Finanziamento SACE SupportItalia Non Pagato: Rischi e Come Difendersi Con L’Avvocato

Hai ottenuto un finanziamento garantito da SACE con lo strumento SupportItalia ma ora non riesci più a restituirlo?

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in debiti da finanziamenti garantiti dallo Stato e tutela delle imprese in crisi – è pensata per aiutarti a comprendere i tuoi diritti e come intervenire prima che sia troppo tardi.

Scopri cosa succede se non paghi un finanziamento SACE SupportItalia, quali sono i rischi per te e per la tua azienda, come funziona l’escussione della garanzia pubblica, e quali soluzioni legali puoi attivare per evitare il recupero forzoso.

Alla fine della guida troverai tutti i contatti per richiedere una consulenza riservata, esaminare la tua posizione con un avvocato esperto e valutare una strategia su misura per proteggere la tua impresa e il tuo patrimonio.

Finanziamento SACE SupportItalia Non Pagato: Rischi e Come Difendersi Con Studio Monardo

Introduzione

Il finanziamento SACE “SupportItalia” è stato uno strumento straordinario messo in campo per sostenere la liquidità delle imprese italiane colpite dalle conseguenze economiche della pandemia prima e della crisi russo-ucraina poi. Grazie a questo programma, le banche hanno erogato prestiti garantiti dallo Stato (per il tramite di SACE S.p.A.) a condizioni agevolate e con importi significativi, allo scopo di aiutare imprenditori e PMI ad affrontare cali di fatturato, rincari energetici e altre difficoltà contingenti.

Tuttavia, può accadere che un’azienda beneficiaria di tali finanziamenti si trovi in difficoltà nel rimborsarli. Cosa succede se il finanziamento SupportItalia non viene pagato? Quali rischi legali e patrimoniali corre l’imprenditore e come può difendersi con l’aiuto di un avvocato? Questa guida giuridica completa – aggiornata ad aprile 2025 – intende rispondere a queste domande in modo approfondito e operativo.

Destinatari della guida: imprenditori individuali, amministratori di PMI e professionisti che si trovano ad affrontare problematiche di insolvenza legate a un prestito garantito SACE SupportItalia. Il taglio sarà pratico ma con dettagli legali fondamentali, per capire sia i rischi concreti (segnalazioni nei sistemi creditizi, escussione della garanzia, azioni legali e pignoramenti, possibili revoche di aiuti pubblici) sia le strategie di difesa (rinegoziazione, strumenti di composizione della crisi, opposizioni giudiziali) da adottare con il supporto di un legale.

Nel prosieguo esamineremo dapprima come funziona il finanziamento SACE SupportItalia e quali obblighi comporta; poi analizzeremo le conseguenze del mancato pagamento; successivamente illustreremo le possibili difese legali e modelli di atti (lettere, istanze, opposizioni) utili per tutelarsi; presenteremo anche alcune simulazioni di casi pratici per contestualizzare le soluzioni; infine forniremo consigli per collaborare al meglio con il proprio avvocato in queste situazioni complesse.

Nota: Questa guida tiene conto della normativa e della giurisprudenza aggiornate al 2024-2025, con riferimenti puntuali a leggi e sentenze rilevanti. In calce, è presente una sezione con l’elenco completo delle fonti normative e giurisprudenziali citate, per approfondimenti.

Cos’è il finanziamento SACE SupportItalia e come funziona

Origine normativa e finalità del programma SupportItalia

Il finanziamento SupportItalia è un tipo di prestito bancario assistito da garanzia statale SACE, introdotto dal Decreto Aiuti (Decreto-Legge 17 maggio 2022, n. 50, art. 15) convertito con modifiche dalla Legge 15 luglio 2022, n. 91. Questa misura nasce nell’ambito del quadro temporaneo di crisi approvato dall’Unione Europea a seguito dell’aggressione russa in Ucraina, con l’obiettivo di supportare la liquidità delle imprese colpite dal conflitto e dal conseguente shock economico. In pratica, dopo l’esperienza della garanzia “Garanzia Italia” utilizzata durante la pandemia, lo Stato ha autorizzato SACE a concedere una nuova garanzia chiamata appunto Garanzia SupportItalia (operativa dal luglio 2022) per favorire l’erogazione di credito alle aziende in difficoltà.

Le finalità del finanziamento SupportItalia sono principalmente due:

  • Fornire liquidità immediata alle imprese che hanno subito contraccolpi economici (es. calo di domanda, aumento eccezionale dei costi) a causa della crisi internazionale.
  • Sostenere investimenti aziendali per la ripresa, purché destinati all’attività produttiva in Italia.

In entrambi i casi, l’intervento mira a preservare la continuità operativa delle imprese italiane strategiche e dell’intero tessuto di PMI, trasferendo in parte il rischio di credito sullo Stato. Infatti, SACE S.p.A. – società controllata dal MEF – garantisce al finanziatore (banca o intermediario) una percentuale rilevante del prestito erogato. Ciò incoraggia le banche a concedere finanziamenti anche in una fase di incertezza, grazie alla copertura pubblica del rischio di insolvenza.

Il programma SupportItalia è stato a tempo determinato: le domande di garanzia erano presentabili fino al 31 dicembre 2023. Dal 1° gennaio 2024 non sono più ammesse nuove richieste in ambito SupportItalia, poiché la misura è scaduta ed è stata sostituita da altre iniziative (come le garanzie “a mercato” introdotte nella Legge di Bilancio 2024). Ciò significa che oggi non si possono ottenere nuovi finanziamenti SupportItalia, ma restano ovviamente attivi e da rimborsare tutti quelli concessi entro il 2023. Questa guida si concentra dunque sulla gestione dei prestiti SupportItalia in essere e su cosa accade in caso di loro inadempimento.

Requisiti di accesso e condizioni principali

Uno dei punti di forza di SupportItalia è stata l’ampia platea di imprese beneficiarie. Potevano accedere alla garanzia SACE SupportItalia tutte le imprese che esercitano attività economica, di qualsiasi dimensione, settore e forma giuridica, incluse quindi PMI, Mid-Cap e grandi aziende. Ciò ha rappresentato un’estensione rispetto ad altre misure (come il Fondo PMI gestito da MCC), rendendo SupportItalia uno strumento trasversale.

Tuttavia, erano previsti specifici requisiti per poterne usufruire:

  • Difficoltà legate alla crisi Ucraina: l’impresa doveva dimostrare di aver subito un calo della domanda/produzione o una limitazione produttiva come conseguenza diretta del conflitto tra Russia e Ucraina. Ad esempio, contrazione di ordini, aumento straordinario dei costi energetici, interruzione di forniture, ecc.
  • Non essere in stato di difficoltà al 31 gennaio 2022: il beneficiario non poteva già trovarsi in situazione di dissesto o insolvenza prima della crisi (secondo la definizione europea di “impresa in difficoltà”). Questo per rispettare la normativa UE sugli aiuti di Stato, che vieta di sostenere aziende già decotte prima dell’emergenza. In pratica, bisognava avere bilanci pre-crisi “sani” o comunque non essere in procedura concorsuale.
  • Localizzazione in Italia: i finanziamenti dovevano essere destinati a costi e attività riferiti a stabilimenti produttivi o attività imprenditoriali sul territorio nazionale. Era inoltre richiesto l’impegno a mantenere in Italia la parte sostanziale della produzione finanziata, evitando delocalizzazioni almeno per la durata del finanziamento.
  • Uso vincolato dei fondi: le somme erogate dovevano essere utilizzate per esigenze specifiche e consentite dalla legge. In particolare, erano ammesse spese per costi del personale, canoni di locazione o affitto di ramo d’azienda, investimenti produttivi (escluse acquisizioni di partecipazioni), capitale circolante e, per le imprese energetiche, garanzie su operazioni di trading di energia. Era dunque vietato usare il prestito per finalità estranee all’attività italiana dell’impresa (ad es. investimenti speculativi, distribuzione di dividendi, acquisto di quote di altre società, ecc.). L’impresa doveva rispettare questa destinazione e potrebbe essere soggetta a verifiche in merito.

Inoltre, va ricordato che l’impresa richiedente doveva essere in regola sul piano amministrativo e contributivo (DURC, normativa antimafia, ecc.) e non avere esposizioni classificate come “sofferenze” in Centrale Rischi al momento della domanda. Vi era anche un modulo di dichiarazioni da compilare (ex Allegato 4) in cui l’azienda attestava il rispetto di tutti i requisiti (tra cui l’impegno a non trovarsi in procedure concorsuali e a destinare il finanziamento agli scopi previsti). Dichiarazioni mendaci o uso improprio delle risorse potevano comportare la decadenza dall’agevolazione e altre conseguenze di cui diremo (revoca della garanzia, ecc.).

Importo finanziabile e durata del prestito

Il finanziamento SupportItalia è progettato su misura delle esigenze di liquidità immediate, ma con un orizzonte di rimborso di medio termine. Le sue caratteristiche finanziarie principali sono:

  • Importo massimo erogabile: l’ammontare del prestito garantito non può superare il maggiore tra: (a) il 15% del fatturato annuo totale medio dell’impresa negli ultimi 3 esercizi conclusi; (b) il 50% dei costi sostenuti per fonti energetiche nei 12 mesi precedenti la richiesta. In altri termini, l’azienda poteva ottenere un importo pari a circa 1-2 mesi di fatturato medio, oppure metà delle spese energetiche annuali. Ad esempio, un’impresa con ricavi medi di €10 milioni annui può ottenere fino a €1,5 milioni; se la stessa ha speso €4 milioni in energia nell’ultimo anno, il 50% è €2 milioni, dunque prevale quest’ultimo tetto. Eccezione: per le imprese energivore con stabilimenti di interesse strategico nazionale (definite dall’art. 10, c.1, D.L. 21/2022), il limite poteva essere elevato fino al fabbisogno di liquidità per 12 mesi (PMI) o 6 mesi (grandi), comunque non oltre €25 milioni.
  • Durata del finanziamento: fino a un massimo di 8 anni (96 mesi), includendo un eventuale periodo di preammortamento iniziale (ossia mesi in cui si pagano solo interessi, senza quota capitale) fino a 36 mesi. In pratica, un’impresa poteva anche non restituire capitale per i primi 2-3 anni e poi ammortizzare il debito nei restanti anni. Le rate potevano avere cadenza mensile, trimestrale, semestrale o annuale. Inizialmente la durata massima era 6 anni, ma il Decreto Aiuti-quater (D.L. 176/2022) ha consentito di estenderla ad 8 anni anche per finanziamenti SupportItalia già concessi (con contestuale estensione della garanzia).
  • Forma tecnica: il prestito poteva essere rateale (con piano di ammortamento “francese” a rata costante o “italiano” a quota capitale costante) oppure a breve termine (ad es. linee di credito a revoca, finanziamenti per anticipo fatture, factoring pro-solvendo, purché con scadenza certa). In ogni caso, doveva trattarsi di nuove linee di credito concesse dopo l’entrata in vigore della norma (non copertura di esposizioni pregresse, se non nei limiti di operazioni di rifinanziamento consentite).
  • Tasso di interesse: determinato dalla banca in base alle condizioni di mercato, al merito di credito dell’impresa e tenendo conto della presenza della garanzia pubblica. Non vi era un tasso agevolato imposto per legge, ma la garanzia SACE riducendo il rischio poteva favorire tassi più contenuti rispetto a un prestito non garantito. Dalle offerte pratiche, si sono visti tassi variabili indicizzati (es. Euribor + spread) spesso compresi tra il 2% e il 6% iniziale, anche se nel 2023 con la salita dei tassi alcuni prestiti hanno registrato TAEG elevati (ad es. in un caso simulato, TAEG 17,61% su 5 anni con spread 9% ed Euribor 3M). Questi livelli dipendono dal periodo di erogazione e dalle condizioni del mercato creditizio. È importante verificare nel contratto il tasso di mora applicabile in caso di ritardo nei pagamenti, spesso qualche punto percentuale aggiuntivo rispetto al tasso ordinario.
  • Importo minimo/massimo: solitamente, l’importo minimo era di €100.000 o €250.000 (per ragioni di sostenibilità dei costi) e l’importo massimo assoluto per singola impresa poteva arrivare a €5-6 milioni per PMI e mid-cap, fino a €50 milioni o più per grandi imprese entro i limiti relativi indicati prima (25% fatturato o 50% costi energetici) e nel rispetto dei massimali di aiuto imposti dall’UE. Alcune banche indicavano ad esempio una forchetta da €250.000 fino a €5.000.000 per PMI, ma i valori variavano in base alla banca e alla tipologia di operazione (anche oltre per esigenze particolari autorizzate).

In sintesi, i finanziamenti SupportItalia erano di entità significativa rispetto al fatturato, con ammortamenti dilazionati e flessibili, proprio per dare respiro alle casse aziendali nel breve termine e consentire la ripresa su un periodo più lungo.

La garanzia statale SACE: copertura e costi

L’elemento chiave di questi prestiti è la Garanzia SACE SupportItalia, che copre una parte preponderante del credito concesso. Si tratta di una garanzia a prima richiesta, esplicita, irrevocabile e contro-garantita dallo Stato italiano. Vediamo i dettagli:

  • Percentuale di copertura: la garanzia copre tra il 70% e il 90% dell’importo finanziato, a seconda della dimensione dell’impresa beneficiaria. In particolare, per i finanziamenti erogati:
    • 90% dell’importo per imprese con ≤5.000 dipendenti in Italia e fatturato ≤€1,5 miliardi (verificati alla data di richiesta). La stragrande maggioranza delle PMI rientra in questa categoria, ottenendo quindi garanzia al 90%. Anche le imprese energivore con stabilimenti strategici avevano diritto comunque al 90%.
    • 80% dell’importo per imprese con fatturato >€1,5 mld e ≤5 mld oppure con oltre 5.000 dipendenti (grandi aziende).
    • 70% dell’importo per imprese con fatturato >€5 mld (colossi industriali).
    Esempio: un’azienda media con 200 dipendenti e €50 milioni di fatturato ottiene un prestito da €5 milioni garantito al 90% da SACE. La banca quindi ha la sicurezza di poter recuperare fino a €4,5 milioni dallo Stato in caso di insolvenza dell’impresa, restando esposta solo per il 10%. Una grande impresa con 6000 dipendenti e €2 miliardi di fatturato, invece, avrà garanzia all’80%, quindi su €5 milioni di prestito la copertura statale è €4 milioni e la banca trattiene un rischio di €1 milione. La copertura è concessa in concorso paritetico e proporzionale tra SACE e banca. Ciò significa che, in caso di inadempimento, SACE risponde della sua quota percentuale e la banca sopporta il resto. Entrambi poi agiranno verso il debitore per il recupero delle rispettive quote di credito (come vedremo dettagliatamente più avanti). In ogni caso SACE non copre mai il 100% del finanziamento: una frazione di rischio deve rimanere a carico del finanziatore, per evitare azzardo morale e rispettare i limiti UE sugli aiuti.
  • Remunerazione della garanzia: il supporto statale non è gratuito (salvo un caso particolare indicato sotto). L’impresa beneficiaria paga a SACE una commissione annuale calcolata in percentuale sull’importo garantito, con un’aliquota che aumenta col passare degli anni. Tali commissioni sono state fissate proprio dal Decreto Aiuti in linea con il Temporary Framework UE:
    • Per PMI, commissioni 0,25% il primo anno, 0,50% il secondo e terzo, 1,00% dal quarto al sesto. Se il finanziamento supera i 6 anni (fino a 8 anni), la commissione per il settimo e ottavo anno saliva ulteriormente (indicativamente 1,50% o più – nel foglio informativo completo, ad esempio, erano previsti 1,50% al 7° anno e 1,75% all’8°).
    • Per imprese non PMI (cioè grandi imprese), commissioni più elevate: ad esempio 0,50% il primo anno, 1,00% il secondo-terzo, 2,00% dal quarto al sesto, e ulteriori aumenti negli anni successivi (fino a 3,50% circa all’ottavo anno).
    Queste commissioni rappresentano il “premio” per la garanzia statale, che la banca trattiene sulle rate e versa a SACE/MEF. Sono costi comunque inferiori rispetto a garanzie di mercato, e soprattutto inferiori al beneficio ottenuto dall’impresa in termini di minore tasso di interesse e maggior importo ottenibile grazie alla garanzia. Nota: Il Decreto Aiuti-ter aveva previsto che per i finanziamenti destinati a pagare bollette di ottobre-dicembre 2022, la garanzia fosse concessa a titolo gratuito, proprio per favorire le imprese energivore in quel frangente. Fu un’eccezione mirata; per tutti gli altri casi, le commissioni erano dovute.
  • Caratteristiche della garanzia: la Garanzia SupportItalia è una garanzia pubblica a prima richiesta che opera secondo l’art. 1944, comma 2, del codice civile, senza bisogno di escutere prima il debitore principale. SACE infatti rinuncia al beneficio della preventiva escussione dell’impresa debitrice: ciò significa che non occorre, per la banca, tentare tutte le azioni di recupero verso l’azienda prima di chiedere l’intervento di SACE. Al verificarsi del mancato pagamento, la banca può attivare direttamente la garanzia statale (con le modalità previste) e ottenere il rimborso della quota garantita. La garanzia è altresì irrevocabile e impegnativa per SACE nei confronti della banca, a condizione che siano stati rispettati i termini del contratto di finanziamento e della convenzione di garanzia. Essendo “a prima richiesta”, SACE paga senza poter opporre all’istituto finanziatore eccezioni relative al rapporto principale, fatta salva l’ipotesi di inadempienze dello stesso finanziatore rispetto ai suoi obblighi contrattuali. In altre parole, SACE non potrà rifiutare il pagamento adducendo, ad esempio, che l’impresa debitrice contesta il debito: queste eventuali contestazioni saranno semmai rinviate ai rapporti di regresso dopo il pagamento.
  • Obblighi connessi: affinché la garanzia resti valida, la banca e l’impresa beneficiaria devono attenersi a quanto previsto dalle Condizioni Generali di Garanzia e dai Manuali Operativi SACE. Ad esempio, la banca doveva erogare effettivamente l’intero importo su un conto dedicato dell’impresa, verificare la documentazione dei costi energetici se utilizzati per calcolo del massimale, e inviare puntuali report periodici a SACE sull’andamento del finanziamento. L’impresa dal canto suo doveva corrispondere regolarmente le commissioni annuali e fornire le informazioni richieste. Eventuali violazioni di tali condizioni (ad es. false dichiarazioni in fase di domanda, uso dei fondi difforme, mancato pagamento delle commissioni di garanzia, ecc.) possono comportare la sospensione o decadenza della garanzia. In caso estremo, SACE potrebbe dichiarare la garanzia non operativa (revocandola) se scopre che i requisiti di legge non erano rispettati o se l’impresa ha violato gli obblighi assunti. Le conseguenze di una simile evenienza saranno discusse più avanti (sezione sulla revoca degli aiuti di Stato).

