Hai ottenuto un finanziamento con garanzia statale e ora non riesci più a rimborsarlo?
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in gestione del debito e difesa da finanziamenti garantiti dallo Stato – è pensata per aiutarti a capire cosa rischi e come intervenire prima che sia troppo tardi.
Scopri cosa succede se non paghi un prestito assistito da garanzia pubblica, quali sono le conseguenze per te e per la tua azienda, quando lo Stato può escutere la garanzia e cosa puoi fare per difenderti o ristrutturare il debito legalmente.
Alla fine della guida troverai tutti i contatti per richiedere una consulenza riservata, esaminare il tuo caso in dettaglio e trovare una soluzione concreta insieme a professionisti specializzati in diritto bancario e crisi d’impresa.
Cosa succede se non pago un finanziamento con garanzia dello Stato? La Guida Di Studio Monardo
Introduzione
I finanziamenti garantiti dallo Stato sono strumenti con cui l’intervento pubblico assicura (in tutto o in parte) il rimborso di un prestito bancario concesso a un beneficiario privato. Negli ultimi anni – specialmente a seguito dell’emergenza Covid-19 – tali garanzie statali sono divenute cruciali per sostenere la liquidità di imprese, professionisti e anche privati, facilitando l’accesso al credito in situazioni di crisi economica. Tuttavia, la presenza di una garanzia pubblica non esonera il debitore dal rimborso: se l’impresa o il beneficiario non paga il finanziamento, la banca può escutere la garanzia statale e il debitore subirà comunque rilevanti conseguenze giuridiche. In altri termini, la garanzia dello Stato protegge principalmente la banca dal rischio di insolvenza, ma il debitore inadempiente resta obbligato a restituire le somme, sebbene a un creditore differente (lo Stato o l’ente di garanzia).
Questa guida fornisce un’analisi approfondita – al 2025 – di cosa accade in caso di mancato pagamento di un prestito assistito da garanzia statale. Si esamineranno i principali schemi di garanzia pubblica oggi operativi in Italia (Fondo di Garanzia PMI, Garanzia SACE “Emergenza Covid”, garanzie ISMEA in agricoltura, garanzie regionali e altri strumenti attivi), indicando per ciascuno i meccanismi di escussione e gli attori coinvolti. Successivamente, verranno illustrate le conseguenze dell’insolvenza sotto ogni profilo rilevante: civilistico (escussione della garanzia, azioni di recupero crediti, impatto su eventuali fideiussioni personali), penale (eventuali reati connessi all’ottenimento o al mancato rimborso del finanziamento pubblico), fiscale (trattamento delle somme non restituite), nonché gli effetti nelle procedure concorsuali e sull’accesso futuro al credito. Il tutto sarà corredato da riferimenti normativi (leggi, decreti, circolari) e giurisprudenziali aggiornati ad aprile 2025, per offrire agli imprenditori una guida tecnico-giuridica completa e affidabile.
Tipologie di garanzie statali sui finanziamenti in Italia
In Italia esistono diversi schemi di garanzia pubblica su finanziamenti a favore di imprese e cittadini. Di seguito esaminiamo i principali strumenti attualmente in vigore, evidenziandone caratteristiche essenziali e basi normative:
- Fondo di Garanzia per le PMI (e professionisti) – Garanzia statale su finanziamenti a piccole e medie imprese (e altri soggetti equiparati) gestita dal Medio Credito Centrale per conto del Ministero delle Imprese (ex MISE).
- Garanzia SACE “Emergenza Covid” e successive – Garanzie straordinarie fornite da SACE S.p.A., soprattutto in virtù del Decreto Liquidità 2020 e provvedimenti successivi, per sostenere aziende colpite dalla pandemia e altre crisi.
- Garanzie ISMEA per il settore agricolo – Garanzie offerte dall’Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare per agevolare l’accesso al credito di aziende agricole, agroalimentari e della pesca.
- Garanzie regionali o di enti locali – Fondi di garanzia istituiti da Regioni o altri enti pubblici territoriali (anche tramite consorzi fidi) a supporto di imprese nel territorio di riferimento.
- Nuovi strumenti statali fino al 2025 – Ulteriori schemi di garanzia introdotti di recente, come ad esempio programmi speciali SACE (Garanzia SupportItalia, Garanzie “Green” del Green New Deal) o fondi per soggetti specifici (es. Fondo prima casa per mutui dei privati).
Di seguito analizziamo ciascuna tipologia in dettaglio.
Fondo di Garanzia per le PMI (Fondo centrale)
Il Fondo di Garanzia PMI è lo strumento principale con cui lo Stato italiano garantisce i crediti alle imprese di minori dimensioni. Istituito con la Legge n.662/1996 (art. 2, comma 100, lett. a) e L. n.266/1997) e operativo dal 2000, il Fondo è disciplinato da appositi decreti attuativi (D.M. 31 maggio 1999, n.248, poi D.M. 20 giugno 2005). Esso ha come finalità favorire l’accesso al credito di PMI e professionisti privi di sufficienti garanzie proprie, fornendo una garanzia pubblica (fideiussione statale) in loro favore.
Le caratteristiche chiave del Fondo PMI sono:
- Beneficiari: PMI in tutti i settori produttivi (anche agricolo e terziario), professionisti e lavoratori autonomi con Partita IVA, e in alcuni casi persone fisiche imprenditrici. Non vi sono limiti di forma giuridica (incluse ditte individuali), ma occorre rispettare parametri dimensionali UE (numero dipendenti, fatturato) e requisiti di ammissibilità (assenza di gravi difficoltà finanziarie salvo eccezioni temporanee). Durante l’emergenza Covid tali requisiti sono stati sospesi per ampliare l’accesso.
- Operazioni garantite: finanziamenti bancari a breve, medio e lungo termine (mutui, leasing, scoperti di conto, etc.) concessi per investimenti produttivi, liquidità aziendale o consolidamento debiti. Nel tempo il Fondo ha supportato anche microcredito e leasing. In situazioni straordinarie (Covid) è stato impiegato per prestiti finalizzati alla continuità aziendale.
- Percentuale di garanzia: a regime ordinario, il Fondo copre in garanzia fino all’80% dell’importo finanziato (entro massimali per impresa). La garanzia può essere concessa direttamente alla banca finanziatrice (garanzia diretta) oppure in forma di controgaranzia a copertura di garanzie prestate da Confidi o altri fondi (riassicurazione). La copertura effettiva varia secondo la tipologia di operazione e il merito creditizio del richiedente (ad esempio, dal 30% al 80% nelle nuove regole post-2024, con percentuali più alte per investimenti e più basse per liquidità). In via straordinaria, tra il 2020 e il 2022, sono state previste coperture elevate: 90% o addirittura 100% su certi piccoli prestiti Covid (fino a €30.000) come misura emergenziale (ai sensi dei Decreti “Cura Italia” e “Liquidità”). Tali percentuali speciali si sono poi ridotte con il ritorno a regime ordinario (es. 80% massimo).
- Costo: la garanzia del Fondo PMI è gratuita per il beneficiario, in quanto sostenuta da risorse pubbliche (salvo eventuali commissioni introdotte per particolari operazioni a mercato). Ciò la distingue dalle garanzie SACE o di consorzi fidi che possono prevedere commissioni.
- Natura della garanzia: la garanzia del Fondo ha natura di garanzia statale “a prima richiesta”: in caso di inadempimento dell’impresa, la banca può richiedere al Fondo il pagamento dell’importo garantito senza necessità di escutere preventivamente il debitore. È quindi una garanzia diretta e autonoma (non subordinata all’escussione preventiva del debitore principale), come confermato dall’art. 2, comma 4, D.M. 20/06/2005. Il Fondo opera tuttavia secondo il principio di sussidiarietà economica: la sua attivazione copre la perdita finale della banca, tenendo conto di eventuali recuperi ottenuti dal creditore da altre garanzie reali o personali. In pratica, la banca può ottenere immediatamente dal Fondo l’importo garantito (ad es. 80%) in caso di insolvenza, e continuerà a rivalersi sul debitore per il residuo non coperto (20%).
Dal punto di vista normativo, il Decreto Liquidità (D.L. 8 aprile 2020 n.23, conv. in L. 40/2020) ha potenziato enormemente il Fondo PMI durante la crisi pandemica, ampliandone la platea (inclusione di imprese fino a 499 dipendenti), semplificando le procedure e innalzando le coperture. Queste misure erano inizialmente temporanee, ma hanno lasciato un’eredità nella gestione del Fondo, che dal 2022 in poi ha adottato un modello di valutazione del merito di credito con fasce di rating per modulare l’entità della garanzia (come da DM 13/11/2021 attuativo della Legge di Bilancio 2021). Ad esempio, per il 2024-2025 le percentuali di copertura a regime risultano ridotte (50% per liquidità, 60-80% per investimenti, ecc., a seconda delle fasce), tornando su livelli ordinari dopo la fase emergenziale.
In sintesi, il Fondo di Garanzia PMI rappresenta una fideiussione statale che assicura la banca contro l’insolvenza del debitore, ma che non annulla le obbligazioni di quest’ultimo. Infatti, come vedremo, se il Fondo paga alla banca, l’impresa debitrice dovrà restituire allo Stato quella stessa somma (per la quale lo Stato si surroga nei diritti della banca).
Garanzia SACE (DL Liquidità e strumenti successivi)
Accanto al Fondo PMI, un ruolo significativo è svolto da SACE S.p.A., società pubblica del gruppo Cassa Depositi e Prestiti, tradizionalmente attiva nel credito all’esportazione. Durante l’emergenza Covid, SACE è stata autorizzata dal governo a rilasciare garanzie statali su prestiti bancari alle imprese (non solo export) tramite il programma “Garanzia Italia” introdotto dal Decreto Liquidità (artt. 1-6 D.L. 23/2020). Questa misura straordinaria mirava a sostenere aziende medio-grandi e PMI già coperte dal Fondo PMI, fornendo garanzie a prima richiesta dello Stato, contro-garantite al 100% dallo Stato in caso di inadempimento.
Caratteristiche principali della Garanzia SACE emergenziale (2020-2021):
- Beneficiari: imprese di ogni dimensione colpite dalle conseguenze economiche del Covid-19, che abbiano esaurito o non abbiano accesso al Fondo PMI. In pratica, grandi imprese oltre i limiti PMI, ma anche PMI che sceglievano questa via. Erano esclusi alcuni settori e imprese già in difficoltà al 2019 (salvo diversa autorizzazione UE).
- Operazioni garantite: finanziamenti sotto qualsiasi forma erogati dopo il 9 aprile 2020 e destinati a sostenere spese per personale, investimenti o capitale circolante impiegati in stabilimenti e attività produttive in Italia. La normativa configurava questi prestiti come “mutui con vincolo di scopo”, dovendo essere impiegati per esigenze legate all’attività in Italia (ad esempio pagamento di salari, fornitori, affitti, investimenti produttivi) e con divieto di utilizzo per distribuire dividendi.
- Percentuale di garanzia: variabile in funzione della dimensione dell’impresa e dell’importo finanziato, secondo il DL Liquidità. In generale: 90% per imprese fino a 5.000 dipendenti in Italia e fatturato fino a €1,5 miliardi; 80% se fatturato tra €1,5 e 5 miliardi o dipendenti oltre 5.000; 70% per imprese più grandi. L’importo del prestito non poteva superare il maggiore tra il 25% del fatturato 2019 o il doppio del costo del personale annuo. La durata massima era inizialmente 6 anni, poi estesa (anche a 8 anni) in alcune modifiche successive.
