Liquidazione Giudiziale 2025: Tutte Le Fasi Dettagliate

La tua impresa è sovraindebitata e rischia la liquidazione giudiziale? Hai ricevuto un’istanza o un avviso dal tribunale?

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto della crisi d’impresa e procedure concorsuali – è lo strumento che ti serve per affrontare la situazione con consapevolezza e difenderti subito.

Scopri cos’è la liquidazione giudiziale (ex fallimento), chi può richiederla, quali sono gli effetti immediati sull’impresa e sugli amministratori, e come valutare alternative come il concordato o la composizione negoziata per salvare l’attività.

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Liquidazione Giudiziale 2025: La Guida di Studio Monardo

Introduzione e Inquadramento Generale

La liquidazione giudiziale è la procedura concorsuale liquidatoria che ha sostituito il “fallimento” nella nuova disciplina della crisi d’impresa introdotta dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII). Si tratta del rimedio estremo previsto quando l’impresa si trova in stato di insolvenza irreversibile e non sono praticabili soluzioni alternative di risanamento o ristrutturazione. L’obiettivo della procedura è liquidare il patrimonio dell’imprenditore insolvente e distribuire il ricavato ai creditori secondo le regole della parità di trattamento (par condicio creditorum).

Base normativa: La liquidazione giudiziale è disciplinata principalmente dal Titolo V del CCII (D.lgs. 14/2019, articoli 121 e seguenti), come modificato dai successivi decreti correttivi (D.lgs. 147/2020, D.lgs. 83/2022 di attuazione della direttiva UE 2019/1023, e D.lgs. 136/2024 “Correttivo-ter”). Le norme della vecchia legge fallimentare (R.D. 267/1942) continuano ad applicarsi solo ai ricorsi depositati prima del 15 luglio 2022, mentre per le procedure iniziate dopo tale data si applica esclusivamente il CCII. Va evidenziato che termini tradizionali come fallimento e fallito sono stati abbandonati dal legislatore per attenuare lo stigma: oggi si parla di liquidazione giudiziale e debitore assoggettato.

Principi generali: Il Codice della crisi enfatizza strumenti di allerta precoce e soluzioni negoziali per evitare la liquidazione giudiziale quando possibile. Tuttavia, rimane la procedura di liquidazione per i casi in cui l’insolvenza non può essere risolta diversamente. La liquidazione giudiziale comporta lo spossessamento dell’imprenditore (cioè la perdita della gestione dei beni in favore di un curatore nominato dal Tribunale) e la cessazione o liquidazione dell’attività d’impresa. Non è più intesa come una “pena” infamante, ma come un procedimento ordinato per chiudere l’attività di un’impresa non più in grado di operare. Il sistema, infatti, è costruito per incentivare soluzioni alternative quando esistono margini di risanamento.

Nei capitoli seguenti analizzeremo dettagliatamente tutte le fasi della liquidazione giudiziale – dai presupposti e l’avvio del procedimento, passando per la fase di accertamento del passivo, la gestione e liquidazione dell’attivo, fino alla chiusura della procedura con eventuale esdebitazione (liberazione dai debiti residui). Saranno indicati i riferimenti normativi puntuali (articoli del CCII e altre leggi) e i principali orientamenti giurisprudenziali aggiornati a maggio 2025, nonché tabelle riepilogative, risposte a FAQ frequenti e un confronto con la disciplina previgente.

Presupposti di Applicazione e Soggetti Coinvolti

Presupposti Soggettivi: Chi può essere assoggettato a Liquidazione Giudiziale

La liquidazione giudiziale si applica agli imprenditori commerciali che si trovano in stato di insolvenza, purché non siano piccoli imprenditori sotto le soglie di legge. In altre parole occorrono due requisiti:

  • Soggettivo: essere un imprenditore commerciale di non piccole dimensioni. Sono quindi esclusi:
    • Gli imprenditori agricoli (attività agricole non rientrano nella qualifica di imprenditore commerciale, salvo quanto si dirà oltre per le grandi società agricole).
    • Le imprese minori che soddisfano congiuntamente i parametri dimensionali fissati dall’art. 2, comma 1, lett. d) CCII:
      1. Attivo patrimoniale annuo non superiore a €300.000 nei tre esercizi antecedenti la domanda.
      2. Ricavi lordi annui non superiori a €200.000 (nei tre esercizi antecedenti).
      3. Debiti totali non superiori a €500.000.
      Se l’impresa dimostra di rispettare tutte queste soglie (valori aggiornabili ogni 3 anni), è qualificata come impresa minore e non è soggetta a liquidazione giudiziale ordinaria. L’onere di provare il possesso congiunto dei requisiti di esenzione grava sul debitore, in linea con l’orientamento della Cassazione formatosi sotto la legge fallimentare (Cass. Sez. Un. 9935/2015). In mancanza di tale prova, l’impresa è assoggettabile alla procedura.
    • Enti pubblici e altri soggetti esclusi per legge speciale. Ad esempio, le “start-up innovative” godono di un’esenzione temporanea: secondo la normativa vigente (D.L. 179/2012), le startup innovative non possono essere dichiarate fallite (ora liquidazione giudiziale) per un certo periodo dalla costituzione. Pertanto, le start-up innovative registrate sono escluse dalla liquidazione giudiziale durante il periodo di tutela.
  • Oggettivo: lo stato di insolvenza dell’imprenditore. L’art. 121 CCII richiede che l’imprenditore sia incapace di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni. La nozione di insolvenza riprende quella tradizionale (ex art. 5 L.F.): è uno stato persistente di impotenza finanziaria, che si manifesta con inadempimenti o altri fatti esteriori indicativi che il debitore non è più in grado di far fronte con mezzi normali ai propri debiti. Gli elementi rivelatori possono essere mancati pagamenti significativi, protesti, fuga o irreperibilità dei vertici, grave insufficienza del patrimonio rispetto all’indebitamento, ecc. Tali segnali non sono tipizzati in modo rigido ma valutati dal tribunale caso per caso, con una considerazione complessiva dell’attivo e del passivo del debitore. La Cassazione ha ribadito che per imprese in funzionamento l’insolvenza non richiede necessariamente un dissesto patrimoniale irrecuperabile, bensì l’impossibilità dell’impresa di proseguire l’attività adempiendo regolarmente alle obbligazioni con i mezzi ordinari disponibili. (In sostanza, conta la liquidità e capacità di pagamento, più che il patrimonio netto, salvo che l’impresa sia già in liquidazione volontaria.)

Oltre a tali presupposti, il CCII ha introdotto un limite quantitativo: non si procede ad apertura della liquidazione giudiziale se i debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti istruttori sono complessivamente inferiori a €30.000. Questo filtro di rilevanza (aggiornabile periodicamente) evita di aprire procedure concorsuali per insolvenze di importo trascurabile. In pratica, anche un imprenditore non piccolo e insolvente non verrà dichiarato in liquidazione giudiziale se il suo debito scaduto è sotto €30.000. Tale importo si cumula su tutti i creditori scaduti: ad esempio, 5 creditori da €10.000 ciascuno integrano il requisito (€50.000 totali), mentre debiti per €20.000 complessivi no.

Società agricole di grandi dimensioni: Una novità rispetto alla vecchia legge è che il CCII non prevede più un’esenzione assoluta per le imprese agricole. In passato gli imprenditori agricoli non erano soggetti a fallimento a prescindere dalla dimensione. Oggi, una società agricola di dimensioni rilevanti può essere sottoposta a liquidazione giudiziale se supera le soglie d’impresa minore. Dunque le grandi aziende agricole insolventi non sono più protette automaticamente, colmando una lacuna del vecchio sistema.

Gruppi di imprese: Importante è anche la disciplina dei gruppi d’imprese. Il nuovo Codice consente di gestire l’insolvenza di più società dello stesso gruppo in modo unitario. Ai sensi dell’art. 287 CCII, se più imprese appartenenti al medesimo gruppo sono insolventi, il Tribunale può aprire una liquidazione giudiziale unitaria di gruppo quando ciò sia opportuno per ottimizzare la soddisfazione dei creditori tramite il coordinamento delle procedure. Si tratta di una novità assoluta nel nostro ordinamento (la legge fallimentare non contemplava il fallimento di gruppo). In concreto:

  • Le varie società del gruppo presentano (anche con unico ricorso congiunto) richiesta di liquidazione giudiziale di gruppo.
  • Il Tribunale competente (di regola quello del centro degli interessi principali del gruppo o del debitore prevalente) valuta la sussistenza di tre condizioni chiave:
    1. Stato di insolvenza di tutte le società coinvolte.
    2. Esistenza di un gruppo con effettivo collegamento tra le imprese (partecipazioni incrociate, medesima capogruppo o comune direzione, amministratori coincidenti, stesse sedi, integrazione economica).
    3. Opportunità di procedura unitaria per la migliore soddisfazione dei creditori (ad es. perché le società hanno patrimoni intrecciati, attività complementari, creditori comuni, necessità di azioni di responsabilità coordinate, ecc.).
  • Se queste condizioni ricorrono, il Tribunale con unica sentenza dichiara aperta la liquidazione giudiziale delle varie società del gruppo, nominando un unico giudice delegato e un unico curatore per l’intera procedura di gruppo. I patrimoni restano distinti ma le operazioni di liquidazione possono essere coordinate dall’unico curatore.
  • Questa possibilità è già stata applicata dalla giurisprudenza: ad esempio, il Tribunale di Milano, con decreto del 22 marzo 2023, ha aperto la prima liquidazione giudiziale unitaria in Italia nei confronti di un noto gruppo societario insolvente, ravvisando un’effettiva concentrazione aziendale e la convenienza di un’unica procedura. Anche il Tribunale di Catania nel 2023 ha ammesso un ricorso congiunto di una capogruppo (già fallita) e sue controllate, aprendo la liquidazione di gruppo ex art. 287 CCII in presenza di stretti intrecci partecipativi e gestionali tra le società.

Torneremo più avanti sui profili procedurali specifici della liquidazione di gruppo. Per ora basti ricordare che la disciplina generale della liquidazione giudiziale si applica in linea di massima anche ai gruppi (con gli adattamenti previsti dal Titolo VI, Capo II CCII).

Soggetti legittimati a richiedere la Liquidazione Giudiziale

La procedura di liquidazione giudiziale non si attiva d’ufficio: è necessario un ricorso di apertura da parte di un soggetto legittimato, così come avveniva per il fallimento. Possono presentare istanza al Tribunale competente (sezione specializzata in crisi d’impresa, di solito presso il Tribunale dove l’impresa ha la sede principale o il centro degli interessi principali):

  • Il debitore stesso (cd. fallimento in proprio): l’imprenditore insolvente può richiedere la propria liquidazione giudiziale. Spesso ciò avviene quando l’imprenditore prende atto che ogni tentativo di risanamento è vano e preferisce attivare subito la procedura per limitare le conseguenze. La domanda del debitore può essere volontaria o conseguente all’esito negativo di altre procedure (es. conversione da un concordato preventivo non omologato).
  • Uno o più creditori: qualsiasi creditore dell’imprenditore insolvente (fornitore, banca, Fisco, ecc.) può presentare ricorso per la dichiarazione di liquidazione giudiziale. È necessario che il credito sia certo e scaduto, anche se non ancora definitivamente accertato giudizialmente. Tipicamente, banche o l’Erario presentano istanze di liquidazione quando i debiti sono ingenti e il debitore non paga. Anche creditori con importi minori possono presentare istanza, purché vi sia insolvenza conclamata e debiti totali ≥ €30.000.
  • Il Pubblico Ministero (PM): il PM presso il tribunale può richiedere l’apertura della liquidazione giudiziale nei casi espressamente previsti dalla legge. In particolare, se emergono notizie di insolvenza dall’autorità giudiziaria penale (ad esempio nel corso di indagini per bancarotta) o se un organo di vigilanza segnala l’insolvenza di un’impresa vigilata (si pensi alla Banca d’Italia per un intermediario finanziario, CONSOB, etc.). Anche l’imprenditore che si dà alla fuga, sottraendosi ai creditori, può motivare l’intervento del PM. Il PM spesso interviene su segnalazione: ad esempio, le CCIAA o Agenzia delle Entrate possono segnalare situazioni di dissesto, oppure se un concordato preventivo viene revocato per irregolarità, il giudice avvisa il PM per valutare la richiesta di liquidazione giudiziale.
  • Altri soggetti autorizzati dalla legge: organi o autorità di controllo amministrativo sull’impresa (come commissari di vigilanza) possono prendere l’iniziativa, nei limiti previsti. Ad esempio, l’autorità di risoluzione bancaria può chiedere la liquidazione coatta anziché giudiziale per banche, ma per imprese comuni non vi sono autorità amministrative competenti salvo casi specifici.

Competenza territoriale: il ricorso si deposita presso il Tribunale del luogo in cui l’impresa ha il centro principale dei suoi interessi (COMI, centre of main interests), normalmente coincidente con la sede legale. Per un imprenditore individuale coincide con la residenza o sede dell’attività principale. Questa regola recepisce il concetto di COMI del Regolamento UE sull’insolvenza transfrontaliera.

Procedimento unitario per domande concorrenti: Il CCII (art. 40) ha introdotto un procedimento unificato per l’accesso a tutti gli strumenti di regolazione della crisi e per la dichiarazione di liquidazione giudiziale. In pratica, se pendono più domande relative allo stesso debitore – ad esempio un suo ricorso di concordato preventivo e, al contempo, un’istanza di liquidazione giudiziale presentata da un creditore – il Tribunale le riunirà per trattarle assieme, dando priorità alle soluzioni diverse dalla liquidazione. Ciò significa che la domanda di concordato o accordo di ristrutturazione viene esaminata prima, nella logica di favorire il salvataggio dell’impresa. Solo se queste soluzioni falliscono o non sono ammissibili, si passerà alla dichiarazione di liquidazione giudiziale.