Riassumendo, il finanziamento SACE SupportItalia è un prestito bancario garantito dallo Stato che ha permesso alle imprese di ottenere liquidità importante, a tassi sostenibili, con dilazioni significative, grazie alla sicurezza offerta ai creditori dalla copertura SACE. Questo contesto normativo favorevole però non elimina gli obblighi di rimborso: il prestito va comunque restituito secondo il piano concordato. Se ciò non avviene, scattano meccanismi di tutela per la banca e lo Stato (segnalazioni, escussione della garanzia, azioni esecutive) che possono mettere a rischio il patrimonio e la sopravvivenza dell’impresa debitrice. Nel capitolo seguente esploreremo in dettaglio proprio le conseguenze legali e patrimoniali del mancato pagamento di un finanziamento SupportItalia.

Conseguenze del mancato pagamento del finanziamento

Quando un’impresa non riesce a pagare le rate (o comunque gli importi dovuti) di un finanziamento SupportItalia, la situazione può degenerare rapidamente dal punto di vista finanziario e legale. Le tutele previste per il creditore (banca) e per il garante (SACE/Stato) si attivano, provocando effetti a catena. È fondamentale comprendere questi effetti per valutarne l’impatto e per predisporre eventuali contromisure.

In questa sezione esamineremo, passo dopo passo, cosa accade tipicamente dal primo mancato pagamento fino alle possibili azioni esecutive, soffermandoci su cinque ambiti principali:

  1. Segnalazione dell’inadempimento nelle banche dati creditizie – in particolare presso la Centrale dei Rischi della Banca d’Italia.
  2. Escussione della garanzia SACE da parte della banca – ossia la richiesta di intervento dello Stato a copertura del mancato pagamento.
  3. Decadenza dal beneficio del termine e attivazione di azioni legali da parte della banca – ad esempio ottenimento di un decreto ingiuntivo per l’intero credito residuo.
  4. Pignoramenti e procedure esecutive sui beni dell’impresa (e degli eventuali garanti personali) – come conseguenza di un titolo esecutivo ottenuto.
  5. Eventuale revoca degli aiuti di Stato e delle agevolazioni connesse – se vengono riscontrate violazioni delle condizioni del finanziamento o se intervengono determinati presupposti normativi.

Analizziamo ciascun punto in dettaglio.

Segnalazione alla Centrale dei Rischi e altre banche dati creditizie

Il primo effetto del mancato pagamento di una o più rate è in genere la segnalazione dell’inadempimento nelle banche dati creditizie. In Italia, la più rilevante per le imprese è la Centrale dei Rischi (CR) gestita dalla Banca d’Italia, un sistema informativo a cui aderiscono banche e intermediari, finalizzato al monitoraggio del merito creditizio dei soggetti affidati.

Quando un debitore ritarda o omette il pagamento, la banca creditrice classifica l’esposizione come deteriorata secondo certe categorie e soglie, e riporta mensilmente tale informazione alla Centrale dei Rischi. Le categorie principali di “credito deteriorato” sono:

  • Scaduto/Sconfinante: importo scaduto da oltre 90 giorni, sopra una soglia di materialità (in genere almeno €500 e >1% del totale esposizione) – segnala un arretrato significativo.
  • Inadempienza Probabile (“Unlikely to Pay”): la banca giudica improbabile che il debitore possa adempiere integralmente senza ricorrere a misure come escussione di garanzie. Può essere decisa anche prima dei 90 giorni se la situazione finanziaria del cliente appare gravemente compromessa.
  • Sofferenza: lo stato più grave, che indica un debitore in condizione di insolvenza o comparabile ad essa (non necessariamente accertata giudizialmente).

Nel caso di un finanziamento garantito SACE, la banca spesso attenderà almeno i 90 giorni di ritardo su un pagamento prima di attivare formalmente la garanzia (come vedremo tra poco). In quel periodo, è probabile che l’esposizione venga intanto segnalata come “scaduta >90 giorni” in Centrale Rischi. Se l’impresa manifesta difficoltà più strutturali (es. chiede moratorie, ha altri debiti insoluti), la banca potrebbe classificarla direttamente in “inadempienza probabile”. La “sofferenza” di solito viene riservata a situazioni estreme – per esempio, se l’azienda ha cessato l’attività, accumula insoluti multipli e la banca ritiene quasi certa l’insolvenza, potrebbe indicarla a sofferenza anche prima di un’eventuale procedura concorsuale.

La Centrale dei Rischi è consultata da tutte le banche: una segnalazione negativa può avere conseguenze immediate e gravi per l’impresa:

  • Blocco dell’accesso al credito: altre banche, vedendo l’inadempienza, rifiutano nuove richieste di finanziamento o fidi. Anche il Fondo di Garanzia PMI o altre agevolazioni pubbliche possono negare supporto se risultano sofferenze a carico dell’azienda.
  • Revoca di affidamenti esistenti: spesso la segnalazione di sofferenza provoca la revoca dei fidi concessi da altre banche al medesimo soggetto. Ad esempio, Cassazione ha rilevato che la segnalazione può portare alla revoca degli affidamenti e ciò causare danno a cascata anche ai garanti. La revoca di linee di credito può aggravare la crisi di liquidità, innescando una pericolosa reazione a catena.
  • Peggioramento della reputazione creditizia: l’azienda perde credibilità non solo verso il sistema bancario, ma anche verso fornitori e partner che utilizzano informazioni commerciali (esistono banche dati private come CRIF, Cerved, Experian dove pure l’insolvenza può essere registrata e visibile ai contraenti). Ciò può comportare richieste di pagamenti anticipati da fornitori, revoca di dilazioni concesse, ecc.

È importante notare che la segnalazione in Centrale Rischi deve rispettare precise regole. Non basta un semplice ritardo momentaneo: la banca è tenuta ad accertare la situazione complessiva del cliente. Giurisprudenza costante afferma che la classificazione a “sofferenza” presuppone uno stato di insolvenza conclamato o grave difficoltà generalizzata, non un inadempimento meramente occasionale. Inoltre, la banca deve inviare un preavviso al cliente prima di segnalarlo a sofferenza, così da consentirgli eventualmente di regolarizzare o contestare (mancato preavviso rende la segnalazione illegittima).

In caso di segnalazione illegittima o erronea, l’impresa può agire legalmente per ottenere la rettifica e un risarcimento del danno. Ad esempio, la Cassazione ha stabilito che il danno da illegittima segnalazione non è automatico (in re ipsa), ma può essere provato anche con presunzioni e indizi, mostrando ad esempio che la segnalazione ha causato la revoca di fidi e il peggioramento della situazione finanziaria. In una recente sentenza (Cass. civ. sez. III, n. 29252/2024), è stato riconosciuto il diritto al risarcimento di un garante il cui patrimonio è stato aggredito a seguito della segnalazione a sofferenza della società debitrice: si è ritenuto sufficiente dimostrare il nesso causale tra la segnalazione, la revoca dei crediti bancari alla società e il conseguente danno al garante obbligato a pagare. Ciò a conferma che una segnalazione superficiale può avere ripercussioni gravi e risarcibili.

Per l’impresa in difficoltà sul prestito SACE, comunque, la segnalazione in Centrale Rischi sarà difficilmente evitabile se i pagamenti saltano. Essa rappresenta il primo campanello d’allarme ufficiale del default. Una volta scattata, il rating creditizio dell’azienda è compromesso, rendendo quasi impossibile trovare nuovo credito per ripianare il debito o liquidità alternativa. È dunque un momento cruciale in cui l’imprenditore deve prendere atto della gravità della situazione e attivarsi (anche con supporto legale) per gestire i passi successivi, che rischiano di essere ancora più incisivi.

Escussione della garanzia SACE da parte della banca

Decorso un certo periodo dal mancato pagamento (tipicamente 90 giorni), se la posizione rimane insoluta, la banca ha la facoltà di escutere la garanzia SACE. Ciò significa attivare il meccanismo per cui SACE (e quindi in ultima istanza lo Stato) paga alla banca la quota garantita del debito. Questa fase è centrale nelle dinamiche del finanziamento SupportItalia non pagato, perché segna il passaggio del rischio dal sistema bancario allo Stato e trasforma l’assetto creditorio nei confronti dell’azienda. Vediamo come avviene:

  • Tempi e condizioni per l’escussione: Secondo le Condizioni Generali di Garanzia, la banca (definita Soggetto Finanziatore) può inviare a SACE una Richiesta di Escussione dopo che l’impresa beneficiaria non abbia pagato anche solo parte di una rata o di un importo dovuto secondo il contratto di finanziamento. In pratica, basta un inadempimento (event of default) per aprire la strada all’escussione. Tuttavia, SACE paga solo se sono rispettati certi criteri di tempo: generalmente occorre attendere 90 giorni dal mancato pagamento prima che SACE esegua il pagamento. Inoltre, la richiesta va inviata entro un certo termine dall’evento (solitamente entro 180 giorni dall’inadempimento, pena decadenza, salvo diversi accordi). La banca deve allegare documentazione che provi l’erogazione del finanziamento e l’inadempienza dell’impresa (ad es. contabili degli importi erogati, estratto conto delle rate scadute non pagate, ecc.). La Richiesta di Escussione va inviata via PEC con firma digitale secondo il format previsto da SACE.
  • Pagamento di SACE: Una volta ricevuta la richiesta completa, SACE è tenuta a pagare l’importo dovuto a prima richiesta entro un termine massimo di 30 giorni, rinunciando a opporre eccezioni (salvo quelle strettamente previste nel contratto di garanzia, ad es. frode conclamata o inadempimenti gravi del finanziatore). In sostanza, la banca otterrà da SACE una somma pari alla quota garantita del capitale insoluto (comprensiva di interessi contrattuali maturati fino alla data di escussione). Ad esempio, se la rata impagata copre €100.000 di capitale e €5.000 di interessi, e la garanzia è al 90%, SACE verserà circa €90.000 (la quota di sua copertura sul capitale) più la sua quota sugli interessi dovuti sino a quel momento. Gli interessi di mora successivi e le spese legali non sono di norma coperti dalla garanzia e restano a carico del debitore verso la banca, oltre alla parte di capitale non garantita. È importante sottolineare che SACE paga “a prima richiesta” senza necessità per la banca di aver prima escusso il debitore giudizialmente. Non serve quindi attendere una sentenza o un pignoramento infruttuoso: la garanzia è attivabile in via stragiudiziale, dando un enorme vantaggio al creditore finanziatore in termini di rapidità di recupero.
  • Effetti sul credito dell’impresa: Con il pagamento di SACE, la banca recupera gran parte di quanto dovuto e riduce la sua esposizione residua. Ma il debito dell’impresa non si estingue affatto: semplicemente, si modifica la figura del creditore per la quota pagata da SACE. Infatti, SACE si surroga nei diritti della banca ex art. 1203 c.c. per l’importo che ha versato. Ciò è anche espressamente previsto dal contratto di garanzia: “Alla data di pagamento da parte di SACE… SACE sarà automaticamente surrogata in tutti i diritti della Banca derivanti dal contratto di finanziamento e dalle garanzie reali e personali, nei confronti dell’impresa, per la misura del pagamento effettuato”. In pratica, SACE prende il posto della banca come creditore della società debitrice, per la porzione di credito coperta. Se sul finanziamento esistevano garanzie accessorie (es. un’ipoteca, un pegno, una fideiussione di un socio), queste per la parte di credito pagata passano in capo a SACE: ad esempio, un’ipoteca iscritta a favore della banca ora assiste anche SACE pro-quota, un fideiussore precedentemente garante verso la banca ora può essere escusso da SACE per la quota pagata.
  • Coesistenza di due creditori (banca e SACE): Dopo l’escussione, il rapporto debitorio si frammenta. Avremo:
    • La banca che rimane creditrice per la parte non coperta dalla garanzia (es. il 10-30% del capitale residuo, più eventuali interessi di mora e costi legali relativi a questa quota).
    • SACE/MEF che diventa creditore per la parte coperta (es. 70-90% del capitale, con diritto di regresso verso l’impresa).
    SACE e banca dovranno quindi gestire il recupero ciascuno per la propria porzione. Le regole SACE prevedono che dopo l’escussione, la banca e SACE gestiscano le azioni intraprese e intraprendano tutte le ulteriori azioni, stragiudiziali e giudiziali, necessarie o opportune, ciascuno autonomamente per la propria ragione di credito. Ciò significa che entrambi potranno perseguire il debitore: la banca per il suo 10-30% e SACE per il suo 70-90%. In pratica l’impresa potrebbe ricevere richieste di pagamento separate e parallele: ad esempio la banca potrebbe agire immediatamente per decreto ingiuntivo per recuperare la sua parte, mentre SACE (o chi per essa, ad es. l’ufficio legale MEF o mandatari) invierà proprie intimazioni per la parte maggioritaria, e successivamente anch’essa potrà agire giudizialmente. Spesso la banca, avendo già istruito pratiche, continua a seguire il recupero anche per conto di SACE, ma formalmente le posizioni sono distinte. Non di rado la gestione viene coordinata: ad esempio, la banca può trasferire a SACE gli atti già ottenuti (es. un decreto ingiuntivo) in modo che SACE subentri per la sua parte; oppure la banca e SACE concordano di agire congiuntamente (cumulando le pretese in un unico giudizio, se possibile). Ma questo dipende da intese tra le parti; dal lato dell’impresa, il rischio è di subire una duplice pressione creditizia.
  • Natura del credito di SACE: Il credito che SACE vanta verso l’impresa ha una connotazione peculiare. È un credito di natura di diritto privato (derivante da surroga contrattuale), ma con alcuni privilegi pubblicistici. In particolare, la legge equipara il credito di regresso di SACE per l’escussione della garanzia a un credito per restituzione di aiuto pubblico. La Cassazione ha recentemente confermato che si applica il privilegio previsto dall’art. 9, comma 5, D.Lgs. 123/1998 (privilegio generale mobiliare) non solo ai crediti nascenti da revoca di sovvenzioni statali dirette, ma anche ai crediti nascenti dall’escussione di una garanzia pubblica concessa a sostegno di un finanziamento. In altre parole, la somma che l’impresa deve restituire allo Stato tramite SACE viene trattata, in caso di insolvenza, alla stregua di un credito privilegiato (quasi come fosse un debito verso lo Stato per contributi revocati). Ciò ha grande rilevanza ad esempio in caso di fallimento (liquidazione giudiziale): SACE è ammessa al passivo in privilegio per il suo credito di regresso, trovandosi in posizione preferenziale rispetto ai crediti chirografari ordinari (si discute di quale grado esatto, ma generalmente è un privilegio generale sui mobili che concorre dopo i privilegi speciali ed alcuni privilegi generali come quelli del lavoro, ma prima dei chirografari puri). Questo aumenta le chances per lo Stato di recuperare almeno parzialmente le somme anticipate.
  • Conseguenze per l’impresa debitrice: Una volta che la garanzia è stata escussa e SACE ha pagato, l’impresa non può più nascondersi: il “buco” finanziario è divenuto debito verso lo Stato. Spesso l’escussione comporta anche la decadenza di eventuali benefìci concessi. Ad esempio, se il finanziamento godeva di un tasso calmierato grazie all’intervento pubblico, la decadenza può far perdere quel beneficio. Inoltre, a livello contabile, l’impresa dovrà registrare il debito residuo nei confronti dei due creditori (banca e SACE). Da quel momento, qualunque trattativa dovrà coinvolgere due soggetti. L’esperienza mostra che SACE/MEF tende ad essere meno incline delle banche a concessioni o sconti stragiudiziali, dovendo tutelare denaro pubblico (spesso preferiscono attendere l’esito di procedure concorsuali). Il debito verso SACE potrebbe persino essere iscritto a ruolo e affidato ad Agenzia Entrate Riscossione, come avviene per i crediti erariali, se previsto dalla normativa (ci sono stati casi analoghi per aiuti pubblici revocati); anche se per ora SACE gestisce di solito il recupero in proprio o tramite mandatari, non tramite cartelle esattoriali.

In sintesi, l’escussione della garanzia SACE risolve il problema per la banca (che incassa dallo Stato) ma aggrava la posizione dell’impresa, che si ritrova con un debito prevalentemente verso il settore pubblico, difficilmente negoziabile e con forti tutele legali (privilegi) a suo sfavore. È un momento di svolta: se si arriva a questo punto, significa che la situazione di insolvenza è conclamata. Prima di passare alle vie giudiziarie, tuttavia, la banca normalmente compie un altro passo cruciale: la decadenza dal termine e il tentativo di recupero integrale del credito (in parallelo all’attivazione della garanzia). Vediamolo.