- Procedura e natura della garanzia: la garanzia SACE è a prima richiesta, esplicita, irrevocabile e autonoma. La banca stipula con SACE un contratto di garanzia che recepisce le Condizioni Generali Garanzia Italia (pubblicate da SACE ai sensi del DL). In caso di inadempimento del debitore, la banca può chiedere a SACE il pagamento dell’percentuale garantita senza dover prima escutere il debitore o eventuali co-garanzie. Lo Stato, tramite il MEF, contro-garantisce SACE per il 100% delle somme erogate ai sensi di una garanzia dello Stato separata (a copertura degli impegni di SACE, ex art. 1 DL 23/2020). Dunque l’esposizione finale è a carico dello Stato.
- Costo: a differenza del Fondo PMI, la garanzia SACE emergenziale prevedeva commissioni annuali a carico dell’impresa beneficiaria, determinate per legge (percentuali crescenti col tempo e con la dimensione d’impresa, es. per PMI: 0,25% il primo anno, poi 0,5% il secondo e terzo, 1% dal quarto in poi; più alte per grandi imprese). Ciò per rispettare il quadro temporaneo sugli aiuti di Stato UE.
- Condizioni e obblighi per l’impresa: oltre alla destinazione vincolata dei fondi e al divieto di distribuzione di utili/dividendi per 12 mesi, l’impresa doveva impegnarsi a gestire l’occupazione tramite accordi sindacali. Inoltre, vi era obbligo di informativa periodica a SACE sullo stato del finanziamento. La violazione di tali impegni (ad es. distrazione dei fondi a finalità diverse) non comportava di per sé decadenza automatica della garanzia, ma poteva portare a sanzioni contrattuali e, in casi gravi, all’eventuale revoca del beneficio pubblico. In sede penale, come vedremo, si è chiarito che l’uso distorto delle somme senza mancato rimborso non integra reato, mentre la mancata destinazione unita all’inadempimento può assumere rilevanza (malversazione).
Il programma Garanzia Italia di SACE è stato a termine (fino al 31 dicembre 2020, poi prorogato al 30 giugno 2021 con autorizzazione UE, e ulteriormente per alcuni settori fino a fine 2021). Dopo la fase acuta dell’emergenza pandemica, il ruolo di SACE nelle garanzie statali è proseguito con nuovi strumenti: ad esempio la Garanzia SupportItalia (introdotta col Decreto Aiuti, D.L. 50/2022) per imprese colpite dalle conseguenze economiche della guerra in Ucraina e dal caro-energia, e le Garanzie “Green” e “Project bonds” per progetti strategici (garanzie a condizioni di mercato autorizzate fino al 2026-2029). Questi nuovi programmi mantengono uno schema simile: SACE rilascia garanzie (sempre contro-garantite dallo Stato per una quota elevata), con percentuali e condizioni stabilite per legge e previa approvazione UE. Ad esempio, Garanzia SupportItalia offre coperture simili a Garanzia Italia (fino al 90%) per prestiti destinati a esigenze di liquidità e investimenti delle imprese, con durata massima 8 anni e pagamento di commissioni secondo il regime Temporary Crisis Framework.
In sintesi, SACE oggi opera come braccio operativo dello Stato per garanzie su finanziamenti alle imprese in contesti sia emergenziali sia di sviluppo economico. In caso di insolvenza del debitore, le procedure di escussione e recupero per le garanzie SACE seguono logiche analoghe a quelle del Fondo PMI (prima richiesta, pagamento alla banca, subentro di SACE/MEF come creditore verso il debitore), con alcune peculiarità che vedremo (es. gestione tramite Agente della Riscossione nelle insolvenze).
Garanzie ISMEA per il settore agricolo
Nel settore agricolo e agroalimentare, l’ente pubblico di riferimento è l’ISMEA (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare), che tra le sue funzioni gestisce strumenti di garanzia creditizia dedicati alle imprese agricole, della pesca e dell’acquacoltura. La garanzia ISMEA è stata prevista dal D.Lgs. 29 marzo 2004 n.102 (art. 17) come evoluzione di precedenti fondi di garanzia agricoli. ISMEA può concedere garanzie su finanziamenti bancari a breve, medio e lungo termine erogati a favore di aziende del comparto primario, nonché su operazioni quali cambiali agrarie e persino emissione di obbligazioni da parte di imprese agricole (nell’ambito di programmi di sostegno).
Caratteristiche della garanzia ISMEA:
- Beneficiari: imprese classificate nei settori agricoltura, silvicoltura, pesca e agroindustria. Spesso si tratta di PMI agricole, incluse aziende condotte da giovani agricoltori o startup agroalimentari.
- Operazioni garantite: finanziamenti per sviluppo aziendale, acquisto terreni, conduzione (capitale circolante per le campagne agricole), investimenti in macchinari, ecc. Esistono più linee, ad esempio garanzie per credito di esercizio (cambiale agraria), per mutui fondiari agrari, leasing agricoli, ecc.
- Tipologia e percentuali di garanzia: ISMEA può rilasciare sia garanzie dirette sia controgaranzie. La garanzia diretta è spesso di tipo sussidiario (non a prima richiesta), intervenendo a copertura di eventuali perdite della banca dopo l’escussione di eventuali garanzie primarie. La copertura massima tipicamente arriva a 70% dell’importo (elevabile all’80% per giovani agricoltori). In caso di controgaranzia (es. su Confidi agricoli), l’intervento copre di norma l’80% dell’importo garantito dal confidi. L’ISMEA opera dunque in modo simile al Fondo PMI ma specializzato per il primario, spesso in coordinamento con fondi UE (PSR regionali).
- Costo: la garanzia ISMEA generalmente è gratuita o a costo contenuto per l’azienda agricola, grazie a dotazioni pubbliche (nazionali/UE). Alcune garanzie possono prevedere commissioni favorevoli.
- Natura e operatività: storicamente le garanzie ISMEA erano sussidiarie: ciò significa che la banca doveva prima escutere il debitore e le eventuali garanzie reali (es. ipoteca sul terreno) e solo a perdita accertata richiedere l’intervento di ISMEA. In anni recenti, però, ISMEA ha attivato anche garanzie a prima richiesta per semplificare l’accesso al credito (ad esempio per garanzie su portafogli di finanziamenti agrari). In ogni caso, quando la garanzia ISMEA viene escussa, l’istituto paga alla banca l’importo dovuto (nei limiti garantiti) e subentra nei diritti di credito verso il debitore. Il tutto è regolato da convenzioni tra ISMEA e istituti di credito e da circolari applicative. Ad esempio, la Circolare ISMEA n.3/2024 ha disciplinato la possibilità di sospendere le rate dei finanziamenti garantiti in casi particolari senza far decadere la garanzia, in analogia con le moratorie Covid.
Per quanto concerne le conseguenze dell’insolvenza, la logica è analoga al Fondo PMI: l’impresa agricola inadempiente rimane obbligata verso ISMEA per le somme che quest’ultima ha dovuto pagare alla banca. Essendo ISMEA un ente pubblico economico, i suoi crediti da rivalsa potrebbero anch’essi beneficiare di privilegi di legge (equiparati a crediti dello Stato) e venire affidati per il recupero coattivo all’Agente della Riscossione, come nel caso del Fondo centrale (su ciò, si veda oltre negli Aspetti civilistici). L’eventuale inadempimento può inoltre portare a sanzioni amministrative specifiche nel caso siano violate condizioni legate a incentivi pubblici connessi al finanziamento.
Garanzie regionali e di enti locali
Oltre agli strumenti nazionali, Regioni ed enti locali possono attivare propri fondi di garanzia per sostenere il credito al tessuto economico locale. Tali garanzie regionali o territoriali hanno caratteristiche variabili ma presentano elementi comuni: sono generalmente garanzie gratuite per le imprese beneficiarie, offerte da un ente pubblico (Regione, Provincia autonoma, Camera di Commercio o società finanziaria regionale) per agevolare finanziamenti bancari a PMI sul territorio. Spesso operano in sinergia con il Fondo di Garanzia nazionale (co-garanzia) o tramite convenzioni con Confidi locali.
Esempi di garanzie regionali:
- Fondi regionali di garanzia PMI: molte Regioni hanno istituito fondi rotativi o sezioni speciali per concedere garanzie su prestiti alle proprie PMI. Ad esempio, la Regione Lombardia tramite la finanziaria Finlombarda S.p.A. gestisce il Fondo di Garanzia POR che offre garanzia regionale gratuita fino al 70% dell’importo di finanziamenti concessi a imprese lombarde. Misure analoghe esistono in altre regioni (Fondo di garanzia Veneto, Fondo Garanzia Emilia-Romagna per startup innovative, ecc.), spesso cofinanziate da programmi europei.
- Garanzie tramite Confidi: gli enti locali talvolta sostengono indirettamente le imprese alimentando i consorzi di garanzia fidi (Confidi). I Confidi (cooperative o consorzi tra imprese per mutualizzare il rischio creditizio) possono concedere garanzie collettive ai soci; alcune Regioni concedono ai Confidi controgaranzie pubbliche o riassicurazioni su parte del rischio. Ad esempio, un confidi può garantire il 50% di un prestito PMI e ottenere a sua volta dall’ente pubblico una riassicurazione dell’80% sul proprio impegno, riducendo il rischio finale.
- Garanzie speciali locali: in certi casi vi sono strumenti settoriali o locali, come fondi garanzia per l’artigianato (ex Legge 949/52 gestiti da Artigiancassa ma con contributi regionali), garanzie per il microcredito sociale promosse da Comuni, o ancora fondi antiusura (previsti dalla L. 108/1996) gestiti tramite fondazioni per garantire prestiti a soggetti a rischio usura. Questi ultimi, sebbene di nicchia, rientrano tra le garanzie pubbliche destinate a persone fisiche o microimprese in difficoltà ad accedere al credito.
Dal punto di vista del debitore, una garanzia regionale opera in modo simile a quella statale: se il debito non viene pagato, la banca può ottenere dall’ente garante il rimborso nella percentuale coperta, e l’impresa dovrà rimborsare l’ente pubblico che ha pagato al suo posto. Le basi normative variano (ogni Regione emana una legge o delibera istitutiva del fondo), e così pure le modalità di escussione. In genere, le Regioni non hanno potere di riscossione coattiva diretta, per cui, escussa la garanzia, possono agire giudizialmente contro il debitore oppure affidare il credito a società di recupero o all’agenzia delle entrate-riscossione se previsto da convenzioni statali.
Va notato che, a differenza del “superprivilegio” previsto per i crediti di rivalsa dello Stato (si veda infra), i crediti di un ente locale o di un Confidi dopo l’escussione potrebbero non beneficiare automaticamente degli stessi privilegi legali, salvo equiparazione per specifica norma. Ad esempio, un credito derivante da una garanzia concessa da Finlombarda (società regionale) potrebbe essere chirografario comune in un fallimento, se non coperto da privilegio ex lege come quelli statali. Ciò rende comunque i fondi pubblici locali più esposti al rischio in caso di insolvenza del debitore.
