendersi (spesso oltre 5 anni in procedure complesse). |
Riparti ai creditori | Man mano che si ricavano somme, il curatore propone piani di riparto parziale distribuendo ai creditori ammessi secondo i ranghi (salvo riserve per crediti in contestazione). Il G.D. autorizza e il curatore esegue i pagamenti. Infine, redige il riparto finale che esaurisce le disponibilità, includendo un eventuale fondo per spese di chiusura. | Possono esserci uno o più riparti parziali (ad esempio uno dopo la vendita dei principali beni, uno al termine delle azioni legali). I tempi dipendono dalla realizzazione dell’attivo: es. un primo riparto tipicamente entro 1-2 anni se c’è liquidità. Il riparto finale coincide con la chiusura, quando tutto l’attivo è liquidato. |
Chiusura della procedura | Una volta completate le operazioni di liquidazione e distribuzione, il curatore presenta il conto della gestione e un progetto di chiusura. Il G.D., raccolte eventuali osservazioni (creditori e debitore possono contestare il rendiconto), rimette gli atti al Tribunale. Il Tribunale emette decreto di chiusura della liquidazione giudiziale. | Variabile: quando tutte le attività sono concluse. La durata media di un fallimento in Italia era 5-6 anni, ma il Codice punta a ridurla. Procedimenti semplici possono chiudere in 2 anni; quelli con contenziosi durano più a lungo. La chiusura formale avviene con decreto subito esecutivo. |
Esdebitazione del fallito (se persona fisica) | Dopo la chiusura, il debitore persona fisica può ottenere la cancellazione dei debiti residui non soddisfatti. Deve presentare istanza di esdebitazione e il Tribunale, verificati i requisiti (condotta cooperativa, assenza di dolo, ecc.), emette decreto di esdebitazione liberando il debitore. | Istanza entro 1 anno dalla chiusura (ex art. 279 C.C.I.I.). Decisione del tribunale entro qualche mese dalla domanda; se concessa, diviene definitiva salvo opposizioni. |
Questa cronologia può variare sensibilmente in base al caso concreto. Ad esempio, in un fallimento con pochi beni e pochi creditori, alcune fasi (come il comitato creditori) possono essere semplificate o omesse e la chiusura avvenire rapidamente, anche entro un anno. Viceversa, in una procedura complessa con molti immobili da vendere o azioni legali lunghe, i riparti possono tardare. Il Codice della Crisi pone l’accento su una gestione celere: il giudice delegato e il curatore devono evitare rallentamenti ingiustificati e periodicamente riferire sullo stato, in modo da giungere alla chiusura il prima possibile compatibilmente con il realizzo dell’attivo.
Un aspetto particolare è la chiusura anticipata per insufficienza dell’attivo: se durante la procedura si scopre che non ci sono fondi nemmeno per pagare le spese minime, il Tribunale può chiudere il fallimento anzitempo (art. 234 C.C.I.I., ex art. 118 n.4 L.F.). Ad esempio, se il debitore non ha proprio beni e nessuno anticipa spese, dopo la verifica del passivo (o anche prima, in teoria) il fallimento può essere dichiarato chiuso per mancanza di attivo. In tal caso i creditori restano insoddisfatti e il debitore rimane comunque insolvente (ma può chiedere esdebitazione ugualmente se ha cooperato, pur senza attivo da distribuire).
Confronto con il Fallimento pre-riforma (R.D. 267/1942)
La liquidazione giudiziale, introdotta dal Codice della Crisi d’Impresa, ha sostituito la procedura di fallimento disciplinata dal R.D. 267/1942 (vecchia Legge Fallimentare). La tabella seguente evidenzia le principali differenze e continuità tra la disciplina pre-riforma e la disciplina attuale:
Aspetto | Vecchio Fallimento (R.D. 267/42) | Liquidazione Giudiziale (C.C.I.I. 2019) |
---|---|---|
Denominazione | Fallimento; il debitore diveniva “fallito”. Terminologia con connotati negativi anche extragiuridici. | Liquidazione giudiziale; abolito il termine fallimento. Il debitore è semplicemente “assoggettato alla liquidazione” (stigma attenuato). |
Normativa di riferimento | R.D. 16 marzo 1942 n. 267 (Legge Fallimentare) e successive modifiche (riforme 2006-2007, 2012). | D.lgs. 12 gennaio 2019 n. 14 (Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza), in vigore dal 15 luglio 2022, integrato dai correttivi 2020, 2022, 2024. |
Soglia di debiti minimi | Introdotta dopo il 2006: impossibilità di dichiarare fallimento se debiti scaduti < €30.000 (art. 15 L.F., come da DL 179/2012). | Confermata: non si apre la liquidazione giudiziale se debiti scaduti < €30.000. Soglia periodicamente aggiornabile con D.M., ma ad oggi invariata. |
Piccoli imprenditori | Non fallibili se imprenditori commerciali minori (art. 1 L.F. definiva soglie: attivo ≤ €300k, ricavi ≤ €200k, debiti ≤ €500k) – introdotte con Dlgs 5/2006. | Concetto di “impresa minore” analogo (art. 2 c.1 lett. d C.C.I.I.) con identiche soglie. Onere della prova a carico dell’imprenditore. |
Imprese agricole, enti non fallibili | Esclusi per definizione (agricoli ex art. 2135 c.c. non fallibili ex art. 1 L.F.). Consumatori e professionisti esclusi per mancanza di qualifica imprenditoriale. | Confermato: agricoli, professionisti e consumatori fuori dal fallimento, accesso semmai alle procedure di sovraindebitamento. Estesa fallibilità alle start-up innovative (prima esentate). |
Soci illimitatamente responsabili | Fallimento esteso automaticamente ai soci di S.n.c. e accomandatari di S.a.s. (art. 147 L.F.), anche dopo scioglimento societario entro 1 anno. Convocazione dei soci non obbligatoria (prassi di farlo per rispetto del contraddittorio, ma non prevista espressamente). | Estensione prevista da art. 256 C.C.I.I.: apertura automatica della liquidazione anche per i soci illimitatamente responsabili. Obbligo di convocare i soci prima di dichiararli falliti. Termine di 1 anno dalla cessazione della responsabilità per poterli coinvolgere. |
Organi della procedura | Tribunale fallimentare; Giudice Delegato; Curatore fallimentare; Comitato dei creditori (3 membri); eventuale adunanza dei creditori (in casi come voto su concordato fallimentare). | Struttura pressoché invariata. Terminologia: giudice delegato e curatore della liquidazione giudiziale. Comitato creditori previsto analogamente. Novità: possibilità di nominare uno o più Esperti coadiuvanti il curatore per operazioni specifiche. |
Apertura della procedura | Sentenza dichiarativa di fallimento. Possibile domanda di concordato preventivo “last minute” per bloccare il fallimento (art. 161 L.F. ultima parte). | Sentenza di apertura liquidazione giudiziale. Domanda di concordato o altri strumenti di regolazione presentata prima dell’udienza preclude la dichiarazione finché pende (e.g. concordato in bianco protegge temporaneamente). |
Effetti sul debitore | Spossessamento dei beni (art. 42 L.F.); incapacità personali (divieto di ricoprire cariche pubbliche finché non ottenuta riabilitazione; interdizione commerciale). Istanza di riabilitazione possibile 5 anni dopo chiusura se niente bancarotta fraudolenta (art. 142 L.F.). | Spossessamento invariato. Eliminata la “riabilitazione civile” formale: l’esdebitazione assorbe gli effetti. Le cause di ineleggibilità/decadenza per il fallito cessano con l’esdebitazione. Mantiene obblighi di cooperazione uguali. |
Effetti sui creditori | Sospensione azioni esecutive (art. 51 L.F.), divieto pagamenti individuali. Formazione stato passivo con insinuazioni. Principio par condicio e rispetto prelazioni (artt. 52 e 111 L.F.). | Identici: stop azioni esecutive individuali, tutti i crediti pregressi devono essere accertati nello stato passivo. Par condicio intatta, con prededuzioni, privilegi e garanzie gestite in concorso. Sostanziale continuità normativa sui privilegi (Codice Civile invariato). |
Contratti pendenti | Regola generale: facoltà del curatore di subentrare o sciogliersi entro il termine (60 giorni su richiesta controparte) – art. 72 L.F. e seguenti. Norme speciali per leasing (72-quater), preliminare immobili (72-bis), appalto (81), lavoro (72 comma 2 e 3, e art. 72 legge fall. + legge 223/91). | Principio generale confermato nell’art. 172 C.C.I.I. e seguenti: contratti ancora ineseguiti completamente sospesi e scelta curatore di scioglimento o subentro. Riordino delle norme speciali: es. contratto di leasing ora art. 177 co.4, lavoro subordinato art. 189 (modificato nel 2024 con più chiarezza). Rimane il divieto di clausole ipso facto (scioglimento per fallimento). |
Esercizio provvisorio | Possibile (art. 104 L.F.) su autorizzazione tribunale per evitare grave danno. Durata limitata e con controllo giudice. | Possibile (art. 211 C.C.I.I.) con finalità di preservare il valore d’impresa. Introdotta maggiore flessibilità: es. possibile esercizio limitato a rami d’azienda; coordinamento con contratti pubblici. |
Azioni revocatorie | Revocatoria fallimentare: atti a titolo oneroso entro 1 anno se manifestamente squilibrati; pagamenti crediti scaduti entro 6 mesi; atti gratuiti 2 anni; presunzioni di conoscenza insolvenza e varie esenzioni (artt. 64-67 L.F.). Revocatoria ordinaria esercitabile dal curatore ex art. 66 L.F. | Conservato impianto: articoli 164-167 C.C.I.I. (es. art. 166 corrisponde a art. 67 L.F. con stessi termini). Qualche ritocco: esenzione pagamenti a ridosso di composizione negoziata, modifiche tecniche (decorrenza termini dalla domanda di apertura invece che dalla sentenza, per evitare differenze). Introduzione regole su rimesse bancarie: ora 6 mesi anteriori al ricorso invece che alla sentenza. |
Concordato fallimentare | Debitore o terzi potevano proporre un concordato ai creditori durante il fallimento (artt. 124-132 L.F.), con percentuale minima 20% chirografari (salvo pagamento privilegiati integralmente) e voto per classi se del caso. Approvazione in adunanza creditori con maggioranze e omologazione tribunale. | Concordato nella liquidazione giudiziale (artt. 240-251 C.C.I.I.): meccanismo analogo. Eliminata soglia 20% (recependo pronunce incostituzionali). Introdotta possibilità di proposte concorrenti di terzi (come vecchio art. 124 L.F. mod 2007). Novità 2022-2024: possibili cram-down su Erario/INPS in omologazione se dissenzienti ma trattati meglio che in fallimento. Previsto concordato di gruppo se procedure unitarie. |
Durata e chiusura | Durata media storicamente lunga (diversi anni). Chiusura per: riparto finale, inesistenza attivo, concordato fallimentare, pagamento integrale creditori (art. 118 L.F.). Esdebitazione possibile per persone fisiche (introdotta nel 2006, art. 142 L.F.). | Durata: il Codice aspira a ridurla con misure di efficienza (telematica, termini chiari). Cause di chiusura analoghe (art. 233-235 C.C.I.I.). Esdebitazione disciplinata dettagliatamente (artt. 278-282 C.C.I.I.), accessibile anche senza alcun soddisfacimento (meritevolezza basata su comportamento). Eliminato periodo di attesa quinquennale: si può chiedere subito a chiusura. |
Come si evince, la riforma ha mantenuto l’ossatura del fallimento, innovando sul piano terminologico e procedurale per rendere il tutto più coerente e moderno. Molte differenze sono di dettaglio (termini procedurali, accorgimenti tecnici), mentre i principi di base – insolvenza come presupposto, spossessamento del debitore, concorso dei creditori e graduazione, ruolo centrale del curatore – rimangono immutati.
In alcuni ambiti, però, il Codice ha aggiornato la disciplina: ad esempio, ha coordinato le norme sul lavoro con la normativa sui licenziamenti collettivi, escludendo l’applicazione della disciplina anti-delocalizzazioni ai licenziamenti decisi dal curatore; ha integrato la gestione dei gruppi d’impresa (prima non prevista); ha enfatizzato la necessità di strumenti informatici (PEC obbligatoria, portale vendite telematico). Anche la gestione dell’allerta precoce – pur non riguardando direttamente la liquidazione – è un tassello nuovo: oggi l’idea è che molti fallimenti possano essere evitati grazie agli strumenti di allerta e composizione negoziata. Se però questi falliscono, la liquidazione interviene come estrema soluzione.
In conclusione, la liquidazione giudiziale può essere vista come una evoluzione del fallimento, più che una rivoluzione: chi conosceva la vecchia procedura ritroverà quasi tutte le dinamiche di fondo, con alcune semplificazioni e adeguamenti. Importante è notare che il Codice ha cercato di ridurre i tempi morti e assicurare maggiore trasparenza (ad esempio tramite la pubblicazione nel Registro Imprese di molti atti prima non pubblicizzati). Resta comunque essenziale, per chi opera nella crisi d’impresa, comprendere queste differenze per evitare di applicare automaticamente vecchie prassi non più valide.
Strategie Pratiche per Affrontare la Liquidazione Giudiziale
Affrontare una procedura di liquidazione giudiziale richiede strategie diverse a seconda che ci si trovi dal lato del debitore (l’imprenditore insolvente) o dal lato dei creditori. Di seguito proponiamo consigli pratici per entrambe le categorie, con esempi riferiti a situazioni tipiche nei vari settori produttivi.
Strategie per il Debitore (Impresa insolvente)
Per l’imprenditore in crisi che rischia o ha subìto la liquidazione giudiziale, le parole chiave sono prevenzione, preparazione e collaborazione:
- Valutare tempestivamente alternative alla liquidazione: Appena si manifestano segnali di crisi, l’imprenditore dovrebbe attivarsi per evitare il fallimento. Strategie come la composizione negoziata della crisi (introdotta nel 2021) consentono di cercare accordi con i creditori con l’ausilio di un esperto indipendente, congelando temporaneamente le azioni esecutive. Oppure presentare un concordato preventivo prima che i creditori chiedano il fallimento: ad esempio, un’azienda edile con cantieri in corso potrebbe proporre un concordato in continuità per terminare i lavori anziché subire un fallimento che bloccherebbe tutto. Prevenire la liquidazione forzosa spesso consente di salvare più valore e reputazione.