Decadenza dal beneficio del termine e azioni legali della banca (decreto ingiuntivo)

Nel momento in cui l’impresa risulta inadempiente e non offre soluzioni convincenti, la banca solitamente procede a revocare il finanziamento e a richiedere l’immediato pagamento di tutto il debito residuo. Questa facoltà è prevista nei contratti di mutuo e di finanziamento sotto la clausola di “decadenza dal beneficio del termine”: in caso di mancato pagamento di anche una sola rata (o al verificarsi di altre condizioni risolutive, come un deterioramento grave della situazione patrimoniale del debitore), la banca può considerare risolto il contratto e l’intero importo ancora dovuto diventa esigibile in un’unica soluzione (per intero, anziché secondo il piano rateale).

Formalmente, la banca invia una comunicazione scritta (raccomandata/PEC) di costituzione in mora e contestuale dichiarazione di decadenza dal beneficio del termine. In tale lettera intima al debitore di pagare l’intero importo entro un certo termine breve (es. 10 o 15 giorni) pena l’avvio di azioni legali. Questa lettera spesso precede o accompagna la richiesta a SACE: infatti la banca, per escutere la garanzia, deve attestare che l’impresa è inadempiente e che si è attivata per il recupero. La dichiarazione di decadenza è quindi un passaggio quasi obbligato.

Una volta “accelerato” il debito, la banca può procedere giudizialmente. Lo strumento tipico è il decreto ingiuntivo (artt. 633 ss. c.p.c.), un provvedimento veloce ottenibile in base a prova scritta del credito:

  • La banca presenta ricorso per decreto ingiuntivo al tribunale competente, allegando la documentazione: contratto di finanziamento, estratto conto delle somme scadute e non pagate, lettera di decadenza dal termine, eventuale copia delle comunicazioni inviate a SACE e ogni altra prova (ad es. il documento di sintesi del rapporto, le quietanze di erogazione, etc.). Essendo un rapporto bancario, la banca può avvalersi anche dell’estratto notarile delle proprie scritture contabili ex art. 50 TUB, che fa piena prova del credito e consente al giudice di emettere l’ingiunzione immediatamente esecutiva.
  • Il Giudice verifica la regolarità formale e la sufficienza della prova, quindi emette il decreto ingiuntivo che intima all’impresa di pagare l’importo X (comprensivo di capitale, interessi e spese legali iniziali) entro 40 giorni dalla notifica, con l’avvertimento che in difetto si procederà ad esecuzione forzata.
  • La banca di solito chiede che il decreto sia dichiarato provvisoriamente esecutivo in virtù della natura del credito (molti contratti di finanziamento stipulati per atto notarile o con clausole particolari permettono ciò). Se il giudice concede la provvisoria esecutività ex art. 642 c.p.c., il decreto è esecutivo subito, senza attendere i 40 giorni e l’eventuale opposizione.

Una volta ottenuto il decreto ingiuntivo, la banca lo fa notificare all’impresa debitrice (e agli eventuali garanti). Da questo momento, se il decreto è esecutivo, la banca può procedere con atti esecutivi (pignoramenti) anche senza attendere la scadenza dei 40 giorni; se invece non è provvisoriamente esecutivo, dovrà attendere 40 giorni e vedere se viene proposta opposizione.

Dal lato dell’impresa, la notifica di un decreto ingiuntivo rappresenta un momento critico: ignorarlo significa lasciarlo diventare definitivo (passati 40 giorni senza opposizione, il decreto acquista efficacia di sentenza) e aprire la porta ai pignoramenti. Opporlo (proporre opposizione) è possibile, ma occorre muoversi entro 40 giorni e avere motivi fondati di contestazione (tratteremo più avanti le possibili difese in opposizione).

Inoltre, l’azienda deve tener presente che se il decreto è provvisoriamente esecutivo, la banca può iniziare il pignoramento immediatamente anche se si propone opposizione. Si può chiedere al giudice una sospensione in corso di causa, ma serve un grave motivo (art. 649 c.p.c.), ad esempio dimostrare che il credito è inesistente o che l’esecuzione arrecherebbe un danno irreparabile al debitore. Non facile in pratica.

Considerando l’escussione SACE: se la banca ha già ricevuto da SACE l’80-90% dell’importo, come si comporterà con il decreto? In genere, la banca ingiunge l’intero importo nominale del debito verso l’impresa, senza decurtare la parte SACE. Questo perché formalmente l’impresa deve sempre l’intero alla banca finché SACE non subentra giuridicamente. Cosa accade poi? La banca, una volta incassato eventualmente dal debitore (cosa rara prima che SACE paghi), dovrebbe restituire a SACE la quota coperta. Più spesso però, se la banca ottiene un titolo esecutivo per l’intero, quando SACE paga essa cede pro-quota il decreto a SACE (o comunque SACE si attiverà sulla base di quello stesso titolo, notificando un atto di precetto per la sua parte). In alcuni casi, la banca può emettere liberatoria per la parte SACE e procedere solo per il suo residuo. Dipende da come coordinano le azioni.

In ogni caso, dal punto di vista pratico, l’impresa che non ha pagato si troverà quasi certamente di fronte a un titolo esecutivo (decreto ingiuntivo) ottenuto dalla banca. Con esso, il creditore (banca e/o SACE surrogata) potrà passare alla fase esecutiva, ossia aggredire i beni del debitore per soddisfarsi.

Prima di passare ai pignoramenti, menzioniamo un ulteriore possibile sviluppo: se l’impresa è società di capitali e il debito è rilevante, i creditori (banca o SACE) potrebbero valutare di presentarne il fallimento (liquidazione giudiziale) invece di procedere singolarmente. Spesso però la strada preferita inizialmente è quella esecutiva individuale, più rapida; l’istanza di fallimento può arrivare in un secondo momento, se la situazione appare irreversibile o se l’esecuzione si rivela infruttuosa.

Riassumendo:

  • La banca revoca il finanziamento e chiede subito tutto il debito residuo, azzerando il piano di ammortamento.
  • Se il debitore non paga in pochi giorni, la banca ottiene un decreto ingiuntivo, spesso immediatamente esecutivo.
  • Il decreto ingiuntivo consente di procedere a esecuzione forzata (pignoramenti) contro l’impresa e gli eventuali garanti personali (es. fideiussori).
  • L’impresa ha la possibilità di fare opposizione entro 40 giorni, ma intanto rischia pignoramenti se il decreto è esecutivo. Vedremo più avanti quali difese può opporre.

A questo punto, passiamo alla fase successiva e più tangibile: le azioni esecutive e i pignoramenti che minacciano il patrimonio dell’impresa (e spesso anche del patrimonio personale degli imprenditori se hanno garantito).

Pignoramenti e procedure esecutive

Se il credito rimane insoddisfatto dopo la fase monitoria (decreto ingiuntivo) – e nella stragrande maggioranza dei casi di insolvenza grave lo rimane – la banca (e/o SACE per la sua parte) daranno avvio alle procedure esecutive per recuperare coattivamente quanto dovuto. Questo significa attivare pignoramenti sui beni della società debitrice e degli eventuali garanti. È la fase più critica, in cui i rischi per il patrimonio diventano concreti.

Elenchiamo i principali tipi di esecuzione a cui l’impresa inadempiente può essere soggetta:

  • Pignoramento mobiliare presso il debitore: Ufficiale giudiziario si reca presso la sede aziendale e pignora beni mobili presenti (macchinari, attrezzature, merci in magazzino, arredi, veicoli, ecc.) fino a coprire il valore del credito. Questi beni poi sono posti in vendita all’asta. Nella realtà delle imprese, il pignoramento mobiliare è spesso poco fruttuoso: le macchine usate hanno scarso valore di realizzo e vi sono costi logistici. Inoltre può paralizzare l’attività se toglie strumenti essenziali. Proprio il timore del fermo produzione è leva di pressione. Le PMI devono sapere che anche beni come computer, mobili d’ufficio, ecc., possono essere presi se non dichiarati indispensabili. Talvolta questo tipo di pignoramento viene attuato più come strumento coercitivo per spingere il debitore a trattare, che non per reale recupero (spesso si conclude con una composizione prima dell’asta).
  • Pignoramento presso terzi (crediti del debitore verso terzi): È una forma molto comune e di solito più efficace. Consiste nel pignorare i crediti che l’impresa vanta verso soggetti terzi, ad esempio:
    • Conti correnti bancari: il creditore notifica il pignoramento alla banca dove l’impresa ha il conto; l’istituto blocca immediatamente le somme disponibili (fino a concorrenza del credito) e successivamente le trasferisce all’ufficiale giudiziario su ordine del giudice. Questo può congelare completamente la liquidità aziendale, stipendi, pagamenti fornitori, ecc.
    • Crediti verso clienti: il creditore può pignorare i crediti commerciali: notifica l’atto a uno o più clienti debitore della nostra impresa, intimando loro di non pagare più l’azienda ma direttamente il procedente. I clienti, per legge, devono congelare i pagamenti dovuti alla società e dichiarare al tribunale quanto devono. In seguito, quelle somme saranno assegnate al creditore. Ciò è devastante: l’impresa non incassa più dalle proprie fatture attive, perdendo flussi indispensabili. Inoltre la notizia del pignoramento presso un cliente può minare il rapporto commerciale.
    • Altri crediti: pignoramenti presso terzi possono colpire anche depositi cauzionali, rimborsi fiscali (pignoramento presso Agenzia Entrate/Riscossione per crediti d’imposta), canoni di leasing in corso (pignorando i canoni dovuti dal locatario all’azienda), indennizzi assicurativi in arrivo, ecc. Qualsiasi situazione in cui un terzo deve denaro all’impresa può essere bersaglio.
  • Pignoramento immobiliare: Se l’impresa possiede immobili (capannoni, uffici, terreni) di proprietà, il creditore munito di titolo può iscrivere pignoramento immobiliare. Ciò avviene tramite atto notificato al debitore e trascritto nei registri immobiliari. Segue la procedura d’asta giudiziaria, con tempi più lunghi (mesi o anni). Nel caso di finanziamenti SACE, spesso vi può essere un’ipoteca iscritta a garanzia originaria del mutuo: la banca in questi casi preferirà avvalersi del diritto ipotecario e promuovere l’esecuzione immobiliare per escutere l’immobile dato in garanzia. L’immobile pignorato viene valutato da un perito e messo all’asta; il ricavato, al netto delle spese, va a soddisfare i creditori (in primis l’eventuale ipotecario per la sua parte). Se l’asta va deserta e i valori calano, l’impresa rischia di perdere beni patrimoniali anche di molto superiori al debito, svenduti. Inoltre, con il pignoramento immobiliare l’azienda perde la disponibilità del bene e spesso deve liberarlo (se è sede produttiva, può essere un colpo mortale).
  • Esecuzione su garanzie personali: Nel caso in cui uno o più garanti (fideiussori) abbiano garantito il finanziamento (ad esempio i soci o l’imprenditore individuale con il proprio patrimonio), il creditore procederà quasi certamente anche contro di loro. Il decreto ingiuntivo viene notificato anche ai fideiussori, rendendoli coobbligati in solido. Pertanto, tutti i tipi di pignoramento descritti sopra possono colpire anche i beni personali dei garanti: conti bancari personali, stipendio (pignorabile per un quinto se lavoratori dipendenti), immobili di proprietà dei garanti (anche prima casa, poiché per debiti verso banche non vale l’impignorabilità riservata solo ai debiti fiscali), auto e altri beni registrati, ecc. Questo scenario allarga il fronte: non è solo la società a rischio, ma il patrimonio privato dell’imprenditore. Spesso la minaccia di aggressione ai beni familiari (casa coniugale, conto cointestato, etc.) crea forte leva per un accordo, ma se il debito è troppo grande può condurre il garante stesso alla rovina economica (persino al fallimento personale, se era garante di una società poi fallita, in certi casi).
  • Interventi di SACE nelle esecuzioni: Come detto, SACE dopo aver pagato la banca agirà per proprio conto. Ciò significa che in un pignoramento già avviato dalla banca, SACE potrà intervenire per far valere la sua quota (spesso privilegiata) sul ricavato. Oppure SACE potrà avviare pignoramenti paralleli. In pratica, l’impresa potrebbe fronteggiare due procedure: ad esempio, la banca pignora i conti correnti, SACE pignora contemporaneamente i crediti verso clienti. Oppure la banca avvia l’esecuzione immobiliare su un capannone ipotecato (perché l’ipoteca assiste anche lei per la sua parte), mentre SACE attacca i conti correnti. L’effetto cumulativo è di mettere sotto assedio l’azienda su più fronti.

Gli effetti delle procedure esecutive sono devastanti per l’operatività aziendale:

  • L’azienda perde liquidità (conti bloccati, crediti incassati dai creditori) e quindi fatica a pagare fornitori e dipendenti, precipitando ulteriormente in crisi.
  • I beni produttivi pignorati non possono essere liberamente venduti o dati in garanzia per nuova finanza, e se asportati (pignoramento mobiliare) impediscono di lavorare.
  • Vi è un enorme dispendio di tempo gestionale per fronteggiare periti, avvocati, giudici, ecc., distogliendo dal core business.
  • La notizia dell’esecuzione gira nell’ambiente: la reputazione commerciale crolla, altri creditori (fornitori, fisco, ecc.) perdono fiducia e potrebbero iniziare a loro volta azioni per tutelarsi. Si rischia un effetto domino di richieste di pagamento immediato da più parti.

In pratica, il pignoramento spesso segna l’inizio della fine operativa per un’impresa, a meno che essa non riesca a trovare una soluzione (accordo, rifinanziamento esterno, procedura concorsuale che blocca le esecuzioni). In certi casi, l’avvio di aggressioni può convincere l’imprenditore a portare i libri in tribunale per avviare un concordato preventivo o una liquidazione giudiziale, in modo da congelare le azioni esecutive individuali e gestire il dissesto in maniera concorsuale.

Tutela legale in esecuzione: Anche in fase esecutiva ci sono strumenti di difesa (opposizioni all’esecuzione o agli atti esecutivi, incidenti di distribuzione, ecc.), ma tipicamente servono se vi sono vizi formali (ad es. errore nel precetto, pignoramento eccedente) o cause sopravvenute di sospensione (ad es. l’azienda ha presentato domanda di concordato, ottenendo lo stay delle azioni ex art. 54 Cod. Crisi). Altrimenti, lo spazio per bloccare i pignoramenti una volta iniziati è ridotto, se il creditore ha titolo valido.

In conclusione, l’impresa che non paga un finanziamento SACE SupportItalia si espone, in assenza di accordi, a esecuzioni forzate multiple. La banca e SACE, forti di privilegi e titoli esecutivi, potranno attaccare conti, crediti e beni, sia aziendali che personali dei garanti, portando spesso l’impresa all’insolvenza conclamata. Prevenire o reagire prima che si giunga a questo stadio è fondamentale, come vedremo nelle strategie di difesa.

Revoca degli aiuti di Stato e decadenza dalle agevolazioni

Un ulteriore profilo di rischio, spesso trascurato, riguarda la possibile “revoca” delle agevolazioni pubbliche connesse al finanziamento SupportItalia. Questo aspetto coinvolge il particolare regime di aiuto di Stato entro cui rientra la garanzia SACE, e può manifestarsi in due modi:

  1. Decadenza dai benefici legati alla garanzia per inadempimento o violazione di obblighi contrattuali.
  2. Revoca formale dell’aiuto di Stato da parte delle autorità, con richiesta di rimborso, in caso di uso illecito o mancato rispetto delle condizioni di legge.

Vediamoli separatamente.

(1) Decadenza dai benefici e garanzia: Come accennato, la fruizione della garanzia SACE comportava per l’impresa alcuni vincoli (divieto di certe operazioni, mantenimento di attività in Italia, ecc.) e l’obbligo di veridicità nelle dichiarazioni rese. Se l’impresa viola queste condizioni, SACE può dichiarare la decadenza della garanzia. Ad esempio, se si scopre che l’impresa al momento della domanda era in realtà già in situazione di difficoltà (e lo aveva nascosto) oppure che ha destinato i fondi a scopi non consentiti (es. acquisto di partecipazioni o trasferimento all’estero di fondi), la garanzia statale potrebbe essere annullata/revocata. Ciò avrebbe effetti drammatici:

  • Per la banca: perderebbe la copertura statale. Se la decadenza viene dichiarata prima dell’escussione, la banca si ritrova con un credito non più garantito e quindi a rischio molto maggiore. Potrebbe a quel punto revocare immediatamente il finanziamento (anche se fosse in bonis) e chiedere rientro totale. Se invece la decadenza viene dichiarata dopo che SACE ha già pagato (ad esempio perché emergono irregolarità a posteriori), lo Stato potrebbe rivalersi sulla banca per indebito pagamento o comunque l’impresa sarebbe tenuta a restituire quanto versato da SACE come indebito aiuto.
  • Per l’impresa: la perdita della garanzia può comportare la revoca del finanziamento (l’azienda non rispetta più i requisiti contrattuali, la banca ha titolo per risolvere) e l’obbligo di restituire immediatamente quanto eventualmente “risparmiato” grazie a quell’aiuto. Inoltre, l’impresa verrebbe esclusa da ulteriori misure di sostegno pubblico. Se SACE aveva pagato, l’impresa potrebbe dover rimborsare lo Stato con oneri aggiuntivi.

Va detto che SACE attiverà la revoca solo in presenza di violazioni gravi e documentate. Un semplice mancato pagamento dovuto a difficoltà economica, di per sé, non è una “colpa” che faccia decadere la garanzia – anzi, è l’evento stesso che la garanzia copre. Quindi il default in sé non implica revoca. Quello che potrebbe succedere però è che col default vengano allo scoperto eventuali inadempimenti dell’impresa agli impegni: es. con l’analisi del caso, SACE scopre che i fondi erano stati dirottati altrove o che l’impresa aveva fornito dati falsi. In tal caso, oltre alle azioni di recupero ordinarie, si applicherebbe la decadenza per “frode” o uso indebito. Ciò rientrerebbe anche in ipotesi penalmente rilevanti (falso in attestazioni a ente pubblico, malversazione se fondi pubblici destinati ad altro, ecc.), con possibili denunce.