Altri strumenti statali attivi fino al 2025
Oltre ai meccanismi principali già descritti, meritano una menzione alcune ulteriori forme di garanzia pubblica in essere al 2025, rivolte a particolari categorie di soggetti:
- Fondo di garanzia “Prima casa” (mutui ipotecari per abitazione principale): si tratta di una garanzia statale (gestita da Consap S.p.A. per conto del MEF) che copre fino al 50% del capitale di mutui concessi a persone fisiche per l’acquisto della prima casa. Negli ultimi anni è stata potenziata per i giovani under 36, con copertura all’80%. Sebbene destinato ai privati (famiglie) e non alle imprese, è rilevante citare questo Fondo perché anch’esso comporta che, in caso di insolvenza sul mutuo, la banca possa chiedere allo Stato il pagamento della quota garantita, e il debitore rimane obbligato verso lo Stato per l’importo pagato. Le norme di riferimento sono la Legge 147/2013 (istitutiva) e successive (L. 178/2020 per l’estensione ai giovani). In pratica, il meccanismo di escussione è analogo: il garante statale paga la banca e si surroga ipso iure nelle ragioni del creditore ipotecario, potendo poi rivalersi sul mutuatario inadempiente. Il creditore pubblico gode di privilegio e mantiene l’ipoteca nei limiti dell’importo pagato.
- Garanzie “Green New Deal” e garanzie CDP: per supportare progetti di transizione ecologica e innovazione, il Decreto Legge 76/2020 (c.d. DL Semplificazioni) ha autorizzato SACE a concedere Garanzie “Green” su finanziamenti a progetti di green economy, sostenute da una controgaranzia statale fino al 80%. Strumenti simili (come la Garanzia “Growth” di SACE) sono stati lanciati per facilitare investimenti in crescita e internazionalizzazione delle imprese italiane. Anche Cassa Depositi e Prestiti (CDP) in alcuni casi offre garanzie o controgaranzie su portafogli di crediti alle PMI (con copertura dello Stato), ad esempio su finanziamenti PNRR degli enti locali (ai sensi del DL 77/2021). Questi casi sono più settoriali, ma il principio rimane: se il debitore non paga, l’ente garante (SACE, CDP, etc.) paga il creditore e subentra nel credito.
- Garanzie su finanziamenti agevolati e contributi pubblici: infine, alcuni schemi di aiuto pubblico includono una garanzia come componente. Ad esempio, la “Nuova Sabatini” (finanziamento macchinari) prevede la possibilità di garanzia del Fondo PMI; i Contratti di sviluppo o il Fondo imprese creative possono includere quote garantite. In questi casi, l’insolvenza attiva meccanismi di rivalsa analoghi a quelli generali.
Sintesi: Chi ottiene un finanziamento con garanzia pubblica – sia esso un’impresa industriale, un agricoltore, un professionista o un privato cittadino – rimane comunque responsabile del debito. La presenza dello Stato come garante fa sì che, se il debitore non paga, la banca sia indennizzata dallo Stato (o ente pubblico) nei limiti della garanzia, ma parallelamente il debitore dovrà restituire allo Stato quelle somme. Nei paragrafi seguenti analizzeremo in dettaglio cosa accade quando avviene questa escussione della garanzia e quali conseguenze giuridiche ne derivano.
Conseguenze del mancato pagamento di un finanziamento garantito dallo Stato
Passiamo ora a esaminare gli effetti concreti di un’insolvenza o mancato pagamento su un prestito coperto da garanzia statale. Le conseguenze possono essere suddivise in diversi ambiti:
- Aspetti civilistici: escussione della garanzia e dinamiche di recupero crediti (obblighi verso il garante pubblico, eventuali fideiussioni personali attivate, ecc.).
- Aspetti penali: responsabilità eventualmente configurabili se il finanziamento pubblico non viene rimborsato (es. indebita percezione di fondi pubblici, truffa aggravata, malversazione).
- Conseguenze fiscali: trattamento, ai fini delle imposte, delle somme non restituite o delle perdite su crediti garantiti dallo Stato.
- Implicazioni nelle procedure concorsuali: come vengono trattati i crediti garantiti (dalla banca e dal garante pubblico) in caso di fallimento o altre procedure d’insolvenza del debitore; effetti su eventuali concordati o ristrutturazioni del debito.
- Accesso al credito futuro: impatto reputazionale e normativo sull’impresa/persona inadempiente, con possibili limitazioni a ottenere nuovi finanziamenti o agevolazioni in futuro.
- Intervento dello Stato garante: modalità e tempi: sintesi del processo di attivazione della garanzia statale e tempistiche tipiche (dalla mora del debitore alla escussione e rivalsa dello Stato).
Analizzeremo ciascun profilo separatamente, tenendo presente che essi si intersecano (ad es. un inadempimento può avere sia conseguenze civilistiche che attivare profili penali e influenzare procedure concorsuali). L’obiettivo è dare un quadro completo di “cosa succede” dopo che il debitore smette di pagare, dal punto di vista giuridico.
Aspetti civilistici: escussione della garanzia e recupero crediti
Dal punto di vista civilistico, il mancato pagamento di un finanziamento con garanzia pubblica innesca innanzitutto le ordinarie conseguenze contrattuali dell’inadempimento verso la banca finanziatrice. Tuttavia, grazie alla presenza della garanzia, la banca ha un canale privilegiato di rimborso: può escutere la garanzia statale per ottenere il pagamento (parziale o totale) del credito insoluto. Esaminiamo passo per passo questo processo e gli effetti per il debitore:
1. Inadempimento e messa in mora del debitore:
Il punto di partenza è il verificarsi di un inadempimento da parte del debitore principale. Ad esempio, il mancato pagamento di una o più rate del mutuo oltre i termini di tolleranza (tipicamente dopo 30-90 giorni di ritardo) determina la situazione di insolvenza contrattuale. La banca solitamente invia una comunicazione di messa in mora e può eventualmente risolvere il contratto di finanziamento (dichiarando la decadenza dal beneficio del termine), richiedendo il pagamento immediato dell’intero debito residuo. Questa fase è identica a quella di qualsiasi credito bancario non garantito: scattano interessi di mora, penali contrattuali e l’iscrizione dell’evento di insolvenza nelle banche dati creditizie (Centrale Rischi Bankitalia, CRIF, ecc.).
2. Escussione della garanzia pubblica:
In presenza di garanzia statale, la banca ha la facoltà (e in certi casi l’obbligo, come vedremo nelle procedure concorsuali) di attivare il garante pubblico per recuperare l’importo dovuto. La modalità di escussione dipende dal tipo di garanzia:
- Garanzia diretta a prima richiesta (Fondo PMI, SACE ecc.): la banca può presentare al gestore del fondo o a SACE la richiesta di escussione una volta accertato l’inadempimento del debitore secondo i termini previsti (ad esempio, dopo 90 giorni di rate impagate o dopo la risoluzione del contratto per insolvenza). Non è necessario che la banca abbia prima escusso altre eventuali garanzie personali del debitore né attivato vie giudiziarie contro di lui. La presentazione della domanda di escussione deve rispettare procedure formali e tempistiche precise stabilite da circolari del gestore.
- Garanzia sussidiaria (alcune ISMEA, confidi, regionali): la banca deve documentare di aver escusso il debitore e realizzato eventuali garanzie collaterali (es. pegni, ipoteche) prima di chiedere l’intervento pubblico. Solo l’eventuale perdita finale viene rimborsata. Ad esempio, se un mutuo agrario ha ipoteca su un terreno, la banca dovrà escutere l’ipoteca; se dalla vendita coattiva ottiene un parziale rimborso, ISMEA pagherà l’eventuale differenza garantita. In ogni caso, anche in queste ipotesi, la prassi emergenziale (come durante il Covid) ha portato ad approcci più rapidi, con possibilità di escussione anticipata.
Una volta ricevuta la richiesta, il garante pubblico paga alla banca l’importo dovuto nei limiti della garanzia. Ad esempio, in un finanziamento residuo di €100.000 garantito all’80%, se il debitore non paga, il Fondo PMI corrisponderà alla banca €80.000. Tale pagamento può avvenire in unica soluzione (rimborso del capitale residuo e interessi maturati fino a quella data, al netto di franchigie se previste) oppure in forma di versamenti periodici che seguono il piano originario (nel caso SACE talvolta ha la facoltà di pagare l’indennizzo seguendo il piano di ammortamento originale). Dopo l’escussione, per la banca creditrice l’importo coperto dalla garanzia è soddisfatto; rimane a carico del debitore l’importo eventualmente non coperto. Nell’esempio, i restanti €20.000 (non garantiti) restano dovuti alla banca. In pratica:
- Parte garantita (escussa): lo Stato (o l’ente) paga questa quota alla banca.
- Parte non garantita: la banca continuerà a esigere questa dai debitori (debitore principale e garanti personali) con azioni di recupero ordinarie.
3. Surroga dello Stato e nuovo creditore:
Il momento chiave è che, pagando la banca, lo Stato (il Fondo di garanzia, SACE, ISMEA, Regione, ecc.) si surroga nei diritti del creditore originario verso il debitore. Questo principio deriva dall’art. 1203 c.c. e, ancor più, da specifiche norme di legge sulle garanzie pubbliche. In particolare, la normativa considera l’intervento pubblico come un beneficio revocato al debitore inadempiente: dal momento dell’escussione nasce un credito di rivalsa dell’erario nei confronti del beneficiario del finanziamento. La Cassazione ha chiarito che tale credito restitutorio del garante pubblico escusso è un’obbligazione ex lege autonoma, che sorge al momento dell’erogazione del beneficio pubblico e diventa esigibile con l’inadempimento, non soggetta alle norme ordinarie della fideiussione. Ciò significa che lo Stato, dopo aver pagato, non agisce “in veste di assicuratore del credito altrui”, ma come titolare di un proprio diritto di credito verso l’impresa inadempiente, diritto che discende dalla legge e dalla “revoca” dell’agevolazione concessa.
In concreto, per il debitore la conseguenza è che l’obbligazione non si estingue con il pagamento del garante, bensì si trasferisce verso un nuovo creditore: l’ente di garanzia statale. Riprendendo l’esempio: l’impresa ora dovrà pagare €80.000 allo Stato/Fondo PMI e €20.000 ancora alla banca. Se prima aveva un solo creditore (la banca), ora ne ha due (lo Stato per la parte garantita, la banca per la parte scoperta). Nel caso il prestito fosse stato garantito al 100%, la banca sarebbe integralmente soddisfatta dallo Stato e l’intero debito residuo (capitale + interessi) passerebbe in capo al debitore verso lo Stato.
È importante sottolineare che il debitore non trae alcun vantaggio economico diretto dall’escussione della garanzia: talvolta vi è la percezione errata che “paga lo Stato, quindi io non pago più nulla”. Al contrario, paga lo Stato al posto del debitore, ma questi resta obbligato in via di regresso. La garanzia pubblica è dunque una forma di credito di ultima istanza dello Stato verso il beneficiario inadempiente.
4. Modalità di recupero da parte del garante statale:
Una volta subentrato come creditore, l’ente pubblico attiverà le procedure per recuperare dal debitore le somme pagate. Il recupero può seguire due vie:
- Recupero in via amministrativa (ruolo esattoriale): la legge attribuisce ai crediti nascenti dall’escussione di finanziamenti pubblici uno status privilegiato e consente spesso la riscossione tramite ruolo. In particolare, il D.lgs. 123/1998 (art. 9) stabilisce che il diritto alla restituzione di finanziamenti pubblici revocati, in qualsiasi forma concessi (contributi, garanzie, ecc.), costituisce credito privilegiato a favore dello Stato, con prelazione generale mobiliare che prevale su ogni altro privilegio eccetto spese di giustizia e crediti del lavoro. Inoltre, la riscossione può essere affidata all’Agente della Riscossione (ex Equitalia, ora Agenzia Entrate Riscossione). Questo significa che, dopo aver pagato la banca, ad esempio il Fondo PMI o SACE iscrive a ruolo il credito verso l’impresa inadempiente: il debitore riceverà una cartella esattoriale per l’importo dovuto allo Stato. La cartella ha efficacia di titolo esecutivo e, se non pagata, può portare ad azioni esecutive come fermo di beni mobili registrati, pignoramenti mobiliari o immobiliari, ecc., con le stesse modalità di una riscossione fiscale. Tale meccanismo è espressamente previsto dalla normativa e viene attuato informando la procedura (se concorsuale) o notificando direttamente al debitore la somma da restituire. Ad esempio, se un’azienda fallisce dopo che il Fondo ha pagato, la riscossione del credito pubblico viene appunto presa in carico dall’Agente della Riscossione, che agirà in sede concorsuale o esecutiva.