Un recente intervento del Correttivo-ter (D.lgs. 136/2024) ha chiarito che la pendenza di un’istanza di liquidazione non impedisce al debitore di accedere agli strumenti di composizione negoziata della crisi né di ottenere la proroga del termine per presentare una proposta di concordato “in bianco” (ricorso con riserva). In sostanza, l’imprenditore conserva la possibilità di tentare un accordo stragiudiziale o di predisporre un piano concordatario anche se un creditore ha già chiesto la sua liquidazione, evitando che la sola pendenza dell’istanza concorsuale faccia decadere altre opzioni.

Procedura di Apertura della Liquidazione Giudiziale

Deposito del Ricorso e Fase Istruttoria Preliminare

La procedura prende avvio con il deposito del ricorso da parte di uno dei soggetti legittimati visti sopra. Il ricorso introduttivo deve indicare i fatti che dimostrano l’insolvenza e i presupposti per l’assoggettabilità dell’imprenditore. Contestualmente o successivamente dovranno essere depositati documenti chiave (specie se il ricorso è del debitore): bilanci, elenco creditori, situazione patrimoniale, ecc., come previsto dall’art. 39 CCII.

Convocazione in tribunale: Una volta ricevuto il ricorso, il Tribunale (di regola in composizione collegiale) fissa con decreto un’udienza in cui convocare le parti: il debitore e l’eventuale ricorrente se diverso (creditore o PM). L’art. 41 CCII disciplina il procedimento per l’apertura: il Tribunale deve sentire in camera di consiglio l’imprenditore insolvente, al fine di garantire il contraddittorio (analogo all’istruttoria prefallimentare ex art. 15 L.F.). Nel decreto di convocazione, il giudice può fissare un termine perentorio per il deposito di memorie difensive e documenti da parte del debitore e degli altri convocati, così che le posizioni siano chiare prima dell’udienza.

Durante questa fase, il tribunale può svolgere indagini sommaria sulla situazione patrimoniale e finanziaria: ad esempio, attraverso la Cancelleria può acquisire informazioni dalle banche dati fiscali (Agenzia Entrate, registro imprese, centrale rischi). L’art. 367 CCII consente infatti di interpellare l’Anagrafe tributaria e l’archivio dei rapporti finanziari per avere un quadro dei debiti fiscali e bancari del debitore. Ciò favorisce decisioni più informate. Inoltre, se esistono procedure esecutive pendenti o istanze di concordato, il tribunale ne tiene conto (anche un eventuale composizione negoziata in corso potrebbe essere segnalata dall’esperto nominato in quella sede).

Sospensione di altre iniziative: Dall’apertura dell’istruttoria e soprattutto dopo l’eventuale emanazione di misure protettive (es. se il debitore ha chiesto misure cautelari contestualmente ad altro strumento), di norma i creditori tendono a non iniziare nuove esecuzioni, attendendo l’esito. Formalmente, però, il semplice deposito di un’istanza di liquidazione non sospende i procedimenti esecutivi individuali in corso (salvo che il debitore abbia ottenuto provvedimenti di protezione temporanea presentando, ad esempio, un’istanza di concordato “in bianco” contestuale). Se la situazione è grave, il tribunale può adottare misure cautelari o conservative sui beni prima ancora della sentenza dichiarativa (ad es. se c’è pericolo di distrazione di beni, si può nominare un custode o inibire atti di disposizione, secondo l’art. 54 CCII). Nei casi urgenti il tribunale può anche dichiarare subito aperta la procedura con decreto motivato (es. fuga del debitore) e poi convocare d’urgenza le parti.

Udienza e Decisione: Sentenza di Apertura della Liquidazione Giudiziale

All’udienza fissata, il Collegio ascolta le parti. Il debitore ha il diritto di esporre le proprie difese: può contestare lo stato di insolvenza (magari provando di avere patrimonio sufficiente o accordi in corso), oppure chiedere un termine per presentare un concordato preventivo. I creditori istanti o il PM illustrano le ragioni della richiesta. Possono essere escussi eventuali testi o prodotti documenti. Terminata l’istruttoria, il Tribunale può:

  • Respingere l’istanza se non ritiene provati i presupposti (ad esempio se il debitore non è insolvente, o se è un piccolo imprenditore non fallibile). Il rigetto avviene con decreto motivato, reclamabile in Corte d’Appello dal ricorrente insoddisfatto entro 30 giorni.
  • Accogliere l’istanza e dichiarare l’apertura della liquidazione giudiziale. Ciò avviene mediante sentenza emessa dal Tribunale collegiale (nel seguito spesso chiamata sentenza dichiarativa). La sentenza è immediatamente esecutiva e segna l’inizio ufficiale della procedura.

La sentenza di apertura della liquidazione giudiziale è un provvedimento chiave e deve contenere una serie di disposizioni ai sensi dell’art. 49 CCII:

  • Accertamento dei presupposti: il Tribunale afferma di aver accertato lo stato d’insolvenza e la soggezione del debitore (non piccola impresa), richiamando l’art. 121 CCII.
  • Nomina degli organi della procedura: sono nominati:
    • Il Giudice Delegato (GD), un magistrato del tribunale incaricato di sovrintendere e controllare la procedura.
    • Il Curatore della liquidazione giudiziale, ossia il professionista (di norma un commercialista o avvocato esperto in procedure concorsuali) che amministrerà il patrimonio del debitore e condurrà le operazioni di liquidazione. È possibile nominare più curatori o coadiutori per compiti specifici se utile (es. un esperto informatico per gestire vendite telematiche). La nomina del curatore avviene in base alle liste di candidati tenute dall’Ordine professionale e valutando indipendenza e competenze; il curatore dovrà poi accettare la nomina.
  • Ordini al debitore: la sentenza ordina al debitore di depositare entro 3 giorni in cancelleria i bilanci e le scritture contabili e fiscali obbligatorie, in formato digitale se disponibili, nonché l’elenco nominativo dei creditori con i rispettivi indirizzi PEC (se non aveva già fornito tutto nella fase pre-udienza). Questo per consentire al curatore di avere subito la documentazione essenziale.
  • Fissazione dell’udienza di verifica del passivo: il tribunale stabilisce luogo, giorno e ora dell’udienza in cui si esaminerà lo stato passivo (cioè le domande dei creditori), entro un termine perentorio di 120 giorni dal deposito della sentenza. In caso di particolare complessità della procedura, il termine può essere di 150 giorni. (Questa dilazione è prevista per situazioni con moltissimi creditori o attività estere, ecc.).
  • Termine per le domande dei creditori: sono assegnati ai creditori (e ai terzi titolari di diritti su beni del debitore) i termini perentori per presentare le domande di insinuazione al passivo. Il CCII prevede che tale termine scada almeno 30 giorni prima dell’udienza di verifica. Dunque, ad esempio, se l’udienza è fissata al 120° giorno, i creditori avranno fino al 90° giorno per presentare le istanze di ammissione. Nella sentenza in genere si indica direttamente la data limite (es: “entro il …”).
  • Autorizzazioni al curatore per accesso a banche dati: la sentenza può contenere l’autorizzazione immediata al curatore ad accedere a varie banche dati (Agenzia Entrate, registro atti immobiliari, elenco clienti/fornitori) per reperire informazioni sui rapporti finanziari e commerciali del debitore. Queste autorizzazioni, previste dall’art. 49 comma 3 lett. f) CCII, consentono al curatore di acquisire rapidamente dati su conti correnti, atti di proprietà, fatturati, ecc., agevolando la ricostruzione del patrimonio.
  • Comunicazioni e pubblicità: il giudice ordina le forme di pubblicità della sentenza: l’immediata comunicazione al debitore e al curatore nominato, il deposito e la pubblicazione nel registro delle imprese (la pubblicazione produce effetti verso i terzi), nonché la notifica via PEC a tutti i creditori noti.
  • Clausola sulle piccole insolvenze: infine, la sentenza deve dare atto, se del caso, che non si procede alla liquidazione giudiziale qualora i debiti scaduti risultino sotto €30.000. In pratica, se in corso di causa si fosse accertato che il debito era sotto soglia, il tribunale avrebbe disposto il non luogo a procedere.

La sentenza dichiarativa viene emessa subito dopo l’udienza o comunque nel più breve tempo possibile, data l’urgenza che caratterizza queste situazioni. Va ricordato che contro la sentenza che dichiara aperta la liquidazione giudiziale (o contro il decreto di rigetto) è ammesso reclamo da proporre alla Corte d’Appello competente entro 30 giorni dalla comunicazione. Il reclamo (art. 51 CCII) è il mezzo di impugnazione analogo all’appello avverso la sentenza dichiarativa: può proporlo il debitore (se contesta l’insolvenza o la non fallibilità), oppure il creditore istante se la domanda è stata rigettata, o altri creditori/PM se hanno interesse. La Corte d’Appello decide in camera di consiglio confermando o revocando la liquidazione giudiziale. Ulteriormente, contro la decisione d’appello è ammesso ricorso per Cassazione.

Una volta pronunciata, la sentenza di apertura produce effetti immediati sul patrimonio e sull’attività del debitore, che analizzeremo nel prossimo capitolo. Prima però, facciamo una panoramica degli organi e attori coinvolti nella procedura e dei loro ruoli.

Organi della Procedura e Parti Coinvolte

La liquidazione giudiziale coinvolge diversi soggetti, ciascuno con funzioni e poteri ben definiti. Comprendere i ruoli è fondamentale per seguire le fasi procedurali:

  • Tribunale Fallimentare (Sezione Impresa): organo giudicante collegiale che apre la procedura con sentenza e decide sulle principali istanze (omologazioni concordati di chiusura, reclami su atti del GD, ecc.). Dopo l’apertura, alcune funzioni passano al giudice delegato, ma il Tribunale rimane competente per provvedimenti di maggiore importanza (es. provvedere sulla revoca della procedura, sulla rimozione del curatore, ecc.).
  • Giudice Delegato (GD): è il magistrato nominato nella sentenza di apertura per dirigere e controllare la procedura. Ha poteri autorizzativi e di vigilanza:
    • Presiede all’udienza di verifica del passivo e emette il decreto di esecutività dello stato passivo (ammissione crediti).
    • Autorizza il curatore a compiere atti di straordinaria amministrazione non previsti nel programma di liquidazione e le eventuali continuazioni dell’esercizio d’impresa (ex art. 211).
    • Esamina periodicamente le relazioni del curatore e lo convoca se servono chiarimenti.
    • Decide sull’ammissione al concordato di chiusura (sottopone ai creditori la proposta e raccoglie i voti).
    • Approva i piani di riparto dei crediti predisposti dal curatore (salvo opposizioni dei creditori).
    • Può emettere decreti in caso di controversie minori nella procedura.
    Il GD agisce quindi come “regista” sul campo: assicura il rispetto delle regole e tutela l’interesse della massa dei creditori, in costante contatto col curatore.
  • Curatore: figura centrale, è il gestore della procedura. Nominato dal Tribunale (scelto tra professionisti indipendenti iscritti in appositi elenchi), assume immediatamente l’amministrazione di tutti i beni dell’impresa. I suoi compiti principali includono:
    • Prendere in consegna i beni del debitore e custodirli. Il curatore si insedia presso l’azienda fallita, cambia serrature se necessario, inventaria i beni (redige l’inventario dettagliato dei cespiti mobili e immobili).
    • Notificare ai creditori l’avviso di apertura e il termine per insinuarsi al passivo. Entro 30 giorni dalla sentenza, invia ai creditori noti una comunicazione con la data dell’udienza di esame dello stato passivo e le istruzioni per proporre domanda.
    • Esaminare le domande di credito che giungono ed elaborare il progetto di stato passivo indicando per ciascun credito se ritiene di ammetterlo (in tutto o in parte) o di escluderlo, con relative motivazioni. Il progetto viene depositato e portato al GD per l’esame nell’udienza.
    • Gestire l’impresa nel caso di esercizio provvisorio: se il tribunale o il GD autorizzano la continuazione temporanea dell’attività (in tutto o in parte), il curatore assume il ruolo di amministratore dell’azienda, proseguendo l’attività commerciale per il periodo autorizzato (ad es. per completare commesse in corso o preservare il valore di un’azienda in crisi).
    • Predisporre il programma di liquidazione (entro 150 giorni dall’apertura): un documento che pianifica come e in che tempi verranno venduti i beni e gestiti i crediti. Il programma va sottoposto all’approvazione del comitato dei creditori e del GD. Deve indicare se si intende fare vendite all’asta, trattative private, lotti unici, affitto d’azienda temporaneo, ecc., con l’obiettivo di massimizzare il realizzo nell’interesse dei creditori.
    • Liquidare l’attivo: il curatore procede alla vendita di tutti i beni del fallito secondo le modalità approvate (aste telematiche, cessione di rami d’azienda, realizzo crediti, etc.). Può assumere esperti stimatori, nominare notai per le aste, e svolge direttamente o indirettamente (tramite commissionari) le operazioni di vendita.
    • Recuperare crediti e promuovere azioni legali: il curatore riscuote i crediti che il fallito aveva verso terzi (ad esempio emette ingiunzioni di pagamento ai clienti morosi). Inoltre, ha legittimazione per esercitare le azioni revocatorie e altre azioni giudiziarie nell’interesse della massa. Ciò include:
      • Azioni revocatorie fallimentari ex artt. 166-168 CCII: per far dichiarare inefficaci atti pregiudizievoli compiuti dal debitore prima della procedura e recuperare i beni/valori alienati. (Ne parleremo nella sezione sulla gestione dell’attivo).
      • Azioni di responsabilità verso gli amministratori o sindaci della società fallita (se hanno cagionato il dissesto con mala gestione). Ad esempio l’azione sociale di responsabilità ex art. 255 CCII (già art. 146 L.F.) esercitata dal curatore per conto della società contro gli amministratori colpevoli.
      • Cause pendenti: il curatore può subentrare nei giudizi in corso riguardanti rapporti patrimoniali del fallito (ex art. 144 CCII, simile all’art. 43 L.F.), oppure può resistere alle liti promosse dai creditori esclusi (opposizioni allo stato passivo).
    • Ripartire l’attivo tra i creditori: man mano che si ricavano liquidità dalle vendite, il curatore elabora piani di riparto (parziali e finale) in cui distribuisce le somme ai creditori secondo l’ordine dei privilegi. I piani vengono comunicati ai creditori e sottoposti all’approvazione del GD (i creditori possono fare reclamo se li ritengono errati). Una volta autorizzati, il curatore esegue i pagamenti.
    • Rendicontare la gestione: al termine, presenta il conto della gestione al GD e al comitato, con il rendiconto finanziario di tutte le operazioni.
    • Comunicare e relazionare: il curatore ha obblighi di informazione costante. Entro 30 giorni dall’apertura, trasmette al GD una relazione iniziale sulle cause dell’insolvenza e sulle eventuali responsabilità riscontrate (fatti di rilevanza penale o atti censurabili). Inoltre, entro 4 mesi dall’esecutività dello stato passivo e poi ogni 6 mesi, invia al GD e ai creditori una relazione periodica sull’andamento della procedura e le somme disponibili. Tali obblighi (art. 130 CCII) sono intesi a garantire trasparenza; il correttivo 2024 ha sottolineato l’importanza del puntuale adempimento, pena possibili sanzioni (art. 126 CCII richiede diligenza e correttezza).
    Il ruolo del curatore è per certi versi assimilabile a quello di un amministratore straordinario dell’azienda insolvente, con il compito di liquidarla nell’interesse dei creditori. Egli opera sotto la vigilanza del GD e del comitato dei creditori, ma dispone di un margine di autonomia gestionale. Data la delicatezza dei compiti, la legge prevede cause di incompatibilità (non può essere curatore chi è parente del debitore, creditore, etc.) e possibilità di revoca per giusta causa (ad es. inettitudine, ritardi gravi).
  • Comitato dei Creditori: è un organo collegiale composto da 3 o 5 creditori nominati dal GD fra i maggiori creditori o comunque rappresentativi delle varie categorie di crediti. Il comitato ha funzioni consultive e di controllo:
    • Pareri obbligatori: il curatore deve sentire il parere (non vincolante) del comitato prima di compiere atti di particolare importanza come la proposta di concordato di cui diremo, l’esercizio provvisorio, la vendita in blocco dell’azienda, transazioni e compromessi, ecc. Anche il programma di liquidazione deve essere approvato dal comitato.
    • Vigilanza sull’operato del curatore: i membri del comitato possono ispezionare le scritture contabili della procedura e chiedere chiarimenti al curatore. Segnalano al giudice eventuali irregolarità.
    • Autorizzazione di atti urgenti: in alcuni casi, se il comitato è d’accordo su un atto urgente e il GD non è immediatamente disponibile, il curatore può procedere salvo ratifica (per evitare perdite di chance).
    • Tutela degli interessi della classe di creditori: ad esempio un membro privilegiato vigilerà che i beni su cui vi è ipoteca siano liquidati al meglio.
    Il comitato quindi rappresenta la collettività dei creditori nel procedimento, bilanciando l’autorità del curatore e del giudice. La sua composizione può variare se alcuni membri rinunciano o vengono revocati (il GD può sostituirli). Non tutte le procedure hanno un comitato: se i creditori sono pochi o di scarso interesse, il tribunale può decidere di non nominarlo, accentrando i controlli in capo al GD. Ma nelle procedure medio-grandi è prassi nominarlo.
  • Debitore: pur essendo spossessato dei beni, il debitore (imprenditore individuale o rappresentanti legali se società) rimane parte del procedimento e ha obblighi precisi:
    • Collaborazione: deve collaborare con gli organi della procedura, fornendo tutte le informazioni e i documenti richiesti dal curatore o dal GD. Deve comparire alle convocazioni del GD o del tribunale e rispondere con verità alle domande sul patrimonio.
    • Divieti e limitazioni: dal momento dell’apertura, il debitore perde la gestione e disponibilità dei propri beni. Gli atti dispositivi che compie sono inefficaci verso i creditori (sostanzialmente nulli). Non può pagare debiti anteriori né disporre del proprio denaro (che viene incamerato dal curatore).
    • Consegna dei beni e libri: deve consegnare immediatamente al curatore tutti i beni in suo possesso, le scritture contabili, i registri sociali, documenti fiscali e ogni altro bene aziendale.
    • Residenza controllata: il debitore persona fisica può subire limitazioni personali: non può allontanarsi senza permesso se ciò ostacola la procedura; deve comunicare ogni variazione di domicilio. Il passaporto può essere consegnato al GD.
    • Procedimenti giudiziari: come anticipato, con l’apertura della liquidazione giudiziale tutti i procedimenti riguardanti rapporti patrimoniali del debitore passano in capo al curatore. Il debitore non può stare in giudizio autonomamente per questioni patrimoniali (art. 144 CCII). Egli può però intervenire in giudizio se da quella causa può derivare un’accusa di bancarotta a suo carico, o in altri casi speciali (es. è ammesso che impugni personalmente un avviso di accertamento fiscale se il curatore vi ha rinunciato, ma su questo la giurisprudenza è rigorosa nell’ammettere il fallito solo in caso di inerzia colpevole del curatore: cfr. Cass. SS.UU. 11287/2023).
    In sintesi il debitore, pur spogliato, rimane obbligato a un comportamento leale: eventuali condotte ostruzionistiche o la sottrazione di beni possono integrare reati di bancarotta. Importante: con il CCII sono stati eliminati alcuni effetti afflittivi previsti dalla vecchia legge fallimentare: ad esempio, non esiste più l’istituto della riabilitazione civile (prima necessario per riacquistare capacità dopo il fallimento). Inoltre, non sono più previste pene come l’interdizione da cariche o il divieto di esercitare un’impresa dopo la chiusura – a meno che il soggetto non venga condannato penalmente (in tal caso le pene accessorie possono includere l’interdizione dagli uffici direttivi). Il sistema attuale tende quindi a considerare la liquidazione giudiziale non come un marchio definitivo: superata la procedura, l’imprenditore onesto può ricominciare (grazie anche all’esdebitazione, v. oltre).
  • Creditori: i creditori dell’imprenditore insolvente diventano parti del concorso. Essi devono presentare domanda di ammissione al passivo per partecipare al riparto (come dettagliato nel prossimo capitolo). Dal momento dell’apertura:
    • Sono soggetti al divieto di azioni esecutive individuali: non possono iniziare o proseguire esecuzioni forzate o sequestri su beni del debitore. Eventuali procedure esecutive pendenti restano sospese e poi estinte.
    • Non possono ottenere ipoteche giudiziali o altri vincoli sui beni del debitore da quel momento (gli atti di costituzione di pegni o ipoteche dopo l’apertura sono nulli).
    • I crediti anteriori restano congelati: perdono la possibilità di maturare interessi oltre la data di apertura (salvo i creditori ipotecari e pignoratizi, che possono maturare interessi nei limiti del valore del bene su cui hanno garanzia).
    • I creditori sono tenuti a partecipare al concorso depositando domanda entro i termini; se tardano potranno essere ammessi in ritardo ma con le limitazioni che vedremo.
    I creditori possono inoltre organizzarsi informally, ma formalmente i loro poteri sono esercitati tramite il comitato dei creditori o tramite il voto in caso di concordato di chiusura. Il singolo creditore ha facoltà di presentare opposizione allo stato passivo se il suo credito è escluso, di proporre reclami contro atti del GD lesivi dei suoi diritti, e di impugnare l’eventuale concordato di liquidazione se lesivo.

Riassumiamo sinteticamente i principali attori della liquidazione giudiziale e i rispettivi ruoli:

SoggettoRuolo/FunzioneRiferimenti
Tribunale (collegio)Dichiara l’apertura della procedura; decide reclami e questioni di maggiore importanza; nomina GD e curatore.Art. 49 CCII
Giudice Delegato (GD)Vigila e guida la procedura dopo l’apertura: ammette i crediti (decreto stato passivo), autorizza atti del curatore, approva riparti, raccoglie i voti su concordati di chiusura, ecc.Art. 49 e artt. 201, 207, 213 CCII
CuratoreAmministra il patrimonio del debitore; compie tutti gli atti di gestione e liquidazione; forma lo stato passivo; realizza l’attivo (vendite, recupero crediti, azioni legali); ripartisce il ricavato; riferisce al GD e creditori.Art. 128-132, 213-215 CCII
Comitato dei creditoriOrgano composto da 3 o 5 creditori rappresentativi: dà pareri sugli atti di gestione importanti, controlla l’operato del curatore, tutela gli interessi della massa.Art. 135-140 CCII
DebitoreSoggiace allo spossessamento; ha obbligo di collaborazione e informazione; può proporre concordato di chiusura; subisce le limitazioni personali previste; può essere destinatario di provvedimenti penali in caso di reati concorsuali.Art. 142-144 CCII
CreditoriPartecipano al concorso presentando domanda; non possono agire individualmente; esercitano diritti tramite il comitato o in sede di voto su concordati; possono impugnare esclusioni di crediti e atti lesivi dei loro diritti nella procedura.Art. 201-208 CCII

Con questo quadro dei soggetti, possiamo ora seguire il percorso procedurale che si svolge dal momento dell’apertura in poi: dalla verifica dei crediti dei creditori (accertamento del passivo) alla realizzazione dell’attivo e distribuzione, fino alla chiusura.

Accertamento del Passivo (Esame e Ammissione dei Crediti)

Una volta aperta la procedura con la sentenza dichiarativa, la prima fase interna fondamentale è l’accertamento del passivo, cioè la determinazione ufficiale di quali creditori (e per quali importi) parteciperanno alla distribuzione dell’attivo. Questo avviene tramite un procedimento strutturato e cadenzato, incentrato sull’udienza di verifica dello stato passivo presieduta dal GD.

Domande di Insinuazione dei Crediti: Termini e Modalità

Dopo la dichiarazione di liquidazione giudiziale, il curatore invia prontamente ai creditori conosciuti la comunicazione dell’apertura della procedura e l’invito a presentare le domande di ammissione al passivo. Come già visto, la sentenza fissa il termine entro cui i creditori devono insinuarsi, tipicamente 30 giorni prima dell’udienza di verifica. Questa scadenza è per le domande tempestive.

In pratica, i creditori hanno generalmente qualche mese di tempo. Ad esempio: se la sentenza è del 1° febbraio e fissa l’udienza di esame del passivo al 1° giugno, i creditori dovranno presentare le istanze entro il 1° maggio (30 giorni prima).

Forma della domanda: La domanda di insinuazione è un ricorso (oggi telematico) indirizzato al curatore e depositato tramite PEC o portale del tribunale, contenente:

  • L’indicazione del credito che si intende far valere (importo, causa, data di maturazione).
  • L’eventuale titolo di prelazione (privilegio, ipoteca, pegno) su cui si chiede di essere ammessi in via preferenziale, con relativa documentazione (es: atto di iscrizione ipoteca, fatture privilegiati ex art. 2751-bis c.c. per lavoratori autonomi, ecc.).
  • Eventuali domande di rivendica o restituzione di beni, se il terzo vanta proprietà su cose in possesso del fallito.
  • I documenti giustificativi (contratti, fatture, decreto ingiuntivo, assegni protestati, estratti conto, ecc.). Non è obbligatorio un avvocato per presentare l’istanza (il creditore può farlo personalmente, specie nei moduli semplificati predisposti dai tribunali).

Il CCII consente espressamente che la domanda di ammissione possa essere presentata anche senza assistenza di un legale, rendendo la procedura più accessibile ai creditori piccoli. Tuttavia, in casi complessi o con contestazioni, molti creditori si affidano a un avvocato.

Domande tardive: Se un creditore non riesce a rispettare il termine iniziale, può comunque insinuarsi dopo. La legge distingue:

  • Domanda tardiva semplice: presentata oltre il termine ma entro 6 mesi dalla data in cui lo stato passivo è stato reso esecutivo. In tal caso il creditore viene ammesso ma subirà le decadenze sulle ripartizioni già effettuate (vedi oltre).
  • Domanda ultratardiva: presentata oltre 6 mesi dall’esecutività del passivo, ma prima che siano esaurite le ripartizioni finali. È ancora ammissibile solo se il ritardo è dovuto a causa non imputabile al creditore e la domanda viene proposta entro 60 giorni dal cessare della causa impediente. Ad esempio, un creditore che scopre l’esistenza del fallimento in ritardo perché non avvisato e dimostra di aver avuto un impedimento oggettivo, può chiedere l’ammissione ultratardiva entro 60 giorni da quando ha saputo della procedura.

Trascorsa la fase di riparti finali, non sono più ammesse domande (in pratica dopo il decreto di chiusura, i crediti non soddisfatti restano tali e il creditore attenderà l’eventuale esdebitazione per la parte residuale).