(2) Revoca dell’aiuto di Stato (profilo comunitario): La garanzia SACE SupportItalia è un aiuto notificato e approvato dalla Commissione UE in base al Temporary Crisis Framework. Tali aiuti sono concessi con condizioni precise. Se un aiuto viene fruito indebitamente (ad esempio da impresa non eleggibile, o oltre i massimali consentiti, o in violazione delle norme), l’ordinamento prevede la revoca e il recupero dell’aiuto. Il D.Lgs. 123/1998 disciplina i casi di revoca di incentivi pubblici e, come visto, predispone anche un privilegio per il loro recupero.

Nel contesto di SupportItalia, ipotesi di revoca potrebbero essere:

  • L’impresa era impresa in difficoltà al 31/1/2022 (cosa vietata): in tal caso l’erogazione della garanzia costituirebbe un aiuto illegittimo secondo la normativa UE. Se ciò viene accertato (magari su segnalazione o controllo ministeriale), si potrebbe avviare la procedura di recupero dell’aiuto. In concreto, l’impresa dovrebbe restituire i benefici ricevuti. Poiché la garanzia non è un’erogazione diretta, il “beneficio” consiste nel vantaggio finanziario ottenuto: possibili metriche potrebbero essere la differenza di tasso di interesse grazie alla garanzia, o le somme che lo Stato ha dovuto pagare. In pratica, se l’impresa è inadempiente e SACE paga, questo importo rientra certamente tra quelli da recuperare. La Cassazione, come citato, ha affermato che il credito da escussione garanzia equivale a credito da revoca di misura di aiuto.
  • L’impresa ha superato i massimali di aiuto consentiti: se un’azienda ha cumulato più aiuti Covid/crisi e ha oltrepassato i limiti (ad esempio i vari “€ milioni” stabiliti nei quadri temporanei), il MEF potrebbe essere tenuto a richiedere la restituzione dell’eccedenza. La garanzia SACE essendo stata a condizioni di mercato (commissioni) potrebbe essere considerata in parte come aiuto equivalente (il differenziale di rischio). Difficile inquadrare, ma le autorità vigilano su cumulo.
  • Violazione obblighi occupazionali/dividendi: Nella garanzia “Garanzia Italia” 2020 vi erano clausole (per grandi imprese > €50 mln di prestito) di non distribuire dividendi e di gestire l’occupazione mediante accordi sindacali. Per SupportItalia, tali clausole non sono state espressamente replicate, ma se l’impresa beneficiaria fosse soggetta ad altre normative (es. ricevuto aiuti paralleli con vincoli occupazionali) e li avesse violati, potrebbe incorrere in revoca di quegli aiuti e indirettamente aggravare la sua situazione.

La conseguenza pratica della revoca è che l’impresa deve restituire l’aiuto con interessi. Nel nostro caso, significa che lo Stato, oltre a comportarsi da creditore subentrato per la garanzia pagata, considera quelle somme come somma da rimborsare a titolo di sanzione per aiuto illegittimo. Si tratta in sostanza dello stesso debito, ma giustificato anche dal punto di vista pubblicistico. L’effetto è più che altro l’aggravio “morale” e potenzialmente sanzionatorio: di solito la revoca comporta l’esclusione da ulteriori contributi per un periodo e possibili segnalazioni.

Inoltre, se l’aiuto è revocato formalmente, l’amministrazione potrebbe utilizzare il ruolo esattoriale per il recupero, equiparando il debitore a un moroso verso lo Stato. Questo comporterebbe l’emissione di ingiunzioni fiscali o cartelle e l’affidamento all’Agente della Riscossione (ex Equitalia) che ha poteri di pignoramento particolari (fermo amministrativo auto, ipoteche esattoriali, ecc.). Tuttavia, su questo punto specifico andrebbe verificata la prassi per SACE: spesso i crediti di regresso SACE non transitano da Agenzia Entrate Riscossione, restando nel circuito ordinario.

In sintesi, revoca degli aiuti di Stato significa che l’azienda inadempiente potrebbe non solo dover fronteggiare i creditori, ma anche vedersi addossare formalmente l’etichetta di chi deve restituire un aiuto illegittimo, con tutte le aggravanti del caso (privilegi, interessi, possibili sanzioni). È un ulteriore incentivo a non abusare di queste misure e a risolvere eventualmente il default in modo concordato se possibile.


Ricapitolando la sezione conseguenze: il mancato pagamento di un finanziamento SupportItalia attiva una catena di eventi:

  • Segnalazione a Centrale Rischi → reputazione creditizia compromessa e stretta sui fidi.
  • Escussione garanzia SACE → lo Stato paga la banca e diventa nuovo creditore privilegiato dell’impresa.
  • Decadenza dal termine & decreto ingiuntivo → il debito residuo viene immediatamente richiesto per intero e formalizzato in un titolo esecutivo.
  • Pignoramenti → aggressione ai conti, ai crediti e ai beni aziendali (e personali dei garanti) con blocco dell’operatività.
  • Possibile revoca di aiuti → se emergono irregolarità, lo Stato recupera l’aiuto come indebito, aggravando l’onere.

Ciascun passaggio riduce progressivamente gli spazi di manovra dell’imprenditore. Intervenire tempestivamente è essenziale per arginare i danni. Nella prossima sezione ci concentriamo proprio sulle strategie di difesa legale e sugli strumenti a disposizione di un’impresa che si trovi (o stia per trovarsi) in questa difficile situazione, al fine di tutelare il proprio patrimonio e, possibilmente, la continuità aziendale.

Strategie legali di difesa in caso di difficoltà o inadempienza

Affrontare un finanziamento SACE SupportItalia non pagato richiede un approccio proattivo e multidisciplinare. Le strategie di difesa legale mirano a guadagnare tempo, ridurre l’esposizione complessiva e proteggere i beni essenziali dell’imprenditore, cercando nel contempo soluzioni sostenibili per ristrutturare il debito. È fondamentale intervenire prima che la situazione precipiti irrimediabilmente (idealmente, già ai primi segnali di difficoltà, prima dell’escussione di SACE e dell’avvio di azioni legali).

Di seguito delineiamo le principali linee d’azione, che possono essere perseguite anche parallelamente:

  1. Contatto tempestivo con la banca e richiesta di rinegoziazione del debito (moratorie, piani di rientro).
  2. Accesso a procedure di composizione della crisi d’impresa, come la composizione negoziata assistita da esperto o accordi di ristrutturazione, per gestire il debito in modo organizzato.
  3. Ricorso agli strumenti per sovraindebitamento/fallimento civile (piano del consumatore, concordato minore) se l’imprenditore è una persona fisica o piccola azienda non fallibile.
  4. Valutazione di procedure concorsuali (concordato preventivo, piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, ecc.) per bloccare le azioni esecutive e proporre un recupero parziale ai creditori.
  5. Difesa giudiziale diretta contro le pretese creditorie, tramite opposizione a decreti ingiuntivi o sfruttamento di vizi procedurali nei loro atti, per rallentare o ridurre le richieste.
  6. Tutela del patrimonio attraverso strumenti legali (fondo patrimoniale, trust, esdebitazione post-fallimento) – tenendo conto delle limitazioni e dell’eventuale revocabilità di atti dispositivi in prossimità dell’insolvenza.

Esaminiamo ciascuno di questi punti con maggior dettaglio operativo.

Comunicazione e rinegoziazione con la banca

Il primo alleato (o antagonista) dell’impresa debitrice è la banca stessa. Non bisogna pensare alla banca solo come controparte rigida: gli istituti hanno interesse, in molti casi, a evitare procedure lunghe e costose, e a massimizzare il recupero del credito. Soprattutto se il default non è ancora conclamato, vale la pena dialogare apertamente con la banca. Ecco alcune azioni consigliate:

  • Contattare tempestivamente il gestore o il direttore della filiale che ha erogato il finanziamento non appena si prevede un problema di pagamento. Spiegare le cause delle difficoltà (es. calo commesse, ritardo pagamenti clienti, crisi temporanea di liquidità dovuta a eventi straordinari) e manifestare la volontà di trovare una soluzione. La trasparenza iniziale può evitare che la banca perda fiducia del tutto.
  • Richiedere formalmente una rinegoziazione delle condizioni del prestito. Questa richiesta va preferibilmente messa per iscritto (meglio tramite PEC o raccomandata) sotto forma di lettera di rinegoziazione. Nella lettera l’impresa dovrebbe:
    • Riassumere la situazione attuale e le difficoltà incontrate.
    • Chiedere esplicitamente le modifiche necessarie (es. “si chiede concessione di una moratoria di 6 mesi sul pagamento delle quote capitale delle rate, con prolungamento della durata del finanziamento di ulteriori 12 mesi”; oppure “si propone un piano di rientro con rate ridotte di 50% per i prossimi 12 mesi e recupero delle somme posticipato a fine piano”).
    • Evidenziare come tali misure consentirebbero di riprendere regolarmente i pagamenti successivamente, magari allegando un piccolo piano finanziario previsionale o copia di nuovi ordini/acquisizioni che dovrebbero migliorare la situazione.
    • Assicurare la volontà di adempiere e magari offrire qualche garanzia aggiuntiva: ad esempio, disponibilità a fornire un impegno personale dell’amministratore, o a ipotecare un bene privo di vincoli se la banca allunga il termine (questo ovviamente se vi sono asset ancora liberi e se la banca lo richiede).
    L’obiettivo è convincere la banca che conviene anche a lei attendere e concedere respiro, piuttosto che affrettarsi a escutere la garanzia SACE e procedere legalmente. Se la banca percepisce che c’è una chance di recuperare integralmente il credito in tempi ragionevoli aiutando l’impresa a superare un momento critico, potrebbe aderire.
  • Moratorie e sospensioni delle rate: In passato, nei momenti di crisi sistemiche, sono state varate moratorie generalizzate (ad es. accordi ABI per sospensione rate durante il Covid). Al 2025 non risultano moratorie pubbliche attive specifiche. Tuttavia, la singola banca può accordare una sospensione temporanea del pagamento delle quote capitale, continuando magari a incassare i soli interessi (cosiddetto “periodo di grazia” o standstill). Questo equivale a prolungare il preammortamento. Ad esempio, sospendere per 6 mesi le quote capitale di un mutuo 5 anni e spostare in coda quelle quote, allungando la durata complessiva di 6 mesi. Oppure concedere 6 mesi di preammortamento aggiuntivo se inizialmente non previsto. Queste misure possono aiutare se la crisi è ritenuta temporanea.
  • Allungamento del piano di ammortamento: La banca potrebbe accettare di estendere la durata del finanziamento (entro certi limiti, normalmente non oltre il massimo consentito dalla garanzia SACE che è 8 anni). Ad esempio, passare da 5 a 7 anni, in modo da ridurre l’importo di ciascuna rata. Attenzione: qualora si allunghi oltre i 6 anni, occorre (o occorreva) anche l’estensione della garanzia SACE. La normativa consentiva estensioni, ma solo fino a 8 anni totali e previa domanda a SACE. Dunque la banca potrebbe richiedere un addendum con SACE per mantenere la copertura sulla durata extra. In ogni caso, questa opzione è fattibile se la banca crede nella solvibilità di lungo termine dell’impresa.
  • Consolidamento del debito: un’altra ipotesi è rinegoziare il finanziamento trasformandolo (se era a breve) in un mutuo a medio termine, oppure consolidando rate scadute in un unico nuovo importo con un piano di rientro dedicato. Ad esempio, se vi sono già 2-3 rate arretrate, proporre di incorporarle nel capitale residuo e ricalcolare un nuovo piano di ammortamento come se fosse un nuovo mutuo (magari con un tasso rivisto).
  • Coinvolgere terzi garanti o co-finanziatori: se l’imprenditore riesce a trovare un investitore o un socio disponibile ad apportare liquidità, può presentarlo alla banca come elemento nuovo. Ad esempio, un nuovo socio che immette denaro fresco destinato in parte a saldare una quota del debito e in parte a rilanciare l’attività. La banca potrebbe, in tal caso, accettare di stralciare una parte di interessi o di ristrutturare il resto pur di ottenere un pagamento parziale immediato. Questo sconfinerebbe nella sfera di un accordo transattivo sul debito (ne parliamo tra poco).
  • Transazione a saldo e stralcio: In alcuni casi, soprattutto se la banca non è ottimista sulla ripresa dell’azienda, si può tentare una transazione: offrire un pagamento parziale immediato (o in poche soluzioni ravvicinate) a saldo e stralcio dell’intero debito. Ad esempio, proporre di pagare subito il 50% del dovuto e la banca rinuncia al restante 50%. Questo approccio richiede risorse finanziarie esterne (spesso familiari, altri soci o un finanziatore esterno). Può convincere la banca se ritiene che altrimenti dovrebbe attivare garanzia SACE (ottenendo sì l’80-90%, ma magari tra qualche mese e poi dover rincorrere per il 10-20% restante). Una transazione vantaggiosa potrebbe dare alla banca grosso modo lo stesso ammontare netto (considerando tempo e spese) che otterrebbe con SACE, però incassandolo subito e chiudendo la posizione. D’altro canto, SACE in quanto garante deve acconsentire se la banca rinuncia a parte del credito: la banca infatti non può volontariamente ridurre il debito senza coinvolgere SACE, altrimenti rischia di pregiudicare il diritto di SACE di surroga. In genere, per transazioni che comportano rinunce superiori alla parte non garantita (es. banca rinuncia anche a parte che sarebbe garantita), serve un accordo tripartito con SACE, che non è facile da ottenere. Quindi i margini di stralcio sono spesso limitati al massimo alla quota di rischio banca.

In tutte queste trattative, è fortemente consigliabile farsi assistere da un avvocato esperto di diritto bancario o un advisor finanziario, perché:

  • Saprà negoziare con la banca parlando il suo linguaggio, presentando le proposte in termini convincenti anche giuridicamente (ad es. formalizzare un accordo di standstill).
  • Potrà verificare se nel contratto originario vi siano clausole che prevedono penali o costi per rinegoziazioni e cercare di evitarli.
  • Redigerà eventuali accordi modificativi in forma scritta e chiara, tutelando l’impresa su aspetti come la non decadenza della garanzia SACE (da preservare) o l’impegno della banca a non segnalare a sofferenza durante la rinegoziazione.
  • Mantiene la trattativa su un livello professionale, evitando derive emotive o promesse non realistiche da parte dell’imprenditore.

Talvolta, inoltre, la banca può suggerire di utilizzare strutture speciali: ad esempio, se il finanziamento è pesante e l’azienda ha anche altri debiti, suggerire di andare verso un accordo di ristrutturazione o un concordato, in modo da gestire tutto in un quadro legale più ampio (di questo al punto successivo).

Procedure di composizione negoziata della crisi d’impresa

Se la situazione di crisi non coinvolge solo il singolo prestito SACE ma è più generalizzata (più debiti, tensioni di liquidità complessive), uno strumento moderno che l’imprenditore può attivare è la composizione negoziata della crisi (introdotta dal D.L. 118/2021, poi confluito nel Codice della Crisi d’Impresa del 2019 riformato). Si tratta di una procedura volontaria e stragiudiziale, ma con alcuni effetti protettivi, finalizzata a trovare un accordo con i creditori con l’aiuto di un Esperto indipendente nominato dalla Camera di Commercio.

Come funziona in breve:

  • L’imprenditore (società o ditta individuale commerciale) che si trova in squilibrio patrimoniale o economico-finanziario e ritiene di avere possibilità di risanamento, può presentare istanza sulla piattaforma telematica dedicata alla composizione negoziata. Nella domanda vanno inserite informazioni sull’impresa, bilanci, debiti, ecc.
  • Un apposito organismo nomina un Esperto (in genere un commercialista o professionista con esperienza in crisi) che studia la situazione e convoca l’imprenditore.
  • L’Esperto, terzo e imparziale, guiderà gli incontri tra l’imprenditore e i principali creditori per negoziare possibili soluzioni: ristrutturazione debiti, aumenti di capitale, cessioni di asset, dilazioni, accordi stragiudiziali.
  • Questo è un percorso riservato (non si pubblicizza all’esterno che l’impresa è in composizione negoziata) e dura pochi mesi (fino a 180 giorni prorogabili).
  • Durante la negoziazione, l’imprenditore può chiedere al tribunale misure protettive come la sospensione delle azioni esecutive dei creditori (quindi stop temporaneo a pignoramenti) e il blocco delle istanze di fallimento. Tali misure, se concesse, danno respiro e impediscono ai creditori (banca compresa) di procedere o proseguire l’escussione mentre si tratta. Tipicamente, un’azienda avvia la composizione negoziata proprio per evitare che la banca o altri pignorino tutto.
  • Se le trattative vanno a buon fine, si formalizza un accordo con uno o più creditori. Può trattarsi di un accordo di moratoria, ristrutturazione bilaterale con la banca, o un accordo plurilaterale sottoscritto da più soggetti. L’Esperto attesta la idoneità dell’accordo a risanare l’impresa. Questo accordo può rimanere riservato oppure, se coinvolge la generalità dei creditori, può essere pubblicato e utilizzare strumenti come l’omologazione giudiziale per estenderlo a dissenzienti (diventa simile a un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 57 CCII).
  • Se le trattative non trovano soluzione, l’imprenditore può comunque ripiegare su procedure concorsuali (concordato semplificato per liquidazione, ad esempio).