- Ammettere l’insolvenza e scegliere il minor danno: Se la situazione è ormai compromessa e nessun piano di risanamento è praticabile, potrebbe essere conveniente per il debitore stesso chiedere il proprio fallimento volontariamente. Ciò può sembrare paradossale, ma presenta vantaggi: scegliendo quando fallire, il debitore può preparare la documentazione in anticipo, ridurre il rischio di accuse di ritardo doloso, e magari negoziare con un creditore forte (es. la banca) supporto nelle prime fasi (es. custodia dei beni). Inoltre, il Tribunale vede positivamente il debitore che si presenta spontaneamente: collaborerà di più (utile per la futura esdebitazione) e la procedura partirà in modo più ordinato. Esempio: una piccola società commerciale travolta dai debiti con fornitori e fisco, senza prospettive di recupero, presenta istanza di liquidazione giudiziale depositando contestualmente elenco creditori, bilancio finale e relazione delle cause di crisi. Questo accelera i tempi e riduce costi.
- Consultare esperti prima di ogni mossa: L’imprenditore in difficoltà dovrebbe subito coinvolgere il proprio commercialista e un legale esperto di crisi. Professionisti esperti possono valutare se la crisi è reversibile o se conviene andare in procedura. Possono inoltre guidare l’imprenditore nel mettere in sicurezza documenti e asset in modo legittimo (non nasconderli, ma ad esempio segregarli in un patrimonio destinato se la legge lo consente, oppure vendere beni non strategici a valori di mercato prima che peggiorino). Ad esempio, nel settore tecnologico l’asset principale può essere un software: un esperto potrebbe suggerire di venderne la licenza prima del fallimento a un prezzo equo, in modo da generare liquidità per pagare alcuni debiti chiave (come stipendi) ed evitare il collasso immediato, pur sapendo che comunque residueranno debiti e probabile fallimento. Tali operazioni vanno ponderate per evitare revocatorie, per questo serve l’occhio del consulente.
- Riorganizzare l’azienda per la procedura: Se il fallimento pare inevitabile, l’imprenditore può preparare l’azienda per una migliore liquidazione: ad esempio, sospendere gradualmente l’attività per ridurre nuove esposizioni, vendere le scorte e usare il ricavato per saldare debiti verso fornitori strategici o dipendenti (pagamenti fatti nell’imminenza del fallimento possono essere revocati, ma pagare i dipendenti per l’ultima mensilità, ad esempio, spesso non viene contestato ed evita tensioni sociali). Oppure, mettere in sicurezza i cantieri edili (evitando danni a terzi) prima di fermarli. Un caso concreto: un’impresa di trasporti in crisi potrebbe restituire i mezzi in leasing alle società di leasing spontaneamente e chiudere i contratti prima del fallimento, evitando accumulo di canoni scaduti; così al fallimento residuerà un debito leasing definito (differenza tra canoni e valore dei mezzi) e l’esternalità viene gestita.
- Trasparenza finanziaria: È cruciale predisporre un quadro chiaro dei debiti e crediti. L’imprenditore dovrebbe redigere un elenco completo dei propri creditori con indirizzi (specie PEC) e importi, nonché un inventario dei propri beni e dei crediti attivi (clienti da incassare, ecc.). Questo elenco – che per legge va depositato in Tribunale quando si chiede il fallimento – è utilissimo anche se il fallimento viene richiesto da terzi: presentarlo al curatore immediatamente dopo la nomina faciliterà enormemente le prime fasi. Un curatore che riceve dal fallito un elenco attendibile di creditori e debiti potrà spedire più velocemente gli avvisi e formulare lo stato passivo con minori ricerche. Ciò accelera la procedura e riduce anche i sospetti sul debitore. Attenzione: falsificare o omettere intenzionalmente dei creditori è reato (bancarotta semplice/fraudolenta a seconda dell’intenzione).
- Salvaguardare la contabilità e i documenti: Mai distruggere o manipolare i libri contabili nella speranza di nascondere la situazione – questo è un errore gravissimo che trasforma una vicenda civile in un caso penale di bancarotta fraudolenta documentale. Al contrario, tenere in ordine e consegnare i libri è dovere e difesa: se i libri sono regolari, eventuali ammanchi di beni risulteranno meno sospetti (possono imputarsi a perdite d’esercizio). L’imprenditore dovrebbe fare un backup digitale di tutta la contabilità e dei documenti fiscali e consegnarne una copia al curatore il prima possibile. Se alcuni documenti mancano (es. fatture, estratti conto), cercare di recuperarli o segnalare dove trovarli. Un esempio: un imprenditore edile aveva la contabilità disordinata; quando capisce che il fallimento arriverà, ingaggia un commercialista per ricostruire in excel la situazione contabile degli ultimi mesi: sarà un allegato utile per il curatore per capire movimenti di cassa sospetti.
- Evitare atti distrattivi o preferenziali negli ultimi mesi: Questo punto è delicato: quando un’azienda è in odore di fallimento, la tentazione dei titolari può essere di salvare il salvabile – ad esempio prelevare dalla cassa aziendale somme per sé o pagare di nascosto un fornitore “amico” lasciando gli altri a bocca asciutta. Tali comportamenti quasi sempre emergono e vengono sanzionati: il curatore può agire in revocatoria (per i pagamenti preferenziali entro 6 mesi) o denunciare l’amministratore per bancarotta fraudolenta per distrazione di risorse. È preferibile, se proprio si devono impiegare le ultime liquidità, farlo in modo giustificabile: ad esempio, utilizzare la cassa residua per pagare gli stipendi dovuti ai dipendenti e i contributi (questi pagamenti spesso sono esenti da revocatoria fallimentare o comunque visti con favore dai giudici, perché servono a adempiere obblighi di legge e morale verso i lavoratori). Oppure, se si paga un fornitore, assicurarsi che sia funzionale a mantenere in sicurezza beni o stabilimenti (pagare la ditta di vigilanza per continuare a proteggere il magazzino evita furti e tutela l’attivo fallimentare: un curatore difficilmente contesterà questa spesa).
- Tutela del patrimonio personale lecitamente: Se il titolare dell’impresa è personalmente esposto (es. ditta individuale o socio illimitatamente responsabile), il fallimento colpirà anche il patrimonio personale. In alcuni casi, prima dell’insolvenza conclamata, si possono adottare misure lecite di segregazione: ad esempio, costituire un fondo patrimoniale per proteggere la casa di abitazione – attenzione però, se fatto a ridosso del fallimento e con debiti già in essere, può essere revocato o dichiarato inopponibile ai creditori (la Cassazione spesso considera inefficace il fondo patrimoniale costituito in presenza di debiti, specie verso il Fisco). Un’altra strada può essere evitare nuove garanzie personali: se la banca chiede di estendere la fideiussione ai familiari, non farlo se già l’azienda è insolvente, altrimenti li coinvolgerà inutilmente. In settori come l’agricoltura, dove l’imprenditore non fallisce, ma può comunque subire pignoramenti, un consiglio è valutare per tempo la forma giuridica d’impresa (società semplice agricola vs ditta individuale) – ma questo rientra più nella prevenzione a monte.
- Comunicazione con stakeholder chiave: Un imprenditore che prevede il fallimento dovrebbe informare onestamente i soggetti chiave: in primis i propri dipendenti (perché così possono attivarsi per cercare nuove opportunità e perché il curatore potrebbe aver bisogno di alcuni di loro in esercizio provvisorio), poi i fornitori critici e i clienti importanti. Naturalmente è una situazione delicata: dichiarare di essere insolventi può causare reazioni (fornitori che interrompono le forniture, clienti che disdicono ordini). Ma a volte un dialogo può portare a soluzioni: ad esempio, un cliente che ha un ordine in corso potrebbe concordare di prendersi in carico la produzione pagando direttamente alcune spese (salvando la commessa e riducendo il danno). Oppure un fornitore essenziale (energia elettrica, affitto capannone) potrebbe concordare col futuro curatore la continuità (sapendo che i consumi post-fallimento saranno pagati come prededucibili). È utile, se possibile, assicurarsi la continuità di servizi essenziali (luce, allarmi, manutenzioni) almeno per il periodo di transizione: il curatore avrà poi tempo di formalizzare eventuali contratti temporanei.
- Esempi settoriali:
- Edilizia: mettere in sicurezza i cantieri, documentare lo stato di avanzamento delle opere, avvisare i committenti pubblici (che attiveranno procedure di rescissione, ma almeno si potrà agevolare la consegna dei progetti e dei materiali di cantiere al curatore). Evitare di lasciare fornitori subappaltatori non pagati sul campo senza coordinamento – meglio incontrarli, spiegare la situazione e magari agevolare che presentino istanza di fallimento così da chiudere formalmente la vicenda e poter attivare le garanzie fideiussorie decennali sugli immobili.
- Commercio: se si intende chiudere, fare una vendita di liquidazione degli stock a prezzo scontato, incassare contanti (attenzione: conservare traccia degli incassi e consegnarli al curatore, non sparire col registratore di cassa!). Meglio vendere la merce a sconto (così il curatore avrà denaro liquido) che lasciarla invenduta – spesso le merci invendute in fallimento si deprezzano drasticamente. Se si liquida merce sottocosto, farlo pubblicamente (es. vendita promozionale aperta al pubblico con scontrini) in modo da difendersi da accuse di svendita occulta.
- Manifattura: se ci sono ordini in portafoglio e materie prime insufficienti per completarli, valutare con i committenti se forniranno essi le materie prime per completare la produzione prima del fallimento (succede ad es. nel tessile: l’azienda in crisi avvisa il grande marchio committente, il quale fornisce tessuto e paga direttamente i dipendenti per finire la produzione, poi la procedura fallimentare interviene solo a distribuire quel che resta). Sono operazioni complesse ma a volte possibili.
- Servizi: spesso l’asset principale sono i contratti e la reputazione. In caso di fallimento, i clienti rescindono. Il titolare, se pensa di poter ripartire da zero in altra forma, deve stare molto attento: ogni passaggio di clienti o contratti a una nuova società potrebbe essere visto come distrazione di azienda e attaccato dal curatore. Quindi, mantenere un profilo basso: non “rubare” contratti prima del fallimento. Piuttosto, spiegare ai clienti che per ora il servizio è sospeso e che potranno rivolgersi al curatore per eventuali crediti. Dopo la chiusura, magari il titolare potrà proporre di tornare a servire quei clienti (ma dovrà affrontare la concorrenza).
- Tecnologia: mettere in salvo i dati! Per aziende IT, i dati su server e i codici sorgente di software sono asset. L’imprenditore dovrebbe consegnarli al curatore in formato accessibile (con credenziali) così che eventuali acquirenti possano valutare l’acquisto. Se li portasse via, sarebbe bancarotta.
- Durante la procedura: massima collaborazione: Una volta dichiarato il fallimento, il debitore deve cooperare pienamente. Consegnare al curatore tutti i beni, denaro e documenti, rispondere alle domande in sede di interrogatorio senza reticenze (se qualcosa non si ricorda, meglio ammetterlo che inventare risposte). Ad esempio, se il curatore chiede “che fine ha fatto il macchinario X acquistato l’anno scorso?”, invece di mentire, dire la verità (“l’ho venduto per pagare stipendi a gennaio, ecco la ricevuta e i nomi di chi ha ricevuto i soldi”). Questo può comunque comportare una revocatoria, ma dimostra buona fede e cooperazione.
- Proporre un concordato fallimentare se possibile: Il debitore stesso, o più spesso i suoi familiari o soci, potrebbero raccogliere risorse per offrire ai creditori una somma in cambio della chiusura anticipata del fallimento (artt. 240+ C.C.I.I.). Questa strategia – concordato nella liquidazione – conviene se: a) c’è il rischio di sanzioni (il concordato evita alcune conseguenze penali come la bancarotta semplice per aver chiesto tardi il fallimento), b) permette all’imprenditore di riottenere in tempi rapidi la disponibilità dell’azienda o di alcuni beni (spesso il fallito non può ricomprare formalmente i suoi beni, ma tramite concordato può far intervenire un parente a farlo), c) migliora l’immagine verso il mercato (poter dire “ho fatto un concordato e pagato il 40% ai creditori” è meglio che “sono fallito pagando zero”). Se si percorre questa via, il debitore deve collaborare con un professionista per redigere una proposta seria e sostenibile per i creditori. Ad esempio, il titolare di un agriturismo fallito potrebbe proporre, tramite un familiare, di liquidare il fallimento pagando ai creditori il 30% dei loro crediti, finanziato da un nuovo mutuo ipotecario sull’immobile (che verrebbe concesso solo se il fallimento chiude). I creditori, soprattutto se la liquidazione ordinaria darebbe meno del 30%, potrebbero accettare, e il fallimento si chiuderebbe con omologazione del concordato.
- Prepararsi alla vita post-fallimento: L’imprenditore dovrebbe usare il periodo di procedura (in cui non ha più l’azienda da gestire) per riprogettare la propria attività futura. Se persona fisica, può cercare un impiego altrove senza dover aspettare la fine del fallimento (essere “fallito” non gli preclude di lavorare come dipendente o come consulente per terzi). Se ha idee per una nuova impresa, può iniziare a studiare il mercato, magari intestando la nuova società a un familiare nel frattempo (visto che durante la procedura potrebbe avere limitazioni per avviare un business – formalmente un fallito imprenditore individuale non può iniziare una nuova impresa finché non ottiene l’esdebitazione o comunque finché il fallimento è aperto, se lo fa di nascosto rischia sequestro dei nuovi beni). Una volta ottenuta l’esdebitazione, potrà rilanciarsi senza i debiti pregressi. È importante però capire gli errori passati: il fallimento offre una dura lezione su cosa non ha funzionato (costi troppo alti? troppi debiti bancari? errori di strategia?). Analizzarli con lucidità, anche con i consulenti, aiuta a non ripeterli.
In sintesi, per il debitore la strategia migliore è giocare d’anticipo, arrendersi al momento giusto se non c’è scampo, e poi collaborare e pianificare il futuro. La legge oggi non vuole punire moralmente il fallito onesto: anzi, gli offre l’esdebitazione come “liberazione”. Per ottenerla però deve dimostrare di aver agito correttamente durante la crisi e la procedura.
Strategie per i Creditori
Dal lato dei creditori, l’obiettivo è massimizzare il recupero del proprio credito, minimizzando perdite di tempo e priorizzando le azioni efficaci. I creditori di un’impresa insolvente possono essere vari (fornitori commerciali, banche, dipendenti, Fisco, ecc.), ognuno con peculiarità, ma alcuni consigli generali valgono per tutti:
- Monitorare i segnali di crisi del debitore: prevenire è meglio che curare. Se un cliente/azienda comincia a pagare in ritardo o chiede dilazioni insolite, il creditore dovrebbe attivarsi subito: chiedere informazioni, magari consultare i bilanci (se pubblici), verificare se ha protesti o segnalazioni pregiudizievoli. Ad esempio, un fornitore di materie prime nota che la sua azienda cliente storica (settore metalmeccanico) ritarda di 90 giorni i pagamenti dove prima pagava a 60; controllando, scopre che ha subìto pignoramenti da banche. Questo è il segnale di possibile insolvenza: il fornitore dovrà decidere se continuare le forniture solo contro pagamento anticipato per non esporsi oltre.
