Che Tipo Di Controlli Fa L’Agenzia Delle Entrate

Hai ricevuto una comunicazione, un avviso o una richiesta di documenti da parte dell’Agenzia delle Entrate? Temi un controllo fiscale sulla tua attività o sulla tua posizione personale?

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in contenzioso tributario e difesa durante i controlli del Fisco – è pensata per aiutarti a capire cosa sta succedendo e come reagire correttamente.

Scopri quali sono i tipi di controlli che l’Agenzia delle Entrate può effettuare, cosa può chiederti, quali sono i tuoi diritti e doveri, e come evitare errori che potrebbero trasformarsi in sanzioni pesanti.

Alla fine della guida troverai tutti i contatti per richiedere una consulenza riservata, analizzare la tua situazione con un avvocato e difenderti con una strategia mirata e professionale.

Che Tipo Di Controlli Fa L’Agenzia Delle Entrate – La Guida di Studio Monardo

Introduzione

L’Agenzia delle Entrate svolge un ruolo cruciale nel contrasto all’evasione fiscale, attraverso una vasta gamma di controlli su cittadini e imprese. Nel solo 2024, grazie alle attività di accertamento e riscossione, sono stati recuperati 26,3 miliardi di euro di imposte evase – il livello più alto di sempre, con un incremento del 6,5% rispetto all’anno precedente. Parallelamente, l’Agenzia invia ogni anno milioni di comunicazioni ai contribuenti per favorire la compliance spontanea (nel 2024 oltre 3,2 milioni di lettere, che hanno portato a versamenti aggiuntivi per 4,5 miliardi). Tali risultati evidenziano l’importanza strategica dei controlli fiscali nel sistema tributario italiano.

Questa guida fornisce un’analisi completa e aggiornata a maggio 2025 di tutte le principali tipologie di controllo fiscale effettuate dall’Agenzia delle Entrate, spiegando come avvengono i controlli, chi può essere coinvolto, con quali criteri vengono selezionati i contribuenti da controllare e come questi ultimi possono tutelarsi. Verranno esaminati i controlli automatizzati e formali sulle dichiarazioni, i controlli sostanziali e gli accertamenti approfonditi, nonché le verifiche e ispezioni condotte presso le sedi dei contribuenti. Illustreremo inoltre i principali criteri di selezione utilizzati dal Fisco (analisi del rischio, algoritmi e indicatori di anomalia), le categorie economiche più spesso sotto la lente (professionisti, imprese individuali, società di capitali, ecc.), i riferimenti normativi e giurisprudenziali più rilevanti e le modalità di difesa del contribuente (dai diritti durante l’accertamento fino al ricorso in Commissione Tributaria).

Per facilitare la consultazione, la guida include tabelle riepilogative che sintetizzano, per ciascun tipo di controllo, i soggetti coinvolti, l’oggetto delle verifiche, le possibili sanzioni e gli strumenti di tutela disponibili. Infine, una sezione di Domande Frequenti (FAQ) affronta i dubbi più comuni e i casi pratici ricorrenti, fornendo risposte operative sia per i professionisti del settore tributario che per i contribuenti interessati a comprendere meglio i propri diritti e doveri.

Nota Bene: tutte le informazioni riportate sono aggiornate alla normativa vigente a maggio 2025, con riferimento alle più recenti novità introdotte (ad esempio dalla Riforma Fiscale 2023-2024) e alle ultime pronunce giurisprudenziali. I riferimenti normativi (leggi, decreti, circolari) e le sentenze citate sono elencati in dettaglio nella sezione finale Fonti Normative e Bibliografia, per consentire ulteriori approfondimenti al lettore.

Passiamo ora ad esaminare nel dettaglio che tipo di controlli effettua l’Agenzia delle Entrate, partendo dalle diverse tipologie di verifica e accertamento fiscale.

Tipologie di Controlli Fiscali dell’Agenzia delle Entrate

Controlli Automatizzati delle Dichiarazioni dei Redditi

Il primo livello di controllo fiscale avviene in modo automatizzato su tutte le dichiarazioni dei redditi e dell’IVA presentate dai contribuenti. Si tratta di verifiche svolte tramite procedure informatiche, senza intervento manuale dell’operatore, al fine di liquidare le imposte dovute in base ai dati dichiarati e di segnalare eventuali errori od omissioni evidenti.

I controlli automatizzati sono previsti dall’art. 36-bis del DPR 600/1973 (per le imposte sui redditi) e dall’art. 54-bis del DPR 633/1972 (per l’IVA). In sostanza, il sistema informatico dell’Agenzia controlla che le imposte, ritenute e contributi indicati nella dichiarazione siano calcolati correttamente e che i relativi versamenti (acconti, saldi) risultino effettuati entro le scadenze previste e per gli importi dovuti. Vengono incrociati i dati direttamente desumibili dalla dichiarazione con quelli presenti nell’Anagrafe Tributaria, come ad esempio: i versamenti effettuati con modello F24, le certificazioni uniche dei sostituti d’imposta, i dati catastali sugli immobili, gli oneri detraibili comunicati da enti esterni (banche per mutui, assicurazioni per premi, ecc.) e altre informazioni disponibili.

Esempi comuni di controlli automatizzati:

  • Confronto tra l’imposta dichiarata e quella ricalcolata dal sistema: in caso di errore materiale di calcolo (ad es. errata somma di aliquote), l’Agenzia riliquida correttamente l’imposta dovuta.
  • Verifica dei versamenti F24: si controlla che gli importi a saldo o acconto indicati siano stati effettivamente pagati nei termini. Se risultano pagamenti mancanti o tardivi, emerge un’irregolarità.
  • Riscontro di deduzioni/detrazioni con i dati inviati da terzi: ad esempio, se il contribuente ha detratto spese mediche per un certo importo ma il sistema rileva dalle comunicazioni del Sistema Tessera Sanitaria un importo minore, verrà segnalata la differenza; oppure controllo delle detrazioni per familiari a carico confrontate con il loro reddito.
  • Controllo delle eccedenze a credito riportate da anni precedenti e utilizzate in compensazione: il sistema verifica la corrispondenza con quanto risultante dalle dichiarazioni pregresse e dal monitoraggio delle compensazioni.

Il risultato del controllo automatizzato, se evidenzia difformità o imposte non versate, non comporta immediatamente una sanzione piena o una cartella esattoriale. In base allo Statuto del Contribuente (L. 212/2000), prima dell’iscrizione a ruolo delle somme dovute l’Agenzia invia al contribuente una comunicazione di irregolarità (il cosiddetto “avviso bonario”). In questa comunicazione sono dettagliati i rilievi emersi (e.g. maggior imposta X per mancato versamento, sanzione calcolata ridotta, interessi), offrendo la possibilità di correggere la situazione. Il contribuente ha tipicamente 30 giorni per reagire scegliendo tra due opzioni:

  • Pagare spontaneamente le somme indicate, usufruendo di una sanzione ridotta (generalmente pari al 10% dell’imposta non versata, anziché il 30% ordinario). Dal 2023, alcune misure hanno ridotto ulteriormente queste sanzioni: ad esempio, nell’ambito della “definizione agevolata avvisi bonari” introdotta dalla Legge di Bilancio 2023, si è prevista per le dichiarazioni 2019-2021 una riduzione al 3%. In ogni caso, il pagamento entro i termini dell’avviso bonario evita ulteriori sanzioni e la successiva cartella esattoriale.
  • Fornire chiarimenti o segnalare errori all’Agenzia, qualora il contribuente ritenga infondati gli addebiti. Ad esempio, se un versamento risultava non pervenuto per un errore materiale ma in realtà è stato effettuato, oppure se i dati dell’Anagrafe Tributaria sono incompleti o errati, il contribuente può inviare all’ufficio le prove (ricevute di pagamento, documenti giustificativi) o chiedere una rettifica. In risposta ai chiarimenti, l’ufficio può annullare parzialmente o totalmente la pretesa se effettivamente il controllo automatizzato risulta infondato.

Se il contribuente ignora la comunicazione o non regolarizza nei termini, l’Agenzia procederà con l’iscrizione a ruolo e l’emissione di una cartella di pagamento, con applicazione della sanzione piena (30%). È dunque fortemente consigliato di prestare attenzione a qualsiasi “avviso bonario” e di attivarsi prontamente.

Da notare che il controllo automatizzato non è discrezionale: viene effettuato su tutte le dichiarazioni presentate. Non c’è una selezione mirata in questa fase, proprio perché è svolto in automatico dal sistema informatico. Di conseguenza, ogni contribuente che presenta una dichiarazione può ricevere un riscontro immediato su eventuali errori aritmetici o versamenti mancanti, a prescindere dalla sua categoria economica o profilo di rischio.

Controlli Formali delle Dichiarazioni dei Redditi

Accanto ai controlli automatici, l’Agenzia delle Entrate effettua anche controlli formali su un numero più ristretto di dichiarazioni, con lo scopo di verificare la correttezza formale dei dati dichiarati confrontandoli con la relativa documentazione e con le informazioni disponibili da terzi. Questo tipo di controllo è disciplinato dall’art. 36-ter del DPR 600/1973 e rappresenta un esame approfondito ma “da tavolino” (cioè effettuato in ufficio, senza recarsi presso il contribuente).

I controlli formali avvengono dopo i controlli automatizzati e riguardano specifiche dichiarazioni selezionate dall’Agenzia a livello centrale in base a criteri di rischio ed elementi di significativa probabilità di errore/evasione. Non tutte le dichiarazioni, quindi, saranno oggetto di controllo formale: la platea è limitata in funzione delle risorse e delle analisi di rischio (di questi criteri di selezione ci occuperemo diffusamente più avanti).

In cosa consiste il controllo formale? Gli uffici verificano che i dati indicati in dichiarazione trovino riscontro:

  • nella documentazione conservata dal contribuente (es. ricevute, fatture, scontrini, quietanze di pagamento per oneri deducibili/detraibili, certificazioni relative ai redditi percepiti, ecc.);
  • nelle dichiarazioni presentate da altri soggetti (es. confronto tra il reddito dichiarato da un lavoratore autonomo e le spese dedotte da parte dei suoi clienti per le fatture emesse da quel professionista);
  • nei dati forniti da enti esterni, previdenziali o assistenziali e altri (ad esempio, contributi INPS dichiarati vs. dati INPS effettivi, premi assicurativi comunicati dalle compagnie, spese mediche comunicate dalle farmacie, interessi passivi comunicati dalle banche, ecc.).

In pratica, attraverso il controllo formale l’Agenzia può scoprire errori o incongruenze nella dichiarazione che non emergono da un semplice controllo automatizzato. Ad esempio:

  • Verifica di scontrini e fatture per oneri detraibili: il contribuente ha indicato oneri deducibili/detraibili (spese mediche, ristrutturazioni edilizie, interessi su mutui, contributi previdenziali, ecc.) e l’ufficio chiede di esibire la relativa documentazione. Se l’importo indicato in dichiarazione non è supportato da documenti validi (o se parte delle spese non sono ammissibili), la differenza verrà recuperata a tassazione.
  • Controllo dei carichi di famiglia e detrazioni per familiari: si può richiedere lo stato di famiglia o altri documenti per verificare che i familiari indicati a carico rispettino i requisiti (es. limite di reddito) e che non siano già stati considerati a carico da altri soggetti oltre i limiti consentiti.
  • Controllo incrociato di crediti d’imposta o eccedenze IVA: se il contribuente ha riportato un credito da anni precedenti, può essere chiesto di documentarne la legittimità (dichiarazioni dei periodi precedenti, eventuali comunicazioni di sgravio, ecc.).
  • Riscontro di differenze tra soggetti collegati: ad esempio, in caso di cessione di immobili potrebbe essere controllato che il venditore abbia dichiarato l’eventuale plusvalenza e l’acquirente abbia pagato l’imposta di registro congruamente al valore; oppure, per cessione di partecipazioni, che il valore dichiarato dal cedente e dall’acquirente (in bilancio) coincida o che eventuali plusvalenze siano state dichiarate.