Nel caso specifico di un finanziamento SACE non pagato, la composizione negoziata può essere utile se:

  • L’impresa ha prospettive di recupero con un po’ di respiro (es. ordini in crescita nel prossimo semestre).
  • Oltre alla banca/SACE, ci sono altri creditori rilevanti con cui trovare un’intesa (fornitori, fisco, ecc.), per cui serve una piattaforma unitaria di confronto.
  • Si vuole congelare la situazione per qualche mese (utilizzando le misure protettive) e intanto magari portare avanti trattative di rinegoziazione senza la pressione dei pignoramenti.

È importante sottolineare che la composizione negoziata è volontaria: i creditori possono comunque rifiutare le proposte. Non c’è imposizione se non c’è accordo. Ma l’esperto negoziatore può fare la differenza nel trovare soluzioni creative (es. conversione parziale del debito in strumenti partecipativi, concessione di nuova finanza con prededuzione per rilanciare l’impresa, etc.).

Per la banca, aderire a una composizione negoziata può significare magari accettare una dilazione più ampia oppure un soddisfo parziale, ma in un contesto vigilato e condiviso con altri creditori, avendo la garanzia di un piano di risanamento credibile attestato. Se l’alternativa è far fallire l’azienda recuperando poco dalla liquidazione, spesso preferiranno l’accordo.

Dunque, se l’impresa vede che da sola non riesce a convincere la banca, coinvolgere la procedura di composizione negoziata può aggiungere autorevolezza (l’Esperto attesta i dati) e protezione (stop azioni esecutive intanto). Naturalmente, serve un piano industriale dietro: occorre dimostrare che con certe concessioni sui debiti l’azienda può tornare in equilibrio (riduzione costi, nuovi ricavi, investitore interessato, etc.).

Strumenti di sovraindebitamento per imprenditori individuali e piccoli imprenditori

Se il debitore è un imprenditore individuale o una piccola impresa non fallibile, esistono strumenti specifici, eredi della Legge 3/2012 (ora assorbiti nel Codice della Crisi), per gestire situazioni di sovraindebitamento (cioè insolvenza di soggetti non soggetti a fallimento). Parliamo del piano del consumatore e dell’accordo di composizione dei debiti (concordato minore).

  • Piano del consumatore (ora “piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore”): è uno strumento destinato alla persona fisica che ha debiti assunti per scopi estranei all’attività imprenditoriale. Se l’imprenditore ha garantito personalmente il finanziamento SACE o se parte del debito lo riguarda come persona (es. ditte individuali con commistione di debiti personali e aziendali), potrebbe accedere al piano del consumatore per quella porzione. Il vantaggio di questo istituto è che non richiede l’accordo dei creditori: il tribunale può omologare un piano di pagamento parziale dei debiti, con falcidia (taglio) delle somme, basato sulla capacità di rimborso del debitore in un certo periodo (tipicamente 4-5 anni), se il debitore ha agito con meritevolezza e si trova in difficoltà senza colpa grave. Ad esempio, un piccolo imprenditore potrebbe proporre di pagare il 50% dei propri debiti personali (incluso quanto dovuto come garante alla banca/SACE) in 5 anni, utilizzando il proprio stipendio o pensione, e chiedere l’esdebitazione del resto. Se il giudice ritiene la proposta equa e i creditori vengono soddisfatti almeno in base alla sua capacità, può approvare anche senza consenso di banca o SACE. Ovviamente il debitore dev’essere “meritevole” (non deve aver colposamente creato il sovraindebitamento). L’inadempimento dovuto a crisi economica potrebbe rientrare nella buona fede, salvo comportamenti scorretti.
  • Accordo di ristrutturazione dei debiti del soggetto sovraindebitato (cd. concordato minore): qui invece serve il consenso di una maggioranza di creditori (il 60% per accordo di composizione nella vecchia legge). È simile a un mini-concordato preventivo per chi non può fallire. Utile se il debitore ha più creditori e vuole una soluzione negoziale con efficacia erga omnes. Nel nostro caso, se l’azienda è individuale o sotto soglia fallimento, può proporre un accordo a tutti i creditori (banca/SACE, fornitori, fisco se incluso, ecc.) presentando un piano in tribunale. Se i creditori che rappresentano il 60% dei crediti accettano, l’accordo viene omologato e vincola tutti, anche i dissenzienti. Il tribunale nomina un OCC (Organismo Composizione Crisi) che aiuta a predisporre il piano e funge da controllo. Un vantaggio: come per il concordato, la presentazione della domanda può sospendere azioni esecutive individuali. Dunque se l’imprenditore “piccolo” ha un grosso debito verso la banca/SACE e altri debiti minori, potrebbe convenire persuadere la banca ad aderire (magari promettendo di pagare ad essa una % più alta rispetto ad altri creditori) e poi forzare il piano su tutti.
  • Esdebitazione del debitore incapiente: da notare, il codice crisi ha introdotto anche la possibilità di esdebitazione per il sovraindebitato che non ha alcuna risorsa per pagare creditori (c.d. “esdebitazione del debitore meritevole incapiente”). In casi estremi, l’imprenditore insolvente persona fisica, se proprio non ha beni né redditi, può chiedere di essere liberato dai debiti residui senza pagamento, a patto di comportarsi corretto e di non riuscire oggettivamente a offrire niente. Questo però è un “colpo di grazia” finale, tipicamente dopo liquidazione del poco esistente. Se il finanziamento SACE ha lasciato l’imprenditore con immobile pignorato e nulla da dare, potrebbe essere una strada per ripartire pulito (ma l’esdebitazione cancella i debiti personali, non salva l’azienda che ormai sarebbe spogliata).

In generale, per un imprenditore di piccole dimensioni con un singolo grande debito (come può essere un prestito SACE), l’approccio tramite la legge sul sovraindebitamento può essere efficace soprattutto se la banca/SACE è disposta a un compromesso e se il tribunale riconosce la buona fede. Va pianificato con l’assistenza di professionisti specializzati (Organismi di Composizione della Crisi territoriali).

Accordo di ristrutturazione o concordato preventivo per società

Quando la scala dell’impresa è più grande (s.r.l. o s.p.a. soggetta a fallimento) e l’indebitamento è diffuso, occorre valutare anche l’opzione di un concordato preventivo o di un accordo di ristrutturazione dei debiti in sede concorsuale. Questi strumenti, previsti nel Codice della Crisi d’Impresa, hanno vantaggi e svantaggi:

  • Accordo di ristrutturazione dei debiti (art. 57 CCII): è un accordo privato con creditori che rappresentino almeno il 60% dei crediti, omologato dal tribunale. A differenza della composizione negoziata (che è informale) qui serve comunque l’omologazione, ma è più snello del concordato perché coinvolge solo i creditori aderenti, mentre i non aderenti vengono pagati integralmente (fuori accordo). Per esempio, la società potrebbe raggiungere un accordo con la banca e pochi altri creditori principali per riscadenzare o ridurre i debiti, e lasciare fuori altri creditori minori pagandoli regolarmente. Se il tribunale omologa, l’accordo diventa vincolante per chi ha aderito (non impone tagli a chi non ha firmato). Utile quando si hanno alcuni grandi creditori con cui c’è intesa, e i piccoli sono sostenibili a parte. Nel nostro caso, se la banca/SACE è il 70% dell’indebitamento totale e accetta un piano, quell’accordo può essere omologato ed essere efficace (servirebbe comunque il 60%: se SACE + banca sommano oltre 60 e stanno dentro, è a posto).
  • Concordato preventivo: è la classica procedura concorsuale in cui l’azienda propone a tutti i creditori un piano che di solito prevede il pagamento parziale dei debiti e/o la loro conversione in strumenti, in un contesto regolato dal tribunale. Il concordato può essere:
    • In continuità aziendale: l’azienda prosegue attività e paga i creditori col ricavato dell’attività futura, magari ridotto. Utile se l’impresa è ancora viable come going concern ma ha un debito insostenibile che va ristrutturato.
    • Liquidatorio: l’azienda cessa l’attività e liquida i beni, però in modo concordato dando magari qualche beneficio ai creditori rispetto al fallimento (ad esempio un apporto di terzi, tempi più rapidi, ecc.). Nel Codice Crisi esiste anche un “concordato semplificato” se fallisce la composizione negoziata: liquidazione diretta con riparto concordatario, senza voto creditori.
    Perché considerare il concordato? Perché appena si deposita la domanda (anche “con riserva” come piano in bianco) si ottiene lo stay delle azioni esecutive (nessun creditore può iniziare o proseguire pignoramenti, ai sensi art. 54 CCII). Questo immediatamente blocca la banca e SACE dal procedere individualmente. Inoltre, consente di gestire tutti i creditori in un unico calderone, imponendo eventualmente sacrifici anche a SACE: se il credito di SACE è privilegiato dovrà essere pagato almeno in parte sul realizzo dei beni relativi, ma se non completamente coperto può subire decurtazioni per la parte chirografaria. Anche la banca per la sua parte chirografaria può essere falcidiata. In sostanza, il concordato offre lo strumento per ridurre l’ammontare dovuto secondo le regole di graduazione dei crediti, con il voto favorevole della maggioranza dei creditori (maggioranza per classi o percentuale di crediti). Un aspetto rilevante: come visto, SACE gode di privilegio ex lege sul suo credito. Quindi in un concordato, SACE avrà diritto a essere soddisfatta come creditore privilegiato almeno in parte (fino a capienza sui beni mobili, che di solito c’è se l’azienda ha magazzino/attrezzature). Però il concordato può prevedere ad esempio il pagamento parziale del privilegio (se non c’è capienza integrale) e il resto in chirografo con una certa percentuale. Serve comunque l’adesione (voto) di SACE e altri creditori per approvarlo.
  • Esempio di concordato in continuità: l’azienda propone: “Continuo l’attività, i crediti privilegiati (tra cui SACE) li pago al 80% in 5 anni, i creditori chirografari li pago al 20% in 5 anni, mantenendo i posti di lavoro e con nuovi investimenti”. I creditori votano; se la maggioranza approva, anche i dissenzienti sono obbligati al trattamento del piano. Questo consentirebbe all’azienda di dimezzare il debito SACE-banca e di dilazionarlo molto, salvando la gestione.
  • Esempio di accordo di ristrutturazione(continua dalla sezione precedente)

  • Esempio di accordo di ristrutturazione: supponiamo che la nostra società debitrice abbia, oltre al finanziamento SACE, altri debiti verso fornitori e fisco. Potrebbe proporre un accordo ai creditori principali (la banca/SACE e magari l’erario) in cui si impegna a pagare integralmente banca e SACE ma in un periodo più lungo (beneficiando di nuova finanza o cessione di un asset), mentre i creditori minori vengono pagati regolarmente fuori accordo. Se banca e SACE, che rappresentano oltre il 60% del totale debiti, aderiscono all’accordo, lo si può portare in tribunale per l’omologazione: una volta omologato, l’accordo vincola quegli enti alle nuove scadenze pattuite e libera l’azienda dalla minaccia immediata. I creditori estranei dovranno comunque essere pagati per non creare pregiudizio.

In definitiva, valutare una procedura concorsuale è opportuno quando:

  • Il debito complessivo eccede di gran lunga le possibilità di rimborso integrale.
  • I creditori (banca/SACE compresi) appaiono refrattari a semplici dilazioni private.
  • È necessario congelare le azioni esecutive e gestire in modo ordinato la crisi.
  • L’impresa ha ancora valore come attività in esercizio (concordato in continuità) oppure, se deve cessare, conviene chiudere con un concordato liquidatorio piuttosto che con un fallimento, per poter accedere poi all’esdebitazione e magari ripartire sotto altra forma.

Chiaramente, queste soluzioni richiedono l’assistenza di professionisti specializzati (avvocati, commercialisti) sin dalla fase di predisposizione del piano e della domanda in tribunale. I costi non sono trascurabili, ma spesso quando il debito è molto elevato rappresentano l’unica via per salvare il salvabile ed evitare responsabilità personali per gli amministratori (che altrimenti rischiano azioni di responsabilità se non gestiscono correttamente la crisi).

Opposizione a decreto ingiuntivo e altre difese in giudizio

Parallelamente alle iniziative di ristrutturazione, l’impresa deve sfruttare tutte le difese processuali per rallentare o contestare le pretese dei creditori. In particolare, se la banca (o SACE) ha ottenuto un decreto ingiuntivo o avviato un’esecuzione, è possibile presentare:

  • Opposizione a decreto ingiuntivo (art. 645 c.p.c.): entro 40 giorni dalla notifica dell’ingiunzione, il debitore può depositare un atto di citazione in opposizione davanti allo stesso tribunale, esponendo le proprie contestazioni sul merito del credito. Ad esempio:
    • Contestare il calcolo degli interessi: verificare se il tasso applicato fosse lecito o se vi siano stati addebiti non dovuti (interessi anatocistici non autorizzati, commissioni occulte). Se emerga che il tasso effettivo supera la soglia di usura, il debito per interessi potrebbe essere annullato o ridotto.
    • Contestare la legittimità del contratto: ad esempio, sostenere che il contratto di finanziamento è nullo per mancanza di uno dei requisiti di forma del TUB (documento di sintesi non sottoscritto, clausole poco chiare in violazione dell’art. 117 TUB), oppure che la garanzia SACE non poteva essere concessa perché l’impresa non rientrava nei parametri (quest’ultimo argomento è delicato: equivarrebbe ad ammettere di aver ottenuto indebitamente l’aiuto di Stato, cosa che potrebbe sollevare altre conseguenze; ma in teoria un contratto stipulato in violazione di norme imperative potrebbe essere affetto da nullità parziale).
    • Far valere inadempimenti della banca: ad esempio se la banca non ha erogato l’intero importo richiesto nei termini pattuiti o ha trattenuto indebitamente somme; oppure se ha violato l’obbligo di informazione precontrattuale. In generale, eccepire “inadimpleti non est adimplendum” (se applicabile).
    • Eccepire la sopravvenuta irragionevolezza nell’applicazione delle clausole: ad esempio, invocare la forza maggiore della crisi pandemica/energetica per chiedere una revisione giudiziale delle condizioni. Questo però in diritto italiano non ha molto spazio, a meno di non configurare eccessiva onerosità sopravvenuta (art. 1467 c.c.) – ma su contratti di finanziamento è difficilmente accoglibile.
    L’opposizione trasforma il procedimento in un giudizio ordinario in cui la banca dovrà dimostrare la fondatezza del proprio credito. Questo dà tempo all’impresa (il giudizio può durare molti mesi o anni). Nel frattempo, se l’ingiunzione non era esecutiva o se si riesce a ottenere sospensione, si evita il pignoramento immediato. Anche se l’ingiunzione era esecutiva, l’opposizione ben motivata può convincere il giudice a sospendere la provvisoria esecuzione (art. 649 c.p.c.) presentando elementi seri di contestazione. Va detto: opporsi senza valide ragioni può solo ritardare l’inevitabile e aumentare le spese legali a carico. Però, in situazioni di negoziazione, il contenzioso può fare da leva: la banca potrebbe preferire accordarsi anziché impantanarsi in una causa dall’esito incerto. Ad esempio, se si solleva l’usurarietà del tasso, la banca affronterebbe il rischio di vedersi cancellare tutti gli interessi a fine giudizio, e potrebbe trattare uno sconto pur di chiudere subito.
  • Opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.): se il pignoramento è già iniziato (ad esempio sul conto corrente), il debitore può proporre opposizione all’esecuzione sostenendo che non è dovuto procedere esecutivamente. Ad esempio, se dopo l’ingiunzione la banca ha ottenuto il pagamento da SACE, potrebbe arguire che il titolo esecutivo della banca non può essere usato per l’intero importo (perché SACE ha pagato e la banca è stata soddisfatta pro-quota). Sono questioni tecniche: di fatto occorrerebbe un coordinamento tra banca e SACE su chi procede. Se invece ci sono vizi nel pignoramento (mancato rispetto dei termini, notifica irregolare, pignoramento oltre i limiti di legge, ecc.), si può fare opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.) per farlo annullare. Queste però sono difese più di dettaglio procedurale.
  • Riduzione del pignoramento: se il pignoramento blocca più beni del necessario (ad esempio somme nettamente superiori al dovuto), si può chiedere al giudice la liberazione dell’eccesso. Nel caso di conti correnti, a volte accade che vengano congelate somme superiori al credito, e l’azienda resta paralizzata anche oltre il dovuto.
  • Conversione del pignoramento: il debitore può evitare la vendita forzata dei beni pignorati versando in tribunale una somma equivalente al credito pignorato, spese e interessi (art. 495 c.p.c.). In pratica, depositando la somma dovuta (magari raccogliendola da terzi) può “convertire” il pignoramento in denaro e liberare i beni. Questo però richiede di avere comunque le risorse per coprire il dovuto, quindi è una difesa solo se si è trovata liquidità nel frattempo (ad es. un nuovo prestito da un parente o investitore).

In ogni caso, affidarsi a un avvocato è indispensabile per valutare queste difese. L’avvocato esaminerà il contratto di finanziamento e gli atti della banca con la lente d’ingrandimento, alla ricerca di clausole nulle, errori di calcolo, vizi formali che possano costituire materia di causa. Ad esempio, in ambito bancario non è raro trovare:

  • Errori nel calcolo del TAEG o omissione di indicazione chiara dello stesso (che può portare a sanzioni come l’applicazione del tasso BOT).
  • Clausole di interessi di mora che sommate al tasso base risultano usurarie ex post (e la giurisprudenza a volte dichiara la nullità degli interessi moratori se superano la soglia di usura).
  • Vizi nella segnalazione in Centrale Rischi (mancato preavviso, segnalazione frettolosa) che possono essere oggetto di causa separata per danni, creando un contenzioso incrociato che può indurre la banca alla prudenza.
  • Questioni relative alla garanzia SACE: ad esempio, se la banca ha escusso SACE in maniera non conforme al regolamento (fuori tempo, o senza aver soddisfatto requisiti), SACE potrebbe negare il pagamento. In tal caso, la banca rimane scoperta e potrebbe essere più propensa a negoziare. Oppure, se vi è una disputa tra banca e SACE, il debitore potrebbe guadagnare tempo in mezzo.