Effetti della tardività: La legge punisce il creditore che si insinua tardi precludendogli di partecipare ai riparti già avvenuti:

  • Un creditore chirografario tardivo non può pretendere quota delle ripartizioni già distribuite prima della sua ammissione. Ad esempio, se prima del suo ingresso c’è stato un riparto del 10%, quel 10% è perso per il tardivo. Egli concorrerà solo sulle somme residue ancora da distribuire.
  • Un creditore privilegiato (garantito) invece, anche se tardivo, conserva il diritto a essere soddisfatto sul ricavato del bene oggetto di prelazione, pure se venduto e già ripartito in parte. In pratica il privilegio lo protegge: se una distribuzione antecedente ha assegnato qualcosa ai chirografari che il tardivo avrebbe dovuto prendere, il tardivo privilegiato può attaccarsi su future ripartizioni senza subire decurtazione.

Esempio: un ipotecario tardivo arriva dopo che altri ipotecari di grado successivo sono stati pagati – potrà rivalersi in prededuzione sulle prossime somme, recuperando quanto perso dai successivi. Questa regola evita che i privilegiati siano penalizzati dalla tardività altrui, mentre i chirografari tardivi sì.

Mancanza di attivo: Può capitare che il fallimento sembri privo di attivo (nessun bene da liquidare). In tal caso, per ragioni di economia, l’art. 209 CCII prevede che non si faccia luogo all’accertamento del passivo: il curatore, se accerta che non ci sono attività da distribuire ai creditori, può chiedere al GD di saltare la fase di verifica dei crediti e di chiudere anticipatamente la procedura ai sensi dell’art. 234 CCII. Ciò evita inutili formalità quando comunque i creditori non otterranno nulla. La chiusura per mancanza di attivo (cosiddetta “chiusura per insufficienza dell’attivo”) estingue la procedura fin dall’inizio. I creditori tuttavia restano liberi poi di agire esecutivamente contro il debitore (che a quel punto torna in bonis) qualora emergessero in futuro beni occultati. L’eventuale esdebitazione anticipata (art. 282 CCII) può liberare subito il debitore persona fisica in questi casi, come vedremo.

Verifica dei Crediti e Formazione dello Stato Passivo

Decorso il termine per le insinuazioni tempestive, il curatore esamina tutte le domande ricevute. Egli prepara un progetto di stato passivo, cioè un elenco di creditori suddiviso per grado (prededucibili, privilegiati, chirografari, postergati), indicando per ognuno l’importo richiesto e le sue conclusioni: ammissione integrale, ammissione parziale (ad es. riconosce solo una parte del credito o esclude gli interessi), oppure esclusione (se ritiene il credito inesistente o non sufficientemente provato). Il progetto di stato passivo, con relative osservazioni, viene depositato in cancelleria prima dell’udienza di verifica, così che i creditori possano prenderne visione.

All’udienza di verifica dello stato passivo (alla data fissata nella sentenza, salvo proroghe dal GD nei limiti di legge), si procede all’esame in contraddittorio:

  • Il Giudice Delegato presiede l’udienza, assistito dal curatore.
  • Possono comparire i creditori (spesso rappresentati da avvocati) le cui domande sono contestate o da chiarire. In pratica, se il curatore ha proposto di escludere un credito, il creditore interessato può presentarsi per difendere la propria pretesa.
  • Il GD esamina ogni domanda, tenendo conto delle conclusioni del curatore e delle eventuali osservazioni del creditore:
    • Se una domanda è non contestata (curatore d’accordo all’ammissione e nessun’altra parte si oppone), il GD la conferma e l’ammette.
    • Se c’è contestazione, il GD ascolta le parti e decide seduta stante. Ad esempio: il creditore Alfa chiede €100.000 privilegiati; il curatore propone €50.000 chirografari; all’udienza Alfa insiste per il privilegio, il GD può decidere di ammettere €50.000 privilegiati e il resto chirografo, ecc.
  • Terminata la disamina di tutte le domande, il GD forma lo stato passivo definitivo e lo rende esecutivo con decreto depositato in cancelleria. Il decreto di esecutività contiene l’elenco dei crediti ammessi (eventualmente con riserva) e di quelli esclusi.

I creditori possono essere ammessi con riserva in alcuni casi: ad esempio, se un credito è condizionato o in contestazione pendente altrove (cause civili in corso, ecc.), il GD lo ammette allo stato passivo “sub iudice”, riservando la definitiva ammissione all’esito del giudizio esterno. Oppure un creditore ipotecario privo di documentazione completa può essere ammesso con riserva in attesa di integrazione. I creditori con riserva non percepiscono somme finché la riserva non è sciolta positivamente.

Impugnazioni dello stato passivo: I creditori che non sono soddisfatti dell’esito (perché esclusi o ammessi in misura inferiore al richiesto, o in grado chirografario anziché privilegiato) possono proporre le seguenti azioni:

  • Opposizione allo stato passivo: è un ricorso che il creditore escluso presenta al Tribunale (in composizione collegiale) contestando il decreto del GD nella parte che lo riguarda. Deve essere proposto entro 30 giorni dalla comunicazione del decreto di esecutività dello stato passivo.
  • Impugnazione dei crediti ammessi: anche un creditore già ammesso può avere interesse a impugnare l’ammissione di un altro creditore, se la ritiene indebita (ciò perché l’ammissione altrui incide sulla percentuale di soddisfazione). In tal caso si parla di impugnazione ex art. 208 CCII, sempre davanti al Tribunale entro 30 giorni.
  • Revocazione dello stato passivo: ancora, se emergono fatti nuovi o errori (es. un credito è stato ammesso per errore di persona), si può chiedere la revocazione in casi tassativi.

Questi giudizi impugnatori si svolgono come cause civili in parallelo alla procedura, senza sospendere la liquidazione. Il Tribunale decide con sentenza di primo grado; ulteriore appello e cassazione sono possibili. I crediti oggetto di opposizione restano “sub iudice” nel frattempo: il curatore dovrà accantonare somme per loro in attesa della definizione, come vedremo.

Soltanto i creditori formalmente ammessi allo stato passivo (anche se con riserva) hanno diritto di partecipare alle ripartizioni dell’attivo. Chi non ha presentato domanda o è stato escluso (senza opporsi o con opposizione respinta) è fuori dal concorso e i suoi crediti restano non soddisfatti, salvo residuali azioni verso coobbligati o fideiussori.

Compensazione di crediti e debiti: Un istituto particolare in sede di verifica è la compensazione legale tra crediti vantati dal fallito verso un creditore e debiti dello stesso creditore verso il fallito. Il CCII (art. 155) ammette che se un creditore insolvente aveva anche un debito verso il fallito, al momento dell’apertura questi due rapporti si compensano automaticamente fino a concorrenza. Ciò consente, ad esempio, al cliente che doveva €50.000 al fallito e vanta un credito di €50.000 verso il fallito stesso, di non dover versare nulla e non ricevere nulla (compensazione in concorso). La compensazione deroga al principio della par condicio perché il creditore compensante ottiene soddisfazione integrale del proprio credito (evitando di concorrere con gli altri). Tuttavia è permessa per equità, tranne nei casi di compensazione “fraudolenta”:

  • È vietata la compensazione se il creditore ha acquistato un credito verso il fallito da terzi dopo il deposito del ricorso di liquidazione o nell’anno precedente. Questo per evitare che un debitore del fallito compri a poco prezzo un credito altrui solo per compensarlo col suo debito ed estinguere il dovuto (cd. compensazione strategica triangolare). Se il credito è stato ceduto in quell’arco temporale, la compensazione non opera.
  • Non operano inoltre compensazioni volontarie post-apertura (ovviamente il curatore non può accettare di compensare se non quando vi è piena reciprocità ex lege al momento dell’apertura).

Una volta chiusa l’udienza di verifica e trascorsi i termini per le impugnazioni, lo stato passivo diviene definitivo. Abbiamo così l’elenco ufficiale dei crediti concorsuali (cioè anteriori all’apertura) che dovranno essere soddisfatti nei limiti dell’attivo disponibile, secondo l’ordine stabilito: prima i crediti prededucibili (spese di procedura, crediti sorti in funzione di procedure di allerta o concordati precedenti), poi i privilegiati (garantiti da cause legittime di prelazione: privilegi generali e speciali mobiliari e immobiliari, ipoteche, pegni), quindi i chirografari (senza garanzie) e infine eventuali postergati (es. finanziamenti soci postergati ex art. 2467 c.c.).

Con l’accertamento del passivo concluso, la procedura entra nel vivo della gestione e liquidazione dell’attivo, di cui ora descriviamo tutte le fasi pratiche.

Gestione e Liquidazione dell’Attivo

Parallelamente all’iter di verifica dei crediti, il curatore inizia ad occuparsi attivamente del patrimonio fallimentare, con l’obiettivo di convertirlo in denaro da distribuire. Questa fase comprende varie attività: la conservazione e amministrazione dei beni, l’eventuale prosecuzione temporanea dell’impresa, la predisposizione del programma di liquidazione, lo svolgimento delle vendite e il recupero crediti, fino alla distribuzione finale. Vediamo in dettaglio.

Inventario e Custodia dei Beni

Subito dopo la nomina, il curatore effettua l’inventario dei beni del fallito (beni mobili, immobili, partecipazioni, crediti, ecc.), avvalendosi se necessario di esperti stimatori. L’inventario serve a fotografare l’attivo su cui lavorare. Contestualmente, il curatore prende in carico i beni:

  • Mette sigilli e custodisce i beni mobili di valore.
  • Assume la custodia di magazzini, merci, macchinari.
  • Se l’impresa esercitava un’attività, il curatore subentra nei locali aziendali e può nominare guardiani o custodi per sorvegliare.
  • Per i conti bancari: li blocca e trasferisce le somme su un conto della procedura (conto fallimentare).
  • Eventuali beni dati in pegno o in leasing: contatta i creditori pignoratizi/locatori per concordare il realizzo o restituzione.

La gestione provvisoria in questa fase è mirata a preservare il valore dell’attivo. Ad esempio, il curatore può stipulare polizze assicurative per coprire rischi sui beni, pagare spese di custodia (utenze per mantenere la sicurezza dei locali, vigilanza, ecc.) che saranno considerate spese prededucibili.

Esercizio Provvisorio o Continuazione dell’Azienda

Di regola, con l’apertura della liquidazione giudiziale l’attività d’impresa cessa: il curatore chiude i battenti e si limita a liquidare i beni. Tuttavia, in alcuni casi è più vantaggioso per i creditori continuare temporaneamente l’esercizio dell’impresa fallita, in tutto o in parte. Questo per evitare che la brusca interruzione distrugga il valore aziendale (perdendo avviamento, contratti in corso, personale qualificato) quando invece mantenere l’impresa in funzione potrebbe consentire una vendita più profittevole come azienda in esercizio.

Il CCII (art. 211) disciplina l’esercizio provvisorio dell’impresa in liquidazione giudiziale:

  • Può essere autorizzato dal Tribunale nella sentenza dichiarativa stessa, oppure successivamente dal GD su proposta del curatore.
  • Condizioni: deve risultare utile per evitare un grave pregiudizio (es. macchinari di alto valore che perderebbero molto se spenti, commesse vitali da completare per incassare crediti) e in vista di una migliore realizzazione dell’attivo. In altre parole, l’esercizio provvisorio è strumentale a massimizzare il valore da distribuire ai creditori.
  • Durata: limitata nel tempo. Spesso è concessa per pochi mesi, rinnovabili se necessario. Il GD può autorizzarla “limitatamente a specifici rami dell’azienda” e fissandone la durata.
  • Soggetti: il curatore conduce l’impresa come amministratore durante l’esercizio provvisorio, sotto la vigilanza del GD. Può farsi assistere da personale già esistente o nominare direttori tecnici. I contratti aziendali proseguono regolarmente, il curatore paga le spese correnti (materie prime, stipendi) che saranno prededotte (spese di massa).
  • Effetti: i risultati economici dell’esercizio provvisorio (utili o perdite) ricadono nella massa. L’esercizio provvisorio genera debiti prededucibili (ad esempio debiti verso i fornitori che continuano a consegnare merci alla procedura, stipendi maturati dopo l’apertura, ecc.), che saranno soddisfatti con priorità assoluta sui ricavi della gestione stessa e sugli altri attivi.

Un tipico caso: un’azienda manifatturiera con molte commesse in corso – l’arresto immediato porterebbe penali e la perdita del valore di magazzino. Continuando per qualche mese, il curatore può completare le commesse, incassare i crediti, e poi vendere l’azienda come unità produttiva funzionante ad un prezzo superiore. Se il curatore riuscisse a cedere l’azienda in blocco (o affittarla e poi cederla), garantirebbe più salvaguardia per i dipendenti e maggior realizzo per i creditori rispetto alla vendita frammentata di impianti e scorte.

Va detto che l’esercizio provvisorio è un’eccezione, perché implica rischi (le perdite ricadono sui creditori prededucibili) e richiede cassa. Il GD lo concede solo se c’è ragionevole prospettiva di utile o di limitare danni peggiori. Ad esempio, è comune nel settore delle costruzioni (per finire cantieri) o in quello alberghiero (tenere aperto l’hotel fino a cessione).