- Tutela contrattuale e garanzie preventive: Prima ancora che la crisi si manifesti, i creditori dovrebbero inserire nei contratti clausole di garanzia. Esempio: clausole di riserva della proprietà per forniture di beni mobili (così se il cliente fallisce, il fornitore può rivendicare la merce non pagata); oppure ottenere fideiussioni personali o assicurative a copertura del credito; o ancora pegni su beni dell’acquirente (in alcuni settori si usa: es. nel credito agricolo, pegno rotativo su scorte di vino, etc.). Se queste garanzie esistono, al momento del fallimento il creditore è in posizione di vantaggio: il bene in riserva di proprietà non entra nell’attivo (o comunque il creditore è soddisfatto separatamente) e il fideiussore può essere escusso. È chiaro che questo va negoziato a monte: se la controparte è solida inizialmente, difficilmente accetterà clausole gravose; ma se è a rischio, conviene al creditore imporle o ridurre il fido.
- Coordinarsi con altri creditori chiave: Quando la crisi esplode, i creditori hanno due opzioni: agire individualmente (rischiando la corsa al pignoramento) o coordinarsi. Coordinarsi può significare scambiarsi informazioni (ad esempio un pool di fornitori crea una chat per aggiornarsi su pagamenti ricevuti o assegni scoperti dal comune cliente), o agire congiuntamente – magari rivolgendosi allo stesso avvocato per ottimizzare costi. Se poi serve iniziare il fallimento, più creditori insieme possono presentare un ricorso unitario o supportare il ricorso di uno con interventi. Questo dà più forza probatoria (il giudice vedrà che molti reclamano). Esempio: in un condominio, se l’appaltatore dei lavori condominiali appare insolvente e più fornitori (idraulico, elettricista, fornitore materiali) devono incassare, mettersi d’accordo per spingerlo al fallimento può evitare che uno solo paghi le spese e gli altri attendano.
- Decidere se presentare istanza di fallimento o attendere: Un dilemma frequente per il creditore è: mi conviene far fallire il debitore?. Dipende. Presentare istanza di fallimento ha dei costi (avvocato, contributo unificato) e significa rinunciare a eventuali tentativi transattivi extra. Lo si dovrebbe fare se: a) si teme che il debitore stia dissipando beni o pagando solo alcuni preferiti (il fallimento bloccherà tutto e sottoporrà tutti a par condicio); b) non c’è alcuna prospettiva di ristrutturazione e protrarre l’attesa peggiora la situazione (ad esempio, se il debitore continua ad accumulare debiti fiscali e spese, riducendo l’attivo netto); c) si hanno informazioni su atti di frode (in tal caso è quasi un dovere segnalare con istanza o informare il PM). Viceversa, se c’è un dialogo aperto con il debitore e magari garanzie di un concordato, forzare il fallimento precipitosamente potrebbe ridurre il recupero. Ad esempio, una banca creditrice principale a volte preferisce negoziare una soluzione di restructuring piuttosto che far fallire subito, perché nel fallimento incasserà dopo anni e magari parzialmente. In sintesi, conviene presentare istanza di liquidazione quando l’iniziativa individuale di recupero sarebbe inefficace (perché non ci sono beni facilmente pignorabili o perché sono già aggrediti da altri) e si vuole evitare che altri prendano il sopravvento. Non di rado succede l’opposto: un creditore – tipicamente l’Erario o un lavoratore – fa fallire l’azienda, e i fornitori commerciali che magari stavano trattando restano spiazzati. Meglio dunque monitorare anche chi potrebbe farla fallire e anticipare se serve.
- Agire rapidi nelle esecuzioni individuali pre-fallimento (se opportuno): Se il debitore ha beni privi di garanzie e pochi creditori per ora, un creditore veloce potrebbe pignorare e soddisfarsi prima del fallimento. Ma attenzione: se poi il fallimento interviene entro 90 giorni dalla conversione del pignoramento in assegnazione di denaro, quell’atto di pagamento preferenziale potrebbe essere revocato dal curatore (revocatoria delle cause di prelazione o pagamenti coattivi, ex art. 67 L.F., ora art. 166). Ad esempio, un fornitore ottiene pignoramento e assegnazione di €50.000 dal conto del debitore; se entro 6 mesi dal pignoramento il debitore fallisce e risulta che quel pagamento ha preferito lui sugli altri, il curatore può chiederne la restituzione. Quindi, la “fuga solitaria” funziona bene se il fallimento non arriva, oppure se si è molto in anticipo rispetto agli altri. In generale, per i creditori chirografari è difficile battere sul tempo l’apertura del concorso una volta che la situazione è nota.
- Insinuarsi al passivo con cura e per tempo: Una volta aperto il fallimento, il creditore deve presentare la domanda di insinuazione entro il termine indicato nell’avviso. È fondamentale non tardare: le domande tardive (oltre il termine ma prima del deposito del progetto di stato passivo) sono ammesse, ma quelle tardivissime (dopo l’esecutività dello stato passivo) rischiano di ricevere solo ciò che eventualmente resta dopo i riparti già fatti. Inoltre, presentare domanda tempestiva dà diritto al voto in caso di concordato fallimentare. Quindi appena si riceve l’avviso dal curatore, attivarsi. Preparare una domanda completa: indicare chiaramente l’importo del credito (quota capitale, interessi di mora fino alla data del fallimento), la causa (fornitura di X beni con fatture elencate, prestito etc.), e allegare i documenti probatori: contratti, fatture, DDT, estratti di conti, eventuali sentenze o decreti ingiuntivi. Se si ha un titolo esecutivo (es. decreto ingiuntivo non opposto) menzionarlo: i titoli non esonerano dall’insinuazione, ma danno una presunzione di fondatezza. Se il credito ha un privilegio (es. edile per l’appaltatore, agricolo, artigiano, ecc. ex art. 2751-bis c.c.), o una garanzia reale, indicarlo chiaramente chiedendo l’ammissione in privilegio/ipoteca. Il curatore e il giudice non sempre conoscono i dettagli della vostra posizione, sta a voi farli valere. Ad esempio, un trasportatore di merci ha per i suoi noli un privilegio generale mobiliare (art. 2751-bis n.3 c.c.): se non lo dichiara in domanda e il curatore non se ne accorge, potrebbe essere ammesso solo chirografario. Dopo è un problema correggere.
- Seguire la procedura e intervenire attivamente: I creditori hanno diritto di accesso agli atti depositati (possono chiedere di visionare relazione del curatore, inventario, perizie). Possono anche rivolgere istanze al giudice delegato (ad esempio per sollecitare la vendita di un bene se c’è inattività). Uno strumento importante è il Comitato dei creditori: se siete un creditore significativo, proponetevi per farne parte. Specialmente per banche e grandi fornitori, entrare nel comitato dà un canale diretto col curatore, influenza sul programma di liquidazione e un quadro privilegiato sull’andamento. Anche i piccoli creditori dovrebbero tenersi informati: leggere le comunicazioni del curatore, eventualmente partecipare alle adunanze (se convocate) o contattare il curatore per avere notizie (in modo educato e non ossessivo). Il curatore può, nei limiti, fornire aggiornamenti e spesso pubblica report semestrali. Inoltre, se intravvedete irregolarità o lentezze, fatele presenti al giudice delegato: es. “Sono passati 2 anni e non risultano tentativi di vendita dell’immobile, chiedo se è stata fatta stima e quando sarà messo in asta”. Tali solleciti spesso spingono la procedura avanti.
- Far valere eventuali diritti di prelazione o separazione: Alcuni creditori non sanno di avere privilegi su determinati beni (es. il venditore di macchinari con patto di riservato dominio). Se siete tra questi, attivatevi subito: fate istanza di restituzione o rivendica al curatore (art. 189-200 C.C.I.I. su rivendiche) citando il titolo (es. contratto di vendita con riserva registrato). Se il curatore contesta, il giudice delegato deciderà. Ad esempio, un fornitore di auto aziendali in leasing dovrà chiedere la restituzione delle auto appena aperto il fallimento, per evitare che si deteriorino e per rimetterle sul mercato presto. Oppure, se siete una banca con pegno su un conto titoli, potreste autonomamente vendere i titoli in portafoglio (grazie alla disciplina speciale delle garanzie finanziarie) e poi insinuarvi per l’eventuale deficit; ma attenzione a farlo in conformità ai contratti e alla legge, altrimenti il curatore contesterà.
- Utilizzare le compensazioni e diritto di recesso, ove applicabili: Se siete fornitori e allo stesso tempo debitori verso il fallito (succede in rapporti complessi di gruppo, o tra aziende che si forniscono reciprocamente), valutate la compensazione: presentatela in sede di domanda di insinuazione. La legge consente la compensazione di crediti e debiti prefallimentari; evidenziatelo affinché siate chiamati a pagare solo il saldo netto. Se avete consegnato merci alla data del fallimento ma non siete stati pagati e potete ancora fermare la spedizione, fatelo (diritto di ritenzione) o se merce consegnata a un vettore, revocate l’ordine di consegna se la legge di trasporto lo consente, per non aggravare la vostra posizione. Ogni settore ha astuzie: ad esempio, i fornitori di energia elettrica possono chiedere il deposito cauzionale anticipato a un’azienda in crisi e se questa fallisce stornare quel deposito contro gli ultimi consumi, riducendo la perdita.
- Partecipare all’eventuale Concordato nella liquidazione: Se durante il fallimento arriva una proposta di concordato (ad esempio un terzo offre 30 cent/€ su tutti i crediti chirografari), valutate con cura il voto. Un errore comune è votare contro per “punizione morale” del debitore, ma questo può essere controproducente economicamente. Bisogna confrontare cosa si prevede di incassare dal fallimento ordinario (spesso i curatori forniscono stime: es. 10%) con quanto offre il concordato (es. 30% subito). Se l’offerta è migliorativa, converrebbe accettare, anche se significa che il debitore “si salva”. Inoltre, oggi la legge consente il cram-down sui creditori pubblici dissenzienti in certi casi: quindi, se siete un creditore privato, non confidate necessariamente nel fatto che “se Agenzia Entrate vota contro allora salta tutto”; potrebbe essere omologato ugualmente. Dunque, pragmatismo: prendere il meglio per la vostra azienda.
- Recuperare l’IVA e dedurre le perdite su crediti: Non dimenticate gli aspetti fiscali: un credito verso il fallito, una volta ammesso al passivo, può considerarsi perdite su crediti deducibile fiscalmente (secondo art. 101 TUIR). Questo consente almeno un risparmio fiscale (pagherete meno tasse grazie a quella perdita, riducendo parzialmente il danno). Inoltre, se avete emesso fatture con IVA non incassata, potete emettere nota di credito per recuperare l’IVA al più tardi entro la data di esigibilità dell’imposta successiva alla procedura (normativa recente: oggi addirittura la bozza di legge di bilancio 2023 ha anticipato al momento dell’apertura della procedura la facoltà di emettere nota credito). Significa che il Fisco vi restituisce l’IVA su quei crediti inesigibili, alleggerendo la perdita. Quindi coordinatevi col vostro commercialista per fare tutte le note di variazione IVA e le deduzioni nei tempi previsti (spesso entro la dichiarazione redditi dell’anno di fallimento).
- Valutare l’acquisto di beni dalla procedura: Può sembrare strano, ma a volte un creditore può recuperare di più comprando qualcosa dal fallimento piuttosto che aspettando il riparto. Ad esempio, se siete fornitori di macchinari e il vostro cliente fallisce, potreste partecipare all’asta per comprare le macchine usate (che conoscete bene) a prezzo di realizzo e poi rivenderle nel vostro mercato: il profitto così ottenuto può compensare il vostro credito perso. Ovviamente ciò va fatto in trasparenza partecipando alle gare pubbliche. Questo succede anche per banche che rilevano immobili su cui hanno ipoteca (credit bid) e poi li gestiscono in proprio. Non è una strada per tutti, ma merita pensarci: se conoscete bene il magazzino o l’azienda fallita, potreste trarne opportunità.
- Attenzione agli accordi con il debitore pre-fallimento: a volte creditori e debitori tentano accordi “di riparto” prefallimentari: ad es. l’imprenditore dice ai fornitori “se non mi fate fallire, vi pago il 20% a saldo e stralcio”. Se accettano, c’è il rischio che se comunque poi fallisce, quei pagamenti vengano revocati e il credito originario risorge (ma ormai hanno firmato quietanza a saldo minore, creandosi problema). Dunque, diffidare di accordi opachi in extremis. Meglio formalizzare eventuali piani di rientro in soluzioni protette (accordo di ristrutturazione omologato, ecc.). Se un debitore in crisi vi propone un saldo e stralcio, assicuratevi che altri creditori facciano lo stesso e che non vi sia lesione di par condicio oppure fate transazione in sede giudiziale (che non evita revocatoria ma almeno prova la buona fede).
- Case specifiche:
- Dipendenti: I lavoratori hanno strumenti peculiari: se il datore fallisce e ci sono stipendi arretrati o TFR non pagato, possono attivare il Fondo di garanzia INPS che anticipa loro TFR e ultime tre mensilità, poi l’INPS si insinua al loro posto. Strategia: presentare subito domanda all’INPS con il decreto di esecutività stato passivo in mano. Inoltre, se l’azienda continua in esercizio provvisorio, i dipendenti possono rendersi disponibili a collaborare con il curatore: spesso il curatore li riassume per la fase temporanea, garantendo loro la paga in prededuzione (che è praticamente sicura).
- Banche: Le banche creditrici ipotecarie devono monitorare la vendita degli immobili: se il curatore non la avvia, possono sollecitare con istanza di vendita ex art. 107 L.F. (oggi possono chiedere al giudice di fissare un termine al curatore per iniziare la vendita, pena autorizzare la banca stessa a farlo). Inoltre, se ipoteca insufficiente, la banca deve insinuare anche per la parte chirografaria residua. Le banche con pegni su titoli possono realizzare il pegno (come detto) grazie al regime particolare.
- Erario: L’Agenzia Entrate e Riscossione dovrebbero presentare domanda di insinuazione tempestiva. Spesso lo fanno in ritardo: dal 2020, la legge prevede che se l’ADER (ex Equitalia) insinua dopo 60 giorni dal deposito stato passivo, i suoi crediti perdono il privilegio e diventano chirografari. Questo è un incentivo forte a essere puntuali. Quindi, se siete un funzionario che segue pratiche di questo tipo, occhio alle scadenze per non danneggiare l’Erario.
- Creditori con cause in corso: se avevate una causa civile contro l’azienda poi fallita, quella causa si interrompe. Dovrete insinuarvi con riserva e poi riassumere la causa contro il curatore per accertare il credito. Valutate costi-benefici: se è un credito incerto e la procedura fallimentare già prevede pochi soldi, forse conviene rinunciare alla causa e accontentarsi della parziale ammissione come chirografari. Se invece il credito è grosso e con ottime chance (es. una causa di risarcimento quasi vinta), bisogna perseverare e magari concordare col curatore un riconoscimento (a volte il curatore può ammettere con riserva e poi transare la lite pagando un importo minore ma certo). Quindi non lasciate decadere i vostri diritti: consultate il vostro legale per la strategia processuale migliore.