In breve, la linea difensiva giudiziale serve a prendere tempo e a guadagnare leverage negoziale. Può affiancarsi alle trattative: mentre si tratta un accordo, avere un’opposizione pendente in tribunale spinge la banca a trovare un compromesso anziché attendere l’esito incerto.

Bisogna però stare attenti a non abusare del processo con intenti meramente dilatori, per non incorrere in condanne a spese e ulteriori aggravamenti. La difesa dev’essere costruita su argomenti seri.

Esempi pratici di difesa riuscita

Per concretizzare queste strategie, presentiamo qualche scenario esemplificativo di come un’impresa in default su finanziamento SupportItalia possa difendersi efficacemente:

  • Esempio 1: Moratoria e allungamento con l’aiuto dell’avvocato – L’azienda Alfa S.r.l., colpita dall’aumento dei costi energetici, fatica a pagare le rate del prestito SACE. Con due rate insolute, Alfa si rivolge a un legale. L’avvocato invia una lettera di rinegoziazione dettagliata alla banca, allegando un piano di cash flow che mostra che, con 12 mesi di moratoria e 24 mesi di allungamento, l’azienda tornerebbe liquida grazie a nuovi contratti in acquisizione. La banca, vedendo la documentazione seria (asseverata dal commercialista) e preferendo evitare un default, accetta di sottoscrivere un accordo di modifica: 6 mesi di sola quota interessi, rate allungate di un anno, mantenimento della garanzia SACE previa approvazione SACE stessa. Alfa riprende fiato, e con il supporto legale monitora che la banca segnali in Centrale Rischi la posizione come “ristrutturata” (e non come sofferenza) evitando danni reputazionali. Dopo un anno, Alfa torna regolare e salva il rapporto creditizio. Morale: la trattativa ben preparata ha evitato il precipitare in contenzioso.
  • Esempio 2: Composizione negoziata e concordato minore – Beta Snc (piccola impresa artigiana) ha un finanziamento SACE di €300.000 insoluto e debiti con 5 fornitori per €100.000. Le azioni legali stanno per partire. Beta avvia una composizione negoziata: ottiene misure protettive dal tribunale (sospendendo un pignoramento sul conto), e con l’aiuto dell’Esperto negozia con la banca la seguente proposta: pagamento del 70% del credito SACE in 4 anni, con personale apporto dei soci di €50.000, e saldo al 20% per i fornitori in 2 anni. La banca, visto il coinvolgimento dell’Esperto e la prospettiva di recuperare più di quanto otterrebbe liquidando l’azienda, accetta. Alcuni fornitori invece fanno resistenza. Beta allora decide di convertire la proposta in un concordato minore (sovraindebitamento): raccoglie l’adesione di banca e di fornitori per il 60% dei crediti, e il tribunale omologa l’accordo nonostante due fornitori dissenzienti. Beta Snc quindi paga i debiti secondo il piano omologato (la banca riceve il 70% dilazionato ma evita perdite maggiori, i fornitori ottengono qualcosa invece di nulla) e l’azienda continua l’attività. I soci mantengono la proprietà della casa perché sono riusciti a contenere le azioni grazie alla procedura.
  • Esempio 3: Opposizione e transazione a saldo – Gamma S.p.A. non è riuscita a evitare che la banca escutesse SACE e ottenesse decreto ingiuntivo per €1 milione. Il loro avvocato propone opposizione al decreto eccependo che il tasso di interesse applicato negli ultimi due anni (variabile con spread alto) ha superato in alcuni trimestri la soglia antiusura se si sommano interessi corrispettivi e di mora. Inoltre, emerge che la banca aveva addebitato una commissione di massimo scoperto non pattuita. Forte di queste argomentazioni (periziate da un consulente tecnico di parte), Gamma chiede in giudizio la nullità degli interessi ultralegali e la rideterminazione del saldo. Contestualmente, tramite l’avvocato, Gamma invita la banca e SACE a un tavolo transattivo: offre €600.000 in pagamento immediato (provenienti dalla vendita di un ramo d’azienda non core) a fronte della rinuncia di tutte le parti a ulteriori pretese. La banca, facendo i conti: con SACE ha già recuperato 800k, le resterebbero 200k di esposizione più spese, ma rischia in causa di vederseli decurtare; SACE, dal canto suo, preferisce incassare subito 200k (dei 800k pagati) piuttosto che attendere l’esito incerto di fallimento. Alla fine accettano la transazione a saldo e stralcio: Gamma paga €600k, la causa viene abbandonata, il debito residuo è stralciato. L’azienda ha perso asset e ha pagato, ma evita il fallimento ed è libera dal debito statale che altrimenti l’avrebbe gravata per anni.

Questi esempi, pur semplificati, mostrano come combinando strumenti negoziali e giudiziali sia possibile ridurre i danni di un default. Ogni caso è unico, e il successo dipende dalla tempestività (muoversi prima che i margini si riducano) e dalla credibilità delle proposte (un creditore accetta perdite o attese solo se l’alternativa appare peggiore).

Nei prossimi paragrafi forniremo alcuni modelli di atti legali utili e consigli su come interfacciarsi al meglio con il proprio legale per attuare queste strategie.

Modelli di atti legali utili

In questa sezione presentiamo dei modelli schematici (fac-simile) di atti e documenti che spesso entrano in gioco nella gestione legale di un finanziamento non pagato. Si tratta di bozze generali: ogni atto andrà personalizzato dal professionista legale secondo le circostanze specifiche. Tuttavia, può essere utile per l’imprenditore conoscere la struttura di massima di questi atti per capire cosa aspettarsi.

Fac-simile di Lettera di richiesta di rinegoziazione alla banca

Mittente: [Intestazione dell’azienda debitore]
Destinatario: [Banca XYZ – Ufficio Creditizio / Direttore Filiale]
Oggetto: Richiesta di rinegoziazione condizioni del finanziamento SACE SupportItalia n. [numero contratto]

Egregi Signori,
la scrivente ABC S.r.l., codice cliente [____], beneficiaria del finanziamento in oggetto erogato il [data] per €[importo] con garanzia SACE SupportItalia, con la presente intende sottoporre alla Vostra attenzione una proposta di rimodulazione delle condizioni di rimborso.

Stato attuale: Purtroppo, a causa di [spiegazione delle cause: es. “un imprevedibile calo di commesse del 30% nel secondo semestre 2024 dovuto alla crisi del settore”], l’azienda si trova in temporanea carenza di liquidità. Ciò ha comportato difficoltà nel rispettare regolarmente le scadenze del finanziamento: in particolare la rata del [data] pari a €[X] non è stata pagata nei termini. Confidiamo che tale situazione sia di natura transitoria, essendo già in atto misure di rilancio (come dettagliato oltre).

Proposta di rinegoziazione: al fine di assicurare il regolare prosieguo dei pagamenti ed evitare l’incaglio definitivo dell’esposizione, ABC S.r.l. propone quanto segue:

  • Moratoria parziale: sospensione del pagamento della quota capitale delle rate per un periodo di 6 mesi, a decorrere dalla rata di [prossima scadenza]. In tale periodo verrebbero corrisposti solo gli interessi maturati.
  • Allungamento della durata: prolungamento del piano di ammortamento di ulteriori 24 mesi oltre la scadenza attuale, ridistribuendo il capitale residuo (comprensivo delle quote oggetto di moratoria) sulle nuove rate. La nuova durata totale sarebbe dunque di [X] mesi, con ultima rata prevista al [nuova data finale entro 8 anni].
  • Mantenimento garanzia SACE: la presente proposta è formulata nell’ottica di mantenere attiva la garanzia SACE SupportItalia; siamo disponibili a presentare formale richiesta a SACE per l’estensione della garanzia sino alla nuova scadenza, come da normativa vigente.
  • Impegni aggiuntivi: la Società si impegna a destinare integralmente alla copertura delle rate ogni eventuale introito straordinario (es. crediti fiscali in rimborso, indennizzi assicurativi) durante il periodo di moratoria, nonché a non distribuire utili fino a completa regolarizzazione del piano (anche se attualmente non previsti utili data la situazione). In allegato trasmettiamo estratto del piano finanziario 2025-2026 da cui risulta la sostenibilità delle nuove rate proposte, tenuto conto delle misure di riduzione costi e delle commesse acquisite di recente.

Riteniamo che la rinegoziazione proposta sia nell’interesse di entrambe le parti: consentirebbe alla sottoscritta di superare l’attuale fase critica e onorare integralmente il debito, ed alla Vostra spettabile banca di massimizzare il recupero senza dover attivare garanzie statali o procedure legali gravose. A supporto della nostra buona fede, alleghiamo:

  1. Situazione contabile aggiornata al [data] e piano di tesoreria per i prossimi 12 mesi.
  2. Lettera di intenti per nuovi contratti commerciali per €[importo], con fatturato atteso a partire da [mese/anno].
  3. Dichiarazione dell’amministratore unico di impegno a fornire finanza aggiuntiva per €[importo] mediante apporto soci entro [data] (se applicabile).

Restiamo a disposizione per incontrarVi e discutere i dettagli della presente proposta. Il nostro obiettivo è trovare una soluzione condivisa che eviti il deteriorarsi del rapporto creditizio. Confidiamo nella Vostra comprensione e volontà di collaborare, visto anche l’andamento storico sempre corretto dei rapporti tra ABC S.r.l. e la Vostra Banca negli anni precedenti.

Certi di un Vostro riscontro positivo, porgiamo distinti saluti.
Luogo, data
Firma [Legale Rappresentante ABC S.r.l.]

(Allegati: Piano finanziario, Situazione contabile, ecc.)

Questo modello mostra un tono costruttivo e trasparente, offre soluzioni concrete e sostiene le richieste con dati. È importante non limitarsi a chiedere “aiuto” generico, ma fornire un piano credibile. Un avvocato può aiutare a redigere questa lettera per dare il giusto taglio giuridico (includendo riferimenti normativi se opportuno, come l’adesione a eventuali linee ABI o l’esperienza di moratorie precedenti).

Schema di Istanza per l’ammissione a Piano del Consumatore / Concordato Minore

Nel caso si decida di procedere con una soluzione giudiziale per sovraindebitamento, l’atto di apertura sarà un’istanza o ricorso al tribunale competente. A titolo di esempio, ecco uno schema semplificato di ricorso per omologazione di un piano del consumatore (si adatterebbe se l’imprenditore è persona fisica e intende risolvere i debiti personali, incluso quello verso la banca/SACE come garante):

Ricorso per l’omologazione di un Piano di Ristrutturazione dei Debiti del Consumatore
Tribunale di [____]
Procedura ex artt. 67 ss. Codice Crisi (già L.3/2012)

Ricorrente: Mario Rossi, nato a __ il __, residente in __, C.F. __, elettivamente domiciliato in __ presso lo studio dell’Avv. __ (PEC __), rappresentato e difeso dall’Avv. __ come da procura allegata;
Premesso che:

  • Il Sig. Mario Rossi riveste la qualità di consumatore sovraindebitato ai sensi dell’art. 2, c.1, lett. c) CCII, avendo assunto obbligazioni principalmente per scopi personali/familiari (mutuo prima casa, fideiussione prestata in favore della società Alfa Srl di cui era socio, finanziamenti al consumo) e versando attualmente nell’impossibilità di adempierle regolarmente;
  • In particolare, il ricorrente è garante fideiussore di un finanziamento bancario con garanzia SACE di € __ erogato alla Alfa Srl (di cui deteneva il 50% delle quote) e, a seguito dell’insolvenza di detta società, la Banca __ e SACE S.p.A. hanno richiesto al Sig. Rossi l’importo di € __ (escussione della garanzia e decreto ingiuntivo n./ Tribunale di __); inoltre egli ha debiti personali per € __ verso __ (specificare, es. mutuo residuo, carte di credito, ecc.);
  • Le cause del sovraindebitamento non sono imputabili a dolo o colpa grave del ricorrente, ma a circostanze sfortunate: la Alfa Srl è stata travolta dalla crisi economica 2020-2022, e la banca ha escusso la garanzia statale nonostante gli sforzi del ricorrente per salvare l’attività;
  • Il ricorrente ha promosso la procedura innanzi all’Organismo di Composizione della Crisi (OCC) presso __, nominando il Gestore Sig. __, il quale ha assistito alla redazione del presente Piano del Consumatore e predisposto la relazione particolareggiata ex art. 70 CCII che si allega;
  • Il piano prevede la soddisfazione dei creditori nei termini e modalità di seguito indicati, ed è fondato sulla effettiva capacità di pagamento del ricorrente, come risulta dalla documentazione reddituale allegata;

Tutto ciò premesso, il Sig. Mario Rossi, tramite il sottoscritto difensore,
CHIEDE
che l’Ill.mo Tribunale voglia omologare, ai sensi degli artt. 69-70 CCII, il Piano di ristrutturazione dei debiti qui presentato, avente il seguente contenuto essenziale:

  • Il ricorrente si impegna a versare nel fondo destinato ai creditori la somma totale di € __, mediante __ rate mensili di € __ ciascuna, a decorrere dal __, utilizzando il proprio reddito da lavoro/pensione (come da prospetto all.);
  • La somma così accumulata sarà ripartita dall’OCC tra i creditori come segue: alla Banca __ (cui è subentrata SACE per surroga) euro __, pari al __% del credito chirografario vantato; al creditore __ euro __ pari al __%; etc.; (specificare percentuali di soddisfo proposte);
  • Si prevede la continuità dei pagamenti delle spese correnti di sostentamento del ricorrente e della sua famiglia, come dettagliato nel piano, che risultano sostenibili parallelamente al versamento suddetto;
  • Il piano assicura che nessun creditore riceva meno di quanto otterrebbe in una procedura liquidatoria (come attestato dall’OCC nella relazione, ove si stima che in caso di liquidazione del patrimonio – costituito essenzialmente da nuda proprietà dell’immobile di residenza gravato da ipoteca – i creditori chirografari non riceverebbero alcuna utilità);
  • Non sono previsti apporti di terzi né garanzie particolari se non l’impegno del ricorrente di destinare al piano anche eventuali somme derivanti da bonus fiscali o ulteriori entrate occasionali nel periodo di esecuzione;
  • (Altre eventuali clausole: es. mantenimento di un conto dedicato monitorato dall’OCC, ecc.)
    Si dichiara che il ricorrente non ha già fatto ricorso a procedure di cui alla L.3/2012 negli ultimi 5 anni, né ha subito provvedimenti di revoca o cessazione di effetti di accordi/piani omologati.

Si allegano i documenti richiesti dall’art. 67 CCII:

  1. Relazione particolareggiata OCC datata __;
  2. Elenco dettagliato di tutti i creditori con somme dovute e cause di prelazione;
  3. Elenco attivo patrimoniale del ricorrente;
  4. Certificazione dei redditi e spese essenziali di sostentamento;
  5. (Eventuale) attestazione di meritevolezza ex art. 69, c. 2 CCII su assenza di atti in frode.

Conclusivamente, il ricorrente chiede che, verificati i presupposti di legge, il Tribunale voglia:

  • Fissare udienza di comparizione ai sensi dell’art. 69 CCII;
  • Omologare il Piano del consumatore sopra illustrato, disponendo che si producano gli effetti esdebitatori di cui all’art. 70 CCII per i debiti coinvolti, fatti salvi quelli non toccati dal piano;
  • (Eventualmente, inaudita altera parte) Emettere i provvedimenti urgenti di sospensione delle azioni esecutive pendenti ex art. 54 CCII, stante la pendenza della procedura (ad esempio se è già in corso un pignoramento da sospendere).

Si dichiara la competenza del Tribunale adito per residenza del consumatore e che il contributo unificato è assolto come da attestazione.

Luogo, data.
Firma Avv. ___
Firma Ricorrente ___

Questo ricorso, se accolto, porterebbe a un decreto di omologazione che vincola banca e SACE (come creditori chirografari, nel caso la fideiussione lo siano dopo la surroga) a ricevere quella percentuale dilazionata e poi considerare estinto il debito residuo.

Allo stesso modo si potrebbe presentare un ricorso di concordato preventivo per la società, che però è molto più complesso (richiede bilanci, piano industriale, attestazione di un professionista sulla fattibilità, ecc.). Non lo riportiamo integralmente per brevità. Basti sapere che includerebbe: stato di crisi, cause, descrizione del piano (o liquidatorio o in continuità), classi di creditori e trattamento proposto (quanto paga a SACE privilegiata, quanto agli altri, etc.), e richiesta di misure protettive immediate. Una volta presentata la domanda di concordato, l’azienda deve seguire pedissequamente le istruzioni del tribunale ed è soggetta a vari obblighi (nomina del commissario, autorizzazioni su atti di gestione, ecc.), quindi è un passo da ponderare bene.

Atto di Opposizione a decreto ingiuntivo – traccia essenziale

Infine, diamo un’idea della struttura di un atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo (che un avvocato redigerà e notificherà alla banca):

Tribunale di [__] – Atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo (art. 645 c.p.c.)

Promuove opposizione: XYZ S.r.l., con sede in , C.F., in persona del legale rappresentante pro tempore Sig., rappresentata e difesa dall’Avv. (come da procura in calce/notificata), elettivamente domiciliata presso ;
contro
Banca ABC S.p.A., con sede in
, C.F., in persona del legale rapp.te p.t., opposta;
nonché contro (eventuale) SACE S.p.A., con sede in
, C.F.__, quale creditrice surrogata indicata nel decreto ingiuntivo, opposta;

Oggetto: Opposizione al decreto ingiuntivo n./ emesso dal Tribunale di __ in data __ e notificato in data , richiesto da Banca ABC S.p.A. nei confronti di XYZ S.r.l. e altri, per €.