- Azione giudiziaria civile: in alcune situazioni, soprattutto per garanzie locali o in assenza di affidamento a Equitalia, l’ente creditore può agire come qualsiasi creditore privato. Ad esempio, una Regione o un Confidi che non abbiano la possibilità di ruolo potrebbero inviare ingiunzioni di pagamento, ottenere un decreto ingiuntivo e poi pignorare i beni del debitore. Tuttavia, se si tratta di un credito assistito da privilegio ex lege, anche davanti al giudice l’ente potrà far valere quel privilegio (che in sostanza facilita il pignoramento sui beni mobili prim’ancora di altri creditori chirografari).
Un aspetto da evidenziare è che il credito dello Stato derivante da rivalsa per garanzia escussa gode di un “super-privilegio”. Come citato, esso prevale su quasi tutti gli altri crediti privilegiati (eccetto poche eccezioni come i diritti dei lavoratori e le spese di giustizia). La Cassazione ha definito questa prelazione come opponibile in ogni caso ai creditori, indipendentemente da quando avviene la revoca del finanziamento (prima o dopo un’eventuale apertura di fallimento). Ciò implica che lo Stato può recuperare con precedenza rispetto, ad esempio, a banche chirografarie o altri fornitori, garantendosi maggiori probabilità di soddisfazione.
5. Fideiussioni personali ed altri coobbligati:
In molti finanziamenti, oltre alla garanzia statale, la banca richiede anche una garanzia personale dai soci o dal titolare (fideiussione). Cosa accade in tal caso con l’inadempimento? La presenza di garanti personali comporta che la banca, in caso di insolvenza, possa agire contemporaneamente sia escutendo la garanzia statale sia chiedendo ai fideiussori il pagamento dell’intero debito (non solo della parte non garantita) secondo il contratto di fideiussione. Infatti, la fideiussione tipicamente copre l’intera esposizione e non viene meno per la presenza di altre garanzie. La banca ha quindi più vie di recupero parallele:
- Escute la garanzia statale per ottenere, ad esempio, l’80% subito;
- Pretende dal fideiussore (es. il socio amministratore) il pagamento dell’ammontare garantito personalmente, che di regola è anch’esso il 100% del debito residuo. Se il fideiussore paga, la banca recupera anche il restante (o duplica il recupero sulla stessa parte? In teoria non può incassare due volte lo stesso credito: dovrà imputare quanto ricevuto dallo Stato e dal garante fino a copertura integrale del dovuto). In pratica, di solito il pagamento del garante personale riduce la perdita bancaria prima che intervenga il fondo, o viene tenuto conto al momento dell’escussione. Le convenzioni di garanzia spesso prevedono che il fondo statale paghi al netto di eventuali recuperi ottenuti dal creditore (inclusi quelli da garanti personali). Se però l’escussione al Fondo avviene prima, la banca potrebbe cedere al garante statale anche i diritti verso i fideiussori.
Dal lato dei fideiussori, occorre sapere che la surroga del garante statale avviene anche rispetto alle garanzie accessorie: secondo l’orientamento consolidato, quando lo Stato paga il debito, subentra in tutte le garanzie che assistevano quel credito, salvo patto contrario. Ciò significa che se Tizio (socio) aveva firmato una fideiussione a favore della banca, dopo che lo Stato ha rimborsato la banca, potrebbe essere lo Stato stesso (Fondo/SACE) a vantare un diritto verso Tizio, subentrando nella fideiussione. Tuttavia, la Cassazione ha precisato che l’obbligazione di rivalsa dello Stato è autonoma e non segue le regole della surrogazione tipica fideiussoria. Quindi in pratica il fondo agirà principalmente contro il debitore principale, e il fideiussore rimane obbligato nei confronti della banca per l’eventuale parte non coperta o fino concorrenza. Se il fideiussore paga la banca per la parte non coperta (ad es. il 20% residuo), egli subentra come creditore chirografario verso il debitore principale, ma rimane estraneo alla rivalsa statale. In sintesi: il socio garante rischia il suo patrimonio per l’intero debito comunque; la garanzia statale protegge semmai la banca, ma non “protegge” i garanti personali. Questi ultimi anzi potrebbero trovarsi a rispondere verso la banca e a dover poi rivalersi (spesso inutilmente) sull’impresa defaultata.
6. Altre conseguenze civilistiche immediate:
L’insolvenza su un prestito garantito dallo Stato comporta anche ulteriori effetti di natura civile/amministrativa, tra cui:
- Risoluzione o decadenza da altre agevolazioni collegate: spesso i finanziamenti garantiti sono legati ad agevolazioni pubbliche (tassi agevolati, contributi in conto interessi). Il mancato rimborso può comportare la revoca di tali benefici collaterali. Ad esempio, se un prestito era co-finanziato dal Fondo 394/81 (SIMEST) o godeva di contributi regionali, l’insolvenza attiva la revoca di questi e la richiesta di restituzione di eventuali contributi già erogati.
- Clausole di cross-default: per imprese strutturate, il default su un debito garantito dallo Stato può far scattare clausole di default incrociato su altri finanziamenti. Ciò aggraverebbe la situazione finanziaria complessiva dell’azienda.
- Inibizioni contrattuali: alcuni contratti di garanzia statale prevedono penali o decadenze se l’impresa viola obblighi (ad es. se era previsto di non delocalizzare la produzione o di mantenere un certo livello occupazionale, l’inadempimento finanziario può portare l’ente concedente a revocare convenzioni o altri accordi con l’impresa).
- Segnalazione a banche dati pubbliche: oltre alla Centrale Rischi, esistono registri interni delle amministrazioni. Ad esempio, il Fondo PMI potrebbe annotare il nominativo dell’impresa tra quelli che hanno generato insolvenze a carico del Fondo, influenzando future richieste di garanzia (c.d. black list interna). Anche SACE terrà conto del sinistro pagato nei confronti dell’azienda. Ciò non è proprio una sanzione, ma un effetto pratico.
Riassumendo, sul piano civilistico il debitore inadempiente vede il proprio debito trasferirsi in capo al soggetto garante (Stato o ente pubblico) che può agire con poteri rafforzati (privilegi legali, riscossione esattoriale). L’impresa o il professionista dovrà rispondere con il suo patrimonio, e se ci sono garanti personali, anche questi saranno escussi. In caso di incapienza, lo Stato si insinuerà nei futuri utili o atti (ad es. sequestrando somme dovute al debitore da altri enti pubblici, come rimborsi fiscali, grazie al meccanismo della compensazione). L’insolvenza non passa dunque inosservata: si trasforma in un debito verso lo Stato, difficilmente eludibile.
Nei prossimi paragrafi vedremo come questo scenario civilistico di base si interfaccia con eventuali responsabilità penali, con il fisco, e con le procedure concorsuali, oltre a quali prospettive restano all’imprenditore per tornare ad ottenere credito in futuro.
Profili penali dell’inadempimento su finanziamenti pubblici
Il semplice fatto di non riuscire a pagare un debito non è, di per sé, un reato. Tuttavia, nel contesto di finanziamenti assistiti da garanzia o intervento pubblico, il mancato rimborso può collegarsi a condotte rilevanti penalmente, soprattutto se il prestito era stato ottenuto indebitamente o le somme sono state utilizzate in modo difforme dalle finalità previste. In questa sezione analizziamo i possibili titoli di reato connessi all’insolvenza su finanziamenti pubblici, tenendo conto delle più recenti pronunce giurisprudenziali (Cassazione 2021-2023) che hanno definito la linea di confine tra illecito penale e mero inadempimento civile.
Le fattispecie penalmente rilevanti ruotano attorno a tre norme del codice penale:
- Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato (art. 316-ter c.p.) – punisce chi ottiene dallo Stato o da enti pubblici contributi, finanziamenti o altre erogazioni non dovuti, senza artifici o raggiri, ma con semplici dichiarazioni o documenti falsi/omissivi. Pena: reclusione fino a 3 anni (se l’importo indebitamente ottenuto supera €3.999).
- Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640-bis c.p.) – punisce chi, con artifizi o raggiri, induce in errore l’ente erogatore ottenendo indebitamente contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni pubbliche. Pena: reclusione da 2 a 7 anni, procedibilità d’ufficio.
- Malversazione ai danni dello Stato (art. 316-bis c.p.) – punisce chi, avendo ottenuto dallo Stato o enti pubblici contributi, sovvenzioni o finanziamenti destinati a un’opera o attività di pubblico interesse, non li destina alle finalità previste e perciò li distrae in altri usi. Pena: reclusione da 6 mesi a 4 anni (aumentata se dal fatto deriva un danno patrimoniale grave).
Nell’ambito dei prestiti garantiti dallo Stato, queste norme possono venire in gioco nelle seguenti situazioni tipiche:
a) Ottenimento fraudolento del finanziamento garantito: Se l’impresa o il professionista ha fornito dati falsi per ottenere la garanzia pubblica o il prestito (ad esempio gonfiando il fatturato per ottenere un importo maggiore garantito dal Fondo PMI, come nel caso di molti piccoli prestiti Covid), si configura un reato. La questione giuridica è se tale condotta integri la truffa aggravata (640-bis) oppure la indebita percezione (316-ter). La differenza sta nella presenza dell’inganno. La Cassazione – con una sentenza fondamentale (Cass. Pen. Sez. VI n.2125 del 18 gennaio 2022, caso Bonfanti) – ha stabilito che, nel contesto dei prestiti Covid garantiti dallo Stato, la falsa autodichiarazione sui requisiti per l’accesso alla garanzia non costituisce artifizio idoneo a configurare la truffa, poiché la banca erogatrice non era tenuta a verificare la veridicità dei dati dichiarati, demandando tale controllo a fasi successive. In altre parole, mancando un vero “indurre in errore” l’ente (qui la banca/garante pubblico), la condotta ricade nell’art. 316-ter c.p. (indebita percezione).
Esempio concreto: un professionista dichiara falsamente di avere ricavi 2018 per €100.000 anziché €22.000 per ottenere un prestito Covid da €25.000 garantito al 100%. Ottiene così più di quanto gli spettava. La Guardia di Finanza scopre il falso. In un caso del genere, la Cassazione ha confermato la qualificazione come indebita percezione e non truffa. La differenza pratica è rilevante: la truffa aggravata comporta pene più alte (2-7 anni) e lo stigma del dolo fraudolento; l’indebita percezione ha pene minori (fino 3 anni) e presuppone un’induzione in errore più blanda (tipicamente tramite dichiarazioni mendaci). Da notare che se l’importo indebitamente ottenuto è pari o inferiore a €3.999, l’art.316-ter non è reato ma illecito amministrativo (sanzione pecuniaria) – ipotesi rara qui, dato che i finanziamenti erano quasi sempre superiori. Nel caso di specie (25k ottenuti indebitamente) fu certamente reato.