In sintesi, il creditore accorto deve essere proattivo: non subire passivamente gli eventi, ma guidarli dove possibile. Ciò significa talvolta spingere per il fallimento, altre volte collaborare col debitore per alternative, una volta aperto il fallimento essere diligenti nell’insinuarsi e vigili nello svolgimento della procedura. In un contesto come quello italiano, dove il recupero medio nei fallimenti è storicamente basso, anche guadagnare pochi punti percentuali in più grazie a un privilegio ben rivendicato o a una mossa tempestiva può fare la differenza.
Check-list Operative per Imprenditori e Consulenti
Di seguito presentiamo due check-list pratiche: la prima per la fase precedente all’apertura di una procedura concorsuale (cosa fare quando l’impresa è in crisi e il fallimento minaccia ma non è ancora dichiarato), la seconda per la fase successiva all’apertura della liquidazione giudiziale (come comportarsi durante la procedura). Queste liste, pur generali, offrono un percorso di riferimento per imprenditori e consulenti legali.
Check-list Pre-crisi e Pre-fallimento (per l’Imprenditore in difficoltà e il suo Consulente):
- Analisi realistica della situazione finanziaria: valutare bilanci, flussi di cassa e prospettive. Identificare l’eventuale stato di “crisi” prima che diventi insolvenza conclamata. Utilizzare, se disponibili, gli indici di allerta ministeriali per capire se si è oltre soglia.
- Attivazione degli strumenti di allerta/negoziazione: se gli indici di allerta sono superati o comunque si prevedono inadempimenti, valutare di attivare la Composizione Negoziata della crisi (piattaforma telematica camerale) con nomina di un esperto, per tentare accordi con i creditori. Questo può congelare le azioni esecutive (misure protettive) e dare respiro.
- Consulenza legale tempestiva: contattare un avvocato esperto di diritto fallimentare e un commercialista esperto di ristrutturazioni. Con il loro aiuto, scegliere la strada: piano di risanamento, accordo di ristrutturazione, concordato preventivo, oppure prepararsi al fallimento. Non aspettare l’ultimo giorno per chiedere aiuto.
- Comunicazione con le banche: se l’impresa ha debiti bancari, aprire un dialogo trasparente con gli istituti. Le banche preferiscono spesso ristrutturare il credito che vedere un fallimento. Proporre moratorie o riscadenzamenti prima del default. (Attenzione: evitare di nascondere la crisi chiedendo nuovi finanziamenti che non si potranno restituire – potrebbe configurare truffa ai creditori).
- Gestione oculata dei pagamenti: se la liquidità scarseggia, dare priorità ai pagamenti legali e critici: stipendi, contributi (per evitare responsabilità personali dell’amministratore), fornitori essenziali alla sicurezza (es. manutenzione impianti, vigilanza). Posticipare quelli meno critici (es. pagare fornitori non strategici, se inevitabile, fuori termine). Documentare sempre la ragione delle scelte di pagamento (così da poterle giustificare in caso di revocatoria: “pagato prima questo fornitore perché forniva materia prima senza la quale avremmo interrotto produzione con danno maggiore”).
- Evitare atti straordinari inconsulti: non cedere asset importanti a prezzo di favore a parti correlate, non stipulare mutui ipotecari su immobili sociali all’ultimo (verrebbero revocati se a garanzia di debiti pregressi). Qualsiasi atto straordinario (vendite, spin-off, fusioni) in periodo di crisi sarà scrutato: farlo solo con parere di un esperto che attesti la congruità e magari dopo aver informato i creditori principali.
- Verifica delle garanzie personali: l’amministratore/socio che abbia firmato fideiussioni o avalli dovrebbe consultarsi su come proteggere il suo patrimonio personale. Se possibile, negoziare con le banche la liberazione di garanzie personali in cambio di ulteriori garanzie reali dell’azienda (anche se in crisi, se c’è un immobile libero, meglio ipotecare quello che ipotecare la casa del socio).
- Preparazione documentale: predisporre un dossier da tenere pronto: ultimi bilanci depositati, situazione contabile aggiornata (anche extra bilancio se necessario), elenco analitico dei creditori e debitori, elenco beni aziendali (con stime approssimative del valore di mercato), elenco fornitori essenziali. Questo dossier servirà sia per eventuali trattative di concordato sia, se tutto fallisce, per consegnarlo al futuro curatore.
- Assicurazioni e manutenzioni: assicurare i principali beni dell’azienda (incendio, furto) se non già coperti: in caso di sinistro durante la procedura, il patrimonio ne risentirebbe. Assicurarsi anche che macchinari e impianti siano in regola (una caldaia senza revisione che esplode durante il fallimento genererebbe guai). Questi accorgimenti proteggono il valore residuo.
- Non contrarre nuovi debiti se non indispensabili: evitate di aggravare la posizione debitoria prendendo altri fornitori a credito sapendo di non poterli pagare – ciò potrebbe essere considerato dolo eventuale verso quei nuovi creditori. Se assolutamente dovete (es. per completare una commessa che darà entrate immediate), fatelo in modo pianificato e limitato.
- Coinvolgere i soci: se siete amministratore ma non unico proprietario, informate tempestivamente i soci della situazione di crisi. Convocate assemblee se richiesto dalla legge (perdita > 1/3 capitale, ecc.). I soci potrebbero decidere di ricapitalizzare per evitare il fallimento (a volte succede in PMI familiari). Se invece i soci non vogliono o possono, almeno verbalizzate le decisioni in assemblea: questo tutela l’amministratore (dimostra di aver coinvolto la proprietà).
- Preparare la eventuale istanza di fallimento in proprio: come extrema ratio, con l’avvocato predisporre il ricorso per auto-fallimento, completo di documenti (elenco creditori, inventario, bilancio, etc.). Così, se un creditore muove istanza o la situazione precipita (pignoramento bloccante, ecc.), si può depositare immediatamente anziché perdere altri giorni. A volte un fallimento in proprio ben preparato evita misure cautelari peggiori (tipo sequestro penale di beni).
- Assicurarsi la PEC attiva: controllare che l’indirizzo PEC dell’azienda sia attivo e funzionante e tenere monitorata la casella. Tutte le comunicazioni importanti (es. decreti tribunale, istanze creditori, avvisi curatore) arriveranno lì. Una PEC non letta può far perdere opportunità di difesa.
- Tutela della reputazione personale: iniziare a informare con cautela stakeholder esterni: se siete professionista (es. architetto con società di ingegneria fallenda), cercare di isolare la reputazione personale dall’evento impresa (chiarendo che farete di tutto per minimizzare i danni). Non fare annunci pubblici avventati, ma nemmeno scomparire lasciando tutti all’oscuro.
Check-list Post-apertura della Liquidazione Giudiziale (durante la procedura, per il Debitore e i suoi Consulenti):
- Consegna immediata dei beni e delle scritture al Curatore: appena nominato, contattare il curatore (o attendere la sua visita) e consegnare: tutti i libri contabili, registri IVA, dichiarazioni fiscali, bilanci, estratti conto bancari, chiavi di magazzini, veicoli, ecc. Redigere un verbale di consegna firmato da curatore e fallito per chiarezza. Se qualche bene non è disponibile (es. venduto poco prima), dichiararlo onestamente.
- Presidio degli immobili aziendali: se ci sono capannoni, uffici, negozi, supportare il curatore per mettere in sicurezza: consegnare codici di allarme, elenchi di dipendenti con chiavi, indicare eventuali pericoli (sostanze chimiche, macchinari sotto tensione). Questo evita incidenti e responsabilità. Il curatore spesso nomina il fallito custode temporaneo dei beni fino all’inventario: svolgere questo compito con diligenza.
- Inventario partecipato: collaborare all’inventario dei beni. Il curatore/notaio potrebbero non conoscere la natura di certi macchinari o materiali: l’ex imprenditore sì. Aiutarli a identificarli correttamente (es. indicando modelli, anno di acquisto, funzionamento o guasti noti). Questo può influire sul valore di realizzo (es. segnalare che un forno industriale è guasto, evitando di far illudere il curatore su un valore alto e prevenendo contestazioni dall’acquirente post-vendita).
- Dichiarazioni veritiere nell’interrogatorio: quando il Giudice Delegato convoca il fallito per l’esame (spesso avviene qualche settimana dopo), rispondere con precisione. Prepararsi in anticipo con l’avvocato sulle possibili domande: cause dell’insolvenza, ultime operazioni fatte, dove sono i libri contabili, se ci sono crediti da incassare e perché non incassati, etc. Portare con sé eventuali documenti di supporto. Se qualcosa di imbarazzante va confessato (ad es. prelievo di cassa a uso personale prima del fallimento), meglio ammetterlo spiegandone il motivo piuttosto che negarlo e poi farlo scoprire al curatore dai conti bancari.
- Aggiornare i recapiti: comunicare immediatamente al curatore e al tribunale un domicilio aggiornato e un indirizzo PEC/email/telefono dove essere reperibili per convocazioni e comunicazioni. Se ci si trasferisce, notificare il nuovo indirizzo entro 5 giorni.
- Assistenza nell’esame dello stato passivo: il fallito ha facoltà (non obbligo) di partecipare all’udienza di verifica crediti. È utile esserci, perché può chiarire se vede richieste anomale (es. un creditore chiede €100k ma il fallito sa che aveva già ricevuto pagamenti parziali non contabilizzati: può segnalarlo al G.D. e curatore, magari mostrando quietanze). Oppure, confermare debiti contestati per accelerare l’ammissione. Anche senza intervenire formalmente, la presenza consente di capire chi sono i creditori e cosa chiedono.
- Non intralciare le vendite dei beni: il debitore a volte potrebbe non essere d’accordo su come il curatore liquida l’attivo (es. prezzo troppo basso). Ma deve astenersi dal creare ostacoli. Anzi, dovrebbe agevolare sopralluoghi e perizie. Se ravvisa davvero una svendita dannosa, ne parli col curatore o faccia presente al comitato creditori, ma non in modo ostruzionistico. Ad esempio, se l’ex titolare è in loco quando vengono possibili acquirenti a vedere i macchinari, mantenere un atteggiamento neutro e fornire informazioni tecniche se richieste. Gettare discredito sui beni o sulla procedura per farli desistere (magari sperando di riottenere lui i beni a minor prezzo dopo) può esporlo a responsabilità (violazione obblighi di buona fede).
- Richiesta dell’esdebitazione: prepararsi per tempo per l’esdebitazione finale (se persona fisica). Ciò significa: durante la procedura tenere una condotta irreprensibile (cooperazione, non occultamento di redditi sopravvenuti, non condanne per reati fallimentari). Verso la fine, incaricare un legale per predisporre l’istanza e raccogliere le prove di meritevolezza: es. dichiarazione del curatore che il debitore ha collaborato, assenza di opposizioni da creditori per condotte dolose. Presentare l’istanza appena possibile dopo il decreto di chiusura.
- Valutare opportunità di riacquisto beni in concordato fallimentare: se emergesse la chance di un concordato fallimentare proposto da un terzo che consente al debitore di rientrare in possesso dell’azienda o di alcuni beni (es. un familiare propone di rilevare l’azienda pagando i creditori), il debitore può sostenere tale proposta (non può formalmente votare, ma può sollecitare i creditori a votare sì, presentando magari perizie giurate che dimostrano la convenienza per loro). Il debitore non può presentare direttamente una proposta di concordato se non con apporto di risorse esterne, ma può orchestrare la proposta di un investitore interessato, offrendo la sua competenza per far ripartire l’azienda. In caso di accordo, il debitore potrà tornare a gestire tramite l’investitore o comunque salvarne il valore. Quindi, monitorare se il curatore pubblica inviti a proposte concordatarie e cercare attivamente possibili investitori (clienti, fornitori o concorrenti) da coinvolgere.
- Lavorare durante la procedura (per i falliti persone fisiche): se l’ex imprenditore trova un lavoro da dipendente o autonoma durante il fallimento, può farlo – i suoi redditi successivi al fallimento non entrano nella massa (eccetto la parte eventualmente pignorabile come da legge). Tuttavia, deve comunicare al curatore l’attività intrapresa e il reddito, specie se vuole chiedere un accantonamento per mantenimento. Il curatore non potrà toccare lo stipendio, ma sapere che il fallito lavora e si mantiene serve a stabilire che non ha bisogno di prelevare nulla dal fallimento per vivere (il fallito può chiedere un assegno per il suo mantenimento art. 46 L.F. prev., raramente concesso). Insomma, lavorare è positivo e non va nascosto.
- Relazionarsi correttamente coi creditori personali: durante il fallimento, i creditori (soprattutto banche con garanzie personali o finanziarie) potrebbero aggredire il patrimonio personale del fallito (casa, stipendio, ecc.) se non soddisfatti in procedura. Il fallito dovrebbe evitare conflitti, possibilmente negoziando con tali creditori: ad esempio, se la banca intende ipotecare la casa del garante (amministratore), valutare con il legale l’opportunità di proporre un saldo stralcio al di fuori del fallimento per risolvere la posizione (questo non influenza il fallimento in sé, ma libera il fallito da quella pressione). Tuttavia, attenzione: eventuali pagamenti a creditori personali durante la procedura non sono vietati di per sé (perché riguardano debiti esclusi dal concorso), ma se connessi ai debiti concorsuali potrebbero creare problematiche. Agire caso per caso con consulenza.
- Adempiere agli obblighi fiscali residui: il curatore presenterà le dichiarazioni fino alla data di fallimento, ma il fallito deve presentare la sua dichiarazione dei redditi personale per l’anno in corso fino alla data di apertura (soprattutto per ditte individuali coincide con quella del curatore). Coordinarsi con il commercialista e il curatore per evitare doppie dichiarazioni o omissioni. Inoltre, se il fallito riceve compensi soggetti a tassazione durante la procedura (es. affitto di beni esclusi), deve dichiararli regolarmente.
- Non improvvisarsi in nuove attività imprenditoriali durante la procedura senza consulenza: Se la legge non glielo vieta in modo assoluto (per le persone fisiche fallite è dibattuto; per i soci di srl fallita possono aprirne un’altra), è comunque prudente evitare di lanciarsi subito in nuove avventure senza considerare eventuali implicazioni (il curatore potrebbe vederle come concorrenza sleale con la massa se ad esempio usa stessi beni o clienti). Meglio attendere la fine o avere approvazione informale (dopo aver venduto l’azienda, il curatore può essere sollevato se il fallito ne apre un’altra purché non gli sottragga asset).