Il procedimento di controllo formale prevede che l’Agenzia, qualora riscontri delle difformità, inviti il contribuente a fornire chiarimenti o a esibire i documenti giustificativi. Questa richiesta avviene tramite comunicazione (raccomandata A/R o PEC) in cui sono elencati i documenti da presentare o le informazioni da fornire. Il contribuente ha l’obbligo di collaborare: la mancata risposta, come vedremo in seguito, comporta sanzioni e preclusioni in sede difensiva. Entro il termine indicato (solitamente 30 giorni, prorogabili su richiesta motivata), il contribuente potrà:

  • Trasmettere o mostrare all’ufficio la documentazione richiesta, giustificando eventuali incongruenze.
  • Se riconosce l’errore, rettificare la propria posizione versando il dovuto (con sanzioni ridotte). Ad esempio, se durante il controllo formale emerge che alcune spese portate in detrazione non erano spettanti, il contribuente può accordarsi per pagarne le conseguenze prima che sia emesso l’atto finale.

Esito del controllo formale: analogamente ai controlli automatizzati, se dal controllo formale risultano maggiore imposta dovuta o minori crediti spettanti, l’ufficio emette una comunicazione di irregolarità al contribuente prima di iscrivere a ruolo le somme. In questa comunicazione saranno indicati gli importi contestati e le sanzioni ridotte (di norma 20% in sede di controllo formale anziché 30%, ma anch’esse oggetto di possibili definizioni agevolate). Il contribuente ha 30 giorni per pagare quanto richiesto (o 60 giorni dal 2025, come vedremo in seguito per le novità normative sui termini) beneficiando della sanzione ridotta, oppure per fornire eventuali ultime controdeduzioni. Se non paga né dimostra errori dell’ufficio, si passerà alla cartella di pagamento.

Il controllo formale, quindi, aggiunge un livello di garanzia ulteriore sulla qualità e veridicità dei dati dichiarati, andando oltre il mero riscontro matematico. Esso tutela anche i contribuenti onesti, perché individua possibili indebite fruizioni di deduzioni/detrazioni da parte di chi non ne aveva diritto, migliorando l’equità del sistema.

Controlli Sostanziali e Accertamenti Approfonditi

Oltre ai controlli interni sulle dichiarazioni (automatici e formali), l’Amministrazione finanziaria svolge anche controlli sostanziali, ovvero verifiche più approfondite finalizzate a contrastare evasioni parziali o totali di base imponibile. Si tratta di attività ispettive e istruttorie che mirano ad accertare l’effettiva situazione fiscale del contribuente, andando al di là di quanto emerge dalla dichiarazione presentata. In caso di riscontro di irregolarità, il risultato di questi controlli si concretizza in un avviso di accertamento, cioè un atto formale con cui l’Agenzia rettifica il reddito o l’imposta dichiarata e richiede il pagamento delle maggiori somme dovute.

I controlli sostanziali possono essere svolti attraverso diverse modalità operative:

  • Accessi, ispezioni e verifiche presso il contribuente: sono i classici controlli in loco, in cui funzionari dell’Agenzia delle Entrate (o militari della Guardia di Finanza, che agiscono con poteri di polizia tributaria) si recano presso la sede dell’azienda, dello studio professionale o presso l’abitazione (nei limiti consentiti) per esaminare libri, registri contabili, documenti e beni aziendali. Approfondiremo a breve come si svolgono queste verifiche e quali garanzie ha il contribuente.
  • Questionari e richieste di informazioni/documenti: l’Agenzia può avviare controlli sostanziali anche senza un accesso diretto, inviando al contribuente (o a terzi) questionari e inviti a esibire documenti specifici. In tal modo raccoglie elementi istruttori aggiuntivi su determinate operazioni o aspetti della posizione fiscale del contribuente, da utilizzare poi in un eventuale accertamento.
  • Convocazione del contribuente presso l’ufficio (“invito a comparire”): l’ufficio può invitare formalmente il contribuente a presentarsi per fornire chiarimenti e instaurare un contraddittorio orale, portando magari ulteriore documentazione. Ciò spesso avviene quando si sono riscontrate anomalie attraverso incroci di dati (es. redditi apparentemente incompatibili con il tenore di vita, o incongruenze tra volume d’affari e movimenti bancari) e si vuole dare modo al contribuente di spiegare prima di emettere un accertamento.

Attraverso queste attività istruttorie, l’ufficio raccoglie gli “elementi utili” a ricostruire fedelmente la posizione fiscale del contribuente. Se emergono scostamenti rilevanti (basi imponibili non dichiarate, imposte evase), l’esito viene formalizzato in un Avviso di Accertamento notificato al contribuente. L’avviso di accertamento è l’atto impositivo vero e proprio, contenente la pretesa tributaria (maggiori imposte, sanzioni e interessi) e le motivazioni alla base della rettifica.

Vediamo innanzitutto quali sono i principali tipi di accertamento che l’Agenzia può emettere (a seconda della metodologia con cui ricostruisce il reddito non dichiarato), e poi esamineremo come si svolgono concretamente le verifiche ispettive sul campo.

Tipologie di Accertamento Tributario (Analitico, Induttivo, Sintetico, etc.)

La normativa tributaria italiana prevede diverse metodologie attraverso le quali l’amministrazione finanziaria può determinare un maggior reddito (o una maggiore imposta) rispetto a quanto dichiarato dal contribuente. Le principali tipologie di accertamento tributario sono:

  • Accertamento Analitico: l’ufficio rettifica specifici elementi della dichiarazione basandosi su dati certi o documentali. Ad esempio, può riprendere a tassazione costi che ritiene indebiti o non documentati, ricavi non contabilizzati ma provati da fatture o movimentazioni finanziarie, ecc. Si parla di metodo “analitico” perché si analizzano singolarmente componenti di reddito o di costo. È il caso tipico in cui dalla verifica contabile emergono alcune fatture di vendita non registrate: l’accertamento aggiungerà quei ricavi puntualmente individuati al reddito imponibile.
  • Accertamento Induttivo (puro): viene utilizzato quando il contribuente ha tenuto una contabilità inattendibile o inesistente, tale da non consentire una ricostruzione analitica. In tali circostanze (es: omessa dichiarazione, libri contabili non esibiti o gravemente falsificati), l’Agenzia determina il reddito in modo globale e presuntivo, fondandosi su qualsiasi informazione disponibile. Ad esempio, può stimare il volume d’affari sulla base degli acquisti di materie prime (applicando ricarichi medi), oppure utilizzare indici di redditività medi del settore, o ancora basarsi sui movimenti del conto bancario. L’art. 39, c.2, DPR 600/1973 consente questa ricostruzione induttiva “extra-contabile” in presenza di gravi irregolarità. La giurisprudenza ha confermato la legittimità di tale approccio: se la contabilità è inattendibile, il fisco può fondarsi su presunzioni semplici, purché gravi e precise, anche ad esempio sulla base dei movimenti bancari non giustificati.
  • Accertamento Analitico-Induttivo: è una via di mezzo prevista dall’art. 39, c.1, lett. d, DPR 600/1973. In presenza di irregolarità contabili non così gravi da rendere del tutto inattendibile la contabilità, l’ufficio può comunque integrare i dati contabili con valutazioni presuntive su alcuni elementi. Ad esempio, se un ristorante ha registrato ricavi molto inferiori al consumo di materie prime acquistate (magari emergono 1000 coperti al mese dalle comande ma solo 500 scontrini emessi), si può presumere l’occultamento di parte dei ricavi; l’accertamento quantificherà i maggiori ricavi in base a una resa teorica delle materie prime. Si chiamano anche accertamenti di tipo induttivo “parziale”.
  • Accertamento Parziale: disciplinato dall’art. 41-bis DPR 600/1973, consente all’ufficio di emettere, anche prima della scadenza ordinaria dei termini e senza contraddittorio preventivo, un accertamento limitato ad alcuni rilievi, quando dispone già di elementi certi. È spesso utilizzato per recuperare tempestivamente redditi puntualmente accertati tramite controlli incrociati o segnalazioni (es. redditi di fonte estera non dichiarati segnalati tramite scambio di informazioni, oppure vendita di un immobile non dichiarata ai fini Irpef). L’accertamento parziale non preclude ulteriori accertamenti successivi per altri elementi, fino a che non si esaurisce il periodo d’imposta.
  • Accertamento Sintetico (Redditometro/Evasometro): è uno strumento che mira a ricostruire in via indiretta il reddito complessivo di una persona fisica, partendo dai segnali esteriori di capacità contributiva. Storicamente, il cosiddetto “redditometro” (art. 38 DPR 600/1973) utilizzava panieri di spesa e coefficienti standard per inferire un reddito presunto in base al tenore di vita (possesso di auto, barche, immobili di lusso, spese per viaggi, etc.). Questo strumento ha subito varie vicissitudini e riforme: considerate le critiche di invasività e i rischi di “falsi positivi”, nel 2024 è stato profondamente modificato. Il Decreto Legislativo n. 108/2024 (attuativo della riforma fiscale) ha abrogato il vecchio redditometro basato su indici generici di spesa, introducendo una versione più selettiva soprannominata dai media “evasometro”. Il nuovo accertamento sintetico scatterà solo in presenza di due condizioni concomitanti: uno scostamento almeno del 20% tra reddito dichiarato e reddito accertabile e una differenza assoluta di oltre 70.000 € (pari a dieci volte l’assegno sociale annuo). In pratica, verranno contestati solo i casi di evasione rilevante, evitando di perseguire piccoli scostamenti. Inoltre, al contribuente vengono garantite ampie possibilità di prova contraria: potrà sempre giustificare le spese contestate dimostrando di averle finanziate con redditi esenti, redditi di periodi precedenti (risparmi accumulati) o altri mezzi legittimi. L’accertamento sintetico rimane quindi uno strumento attivo, ma circoscritto ai casi più eclatanti, e basato su analisi più mirate (anche grazie all’uso di algoritmi avanzati, come vedremo nella sezione sui criteri di selezione).

In tutti i casi di accertamento sopra elencati, prima di emettere l’avviso di accertamento l’ufficio deve generalmente attivare un contraddittorio con il contribuente, salvo situazioni particolari (urgenza o accertamenti parziali). Già durante la verifica o a seguito di un PVC (processo verbale di constatazione redatto, ad esempio, dalla Guardia di Finanza) il contribuente può presentare memorie difensive. Inoltre, dal 1° luglio 2020 è in vigore l’obbligo di invito al contraddittorio per la maggior parte degli accertamenti (ne parleremo dettagliatamente più avanti, nella sezione sulle tutele). In sintesi, l’Agenzia deve offrire al contribuente la chance di esporre le proprie ragioni e chiarire i fatti prima di procedere, in ottemperanza ai principi del giusto procedimento.

Una volta notificato l’Avviso di Accertamento, il contribuente ha 60 giorni per pagarne le somme (beneficiando eventualmente di una riduzione delle sanzioni di 1/3 se accetta senza contestazioni, c.d. acquiescenza) oppure per impugnarlo dinanzi al giudice tributario. In alternativa, può attivare la procedura di accertamento con adesione entro 30 giorni per cercare un accordo (vedremo in seguito).

Nel caso degli accertamenti IVA e Imposte dirette, l’avviso emesso a partire dal 1° gennaio 2020 ha efficacia anche di atto esecutivo: significa che, decorsi inutilmente i termini per pagare o impugnare, l’Agenzia potrà procedere alla riscossione coattiva senza bisogno di ulteriore atto (dopo ulteriori 30 giorni e la notifica di un intimazione). Questo rende ancora più importante utilizzare gli strumenti difensivi nei tempi giusti.

Verifiche Fiscali, Accessi e Ispezioni (Controlli in Loco)

Le verifiche fiscali sul posto rappresentano l’aspetto più “invasivo” ma anche più approfondito dei controlli dell’Agenzia delle Entrate. Si concretizzano quando funzionari verificatori accedono nei locali del contribuente (aziende, uffici, negozi, ecc.) per svolgere una ispezione diretta delle scritture contabili e delle attività. Questi controlli in loco sono regolati sia da norme tributarie (DPR 633/1972 per l’IVA, DPR 600/1973 per le imposte sui redditi, ecc.) sia dallo Statuto del Contribuente (L. 212/2000, art. 12, che stabilisce alcune garanzie).