Va però detto che la linea di confine non è sempre netta. Se per ottenere il finanziamento vengono usati artifizi elaborati o documenti falsi tali da trarre in inganno l’ente, la contestazione può essere di truffa aggravata (640-bis). Ad esempio, presentare un bilancio falsificato, o creare ad arte società per ottenere indebitamente fondi, potrebbe integrare la truffa. La Cassazione individua il discrimine proprio nell’induzione in errore: nel regime emergenziale in cui le banche erogavano sulla base di autocertificazioni senza verifica, manca il raggiro nei confronti del funzionario (che si limita ad accettare l’autodichiarazione). Dunque prevale 316-ter. In contesti diversi, se l’ente pubblico effettua istruttorie e viene ingannato, si applicherà 640-bis.
b) Mancata destinazione delle somme allo scopo e insolvenza (malversazione): Un altro profilo è quando l’impresa ottiene legittimamente il prestito garantito, ma poi utilizza i fondi in modo difforme dallo scopo pubblico previsto e non restituisce il denaro. Un caso tipico discusso è quello di imprenditori che hanno utilizzato il prestito Covid per spese personali (es. bonifici su conti privati, acquisto di beni non aziendali), violando il vincolo di destinazione, e poi sono andati in default. Viene in rilievo l’art. 316-bis c.p. malversazione ai danni dello Stato. La Cassazione, con la prima pronuncia in argomento (Cass. Pen. n.22119/2021), ha chiarito che il semplice dirottamento dei fondi su conti privati o scopi diversi da quelli previsti, se non è accompagnato dall’inadempimento dell’obbligo di restituzione, non integra reato. Ciò perché, come già spiegato, fino a quando l’impresa paga regolarmente le rate, nessun danno effettivo c’è per lo Stato: il rapporto resta tra banca e impresa. Diversamente, solo l’inadempimento restitutorio rende operativa la garanzia pubblica e quindi comporta un esborso di denaro pubblico. Dunque, se l’impresa non restituisce il prestito (insolvenza) e al contempo le somme erano state distratte dall’attività di interesse generale, si concreta la fattispecie di malversazione. In pratica:
- Se uso i soldi per scopi privati ma poi li rimborso comunque, non c’è reato penale (resta una violazione contrattuale magari);
- Se uso i soldi in modo scorretto e non li rimborso, arrecando un danno allo Stato che deve intervenire con la garanzia, allora può configurarsi la malversazione ai danni dello Stato.
La malversazione richiede che i fondi fossero destinati ex lege a uno scopo pubblico. Nel caso dei prestiti Covid garantiti, c’era un vincolo di usarli per attività d’impresa in Italia. Questo basta a considerarli “destinati a un’attività di pubblico interesse” (il sostegno della continuità aziendale e occupazionale). Pertanto, l’imprenditore che li ha usati per fini estranei (es. speculazioni personali) e poi è risultato insolvente risponde di 316-bis c.p. con pena fino a 4 anni.
Vale osservare che la Cassazione con la sentenza 22119/21 ha annullato un sequestro preventivo per malversazione in un caso in cui l’imprenditore aveva spostato parte dei fondi su conti personali, proprio perché non era ancora avvenuto l’inadempimento e quindi mancava l’attivazione della garanzia pubblica. Questo orientamento garantista significa che c’è bisogno sia della distrazione sia del danno allo Stato (soldi pubblici effettivamente a rischio/perduti) per configurare il reato. Una volta però che l’azienda defaulta e interviene lo Stato, la condotta pregressa di distrazione può essere valutata come malversazione.
c) Altri reati connessi:
Oltre ai tre principali sopra, l’inadempimento su finanziamenti pubblici può incrociarsi con altre figure di reato:
- False attestazioni in atti (artt. 481, 482 c.p.) e false dichiarazioni a pubblico ufficiale (art. 495 c.p.): presentare dichiarazioni false in moduli o autocertificazioni destinati a un ente pubblico (il Fondo, la banca per conto dello Stato) può configurare reati minori accessori, se non assorbiti da 316-ter o 640-bis. Ad esempio, l’autocertificazione mendace al Fondo PMI potrebbe astrattamente costituire falso ideologico se considerata resa a un pubblico ufficiale. Nella prassi, però, questi falsi vengono ricondotti nell’alveo dell’illecito principale (indebita percezione o truffa).
- Bancarotta fraudolenta: se l’impresa garantita fallisce, gli atti di distrazione di beni o denaro possono essere perseguiti come bancarotta fraudolenta patrimoniale. Ad esempio, l’imprenditore che dissipa il prestito garantito e poi fallisce, risponde verso i creditori (tra cui lo Stato) della distrazione di risorse, con pena ben più elevata (art. 216 L. Fall., ora Codice della crisi). Ciò è un profilo distinto: rientra nei reati fallimentari, che prescindono dalla natura pubblica del credito, ma spesso i due aspetti coincidono (molte malversazioni si traducono in bancarotte).
- Reati societari o antiriciclaggio: l’uso illecito dei fondi potrebbe comportare ad esempio false comunicazioni sociali (se i bilanci occultano la reale destinazione), o riciclaggio/auto-riciclaggio se vengono trasferiti in altre attività illecite. Sono situazioni limite, ma possibili se il prestito fosse parte di uno schema di frode più ampio.
Dal punto di vista sanzionatorio, va ricordato che i reati di indebita percezione, truffa ai danni dello Stato e malversazione rientrano tra quelli che possono comportare responsabilità amministrativa dell’ente (D.Lgs. 231/2001, art.24) se commessi nell’interesse o a vantaggio dell’azienda. Ciò significa che, ad esempio, se i dirigenti di una società truccano i dati per ottenere un prestito garantito (316-ter o 640-bis) o lo distraggono (316-bis), non solo essi ne rispondono penalmente, ma la stessa società può essere sanzionata con pesanti sanzioni pecuniarie e interdittive. Tra le sanzioni interdittive c’è il divieto di contrattare con la P.A. e l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi. In pratica, un’azienda condannata ex D.Lgs.231 per aver abusato di un finanziamento pubblico potrebbe essere interdetta dal ricevere altri aiuti o garanzie statali in futuro. Questo aspetto, oltre a rientrare nei profili penali, ha evidenti ricadute sul tema dell’accesso al credito futuro (che approfondiremo più avanti).
In conclusione, il mancato pagamento di un finanziamento con garanzia statale può avere rilievo penale soprattutto quando è sintomo di un comportamento fraudolento o scorretto: ottenere indebitamente soldi pubblici (anche sotto forma di garanzia statale attivata) o distoglierli dalla finalità per cui erano stati concessi. La giurisprudenza recente ha ridotto l’area del penalmente rilevante per le imprese che semplicemente non ce la fanno a restituire, riservando la sanzione penale ai casi di dolo (falso iniziale o mala gestio delle somme). L’imprenditore onesto ma sfortunato, che non riesce a rimborsare il prestito pur avendolo usato in azienda, non verrà punito penalmente per l’inadempimento in sé; dovrà però fronteggiare le azioni civilistiche di recupero. Viceversa, chi ha mentito per ottenerlo o lo ha scientemente sperperato tradendo la fiducia pubblica, potrà essere chiamato a rispondere davanti al giudice penale.
Conseguenze fiscali dell’insolvenza su finanziamenti garantiti
Il mancato pagamento di un finanziamento garantito dallo Stato può sollevare anche questioni di natura fiscale, sia per il debitore che per gli altri soggetti coinvolti. Le principali aree da considerare sono: il trattamento fiscale delle somme non restituite (sopravvenienze attive da riduzione del debito) per il debitore, e la deducibilità delle perdite su crediti per il creditore originario (la banca) o per il garante pubblico. Qui ci focalizzeremo sul primo aspetto, ossia su cosa accade dal punto di vista fiscale per l’impresa (o persona) che non rimborsa il prestito, in tutto o in parte, e vede il debito trasferirsi allo Stato.
Sopravvenienze attive da riduzione dei debiti:
Nel diritto tributario italiano, se un’impresa beneficia di una riduzione dei propri debiti, tale riduzione in linea di principio genera una sopravvenienza attiva tassabile, cioè un componente positivo di reddito imponibile (art. 88, comma 4, TUIR, DPR 917/86). Questo può avvenire, ad esempio, quando una banca rinuncia a parte del credito verso un’azienda in difficoltà (saldo e stralcio) oppure quando, a seguito di concordato, il debitore è liberato da una porzione di debito. Nel nostro contesto, la domanda è: se lo Stato paga al posto del debitore una quota del finanziamento, il debitore deve considerare ciò come un “utile” tassabile? E in generale, se poi parte del debito verso lo Stato non viene recuperato, c’è un reddito per il debitore?
In linea di principio:
- Pagamento da parte del garante statale: questo non libera il debitore dal debito, ma lo trasferisce allo Stato (surroga). Pertanto, in quel momento non vi è alcuna riduzione del debito per il debitore, ma solo un cambio di creditore. Di conseguenza, non si configura ancora alcuna sopravvenienza attiva tassabile, poiché il debito rimane integralmente esistente (solo che ora è dovuto allo Stato invece che alla banca). Quindi, l’escussione della garanzia di per sé non ha effetti sul reddito imponibile dell’impresa debitrice.
- Eventuale successiva rinuncia o stralcio del debito da parte dello Stato: ipotizziamo che, dopo l’escussione, lo Stato/ente pubblico non riesca a recuperare nulla dall’impresa (ad esempio perché fallita) oppure accetti in sede di procedura concorsuale un pagamento parziale a saldo delle sue pretese. In tal caso, la parte di debito non recuperata costituirebbe formalmente una cancellazione di debito a favore del debitore. Secondo le regole generali, se un debito dell’impresa si estingue senza pagamento, la parte non pagata è una sopravvenienza attiva tassabile per il debitore (art. 88, c.1, TUIR). Tuttavia, intervengono importanti eccezioni ed esenzioni in situazioni di crisi: l’art. 88, comma 4-ter del TUIR prevede che non si considerano sopravvenienze attive le riduzioni dei debiti dell’impresa conseguenti a concordato preventivo omologato, accordo di ristrutturazione omologato o piano attestato di risanamento. Inoltre, la norma – introdotta dal DL 83/2012 e confermata nelle varie riforme – include ora anche le procedure di composizione negoziata e liquidazione giudiziale del nuovo Codice della Crisi. Ciò significa che se la liberazione dal debito avviene nell’ambito di una procedura concorsuale (fallimento/liquidazione, concordato, accordo omologato) o di un piano di risanamento ex art. 56 CCII, la parte di debito pubblico (e privato) perdonata non verrà tassata come sopravvenienza attiva. Se invece la rinuncia è extra-procedurale, ad esempio un saldo e stralcio stragiudiziale, allora sarebbe imponibile. Esempio: una srl aveva un debito di €100.000 verso lo Stato (per un finanziamento garantito insoluto). In fallimento, lo Stato recupera solo €20.000 (20%). I restanti €80.000 vengono falcidiati dal concordato/fallimento. Per la srl, quegli €80.000 rappresenterebbero in teoria un “guadagno” derivante dall’estinzione del debito, ma l’art.88 TUIR esclude la tassazione poiché avvenuti in procedura concorsuale. Se invece la srl, fuori da procedure, negozia privatamente con l’Agenzia delle Entrate Riscossione di pagare €20.000 su €100.000 e ottenere lo stralcio dell’80% (ipotesi non comune, ma concepibile come transazione fiscale), quella riduzione genererebbe sopravvenienza tassabile, salvo forse applicare analogicamente la esenzione se finalizzata al risanamento (questo è un tema controverso oggetto di interpelli delle Entrate fino al 2024).