- Psicologia e reputazione: affrontare un fallimento è psicologicamente duro. Il debitore dovrebbe farsi supportare anche emotivamente, senza vergogna – in molti casi i fallimenti derivano da cause esterne (crisi di mercato) e non da colpa. Mantenere un atteggiamento dignitoso e collaborativo migliora anche l’immagine verso ex-partner: spesso creditori e clienti apprezzano chi, pur fallito, si comporta onestamente e lo terranno in considerazione in futuro (ci sono casi di imprenditori falliti riassunti come dirigenti da ex clienti!). Al contrario, sparire, mentire o accusare tutti può danneggiare indelebilmente la reputazione.
Queste liste non sono esaustive, ma forniscono una traccia operativa. Ogni fallimento ha la sua storia: imprenditori e consulenti dovranno adattare questi consigli alla situazione specifica. L’importante è mantenere metodo e lucidità in momenti che spesso sono caotici e carichi di emotività.
Tabelle Riepilogative di Sintesi
Per facilitare la comprensione, riportiamo alcune tabelle riepilogative su punti chiave:
1. Cronologia Procedurale vs. Tempistiche Indicative: (già illustrata sopra nella sezione sulla procedura)
(Vedi tabella “Fasi della Procedura” sopra, che elenca: istanza, udienza, sentenza, inventario, domande crediti, verifica passivo, liquidazione, riparti, chiusura, etc., con le tempistiche relative)
2. Differenze principali Fallimento ante 2022 vs Liquidazione Giudiziale 2022:
(Vedi tabella di confronto dettagliato sopra, che confronta: denominazione, normative, soglie, soggetti esclusi, soci illimitati, organi, apertura, effetti su debitore/creditori, contratti pendenti, esercizio provvisorio, revocatorie, concordato fallimentare, durata/esdebitazione)
3. Obblighi e Divieti del Debitore durante la Procedura:
Obblighi del Debitore Fallito | Descrizione |
---|---|
Consegna documenti contabili | Consegnare al curatore i libri contabili, registri fiscali, situazione aggiornata, elenco creditori. |
Consegna e disponibilità dei beni | Mettere a disposizione tutti i beni dell’attivo (merci, immobilizzazioni, cassa) e i relativi accessi (chiavi, codici). |
Dichiarazioni veritiere | Rispondere sinceramente alle domande del giudice delegato e del curatore sull’attività e sul patrimonio. |
Collaborazione attiva | Assistere il curatore nell’inventario, segnalare crediti da incassare, indicare eventuali atti lesivi compiuti (meglio confessare spontaneamente). |
Conservazione dei beni | Custodire diligentemente i beni ancora nella sua disponibilità fino all’asporto da parte del curatore; evitare che deperiscano o che terzi se ne approprino. |
Aggiornare recapiti e informazioni | Comunicare variazioni di domicilio, fornire al curatore ogni informazione richiesta in ogni momento della procedura. |
Comparizione alle convocazioni | Presentarsi alle convocazioni del tribunale (es. interrogatorio ex art. 49 L.F.) e del curatore (riunioni, etc.). |
Astensione da atti di disposizione | Astenersi dal compiere atti su beni fallimentari (vendite, affitti, pegni su tali beni sono nulli). |
Segnalazione sopravvenienze attive | Informare il curatore di eventuali entrate o beni sopravvenuti durante la procedura (es. incassi imprevisti di crediti). |
Divieti e Limitazioni per il Debitore | Descrizione |
---|---|
Divieto di gestire l’impresa | Perde ogni potere di gestione sull’azienda fallita; non può continuare l’attività né rappresentare la società. |
Divieto di pagare creditori | Non può effettuare pagamenti ai creditori concorsuali dopo l’apertura (sarebbero atti inefficaci). |
Divieto di aggravare la massa | Non può contrarre nuovi debiti sulla massa fallimentare né disporre dei beni attivi (spossessamento totale). |
Limitazioni civili (persone fisiche) | Fino alla chiusura, il fallito imprenditore individuale non può avere cariche societarie (es. amministratore di altra società) e subisce cause di ineleggibilità a cariche pubbliche fino all’esdebitazione. |
Uso di conto corrente | Il fallito non può aprire o usare conti a nome dell’azienda fallita; eventuali conti personali vanno gestiti in modo trasparente (le entrate personali future restano sue, ma se rilevanti occorre informare il curatore). |
Divieto di lasciare il domicilio senza avviso | Norma desueta del vecchio art. 49 L.F. prevedeva che il fallito non potesse allontanarsi senza autorizzazione; oggi è più attenuato, ma è opportuno restare reperibile e non espatriare se vi sono pendenze penali. |
Divieto di costituire nuova impresa (de facto) | Anche se non c’è un divieto legale assoluto, intraprendere una nuova attività mentre la precedente è in fallimento può essere visto male dal tribunale, specie se non è a scopo di sostentamento ma imprenditoriale. Prudenza e consultare il GD prima di farlo. |
Obbligo di astenersi da atti distrattivi | Ovviamente, vietato occultare o distrarre beni spettanti alla massa: configurerebbe reato (bancarotta fraudolenta). |
Obbligo di non favorire creditori | Non deve collaborare con qualche creditore contro gli altri (ad es. passando informazioni riservate prima che siano pubbliche, o indirizzando vendite di beni a qualcuno): deve mantenere equidistanza, ora la regia è del curatore. |
(I divieti sopra discendono per lo più implicitamente dallo spossessamento e dagli obblighi generali del fallito; mentre gli obblighi positivi sono imposti da art. 49 L.F. e da norme del Codice in tema di cooperazione del debitore.)
4. Tempistiche Chiave nella Procedura:
- Termine per insinuazione crediti: indicato dal G.D. nell’avviso ai creditori (di solito 30 giorni prima dell’udienza di verifica). Esempio: sentenza 1 marzo, udienza verifica 1 giugno => termine insinuazioni 2 maggio.
- Termine opposizione stato passivo: 30 giorni dalla comunicazione del decreto di esecutività dello stato passivo (ex art. 201 L.F., mantenuto).
- Durata misure protettive in composizione negoziata: max 4 mesi (pregressa alla liquidazione, se attivate).
- Periodicità relazioni curatore: semestrale (ogni 6 mesi il curatore riferisce situazione, ex art. 130 C.C.I.I.).
- Decadenza funzioni organi societari: amministratori di società fallita decadono ex lege alla data della sentenza; i sindaci rimangono formalmente in carica per atti di loro competenza (es. se bisogna approvare bilancio finale).
- Durata esercizio provvisorio: stabilita dal tribunale caso per caso; tipicamente concessa per pochi mesi, prorogabile. In molti casi coincide con il tempo necessario a vendere l’azienda in blocco.
- Termine per presentare proposta di concordato nella liquidazione: i creditori o terzi possono presentarla fino a che non sia iniziata la distribuzione finale dell’attivo (in pratica, se presentata prima della chiusura riparto finale, va valutata; art. 240 C.C.I.I.).
- Riapertura fallimento (post chiusura): entro 5 anni dalla chiusura, se emergono nuovi attivi significativi (vecchio art. 121 L.F.), il fallimento può essere riaperto su istanza creditori/curatore scopritore. Dopo 5 anni non più (prescrizione).
- Prescrizione crediti: durante il fallimento, le prescrizioni rimangono sospese (art. 153 L.F.), riprendono a decorrere dalla chiusura per i crediti non soddisfatti.
- Istanza esdebitazione: da presentare entro 1 anno dalla chiusura (art. 280 C.C.I.I.). Se si perde questo termine, l’opportunità decade (salvo gravi motivi e rimessione in termini).
Queste tempistiche sono importanti sia per i creditori (per non perdere scadenze) sia per i consulenti del debitore (per sapere quanto dura l’esposizione del loro assistito e quando attivarsi per eventuale esdebitazione o riaperture).
Domande Frequenti (FAQ) sulla Liquidazione Giudiziale
D.1: Che cos’è esattamente la “liquidazione giudiziale” e in cosa differisce dal vecchio fallimento?
R.1: La liquidazione giudiziale è la procedura concorsuale prevista dal Codice della Crisi (D.lgs. 14/2019) che ha sostituito il fallimento dal luglio 2022. In pratica è molto simile al fallimento: dichiarata l’insolvenza di un’impresa commerciale, si procede a liquidare il suo patrimonio sotto il controllo di un curatore nominato dal tribunale, soddisfacendo i creditori secondo le prelazioni. Le differenze principali sono terminologiche (non si usa più la parola “fallimento”) e alcune modifiche organizzative (ad es. più digitalizzazione, possibilità di nomina di un esperto ausiliario del curatore). Ma la funzione rimane la stessa: liquidare i beni dell’impresa insolvente e distribuire il ricavato ai creditori. Si può dire dunque che la liquidazione giudiziale è il “nuovo fallimento” nel nostro ordinamento, solo con un nome diverso e normative aggiornate.
D.2: Quali imprese possono essere sottoposte a liquidazione giudiziale?
R.2: Possono esserlo gli imprenditori commerciali (ditte individuali o società) che superino certe soglie dimensionali e che si trovano in stato d’insolvenza. Sono invece escluse:
- le imprese minori: quelle che nei 3 anni precedenti hanno avuto attivo ≤ €300k, ricavi ≤ €200k e debiti ≤ €500k (devono rispettare tutti e tre i limiti congiuntamente). Queste, se insolventi, seguono procedure “minori” (es. liquidazione controllata per sovraindebitamento).
- gli imprenditori agricoli puri: non falliscono (sono soggetti a sovraindebitamento eventualmente).
- i professionisti e artisti non imprenditori (avvocati, medici, ecc.): non essendo imprenditori commerciali, non sono soggetti a liquidazione giudiziale, ma eventualmente a procedura di sovraindebitamento come consumatori o professionisti.
- i consumatori e in generale chi non esercita attività d’impresa non può essere dichiarato fallito (ma può accedere anche lui a procedure di esdebitazione per sovraindebitamento).
Inoltre alcune categorie hanno leggi speciali: ad es. banche e assicurazioni non seguono la liquidazione giudiziale ma la liquidazione coatta amministrativa sotto controllo Banca d’Italia/IVASS.
Importante: dal 2022 sono divenute fallibili anche le start-up innovative (prima esonerate per legge nei primi anni di vita), e restano fallibili anche le società a partecipazione pubblica se svolgono attività commerciale (salvo casi particolari). Le società di persone falliscono come entità + i soci illimitatamente responsabili insieme. Le società di capitali falliscono come società ma soci rimangono fuori (salvo garanzie personali attivate).
D.3: Quando si può dire che un’impresa è “insolvente”?
R.3: Un’impresa è insolvente quando non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni con mezzi normali. Non serve l’azzeramento totale del patrimonio: basta la crisi di liquidità grave e non temporanea. Indizi tipici:
- Debiti scaduti rilevanti non pagati (fornitori lasciati in arretrato per mesi, rate di mutuo saltate).
- Protesti di assegni o cambiali, pignoramenti subìti.
- Interruzione della correntezza nei pagamenti di stipendi, contributi, tasse.
- Situazione di passivo patrimoniale eccedente l’attivo (insolvenza patrimoniale): se l’impresa ha più debiti che beni vendibili.
Il Codice definisce insolvenza come “inadempimenti od altri fatti esteriori indicatori dell’incapacità di soddisfare regolarmente le obbligazioni”. In pratica, sta al giudice valutare le prove: se dai bilanci e dalle testimonianze risulta che l’impresa non paga molti debiti da tempo e non ha liquidità o credito per farlo, è insolvente.
C’è anche una soglia: se i debiti scaduti sono meno di €30.000 complessivi, per legge non si dichiara il fallimento (insolvenza troppo piccola).
Da distinguere insolvenza da crisi: la crisi è una difficoltà eventuale (ad es. prevista incapacità di far fronte ai debiti nei prossimi 6 mesi); l’insolvenza è già un’incapacità attuale. Solo con l’insolvenza conclamata si apre la liquidazione giudiziale.
Inoltre, l’insolvenza dev’essere persistente: se un’azienda salta un pagamento ma poi riprende regolarità, non si dichiara fallimento (può capitare un ritardo isolato). Il giudice guarda al quadro d’insieme: tipicamente, un grave stato di decozione, es. catena di protesti e sofferenze, richieste di concordato rigettate, ecc.
D.4: Chi può chiedere la liquidazione giudiziale di un’impresa?
R.4: Possono presentare ricorso al Tribunale:
- La stessa impresa/debitore insolvente (auto-fallimento). A volte l’imprenditore preferisce rivolgersi al giudice per primo, specie se vuole gestire ordinatamente l’inizio procedura.
- Uno o più creditori insoddisfatti (anche un singolo creditore è sufficiente). Basta avere un credito certo, scaduto e non pagato. Frequentemente sono fornitori, banche, dipendenti (per stipendi) o l’Erario (per tasse non pagate). Anche il creditore garantito può chiedere fallimento (non è obbligato ma può).
- Il Pubblico Ministero (Procura), in casi particolari: di solito se dall’ambito penale emergono elementi di insolvenza o se l’impresa abbandona la sede. Ad esempio, se un’indagine rivela una frode fiscale enorme e l’impresa è di fatto insolvente, il PM può chiederne il fallimento per tutelare i creditori fiscali e altri.
- Gli organi di controllo/vigilanza: novità del Codice, se esistono autorità di controllo sull’impresa (es. Commissione di vigilanza cooperative, oppure collegio sindacale interno per S.p.A.), queste possono segnalare e anche attivare l’istanza di fallimento. In pratica, è raro: di solito segnalano al PM che poi interviene.
Una volta presentato il ricorso, il Tribunale convoca l’impresa debitrice a un’udienza per accertare lo stato d’insolvenza e decidere. Se più soggetti presentano istanza, di norma le procedure si unificano in un unico giudizio.
Da notare: i soci illimitatamente responsabili non autonomamente, ma il loro fallimento deriva da quello della società (il tribunale li dichiara falliti d’ufficio contestualmente ex art. 256).
Non possono chiedere fallimento i singoli soci di società di capitali (non hanno legittimazione, devono passare dai creditori sociali), né i fornitori di un consumatore (che non è soggetto fallibile, quindi la loro istanza verrebbe rigettata).
In sintesi, l’iniziativa tipica parte dai creditori o dal debitore stesso. Il numero maggiore di fallimenti in Italia è richiesto dai creditori, soprattutto Agenzia delle Entrate Riscossione, banche e lavoratori.
D.5: Cosa succede immediatamente dopo che il Tribunale dichiara la liquidazione giudiziale?
R.5: La sentenza di apertura produce subito diversi effetti chiave:
- Vengono nominati il Curatore, il Giudice Delegato e (se del caso) i membri del Comitato dei creditori. Il curatore entra in carica (previa accettazione) e inizia a gestire l’attivo fallimentare.