Chi effettua le verifiche? Le verifiche fiscali possono essere eseguite da:

  • Funzionari dell’Agenzia delle Entrate (civili) autorizzati dall’ufficio competente, generalmente per controlli su contribuenti medio-piccoli o per questioni specifiche.
  • Ufficiali ed agenti della Guardia di Finanza, che ha funzioni di polizia tributaria. Spesso la Guardia di Finanza conduce le verifiche più complesse, soprattutto in ambito aziendale, in virtù dei poteri di polizia giudiziaria di cui dispone (ad es. può fare perquisizioni con autorizzazione della magistratura in caso di reati tributari). È prassi che la Gdf svolga un’ampia parte delle verifiche esterne, redigendo al termine il Processo Verbale di Constatazione (PVC) che viene poi trasmesso all’Agenzia delle Entrate per gli eventuali atti di accertamento.

Come si svolge un accesso/verifica:

  • Di regola, l’accesso presso la sede del contribuente avviene durante l’orario di lavoro. I verificatori si presentano mostrando un tesserino di riconoscimento e un’autorizzazione alla verifica. Per accedere a locali adibiti anche ad abitazione è necessaria un’autorizzazione del Procuratore della Repubblica (tutela di domicilio, art. 52 DPR 633/72).
  • Viene redatto un verbale di accesso in cui si dà atto dell’inizio delle operazioni, dell’ora e delle persone presenti. Da quel momento, inizia la verifica e i funzionari possono richiedere esibizione di documenti, libri e registri, ispezionare beni, fare domande ai responsabili.
  • Il contribuente (o il professionista delegato) ha l’obbligo di mettere a disposizione la documentazione richiesta. Se alcuni documenti contabili non vengono esibiti senza giustificato motivo, ne può derivare l’inattendibilità della contabilità e la preclusione a usarli successivamente a proprio favore.
  • Nel corso della verifica, possono essere svolti controlli del magazzino, riscontri della cassa, verifica dei beni strumentali, ecc. Ad esempio, in un esercizio commerciale si potranno verificare le rimanenze di magazzino e confrontarle con le scritture contabili; in un cantiere, controllare i mezzi e gli operai presenti confrontandoli con le fatture e i libri paga; in uno studio professionale, verificare l’agenda appuntamenti o i fascicoli clienti per riscontrare eventuali prestazioni non fatturate.
  • I verificatori possono anche timbrare o sigillare i libri e registri esibiti, apporre sigilli a locali o mobili (in casi eccezionali), copiare file digitali se la contabilità è tenuta su PC, ed effettuare sequestri di documentazione rilevante (se operano con i poteri di polizia giudiziaria, in caso di flagranza di reati tributari, con le debite autorizzazioni).

Lo Statuto del Contribuente prevede che la permanenza dei verificatori presso la sede del contribuente non ecceda determinati limiti: 30 giorni lavorativi (anche non consecutivi) prorogabili di ulteriori 30 in casi complessi, per imprese di minori dimensioni. Tale limite sale a 60 giorni (prorogabili di 60) per le imprese di più grande dimensione. Tuttavia, la Cassazione ha chiarito che questo termine ha natura ordinatoria, non perentoria: il suo superamento non comporta nullità dell’accertamento. In pratica, è un principio di “buona condotta” cui i verificatori dovrebbero attenersi per ridurre al minimo l’invasività, ma non un termine tassativo. Nella generalità dei casi comunque le verifiche si concludono entro pochi mesi; un prolungamento eccessivo potrebbe essere oggetto di censura quantomeno sul piano del rispetto dei diritti del contribuente.

Al termine della verifica in loco, vengono redatti:

  • Un Processo Verbale di Constatazione (PVC), che riepiloga tutte le operazioni svolte, i documenti esaminati e soprattutto constata le eventuali violazioni riscontrate (es: “si è constatato che manca il registro beni ammortizzabili”, oppure “sono stati rinvenuti corrispettivi non registrati per € X”, ecc.).
  • Il PVC viene consegnato al contribuente, il quale ha diritto a riceverne copia. Da quel momento decorre (salvo casi di particolare urgenza) un termine di 60 giorni durante il quale il contribuente può presentare osservazioni e richieste all’ufficio (ai sensi dell’art. 12, c.7, L. 212/2000). L’Agenzia non può emettere avviso di accertamento prima di questo termine, a meno che non vi sia particolare e motivata urgenza (ad esempio, rischio di decadenza imminente dei termini di accertamento). La violazione di questa regola comporta la nullità dell’atto emesso anticipatamente.
  • Successivamente, l’ufficio emette l’avviso di accertamento, che deve tenere conto anche delle eventuali memorie difensive presentate dal contribuente dopo il PVC. L’accertamento deve essere congruamente motivato, e se si basa su presunzioni (es: extracontabili) deve indicarne gli elementi (indizi gravi, precisi e concordanti).

Durante la verifica, il contribuente ha alcuni diritti fondamentali: può farsi assistere da un professionista di fiducia (commercialista, avvocato tributarista), ha diritto alla riservatezza dei dati non rilevanti (i verificatori non possono divulgare informazioni apprese), e può chiedere la sospensione momentanea delle attività in caso di comprovate esigenze (salute, forza maggiore). Inoltre, eventuali impedimenti allo svolgimento sereno dell’attività aziendale vanno limitati (es: non intralciare l’attività lavorativa più del necessario).

Oltre alle verifiche “generali” appena descritte, esistono controlli mirati specifici svolti in loco, come:

  • I controlli a sorpresa sulla regolare emissione di scontrini e ricevute fiscali presso negozi e locali (anche in borghese). Se il commerciante non emette lo scontrino, scatta una sanzione immediata e, in caso di recidiva grave, può essere disposta la chiusura temporanea dell’esercizio.
  • Verifiche presso cantieri o attività per controllare l’impiego di manodopera irregolare (“lavoro nero”), spesso svolte congiuntamente da Guardia di Finanza, Ispettorato del Lavoro e Inps.
  • Controlli settoriali in occasione di particolari eventi (per es. alta stagione turistica, controlli a tappeto presso stabilimenti balneari, ristoranti, B&B per contrastare il sommerso).

Le risultanze delle verifiche ispettive in loco, unite alle indagini finanziarie e ai controlli incrociati documentali, costituiscono la base più solida per gli accertamenti tributari sostanziali.

Altri Strumenti di Indagine e Controllo

Nel corso dell’attività di controllo, l’Agenzia delle Entrate può avvalersi di ulteriori strumenti investigativi e fonti informative per individuare possibili evasori:

  • Indagini finanziarie: consistono nell’accesso, autorizzato, ai conti correnti bancari e ad altre informazioni finanziarie del contribuente. L’art. 32 del DPR 600/1973 e l’art. 51 DPR 633/1972 consentono all’Agenzia (previa autorizzazione del Direttore centrale o regionale) di richiedere a banche, poste, intermediari finanziari l’elenco dei rapporti intrattenuti con un contribuente (conti, depositi, carte di credito, cassette di sicurezza, ecc.) e il dettaglio dei movimenti su tali conti per un certo periodo. Le indagini finanziarie sono uno strumento potentissimo: sulla base dei movimenti bancari, il Fisco può riscontrare ricavi non dichiarati o acquisti in nero. Per legge, i versamenti (entrate) trovati sui conti e non giustificati si presumono ricavi imponibili e i prelevamenti non giustificati si presumono utilizzati per investimenti in beni non dichiarati (per gli imprenditori). Vale quanto accennato prima: la Corte Costituzionale nel 2014 ha escluso l’applicabilità della presunzione sui prelevamenti per i lavoratori autonomi (professionisti), ritenendola irragionevole per chi non ha obbligo di registrare acquisti di beni destinati a rivendita. Rimane invece in piedi per le imprese. In ogni caso, il contribuente può superare tali presunzioni fornendo prova contraria (es. dimostrando che un versamento sul conto era un prestito restituito, non un ricavo d’impresa). Le indagini finanziarie richiedono un procedimento formale e se attivate sfociano quasi sempre in un accertamento, data la gravità degli elementi che portano a scoperta.
  • Controlli incrociati e banche dati: l’Agenzia incrocia ormai in maniera massiva i dati provenienti da una moltitudine di banche dati: catasto, PRA (veicoli), registri immobiliari, anagrafe tributaria, sistema tessera sanitaria, registro delle fatture elettroniche, comunicazioni dei corrispettivi telematici, comunicazioni liquidazioni IVA (LIPE), spesometro (fino al 2018), e altri flussi informativi. Questi incroci segnalano anomalie, ad esempio: un contribuente che dichiara redditi molto bassi ma possiede numerosi immobili o auto di lusso; oppure un artigiano che acquista materie prime in grandi quantità ma dichiara un volume d’affari irrisorio. Tali anomalie spesso innescano controlli più approfonditi.
  • Segnalazioni e collaborazione con altri enti: l’Agenzia riceve segnalazioni qualificate da altri enti pubblici (Comuni, INPS, ecc.) o anche esposti/segnalazioni da privati cittadini su casi di evasione. Ad esempio, i Comuni possono segnalare discrepanze tra tenore di vita e redditi (ciò avveniva in particolare nell’ambito del vecchio redditometro). La Guardia di Finanza stessa, nell’ambito di indagini penali per reati tributari, trasmette all’Agenzia il risultato per il recupero delle imposte evase. Un caso tipico: da un’indagine GdF su fatture false emerge un elenco di clienti che hanno utilizzato quelle fatture; l’Agenzia procederà a controllare e accertare in capo a ciascuno di essi il recupero delle imposte indebitamente detratte.
  • Controlli su richieste di rimborso o crediti: quando un contribuente chiede un rimborso rilevante (ad esempio IVA a credito) o utilizza in compensazione crediti d’imposta di importo significativo, l’Agenzia spesso avvia controlli preventivi antifrode. Un caso recente è il controllo preventivo sui bonus edilizi e sui crediti da Superbonus 110%: a fronte di abusi riscontrati, la legge ha previsto controlli documentali anticipati prima di erogare i rimborsi o avallare le compensazioni. Nel 2024 l’Agenzia ha bloccato pagamenti indebiti per 5,8 miliardi di euro proprio grazie a queste analisi di rischio e controlli preventivi su crediti e rimborsi.
  • Tecnologie avanzate e algoritmi di analisi (Intelligenza Artificiale): l’Agenzia delle Entrate sta implementando strumenti di data analysis e intelligenza artificiale per migliorare la selezione dei contribuenti da controllare. Uno di questi strumenti è denominato Ve.R.A. (Verifica dei Rapporti Finanziari), un algoritmo addestrato su dati storici che esamina i dati dell’Archivio dei Rapporti Finanziari (l’enorme database che contiene per ogni codice fiscale l’elenco di conti e movimentazioni bancarie) per individuare profili ad alto rischio di evasione. Il funzionamento di Ve.R.A. può essere così riassunto:
    1. Selezione preliminare di contribuenti con anomalie fiscalmente rilevanti (esempi: forti scostamenti tra fatturato elettronico dichiarato e corrispettivi registrati, valore aggiunto anormalmente basso rispetto al numero di dipendenti, ecc.).
    2. Incrocio con dati finanziari: per questi soggetti “anomalì” si esaminano i flussi bancari (es. versamenti sui conti nettamente superiori ai ricavi dichiarati).
    3. Filtri ed esclusioni: vengono scartate posizioni che presentano spiegazioni plausibili (es. versamenti elevati ma dovuti a vendita di un immobile o a un’eredità, eventi una tantum noti).
    4. Lista di soggetti a rischio: si formano elenchi di contribuenti con rischio elevato, da trasmettere alle Direzioni Provinciali per valutare l’opportunità di un controllo mirato.
    5. Eventuale avvio di verifica: i soggetti segnalati possono essere sottoposti ad attività ispettiva o accertamento mirato.
    L’utilizzo di algoritmi come Ve.R.A. viene presentato dall’Agenzia come “ausiliario” alla selezione, per rendere i controlli più precisi e ridurre i falsi positivi. Dal 2024-2025, con l’attuazione della legge delega di riforma fiscale (L. 111/2023), è previsto un forte potenziamento di questi strumenti digitali, in linea con le normative europee sull’AI. L’obbiettivo dichiarato è arrivare a una sorta di “radiografia fiscale” del contribuente a colpo d’occhio, grazie alla piena interoperabilità delle banche dati pubbliche. Ad esempio, dal 2025 entra in funzione la piattaforma “Silver Notice”, che permette all’Agenzia di accedere a informazioni patrimoniali provenienti da oltre 50 paesi esteri, sfruttando il network di scambio dati del Common Reporting Standard (CRS) a livello OCSE. Ciò rende più difficile occultare capitali all’estero e facilita l’individuazione di contribuenti con patrimoni non dichiarati.