Programma di Liquidazione

Entro 150 giorni dall’apertura, il curatore deve presentare al GD un programma di liquidazione ex art. 213 CCII. Questo documento, fondamentale per pianificare la realizzazione dell’attivo, contiene:

  • Elenco dettagliato dei beni da liquidare (come risultanti dall’inventario) e indicazione del loro valore stimato.
  • Modalità di vendita proposte per ciascun cespite o gruppo di cespiti:
    • Vendita all’asta pubblica (incanto) oppure vendita competitiva anche telematica, specificando se avvalersi di piattaforme on-line.
    • Trattativa privata (permessa solo se si prevede che l’asta sarebbe infruttuosa o per beni di modico valore). In tal caso vanno giustificate le condizioni.
    • Vendita in blocco o per lotti: es. cessione in blocco di un ramo d’azienda o di più beni insieme per valorizzare sinergie.
    • Eventuale ricorso a mandati ad agenzie specializzate o broker, ad esempio per la vendita di opere d’arte, immobili di pregio, asset particolari.
  • Tempistiche previste: il CCII fissa di regola un massimo di 5 anni per completare la liquidazione. Il curatore nel programma dovrebbe indicare una timeline (es: vendite immobili entro 2 anni, recupero crediti entro 1 anno, ecc.). Il GD può autorizzare una proroga oltre i 5 anni solo in casi eccezionali, altrimenti il curatore può essere revocato per inattività.
  • Valutazione di convenienza: per ogni bene o operazione, il curatore motiva perché quella modalità di liquidazione è la più appropriata per massimizzare il ricavato nell’interesse dei creditori.
  • Eventuali azioni particolari: ad esempio la scelta di esercitare o meno azioni revocatorie, la promozione di cause risarcitorie contro amministratori (art. 255 CCII), la gestione di crediti fiscali, la strategia sulle partecipazioni societarie (liquidare la società controllata o cederne le quote).
  • Ipotesi di soddisfacimento: una stima, in base all’attivo previsto e al passivo accertato, di quanto percentualmente potrebbero ottenere i creditori delle varie classi (es: prevedibile 100% dei privilegiati, 20% dei chirografari).

Il programma di liquidazione deve essere sottoposto all’approvazione del comitato dei creditori e poi approvato definitivamente dal Giudice Delegato. Se il comitato non approva, il curatore può proporre modifiche o, in casi estremi, chiedere al GD di superare il dissenso motivando. Il GD verifica che il programma tuteli al meglio gli interessi della massa e rispetti la legge (ad esempio la necessità di procedure competitive per le vendite) e quindi emette un decreto di approvazione.

Durante l’esecuzione, il programma può essere modificato o integrato se cambiano le circostanze (nuove offerte, difficoltà non previste). Ogni modifica sostanziale richiede di nuovo il passaggio con comitato e GD.

Il programma di liquidazione dà quindi l’indirizzo strategico: una volta approvato, il curatore può attuare le operazioni in esso previste senza bisogno di ulteriori autorizzazioni (salvo quelle espressamente richieste dalla legge, ad es. per vendite di immobili è comunque necessario il decreto di trasferimento del GD).

Vendita dei Beni (Realizzo dell’Attivo)

Principi generali: La liquidazione dell’attivo deve avvenire con modalità tali da garantire trasparenza e massima soddisfazione dei creditori. Il CCII incoraggia l’uso di procedure competitive e strumenti telematici per ampliare la platea di potenziali acquirenti. Gli atti di liquidazione compiuti in attuazione del programma approvato non richiedono ulteriori pareri, mentre se il curatore intende discostarsi dal programma deve ottenere nuovi ok.

Le principali tipologie di vendite sono:

  • Vendita di beni mobili: il curatore può organizzare aste telematiche (tramite siti specializzati come astegiudiziarie.it) oppure vendite presso la sede fallimentare con commissionario (banditore d’asta). Se il bene ha un mercato limitato, può procedere a trattativa privata raccogliendo offerte informali, ma comunque dando pubblicità all’invito a offrire. Le giacenze di magazzino spesso sono vendute in blocco a stock ad altri operatori del settore.
  • Vendita di immobili: segue regole simili all’esecuzione forzata. Si predispone un avviso di vendita con prezzo base (di solito determinato da una perizia), si indice un’asta (spesso telematica) e il miglior offerente si aggiudica. Il GD poi emette il decreto di trasferimento dell’immobile aggiudicato. Il CCII ha innovato prevedendo che, di preferenza, ci si avvalga di portali telematici autorizzati per le vendite immobiliari, al fine di snellire il processo e aumentare la partecipazione di acquirenti.
  • Cessione di azienda o rami d’azienda: il curatore può vendere in blocco l’azienda fallita o suoi rami, se ciò rende di più che liquidare i beni separatamente. In questo caso, di norma deve predisporre un bando e raccogliere offerte vincolanti, eventualmente con gara tra gli offerenti. Esempio: curatore affitta l’azienda a un soggetto con opzione di acquisto, oppure indice subito un’asta per la vendita dell’intero complesso aziendale (immobili, macchinari, avviamento, marchi). L’acquirente subentrerà nei contratti in corso scelti e potrà rilevare i dipendenti (in tal caso con applicazione dell’art.2112 c.c. sul mantenimento dei posti di lavoro, benché nella liquidazione giudiziale non vi sia l’obbligo di garantire livelli occupazionali come nel concordato in continuità, ma è spesso interesse pratico).
  • Crediti e partecipazioni: il curatore può cedere crediti vantati dal fallito verso terzi, se la riscossione diretta è incerta o lunga. Spesso bandisce cessioni pro-soluto di lotti di crediti (talora a società di factoring o recupero crediti) incassando subito un importo minore ma certo. Per le partecipazioni societarie, valuta se vendere le quote (magari con trattativa se c’è un socio interessato) o liquidare le società partecipate se anch’esse insolventi.

Ogni vendita, se non riuscita la prima volta, può essere ripetuta abbassando il prezzo base (ribasso) per attirare compratori, previa informativa al comitato se previsto dal programma. Il curatore può anche accettare proposte migliorative fuori asta (ad esempio, se un bene invenduto trova poi un acquirente a un prezzo ritenuto congruo, convoca il comitato e il GD per approvare la vendita).

Trasferimento dei beni e cancellazione pesi: Quando un bene viene venduto, viene trasferito libero dai debiti del fallito. I creditori ipotecari o pignoratizi perdono la garanzia sul bene ma conservano il diritto di prelazione sul prezzo ricavato. Pertanto, ad esempio, un immobile ipotecato viene trasferito all’acquirente libero da ipoteca per effetto del decreto di trasferimento del GD, e l’ipoteca si trasferisce sul prezzo da distribuire (il creditore ipotecario verrà soddisfatto su quell’importo). Questo meccanismo facilita la vendita perché l’acquirente sa di ricevere un bene “pulito”. All’atto della vendita di un bene immobile o registrato, il GD ordina la cancellazione di ipoteche, pignoramenti e vincoli preesistenti.

Azioni Revocatorie: Un aspetto importante della gestione dell’attivo è l’esercizio delle azioni revocatorie fallimentari da parte del curatore, finalizzate a recuperare beni o somme uscite indebitamente dal patrimonio prima del fallimento. Il CCII le disciplina agli artt. 163-168, con alcune novità:

  • Le revocatorie mirano a far dichiarare inefficaci verso i creditori determinati atti compiuti dal debitore prima dell’apertura, restituendo così l’utilità alla massa. Gli atti tipicamente colpiti sono quelli che preferenziano alcuni creditori o dilapidano il patrimonio a ridosso dell’insolvenza.
  • Atti a titolo oneroso con corrispettivo sproporzionato (dove il debitore ha dato molto e ricevuto poco): il periodo sospetto è 1 anno prima dell’apertura se la sproporzione > 1/4. Se la sproporzione è minore, 6 mesi.
  • Pagamenti di debiti scaduti effettuati nell’anno anteriore: revocabili se fatti nei 6 mesi precedenti la procedura. (Questa è una novità: il CCII ha ridotto a 6 mesi il periodo per revocare i pagamenti di debiti scaduti, rispetto ai 12 mesi del vecchio art. 67 L.F., rendendo più difficile revocare pagamenti lontani nel tempo).
  • Pegni, ipoteche volontarie su debiti preesistenti non ancora scaduti: revocabili se costituiti nei 6 mesi prima (se su debiti scaduti, equiparati ai pagamenti, 6 mesi).
  • Atti a titolo gratuito (donazioni, remissioni) compiuti nei 2 anni anteriori: sempre revocabili.
  • Restano esenti taluni atti: quelli a condizioni normali di mercato, i pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio ordinario, le rimesse bancarie su conto corrente entro certe soglie, e – rilevante – i pagamenti e le garanzie concesse in esecuzione di un concordato preventivo omologato o di un accordo di ristrutturazione omologato non sono revocabili. Questo per non scoraggiare gli accordi di risanamento: se un’azienda fa un accordo e poi comunque fallisce, i pagamenti fatti secondo quell’accordo non verranno ripresi dal curatore.

Il curatore valuta caso per caso se valga la pena agire: avviare un’azione revocatoria ha costi e tempi, perciò si procede solo se l’atto ha causato un danno significativo e la controparte è solvibile (es. revocare un pagamento a un grande fornitore per €500.000, sì; revocare la donazione di un’auto vecchia alla moglie, magari no perché poco frutto e problemi probatori). Le somme o i beni recuperati con le revocatorie tornano all’attivo fallimentare e saranno poi distribuiti.

Azioni di responsabilità: Il curatore può agire contro gli amministratori o liquidatori della società fallita se ravvisa che hanno compiuto atti di mala gestione causando il dissesto. L’art. 255 CCII gli attribuisce la legittimazione a esperire sia l’azione sociale di responsabilità (per danni verso la società) sia l’azione verso i creatori per danno a creditori (art. 2394 c.c.). Queste cause spesso eccedono la durata della procedura: il curatore può condurle anche dopo la chiusura, con patrimonio destinato. Se vince, le somme incassate sono ripartite ai creditori anche a procedura chiusa (si può riaprire un riparto supplementare).

Ripartizione dell’Attivo ai Creditori

Man mano che il curatore incassa somme dalle vendite o recuperi, deve procedere a distribuire il denaro ai creditori secondo l’ordine di precedenza. Non occorre attendere la liquidazione completa di tutti i beni: il CCII anzi incoraggia riparti parziali periodici, per iniziare a pagare i creditori mano a mano e non farli attendere anni inutilmente.

Il curatore, ogni volta che dispone di una sufficiente liquidità (oltre un certo minimo al netto delle riserve per spese e cause in corso), predispone un piano di riparto. Inoltre, l’art. 229 CCII prevede che debbano essere predisposti almeno ogni 4 mesi dei progetti di riparto delle somme disponibili, da comunicare ai creditori per eventuali osservazioni. Quindi orientativamente il curatore, tre o quattro volte l’anno, deve tirare le somme e proporre distribuzioni se vi sono fondi.

Formazione del piano di riparto: In un piano di riparto il curatore elenca:

  • Le somme disponibili da distribuire in quel momento (al netto delle spese già pagate o accantonate per prededuzioni future).
  • Le categorie di crediti da soddisfare con tali somme, nel rispetto delle cause di prelazione:
    • Innanzitutto si pagano le spese di giustizia e crediti prededucibili (compensi del curatore, spese amministrative, debiti di esercizio provvisorio, ecc.) integralmente.
    • Poi, se residuano somme, si pagano i creditori con prelazione: in genere il ricavato di uno specifico bene va ai creditori garantiti su di esso (es. prezzo di un immobile va agli ipotecari su quell’immobile in ordine di grado). Se il piano di riparto è generale, il curatore indica: tot a ipotecario X (fino a capienza), tot a privilegiato Y, ecc.
    • Infine, quello che rimane generale va ai chirografari in percentuale proporzionale ai loro crediti ammessi.
  • L’eventuale accantonamento di somme per crediti contestati: se un creditore ha un’opposizione in corso o è ammesso con riserva, la sua quota potenziale viene accantonata in un fondo a parte e non distribuita finché la controversia non si risolve. Ciò per evitare di pagare altri e poi dover chiedere indietro i soldi in caso quel creditore vinca la causa.
  • Somme residue non ripartite (magari trattenute per spese future stimate).

Il Giudice Delegato esamina il progetto di riparto: se ritiene che rispetti le graduatorie di legge, lo approva con decreto. Prima dell’approvazione, i creditori possono presentare eventuali reclami al GD se ravvisano errori (ad es. un privilegio calcolato male). In tal caso il GD può modificare il piano oppure rigettare i reclami con decreto motivato, reclamabile in tribunale.

Una volta approvato, il curatore procede ai pagamenti:

  • Di norma tramite bonifici sui conti correnti indicati dai creditori insinuati.
  • I crediti privilegiati vengono soddisfatti sino alla capienza del bene vincolato. Se c’è incapienza (p. es. ipotecario vantava €100 ma il bene ha reso €80), il credito residuo (€20) passa in chirografo e partecipa come tale ai riparti successivi.
  • I creditori chirografari ricevono la percentuale prevista (es. un 10% di acconto).
  • Eventuali creditori postergati (es. soci finanziatori) vengono pagati solo se tutti gli altri sono pagati integralmente.

Nella prassi, si fanno più riparti parziali (acconti) e poi un riparto finale a chiusura di procedura. Ad esempio:

  • 1° riparto: dopo un anno, il curatore ha venduto qualche bene, fa un riparto del 5% ai chirografari.
  • 2° riparto: dopo due anni, venduti immobili principali, altro 15% ai chirografari.
  • Riparto finale: al quarto anno, venduto tutto, ultimi pagamenti includendo eventuali sopravvenienze.

Ad ogni riparto, i creditori tardivi esclusi non partecipano alle somme già distribuite (vedi sopra). Il curatore calcola sempre la percentuale come se includesse solo chi c’era, i tardivi arrivati dopo non recuperano sulle fette già date.

Esempio di calcolo semplificato: Attivo disponibile €100. Debiti prededucibili €10 -> vanno pagati integralmente (resta 90). Privilegiati (ipoteche) per €50 -> supponiamo ricavato immobili 50, pagati integralmente (resta 40). Chirografari €200 ammessi: i 40 restanti danno un dividendo del 20%. Ogni chirografario prende 20% del suo credito. Se un chirografo era tardivo e già c’era stato un riparto del 10% prima che si insinuasse, lui su quel 10% non partecipa (lo perde), e parteciperà solo al restante 10%.

Con il riparto finale si esaurisce la cassa e il curatore paga tutti i creditori per la quota spettante. Dopodiché si può procedere alla formale chiusura della procedura.