- Il debitoreR.5 (continua): …Il debitore perde la disponibilità dei suoi beni – scatta il cosiddetto spossessamento. Tutto il patrimonio dell’impresa fallita (denaro, beni mobili, immobili, crediti verso terzi) viene bloccato e affidato in gestione al curatore. Il debitore non può più toccarlo né amministrarlo.
- Si apre inoltre la fase di custodia e inventario: il curatore, spesso il giorno stesso o poco dopo, si reca presso la sede aziendale per prendere possesso dei beni, apporre sigilli se necessario e redigere l’inventario dettagliato, preferibilmente con l’assistenza di un notaio. Ad esempio, i conti bancari dell’azienda vengono congelati e il curatore richiede alle banche i saldi.
- Vengono inviate le comunicazioni ufficiali: la cancelleria del tribunale trasmette un estratto della sentenza al Registro delle Imprese (pubblicità legale). I creditori noti vengono informati dal curatore (tramite PEC o raccomandata) con un avviso che indica di solito la data entro cui presentare le domande di insinuazione e la data dell’udienza per l’esame del passivo. Inoltre, la sentenza è notificata al debitore.
- Cessano tutte le azioni individuali: i creditori non possono più iniziare né proseguire pignoramenti o cause per conto proprio (questo effetto è automatico per legge). Gli eventuali procedimenti in corso vengono sospesi e saranno assorbiti nel fallimento.
- Sul piano dell’azienda: se l’attività è ancora in corso, di solito viene fermata salvo che il tribunale/autoritá giudiziaria abbia autorizzato un esercizio provvisorio per evitare danni (ad esempio mantenere attivi i macchinari per non interrompere un ciclo produttivo sensibile). In assenza di ciò, l’azienda cessa la produzione/vendita. I dipendenti non devono presentarsi al lavoro (non è un licenziamento immediato, ma il rapporto è sospeso in attesa delle decisioni del curatore).
In sintesi: appena dichiarato il fallimento, l’impresa insolvente passa sotto il controllo della procedura concorsuale. Il curatore subentra nella gestione, tutela i beni e convoca i creditori; il debitore viene spogliato dei beni e dovrà collaborare; i creditori devono attendere la procedura per soddisfarsi. È un momento di cristallizzazione: foto istantanea di patrimonio e debiti, da cui poi si sviluppa la gestione concorsuale.
D.6: Il debitore (fallito) può continuare a svolgere attività d’impresa o lavorare dopo la dichiarazione di fallimento?
R.6: Dipende. Se il debitore è una società, con il fallimento l’attività d’impresa di quella società cessa (salvo esercizio provvisorio gestito dal curatore). La società non può intraprendere nuove attività e i suoi amministratori perdono i poteri. Tuttavia, i soci o amministratori come persone fisiche possono, in generale, aprire altre imprese o svolgere lavoro, con dei limiti:
- Un imprenditore individuale fallito non può avviare un’altra impresa individuale fino alla chiusura della procedura, almeno non formalmente, perché i beni che dovesse impiegare potrebbero essere attratti al fallimento (in quanto eventuali frutti del suo lavoro, se eccedono le esigenze di mantenimento, potrebbero teoricamente essere rivendicati dai creditori, anche se su questo c’è dibattito). In pratica, nulla gli vieta di lavorare come dipendente di un’altra azienda o come collaboratore: il suo stipendio dopo il fallimento è in parte pignorabile (per crediti estranei al fallimento) ma di regola rimane a lui per vivere. Molti falliti si ricollocano professionalmente mentre la procedura è in corso.
- Se invece vuole tornare a fare l’imprenditore, conviene attendere la chiusura del fallimento e, meglio ancora, ottenere l’esdebitazione. Dopo l’esdebitazione, il soggetto è completamente libero da debiti pregressi e può avviare un nuovo business senza trascinarsi i vincoli del precedente. Nella pratica, alcuni falliti avviano di nascosto nuove imprese intestandole a familiari durante la procedura: legalmente è tollerabile solo se non sottrae opportunità alla massa fallimentare. Se, ad esempio, l’ex titolare fallito usa i macchinari del fallimento per una nuova attività non autorizzata, è illecito. Ma se semplicemente cambia settore e inizia da zero altrove, di solito non ci sono conseguenze (se non morali).
- Ci sono anche restrizioni legali: durante il fallimento, il debitore persona fisica è soggetto a incapacità personali. Ad esempio, non può assumere cariche come amministratore di società di capitali (fino all’esdebitazione o per un periodo, perché la legge o gli statuti spesso lo vietano). Non può partecipare a pubblici appalti (ci sono preclusioni per gli imprenditori falliti non riabilitati). Quindi, pur potendo lavorare, ha un’ombra sulla reputazione e su certi diritti civili finché non ottiene la liberazione dai debiti.
- Se il debitore è un socio di società di persone fallito per estensione: in quel caso è come un imprenditore individuale fallito. Può lavorare come dipendente o consulente, ma ad esempio non può aprire un’altra SNC a suo nome finché è fallito.
Riassumendo: non può continuare la stessa impresa fallita (quella è presa in mano dal curatore), ma può svolgere attività lavorativa personale. Il fallimento non è una prigione civile a vita: il suo scopo è liquidare i beni esistenti, non impedire al fallito di guadagnarsi da vivere. Anzi, se l’attività lavorativa del fallito genera redditi modesti necessari al suo mantenimento, restano al di fuori del fallimento (non possono essere toccati dai creditori). L’obiettivo del Codice è anche favorire il suo reinserimento nell’economia tramite l’esdebitazione.
D.7: Cosa accade ai contratti in corso dell’impresa dopo il fallimento? Si risolvono automaticamente?
R.7: Non sempre automaticamente. La regola generale (art. 172 C.C.I.I.) è che i contratti non completamente eseguiti da entrambe le parti restano sospesi e spetta al curatore decidere, entro breve, se subentrarvi (continuerli) oppure scioglierli. Esempi:
- Se l’impresa fallita aveva un appalto in corso (come committente o appaltatore), il curatore può scegliere di proseguirlo (spesso non conviene) o scioglierlo. Se sciolto, l’altra parte (appaltatore o committente) può chiedere danni come credito fallimentare.
- Un contratto di leasing: il curatore di solito si scioglie, restituendo il bene alla società di leasing; la società avrà un credito per la differenza (come da formula di legge).
- Un contratto di fornitura a lungo termine: ad esempio, la fallita era fornitrice esclusiva di un cliente con consegne mensili. Il curatore valuterà se ha senso rispettare le consegne (magari perché il cliente paga bene e si può fare esercizio provvisorio) o no. Se no, il contratto si risolve e il cliente dovrà cercare altrove (ed eventualmente insinuarsi per eventuali acconti versati).
Ci sono però eccezioni importanti: - I rapporti di lavoro subordinato: la legge prevede che il fallimento di per sé non li scioglie. Restano sospesi finché il curatore, con l’autorizzazione del giudice, non li risolve (licenzia i dipendenti) oppure li continua (se c’è esercizio provvisorio o cessione d’azienda in cui i dipendenti passano all’acquirente). In pratica, di solito entro poche settimane il curatore comunica i licenziamenti a tutti i dipendenti (con efficacia retroattiva alla data del fallimento, così i dipendenti maturano indennità di mancato preavviso ma non ulteriori stipendi). Da quel punto, i dipendenti diventano creditori per TFR, ultime mensilità, preavviso.
- Locazione di immobili:
- Se l’azienda fallita era conduttrice (affittuaria) di un immobile, il curatore può recedere dal contratto con preavviso di 90 giorni. Spesso lo fa subito per non accumulare affitti. Il locatore ha un credito per eventuale danno da mancato preavviso (che è concorsuale).
- Se invece la fallita era locatrice (proprietaria) di immobili dati in affitto, il contratto prosegue con il curatore che incassa gli affitti. Il curatore può però sciogliersi anche in tal caso per vendere libero l’immobile, pagando un’indennità all’inquilino (di norma 6 mesi di affitto come credito concorsuale).
- Contratti con clausola di scioglimento per fallimento: clausole contrattuali che dicono “se una parte fallisce, il contratto si risolve ipso iure” sono inefficaci (non vincolano la procedura). Quindi il fallimento non scioglie automaticamente i contratti salvo decisione del curatore. Eccezione: nei contratti pubblici la P.A. ha spesso per legge facoltà di risoluzione in caso di fallimento dell’appaltatore, e il Codice l’ha conservata (art. 186 e art. 172 ult. co. C.C.I.I.).
- Mutui e finanziamenti bancari: tecnicamente sono contratti, ma la loro natura li rende immediatamente “accelerati” dal fallimento: la banca cessa di erogare e il debito residuo va in passivo. Non serve decisione del curatore perché non c’è prestazione da continuare (il mutuo diventa solo un debito).
In pratica, quasi tutti i contratti in corso tendono a sciogliersi, perché il curatore raramente li continua (a meno che c’è convenienza economica evidente). Un esempio di subentro utile è se la fallita aveva venduto merce e il cliente deve ancora pagarla: se la consegna non è finita, il curatore può completarla in esercizio provvisorio per ottenere il pagamento dal cliente (che sarà prededucibile in quanto ricavato dall’attività di fallimento).
Riassumendo: il fallimento sospende i contratti pendenti; poi entro ~60 giorni il curatore li esamina e li risolve o li continua. Quelli risolti generano diritti di credito/danno verso il fallimento (i controparti diventano creditori concorsuali), quelli continuati vedono il curatore farsi carico delle obbligazioni residue (pagandole in prededuzione).
Alcuni contratti specifici: - Preliminare di vendita immobiliare (dove la fallita era venditrice e l’acquirente aveva pagato caparra): se il curatore scioglie, l’acquirente può solo insinuare il credito per caparra doppia o risarcimento (e se aveva trascritto il preliminare e versato almeno 30%, può chiedere di essere ammesso all’acquisto pagando il saldo, tutela speciale).
- Contratto di società: se fallisce una società di persone, i contratti sociali con i soci si sciolgono. Se fallisce un socio, la società di persone di solito si scioglie anch’essa (o almeno il rapporto col socio si scioglie).
In definitiva, il curatore ha potere discrezionale di decidere la sorte dei contratti pendenti, nell’ottica di massimizzare l’attivo o minimizzare il passivo.
D.8: Che diritti hanno i lavoratori dipendenti se l’azienda fallisce?
R.8: I lavoratori sono considerati creditori privilegiati del fallimento per le retribuzioni non pagate e il TFR. Nello specifico:
- Come detto, il rapporto di lavoro non termina automaticamente al fallimento, ma è sospeso. Il curatore, se non c’è esercizio provvisorio, di regola entro pochi giorni provvede a comunicarne la cessazione (licenziamento). Questo licenziamento nel fallimento è esente dalle procedure ordinarie (non c’è obbligo di preavviso o repêchage, data la chiusura dell’azienda). Per legge non si applicano al curatore le sanzioni per licenziamenti collettivi di cui alla normativa “anti-delocalizzazioni” del 2021 – quindi è relativamente semplificato. Se invece c’è esercizio provvisorio, i dipendenti possono continuare a lavorare temporaneamente sotto la gestione del curatore; saranno pagati per quel periodo come debiti prededucibili.
- I dipendenti maturano al momento del licenziamento: il TFR (trattamento di fine rapporto), l’indennità di mancato preavviso (siccome il licenziamento fallimentare spesso è immediato, il preavviso non lavorato è dovuto come indennità), eventuali mensilità arretrate o ratei di tredicesima, ferie non godute, ecc. Tutte queste somme diventano crediti verso il fallimento. Quasi tutti beneficiano di privilegio generale sui mobili (art. 2751-bis c.c.), che li fa pagare con precedenza rispetto ai crediti chirografari. In particolare i salari degli ultimi 12 mesi fino a un tetto (attorno a €13k) e il TFR per intero sono privilegiati.
- Molto importante: i lavoratori possono ricorrere al Fondo di Garanzia dell’INPS. Questo fondo (legge 297/82) interviene nel caso di insolvenza del datore (fallimento e procedure affini) per anticipare ai lavoratori il TFR e le ultime tre mensilità impagate (fino a certi massimali). Dopo la dichiarazione di fallimento e la loro insinuazione al passivo, i dipendenti possono presentare domanda all’INPS allegando lo stato passivo che li ammette (o una dichiarazione del curatore su crediti di lavoro). L’INPS, verificati i requisiti, paga direttamente al lavoratore quanto dovuto (nei limiti, ad es. gli ultimi 3 mesi di retribuzione entro i 12 mesi antecedenti il fallimento). Poi l’INPS si surroga nel fallimento prendendo il posto del lavoratore come creditore privilegiato. Ciò permette ai lavoratori di non attendere gli esiti spesso lunghi del fallimento per avere almeno TFR e stipendi arretrati: in genere, l’INPS eroga il dovuto entro qualche mese dalla domanda.
- I contributi previdenziali dovuti fino alla data di fallimento sono anch’essi crediti, che l’INPS iscrive nello stato passivo (privilegiati ex art. 2753 c.c.).
- Se l’azienda viene ceduta durante il fallimento (es. il curatore vende l’intera azienda o un ramo a un terzo), in linea di massima si applica l’art. 2112 c.c.: i dipendenti passano all’acquirente con conservazione di anzianità e diritti (fatti salvi casi di concordato preventivo dove si possono fare eccezioni, ma nel fallimento non c’è norma che deroghi l’art. 2112 per cessione d’azienda). Quindi, se la vendita è in blocco, i lavoratori potrebbero mantenere il posto con il nuovo datore (il curatore ovviamente li riassume quell’attimo per trasferirli). Se però l’acquirente non intende assumere tutti, in pratica spesso il curatore licenzia prima (così li liquida col Fondo di Garanzia) e l’acquirente riassume solo quelli selezionati su nuove basi contrattuali. È una prassi che cerca di bilanciare efficienza e tutele.
- I lavoratori in caso di fallimento aziendale possono anche accedere alla NASpI (disoccupazione) se hanno i requisiti. Il licenziamento fallimentare dà diritto all’indennità di disoccupazione come un licenziamento per giustificato motivo oggettivo (anzi, il curatore versa anche il “ticket licenziamento” all’INPS, che però è credito verso il fallimento).
In breve: i dipendenti sono protetti in via privilegiata come creditori e c’è l’INPS che funge da paracadute finanziario anticipando TFR e arretrati. Dunque, pur perdendo il lavoro, di solito recuperano una parte importante dei loro crediti rapidamente (entro i massimali del Fondo). Naturalmente, se il TFR o gli stipendi erano altissimi e eccedono i tetti, la differenza rimane a carico del fallimento e dipenderà dagli attivi disponibili.
D.9: Come vengono soddisfatti i creditori nel fallimento? Riceveranno l’intero credito?