In sintesi, i controlli sostanziali dell’Agenzia delle Entrate si avvalgono di un arsenale diversificato: dalle tradizionali verifiche in azienda fino all’analisi incrociata di big data, passando per l’accesso ai conti bancari. Nei paragrafi seguenti vedremo come l’Agenzia sceglie chi controllare (criteri di selezione) e quali categorie di contribuenti sono più spesso nel mirino, prima di passare agli strumenti di tutela del contribuente e alle FAQ pratiche.

Criteri di Selezione dei Contribuenti da Controllare

Visto l’ampio spettro di controlli possibili, sorge spontanea la domanda: come decide l’Agenzia delle Entrate chi controllare? In altre parole, con milioni di dichiarazioni e contribuenti, quali criteri vengono adottati per selezionare le posizioni da sottoporre a verifica più approfondita? L’attività di controllo, infatti, deve essere pianificata in modo da concentrare le risorse sui casi con maggiore probabilità di irregolarità, evitando di molestare inutilmente contribuenti in regola.

Analisi del Rischio e Piani Annuali di Controllo

Ogni anno, l’Agenzia delle Entrate elabora un piano di controlli basato su analisi del rischio. Si tratta di un processo che combina:

  • L’esperienza storica (settori o tipologie di contribuenti in cui si riscontra più evasione);
  • Le segnalazioni e input normativi (ad es. il legislatore o la Corte dei Conti possono indicare di concentrare controlli su un certo ambito critico);
  • L’uso di indicatori statistici e algoritmi per valutare la normalità o anomalia dei dati dichiarativi di ciascun contribuente.

In pratica, vengono sviluppati dei profili di rischio: ad esempio, per le società di capitali ci saranno indicatori di bilancio sospetti (margini troppo bassi rispetto al settore, perdite sistematiche, crediti IVA anomali, movimenti finanziari incoerenti); per i professionisti, si guarderà al rapporto tra compensi dichiarati e numero di clienti, o all’ammontare di spese dedotte per dipendenti rispetto al fatturato; per le imprese al dettaglio, si incrociano i corrispettivi dichiarati con quelli medi di attività simili e con gli acquisti di fornitori.

Una volta individuati i soggetti a rischio, questi entrano in liste selettive per i controlli sostanziali. Ad esempio, l’Agenzia potrebbe decidere che nel 2025 verranno controllate prioritariamente:

  • Le partite IVA con volume d’affari < 50.000 € che hanno chiuso l’attività dopo meno di 2 anni (potenziali false partite IVA aperte solo per emettere fatture e poi sparire);
  • Le società che presentano crediti IVA molto elevati e hanno chiesto rimborsi;
  • I contribuenti per cui l’algoritmo Ve.R.A. ha segnalato versamenti bancari anomali rispetto ai ricavi dichiarati;
  • Le imprese edili che hanno fruito in modo massiccio di bonus fiscali ceduti (ambito soggetto a frodi);
  • Le persone fisiche che, pur dichiarando redditi modesti, risultano aver comprato immobili di valore elevato o autovetture di lusso negli ultimi anni.

Questi sono esempi ipotetici, ma riflettono logiche effettivamente adottate. Per diretta ammissione dell’Agenzia, il fine è mirare i controlli sui profili a più alto rischio fiscale, incrementando l’efficacia e riducendo i controlli a vuoto.

Algoritmi, Intelligenza Artificiale e “Evasometro”

Come anticipato, dal 2024-2025 l’Agenzia sta introducendo nuove tecnologie di analisi dati e AI per migliorare la selezione:

  • L’evasometro (evoluzione del redditometro) è più selettivo: scatta solo oltre soglie significative (20% e €70.000), proprio per ridurre i falsi positivi. Significa che l’algoritmo di confronto tra spese e redditi filtrerà la platea nazionale individuando solo chi veramente presenta discrepanze macroscopiche. Ad esempio, non verrà attenzionato chi dichiara €30.000 e spende €35.000, ma chi dichiara €20.000 e spende €100.000 sì.
  • Ve.R.A.: abbiamo descritto sopra come questo algoritmo analizzi i dati finanziari. È un esempio di modello predittivo: individua pattern tipici degli evasori (come prelievi e versamenti in contanti non coerenti, oppure uso di conti esteri non dichiarati) e produce un punteggio di rischio per ciascun contribuente. I punteggi più alti vengono passati ai verificatori umani per un controllo mirato.
  • Indicatori Sintetici di Affidabilità fiscale (ISA): introdotti nel 2019 in sostituzione degli studi di settore, gli ISA attribuiscono un voto da 1 a 10 ai contribuenti con partita IVA (imprese e professionisti) in base alla coerenza dei loro dati economici. Un punteggio basso indica possibili anomalie gestionali o dichiarative. Chi ottiene punteggi elevati per più anni ha accesso ad alcuni benefici (riduzione dei termini di accertamento, esonero da alcuni visti di conformità, ecc.), mentre chi ha punteggi bassi può essere inserito nelle liste di controllo. Per esempio, un ristorante con ISA 4 (dovuto magari a ricavi dichiarati molto inferiori agli indicatori di consumo del settore) sarà più a rischio di verifica rispetto a uno con ISA 9 che risulta coerente con gli standard. È bene notare che gli ISA non costituiscono di per sé prova di evasione, ma sono un segnale di possibili irregolarità: l’Agenzia li usa come uno dei fattori per decidere dove indirizzare verifiche (come un semaforo, verde tranquillo, rosso meritevole di controllo).
  • Cross-check digitali: con l’obbligo generalizzato della fatturazione elettronica B2B e B2C e dei corrispettivi telematici, l’Agenzia dispone ora in tempo quasi reale di tutti i dati di fatturato delle partite IVA. Vengono svolte analisi automatiche per individuare ad esempio: soggetti che emettono fatture solo a pochi clienti (potenziali “cartiere” per false fatture), incoerenze tra acquisti e vendite, partite IVA che, dopo aver emesso molte fatture, cessano l’attività (potenziali frodi “apri e chiudi”). La Legge di Bilancio 2024 ha introdotto una misura per la chiusura d’ufficio delle partite IVA inattive o che risultino utilizzate per sole frodi (fatture false, indebite compensazioni). Nel 2024, oltre 3.800 partite IVA fittizie o irregolari sono state cancellate d’ufficio. Anche questo fa parte della selezione: togliere di mezzo gli operatori fraudolenti e concentrare i controlli sugli altri.
  • Focus su grandi evasori e debitori: le direttive recenti sottolineano di concentrare l’attenzione su chi ha evaso importi importanti. Ad esempio, è stato indicato che i controlli approfonditi con l’evasometro e le liste finanziarie scatteranno prioritariamente per chi ha debiti fiscali oltre 50.000 €. L’idea è che chi ha accumulato un debito fiscale elevato e magari cerca di sfuggire (magari chiedendo ripetute rottamazioni o rateizzazioni senza pagare mai davvero tutto) possa nascondere beni o redditi non dichiarati. Dunque vengono monitorati strettamente quei profili per trovare capitali occultati e recuperare il dovuto.

Norme e Garantismo nella Selezione

È importante notare che, sebbene l’Agenzia utilizzi strumenti statistici e algoritmici per la selezione, ogni controllo e accertamento deve poi fondarsi su elementi concreti e rispettare le garanzie del contribuente. La legge prevede espressamente che l’uso di metodi di selezione di massa (come il redditometro vecchia maniera) non possa mai tradursi in automatismi lesivi dei diritti dei contribuenti. La Commissione Finanze, in sede di riforma del 2024, ha chiesto di evitare “strumenti a carattere induttivo di massa” e di focalizzarsi solo sui casi con concreti profili di rischio. Ciò è stato recepito nell’impostazione del nuovo evasometro.

Sul piano pratico, il contribuente non viene a conoscenza dei “punteggi di rischio” che l’Agenzia gli attribuisce, ma ha modo di difendersi nel momento in cui riceve un questionario o un invito al contraddittorio: può già intuire quali dati abbiano insospettito il Fisco e fornire spiegazioni. Ad esempio, se riceve una convocazione dove gli chiedono come ha finanziato l’acquisto di una villa, potrà portare la documentazione di un mutuo o di utilizzo di risparmi pregressi, disinnescando magari sul nascere un potenziale accertamento sintetico.

Riassumendo, la selezione dei controlli avviene tramite un sofisticato mix di:

  • Criteri oggettivi normati (es. il campione di dichiarazioni soggette a controllo formale viene stabilito centralmente);
  • Analisi di rischio basate su banche dati e indicatori (ISA, algoritmi come Ve.R.A., incrocio spese/redditi);
  • Target annuali fissati anche a livello politico (focus su certi settori o fenomeni di evasione);
  • Segnalazioni qualificate da Gdf, enti o altre fonti.

Tutto ciò per massimizzare l’efficacia: individuare gli evasori con maggiore accuratezza, minimizzando i controlli inutili a carico di contribuenti virtuosi. La tecnologia svolge un ruolo crescente, ma sempre sotto la supervisione umana e nel rispetto (almeno formale) delle garanzie procedurali.

Categorie Economiche Maggiormente Coinvolte nei Controlli

In linea di massima, tutti i contribuenti possono essere soggetti a controllo fiscale, dalle persone fisiche con solo reddito dipendente fino alle grandi multinazionali. Tuttavia, l’attenzione del Fisco si concentra tipicamente su alcune categorie considerate a maggior rischio di evasione o dove più frequentemente emergono irregolarità. Di seguito analizziamo come i controlli fiscali si declinano per le principali categorie economiche:

Persone Fisiche (Lavoratori Dipendenti, Pensionati e Privati)

I contribuenti persone fisiche senza partita IVA (dipendenti, pensionati, disoccupati, investitori privati, etc.) sono generalmente soggetti a controlli meno frequenti rispetto alle categorie d’impresa o lavoro autonomo. Ciò perché la maggior parte dei loro redditi è tassata alla fonte (ritenute su stipendi e pensioni) e le possibilità di evasione volontaria sono più limitate. Tuttavia, vi sono delle situazioni in cui anche i privati possono finire nel mirino del Fisco:

  • Controlli automatizzati e formali sulle dichiarazioni 730 o Redditi PF: queste persone presentano spesso la dichiarazione (mod. 730 tramite sostituto o CAF, oppure Redditi PF in alcuni casi) per ottenere rimborsi o dichiarare redditi diversi. L’Agenzia applica i controlli automatici e può fare controlli formali su spese detratte (spese sanitarie, bonus ristrutturazioni, spese istruzione, ecc.). In particolare, i 730 precompilati vengono già verificati alla fonte su molte voci, ma se si apportano modifiche o integrazioni, il controllo formale può chiedere pezze giustificative. Inoltre, esistono controlli preventivi antifrode sui 730 con rimborsi sopra una certa soglia (quelli con detrazioni per carichi di famiglia e rimborsi >4000€, ad esempio).
  • Accertamento Sintetico del Reddito (Evasometro): le persone fisiche sono i bersagli dell’accertamento sintetico in caso di incongruenza tra redditi dichiarati e manifestazioni di ricchezza. Quindi, se un dipendente dichiara 20.000 € l’anno ma acquista una Ferrari e una villa, scatterà un’analisi. Come spiegato, dal 2024 il redditometro è riservato a casi molto sopra soglia, ma questi riguardano tipicamente individui non imprenditori che pur avendo beni di lusso mostrano redditi modesti. Spesso dietro tali situazioni vi sono redditi in nero da fonte d’impresa occulta o lavoro autonomo occulto, che il Fisco cerca di far emergere.
  • Controlli su locazioni e fabbricati: molti privati possiedono immobili dati in affitto. L’Agenzia incrocia i dati dei contratti di locazione registrati (e relativi versamenti imposta di registro o opzione cedolare) con quanto dichiarato. Inoltre, segnala la GdF per verifiche sul campo in caso di affitti “in nero” (ad esempio, riscontrati grazie a bollette intestate all’inquilino ma nessun contratto registrato).
  • Investimenti finanziari e estero: i privati con investimenti sono soggetti ai controlli sul monitoraggio fiscale (Quadro RW) e sull’imposta patrimoniale estera (IVIE/IVAFE). Ad esempio, se emergono conti esteri non dichiarati (grazie al Common Reporting Standard, che invia all’Italia notizie sui conti detenuti da residenti italiani in molte giurisdizioni), l’Agenzia può contestare l’omessa dichiarazione e i redditi prodotti. Anche chi ha realizzato plusvalenze da criptovalute o trading può essere soggetto a controlli se non ha dichiarato tali redditi (dal 2023 il quadro RW sulle cripto e relative imposte è un tema attuale).
  • Case di particolare attenzione:
    • Giovani under 30 con spese elevate (spesso i genitori intestano auto o case ai figli mantenuti, ma formalmente la capacità di spesa non c’è: possono partire controlli sul nucleo familiare).
    • Contribuenti che escono da imprese o società: un ex imprenditore che cede un’azienda può essere controllato per la plusvalenza realizzata.
    • Privati con elevate movimentazioni bancarie: se una persona fisica versa frequentemente assegni o contanti ingenti sul conto senza apparenti fonti (reddituali o patrimoniali) corrispondenti, può scattare un controllo finanziario per sospetto di attività non dichiarata.