In pratica, nel breve periodo l’insolvenza non crea problemi fiscali diretti al debitore. Nel medio-lungo periodo, se grazie all’insolvenza il debitore si “libera” di parte del debito, il fisco vorrebbe tassare questo vantaggio, ma se ciò avviene in contesti di crisi formalizzati, la legge tutela l’impresa esentandola per favorirne il risanamento.
Detraibilità/deducibilità degli interessi di mora e oneri:
Durante il periodo di insolvenza e recupero, maturano interessi di mora e sanzioni (specialmente se il debito viene iscritto a ruolo con aggio). Per le imprese, gli interessi passivi anche moratori sono deducibili secondo le regole generali (limiti di deducibilità degli interessi passivi del TUIR, art. 96 per le società di capitali). Le sanzioni amministrative (es. interessi di mora esattoriali, aggi di riscossione) non sono deducibili in quanto sanzioni, mentre gli interessi lo sono. Comunque, questo è un dettaglio contabile di secondo piano rispetto al grosso dell’importo.
Perdita su crediti per la banca: anche se non impatta direttamente il debitore, è interessante notare che per la banca finanziatrice la parte di credito coperta dalla garanzia statale non costituirà una perdita deducibile, perché viene rimborsata dallo Stato. La parte non coperta, se non recuperata, sarà una perdita su crediti deducibile nei limiti dell’art. 101 TUIR (oggi deducibile integralmente quando la controparte è assoggettata a procedura concorsuale).
Regime IVA: solitamente irrilevante, poiché la concessione di finanziamenti è esente IVA e l’escussione della garanzia non comporta prestazioni di servizi imponibili. Eventuali spese legali di recupero addebitate potrebbero avere IVA.
Conclusione sui profili fiscali: il debitore insolvente non subisce nell’immediato un aggravio fiscale diretto per il solo fatto di non pagare il prestito garantito. Anzi, in caso di cancellazione parziale del debito in procedure concorsuali, non dovrà neppure pagare le imposte su quel “beneficio” (grazie alle esenzioni per crisi d’impresa). In mancanza di procedure, se lo Stato rinunciasse ad escutere (ipotesi rara), allora sì, formalmente il condono del debito sarebbe imponibile, ma lo Stato difficilmente condona del tutto fuori dalle procedure. Quindi il problema fiscale maggiore resta l’ordinaria tassazione dei redditi d’impresa: l’insolvenza riflette difficoltà economiche che probabilmente riducono gli utili o generano perdite (che hanno altre implicazioni fiscali, come la possibilità di riporto perdite, ecc.). L’attenzione va piuttosto posta sul fatto che, se l’azienda riesce a risollevarsi e a ottenere uno stralcio del debito pubblico residuo in sede di piano attestato o accordo omologato, sarà importante inquadrare correttamente tale stralcio per beneficiare della non tassazione.
In sintesi, nessuna “tassa” aggiuntiva scatta automaticamente perché interviene la garanzia statale; il fisco entrerà in gioco solo se e quando il debito si ridurrà per via transattiva o concorsuale, e in quei casi la normativa offre spesso esenzioni per non ostacolare la ripresa dell’impresa insolvente.
Implicazioni nelle procedure concorsuali e sul patrimonio del debitore
Quando l’inadempimento di un finanziamento garantito dallo Stato non è episodico ma sintomo di una crisi grave dell’impresa o del debitore, è probabile che si apra una procedura concorsuale o di insolvenza (fallimento, liquidazione giudiziale, concordato preventivo, piano di ristrutturazione omologato, procedura di sovraindebitamento per le persone fisiche, ecc.). In tali procedure, il coinvolgimento di un creditore pubblico garantito introduce particolari dinamiche. Analizziamo come vengono trattati i crediti della banca e dello Stato garante in tali situazioni, e l’impatto sul patrimonio del debitore in crisi.
Scenario tipico: l’impresa che ha ricevuto il prestito garantito versa in dissesto e viene dichiarata fallita (ora liquidazione giudiziale). Oppure cerca un concordato preventivo offrendo ai creditori un pagamento parziale.
In questo contesto entrano in gioco due creditori: la banca e il garante pubblico (Fondo/SACE/ISMEA) per lo stesso rapporto obbligatorio. Bisogna capire come entrano al passivo e in quali gradi di privilegio.
La legge e la giurisprudenza hanno definito i ruoli come segue:
- Il credito della banca finanziatrice derivante dal prestito, in sé, è un credito chirografario (non privilegiato), a meno che il prestito non fosse assistito anche da garanzie reali (ipoteca, pegno) o privilegio speciale. La presenza della garanzia statale non dà alcun privilegio diretto alla banca nei confronti del debitore. Infatti, la Cassazione ha escluso espressamente che la banca possa invocare il privilegio spettante al Fondo PMI o a SACE. Quindi la banca resta un creditore come gli altri sul patrimonio del debitore, salvo sue eventuali ipoteche.
- Il credito del garante pubblico per la somma che dovrà pagare (o ha pagato) è un credito privilegiato ex lege di natura pubblicistica. Esso nasce privilegiato fin dal momento dell’erogazione del finanziamento pubblico, ed è condizionato risolutivamente alla restituzione: quando il beneficio viene revocato (per inadempimento), il credito diventa esigibile. Questo credito, ancorché futuro o eventuale all’apertura della procedura, prevale su quasi tutti gli altri (è un privilegio mobiliare generale dello Stato ex art. 9 D.lgs.123/98). In caso di fallimento, SACE o il Fondo PMI sono legittimati a insinuarsi al passivo anche prima di aver pagato la banca (in via condizionale). Ad esempio, Cass. civ. 26 giugno 2023 n.18148 ha confermato che, anche se la garanzia non è stata ancora escussa, SACE può essere ammessa al passivo del fallimento con riserva fino al pagamento. Se invece ha già pagato, si insinua definitivamente. ISMEA e gli enti locali possono dover seguire lo stesso iter se godono di analoghe tutele normative.
Procedure concorsuali concrete:
- Fallimento/Liquidazione giudiziale: appena dichiarato il fallimento dell’impresa debitrice, la banca – quale creditore – deve fare domanda di insinuazione al passivo entro il termine (30 giorni prima dell’udienza di verifica crediti). In presenza di garanzia statale, la banca è tenuta a presentare domanda anche per la parte garantita, indicando che il credito è assistito da garanzia pubblica. Contestualmente (o successivamente, a seconda dei tempi), anche l’ente garante deve insinuarsi. Si profilano due casi:
- Pagamento del garante prima dell’ammissione al passivo: se il Fondo/SACE paga la banca prima che i crediti siano esaminati, accade che entrambi presentino domanda: la banca per il residuo non coperto (in chirografo) e il Fondo/SACE per quanto pagato, in privilegio. Il giudice delegato ammetterà la banca come chirografaria per la sua quota (es. 20%) e l’ente pubblico come creditore privilegiato per la sua (80%). Se per caso c’è sovrapposizione (cioè entrambi hanno chiesto la stessa somma per errore), il curatore la eliminerà in verifica.
- Pagamento del garante dopo l’ammissione al passivo: spesso il fallimento viene aperto quando la banca non ha ancora incassato la garanzia. In tal caso, la banca si insinua per l’intero credito (capitale + interessi) come chirografo, ma deve dichiarare l’esistenza della garanzia pubblica e che in futuro il Fondo/SACE subentrerà per la parte di perdita liquidata. Quando poi il Fondo paga (magari a stato passivo già formato), si realizzano due fatti: la banca incassa e quindi deve ridurre il suo credito nello stato passivo, e il Fondo matura il diritto di surroga. A questo punto, il Fondo/SACE può insinuarsi tardivamente oppure chiedere al curatore di subentrare in luogo della banca ex art. 1203 c.c. o ex art. 230, co.2, Codice della Crisi. Nella prassi si fa una comunicazione di avvenuta surroga e poi un’insinuazione tardiva per il credito privilegiato. Il Curatore deve prendere atto che ora c’è un creditore privilegiato al posto di parte del creditore chirografo originario, e correggere le graduatorie di pagamento. Importante: il garante statale non deve attendere che la banca sia integralmente soddisfatta per far valere il proprio credito in concorso; ha diritto di inserirsi subito, anche se la banca ha ancora un credito parzialmente insoddisfatto. Alla fine, il risultato sarà che allo stato passivo figurano: il credito privilegiato dello Stato (per l’ammontare pagato) e il credito chirografo residuo della banca (per la parte non garantita/perdita propria).
- Concordato preventivo o accordo di ristrutturazione: in caso di concordato, l’azienda propone ai creditori un certo trattamento. Dato il privilegio del credito del garante statale, nel piano di concordato occorrerà prevedere il pagamento integrale di tale credito privilegiato, salvo diversa classazione e voto. Il Fondo/SACE, essendo privilegiato, potrebbe essere in una classe separata; se il piano prevede di non pagarlo integralmente, tecnicamente si starebbe comprimendo un privilegio generale, il che è ammissibile solo se vi è soddisfazione almeno pari a quella che avrebbe in caso di liquidazione (art. 84 CCII, old art. 160 L.F.). Dato che in liquidazione quel credito prenderebbe molto, in pratica il concordato dovrà riservare un trattamento di favore allo Stato. Alternativamente, lo Stato potrebbe votare come creditore e accettare uno stralcio. Il ruolo di voto dello Stato dipende da chi detiene il credito in quel momento: se la garanzia non è ancora escussa, formalmente la banca è creditore (chirografo) al tavolo, ma in realtà lo Stato ha interesse. Cassazione ha detto che la revoca del beneficio è condizione risolutiva e non serve atto formale, quindi lo Stato è creditore già dall’inadempimento. Potrebbe insinuarsi anche nel concordato. Spesso, nell’ambito di piani di ristrutturazione del debito bancario, il Fondo di Garanzia PMI viene consultato per accettare transazioni: circolari del Fondo prevedono che, su richiesta motivata, il Comitato del Fondo possa acconsentire a stralci parziali del proprio credito di regresso nell’ambito di soluzioni concordate della crisi, purché ciò massimizzi il recupero rispetto al fallimento (ad es., accettare il 30% subito invece di probabilmente 20% in fallimento). In tali casi, l’impresa può ottenere una liberazione parziale anche dal debito verso lo Stato, facilitando il risanamento. Ovviamente, come detto, grazie all’art. 88 TUIR queste riduzioni concordatarie non generano tasse.
- Liquidazione del patrimonio/sovraindebitamento (per persone fisiche e piccole imprese non fallibili): se il debitore insolvente è un piccolo imprenditore non soggetto a fallimento o un professionista/persona fisica, può accedere alle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento (Piano del consumatore, ristrutturazione debiti o liquidazione controllata, ex L.3/2012 ora nel Codice della crisi). In tali procedure, il Fondo o SACE sono creditori privilegiati e come tali vanno soddisfatti prioritariamente. Ad esempio, se un professionista ha un debito residuo verso Stato garante, nel piano del consumatore dovrà prevedere di pagarlo in misura congrua o motivare l’eventuale falcidia. Lo Stato, tramite Agenzia Riscossione, parteciperà e potrà opporsi o dare assenso. Le norme consentono anche in questi casi stralci dei debiti pubblici (con alcune limitazioni per debiti fiscali), e quindi anche del credito da rivalsa. La esdebitazione finale della persona fisica libererà anche da quel debito eventuale non soddisfatto (ciò non toglie che lo Stato abbia privilegiato eventuali riparti in procedura).