R.9: Purtroppo, nella maggior parte dei casi i creditori non recuperano l’intero credito, ma solo una percentuale. L’ammontare che riceveranno dipende da quanto denaro si ricava liquidando i beni e in che ordine di priorità sono collocati i loro crediti. In sintesi:
- Prima si pagano i costi della procedura e i crediti prededucibili (ad es. compenso del curatore, spese legali del fallimento, debiti assunti dal curatore in esercizio provvisorio): questi vengono soddisfatti integralmente (se l’attivo lo consente), in via prioritaria.
- Poi i creditori con garanzie reali sui beni (pegno, ipoteca) sono soddisfatti col ricavato di quei beni, al netto delle spese. Ad esempio, se c’è un immobile ipotecato a favore di una banca, quando l’immobile è venduto la banca incasserà fino a copertura del suo credito (interessi legali compresi se il ricavato basta), e solo l’eventuale eccedenza va agli altri.
- Poi vengono i creditori privilegiati (privilegi generali sui mobili o speciali su determinati beni mobili). Hanno prelazione secondo un ordine stabilito dal codice civile: prima i lavoratori (salari), poi alcune categorie come professionisti, artigiani, Fisco e così via. Essi sono pagati sull’attivo mobiliare (e sul ricavato dei beni immobili se rimane qualcosa dopo ipoteche).
- Infine ai creditori chirografari (senza garanzie né privilegi) spetta l’eventuale residuo, proporzionalmente (in percentuale uguale per tutti).
In molti fallimenti, specie di PMI, le garanzie reali e i privilegi assorbono gran parte dell’attivo, lasciando ai chirografari percentuali basse. Ad esempio, statisticamente i chirografari spesso ricevono pochi centesimi per euro (5%, 10%… a volte zero se non resta nulla). I privilegiati di solito ricevono di più, ma non è garantito il 100%: se il patrimonio è insufficiente a pagarli integralmente, anch’essi prendono il loro pro-rata.
Esempio: attivo €100k; privilegi di grado superiore (lavoratori) €50k, successivi (Fisco) €80k, chirografari €200k. Lavoratori sarebbero pagati 100%, poi restano €50k; Fisco ha €80k ma restano €50k, dunque riceve circa 62% del suo credito; ai chirografari nulla (perché già esaurito).
Ci sono casi (rari) in cui il fallimento paga tutto e avanza soldi – in tal caso il surplus tornerebbe al debitore. Ma è eccezionale.
Quindi, no, i creditori quasi mai prendono il 100%. In procedure ben gestite e con patrimonio significativo, un creditore ipotecario può recuperare vicino al 100% (se il bene copre il debito) e i lavoratori spessissimo recuperano il 100% (tra INPS e privilegio). I fornitori e banche non garantite spesso devono accontentarsi di una percentuale.
Se la percentuale di soddisfo attesa è molto bassa, a volte i creditori preferiscono concordare un concordato fallimentare (es. accettare il 20% subito da un terzo, piuttosto che aspettare 5 anni per forse il 5%). Per questo esistono i concordati nella liquidazione, come via negoziale.
In definitiva, il fallimento è spesso sinonimo di perdite per i creditori chirografari. Lo scopo è distribuirle equamente secondo la legge. I creditori con garanzie invece possono salvarsi in buona parte.
Va ricordato che i crediti post-fallimento (prededuzioni) riducono ciò che resta per i crediti concorsuali. Quindi, se la procedura dura a lungo e consuma molte spese, i creditori concorsuali vedono scendere la percentuale. Ciò spinge il legislatore a volere procedure rapide e con costi contenuti.
D.10: Che cos’è l’esdebitazione e come si ottiene?
R.10: L’esdebitazione è l’istituto che permette al debitore persona fisica, una volta chiuso il fallimento, di essere liberato dai debiti residui non pagati nel fallimento. In altri termini, dopo l’esdebitazione i creditori chirografari non soddisfatti non possono più pretendere nulla dal debitore: egli è “pulito” e può ripartire senza quell’onere.
Per ottenerla, il debitore deve presentare un’istanza al Tribunale (lo stesso che ha curato il fallimento) entro 1 anno dalla chiusura della procedura. Il tribunale valuta se il debitore merita l’esdebitazione, controllando alcune condizioni (artt. 278-279 C.C.I.I.):
- Che il fallito abbia cooperato e non abbia ostacolato la procedura (ad esempio consegnando i documenti, fornendo informazioni veritiere).
- Che non abbia commesso reati fallimentari gravi (se c’è condanna per bancarotta fraudolenta, di regola esdebitazione negata).
- Che non abbia già beneficiato di un’esdebitazione nei 10 anni precedenti.
- Che non abbia provocato il dissesto con dolo o colpa grave (es. gestione gravemente imprudente).
Non serve che il debitore abbia pagato una certa percentuale di debiti (anche se ha pagato zero, può comunque chiedere l’esdebitazione, purché la sua insolvenza non sia frutto di mala fede).
Se il tribunale accerta questi requisiti, emette un decreto di esdebitazione. Da quel momento, tutti i crediti concorsuali rimasti (chirografari non soddisfatti, parti non pagate dei privilegiati, ecc.) diventano inesigibili verso il debitore. Il debitore rinasce economicamente: potrà anche riavviare un’attività senza quei vecchi debiti.
L’esdebitazione non riguarda però: - Eventuali garanti del fallito: se Tizio fallisce ed era garantito da Caio, Caio deve comunque pagare e poi semmai rimane creditore verso Tizio, ma dopo l’esdebitazione Caio non può più rivalersi su Tizio. Dunque i garanti restano obbligati.
- I debiti extra-concorsuali: se il fallito aveva ad esempio debiti per multe penali o alimenti, quelli non sono toccati dall’esdebitazione (non erano concorsuali).
- Eventuali danni da fatto illecito extracontrattuale e obblighi di mantenimento: la legge esclude dalla liberazione alcuni debiti “personalissimi” (es. risarcimenti per morte o lesioni, debiti per alimenti alla famiglia).
Inoltre, se emergono dopo la chiusura nuovi beni che erano occultati, l’esdebitazione può essere revocata.
Per il socio illimitatamente responsabile fallito, vale simile: egli come persona fisica può chiedere esdebitazione (liberandosi dei debiti sociali non soddisfatti).
L’esdebitazione è stata introdotta per dare al fallito onesto una seconda chance (principio del “fresh start”). Ormai è una prassi abbastanza comune: la stragrande maggioranza dei falliti persone fisiche che la chiedono la ottengono, a meno di comportamenti fraudolenti.
In conclusione, l’esdebitazione è il “perdono dei debiti” rimasti dopo il fallimento, ottenibile di solito qualche mese dopo la chiusura e che consente al debitore di ripartire senza quel fardello.
D.11: Che differenza c’è tra la liquidazione giudiziale e il concordato preventivo?
R.11: Si tratta di due procedure concorsuali diverse per finalità e momento di utilizzo:
- La liquidazione giudiziale (fallimento) interviene dopo che l’impresa è insolvente conclamata; è una procedura d’ufficio avviata su iniziativa giudiziaria (creditori, PM, debitore stesso) e ha come scopo liquidatorio puro: si chiude l’azienda, si vendono i beni e si paga il possibile ai creditori. Implica la spossessione del debitore e spesso la sua uscita dal mercato.
- Il concordato preventivo, invece, è una procedura che l’impresa chiede volontariamente prima di essere dichiarata fallita, proponendo ai creditori un accordo di ristrutturazione. Lo scopo è di evitare la liquidazione giudiziale, tramite un piano che può prevedere sia la continuazione dell’attività (concordato in continuità) sia la liquidazione dei beni ma in modo concordato (concordato liquidatorio) con eventualmente l’azienda venduta in esercizio. Il concordato è votato dai creditori e omologato dal tribunale. Durante il concordato, l’imprenditore rimane in possesso (debtor in possession), sotto la vigilanza di un commissario giudiziale.
In parole semplici: il concordato preventivo è uno strumento di composizione della crisi, scelto dal debitore, che punta a salvare l’impresa (o parte di essa) attraverso un accordo (es. pagamento parziale dei debiti, dilazione, ecc.) evitando gli effetti traumatici del fallimento. La liquidazione giudiziale è l’extrema ratio quando o non si è tentato o non è riuscito alcun accordo e si deve procedere alla chiusura e liquidazione.
Un esempio: un’impresa con difficoltà ma ancora prospettive potrebbe presentare un concordato offrendo ai creditori il 40% dei crediti in 5 anni, con la garanzia di proseguire l’attività e generare utili per pagarli. Se i creditori accettano, l’impresa continua e il fallimento è scongiurato. Se l’impresa non fa nulla o il piano fallisce (creditori lo bocciano, o salta l’omologazione), allora il tribunale dichiara la liquidazione giudiziale e l’impresa viene disgregata.
Tecnicamente, il concordato preventivo comporta la sospensione delle azioni esecutive (protezione simile al fallimento) ma l’imprenditore rimane alla guida fino all’omologa. Nel fallimento invece l’imprenditore perde la guida subito.
In sintesi, il concordato preventivo è un’alternativa al fallimento cercata dal debitore per pagare i creditori almeno in parte e conservare l’azienda (quando possibile), mentre la liquidazione giudiziale è la procedura imposta/necessaria quando non c’è soluzione concordata, e porta alla fine dell’attività e alla liquidazione del patrimonio sotto controllo del tribunale. Idealmente, un imprenditore preferirebbe riuscire a chiudere la crisi in concordato (meno stigma, più controllo, eventuale salvaguardia azienda) piuttosto che subire il fallimento.
D.12: Il fallimento punisce gli amministratori? Possono avere conseguenze personali (penali o patrimoniali)?
R.12: Il fallimento di per sé non è un reato né una “pena” per gli amministratori, ma comporta certamente possibili conseguenze personali:
- Sul piano patrimoniale/civile: se gli amministratori (o i liquidatori, sindaci, direttori generali) hanno commesso irregolarità nella gestione che hanno causato danno ai creditori o all’azienda (ad esempio, hanno continuato ad accumulare debiti quando avrebbero dovuto fermare l’attività, o hanno distratto denaro a loro favore, o violato doveri di conservazione del patrimonio), il curatore può promuovere l’azione di responsabilità contro di loro. Questa è una causa civile in cui si chiede agli ex amministratori di risarcire il “deficit” creato. Tipicamente si basa sull’art. 2486 c.c. (gestione oltre perdita capitale) e art. 2394 c.c. (danno ai creditori sociali). Se la causa ha esito positivo, gli amministratori dovranno pagare di tasca propria i danni, che entrano nell’attivo fallimentare per pagare i creditori. Esempio: se il curatore dimostra che, a causa di una gestione gravemente imprudente negli ultimi due anni (continuare a fare debiti per un progetto impossibile), il patrimonio si è ridotto di 1 milione, il tribunale potrebbe condannare l’amministratore a risarcire quell’importo. L’art. 378 C.C.I.I. ha chiarito criteri di calcolo del danno da gestione tardiva, spesso basato sull’aggravamento del passivo dopo il momento in cui si sarebbe dovuto cessare l’attività.
- Sul piano penale: la legge punisce con reati di bancarotta certi comportamenti fraudolenti o gravemente scorretti commessi dall’imprenditore/amministratore prima o durante il fallimento. In particolare:
- Bancarotta fraudolenta patrimoniale: se l’amministratore ha distratto, occultato, dissipato o sottratto beni dell’azienda prima del fallimento (es. vende macchinari a prezzo stracciato a un prestanome, si intesta suocera un immobile della società, porta via la cassa), o anche durante (se collabora per frodare i creditori), commette reato (art. 216 L.F. che è tuttora vigente come norma penale). È molto grave e prevede pene detentive pesanti (fino a 10-16 anni in casi gravissimi).
- Bancarotta fraudolenta documentale: se ha falsificato o distrutto le scritture contabili per ostacolare la ricostruzione del patrimonio e movimenti.
- Bancarotta semplice: condotta meno dolosa come aver aggravato per colpa il dissesto (es. ha fatto spese personali sproporzionate o non ha tenuto la contabilità regolare). Meno grave (pene minori, fino a 2 anni).
- Altri reati correlati: preferenze fraudolente (pagamenti preferenziali fatti scientemente poco prima del fallimento ad alcuni creditori a danno di altri con accordo collusivo con quei creditori), ricorso abusivo al credito (aver continuato a indebitarsi sapendo di non poter restituire).
Quindi, se l’amministratore ha commesso frodi, il fallimento spesso porta alla luce queste condotte (il curatore e il giudice delegato trasmettono la relazione al PM evidenziando eventuali anomalie). Il PM può indagare e l’amministratore può essere rinviato a giudizio e condannato. Le condanne per bancarotta fraudolenta comportano anche interdizioni (non potrà amministrare altre società per 10 anni, etc.) e ovviamente pena detentiva.
Se invece l’amministratore ha agito correttamente ma semplicemente l’azienda è andata male per ragioni di mercato, non subisce sanzioni penali. Il fallimento non comporta automaticamente reato: serve la condotta fraudolenta o gravemente colposa. Molti fallimenti non generano processi penali, se la gestione è stata onesta anche se sfortunata.
- Inoltre, il fallimento per un amministratore comporta spesso un danno reputazionale e la necessità di riabilitazione: come detto, finché non c’è esdebitazione, quell’amministratore non può partecipare a nuove società in ruoli ufficiali (anche perché le banche e partner starebbero diffidenti).
In sintesi: gli amministratori possono essere chiamati a rispondere civilmente con il loro patrimonio (azione di responsabilità) e/o penalmente (bancarotta). Se però hanno operato senza malafede, non dovranno affrontare il penale; e civilmente, la semplice cattiva gestione non sempre porta condanna, bisogna provare il nesso di causalità col danno. Comunque, la prospettiva di queste azioni fa sì che amministrare in crisi sia delicato: per questo è bene attivare tempestivamente concordati o allerta, perché un fallimento tardivo aumenta rischi di accuse di aver aggravato il dissesto.
D.13: Quanto può durare una liquidazione giudiziale?
R.13: La durata varia molto a seconda della complessità. Secondo statistiche prima della riforma, un fallimento di medie dimensioni in Italia durava in media 5-7 anni dalla dichiarazione alla chiusura. Alcuni casi più semplici (pochi beni, pochi creditori) possono chiudersi in 2-3 anni o meno; viceversa casi complessi (molti beni immobili, contenziosi legali in corso) possono prolungarsi 10 anni o oltre.
Il Codice della Crisi cerca di rendere le procedure più rapide e efficienti, ad esempio:
- Obbliga a predisporre il programma di liquidazione in pochi mesi.
- Incoraggia vendite telematiche più veloci.
- Permette al giudice delegato di sollecitare il curatore se è lento.
- Prevede la chiusura anticipata se non c’è attivo sufficiente.
Non c’è però un termine perentorio massimo di durata nel Codice (se non per procedure di sovraindebitamento minori, non per il fallimento classico). Quindi dipende molto dall’attivo: un fallimento con un unico immobile può chiudere in 2-3 anni (tempo di vendere e distribuire), uno con decine di immobili e cause legali può richiedere più tempo.