Fatti e svolgimento:

  • In data __ Banca ABC otteneva dal Tribunale ingiunzione di pagamento per €, asseritamente dovuti da XYZ S.r.l. quale saldo debitore derivante dal contratto di finanziamento n. garantito da SACE SupportItalia. Nel decreto si ingiungeva anche la medesima somma al fideiussore Sig.__ (se presente). Si allegava estratto conto ex art. 50 TUB e documenti di escussione SACE;
  • Il decreto è stato notificato a XYZ S.r.l. in data __; l’ingiunzione è munita di clausola di provvisoria esecuzione (oppure: non è munita di provvisoria esecuzione);
  • La società opposta ha agito in modo non conforme ai patti e alla legge nel calcolo del credito preteso e nell’esercizio dei propri diritti, come si espone in seguito;

Motivi di opposizione:

  1. Erroneità del credito per applicazione di interessi usurari e oneri non dovuti: L’importo ingiunto risulta comprensivo di interessi ultralegali e moratori che travalicano le soglie di cui alla L.108/96. Dall’analisi peritale del conto (doc. allegato) emerge che il Tasso Effettivo Globale (TEG) relativo al periodo __ ha raggiunto il %, a fronte di un tasso soglia antiusura per le operazioni di credito analoghe pari a %. In particolare, gli interessi di mora (pari al tasso contrattuale + 2 punti) sommati a commissioni di istruttoria rapida hanno determinato usurarietà sopravvenuta. Ai sensi dell’art. 1815 c.c. co.2 e della giurisprudenza di legittimità (Cass. 27442/2018), ciò comporta la nullità della clausola interessi e l’inesigibilità di qualsiasi interesse eccedente il capitale. Ne deriva che il credito andrebbe rideterminato sottraendo € indebitamente addebitati.
    Inoltre, la banca ha applicato una commissione denominata “commissione disponibilità fondi” dello 0,5% trimestrale, non pattuita esplicitamente nelle condizioni economiche del contratto originario, quindi indebita (Cass. 12965/2016 sul punto afferma la nullità di commissioni non trasparenti). Tale importo, pari a €
    , va detratto dal dovuto.
  2. Violazione dell’obbligo di buona fede contrattuale – abuso nella segnalazione a sofferenza: Si evidenzia che la Banca opposta ha provveduto a segnalare XYZ S.r.l. a “sofferenza” in Centrale Rischi già nel mese di __, in concomitanza con la prima rata non pagata, senza inviare il dovuto preavviso e nonostante la società avesse manifestato volontà di ristrutturare il debito. Tale comportamento è contrario alle Istruzioni di Banca d’Italia e configura un illecito che ha aggravato la posizione finanziaria dell’opponente (i fidi presso altri istituti sono stati revocati a seguito di detta segnalazione, come da doc. __). Si fa valere ciò sia come eccezione riconvenzionale di inadempimento (art. 1460 c.c.: la banca ha reso irrealistico il ripianamento travolgendo l’azienda con la segnalazione prematura) sia preannunciando azione di risarcimento del danno in separato giudizio.
    (Questa parte mostra alla banca che c’è un potenziale contenzioso per danni; potrebbe essere usata come leva, anche se spesso in opposizione si preferisce far valere in via riconvenzionale direttamente il risarcimento, cumulando le cause).
  3. Inesigibilità immediata del credito per impropria escussione della garanzia SACE: La banca ha richiesto decreto ingiuntivo per l’intero importo quando però aveva già attivato la garanzia statale. Si rileva che alla data di notifica del decreto, SACE aveva accreditato alla banca €__ (90% del dovuto) come da quietanza del __ (doc.). Pertanto, la banca era già stata soddisfatta pro quota dallo Stato e non poteva domandare al debitore il pagamento integrale, configurandosi altrimenti un indebito arricchimento. Avrebbe dovuto semmai agire SACE per la sua parte. L’opponente eccepisce dunque che il credito azionato da Banca ABC andava ridotto di €, e comunque chiede che si chiarisca la legittimazione attiva in capo ai diversi creditori per evitare duplicazioni di pagamento. (Questa eccezione chiede al giudice di considerare che una parte del credito ormai è di SACE: serve soprattutto a guadagnare tempo e magari costringere a integrare il contraddittorio con SACE).

Tutto ciò considerato, l’opponente conclude chiedendo che il Tribunale voglia:

  • In via preliminare, sospendere la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto, stante la fondatezza delle eccezioni sollevate e il grave pregiudizio derivante dall’esecuzione forzata in corso (conto aziendale bloccato per €, come da comunicazione banca doc.).
  • Nel merito, revocare/annullare il decreto ingiuntivo n./, rigettando la domanda monitoria originaria di Banca ABC S.p.A. perché infondata, o comunque rideterminando l’ammontare eventualmente dovuto detraendo interessi e oneri non dovuti come sopra evidenziato.
  • In via subordinata, nella denegata ipotesi di conferma del decreto, dichiarare non dovuti gli interessi oltre il tasso legale a far data dalla proposizione dell’opposizione, stante la pendenza del giudizio e la controversia sul quantum.
  • Con vittoria di spese di lite a carico delle opposte.

Si producono i seguenti documenti: 1)… 2)… (perizia econometrica, corrispondenza, estratti conto, etc.).
Luogo, data,
Avv. ___ per XYZ S.r.l.


Questo atto, piuttosto tecnico, serve a illustrare come si impostano le difese. Naturalmente, l’avvocato modellerà le argomentazioni su ciò che effettivamente ha rilevato di utile: l’importante è che l’imprenditore metta il legale in condizione di avere tutta la documentazione (contratti, estratti, comunicazioni) per poter trovare gli appigli giusti.

Casi di Studio: Esempi realistici

(Nota: alcuni casi pratici sono già stati illustrati insieme alle strategie di difesa. Riprendiamone qui la sostanza in forma riassuntiva per fornire un colpo d’occhio unitario.)

Caso 1: Revoca del finanziamento e intervento di SACE

Scenario: Azienda Metalmeccanica Alfa S.p.A., 80 dipendenti, ottiene nel 2022 un finanziamento SACE SupportItalia di €5 milioni, garantito al 80%. Nel 2024, a causa del caro materiali e ritardi nei pagamenti dei clienti, Alfa accumula 3 rate insolute per un totale di €600k. La banca, dopo solleciti, a ottobre 2024 revoca il beneficio del termine e dichiara l’intero credito (€4,5 milioni residui) esigibile immediatamente. Contestualmente escute SACE, che dopo 90 giorni paga alla banca l’80% (circa €3,6 milioni). Alfa S.p.A. ora deve €3,6M a SACE e €0,9M alla banca. Entrambi ottengono decreti ingiuntivi provvisoriamente esecutivi. La banca iscrive ipoteca giudiziale sul capannone di Alfa per €900k, SACE notifica pignoramento dei crediti verso clienti per €3,6M.

Conseguenze: Alfa si trova con il conto bancario bloccato e i suoi principali clienti intimati di pagare a SACE. L’azienda, senza incassi, interrompe la produzione e non paga stipendi, i dipendenti minacciano sciopero. Nel frattempo, la garanzia SACE risulta escussa: trattandosi di aiuto di Stato, Alfa teme anche segnalazioni di revoca ai Ministeri. In Centrale Rischi Alfa è segnalata a sofferenza per l’intero importo. I fornitori iniziano anch’essi a pretendere pagamento in anticipo.

Intervento dell’avvocato: Di fronte a questa situazione quasi compromessa, i legali di Alfa propongono ai creditori un ultimo tentativo di concordato preventivo in continuità: presentano in tribunale un piano dove un investitore terzo apporterebbe €2 milioni per acquisire una quota societaria, permettendo di pagare SACE e banca al 50% ciascuno e fornitori al 30%, salvando l’azienda. Il tribunale, su richiesta, blocca le esecuzioni in corso. SACE e banca vengono convocate come principali creditori: SACE, forte del privilegio, chiede di migliorare l’offerta al 60% per sé; la banca accetta il 50% essendo chirografa per la sua parte. Dopo trattative e revisione del piano, i creditori votano: 70% vota sì. Il concordato viene omologato. Alfa S.p.A. riprende le attività con la nuova finanza, paga quanto concordato (SACE €2,16M, banca €0,45M scaglionati in 4 anni) e ottiene l’esdebitazione del residuo. I clienti vengono liberati dal pignoramento (pagheranno in parte a SACE secondo il concordato e riprendono a pagare Alfa per il futuro), l’ipoteca giudiziale viene cancellata alla fine del piano concordatario.

Morale: Anche in uno scenario quasi al collasso, l’utilizzo di strumenti concorsuali ha permesso di evitare il fallimento, coinvolgendo SACE e banca in una soluzione di recupero parziale ma ordinata. Chiaramente, serve un elemento positivo (un investitore o un rilancio credibile) per convincere i creditori, altrimenti preferirebbero liquidare. In assenza di ciò, Alfa sarebbe verosimilmente fallita con cessazione totale e SACE avrebbe recuperato solo in parte tramite privilegio sui macchinari, banca quasi nulla.

Caso 2: Pignoramenti sui beni e ristrutturazione del debito

Scenario: Beta S.r.l., impresa commerciale (negozi al dettaglio), ha un finanziamento SACE di €500k garantito 90%. A seguito di lockdown e calo vendite, non paga più dal 2023. La banca chiama SACE e ottiene €450k a inizio 2024, poi agisce per €50k residui. SACE inizia un’esecuzione immobiliare sulla casa di proprietà del socio garantore (ipotecata come garanzia secondaria del finanziamento). La banca pignora l’incasso del POS del negozio per il suo residuo €50k. Beta S.r.l. è allo stremo: incassi dimezzati e per giunta pignorati, il socio rischia di perdere casa.

Azione intrapresa: Il socio di Beta avvia una procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento come consumatore, includendo il debito di SACE (di cui è garante) e altri debiti personali. Propone di vendere l’immobile ipotecato (valore €300k) e con il ricavato pagare SACE e banca integralmente nei loro privilegi (l’ipoteca di SACE era di 2° grado per €450k, la 1° ipoteca era della banca mutuante casa per €100k – entrambe verrebbero soddisfatte per intero), mentre i restanti debiti minori sarebbero falcidiati. Questo piano viene omologato dal tribunale come concordato minore dei soci. La vendita avviene (un parente del socio acquista la casa), SACE e banca ottengono il pagamento completo dei loro crediti (quindi SACE recupera i €450k, la banca i €50k e pure la banca del mutuo casa €100k). Beta S.r.l., liberata dalle azioni sui soci e avendo chiuso il capitolo finanziamento (il socio ha sacrificato la casa, ma l’azienda in sé non è fallita), riesce a rinegoziare gli affitti dei negozi e a focalizzarsi su quelli redditizi. Resta in piedi come azienda più piccola.

Morale: Qui la soluzione è passata per la messa a disposizione del patrimonio personale (la casa) per soddisfare i creditori: un esito oneroso ma che ha evitato conseguenze peggiori (pignoramento forzoso con vendita all’asta a prezzo inferiore, ecc.) e soprattutto ha permesso alla parte sana dell’attività di proseguire. Quando i soci hanno beni personali aggredibili, spesso la strategia è “negoziare sacrificandone uno in modo controllato” invece di subire la dispersione forzata di tutto.

Caso 3: Ristrutturazione aziendale in continuità con accordo assistito

Scenario: Gamma S.p.A. opera nel settore moda. Ha ottenuto 1 milione di prestito SupportItalia nel 2022. Nel 2023 l’azienda soffre ma intravede prospettive di ripresa con una nuova collezione per il 2025. Il debito residuo è €800k. Gamma paga a singhiozzo: alcune rate saltate. La banca non ha ancora escusso SACE, ma la posizione è in “unlikely to pay”. Gamma coinvolge subito un advisor e un avvocato prima che la situazione degeneri.

Soluzione negoziale: Nel 2024 Gamma avvia la Composizione Negoziata della crisi, ottenendo la nomina di un esperto. Con il suo aiuto, formula una proposta ai creditori: i) la banca allunga il prestito di 2 anni e riduce temporaneamente il tasso dal 6% al 3% per favorire la ripresa, SACE concorda di mantenere la garanzia; ii) i fornitori strategici accettano pagamenti al 50% a 12 mesi e il restante 50% a 24 mesi; iii) i soci apportano €200k di capitali freschi da destinare prioritariamente alle banche. Viene richiesto e ottenuto dal tribunale un congelamento delle azioni per 4 mesi mentre si tratta. La banca, partecipando ai tavoli, verifica i dati: vede che senza il suo supporto Gamma fallirebbe e SACE dovrebbe pagare 90%, mentre con l’accordo l’azienda ha chance di riprendersi e pagare tutto (anche se più tardi). Accetta quindi il piano di rientro proposto, a condizione che SACE formalizzi l’estensione della garanzia. SACE, informata attraverso il Ministero, concorda (in virtù di un indirizzo di favorire il risanamento per non perdere l’azienda). I fornitori, vedendo anche la banca accomodante e temendo di perdere un cliente, aderiscono. L’esperto attesta che l’accordo è sostenibile. Si arriva a sottoscrivere un accordo di ristrutturazione extragiudiziale con adesione quasi totale dei creditori, depositato in tribunale per sicurezza come accordo ex art. 61 CCII (anche se non strettamente necessario dato che i principali hanno firmato). Gamma quindi non subisce né decreti ingiuntivi né insolvenze legali: continua l’attività, anzi beneficia del segnale di fiducia di banche e fornitori, lancia la nuova collezione e nel 2025 torna in utile, rispettando le nuove scadenze dei pagamenti. Nel 2026 ha pagato tutto ed esce definitivamente dalla crisi.

Morale: Prevenire è meglio che curare. Gamma, muovendosi prima dell’escussione SACE e del default conclamato, ha potuto sfruttare la flessibilità dei creditori nel capire la situazione. SACE in particolare, se coinvolta in un contesto di risanamento credibile, può decidere di non revocare l’aiuto ma di assecondare l’estensione, perché alla fine anche la mission di SACE è sostenere l’impresa (purché vi sia ragionevole certezza di recuperare i soldi pubblici). Non sempre è possibile, ma vale la pena tentare prima che scatti l’irrevocabilità del debito.

Questi casi dimostrano che, a seconda delle circostanze, l’esito può variare dal salvataggio pieno alla liquidazione controllata. L’importante per l’imprenditore è non lasciarsi paralizzare dal problema: cercare consulenza legale tempestiva, valutare tutte le opzioni (anche quelle drastiche come cedere asset o coinvolgere nuovi soci) e ricordare che gli strumenti giuridici esistono per trovare un equilibrio tra i diritti dei creditori e la sopravvivenza dell’impresa.

Collaborare efficacemente con l’avvocato

Affrontare la crisi di un finanziamento non pagato è un lavoro di squadra tra imprenditore e avvocato (spesso affiancato da un commercialista o consulente aziendale). Ecco alcuni consigli operativi per massimizzare l’efficacia di questa collaborazione:

  • Coinvolgere l’avvocato tempestivamente: Non aspettare di ricevere atti giudiziari per consultare un legale. Appena si profilano difficoltà (prime rate saltate, lettera di messa in mora dalla banca), è il momento di fare una chiacchierata con un avvocato esperto in diritto bancario/crisi d’impresa. Prima si agisce, più opzioni ci sono sul tavolo (alcune procedure, come la negoziazione assistita o certe difese, hanno tempi stretti per essere attivate).
  • Fornire tutte le informazioni e i documenti rilevanti: Siate trasparenti e completi con il vostro legale. Consegnategli copia del contratto di finanziamento, eventuali email o lettere avute dalla banca, il piano di ammortamento, i bilanci aziendali recenti, l’elenco di tutti i debiti e crediti dell’azienda, ecc. Anche dettagli che sembrano poco importanti (es. una telefonata avuta da un funzionario, una promessa verbale fatta in filiale, ecc.) vanno riferiti: potrebbe esserci un profilo giuridico utile (ad esempio, se vi avevano promesso una rinegoziazione e poi hanno cambiato idea, l’avvocato può impostare un argomento di venire contra factum proprium o usare la cosa nella trattativa).
  • Chiarire gli obiettivi prioritari: Dite all’avvocato qual è il vostro scopo principale. Salvare l’azienda a tutti i costi? Limitare i danni personali e patrimoniali anche se l’azienda va liquidata? Evitare scandali pubblici? Ogni situazione è diversa: se ad esempio il titolare ha altre attività e vuole contenere la crisi in una società per non contaminare il resto, la strategia può essere diversa rispetto al caso in cui si punta tutto sul far sopravvivere proprio quella società. L’avvocato deve conoscere la vostra priorità: continuità aziendale, minimizzare esposizione personale, tempo per trovare investitori, ecc.
  • Seguire i consigli legali e le procedure alla lettera: Se decidete di intraprendere una certa azione (es. presentare un concordato, o inviare una certa comunicazione), attenetevi scrupolosamente alle istruzioni. Ad esempio, nel periodo di negoziazione protetta non potete pagare preferenzialmente un creditore e non altri – il legale vi spiegherà di non compiere atti che potrebbero configurare poi cause di revoca o far saltare accordi. Oppure, se l’avvocato vi dice di accantonare certe somme su un conto dedicato, fatelo: a volte creare un “fondo” a disposizione dimostra la serietà nelle trattative.
  • Tenere aggiornato l’avvocato su ogni novità: Ogni lettera che arriva dalla banca, ogni notifica dal tribunale, ma anche ogni conversazione con i creditori o cambiamento di scenario (es. improvvisa entrata di denaro, oppure perdita di un contratto importante) dovrebbero essere comunicati immediatamente al legale. Le strategie si adattano in base ai fatti: meglio che l’avvocato sappia prima dal cliente che dalla controparte cos’è successo.
  • Valutare con mente aperta le soluzioni proposte: L’avvocato potrebbe prospettarvi soluzioni che inizialmente non consideravate, ad esempio “cediamo questo ramo d’azienda”, “proponiamo di vendere quell’immobile e affittarlo”, “facciamo un piano di consumatore personale separato dalla società”, ecc. Valutate ogni opzione senza pregiudizi: il legale vede la cosa in termini pratici e conosce gli esiti tipici in tribunale, quindi se consiglia un compromesso o un sacrificio è perché probabilmente l’alternativa è peggiore. Allo stesso tempo, pretendete spiegazioni chiare: è vostro diritto capire pro e contro di ogni mossa.
  • Prepararsi alla peggiore ipotesi, sperando nella migliore: Un buon avvocato cercherà di ottenere il risultato più favorevole (es. salvataggio totale), ma deve anche predisporre piani B. Ad esempio, mentre tenta un accordo, potrebbe contestualmente consigliarvi di mettere al riparo alcuni beni personali lecitamente (se possibile) o di preparare i dipendenti a una eventuale procedura concorsuale. Collaborate in queste azioni preparatorie anche se sperate di non dovervi arrivare. Meglio avere un paracadute pronto.
  • Spese legali e costi: Affrontare queste situazioni comporta costi professionali. Discutete apertamente di parcelle con il vostro avvocato, verificando se è possibile dilazionarle o legarle in parte all’esito (alcuni professionisti accettano un compenso base ridotto più un success fee se si raggiunge un certo risultato). Includete questi costi nel vostro piano di risanamento. Non fate l’errore di lesinare sull’assistenza qualificata per poi perdere somme ben maggiori per un errore procedurale: vedere l’avvocato come un investimento per salvare l’impresa o il patrimonio, non come un costo evitabile.
  • Interfaccia con altri consulenti: Spesso all’avvocato lavorista si affianca il commercialista aziendale. È bene creare un team coordinato: autorizzate i vostri consulenti a parlarsi reciprocamente. Ad esempio, l’avvocato potrà chiedere al commercialista dati di bilancio per redigere un piano di concordato; il fiscalista potrà suggerire come trattare eventuali debiti tributari (che hanno normative specifiche nelle transazioni). Favorire questa collaborazione multiprofessionale giova al risultato.
  • Mantenere la calma e l’ordine nelle informazioni: Situazioni di crisi generano stress e a volte confusione. Cercate di fornire all’avvocato documenti organizzati (un file con elenco creditori e importi, fascicoli ordinati per banca, fornitori, fisco, dipendenti…). Se voi stessi non riuscite, delegate a qualcuno interno di farlo. Un dossier ben ordinato consente al legale di risparmiare tempo e concentrarsi sul merito. Evitate di travolgere l’avvocato con mille telefonate per ogni ansia: concordate magari aggiornamenti periodici (es. call settimanale) per fare il punto, sapendo che vi terrà informati al momento opportuno di sviluppi importanti. Fidatevi del processo una volta impostato.
  • Riservatezza e comunicazione esterna: Concordate col legale cosa comunicare a dipendenti, fornitori e stakeholder durante le trattative o procedure. Spesso è utile tenere un profilo basso e rilasciare solo informazioni necessarie. L’avvocato può aiutarvi a preparare messaggi rassicuranti (senza compromettere la strategia legale) per evitare panico nel personale o nei clienti. Ad esempio, se parte un concordato, bisognerà spiegare ai partner commerciali che l’azienda continua l’attività ed è protetta, per non perderli: il legale può fornirvi il giusto wording per queste comunicazioni, in linea con gli aspetti legali.

In conclusione, affrontare insieme una crisi finanziaria complessa richiede fiducia reciproca e chiarezza. L’imprenditore porta la conoscenza del proprio business e la determinazione a salvarlo, l’avvocato porta le competenze legali e l’esperienza su come situazioni simili si sono risolte. Uniti, possono spesso trovare soluzioni che da soli sarebbero sfuggite.

Conclusioni

Il percorso del “Finanziamento SACE SupportItalia non pagato” è irto di ostacoli: dalla segnalazione creditizia ai decreti ingiuntivi, dai pignoramenti fino al rischio di perdere la propria impresa e i propri beni. Tuttavia, come abbiamo visto, esistono anche molti strumenti per difendersi e per gestire la crisi in modo ordinato. Il diritto offre soluzioni flessibili – accordi, piani, procedure concorsuali – che, se ben utilizzate con l’aiuto di professionisti, possono evitare il tracollo e anzi permettere all’imprenditore di ripartire su basi più solide.

Riassumendo i punti chiave:

  • Conoscere la normativa del finanziamento SACE e i propri obblighi aiuta a muoversi con cognizione: sapevamo che dopo 90 giorni scatta la garanzia, che SACE è un creditore forte ma trattabile se si propone un buon piano, ecc.
  • Il peggior scenario (inerzia) porta a escussione, pignoramenti e possibili revoche di aiuti: va evitato con azioni prima che sia troppo tardi.
  • Strategie di difesa: dal semplice contatto con la banca per rinegoziare, fino alle procedure giudiziali più complesse, ogni situazione avrà una combinazione ottimale. Non esiste una soluzione unica, ma c’è sempre qualcosa che si può fare per migliorare la posizione del debitore.
  • Importanza della consulenza legale specializzata: il fai-da-te è altamente sconsigliato in queste materie. Un avvocato può fare la differenza tra un fallimento e un’azienda salvata, tra perdere tutti i beni e conservarne alcuni.
  • Collaborazione attiva dell’imprenditore: serve impegno, anche emotivo, nell’affrontare negoziazioni dure, nel prendere decisioni difficili (come cedere beni personali o fare tagli). Ma sapere di avere al proprio fianco un consulente esperto e aver studiato piani alternativi dà la forza per condurre le trattative.

Il messaggio finale per imprenditori e PMI è: non siete soli di fronte alla crisi del debito. Il sistema giuridico, pur con tutti i suoi formalismi, offre degli appigli per chi vuole davvero salvare la propria attività o almeno uscire da una situazione debitoria senza restare schiacciato. Informatevi, fatevi assistere, e agite con determinazione e correttezza. Molte imprese sono riuscite a superare momenti critici simili – alcune delle quali, dopo la tempesta, sono tornate più forti e prudenti di prima.

La guida qui presentata vi ha fornito gli elementi per capire rischi e rimedi. Ogni caso concreto richiederà poi un’analisi ad hoc, ma confidiamo che, avendo compreso la “cassetta degli attrezzi” a vostra disposizione, possiate affrontare con maggiore consapevolezza il dialogo con avvocati, banche e giudici.

Aprile 2025 – La normativa è in evoluzione (si pensi alle nuove garanzie “Futuro” e “Supporto Investimenti” introdotte nel 2024) e la giurisprudenza continua a definire principi in materia. Restate aggiornati consultando le fonti normative e giurisprudenziali riportate qui di seguito, e non esitate a chiedere consiglio legale qualificato per applicarle al vostro caso. Un debito non pagato può sembrare la fine, ma con gli strumenti giusti può diventare l’inizio di un percorso di risanamento.

Fonti Normative e Giurisprudenziali

Fonti Normative principali:

  • Decreto-Legge 17 maggio 2022, n. 50 (Decreto Aiuti), art. 15, convertito con modificazioni dalla Legge 15 luglio 2022, n. 91 – Istituzione della Garanzia SACE “SupportItalia” e condizioni quadro.
  • Decreto-Legge 21 marzo 2022, n. 21 (Decreto Ucraina-bis), art. 10, co.1, conv. in Legge 20 maggio 2022, n. 51 – Definizione di imprese ad alto consumo energetico di interesse strategico nazionale.
  • Decreto-Legge 17 novembre 2022, n. 176 (Decreto Aiuti-quater), art. 3, co.1, lett. b), conv. in Legge 13 gennaio 2023, n. 6 – Estensione della Garanzia SupportItalia al settore edilizio (Ateco 41 e 43) e possibilità di allungamento finanziamenti da 6 a 8 anni.
  • Legge 30 dicembre 2023, n. 213 (Legge di Bilancio 2024) – Ha introdotto nuovi regimi di garanzia “a mercato” attraverso SACE in sostituzione della Garanzia SupportItalia scaduta (es. Garanzia “Futuro” e “Garanzia “Archimede”).
  • Codice Civile, in particolare: artt. 1218 (responsabilità da inadempimento), 1460 (eccezione di inadempimento), 1467 (eccessiva onerosità), 1936 e segg. (fideiussione), 1944 (fideiussione omnibus e rinuncia al beneficio d’escussione), 2740 (patrimonio garante delle obbligazioni), 2910 e segg. (esecuzione forzata sui beni).
  • Codice di Procedura Civile, in particolare: artt. 633–642 (decreto ingiuntivo e provvisoria esecuzione), 645 (opposizione a decreto ingiuntivo), 648–649 (sospensione dell’esecuzione in opposizione), 491 e segg. (atti dell’esecuzione forzata: precetto, pignoramento, conversione, distribuzione), 615 e 617 (opposizioni esecutive).
  • Testo Unico Bancario (D.Lgs. 385/1993): art. 50 (titolo esecutivo delle banche mediante estratto notarile dei conti), art. 117 (forma e trasparenza dei contratti bancari), art. 120 (anatocismo bancario).
  • Legge 108/1996 sull’usura: art. 2 (soglia usura trimestrale stabilita dal MEF).
  • D.Lgs. 231/2002 sui ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali (interessi moratori automatici, non direttamente pertinente ai finanziamenti ma al rapporto con fornitori/creditori commerciali).
  • Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14):
    • art. 54 e segg. – misure protettive nelle procedure di regolazione della crisi (sospensione azioni esecutive nei concordati e composizione negoziata);
    • artt. 57–64 – Accordi di ristrutturazione dei debiti e omologazione (60% creditori, eventuale estensione ai dissenzienti);
    • artt. 65–73 – Piani di ristrutturazione del consumatore e concordato minore (ex procedure sovraindebitamento: requisiti, contenuto del piano, meritevolezza);
    • artt. 84–120 – Concordato preventivo (requisiti di ammissibilità, classi, trattamento creditori, voto e omologazione);
    • artt. 268–277 – Esdebitazione del sovraindebitato incapiente (possibile cancellazione debiti residui persona fisica meritevole).
  • D.Lgs. 123/1998: art. 9, co.5 – “Privilegio generale sui mobili per i crediti dello Stato per restituzione di aiuti pubblici revocati”. Norma applicata estensivamente anche ai crediti derivanti da escussione di garanzie statali.
  • Circolare Banca d’Italia n. 139/1991 – Istruzioni Centrale dei Rischi: definizione di sofferenza, obbligo di preavviso al debitore in caso di classificazione a sofferenza (Provvedimento del Garante Privacy 16/11/2004), soglie di materialità per scaduti.
  • Normativa COVID correlata (per background): D.L. 8 aprile 2020 n. 23 “Decreto Liquidità”, art. 1 (Garanzia SACE “Garanzia Italia” per grandi imprese, antecedente a SupportItalia) e art. 13 (fondo centrale garanzia PMI potenziato), con relative condizioni (divieto distribuzione dividendi per imprese sopra soglie, ecc.), utili come riferimento comparativo.

Fonti Giurisprudenziali rilevanti:

  • Cassazione Civile, Sez. I, 30 gennaio 2019, n. 2664 – Ha affermato l’applicabilità del privilegio ex art. 9 D.Lgs 123/98 anche ai crediti nascenti dall’escussione di garanzie del Fondo PMI e di SACE.
  • Cassazione Civile, Sez. I, 26 giugno 2023, n. 18148 – Conferma che il “privilegio… al credito per le restituzioni di aiuti pubblici derivanti dalla revoca delle misure” si estende “anche ai crediti nascenti dall’escussione della garanzia mediante la cui prestazione si è concretizzato tale sostegno”. Riconosce quindi rango privilegiato al credito di regresso di SACE per garanzia escussa.
  • Cassazione Civile, Sez. III, 13 novembre 2024, n. 29252 – In tema di segnalazione a Centrale Rischi, ha statuito che “il danno derivante da tale segnalazione può essere dimostrato anche attraverso presunzioni” e che va risarcito se c’è nesso tra segnalazione illegittima e revoca degli affidamenti con conseguente pregiudizio per il debitore o il garante. Conferma che il danno da illegittima segnalazione non è in re ipsa ma deve essere provato (anche indirettamente).
  • Cassazione Civile, Sez. I, 13 dicembre 2021, n. 39433 – (Indicata in dottrina) anch’essa sul privilegio dei crediti da escussione garanzie pubbliche, in linea con le precedenti.
  • Cassazione Civile, Sez. I, 9 marzo 2020, n. 6508 – (Indicata in dottrina) sul medesimo tema delle garanzie statali; insieme alle altre sentenze del 2019, 2021, 2023 forma un orientamento univoco sul punto del privilegio.
  • Cassazione Civile, Sez. I, 24 giugno 2020, n. 12491 – (non citata sopra ma pertinente) ha affrontato questioni sulla rinegoziazione dei mutui con garanzia statale, affermando indirettamente la necessità di rispettare le finalità dell’aiuto nell’eventuale estensione (cfr. commenti in dottrina).
  • Cassazione Civile, Sez. III, 4 ottobre 2017, n. 23192 – In materia di fideiussione, ha sancito nullità delle clausole ABI anticoncorrenziali; rilevante se l’imprenditore ha rilasciato garanzie personali basate su schema ABI (possibile eccepirne la nullità parziale, riducendo obblighi garanti).
  • Tribunale di Brescia, Sentenza 13 maggio 2024, n. 1917 – Caso di segnalazione illegittima in Centrale Rischi: il Tribunale ha accertato errore della banca e disposto risarcimento del danno non patrimoniale per lesione reputazione, ma negando automatismo del danno (in linea con Cass. 2024).
  • Tribunale di Castrovillari, Sentenza 11 marzo 2021, n. 273 – In tema di danno da erronea segnalazione CR: ha ribadito necessità del doppio nesso causale (segnalazione → restrizione credito; restrizione credito → danno economico per l’impresa) da provare e negato risarcimento in assenza di prova specifica.
  • ABF (Arbitro Bancario Finanziario), Decisione n. 5860/2019 Collegio di Roma – Ha affermato che “non è sufficiente il mero inadempimento del debitore per procedere alla segnalazione a sofferenza in Centrale Rischi; è necessaria una valutazione concreta della situazione di insolvenza conclamata”. (Le decisioni ABF non fanno giurisprudenza vincolante, ma sono spesso citate in causa come orientamento tecnico).
  • Cassazione Penale, Sez. II, 20 dicembre 2022, n. 46726 – (interessante sul fronte penale) ha ritenuto configurabile il reato di malversazione a danno dello Stato ex art. 316-bis c.p. per l’imprenditore che destina il finanziamento garantito dallo Stato a finalità diverse da quelle per cui era stato concesso, violando vincoli dell’aiuto. Ciò a monito che l’uso distorto dei fondi può avere conseguenze penali oltre che civili (revoca aiuti).

Finanziamento SACE SupportItalia Non Pagato: Perché Affidarti a Studio Monardo

Hai ottenuto un finanziamento garantito da SACE tramite il programma SupportItalia e ora non riesci più a rimborsarlo?

Durante l’emergenza economica, molte imprese hanno avuto accesso a prestiti con garanzia pubblica per affrontare la crisi. Ma oggi, tra aumenti di costi, calo di liquidità e carenza di commesse, tante aziende non riescono più a rispettare le rate.

Quando si interrompe il rimborso, la banca può revocare il prestito, attivare la garanzia SACE e richiedere il rientro immediato. A seguire, l’importo garantito dallo Stato viene trasferito all’Agenzia Entrate Riscossione, che può procedere con pignoramenti e misure esecutive.

Cosa può fare per te l’Avvocato Monardo

Analizza il contratto e la procedura di attivazione della garanzia, verificando irregolarità e difetti procedurali

Contesta richieste abusive o sproporzionate, bloccando eventuali cartelle o atti esecutivi

Avvia una ristrutturazione del debito, anche tramite accordo stragiudiziale, piano di rientro o saldo e stralcio

Valuta l’accesso alla procedura di esdebitazione, se l’impresa è in grave crisi

Ti rappresenta in ogni fase: con la banca, SACE, l’Agenzia Entrate Riscossione o davanti al giudice

Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

🔹 Avvocato esperto in finanziamenti pubblici, bancari e contenzioso con lo Stato
🔹 Gestore della Crisi da Sovraindebitamento, iscritto al Ministero della Giustizia
🔹 Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa, abilitato ex D.L. 118/2021
🔹 Fiduciario OCC – Organismo di Composizione della Crisi
🔹 Coordinatore nazionale di consulenti esperti in diritto bancario e tributario

Perché agire subito

⏳ Dopo l’escussione della garanzia, l’importo viene iscritto a ruolo ed è immediatamente esecutivo
⚠️ L’Agenzia Entrate Riscossione può procedere senza preavviso con pignoramenti e ipoteche
📉 Il ritardo può compromettere la tua reputazione finanziaria, i rapporti bancari e la sopravvivenza dell’attività
🔐 Solo un intervento legale immediato può fermare la procedura e offrirti una via d’uscita concreta

Conclusione

Non pagare un finanziamento SACE SupportItalia non significa essere senza speranza, ma ignorarne le conseguenze può distruggere la tua impresa.

Affidarsi all’Avvocato Giuseppe Monardo significa difendersi in modo serio, bloccare gli effetti peggiori e costruire una strategia per uscire dal debito legalmente e in sicurezza.

Qui sotto trovi tutti i riferimenti per richiedere una consulenza dedicata. Agisci adesso: prima che la situazione sfugga di mano:

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Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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