In sintesi, i dipendenti e pensionati regolari difficilmente subiscono verifiche aggressive (a meno di errori nella dichiarazione), ma non sono immuni se detengono patrimoni o svolgono operazioni che esulano dal semplice stipendio.

Lavoratori Autonomi e Professionisti (Partite IVA individuali – servizi e professioni)

I professionisti (avvocati, medici, ingegneri, consulenti, artisti, ecc.) e in generale i lavoratori autonomi con Partita IVA sono considerati tradizionalmente una categoria a rischio medio-alto di evasione, soprattutto quando operano con pagamento diretto da parte di clienti privati (rischio di compensi non fatturati). Di conseguenza:

  • Sono spesso inclusi nelle liste per controlli formali su specifiche detrazioni o crediti d’imposta: ad esempio un professionista che detrae molte spese per convegni, auto, telefoni, potrebbe vedersi richiedere in controllo formale i documenti di tali spese per verificarne l’attinenza e correttezza.
  • Indicatori di redditività (ISA): i professionisti hanno i propri ISA di categoria. Se dichiarano redditi molto bassi per più anni consecutivi, specialmente in presenza di spese fisse consistenti (studio, segretarie, ecc.), l’algoritmo ISA li segnala come poco affidabili. Un commercialista con incassi dichiarati di soli 15.000 € annui ma con studio in centro e personale potrebbe venire selezionato per un accertamento.
  • Verifiche mirate: la GdF e l’Agenzia talvolta fanno verifiche su studi professionali di medie dimensioni, esaminando registri e parcelle per scoprire compensi occultati. Un esempio classico sono le cliniche odontoiatriche o studi medici privati: incrociando il numero di pazienti (magari dedotto dalle cartelle cliniche o dalle prescrizioni) con le fatture emesse, possono emergere prestazioni non fatturate.
  • Controlli incrociati cliente-fornitore: i professionisti emettono fatture ai loro clienti, che spesso sono a loro volta contribuenti (aziende o altri professionisti) che deducono quel costo. L’Agenzia incrocia i dati delle fatture emesse e ricevute. Se un professionista non dichiara un compenso ma il cliente lo ha indicato tra i costi, il controllo incrociato lo svela facilmente.
  • Casse previdenziali e assicurazioni: per alcune categorie (es. avvocati, commercialisti) gli enti previdenziali comunicano i dati sui contributi versati. Un professionista che non versa nulla alla Cassa potrebbe far ipotizzare che non abbia dichiarato reddito o che eserciti in nero.
  • Uso del contante: ai professionisti si applica l’obbligo di tracciabilità per compensi sopra €1.000 (dal 2023, soglia contante 5.000 elevata ma pagamenti PA sempre tracciati). Operazioni in contanti significative (versamenti) finiscono nel mirino delle indagini finanziarie.
  • Regime forfettario: molti autonomi sono nel regime forfettario (ricavi fino a €85.000 annui dal 2023). Costoro per definizione non addebitano IVA né presentano dichiarazioni IVA, e hanno minori adempimenti. L’Agenzia controlla la sussistenza dei requisiti: se qualcuno sfora il limite di ricavi o ha cause di esclusione (es. partecipazione in società), può essere accertato e fatto uscire dal regime con recupero dell’IVA e imposte ordinarie. Nel 2024 c’è attenzione a false partite IVA forfettarie che di fatto mascherano rapporti di lavoro dipendente o che suddividono artificiosamente attività per restare sotto soglia.
  • Studi medici convenzionati: un focus è sui medici in intramoenia e doppio lavoro. Se un medico pubblico fa attività privata, l’Agenzia incrocia i compensi dichiarati con i registri ASL delle prestazioni in intramoenia.

In generale, i lavoratori autonomi subiscono controlli più frequenti degli esclusivamente dipendenti, ma spesso di intensità minore rispetto alle imprese (le verifiche in loco presso studi professionali sono meno usuali rispetto a quelle in azienda, tranne casi di frode organizzata).

Va sottolineato che la percezione di categoria evasiva è mitigata dal fatto che molti professionisti lavorano con clienti imprese che pretendono fattura per dedurre il costo: quindi alcune professioni (es. B2B) hanno tassi di evasione bassi, mentre quelle verso privati (medici, dentisti, avvocati matrimonialisti, estetisti, etc.) rimangono più a rischio.

Imprese Individuali e Ditte Individuali (Commercianti, Artigiani, PMI)

Le ditte individuali (imprese personali con partita IVA non costituite in società) comprendono una vasta platea: dal piccolo commerciante al dettaglio all’artigiano, dal ristoratore al titolare di e-commerce, ecc. Anche qui il rischio percepito di evasione è elevato, specie nelle attività con pagamenti in contanti. Le principali aree di controllo per queste categorie:

  • Corrispettivi e scontrini: per negozi, bar, ristoranti, etc., il tema principale è l’eventuale mancata contabilizzazione di incassi. I controlli possono essere: elettronici (tramite i corrispettivi telematici, l’Agenzia vede giornalmente gli incassi dichiarati dal registratore di cassa); in loco (verificatori che effettuano acquisti simulati per vedere se rilasciano lo scontrino); analitici (confronto tra acquisti di materie prime e ricavi dichiarati, utilizzo di indici di ricarico o medie di settore per stimare il venduto effettivo). Ad esempio, un ristorante che acquista 1000 kg di carne l’anno e dichiara solo 50.000 € di incassi totali desterà sospetti perché i numeri potrebbero non tornare.
  • Studi di settore/ISA: storicamente le piccole imprese erano soggette agli studi di settore; oggi hanno gli ISA. Un punteggio ISA basso (dovuto a marginalità inspiegabilmente bassa, costi fissi alti a fronte di ricavi bassi, incoerenze varie) li rende candidati ad accertamenti. Accertamenti di tipo induttivo sulla base degli studi di settore erano frequenti in passato; oggi con gli ISA l’approccio è più di selezione.
  • Verifiche delle rimanenze e del magazzino: nelle imprese commerciali, i controllori spesso verificano l’esistenza delle giacenze finali dichiarate. Se scoprono magazzino non contabilizzato o differenze notevoli, ricostruiscono i ricavi non dichiarati (vendite in nero).
  • Utilizzo di lavoratori irregolari: ditte individuali (pensiamo a piccoli cantieri edili, laboratori artigiani, pubblici esercizi) possono omettere di dichiarare dipendenti o pagarli in nero. Gli accessi congiunti di GdF e ispettorato del lavoro mirano a individuare personale non risultante dalle buste paga. Dal punto di vista fiscale, l’impiego di lavoratori in nero può portare ad accertare maggiori ricavi presunti (per pagare quei dipendenti occulti, si presume che l’imprenditore abbia ricavato somme non dichiarate).
  • False fatture e acquisti: sebbene meno diffuso rispetto alle società, anche ditte individuali possono essere coinvolte in schemi di false fatturazioni (es. per abbattere il reddito imponibile deducendo costi finti). L’Agenzia infatti controlla se hanno utilizzato fatture da fornitori poi rivelatisi evasori totali o “cartiere”. In caso affermativo, recupera la deduzione e la detrazione IVA relativa, con sanzioni molto pesanti per utilizzo di documenti falsi.
  • Controlli settore per settore: alcuni settori vengono passati al setaccio in base a piani mirati. Ad esempio, un anno l’Agenzia può focalizzarsi sulle autoriparazioni (confrontando acquisto di pezzi di ricambio e vernici con il fatturato dichiarato dalle carrozzerie), un altro anno sulle attività di estetica e benessere, un altro ancora sui commercianti online (verificando corrispondenza tra vendite su marketplace e ricavi dichiarati).
  • Evasione IVA: le imprese individuali sono soggette a liquidazioni IVA periodiche. L’Agenzia incrocia i dati delle LIPE (comunicazioni trimestrali IVA) con quelli dei fornitori: se risultano discrepanze (un fornitore dichiara di aver venduto a un dettagliante beni per 100k € + IVA, ma il dettagliante dichiara acquisti molto inferiori, o vendite sproporzionatamente inferiori), scatta l’allarme. Dopo la soppressione dello spesometro, ora l’incrocio avviene sulle fatture elettroniche e il flusso dati fatture.
  • Regime forfettario: molte ditte individuali minori sono forfettarie. Come per i professionisti, l’Agenzia controlla il rispetto del limite di ricavi (€85.000). Inoltre, per evitare che un’impresa artificiosamente rimanga sotto soglia frammentando l’attività, la legge prevede ad esempio che se due coniugi ciascuno con ditta individuale vendono gli stessi beni allo stesso mercato, possano essere ricondotti a un’unica attività ai fini del calcolo del limite. Queste valutazioni sono complesse ma possibili.

Le attività commerciali al dettaglio e quelle artigianali (pensiamo a bar, ristoranti, negozi di abbigliamento, falegnami, parrucchieri, etc.) sono tra le più controllate operativamente (anche con i blitz di cui i media talvolta danno notizia). D’altronde, storicamente mostrano tassi di irregolarità elevati. Va detto però che con la digitalizzazione (registratori telematici, pagamenti elettronici diffusi, e-fattura) è divenuto più difficile occultare completamente gli incassi, e l’Agenzia ha strumenti più efficaci per individuare anomalie anche senza presentarsi in negozio (ad es. confronti incrociati con flussi dei pagamenti elettronici).

Società di Persone (S.n.c., S.a.s. e assimilate)

Le società di persone (snc, sas, studi associati, ecc.) sono fiscalmente trasparenti (le imposte vengono pagate dai soci sui redditi imputati pro quota), ma i controlli vengono spesso condotti sulla società in quanto tale, perché è lì che si formano i redditi.

Per molti versi, i controlli sulle società di persone sono simili a quelli sulle ditte individuali (spesso sono piccole imprese a base familiare). Alcune particolarità:

  • Nelle società di persone, l’irregolarità fiscale ha riflessi sui soci: se viene accertato un maggior reddito, questo viene poi attribuito ai soci in proporzione. Quindi il controllo sulla società di persone coinvolge indirettamente persone fisiche (i soci) che potrebbero vedersi recapitare avvisi di accertamento IRPEF a loro nome per la quota di reddito non dichiarata.
  • Per questo, c’è l’obbligo di notifica contestuale dell’accertamento tanto alla società quanto a tutti i soci (pena nullità, se non notificato entro un certo tempo a tutti). La giurisprudenza ha più volte ribadito la necessità di questo parallelo (concernente il litisconsorzio necessario tra soci e società).
  • Le società di persone spesso tengono contabilità ordinarie o semplificate; se semplificate, i controlli possono spingersi a ricostruire il conto economico. Se ordinarie, valgono considerazioni come per le SRL (contabilità formalmente più completa, ma che se inattendibile consente metodo induttivo).
  • I settori tipici: imprese familiari, negozi di vicinato, piccole manifatture, società immobiliari di famiglia. Ad esempio, molte società immobiliari (che gestiscono patrimonio immobiliare di un nucleo familiare) vengono controllate ai fini registro/IVA per operazioni di compravendita (accertamento di valore sui beni venduti, verifica applicazione corretta imposte ipocatastali, ecc.).
  • Un caso particolare sono le società semplici utilizzate per intestare immobili o partecipazioni: dal 2022 in poi, con la riforma del catasto digitale, l’Agenzia incrocia i dati per vedere se dietro società semplici (che non pagano IRES) si celano di fatto attività commerciali non dichiarate o trust occultati.