Esempi: - Se non ci sono beni (fallimento “nulla tenente”), il tribunale può chiudere subito o entro un anno per insufficienza attivo.
- Se c’è un’azienda in esercizio provvisorio, la procedura potrebbe tenersi aperta finché non si vende l’azienda, diciamo 1 anno di esercizio + 1 anno per incassare crediti e distribuire.
- Se ci sono cause di revocatoria o risarcitorie contro ex amministratori, la procedura resterà aperta finché quelle cause (che possono durare anni in vari gradi di giudizio) si concludono, perché potrebbero portare attivo. A volte il tribunale chiude il fallimento e trasferisce l’azione ai creditori (ma di solito la tiene aperta se la causa ha buone chance).
Dunque, non c’è una risposta univoca: può durare da 1-2 anni (raro) a oltre 10 (estremo), direi che la maggior parte sta sui 4-6 anni. Il debitore persona fisica può chiedere esdebitazione dopo la chiusura, quindi se il fallimento dura molti anni è un periodo lungo in cui i debiti restano “sospesi” ma lui non è liberato.
Il legislatore vuole ridurre i tempi medi, ma la realtà dipenderà dall’ingorgo nei tribunali e dalla bravura/fortuna nel vendere i beni. Vale notare che le nuove norme (D.lgs. 83/2022) incoraggiano chiusure parziali anche se azioni legali pendono: cioè il tribunale potrebbe chiudere il fallimento e lasciare in piedi solo l’azione di responsabilità, con nomina di un curatore ad hoc per quella, senza tenere aperto l’intero fallimento (questo è possibile già ora in parte). Se usata, questa tecnica potrà ridurre la durata formale del fallimento principale.
D.14: Che cos’è una “azione revocatoria fallimentare”?
R.14: È un’azione legale che il curatore esercita per far dichiarare inefficaci rispetto al fallimento alcuni atti che il debitore ha compiuto prima del fallimento e che hanno pregiudicato la par condicio creditorum. In pratica, serve a recuperare beni o somme usciti dal patrimonio prima del fallimento, o annullare pagamenti preferenziali fatti a ridosso del fallimento.
Ci sono due tipi:
- Revocatoria ordinaria fallimentare (art. 165 C.C.I.I.): se il debitore prima del fallimento ha compiuto atti a titolo oneroso con dolo civile di recare pregiudizio ai creditori (criterio dell’art. 2901 c.c.), il curatore può chiederne l’inefficacia. Esempio: 1 anno prima del fallimento l’imprenditore ha venduto la villa di sua proprietà a suo fratello a prezzo dimezzato: il curatore può revocare quell’atto (dimostrando che c’era consapevolezza di danneggiare i creditori). Se vince, la villa rientra nella massa (o il fratello deve integrare il prezzo). Questa segue regole analoghe alla revocatoria ordinaria normale, con dolo soggettivo da provare.
- Revocatoria fallimentare specifica (art. 166 C.C.I.I., ex art. 67 L.F.): elenca atti che presuntivamente sono pregiudizievoli se compiuti in un certo periodo prima del fallimento:
- Atti a titolo gratuito fatti nei 2 anni prima (donazioni, remissioni di debito).
- Pagamenti di debiti non ancora scaduti eseguiti entro 6 mesi prima (se un debitore paga anticipatamente un fornitore, preferendolo rispetto agli altri).
- Atti a titolo oneroso compiuti nell’anno prima in cui il corrispettivo a carico del fallito eccede di oltre 1/4 quanto da lui ricevuto (attivi “squilibrati”).
- Pagamenti di debiti scaduti e esigibili fatti nell’ultimo 6 mesi prima, ma solo se il creditore sapeva dello stato d’insolvenza del debitore (la norma, art. 166, li considera revocabili salvo prova contraria del creditore di non conoscere l’insolvenza).
- Costituzione di garanzie (pegni, ipoteche) per debiti preesistenti nell’ultimo 6 mesi (12 mesi se a favore di crediti verso soci o parti correlate, col diverso regime).
Alcune operazioni, pur compiute in quei termini, sono esenti per legge dalla revocatoria: es. pagamenti di beni e servizi effettuati in modo normale ai loro vencimenti; atti a titolo oneroso di valore modesto; atti compiuti in attuazione di un concordato preventivo, di accordi di ristrutturazione omologati, ecc. (per evitare conflitti con procedure concorsuali minori).
Quindi, la revocatoria fallimentare consente al curatore di far rientrare nel patrimonio fallimentare ciò che era uscito in tempi sospetti prima dell’insolvenza, ripristinando l’equità tra creditori. Esempio classico: l’imprenditore in crisi 4 mesi prima di fallire paga integralmente solo un fornitore “amico” lasciando gli altri impagati: il curatore può revocare quel pagamento (se il creditore amico conosceva lo stato di difficoltà), costringendo il fornitore a restituire i soldi al fallimento (diventando creditore concorsuale di nuovo).
I termini temporali nella C.C.I.I. si contano di norma a ritroso dalla data di presentazione dell’istanza di fallimento, non dalla sentenza, per evitare differenze (così se un creditore deposita istanza e poi passa un anno prima della sentenza, i termini non si allungano a dismisura). Ad es., pagamenti fatti 5 mesi prima della domanda di fallimento, anche se 12 mesi prima della sentenza, rientrano in 6 mesi ante domanda e quindi revocabili.
Queste azioni devono essere esercitate dal curatore entro 3 anni dal fallimento (termine di decadenza processuale, art. 169 C.C.I.I.) e vanno fatte valere davanti al tribunale con un giudizio ordinario.
In pratica, la revocatoria serve ai creditori come strumento di giustizia: evita che chi ha ricevuto pagamenti preferenziali o regali immediatamente prima del fallimento si avvantaggi indebitamente. Tutto quel che è recuperato con revocatoria (beni, denaro) torna nella massa attiva e sarà distribuito equamente.
Per i creditori e terzi coinvolti, significa che devono restituire quanto ottenuto e riprendere il loro posto in graduatoria. L’idea non è punire, ma pareggiare il trattamento. Ad esempio, se ho ottenuto il pagamento integrale dal debitore 3 mesi prima che fallisse mentre altri no, dopo revocatoria io restituisco quei soldi al curatore e ridivento creditore anch’io (magari prendendo poi la percentuale uguale agli altri).
Quindi, in sintesi, la revocatoria fallimentare annulla o rende inefficaci certi atti pre-fallimentari compiuti in vicinanza del dissesto, per riportare risorse ai creditori.
D.15: Cosa succede se dopo la chiusura del fallimento si scopre che il debitore aveva altri beni nascosti?
R.15: Se emergono nuovi beni o crediti rilevanti che appartenevano al fallito e non erano stati considerati, c’è la possibilità di riaprire la procedura. L’art. 237 C.C.I.I. (ex art. 121 L.F.) prevede la riapertura della liquidazione giudiziale su istanza di un creditore o del debitore, se si rinviene attivo tale da consentire un soddisfacimento apprezzabile dei creditori (almeno il 10% suppletivo). Ad esempio, finisce il fallimento con 0 per i chirografari, ma un anno dopo si scopre un conto in Svizzera intestato al fallito con €100.000: il tribunale può riaprire il fallimento per acquisire e distribuire quel denaro ai creditori.
Ci sono però dei limiti:
- Limite temporale: la riapertura può essere chiesta entro 5 anni dalla chiusura. Dopo 5 anni, anche se si trovasse un tesoro, i creditori non possono più chiederne la revoca, perché si ritiene consolidata la situazione (i creditori hanno archiviato la pratica e il debitore esdebitato deve poter avere pace).
- Se i beni scoperti sono modesti o non cambierebbero significativamente gli esiti, il tribunale può decidere di non riaprire, magari assegnando quei beni al debitore (specie se l’aveva ottenuta l’esdebitazione).
In caso di riapertura, il tribunale nomina un nuovo curatore (o può rinominare il precedente) e si rifanno le operazioni limitatamente al nuovo attivo. Non si ridiscute lo stato passivo già formato in precedenza: quello resta com’era. Si incassa il nuovo bene e si effettua un riparto supplementare tra i creditori originari. Finito ciò, si richiude la procedura. Il debitore, se era esdebitato, quell’esdebitazione è sospesa (per i nuovi attivi, i crediti rivivono su quelle risorse, ma se i creditori vengono pagati anche parzialmente, non rivivono oltre).
Se invece i beni emergono quando il fallimento è ancora aperto, semplicemente il curatore li acquisisce e li liquida prima di chiudere. La riapertura serve solo a post-chiusura.
In conclusione, se il fallito aveva beni nascosti e si scoprono in tempo, tornano ai creditori; se si scoprono tardissimo, dopo 5 anni dalla chiusura, ormai il debitore se li tiene (salvo responsabilità penali o risarcitorie personali). Questo per bilanciare l’interesse dei creditori a recuperare con l’esigenza di certezza e stabilità dopo un certo periodo.
Fonti Utilizzate
- Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.lgs. 14/2019) – Articoli rilevanti: art. 2 (definizioni di insolvenza e impresa minore); art. 37 (legittimazione a chiedere la procedura); art. 54-55 (misure cautelari e protettive); art. 121 (presupposti soggettivi e oggettivi della liquidazione giudiziale); art. 152-154 (effetti sui crediti e interessi); art. 164-169 (azioni revocatorie); art. 172-175 (contratti pendenti); art. 177-186 (casi particolari di contratti: locazione, leasing, appalto); art. 189 (rapporti di lavoro subordinato, testo novellato dal D.lgs. 136/2024); art. 211 (esercizio d’impresa del debitore); art. 213-216 (modalità liquidazione beni, aste telematiche); art. 223-235 (chiusura procedura e casi di chiusura anticipata); art. 237 (riapertura della liquidazione entro 5 anni); art. 240-251 (concordato nella liquidazione giudiziale, proposte concorrenti, cram-down fiscale); art. 256-257 (fallimento società di persone e soci illimitatamente responsabili); artt. 278-283 (esdebitazione del debitore, effetti liberatori).
(Normativa aggiornata con D.lgs. 83/2022 di attuazione Direttiva Insolvency e D.lgs. 136/2024 – modifiche su start-up innovative fallibili, nuovo art. 189 C.C.I.I. sui lavoratori.) - Vecchia Legge Fallimentare (R.D. 267/1942) – Articoli citati per confronto: art. 1 (chi era soggetto a fallimento); art. 5 (stato d’insolvenza definizione, ora trasposta nell’art. 2 C.C.I.I.); art. 15 (soglia 30.000 € per fallibilità, introdotta con DL 179/2012); art. 49 (obblighi del fallito: interrogatorio, restrizioni di movimento – normativa desueta); art. 51 (divieto azioni esecutive individuali); art. 64 (atti a titolo gratuito revocabili); art. 67 (revocatoria fallimentare, ora art. 166 C.C.I.I.); art. 72-83 (disciplina contratti pendenti nel fallimento: regola generale e casi specifici su preliminari, leasing, ecc.); art. 80 (locazione immobili); art. 104-104ter (esercizio provvisorio e programma di liquidazione); art. 118 (cause di chiusura del fallimento) – riprese in C.C.I.I.; art. 142-144 (esdebitazione introdotta nel 2006); art. 147 (estensione fallimento soci illimitati); art. 216-217 (reati di bancarotta fraudolenta e semplice, normative penali non abrogate).
(Questi riferimenti storici sono stati confrontati con la nuova disciplina: es. sostituzione del termine fallimento con liquidazione, conservazione di istituti come revocatoria, ecc.) - Giurisprudenza di legittimità (Corte di Cassazione):
- Cass. civ. Sez. I, 19 gennaio 2023 n. 1080: conferma non fallibilità di una società agricola che aveva cessato attività commerciale (principio: l’esenzione fallimentare per imprenditore agricolo rimane se l’oggetto era esclusivamente agricolo).
- Cass. civ. Sez. I, 28 novembre 2023 n. 32977: ribadisce criteri di fallibilità impresa agricola e onere probatorio sulla natura prevalente dell’attività esercitata (se commerciale, fallibile).
- Cass. civ. Sez. I, 29 dicembre 2023 n. 38167: (massima su fallimento società di persone) afferma che il fallimento della società di persone non determina lo scioglimento automatico del vincolo sociale tra soci superstiti, i quali possono decidere di proseguire l’attività residua – principio rilevante per coordinate con art. 256 C.C.I.I..
- Cass. civ. Sez. VI, ord. 27 luglio 2023 n. 22761: (in materia di spese di giustizia) ha precisato che la liquidazione giudiziale di una parte soccombente non impedisce la distrazione delle spese in favore del difensore di controparte (questione processuale).
- Cass. civ. Sez. I, 27 giugno 2023 n. 18310: ha stabilito che non è ammissibile differire la dichiarazione di fallimento per concedere al debitore tempo di aderire a una “definizione agevolata” fiscale (rottamazione cartelle). Cioè, il tribunale non deve attendere l’esito di trattative extraconcorsuali tardive se l’insolvenza è attuale.
- Cass. civ. Sez. I, 2022 n. 1236: (non citata sopra, ma nota) ha chiarito l’applicazione retroattiva delle norme sull’esdebitazione ai fallimenti pendenti e che la buona fede richiesta è l’assenza di comportamenti dolosi o gravemente colposi (principio ripreso nel Codice).
- Cass. pen. Sez. V, 15 aprile 2021 n. 14035: (sul reato di bancarotta preferenziale) conferma che il pagamento preferenziale in prossimità del fallimento integra il reato se c’è consapevolezza dello stato d’insolvenza e volontà di favorire quel creditore. Rilevante per amministratori che decidono chi pagare prima del fallimento.
- Cass. pen. SS.UU., 27 maggio 2010 n. 19601 (sez. unite): definisce che l’azione di responsabilità contro amministratori promossa dal curatore (art. 146 L.F., ora 255 C.C.I.I.) può essere esercitata entro la chiusura del fallimento e anche successivamente in caso di riapertura, e sul criterio di quantificazione del danno (introduzione formula patrimonio netto differenziale, poi codificata).
Liquidazione Giudiziale: Perché Affidarti a Studio Monardo
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Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo
🔹 Avvocato esperto in crisi d’impresa e diritto fallimentare
🔹 Gestore della Crisi da Sovraindebitamento, iscritto presso il Ministero della Giustizia
🔹 Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa, abilitato ex D.L. 118/2021
🔹 Fiduciario OCC – Organismo di Composizione della Crisi
🔹 Coordinatore nazionale di consulenti specializzati in diritto societario, bancario e tributario
Perché agire subito
⏳ Dopo la dichiarazione di liquidazione giudiziale, non potrai più gestire direttamente i beni e l’impresa
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Conclusione
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Affidarsi all’Avvocato Giuseppe Monardo significa affrontare questa fase con competenza, protezione legale e strategie concrete per difendersi o ripartire.
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