Chiusura della Procedura e Esdebitazione

La chiusura della liquidazione giudiziale avviene quando la procedura ha sostanzialmente raggiunto il suo scopo, oppure se sopravvengono circostanze che ne impediscono la prosecuzione utile. Le cause tipiche di chiusura (art. 234 CCII) sono:

  • Integrale soddisfacimento dei creditori: caso raro, ma se l’attivo consente di pagare tutti al 100%, il tribunale dichiarerà chiusa la procedura.
  • Esaurimento dell’attivo: quando tutti i beni sono stati liquidati e distribuiti ai creditori, non resta altro da fare. Il curatore presenta il conto della gestione finale ed eventualmente un piano di riparto finale (se vi erano somme residue da distribuire). Dopo il pagamento finale, il tribunale con decreto dichiara chiuso il fallimento.
  • Insufficienza dell’attivo: come detto, se in partenza non c’era attivo, il GD può aver ordinato di non procedere al passivo e chiudere subito (chiusura anticipata).
  • Concordato di chiusura approvato e omologato: se i creditori approvano un concordato fallimentare (v. paragrafo successivo) e il tribunale lo omologa, con decreto di omologazione la liquidazione giudiziale viene chiusa (salvo riaprirla in caso di inadempimento del concordato).
  • Altre cause: il tribunale può chiudere se si scopre che il debitore non doveva essere soggetto (es: non era commerciante, errore di soggettività) o se viene revocata per motivi formali. Ma questi casi sono eccezionali.

Quando si arriva alla fine, il curatore deposita un rendiconto finale delle sue attività e un rapporto conclusivo. Il GD sente il comitato e approva il conto se regolare. Quindi il Tribunale pronuncia il decreto di chiusura. Da notare: la chiusura non richiede di attendere la definizione delle cause pendenti (es. opposizioni allo stato passivo, azioni di responsabilità). Queste possono proseguire dopo la chiusura, gestite dall’ex curatore (curatore di fatto per quelle pendenze). Eventuali sopravvenienze attive post-chiusura possono portare a riaprire la procedura oppure a distribuire extra per conto separato.

Effetti della chiusura: Il debitore riacquista la piena capacità di amministrare i propri beni ancora esistenti. La chiusura non incide sui debiti non soddisfatti: essi tornano esigibili verso il debitore (salvo esdebitazione personale). Tuttavia, chiusasi la procedura, i creditori non soddisfatti potranno agire solo sui beni che il debitore ha eventualmente riacquistato dopo la dichiarazione. Spesso però il debitore è rimasto privo di beni. Per le società, la chiusura del fallimento normalmente comporta l’estinzione della società stessa (se non già avvenuta con cancellazione). Per la persona fisica, invece, resta debitrice residualmente, ma come vedremo può liberarsi dei debiti con l’esdebitazione.

Esdebitazione del Debitore (Fresh Start)

Una delle innovazioni più significative del CCII, orientata al “fresh start”, è la semplificazione dell’esdebitazione del debitore persona fisica. L’esdebitazione è l’istituto che permette al debitore fallito onesto di ottenere la cancellazione dei debiti residui non pagati a fine procedura, così da potersi reinserire nel tessuto economico senza il peso di obbligazioni impagabili.

Nel vecchio regime (legge fallimentare, art. 142 e ss.), l’esdebitazione era concessa su istanza del debitore, solo se questi aveva cooperato e non aveva commesso irregolarità gravi, e previa valutazione di “meritevolezza” da parte del tribunale. Inoltre, occorreva aver pagato almeno in parte i creditori chirografari (il 25% salvo consenso dei creditori).

Il CCII ha invece introdotto un meccanismo quasi automatico e di diritto:

  • Debitore persona fisica (imprenditore individuale o socio illimitatamente responsabile): trascorsi 3 anni dalla chiusura della liquidazione giudiziale, ottiene di diritto l’esdebitazione di tutti i debiti concorsuali rimasti insoddisfatti. Non è necessaria alcuna istanza o procedura giudiziale specifica. Passati i 3 anni, per legge i debiti residui si considerano estinti (eccetto quelli non esdebitabili per legge, es: obblighi di mantenimento, risarcimenti da fatto illecito extra-fallimentare, sanzioni penali/amm.ve, che rimangono).
  • Unica eccezione: se il debitore ha tenuto comportamenti fraudolenti o gravemente sleali, può essergli revocata l’esdebitazione. In particolare, l’art. 278 CCII esclude il beneficio se il debitore è stato condannato per bancarotta fraudolenta o reati simili, oppure se emerse che ha distratto attivo, esposto passivo inesistente, ecc.. Anche in assenza di condanne, il curatore o i creditori potrebbero opporsi all’esdebitazione in quei 3 anni se vi sono ragioni di indegnità. Ma la regola generale è la concessione automatica “salvo revoca”.
  • Nessuna valutazione di meritevolezza formale: a differenza di prima, non serve dimostrare di aver soddisfatto una certa percentuale di crediti né che il debitore meriti il beneficio. È appunto automatica, salvo i pochi casi di abuso.

Addirittura, il CCII prevede una speciale esdebitazione anticipata del debitore incapiente (art. 282). Se la procedura si chiude senza alcun attivo da distribuire, il debitore persona fisica può essere liberato dai debiti immediatamente dopo la chiusura, senza attendere 3 anni. Ciò vale quando il fallito “meritevole” non ha avuto proprio patrimonio da liquidare: in tal caso sarebbe inutile tenerlo 3 anni sotto spada di Damocle, lo si esdebita subito per favorire il reinserimento. Anche qui, restano esclusi i debitori in malafede (es. se ha nascosto beni, non avrà diritto all’esdebitazione neanche anticipata).

Queste norme mirano chiaramente a facilitare il fresh start dell’ex imprenditore onesto ma sfortunato. In passato molti falliti restavano tecnicamente debitori a vita per le somme non pagate; ora, dopo la procedura, i debiti concorsuali vengono cancellati d’ufficio (salvo eccezioni). Va precisato che l’esdebitazione riguarda solo la persona fisica: le società fallite si estinguono e non hanno bisogno di esdebitazione (i debiti insoddisfatti sono inesigibili per estinzione del soggetto).

Chiusura e ripartenza: Una volta chiusa la liquidazione giudiziale e (per le persone fisiche) decorsi i termini per l’esdebitazione, la vicenda del fallimento può dirsi conclusa. L’imprenditore può eventualmente aprire una nuova attività (non essendoci più l’interdizione implicita che un tempo richiedeva riabilitazione). Il fallito onesto ottiene una seconda chance, coerentemente con l’approccio moderno all’insolvenza come evento fisiologico e non moralmente riprovevole.

Concordato nella Liquidazione Giudiziale (Concordato di Chiusura)

Anche dopo l’apertura della liquidazione giudiziale, esiste la### Concordato nella Liquidazione Giudiziale

Anche dopo l’apertura della liquidazione giudiziale esiste la possibilità di concludere un accordo con i creditori per chiudere anticipatamente la procedura. È il cosiddetto concordato fallimentare (ora concordato nella liquidazione giudiziale, artt. 240-252 CCII). Consiste in una proposta di soddisfacimento parziale dei crediti rivolta ai creditori concorsuali, che se approvata dalla maggioranza e omologata, porta alla chiusura immediata del fallimento.

Soggetti abilitati a proporlo:

  • Terzi o creditori della procedura – in qualsiasi momento del suo corso – possono formulare una proposta di concordato. Ad esempio, un investitore esterno potrebbe offrire di rilevare i beni pagando una certa percentuale ai creditori, oppure un gruppo di creditori potrebbe proporre di comune accordo una soluzione transattiva.
  • Il debitore stesso, ma con alcune limitazioni: può proporre un concordato solo dopo un anno dall’apertura della liquidazione giudiziale ed entro due anni dall’esecutività dello stato passivo. Inoltre, la sua proposta deve prevedere un apporto di finanza esterna che aumenti l’attivo di almeno il 10%. Questa condizione serve a garantire che l’offerta del debitore apporti un beneficio tangibile in più rispetto alla liquidazione ordinaria (evitando che il debitore chiuda la procedura senza aggiungere nulla per i creditori).

Contenuto della proposta: Chi propone il concordato offre ai creditori un certo trattamento (es. pagamento di una percentuale su tutti i crediti chirografari, pagamento parziale dei privilegiati) in cambio della chiusura immediata della procedura. È possibile:

  • Limitare l’offerta ai creditori già ammessi al passivo, escludendo quelli eventuali non insinuati (di fatto vengono tacitamente esclusi, restando non soddisfatti).
  • Prevedere il pagamento parziale di creditori privilegiati (ipotecari, pignoratizi) a condizione che non ricevano meno di quanto otterrebbero dalla liquidazione dei beni su cui hanno prelazione. In pratica non si può ridurre il diritto dei garantiti oltre il valore di realizzo del collaterale: una banca ipotecaria, ad esempio, deve ricevere almeno l’equivalente di quanto il curatore stimava di ricavare vendendo l’immobile ipotecato.
  • Inserire eventuali classi di creditori se si vogliono trattamenti differenziati (anche se, trattandosi di soddisfacimento prevalentemente liquidatorio, spesso non si creano classi distinte, salvo separare privilegiati e chirografari).

In genere, la proposta di concordato prevede che un soggetto (il proponente o un terzo garante) versi una somma in massa attiva aggiuntiva, destinata a pagare i creditori secondo le percentuali concordate. Ad esempio: “Pagamento del 100% ai privilegiati e del 30% ai chirografari, entro 6 mesi dall’omologazione, grazie al contributo di €X apportato dal terzo”. I creditori, in cambio, rinunciano al resto e la procedura si chiude.

Procedimento di approvazione: La proposta di concordato nella liquidazione si presenta al Giudice Delegato, il quale ne informa il curatore e il comitato dei creditori. Questi organi devono dare un parere motivato sulla convenienza della proposta rispetto alla prosecuzione della liquidazione. Il curatore tipicamente prepara una relazione in cui confronta cosa otterrebbero i creditori con il concordato proposto e cosa invece otterrebbero stimativamente continuando la liquidazione. Se il parere del curatore (e in genere anche del comitato) è positivo, la proposta viene sottoposta al voto dei creditori.

La votazione avviene in modo semplificato: il GD fissa un termine (tra 20 e 30 giorni) entro cui i creditori devono far pervenire eventuale dissenso. In assenza di risposta, il loro silenzio vale come voto favorevole. Questa regola (introdotta per snellire il procedimento) implica che la maggioranza si forma facilmente, essendo sufficiente che la maggior parte dei crediti non manifesti opposizione. La proposta è approvata se ottiene il voto favorevole (espresso o tacito) della maggioranza dei crediti ammessi al voto, calcolata sia in percentuale di valore che per classi (se ci sono classi). Ad esempio, se nessun creditore risponde entro il termine, la proposta è approvata all’unanimità per silenzio-assenso.

Omologazione e effetti: Una volta approvata, la proposta viene sottoposta al Tribunale per l’omologazione. Il Tribunale verifica il rispetto di legge (quorum, parità di trattamento, ecc.) e che la proposta sia fattibile. Se omologa con decreto, il concordato diviene obbligatorio per tutti i creditori concorsuali, anche per eventuali dissenzienti o non votanti. Contestualmente, il tribunale dichiara chiusa la liquidazione giudiziale. Il debitore torna in bonis e attuerà l’accordo concordatario (spesso con il supporto dello stesso curatore come liquidatore del concordato). In pratica, la procedura di fallimento si converte in una procedura esecutiva dell’accordo.

Se però il concordato non viene adempiuto (ad esempio il proponente non versa le somme promesse) si può chiederne la risoluzione e in tal caso la procedura di liquidazione giudiziale può essere riaperta dal tribunale, riprendendo da dove era stata lasciata (i crediti risorgono per intero al netto di quanto eventualmente incassato in concordato). Anche un’eventuale annullamento del concordato per frode (es. occulti asset non dichiarati) comporta la riapertura.

Novità introdotte dal 2024: Il Correttivo-ter ha apportato due migliorie alla disciplina:

  • Ha previsto il cram-down fiscale anche nel concordato fallimentare. In altre parole, se la proposta è approvata dai creditori privati ma bocciata dal Fisco o da enti pubblici il cui voto sarebbe determinante, il tribunale può comunque omologarla forzosamente a determinate condizioni. Occorre che, in base alla relazione di un professionista indipendente, la proposta risulti più conveniente per l’Erario rispetto alla liquidazione giudiziale proseguita. Ciò evita che un eventuale rigetto da parte, ad esempio, dell’Agenzia delle Entrate (magari dovuto a vincoli interni) possa far saltare un concordato altrimenti vantaggioso per tutti, pubblici compresi.
  • Ha esplicitato la possibilità di concordato di gruppo: in caso di liquidazione giudiziale unitaria di un gruppo di imprese, è ammesso proporre un concordato di gruppo con domanda unitaria o domande coordinate. Ciascuna impresa avrà la propria massa, ma le proposte possono essere interdipendenti. Ad esempio, un terzo potrebbe offrire un concordato unico pagando una certa somma complessiva da ripartire tra i creditori delle varie società del gruppo.

Il concordato nella liquidazione giudiziale è uno strumento non frequentissimo nella prassi (molti fallimenti proseguono sino alla fine), ma rappresenta una valvola di chiusura anticipata utile: può incentivare terzi investitori a intervenire o il debitore stesso a trovare risorse aggiuntive per definire il dissesto in modo concordato, evitando gli ulteriori costi e tempi della liquidazione integrale. In un’ottica di sistema, è un’opzione che massimizza il valore residuo quando una proposta concreta c’è, conciliando gli interessi di creditori (che ricevono subito qualcosa in cambio della rinuncia al restante) e del debitore (che ottiene la chiusura e spesso conserva l’impresa tramite il nuovo intervento).