In generale, le società di persone, pur essendo imprese, vengono percepite come “prolungamento” delle persone fisiche socie, quindi i controlli mirano tanto alla società quanto ai singoli soci beneficiari dei proventi.

Società di Capitali (Srl, Spa, Cooperative, etc.)

Le società di capitali (S.r.l., S.p.A., S.a.p.a., cooperative) sono entità giuridiche distinte e soggette a IRES e IRAP. Qui i controlli fiscali assumono spesso una maggiore complessità tecnico-contabile e, per le aziende più grandi, possono coinvolgere anche aspetti di fiscalità internazionale. Le società di capitali rappresentano però anche i soggetti più strutturati, spesso con consulenti fiscali dedicati, per cui l’approccio dell’Agenzia deve essere puntuale e ben motivato.

Principali ambiti di controllo sulle società di capitali:

  • Controllo del bilancio e delle scritture contabili: l’accertamento tipico su una Srl consiste nel vagliare alcuni costi di bilancio (es. spese di rappresentanza, consulenze, ammortamenti, compensi amministratori) per verificarne la deducibilità e la congruità. Molto comune è il rilievo di costi ritenuti indebitamente dedotti perché reputati estranei all’attività o non documentati. Esempio: una SRL scarica costi per un’auto di lusso teoricamente intestata all’azienda ma usata dall’amministratore per fini personali – l’Agenzia potrebbe limitare la deduzione di quel costo. Oppure contestazione di operazioni inesistenti (fatture false) se l’azienda ha registrato fatture da fornitori risultate inesistenti (frodi carosello, etc.).
  • IVA e frodi carosello: le società sono spesso parte di filiere IVA complesse. L’Agenzia (e la GdF) vigilano sulle frodi IVA: ad esempio triangolazioni fittizie con l’estero, utilizzo di società cartiere per abbattere l’IVA. Una S.p.A. che effettua grandi acquisti intracomunitari potrebbe essere controllata per assicurare che l’IVA sia correttamente assolta (Inversione contabile). Se emergono frode (esempio classico: azienda che ha comprato beni hi-tech a prezzi stracciati da una cartiera che poi non versa IVA), il Fisco recupera l’IVA detratta e segnala penalmente.
  • Transfer pricing (prezzi di trasferimento): per le società di capitali appartenenti a gruppi multinazionali, un tema cruciale è la valorizzazione delle transazioni infragruppo. L’Agenzia ha squadre speciali (uffici grandi contribuenti) che controllano che i prezzi praticati tra consociate (per beni, servizi, finanziamenti) rispettino il valore normale di mercato. In caso contrario, possono rettificare gli imponibili (tipicamente spostando reddito tassabile in Italia se i prezzi erano manipolati per spostare utile altrove). A tal riguardo rilevano i documenti sui transfer pricing che le aziende devono predisporre (Masterfile e Documentazione Nazionale): se non conformi, scattano sanzioni e rettifiche.
  • Operazioni straordinarie: fusioni, scissioni, conferimenti possono essere usate a fini elusivi. L’Agenzia controlla operazioni come la trasformazione di società da di capitali a società semplice (per usufruire di regimi diversi), le cessioni di partecipazioni con applicazione di PEX, le liquidazioni volontarie con distribuzione di riserve, ecc. Esiste anche l’abuso del diritto: se un’operazione è formalmente lecita ma fatta al solo scopo di risparmio fiscale senza sostanza economica, l’Agenzia può disconoscerne gli effetti (art. 10-bis L.212/2000) – questo viene valutato molto per società di capitali.
  • Società in perdita sistemica: in passato c’erano norme anti-perdite sistematiche (le società “di comodo”). Oggi esiste un concetto di società non operative: l’Agenzia monitora quelle che dichiarano per più anni ricavi bassissimi rispetto alle attività possedute (es. immobili) – tali società sono tassate con un reddito minimo presunto. Ci sono controlli dedicati per le società di comodo (ad esempio, notifiche di accertamenti per recuperare un minimo di reddito).
  • Ritenute e lavoro dipendente: le società di capitali con dipendenti e collaboratori vengono controllate anche come sostituti d’imposta. Possono esserci verifiche su omesse ritenute IRPEF, omessi versamenti di ritenute previdenziali, errata applicazione di agevolazioni contributive. La Guardia di Finanza spesso durante le verifiche controlla anche la parte contributiva (in collaborazione con INPS).
  • Contributi e incentivi: se la società ha usufruito di crediti d’imposta (per es. credito R&S, credito Sud, bonus investimenti) o incentivi pubblici, possono esservi controlli congiunti Agenzia/Mise/Gdf per verificare che ne avesse diritto (ad esempio molto attuale il credito ricerca & sviluppo: migliaia di aziende sono sotto verifica per crediti R&S indebitamente fruiti, con recupero dell’imposta e sanzioni).
  • Grandi contribuenti e cooperative compliance: le aziende di grandi dimensioni (fatturato sopra certe soglie, ora gradualmente in calo: 750 mln € dal 2024, 500 mln dal 2026, 100 mln dal 2028) possono aderire al regime di adempimento collaborativo (cooperative compliance). Quelle dentro questo regime subiscono meno verifiche tradizionali: al contrario, instaurano un dialogo costante con un team dedicato dell’Agenzia, segnalando preventivamente operazioni a rischio ed evitando il contenzioso a posteriori. Dal punto di vista dei controlli, dunque, i grandi gruppi in cooperative compliance non ricevono avvisi di accertamento classici se tutto va come previsto, ma risolvono le questioni in via cooperativa. Viceversa, le società grandi non in compliance sono soggette a controlli complessi e approfonditi (il controllo può durare anche anni, con ispezioni ripetute e scambio di documenti, data la mole).
  • Fallimenti e procedure concorsuali: un’altra area di attenzione sono le società di capitali che falliscono o chiudono lasciando debiti fiscali. L’Agenzia partecipa al passivo ma fa anche controlli ad hoc su operazioni distrattive prima del fallimento (es. cessione di beni a soci a prezzi irrisori) per recuperare base imponibile. Inoltre, in presenza di reati fallimentari, collabora con la magistratura per quantificare l’evasione eventualmente connessa.

In sintesi, le società di capitali possono aspettarsi un livello di controllo proporzionato alla loro dimensione: per una piccola SRL familiare i controlli saranno simili a quelli di una ditta individuale (focus su ricavi e costi fittizi), per una media impresa anche tematiche IVA internazionale, per una grande azienda audit sul transfer pricing e schemi elusivi sofisticati.

Una menzione particolare meritano le imprese a ristretta base (tipicamente SRL a conduzione familiare): qui l’Agenzia è molto attenta alle possibili commistioni tra società e soci. Esempio: prelievi di denaro sociale da parte dei soci senza giustificazione (che possono essere riqualificati come dividendi occulti o compensi amministratore non tassati); utilizzo personale di beni sociali (auto, appartamenti) poi sanzionato come fringe benefit non dichiarato; cessione di beni tra socio e società a valori non di mercato (potenziale distribuzione dissimulata). Spesso gli accertamenti su queste società di capitali hanno un doppio binario: ripresa a tassazione in capo alla società per costi indebiti e contestuale tassazione in capo al socio per l’utilità ricevuta.

Enti Non Commerciali e altri soggetti

Anche se non espressamente richiesti dalla domanda, per completezza citiamo brevemente:

  • Gli enti non commerciali (associazioni, fondazioni) possono essere controllati per verificare che non svolgano attività commerciale in misura prevalente non dichiarata. Ad esempio, circoli sportivi dilettantistici che in realtà operano come palestre aperte a tutti, abusando delle agevolazioni: il Fisco può riqualificarli come imprese e tassarli.
  • Le ONLUS/ETS (terzo settore) hanno regole proprie e l’Agenzia controlla l’effettivo rispetto dei requisiti statutari e operativi per godere delle esenzioni.
  • Il settore agricolo (imprenditori agricoli, società agricole) ha regimi speciali: l’Agenzia verifica spesso la spettanza del regime agricolo agevolato (volume affari nei limiti, prevalenza attività agricole su altre).
  • Comuni e Pubbliche amministrazioni: anche se raramente vengono “controllati” in senso tradizionale (non evadono volontariamente), l’Agenzia può fare rilievi su errate applicazioni di ritenute o IVA split payment, ma è un discorso diverso.

Dopo aver esaminato come e chi il Fisco controlla, passiamo ora a illustrare gli strumenti a disposizione del contribuente per difendersi e regolarizzare la propria posizione, e successivamente alle tabelle riassuntive e alle FAQ.

Tabelle Riepilogative dei Tipi di Controllo

Di seguito presentiamo delle tabelle riassuntive che sintetizzano, per ciascuna tipologia principale di controllo fiscale, i seguenti aspetti chiave: chi sono i soggetti coinvolti, cosa viene controllato, quali sanzioni o conseguenze possono derivarne e come può difendersi il contribuente. Queste tabelle fungono da quadro d’insieme rapido, complementare alla trattazione discorsiva fatta finora.