Impatto sul patrimonio del debitore:
Una volta aperta la procedura concorsuale, il patrimonio dell’impresa è cristallizzato e destinato ai creditori secondo le regole concorsuali. Il debitore perde la disponibilità dei beni (nel fallimento il curatore li liquida). Lo Stato, come visto, ha forti diritti su quei beni (privilegio). Se però l’insolvenza non sfocia in procedura ma si procede per vie esecutive singolari, il discorso è simile: lo Stato tramite ruolo può aggredire tutti i beni del debitore. L’esecuzione forzata in forma di pignoramento presso terzi (es. su conti correnti, su crediti verso clienti), su immobili (ipoteca e espropriazione) o su beni mobili (pignoramenti) può mettere in serio pericolo la continuità aziendale. Ad esempio, il pignoramento del conto corrente aziendale da parte di Agenzia Riscossione per il debito verso il Fondo PMI potrebbe bloccare l’operatività dell’impresa, spesso determinando poi il fallimento. Dunque, a livello patrimoniale, l’insolvenza su un prestito garantito può portare a perdere asset aziendali chiave.
È da segnalare che i beni già dati in garanzia reale alla banca (come un immobile ipotecato per il mutuo) non rientrano nella garanzia statale. Se la banca escute l’ipoteca, soddisfacendosi in via privilegiata su quell’immobile, ridurrà di conseguenza l’importo da chiedere al Fondo. In fallimento, l’immobile ipotecato andrà a beneficio della banca (creditore ipotecario) e solo l’eventuale insufficienza residua viene chiesta al Fondo. Il Fondo si insinuerà per la perdita finale della banca. Quindi c’è una sorta di coordinamento: il privilegio statale è generale, mentre le garanzie reali specifiche della banca (se presenti) restano di competenza di quest’ultima.
Riassumendo le procedure concorsuali: lo Stato si garantisce un trattamento preferenziale come creditore nel concorso, grazie a un privilegio legale ampio. La banca recupera la parte coperta dallo Stato fuori dal concorso (ricevendo pagamento dalla garanzia) e rimane concorrente solo per l’eventuale parte scoperta. Ciò riflette il fatto che la garanzia statale sposta il rischio di perdita dal settore bancario alla collettività: in caso di insolvenza grave, le altre aziende creditrici e anche in parte i lavoratori potrebbero risentire del fatto che una quota di attivo va allo Stato prima che a loro. Questo meccanismo è stato ritenuto legittimo e ribadito in più pronunce di Cassazione come necessario a tutelare l’interesse pubblicistico insito nei finanziamenti agevolati.
Per il debitore stesso, la presenza di un debito privilegiato verso lo Stato può complicare il risanamento: ad esempio, un concordato dovrà prevedere il pagamento integrale o quasi di quella voce, il che rende più oneroso il piano. Tuttavia, considerata la natura pubblica, talvolta lo Stato può mostrarsi flessibile se la soluzione concordataria offre un esito migliore rispetto alla liquidazione (accettando votazioni favorevoli a piani con parziale sacrificio, in ottica di massimizzare il recupero).
In ogni caso, se la procedura concorsuale si conclude con la liquidazione dell’impresa, il patrimonio del debitore sarà in gran parte assorbito dal soddisfacimento (anche solo parziale) dei crediti, incluso quello statale. L’eventuale esdebitazione (per le società di persone o per l’imprenditore individuale) libererà la persona dai debiti residui, incluso quello verso lo Stato, ma l’impresa in sé normalmente cessa di esistere.
Impatto sull’accesso al credito futuro
Una domanda cruciale per l’imprenditore è: dopo un evento di insolvenza su un finanziamento garantito dallo Stato, sarò ancora in grado di ottenere credito o garanzie pubbliche in futuro? In altre parole, quali conseguenze reputazionali e sui rapporti bancari comporta il default?
Le conseguenze principali sono: il deterioramento del merito creditizio presso il sistema bancario privato e possibili limitazioni legali o regolamentari nell’accesso a nuovi benefici pubblici.
Vediamole nel dettaglio:
1. Segnalazione nelle banche dati creditizie:
Il mancato pagamento di un finanziamento, con o senza garanzia statale, viene normalmente segnalato:
- Centrale Rischi della Banca d’Italia: le banche segnalano mensilmente le esposizioni “a sofferenza” (cioè crediti di incerta esigibilità) superiori a €250. Un prestito insoluto garantito dal Fondo PMI sarà segnalato come sofferenza per l’importo totale, se la banca ritiene il cliente insolvente. Anche se poi la banca incassa dall’ente garante, la posizione del cliente rimarrà negativa fino a eventuale rimborso integrale. In CR può anche apparire la parte coperta come rimborsata da garanzie, ma ai fini valutativi l’azienda risulterà comunque con un default registrato.
- Sistemi di informazione creditizia privati (es. CRIF, Cerved): eventuali rate non pagate e sofferenze vengono iscritte nei database usati dalle banche per valutare affidamenti. Un insoluto grave comporta classificazioni di scoring molto basse, rendendo improbabile l’erogazione di nuovi finanziamenti per diversi anni.
- Elenchi interni del Fondo di Garanzia e di SACE: come accennato, i gestori delle garanzie tengono traccia delle operazioni che sono andate in default. Pur non essendoci una “blacklist” pubblica, è chiaro che in sede di valutazione di nuove domande di garanzia un’impresa con precedenti insoluti potrà essere vista con sfavore. Ad esempio, il Fondo PMI ha criteri di scoring anche qualitativi; un passato default potrebbe emergere (specie se recente) e portare a una esclusione per “profilo di rischio”. Inoltre, la normativa del Fondo esclude l’ammissibilità per imprese con protesti o in stato di difficoltà: dopo un default, spesso l’impresa è classificata come in difficoltà finanziaria, il che la rende non eleggibile finché non risana la propria posizione.
2. Impossibilità di ottenere nuove garanzie statali per un certo periodo:
In aggiunta al mero effetto reputazionale, vi possono essere cause di esclusione formali. Ad esempio:
- Il Regolamento UE sugli aiuti de minimis e i criteri del Fondo PMI prevedono che l’impresa non debba essere in situazione di morosità significativa su finanziamenti precedenti. Se l’impresa ha un debito scaduto verso il Fondo (non rimborsato in regresso), potrebbe non poter beneficiare di ulteriori aiuti finché quel debito non è sistemato (questo principio vige per i debiti verso Pubblica Amministrazione in molti bandi).
- Come visto nei profili penali, una condanna per reati come truffa ai danni dello Stato può portare sanzioni accessorie interdittive quali il divieto di ottenere finanziamenti pubblici o agevolazioni. Anche senza condanna, l’art. 48-bis DPR 602/73 vieta alle PA di erogare pagamenti a favore di chi risulti inadempiente su cartelle esattoriali oltre €5.000. Se lo Stato ha iscritto a ruolo il debito e questo supera tale soglia, l’impresa potrebbe vedersi negare nuovi contributi fino a regolarizzazione.
- Alcuni bandi pubblici richiedono una dichiarazione di regolarità contributiva e con il fisco: un debito verso Agenzia Riscossione (come quello derivante da escussione) se non rateizzato può portare all’irregolarità DURC o fiscale, precludendo l’accesso a gare, contributi o altre garanzie.
3. Reputazione bancaria compromessa:
Dal lato del rapporto con le banche, un’impresa che ha “mandato in default” un prestito al punto da attivare la garanzia statale verrà considerata ad alto rischio. Anche se magari la banca non ha perso denaro grazie alla garanzia, rimarrà il giudizio negativo sull’affidabilità dell’azienda. Ciò può tradursi in:
- Difficoltà ad ottenere nuovi prestiti, se non a condizioni molto onerose (più garanzie reali, tassi più alti).
- Richieste di rientro o riduzione di fidi esistenti non appena possibile.
- Impossibilità di accedere a strumenti come leasing, factoring, ecc., se la storia creditizia presenta una sofferenza non risolta.
- Nei casi peggiori, iscrizione del nominativo dei garanti personali nel registro dei protesti (se vi sono stati assegni scoperti collegati) o segnalazioni come cattivo pagatore, che colpiscono anche la persona fisica nelle sue richieste di credito personali.
4. Accesso al credito nel lungo termine:
Superata la fase acuta, la storia insegna che riottenere fiducia è possibile, ma richiede tempo e azioni concrete: sanare i debiti pendenti (anche con accordi transattivi), ricapitalizzare l’azienda, offrire garanzie solide su nuovi crediti. Dal punto di vista pubblico, un’impresa che abbia rimborsato – seppur tardivamente – il dovuto al Fondo potrebbe in futuro riottenere la garanzia, magari trascorsi alcuni anni e dimostrando bilanci solidi.
Qualora invece l’insolvenza abbia portato alla chiusura dell’attività (fallimento), allora l’accesso al credito futuro riguarda eventualmente una nuova impresa costituita dai medesimi soggetti. Anche qui, però, le banche guardano allo storico dei soci e amministratori: se il precedente fallimento ha lasciato strascichi (debiti verso banche o Stato non soddisfatti), i nuovi progetti imprenditoriali potrebbero incontrare dubbi. Occorre in tal caso ricostruirsi una reputazione magari partendo con capitale proprio o fonti alternative di finanziamento.
5. Settore pubblico e gare:
Un’impresa inadempiente verso lo Stato potrebbe subire conseguenze anche oltre il credito: ad esempio, come accennato, il divieto di contrarre con la PA come sanzione 231/2001, o punteggi negativi in graduatorie di contributi se ha pendenze. Questo esula un po’ dall’accesso al credito ma rientra nelle ripercussioni generali sul business.
In conclusione, l’insolvenza su un finanziamento garantito dallo Stato è un evento che marchia il debitore nel circuito finanziario. Da un lato vi sono le ovvie conseguenze di qualsiasi insolvenza (segnalazioni, rating peggiorato, diffidenza delle banche); dall’altro vi è la particolare posizione di debitore verso l’erario, che può comportare esclusioni normative da benefici finché la posizione non viene sanata.
Per mitigare queste conseguenze, l’impresa dovrebbe – ove possibile – ricercare soluzioni negoziate prima del default conclamato: ad esempio chiedere una ristrutturazione del debito, allungamento dei piani (molti enti garanti, come ISMEA col DM 3/2024, permettono moratorie), oppure accordi di rientro con transazione sul debito pubblico. Evitare di arrivare a sofferenza conclamata aiuta a mantenere una certa affidabilità.
Se però il danno è fatto, spesso l’unica strada è dimostrare un cambiamento radicale: nuova compagine sociale, nuovo management, oppure in caso di ditte individuali attendere che trascorra un periodo di “purgatorio creditizio” (di solito almeno 36 mesi dopo la regolarizzazione, per far uscire le segnalazioni negative).
Vale infine la pena ricordare che il sistema italiano prevede anche misure di supporto post-crisi: ad esempio, dopo un fallimento chiuso con esdebitazione, l’ex imprenditore potrebbe accedere al Fondo PMI come nuova startup innovativa (non essendo più formalmente la stessa impresa fallita). Ma sono casi specifici. Nella generalità, l’ombrello della garanzia statale usato una volta non si apre due volte per lo stesso soggetto con facilità: occorre riacquisire fiducia.