Confronto con la Vecchia Legge Fallimentare

La riforma attuata con il Codice della Crisi ha comportato significative novità rispetto alla previgente legge fallimentare (R.D. 267/1942), pur mantenendo l’impianto generale del procedimento liquidatorio. Di seguito riepiloghiamo i principali punti di confronto:

  • Terminologia e approccio culturale: il termine fallimento è stato sostituito da liquidazione giudiziale, ed è scomparsa la figura giuridica del “fallito”. Questo cambiamento, apparentemente lessicale, riflette la volontà di attenuare la connotazione infamante del vecchio fallimento, considerandolo invece come un evento fisiologico da gestire. Anche pene accessorie come l’interdizione legale e la necessità di riabilitazione civile del fallito sono state eliminate. Il debitore persona fisica, a fine procedura, esce senza bisogno di riabilitazione e può subito riavviare attività (salvo effetti penali da eventuali reati).
  • Soglie di non assoggettabilità: la legge fallimentare prevedeva all’art. 1 tre parametri dimensionali (attivo €300.000, ricavi €200.000, debiti €500.000) al di sotto dei quali l’imprenditore era non fallibile. Il CCII ha sostanzialmente confermato tali soglie (art. 2, co.1 lett. d) per definire l’“impresa minore”), ma ha introdotto in più un requisito oggettivo minimo di debito scaduto (€30.000) sotto il quale non si apre la liquidazione. In passato, almeno in teoria, si poteva dichiarare fallimento anche per debiti di modesto importo (fermo restando l’onere di economicità); ora ciò è escluso normativamente.
  • Ambito soggettivo (agricoltori e altri esclusi): tradizionalmente gli imprenditori agricoli erano esclusi dal fallimento a prescindere dalla dimensione. Il CCII invece non esenta più le imprese agricole maggiori: se superano i limiti di piccola impresa, sono soggette a liquidazione giudiziale. Questo colma una lacuna del vecchio sistema, in cui grandi società agricole indebitate restavano escluse da procedure concorsuali ordinarie. Restano esclusi invece gli enti pubblici e gli imprenditori minimi, e permangono tutele particolari per le start-up innovative (protette da fallimento per un periodo iniziale per legge speciale). Tali previsioni speciali (es. art. 31 D.L. 179/2012 sulle start-up) già esistevano a latere della legge fallimentare, ma ora sono integrate nel contesto del Codice.
  • Procedimento unitario e coordinamento con altre procedure: il CCII ha previsto un procedimento uniforme per l’accesso a tutte le procedure di regolazione della crisi, con la possibilità di trattazione unitaria di più domande (concordato preventivo, accordi, liquidazione) pendenti sullo stesso debitore. Sotto la legge fallimentare, era prassi sospendere l’istruttoria prefallimentare se il debitore aveva presentato un concordato preventivo, ma non vi era una disposizione organica come l’attuale art. 40 CCII. Oggi è formalizzato che le soluzioni conservative prevalgono su quella liquidatoria in caso di domande concorrenti, e persino che la pendenza di un’istanza di fallimento non preclude la composizione negoziata o il concordato “in bianco” (aspetti non disciplinati prima, perché allerta e composizione negoziata non esistevano affatto nel vecchio ordinamento).
  • Durata della procedura e gestione dell’attivo: nel vecchio fallimento non c’era un termine massimo per la liquidazione, se non generiche sollecitazioni (il tribunale poteva sollecitare la chiusura). Il CCII fissa un limite ordinario di 5 anni per completare la liquidazione, con possibili proroghe solo su autorizzazione. Ciò induce i curatori a operare più speditamente. Inoltre, è richiesta una relazione periodica semestrale del curatore ai creditori, mentre prima non vi era obbligo di informazione continua verso tutti i creditori (solo la relazione ex art. 33 L.F. depositata inizialmente e le relazioni semestrali al giudice delegato, spesso non visibili ai creditori). Ora i creditori ricevono aggiornamenti costanti, aumentando la trasparenza.
  • Revocatorie fallimentari: il CCII ha ridotto i periodi sospetti e introdotto maggiori esenzioni per le azioni revocatorie. Ad esempio, i pagamenti di debiti scaduti sono revocabili se fatti nei 6 mesi pre-fallimento (prima 1 anno), le rimesse bancarie in conto corrente non sono più previste come revocabili (mentre prima lo erano sopra un certo importo), e sono esclusi gli atti compiuti in esecuzione di piani di risanamento, concordati preventivi e accordi omologati (già in parte previsti dopo il 2005, ma ora ampliati). Questo significa minor incertezza per terzi e meno contenziosi su atti ordinari. Di converso, sono state tipizzate nuove azioni di responsabilità (es. verso la società di revisione in caso di omissione di segnalazione, art. 256 CCII) e meglio definite le azioni contro la capogruppo in caso di direzione unitaria (art. 2497 c.c. – ora il curatore può agire per eterodirezione nel contesto di gruppi).
  • Procedure per soggetti non fallibili: Sotto il vecchio regime, i debitori civili, i consumatori e le piccole imprese non fallibili potevano accedere alle procedure di sovraindebitamento (L. 3/2012) come la liquidazione del patrimonio o il concordato dei consumatori, con competenza del tribunale in composizione monocratica. Il Codice della crisi ha riordinato queste procedure: oggi un piccolo imprenditore sotto-soglia insolvente può accedere alla liquidazione controllata del sovraindebitato, che è distinta dalla liquidazione giudiziale e conserva la natura semplificata (competenza di un giudice unico). In pratica, la liquidazione controllata ex art. 268 CCII ha preso il posto della “liquidazione del patrimonio” della L.3/2012, mentre il concordato minore e il piano del consumatore sostituiscono le altre procedure. Dunque, una differenza di scenario è che ora l’intero sistema delle insolvenze (grandi e piccole, imprenditoriali e civili) è unificato nel CCII, sebbene con procedure separate a seconda dei requisiti. Questo migliora la coerenza normativa.
  • Introduzione di procedure innovative: il nuovo Codice, anche per recepire la direttiva UE 2019/1023, ha introdotto strumenti che la legge fallimentare non contemplava:
    • La composizione negoziata della crisi (strumento di allerta precoce volontario) non esisteva prima del 2021.
    • Il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, procedura senza voto dei creditori riservata ai debitori che hanno tentato senza esito la composizione negoziata, è una novità assoluta (D.L. 118/2021, ora art. 25-sexies CCII). Non ha corrispondente nella vecchia legge, e si pone come alternativa agile al fallimento in certe situazioni.
    • I nuovi tipi di accordi di ristrutturazione agevolati e il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO) (introdotti nel 2022) ampliano il ventaglio di soluzioni pre-concorsuali che il vecchio sistema limitava essenzialmente a concordato preventivo e accordi ex art. 182-bis L.F.
  • Concordato fallimentare: già previsto nella legge del 1942, il concordato di chiusura è stato rinnovato. Ora il silenzio assenso facilita l’approvazione, e soprattutto è stato introdotto il cram-down sui creditori pubblici, allineando questa procedura alla disciplina generale dei concordati preventivi (dove dopo il 2022 è possibile superare il dissenso erariale a certe condizioni). In passato, invece, il voto negativo dell’Erario o dell’INPS poteva bloccare un concordato fallimentare, essendo creditori spesso decisivi nelle percentuali di voto. Inoltre, la legge fallimentare non prevedeva nulla per gruppi: oggi esiste espressamente il concordato estendibile a un gruppo di imprese in liquidazione.
  • Esdebitazione del fallito: introdotta solo nel 2006 nella legge fallimentare, era originariamente concessa su domanda del fallito persona fisica, se aveva cooperato e pagato almeno in parte i chirografari (o dimostrato di non aver potuto). Il CCII ha reso l’esdebitazione pressoché automatica dopo 3 anni (o immediata per il caso di zero attivo), eliminando requisiti percentuali e formalità di richiesta. Il fallito onesto quindi ottiene la liberazione dai debiti residui in modo molto più facile e certo rispetto a prima. Ciò rappresenta un deciso cambio di filosofia: prima l’esdebitazione era concepita come beneficio eccezionale da concedere con prudenza; ora è uno sbocco ordinario per favorire il fresh start dell’ex imprenditore.

In sintesi, rispetto alla vecchia legge fallimentare, la liquidazione giudiziale conserva la struttura di base (presupposto d’insolvenza, attori come curatore e GD, fasi di verifica crediti e liquidazione beni), ma modernizza e semplifica molti aspetti: linguaggio meno stigmatizzante, maggiore integrazione con procedure alternative, più rapidità e trasparenza, possibilità di gestire crisi di gruppo, maggiore tutela per il debitore meritevole (esdebitazione automatica) e per i terzi di buona fede (revocatorie ridotte). Permane l’obiettivo primario di soddisfare i creditori secondo l’ordine dei privilegi, ma in un contesto procedurale più flessibile e aderente alla realtà economica contemporanea.