Tipo di ControlloSoggetti CoinvoltiOggetto del ControlloEsito e SanzioniStrumenti di Difesa
Controllo automatizzato(art. 36-bis DPR 600/73, art. 54-bis DPR 633/72)Tutti i contribuenti che presentano dichiarazione dei redditi (modello Redditi, 730) o IVA.– Corretta liquidazione delle imposte dichiarate.– Riscontro versamenti effettuati (acconti, saldi) e importi a credito.– Confronto con banche dati: certificazioni uniche, mutui, oneri detraibili comunicati da terzi, ecc.Avviso bonario (comunicazione di irregolarità) se emergono errori di calcolo o imposte non versate.– Sanzione ridotta al 10% (ordinariamente) sulle imposte non versate se si paga entro 30 gg.– Trascorsi 30 gg senza riscontro: iscrizione a ruolo e cartella di pagamento con sanzione piena 30%.– Pagamento entro 30 gg con sanzione ridotta (anche rateizzabile fino a 20 rate).– Segnalazione all’ufficio di eventuali errori del controllo (esibendo ricevute di versamento, correzione di codice tributo errato, ecc.) per annullamento totale/parziale.– Richiesta di scomputo in autotutela di versamenti già effettuati non riconosciuti dal sistema.
Controllo formale(art. 36-ter DPR 600/73)Contribuenti persone fisiche (o anche società di persone) la cui dichiarazione è selezionata per verifica documentale. In genere focus su oneri dedotti/detratti, crediti d’imposta, redditi esteri, ecc.Documentazione a supporto dei dati dichiarati (scontrini, fatture, ricevute spese mediche, interessi mutuo, ecc.).– Confronto con dati di terzi (dichiarazioni sostituti d’imposta, comunicazioni banche, assicurazioni, etc.).– Verifica correttezza formale delle detrazioni/deduzioni e crediti.– Richiesta al contribuente di esibire documenti e chiarimenti entro un termine.– Emissione di avviso bonario con maggior imposta se risultano oneri non spettanti o redditi non dichiarati.– Sanzione 20% sulle imposte relative alle quote disconosciute (ridotta a 2/3 se pagata avviso bonario, quindi ~13%)– Se mancata risposta, possibile sanzione per omessa collaborazione (da €258 a €2.065) e preclusione utilizzo tardivo dei documenti.Invio tempestivo dei documenti richiesti o consegna agli sportelli.– Se errori formali riscontrati, possibilità di ravvedimento operoso immediato prima dell’avviso (pagando spontaneamente il dovuto con sanzioni ridotte).– In sede di risposta, invio di memoria giustificativa se i dati contestati hanno spiegazione (es: onere detratto presente ma intestato al coniuge: fornire evidenza che spettava).– In caso di esito con imposta dovuta: pagamento entro 30 gg con sanzione ridotta al 20% (o definizione agevolata se prevista da norme speciali).
Verifica fiscale in sede (Accesso, Ispezione, Verifica)(art. 52 DPR 633/72; art. 33 DPR 600/73; L. 212/2000 art.12)Imprese (ditte individuali, società) e lavoratori autonomi presso i locali dell’attività. Possibile anche presso abitazioni se autorizzati. Effettuata da funzionari AE o GdF.Esame contabilità completa: libri contabili, registri IVA, fatture, documenti di trasporto, ecc.– Controllo beni fisici: magazzino, attrezzature, cassa contanti, presenza di lavoratori.– Ricerche di documenti non contabilizzati (es. doppie fatture, appunti vendite parallele).– Riscontri incrociati su produzione, acquisti vs vendite (coerenza).– Redazione Processo Verbale di Constatazione (PVC) con esito della verifica (violazioni riscontrate) consegnato al contribuente.– Possibile contestazione di reati tributari gravi (es. frode) con denuncia penale a parte.– Dopo 60 gg (salvo urgenza) emissione Avviso di Accertamento con recupero imposte evase, sanzioni amministrative (dal 90% al 180% dell’imposta evasa per infedele dichiarazione, maggiorate se frode) e interessi.– Se riscontrate irregolarità formali: sanzioni minori fisse (es. mancata tenuta registro, €1.000).– Se mancata collaborazione (documenti occultati): possibili sanzioni accessorie (inibizione uso documenti in giudizio, ricorso a metodo induttivo puro).– Durante verifica: diritto di farsi assistere da un professionista, far mettere a verbale osservazioni, richiedere copia atti.– Statuto Contribuente: far valere il rispetto dei 30 gg di permanenza massimi (se violati, lamentarne l’eccesso), e il diritto al contraddittorio (60 gg per memorie dopo PVC).– Presentare osservazioni scritte entro 60 gg dal PVC per chiarire elementi equivoci o segnalare errori dei verificatori (l’ufficio deve valutarle).– In sede di accertamento: possibilità di adesione (accordo) con riduzione sanzioni a 1/3, oppure prepararsi al ricorso. Se violati diritti (es. avviso emesso prima 60 gg senza urgenza) eccepire nullità dell’atto.
Accertamento Analitico o Analitico-Induttivo(art. 39 c.1 DPR 600/73)Imprese e lavoratori autonomi con contabilità regolare ma con elementi di reddito non dichiarati o costi indebiti.Rettifica di singoli componenti di reddito: ricavi non contabilizzati individuati, costi non documentati/elusivi.– Uso di presunzioni semplici per integrare le risultanze contabili (es. coefficienti tecnici, consumi carburante vs km percorsi per autotrasportatore, etc.).– Emissione di Avviso di Accertamento motivato sui singoli rilievi (es: “recuperati €X di ricavi non dichiarati”, “indebita deduzione spese auto €Y”).– Sanzione per infedele dichiarazione del 90% (minimo) dell’imposta evasa accertata, aumentabile in base alla gravità (fino al 180%). Riduzioni possibili se definito con adesione (sanzioni ridotte 1/3) o acquiescenza (rid. 1/3).– Termine di notifica: entro 31/12 del 5° anno successivo (4° anno per IVA) salvo raddoppi in caso reato (regime fino al 2015) o omessa dichiarazione (termine 7 anni). Dal 2025 per periodi successivi, 4 anni (vedi oltre).Contraddittorio preventivo: dal 2020 obbligatorio invito a comparire prima dell’accertamento (tranne casi esclusi). Presentarsi e fornire spiegazioni, documenti mancanti, cercare di ridurre i rilievi.– In sede di accertamento: valutare accertamento con adesione (presentare istanza entro 30 gg) per negoziare importi e sanzioni.– Se adesione non fattibile, proporre ricorso in Commissione Tributaria entro 60 gg, eventualmente chiedendo CTU contabile se serve per contestare quantificazioni.– Usufruire di ravvedimento operoso prima che l’accertamento sia notificato: se si è consapevoli di errori, ravvedersi riduce molto le sanzioni e spesso blocca l’emissione dell’atto.
Accertamento Induttivo “puro”(art. 39 c.2 DPR 600/73; art. 54 DPR 633/72)Imprese (o autonomi) con omessa dichiarazione, contabilità inattendibile o grave irregolarità (es. libri non esibiti, doppie scritture).Ricostruzione globale del reddito d’impresa con metodi induttivi: utilizzo dati esterni (movimenti bancari, consumi di materie prime, indicatori settore, indagini GdF).– Presunzione che ricavi = uscite non giustificate + incremento patrimoni, etc.Avviso di Accertamento che determina il reddito presunto complessivo (spiegando criteri: es. applicato ricarico medio 150% su acquisti dichiarati).– Sanzioni più elevate se omessa dichiarazione (120% – 240% dell’imposta dovuta) o comunque infedele grave. Possibili anche sanzioni penali se l’imposta evasa > €150k o ricavi non dichiarati > €2 mln (reato di dichiarazione infedele o omessa dichiarazione).– Termine notifica: 31/12 del 7° anno successivo se dichiarazione omessa (es. periodo d’imposta 2020, entro fine 2027).– Anche qui, diritto a contraddittorio: benché la contabilità sia inattendibile, il contribuente può portare elementi (es. giustificare parte dei versamenti bancari come redditi esenti o prestiti, segnalare errori fatti dai verificatori nel calcolo presuntivo).– Adesione consigliata: con gravi irregolarità, trovare un accordo può ridurre sensibilmente sanzioni e evitare il penale (pagamento entro termini può estinguere reato di omessa dichiarazione se fatto prima del dibattimento).– In giudizio: contestare la ragionevolezza delle presunzioni usate dall’ufficio, eventualmente tramite perizie di parte (es. dimostrare che il ricarico medio applicato è eccessivo per caratteristiche azienda).– Ravvedimento operoso: se possibile (es. prima di accesso GdF), presentare dichiarazione tardiva spontanea con pagamento imposte riduce rischi.
Accertamento Sintetico (nuovo “evasometro”)(art. 38 DPR 600/73, come modificato dal D.lgs. 108/2024)Persone fisiche (no IVA) residenti con significativa sproporzione tra reddito dichiarato e spese sostenute/ricchezza accumulata.Analisi del tenore di vita: spese certe (es. acquisto immobili, auto, barche), investimenti, incrementi patrimoniali, spese correnti stimate.– Verifica se reddito dichiarato + eventuali entrate esenti/finanziamenti copre tali uscite.– Emissione di Invito al contraddittorio obbligatorio (sempre previsto per accertamento sintetico) per chiedere spiegazioni e documentazione al contribuente sulle spese anomale.– Se il contraddittorio non giustifica lo scostamento: Avviso di Accertamento sintetico con determinazione di un reddito complessivo maggiore (pari alla spesa-media individuata), per ciascun anno oggetto (di solito 1 o 2 annualità).– Limiti: scostamento >20% e >€70.000 deve sussistere per almeno due anni consecutivi (come da versione previgente, salvo modifiche).– Sanzione 90%-180% su maggior imposta IRPEF + addizionali evasa.Contraddittorio endoprocedimentale fondamentale: il contribuente deve presentare in sede di invito tutte le prove liberatorie: es. le spese contestate sono state finanziate con utilizzo di risparmi accumulati in anni precedenti (esibire estratti conto degli anni passati), oppure con donazioni o vincite esenti, ecc. . Questi elementi, se credibili e documentati, devono essere accolti e riducono o annullano la pretesa.– Valutare adesione se comunque residua una quota di reddito non giustificato (per ridurre sanzioni e trovare un accordo sulla cifra accertata).– In ricorso: contestare eventuali voci di spesa attribuite erroneamente (es. intestate ma sostenute da terzi), far valere eventuali errori di calcolo, e insistere sulle prove fornite (il giudice valuterà ex novo se le giustificazioni erano valide).– Chiedere eventualmente CTU contabile per ricostruire flussi finanziari familiari se complessi.
Accertamento Parziale(art. 41-bis DPR 600/73)Qualsiasi contribuente (PF o impresa) quando l’ufficio possiede elementi certi e specifici su un reddito non dichiarato.– Elemento mirato, ad es.: reddito di fonte estera non dichiarato segnalato da altra autorità; vendita di immobile non dichiarata; fattura falsa specifica scoperta; redditi da lavoro dipendente non dichiarati.Avviso di accertamento parziale per la singola questione, notificabile anche senza previa instaurazione contraddittorio (norma lo esclude).– Termine: lo stesso degli ordinari (5 anni dopo, o 7 se omessa dichiarazione) ma può essere emesso subito anche a ridosso (es. già nel 2° anno successivo alla dichiarazione).– Non preclude ulteriori accertamenti per altri elementi sul medesimo periodo d’imposta. Sanzioni come da natura dell’imposta evasa (infedele 90-180% ecc.).– Anche se la norma esclude l’obbligo di invito al contraddittorio, il contribuente può sempre presentare istanza di adesione per discutere la pretesa.– In ricorso: le difese si concentrano sullo specifico elemento (es. provare che il reddito estero era già tassato o esente, o che la vendita immobile non generava plusvalenza imponibile).– Fare attenzione: se si riceve un parziale, valutare se ci sono altre irregolarità su quell’anno e ravvedersi per quelle prima che arrivino altri accertamenti.
Indagini Finanziarie(art. 32 DPR 600/73) (strumento istruttorio, può portare a vari tipi di accertamento)Qualsiasi contribuente (PF o società). Usate soprattutto per imprese e autonomi; per privati in caso di redditometro o sospetto evasione rilevante.Movimenti su conti correnti bancari/postali, depositi, titoli, carte di credito: verifica entrate e uscite non compatibili coi dati fiscali dichiarati.– Saldo di c/c e incrementi patrimoniali: verifica se disponibilità finanziarie accumulate trovano giustificazione nei redditi dichiarati.– Se emergono versamenti non giustificati: presunzione redditi non dichiarati (per imprese e autonomi, imputabili a ricavi; per privati, a redditi diversi).– Se emergono prelevamenti non giustificati: per imprese si presumono acquisti in nero (prodromici a vendite in nero); per professionisti, dopo sentenze Corte Cost., non più presunti compensi ma indizio da valutare caso per caso.– I risultati confluiscono in accertamento (analitico o induttivo a seconda gravità). Sanzioni: infedele dichiarazione o omessa (come detto sopra), proporzionate all’imposta evasa. Possibile profilo penale (dichiarazione infedele se imposta evasa >€150k).Durante indagine: il contribuente viene invitato a fornire giustificazione per ogni movimento anomalo individuato. È cruciale rispondere in modo dettagliato e documentato: es. “versamento X su conto derivante da restituzione prestito da Tizio, ecco scrittura privata”; “prelievo Y servito per pagare spese mediche in contanti, ecco le fatture”. Senza spiegazioni, l’ufficio presumerà evasione.– Anche qui si applica l’art. 32: la mancata risposta alle richieste su movimenti bancari comporta l’impossibilità di far valere in seguito le relative giustificazioni. Quindi rispondere sempre.– In fase di accertamento conseguente: sollevare eventuali errori (assegni movimentati più volte, conteggi duplicati, etc.), magari tramite perito contabile di parte che ricostruisca i flussi.– Difese specifiche: dimostrare che certi versamenti sono redditi esenti (donazioni, vincite, indennità non imponibili) o già tassati alla fonte, per sottrarli dalla base presunta.
Altri controlli specificiRegistro e catastaliFrodi IVARimborsi e crediti– Acquirenti e venditori di immobili, atti notarili (per registro/ipotecaria/catastale).– Operatori IVA (frodi su carburanti, elettronica, ecc.).– Contribuenti che chiedono rimborsi o compensano crediti.Valore dichiarato negli atti: confronto con valori OMI di mercato, controlli su corrispettivi occultati (es. “nero” negli immobili).– Operazioni IVA intraUE o split payment: verifica documentazione di supporto (CMR, elenchi INTRASTAT) per evitare frodi carosello.– Crediti imposta: controllo documentale su ricerca e sviluppo, bonus edilizi, ecc.– Accertamento valore immobili: liquidazione imposta su valore maggiore se conclamata sottofatturazione (prima su base OMI non era sufficiente, ora servono elementi probatori). Sanzioni 90% imposta di registro evasa.– Frodi IVA: rilievi penali e amministrativi, sanzioni 135%–270% dell’IVA evasa, con responsabilità solidale talvolta su cessionari (reverse charge fittizi ecc.).– Crediti: diniego di accredito del rimborso e atto di recupero del credito indebito, con sanzione 100% del credito inesistente (o 30% se non spettante ma reale).– Immobili: il contribuente può difendersi mostrando che il prezzo dichiarato è congruo (perizia), oppure aderire alla definizione agevolata (spesso escono sanatorie per questi casi).– Frodi IVA: collaborazione con autorità, adesione (può abbattere sanzioni). In giudizio, eccepire eventuale buona fede se cessionario inconsapevole (per non perdere detrazione IVA).– Crediti: fornire tutta la documentazione tecnica a supporto del credito (es. per R&S, per bonus facciate), eventualmente integrare se mancante. Se l’ufficio ha già emesso il recupero, valutare ricorso con perizia tecnica. In alcuni casi il legislatore ha previsto sanatorie dei crediti inesistenti con pagamento ridotto (verificare normative vigenti).