Modalità e tempi di intervento dello Stato garante: riepilogo pratico
Per completare la guida, ricapitoliamo brevemente come interviene lo Stato garante e con quali tempistiche, dal momento dell’inadempimento fino al recupero o alla chiusura della vicenda. Questo riepilogo pratico aiuterà a comprendere la sequenza degli eventi:
- T0 – Concessione del finanziamento garantito: l’impresa ottiene il prestito con copertura statale. Da subito nasce (in potenza) l’obbligazione ex lege di restituzione verso lo Stato condizionata al mancato rimborso.
- T1 – Inizio inadempimento: il debitore salta una o più rate. La banca invia solleciti. Di solito dopo 90 giorni di ritardi la posizione diventa “deteriorata” e può scattare la risoluzione del contratto. (Nel caso di rate mensili, spesso dopo 6-7 rate scadute si risolve; per altre linee di credito può essere anche dopo uno sconfinamento prolungato).
- T2 – Richiesta di escussione al garante: se il debitore non regolarizza, la banca avvia la procedura di escussione. Ad esempio, per il Fondo PMI si compila una richiesta telematica di escussione allegando documentazione (copia lettera di decadenza dal termine, estratto conto insoluti, ecc.) entro un certo termine dall’inadempimento (spesso entro 18 mesi). Per SACE, si attiva il contratto di garanzia inviando una richiesta di indennizzo con prova del default. I tempi tecnici possono variare: alcune garanzie prevedono attesa di 60 giorni dall’avviso di mora, altre sono immediate.
- T3 – Istruttoria ed erogazione dell’indennizzo: l’ente garante verifica la conformità formale della richiesta. Se tutto ok, dispone il pagamento alla banca. Per il Fondo PMI pre-Covid l’obiettivo era pagare entro 3 mesi dalla domanda; durante Covid i tempi si sono allungati dato il volume. Per SACE Garanzia Italia, i pagamenti sono stati generalmente più rapidi, anche entro 60 giorni dall’attivazione. In media, comunque, nel giro di pochi mesi dalla segnalazione di sofferenza, la banca incassa la quota garantita dallo Stato. (Es.: default a gennaio, richiesta a marzo, pagamento a giugno).
- T4 – Comunicazione al debitore della surroga: una volta pagata la banca, l’ente garante informa il debitore dell’intervenuto pagamento e della conseguente rivalsa. Ad esempio, il Medio Credito Centrale invia una lettera di messa in mora al debitore (e all’eventuale garante personale) indicante l’importo pagato e intimando il rimborso allo Stato. Questa comunicazione spesso precede o accompagna l’iscrizione a ruolo. In alcuni casi, può essere proposto al debitore un piano di rientro rateale bonario. Se il debitore è fallito, la comunicazione va al curatore e contestualmente si presenta l’insinuazione al passivo.
- T5 – Azione di recupero: se il debitore non paga spontaneamente quanto dovuto al garante, si passa al recupero coattivo. Nel caso di crediti affidati all’Agente Riscossione, ciò significa emissione della cartella esattoriale. I tempi: dopo il pagamento, l’ente invia i dati al MEF/Agenzia per iscrizione a ruolo; la cartella viene notificata magari entro 6-12 mesi. Il debitore ha 60 giorni per pagare o chiedere rateizzazione (possibile in 72 rate generalmente). Se non paga né rateizza, scaduti 60 giorni la posizione diventa esecutiva: da quel momento l’Agente può procedere con pignoramenti (anche se di solito lascia passare altri 120 giorni secondo le prassi di riscossione). In parallelo, può scattare il fermo amministrativo di automezzi aziendali o l’ipoteca legale su immobili per crediti sopra 20.000€.
- T6 – Eventuale contenzioso/soluzione concorsuale: il debitore può in questa fase proporre opposizione (ad esempio se contesta il fatto di dover pagare, ma difficilmente ha basi legali, salvo errori procedurali) oppure, se in procedura concorsuale, si arriva alla definizione del credito nello stato passivo o in un concordato. I tempi qui dipendono dalla procedura: un fallimento dura anni, un concordato può chiudersi in 6-12 mesi.
- T7 – Esito finale: se il debitore paga integralmente (raro), estingue il debito verso lo Stato. Se paga parzialmente (tramite concordato o accordo), il residuo viene stralciato ed eventualmente esdebitato. Se non paga nulla (impresa senza beni), dopo la chiusura del fallimento lo Stato manderà a perdita il credito. In ogni caso, quell’iter può durare diversi anni (i crediti erariali insoluti restano in essere 10 anni rinnovabili). Per la banca originaria, invece, tutto si è risolto già a T3.
In sintesi sui tempi: la banca vede risolto l’incasso garantito di solito entro 6-12 mesi dal default, mentre il debitore può trovarsi esposto verso lo Stato per molti anni. La macchina pubblica di recupero ha i suoi tempi (più lenti nel pagamento, ma anche più persistenti nel recupero). Di conseguenza, un imprenditore che oggi (aprile 2025) manca i pagamenti di un prestito garantito Covid del 2020, potrebbe entro fine 2025 avere la cartella esattoriale a suo nome. E se non risolve, quel debito pubblico potrà perseguitarlo almeno fino al 2035, salvo prescrizione o sanatoria.
Conclusione: Non pagare un finanziamento con garanzia statale è un evento serio che attiva una cascata di conseguenze giuridiche. In estrema sintesi: la banca recupera in parte grazie allo Stato, ma il debitore non viene liberato dal debito, trasformandosi anzi in debitore verso lo Stato, con tutte le implicazioni del caso (privilegi, riscossione, possibili risvolti penali se vi è dolo, ecc.). L’impresa rischia il proprio patrimonio e la propria reputazione creditizia, potendo arrivare fino al fallimento e alla preclusione da futuri aiuti. È dunque fondamentale, per l’imprenditore, essere consapevole che la “mano pubblica” che aiuta ad ottenere credito in tempi difficili poi presenterà il conto se quel credito non viene onorato.
Fonti normative e giurisprudenziali utilizzate
- Leggi e decreti:
- Legge 23 dicembre 1996, n. 662, art. 2 (istituzione Fondo Garanzia PMI).
- Decreto MICA 31 maggio 1999, n. 248 (Regolamento del Fondo di garanzia PMI).
- Decreto MISE 20 giugno 2005 (criteri e modalità del Fondo PMI).
- Decreto-Legge 17 marzo 2020, n. 18 (Cura Italia), conv. L. 27/2020 (potenziamento Fondo PMI durante Covid).
- Decreto-Legge 8 aprile 2020, n. 23 (Decreto Liquidità), conv. L. 40/2020 (Garanzia SACE Italia e misure su Fondo PMI).
- Decreto-Legge 17 maggio 2022, n. 50 (Decreto Aiuti), conv. L. 91/2022 (Garanzia SupportItalia SACE).
- D.lgs. 31 marzo 1998, n. 123, art. 9 (privilegio generale per crediti da revoca di finanziamenti pubblici).
- D.lgs. 29 marzo 2004, n. 102, art. 17 (garanzie ISMEA per imprese agricole).
- Codice della crisi d’impresa, D.lgs. 14/2019, art. 230 co.2 (subingresso del fideiussore pubblico nel fallimento).
- Codice Penale, art. 316-bis (malversazione), 316-ter (indebita percezione), 640-bis (truffa aggravata per erogazioni pubbliche).
- D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, art. 24 (responsabilità enti per reati contro la PA, sanzioni interdittive).
- DPR 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR), art. 88 comma 4-ter (non tassabilità sopravvenienze attive in procedure concorsuali).
- DPR 29 settembre 1973, n. 602, art. 48-bis (verifica inadempimenti verso PA).
- Giurisprudenza di legittimità:
- Cass. Civ., Sez. I, 30/01/2019, n. 2664 – Natura privilegiata del credito da rivalsa del Fondo pubblico.
- Cass. Civ., Sez. VI-1, 27/11/2020, n. 27159 – Privilegio ex lege del credito erariale da garanzia pubblica.
- Cass. Pen., Sez. VI, 04/06/2021, n. 22119 – Negri – Prestito con garanzia SACE: niente malversazione se somme distratte ma prestito onorato.
- Cass. Pen., Sez. VI, 18/01/2022 (ud. 24/11/2021), n. 2125 – Bonfanti – Indebita percezione (316-ter) per falso nell’ottenimento di finanziamento Covid garantito.
- Cass. Civ., Sez. I, 18/01/2022, n. 1453 – Garanzia SACE: obbligazione ex lege autonoma, inapplicabilità norme fideiussione e art. 61-62 l.fall.; legittimità insinuazione SACE in prededuzione condizionata.
- Cass. Civ., Sez. I, 15/05/2023, n. 13152 – Finanziamenti pubblici: credito privilegiato sorge ex lege fin dall’erogazione; irrilevanza del momento di revoca (anche post-fallimento).
- Cass. Civ., Sez. I, 26/06/2023, n. 18148 – Garanzia SACE: ammissibilità al passivo fallimentare del credito SACE anche se garanzia non pagata, in via condizionata.
- Cass. Civ., Sez. I, 27/12/2023, n. 35961 – Escussione garanzia pubblica: la banca garantita non può avvalersi del privilegio spettante a MCC (ribadisce separazione ruoli).
- Giurisprudenza di merito e prassi:
- Trib. Mantova (GIP), 2021 – Riqualificazione da truffa a indebita percezione nel caso Bonfanti (confermata da Cassazione).
- Orientamenti del Comitato di Gestione Fondo PMI su transazioni (richiesta dettagli perdite e saldo stralcio).
- Circolare ISMEA n. 3/2024 – Sospensione/allungamento finanziamenti garantiti senza decadenza garanzia
- Agenzia Entrate, Risp. Interpello n.49/2024 – Chiarimenti su detassazione sopravvenienze attive in accordo ristrutturazion
Se Non Pago un Finanziamento con Garanzia dello Stato: Perché Affidarti a Studio Monardo
Hai ricevuto un finanziamento garantito dallo Stato tramite il Fondo di Garanzia per le PMI o altre misure pubbliche, ma ora non riesci più a restituirlo?
Succede più spesso di quanto immagini. Molte imprese, dopo aver ottenuto prestiti garantiti dallo Stato durante momenti difficili, si trovano oggi inadempienti per cause economiche reali: calo del fatturato, aumento dei costi, ritardi nei pagamenti.
Quando non paghi le rate, la banca può revocare il prestito, attivare la garanzia pubblica e trasferire l’intero debito allo Stato, che può agire tramite l’Agenzia Entrate Riscossione.
Ma non tutto è perduto: puoi ancora difenderti e rientrare legalmente dalla situazione.
Cosa può fare per te l’Avvocato Monardo
✅ Analizza il contratto e la procedura di escussione della garanzia, individuando eventuali irregolarità o abusi
✅ Contesta richieste illegittime e avvia trattative per soluzioni alternative (piani di rientro, transazioni, saldo e stralcio)
✅ Blocca azioni esecutive, come pignoramenti, fermi amministrativi o iscrizioni ipotecarie
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Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo
🔹 Gestore della Crisi da Sovraindebitamento, iscritto presso il Ministero della Giustizia
🔹 Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa, abilitato ex D.L. 118/2021
🔹 Fiduciario OCC – Organismo di Composizione della Crisi
🔹 Coordinatore nazionale di avvocati e consulenti esperti in debiti, contenzioso bancario e tributario
Perché agire subito
⏳ Dopo l’escussione della garanzia, l’intero importo può essere richiesto senza altri preavvisi
⚠️ L’Agenzia Entrate Riscossione può avviare azioni aggressive, anche se il debito era con la banca
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Conclusione
Non pagare un finanziamento garantito dallo Stato non significa essere un cattivo imprenditore, ma senza difesa legale il problema può trasformarsi in un danno enorme.
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