FAQ – Domande Frequenti sulla Liquidazione Giudiziale

  • Domanda: Che differenza c’è tra liquidazione giudiziale e fallimento?
    Risposta: Si tratta sostanzialmente della stessa tipologia di procedura, ma la liquidazione giudiziale è disciplinata dal nuovo Codice della Crisi. Cambiano alcuni termini (non si parla più di fallito, ma di debitore, il curatore è lo stesso ruolo di prima) e alcune regole sono state aggiornate, come spiegato nel confronto sopra. In pratica, la liquidazione giudiziale ha preso il posto del fallimento dal 15 luglio 2022, introducendo un approccio meno punitivo e più orientato al recupero di valore. Ad esempio l’esdebitazione è automatica e non più discrezionale, e c’è la possibilità di gestire in un’unica procedura l’insolvenza di un gruppo di società – cose che prima non c’erano.
  • Domanda: Un piccolo imprenditore individuale può essere sottoposto a liquidazione giudiziale?
    Risposta: Dipende dalle dimensioni del suo business e dall’ammontare dei debiti. Se rientra nei limiti di cui all’art. 2 CCII (attivo ≤ €300.000, ricavi ≤ €200.000, debiti ≤ €500.000) e li dimostra, allora è qualificato come impresa minore e non viene sottoposto a liquidazione giudiziale ordinaria. In caso di insolvenza potrà semmai accedere alla liquidazione controllata (procedura semplificata per sovraindebitati). Se invece l’imprenditore individuale supera anche uno solo di quei parametri, allora può essere dichiarato in liquidazione giudiziale, purché abbia debiti scaduti ≥ €30.000. In pratica sono le stesse regole di fallibilità di prima, con l’aggiunta del filtro dei 30.000 euro. Esempio: un artigiano con €400.000 di debiti insoluti può essere dichiarato fallito (liquidazione giudiziale) perché supera i limiti; un piccolo negoziante con €50.000 di debiti ma attivo di soli €100.000 no, perché è sotto le soglie dimensionali.
  • Domanda: Le società agricole possono fallire nella nuova disciplina?
    Risposta: Le piccole imprese agricole no, restano escluse in quanto non imprenditori commerciali. Le società agricole di grandi dimensioni sì. La novità è proprio che il CCII non prevede più un’esenzione generale per l’agricoltura: se una società agricola supera i limiti dell’impresa minore, potrà essere assoggettata a liquidazione giudiziale. Ad esempio, una grossa azienda vitivinicola costituita in forma di S.p.A., con milioni di debito, oggi può essere dichiarata insolvente secondo le norme ordinarie (cosa che prima era esclusa a priori). Resta salva la distinzione che l’imprenditore agricolo individuale o la piccola società agricola sotto soglia restano escluse.
  • Domanda: Chi può chiedere la liquidazione giudiziale di un’impresa insolvente?
    Risposta: I principali legittimati sono: il debitore stesso, che può “chiedere il proprio fallimento” quando ritiene di non poter risanare l’azienda; uno o più creditori (bancari, fornitori, Fisco, ecc.) che non vengono pagati; oppure il Pubblico Ministero in talune circostanze (ad esempio se l’insolvenza emerge da un procedimento penale per bancarotta, o su segnalazione delle Autorità di vigilanza). La richiesta si fa con ricorso al tribunale competente. Ad esempio, se un’azienda non paga da mesi i dipendenti e i fornitori, uno di questi creditori può presentare istanza di liquidazione giudiziale. Oppure l’imprenditore stesso può “fare istanza di fallimento” quando vuole evitare ulteriori aggravi (in gergo, fallimento in proprio).
  • Domanda: Cosa succede al legale rappresentante o titolare dell’impresa dopo la sentenza di apertura?
    Risposta: Perde la gestione dei beni dell’impresa. Tutti i poteri passano al curatore. Il rappresentante (o il titolare) ha l’obbligo di collaborare: consegnare i beni, i libri contabili, fornire informazioni e documenti al curatore. Non può compiere atti sui suoi beni perché sarebbero inefficaci. Se è una persona fisica, non può essere autorizzato ad assumere nuove cariche societarie durante la procedura (in pratica sarebbe difficile, anche se formalmente non c’è più l’interdizione legale automatica). Deve comunque restare a disposizione: di solito il giudice delegato convoca il fallito per l’esame sullo stato passivo e per chiarimenti. Se emergono ipotesi di reato (come distrazioni di beni), il curatore fa una segnalazione e il fallito può subire un procedimento penale per bancarotta. In sintesi, il debitore rimane coinvolto ma in posizione passiva: assiste il curatore e risponde di eventuali malefatte.
  • Domanda: I creditori possono ancora agire in proprio contro il debitore una volta iniziata la procedura?
    Risposta: No, dall’apertura della liquidazione giudiziale scatta il divieto di azioni esecutive individuali. Ciò significa che nessun creditore può più iniziare o proseguire pignoramenti, cause o sequestri sul patrimonio del debitore. Tutte le azioni devono convergere nella procedura collettiva. Ad esempio, se un fornitore aveva avviato un decreto ingiuntivo o un pignoramento, viene bloccato dall’intervenuto fallimento; dovrà presentare domanda di ammissione al passivo e attendere i riparti insieme agli altri. Questa regola garantisce la parità di trattamento: i beni si liquidano sotto il controllo del curatore e del giudice, e il ricavato si distribuisce secondo i gradi di privilegio, senza corsie preferenziali per chi aveva agito prima.
  • Domanda: Come vengono soddisfatti i creditori e in che tempi?
    Risposta: I creditori devono insinuarsi al passivo presentando domanda entro i termini (di solito entro 90 giorni circa dalla sentenza). Dopo l’udienza di verifica, chi è ammesso ha diritto a partecipare ai riparti. Il curatore vende i beni dell’impresa fallita e periodicamente distribuisce il denaro ai creditori con piani di riparto parziali. I privilegiati (es. banche con ipoteca, lavoratori per TFR e stipendi) vengono pagati per primi, fino a saturazione dei beni vincolati. I chirografari (senza garanzie) ricevono solo se avanza qualcosa, in proporzione (ad es. 20% del loro credito). Non c’è un tempo fisso: dipende da quanto è complesso vendere i beni. In media un fallimento medio dura 2-4 anni, con uno-due riparti in corso di procedura e uno finale. Il Codice impone comunque di provare a chiudere entro 5 anni. Dunque i creditori cominciano spesso a vedere acconti dopo 1-2 anni dall’inizio e il saldo finale dopo qualche anno. Se il fallimento è molto semplice (pochi beni liquidi), anche in un anno si chiude; se è complesso (molti immobili, cause in corso) può durare di più. In ogni caso, i crediti maturano interessi solo fino alla data di apertura (dopo sono sospesi), quindi conviene partecipare celermente. Chi si insinua tardi rischia di perdere i riparti già fatti.
  • Domanda: Cosa succede ai contratti in corso e ai dipendenti?
    Risposta: Dipende. Il curatore ha la facoltà di subentrare nei contratti pendenti oppure di scioglierli, a seconda di cosa conviene per la massa. Ad esempio, se ci sono contratti di fornitura o affitto in corso, il curatore valuterà se proseguirli (magari per proseguire l’attività o vendere l’azienda in funzione) oppure interromperli. Se li scioglie, l’altra parte può insinuare un credito per eventuale danno. Per i dipendenti, se l’attività cessa vengono tutti licenziati (il curatore intima la cessazione dei rapporti di lavoro). Essi però vantano crediti per TFR, stipendi arretrati, ecc., che sono crediti privilegiati da insinuare al passivo (hanno un privilegio generale sui mobili, di solito soddisfatto in alta percentuale). Inoltre i dipendenti possono accedere al Fondo di Garanzia INPS per ottenere subito TFR e ultime 3 mensilità spettanti, e l’INPS poi si insinua al loro posto. Se invece c’è esercizio provvisorio o l’azienda viene ceduta in continuità, i dipendenti possono continuare a lavorare sotto la gestione del curatore o essere trasferiti all’acquirente, con tutela del loro trattamento. In sintesi: la regola base è che il fallimento interrompe i rapporti pendenti, ma il curatore può deviare da ciò nell’interesse comune.
  • Domanda: Il fallito persona fisica deve pagare i debiti che rimangono dopo il fallimento?
    Risposta: No, se ottiene l’esdebitazione. Una volta chiuso il fallimento, tutti i crediti anteriori non soddisfatti restano legalmente inesigibili verso il debitore persona fisica, purché – trascorsi 3 anni – scatti l’esdebitazione. Questo significa che il fallito onesto è liberato dai debiti residui e i creditori non possono più pretendere nulla. L’esdebitazione è quasi automatica nel nuovo sistema, a meno che il debitore abbia commesso irregolarità gravi o reati (in tal caso il tribunale può revocarla). Dunque il debitore persona fisica, passati tre anni dalla fine del fallimento, ricomincia da zero senza code debitorie. Al contrario, sotto la vecchia legge fallimentare, i debiti insoddisfatti rimanevano a carico salvo concessione dell’esdebitazione su richiesta. Per le società, il problema non si pone perché con la chiusura del fallimento la società si estingue e i debiti residui si considerano cancellati assieme al soggetto. Attenzione: l’esdebitazione copre i debiti verso i creditori concorsuali (quelli sorti prima): eventuali debiti personali del socio o dell’imprenditore non legati all’impresa, o obblighi di mantenimento/fiscali non concorsuali, restano dovuti.
  • Domanda: Che differenza c’è tra liquidazione giudiziale e liquidazione controllata?
    Risposta: La liquidazione controllata è la procedura riservata ai debitori civili o piccoli imprenditori non soggetti a liquidazione giudiziale (i cosiddetti sovraindebitati). Si svolge in modo simile, ma davanti a un giudice unico, con meno formalità. Ad esempio, un artigiano sotto soglia o un privato cittadino indebitato non subisce liquidazione giudiziale ma può accedere alla liquidazione controllata ex art. 268 CCII. In quella sede non c’è un curatore scelto come nei fallimenti, ma un gestore della crisi nominato dal tribunale da appositi elenchi (spesso un commercialista). I termini e gli effetti sono analoghi (sospensione delle azioni, ecc.), ma l’esdebitazione è immediata a fine procedura. La differenza sta quindi nei requisiti soggettivi (imprese maggiori vs debitori minori) e nell’iter semplificato della liquidazione controllata. In entrambi i casi comunque il debitore insolvente vede liquidati i propri beni per pagare i creditori. Si può dire che la liquidazione controllata è l’erede della procedura di sovraindebitamento prevista dalla L.3/2012, ora integrata nel Codice della Crisi. Esempio: un professionista con 100 mila euro di debiti non pagabili farà la liquidazione controllata, una piccola società di capitali invece la liquidazione giudiziale.
  • Domanda: Una volta aperta la liquidazione giudiziale, il debitore può ancora evitare la liquidazione vendendo l’azienda o con un accordo?
    Risposta: Sì, attraverso il concordato nella liquidazione. Dopo la dichiarazione di fallimento, il debitore (o un terzo) può proporre ai creditori un concordato fallimentare offrendo ad esempio una somma a saldo e stralcio. Se i creditori approvano e il tribunale omologa, la procedura si chiude anticipatamente e l’azienda può essere ceduta o riorganizzata secondo i termini dell’accordo. Abbiamo dedicato un capitolo a questo istituto. Inoltre, il curatore stesso può, con autorizzazione del giudice, cedere l’azienda o rami di essa a terzi durante la procedura (a valle di un’asta o trattativa) e distribuire poi il ricavato ai creditori. In tal senso il fallimento non impedisce operazioni di M&A: semplicemente saranno gestite dal curatore in modo trasparente invece che dal vecchio proprietario. Dunque, se arriva un investitore interessato all’azienda fallita, potrà acquistarla dal curatore (solitamente a prezzo inferiore rispetto a prima, ma libera dai debiti pregressi). Queste vendite fanno parte della liquidazione, ma possono permettere la continuità dell’attività sotto un nuovo proprietario. Ad esempio, molte imprese fallite vengono vendute per esercizio di impresa attraverso bandi del curatore, salvando i posti di lavoro e consentendo ai creditori di recuperare più di quanto avrebbero ottenuto smembrando tutto.

Bibliografia e Riferimenti Normativi e Giurisprudenziali

Normativa:

  • Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267Legge Fallimentare (disciplina previgente, abrogata dal D.lgs. 14/2019 a partire dal 15 luglio 2022).
  • Decreto Legislativo 12 gennaio 2019, n. 14Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII). Entrato in vigore completamente il 15 luglio 2022, ha sostituito la legge fallimentare.
    • Modifiche integrative: D.Lgs. 26 ottobre 2020, n. 147 (primo correttivo), D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83 (adeguamento alla direttiva UE 2019/1023), D.Lgs. 13 settembre 2024, n. 136 (terzo correttivo). Questi interventi hanno affinato la disciplina del CCII (introduzione composizione negoziata, concordato semplificato, modifiche al concordato fallimentare e liquidazione di gruppo, ecc.).
  • Decreto Legge 24 agosto 2021, n. 118, conv. in L. 147/2021 – Ha introdotto la composizione negoziata e il concordato semplificato, poi confluiti nel CCII (artt. 23-25-sexies).
  • Codice Civile, art. 2086 comma 2 – Introdotto con D.Lgs. 14/2019, stabilisce l’obbligo per l’imprenditore di dotarsi di assetti adeguati a rilevare la crisi (principio di prevenzione).

Giurisprudenza di legittimità (Corte di Cassazione):

  • Cass., Sez. I, 14 ottobre 2022 n. 30284: ha ribadito la definizione di stato di insolvenza quale situazione di incapacità di adempiere regolarmente le obbligazioni, riconoscibile attraverso inadempimenti o altri fatti esteriori, con valutazione complessiva della capacità dell’impresa di continuare a operare. Ha escluso che, per società in funzionamento, l’insolvenza richieda un dissesto patrimoniale irreversibile, dovendosi invece guardare alla sostenibilità finanziaria corrente.
  • Cass., Sez. I, 27 giugno 2023 n. 18310: ha chiarito che in sede di istruttoria prefallimentare il tribunale non può concedere al debitore un rinvio per aderire a una definizione agevolata dei debiti tributari (rottamazione), se lo stato d’insolvenza risulta conclamato. In tal caso il fallimento va dichiarato senza dilazioni, essendo irrilevante la prospettiva di una futura rateazione fiscale. (In pratica, l’adesione a un piano fiscale non equivale a pagamento e non impedisce la dichiarazione di insolvenza).
  • Cass., Sez. I, 20 aprile 2023 n. 11021: ha affermato che dopo l’apertura della liquidazione giudiziale le pretese creditorie vanno fatte valere esclusivamente tramite l’insinuazione al passivo. Un’azione ordinaria promossa da un creditore in sede civile per accertare il proprio credito mentre è in corso il fallimento è inammissibile, poiché violerebbe il divieto di azioni esecutive o di accertamento separate (principio della concorsualità). Il creditore deve invece seguire le regole concorsuali (domanda tardiva, opposizione allo stato passivo se escluso, etc.).
  • Cass., Sez. Un., 15 maggio 2015 n. 9935: (precedente pre-CCII, ma rilevante) – ha risolto un contrasto stabilendo che l’onere di provare il possesso dei requisiti di non fallibilità (piccolo imprenditore) incombe sul debitore. Questo principio è recepito nell’art. 121 CCII, dove si richiede che l’imprenditore “dimostri” di rientrare nelle soglie per essere escluso. In assenza di prova, l’imprenditore è soggetto alla procedura concorsuale.
  • Cass., Sez. Un., 28 aprile 2023 n. 11287: ha confermato i limiti della legittimazione del fallito ad agire in proprio in giudizi che riguardano il patrimonio fallimentare (nella specie in materia tributaria). Le SS.UU. hanno ribadito che il debitore perde la legittimazione processuale sui rapporti compresi nel fallimento (art. 43 L.F., ora art. 144 CCII); egli può intervenire solo se dagli esiti del giudizio può derivare una sua responsabilità penale personale o se il curatore rimane ingiustificatamente inerte. Questo a tutela della massa: è il curatore il dominus delle liti patrimoniali, salvo casi eccezionali.

Giurisprudenza di merito (Tribunali e Corti d’Appello):

  • Tribunale di Milano, Sez. II civ., 22 marzo 2023 (Pres. Vasile): primo provvedimento noto di liquidazione giudiziale unitaria di un gruppo di imprese ex art. 287 CCII. Ha dichiarato il fallimento contestuale di più società appartenenti a un medesimo gruppo, ravvisando: stato d’insolvenza di tutte, esistenza di un gruppo con direzione unitaria (capogruppo che deteneva l’intero capitale delle controllate) e opportunità di una procedura unitaria per la migliore soddisfazione dei creditori comuni. Il Tribunale ha nominato un unico giudice delegato e un unico curatore per l’intero gruppo. Ha precisato che l’apertura della liquidazione giudiziale di gruppo non comporta cessazione obbligatoria dell’attività d’impresa se ricorrono le condizioni per l’esercizio provvisorio (art. 211 CCII) anche limitatamente ad alcuni rami. Questo decreto rappresenta un’applicazione pionieristica delle nuove norme sui gruppi, poi seguita da altre (es. Trib. Catania 2023, Trib. Torino 2023).
  • Corte d’Appello di Brescia, decreto 29 luglio 2022: (prima pronuncia di secondo grado post-entrata in vigore del CCII) – ha confermato un reclamo avverso sentenza di fallimento, evidenziando l’applicabilità immediata del CCII ai procedimenti pendenti dal 15/07/2022. La Corte ha ritenuto che il requisito del debito scaduto €30.000 fosse applicabile anche a procedure iniziate dopo tale data, revocando un fallimento di un imprenditore con debiti sotto soglia. (Massima tratta da fonti non ufficiali).

(Si vedano inoltre:)

  • Tribunale di Catania, 22 marzo 2023 – liquidazione di gruppo attivata su istanza congiunta di società del medesimo gruppo (concordante con il caso di Milano sopra citato).
  • Cass., Sez. I, 3 maggio 2023 n. 11602 – in tema di prededuzione dei crediti professionali nel concordato preventivo poi sfociato in fallimento (principi applicabili anche nel CCII, art. 6).
  • Cass., Sez. I, 8 maggio 2020 n. 8436 – sul principio di consecuzione tra procedure concorsuali (fallimento successivo a concordato in bianco non omologato), concetto mantenuto nel CCII.

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