(Legenda: AE = Agenzia delle Entrate; GdF = Guardia di Finanza; PVC = Processo Verbale di Constatazione; CTU = Consulenza tecnica d’ufficio; OMI = Osservatorio del Mercato Immobiliare.)

Le tabelle sopra forniscono un colpo d’occhio sulle diverse situazioni. È chiaro che ogni tipo di controllo ha le proprie peculiarità, ma alcuni principi generali di difesa valgono trasversalmente:

  • Collaborare sempre nelle fasi iniziali (rispondere ai questionari, presentarsi ai contraddittori) per chiarire posizioni equivoche e magari evitare l’atto formale.
  • Tenere una contabilità ordinata e documentazione di supporto pronta: questo non solo scoraggia l’accertatore, ma in caso di verifica facilita la difesa.
  • Conoscere i propri diritti (statuto contribuente, termini, possibilità di chiedere proroghe) e farli valere con garbo ma fermezza se vengono lesi.
  • Valutare con professionisti l’opportunità di definire bonariamente (adesione, acquiescenza) o di fare ricorso caso per caso: se l’ufficio ha torto palese conviene ricorrere, se ha ragione su sostanza ma sanzioni altissime spesso è meglio una composizione.

Nel prossimo capitolo esamineremo più in dettaglio le modalità di difesa e tutela che il contribuente può attivare, dalla fase pre-contenziosa fino al ricorso in Commissione Tributaria, e successivamente affronteremo le FAQ con esempi concreti e quesiti tipici.

Modalità di Difesa del Contribuente di fronte ai Controlli Fiscali

Subire un controllo fiscale può generare comprensibile preoccupazione, ma l’ordinamento tributario offre al contribuente una serie di strumenti di tutela e difesa in ogni fase del procedimento di accertamento. Conoscerli è fondamentale per far valere i propri diritti e, se del caso, ridurre il danno economico derivante da eventuali contestazioni.

Possiamo distinguere le difese nelle diverse fasi:

  1. Pre-accertamento: durante il controllo o appena dopo (fase amministrativa ante atto).
  2. Definizione agevolata in fase amministrativa: istituti deflativi come adesione o acquiescenza.
  3. Contenzioso tributario: il ricorso in Commissione Tributaria e fasi successive.
  4. Strumenti speciali e alternativi: autotutela, interpello preventivo, regime di adempimento collaborativo.

Analizziamoli in dettaglio.

Diritto al Contraddittorio e alla Difesa Preventiva

Uno dei principi cardine, di matrice comunitaria e nazionale, è il diritto del contribuente a essere sentito prima dell’emissione di un accertamento che incida sui suoi diritti. In ambito tributario ciò si traduce nel contraddittorio endoprocedimentale:

  • In caso di verifica in loco: al termine, come visto, viene rilasciato un PVC e per legge il contribuente ha 60 giorni per presentare osservazioni. Sfruttare bene questa finestra è cruciale: eventuali memorie difensive presentate in questo frangente potrebbero convincere l’ufficio a non emettere l’atto o a ridimensionarlo. Ad esempio, se nel PVC la GdF contesta ricavi non dichiarati basandosi su certi documenti, il contribuente nei 60 giorni può trovarne altri o spiegare travisamenti (magari allegando documenti che in verifica non erano stati trovati) e chiedere che l’accertamento non venga emesso o sia depurato dei rilievi infondati.
  • In caso di accertamento “a tavolino” (senza verifica esterna): qui interviene l’invito al contraddittorio disciplinato dall’art. 5-ter D.Lgs. 218/1997 (introdotto nel 2019). Dal 1° luglio 2020, per la generalità degli avvisi di accertamento in materia di imposte sui redditi e IVA, l’ufficio deve notificare un invito a comparire al contribuente per instaurare il contraddittorio, pena l’invalidità dell’atto successivo se il contribuente prova che la mancata attivazione gli ha impedito di far valere elementi a suo favore. Fanno eccezione solo pochi casi (accertamenti parziali ex art. 41-bis, casi di particolare urgenza come imminente decadenza, o se c’è già stato contraddittorio per altra via, es. a seguito di PVC). All’invito è allegata una proposta di adesione con la quantificazione della pretesa. Il contribuente può decidere se presentarsi o meno, ma è fortemente consigliato partecipare. Nel contraddittorio orale (spesso poi formalizzato in un verbale) si possono:
    • Chiarire malintesi o errori nei calcoli dell’ufficio.
    • Presentare documenti non conosciuti dall’ufficio.
    • Giungere eventualmente a un accordo transattivo (a volte l’invito si conclude già con un’adesione).
    Se il contribuente non partecipa, l’ufficio può procedere comunque, ma se poi in ricorso il contribuente dimostra che avrebbe potuto portare elementi risolutivi, l’atto può essere annullato per violazione del contraddittorio. In pratica, la giurisprudenza ha reso la sanzione della nullità “condizionata” alla prova di resistenza (il contribuente deve dimostrare il pregiudizio subito).
  • Diritto di accesso agli atti: durante e dopo il controllo, il contribuente ha diritto di conoscere gli atti dell’istruttoria che lo riguardano (nei limiti di riservatezza verso terzi). Ad esempio, se l’accertamento si basa su una segnalazione GdF o su dati di terzi, può fare istanza di accesso agli atti per ottenere copia di tali documenti. Questo è importante per predisporre una difesa efficace. L’accesso può essere richiesto ai sensi della L. 241/1990 (procedimento amministrativo) una volta concluso il procedimento o anche durante se gli atti istruttori incidono. Talvolta l’Agenzia nega l’accesso prima dell’atto finale, ma dopo la notifica dell’accertamento deve fornire quanto richiesto (es. elenco movimenti bancari acquisiti, calcoli effettuati, ecc.). Ci sono sentenze che riconoscono il diritto di accesso pieno agli atti del controllo terminato, anche al fine di valutare l’opportunità di proporre istanza di accertamento con adesione o ricorso.
  • Assistenza professionale: sin dall’inizio di un controllo è opportuno farsi affiancare da un commercialista o tributarista esperto. Questi potrà interloquire tecnicamente con i verificatori, evitare affermazioni fraintendibili, e successivamente predisporre memorie e difese calibrate. Il professionista può anche partecipare in vece del contribuente agli incontri in ufficio. La presenza di un consulente trasmette anche all’ufficio il segnale che il contribuente conosce i propri diritti e doveri, inducendo spesso un atteggiamento più rigoroso e rispettoso delle procedure da parte dei verificatori.

Regolarizzazione Spontanea: Ravvedimento Operoso e Compliance Volontaria

Un contribuente che si accorge di aver commesso errori od omissioni fiscali può, prima che il fisco glieli contesti formalmente, rimediare tramite il ravvedimento operoso (art. 13 D.Lgs. 472/1997). Il ravvedimento consente di pagare il dovuto con sanzioni ridotte proporzionalmente alla tempestività:

  • Ravvedimento entro 30 giorni dalla scadenza: sanzione ridotta a 1/10 (ad es. omesso versamento sanzione 3% invece di 30%).
  • Entro 90 giorni: 1/9 del minimo.
  • Entro l’anno (o dichiarazione): 1/8.
  • Entro 2 anni: 1/7.
  • Oltre 2 anni: 1/6.
  • Dopo PVC (ma prima notifica accertamento): 1/5 (introdotto dal 2015).
  • Dopo notifica lettera di compliance ma prima accertamento: possibilità di definire con sanzione 20% o 30% a seconda dei casi.

L’importante è che il ravvedimento non è ammesso se la violazione è già stata constatata (es. verifica in corso con contestazione verbalizzata) o se sono iniziati accessi, ispezioni e verifiche o altre attività di accertamento formale a conoscenza del contribuente. In sostanza, bisogna ravvedersi prima di “essere presi”.

Tuttavia, grazie alle evoluzioni normative, il confine si è spostato: oggi è ammesso ravvedersi anche dopo aver ricevuto un avviso bonario (pagando sanzione ridotta del 20% se nei 30 gg) o persino dopo un PVC (con riduzione a 1/5). Ad esempio, la Circolare AE 17/E 2016 ha chiarito che dopo un PVC è ancora possibile versare spontaneamente quanto constatato con riduzione sanzioni ad 1/5 (il c.d. ravvedimento “operoso” in extremis), il che può essere utile per evitare il successivo formale avviso (che comunque l’ufficio potrebbe non emettere a quel punto).

Inoltre, l’Agenzia adotta pratiche di compliance preventiva: invia cioè lettere di compliance (fuori dai casi di 36-bis/ter) segnalando anomalie emerse dalle banche dati e invitando il contribuente a correggere spontaneamente la dichiarazione. Ad esempio, una lettera può segnalare: “Abbiamo rilevato che hai percepito redditi esteri da fonte X non indicati in dichiarazione; se ritieni, presenta una dichiarazione integrativa”. Se il contribuente recepisce e integra, paga sanzioni ridotte (ravvedimento) ed evita l’accertamento. Nel 2024, come detto, l’Agenzia ha inviato 3,2 milioni di comunicazioni di compliance, su svariate materie (dai bonifici per ristrutturazioni non trovati in 730, a incongruenze IVA, a anomalie ISA, ecc.).

Chi riceve una lettera di compliance dovrebbe reagire subito: verificare l’anomalia segnalata e, se fondata, correggere con ravvedimento (la lettera di solito spiega come fare). Se ritenuta infondata, può contattare l’ufficio per chiarire prima che scatti l’accertamento.

Accertamento con Adesione

Una volta notificato un avviso di accertamento (o anche prima, in seguito a un PVC, tramite invito al contraddittorio ex art. 5-ter), il contribuente ha la facoltà di attivare la procedura di accertamento con adesione (D.Lgs. 218/1997):

  • Se l’accertamento è già notificato, il contribuente entro 30 giorni dalla notifica può presentare istanza di adesione. Ciò sospende anche il termine per il ricorso per 90 giorni.
  • L’ufficio lo convocherà per un incontro (uno o più) di discussione. In tale sede si può arrivare a un “accordo” tra le parti sulla quantificazione del maggior imponibile e delle sanzioni.
  • Se si trova l’accordo, viene redatto un atto di adesione con le nuove somme dovute. Il contribuente firma e nelle 48 ore paga almeno un terzo (o tutto) e il resto rateizzabile in max 8 rate trimestrali (o 16 se importi alti). Le sanzioni sono automaticamente ridotte a 1/3 del minimo previsto (quindi se inizialmente 100%, diventano ~33%).
  • L’adesione chiude la partita per quella annualità e materia, salvo sopraggiunta scoperta di elementi ignoti più gravi (rarissimo).
  • Se non si raggiunge accordo, dopo 90 giorni si torna allo scenario ordinario e il contribuente avrà ulteriori 30 giorni per ricorrere (i 90 sospendono il termine del ricorso).

L’accertamento con adesione è molto vantaggioso quando ci sono margini di trattativa sui numeri. Ad esempio, l’ufficio contesta ricavi non dichiarati per 100. Il contribuente ritiene che alcuni di quei ricavi in realtà fossero minori per varie ragioni: in sede di adesione può “patteggiare” magari su 60, evitando il rischio di doverli far valere in giudizio incerto. L’ufficio rinuncia a un pezzo ma risparmia tempo e sforzi di contenzioso. Inoltre, la sanzione ridotta incentiva: anche se si concorda 100, si paga il 30% di sanzione anziché 100%, quindi conviene rispetto al proseguire litigio e poi perdere in giudizio.

Non tutte le situazioni si prestano all’adesione: se la questione è giuridica (es. si contesta l’interpretazione di una norma), spesso l’ufficio ha poca discrezionalità. L’adesione è più efficace sui profili quantitativi.

Va ricordato che l’adesione è possibile anche sul PVC prima che esca l’accertamento (cd. adesione “ante avviso”): in tal caso l’interessato entro 30 gg dal PVC può chiedere adesione su PVC. L’ufficio discute e se si firma l’accordo, non emetterà affatto l’avviso. Ciò permette di ottenere sanzioni ridotte ancor prima e chiudere velocemente.

Se durante la trattativa l’accordo pare vicino, ma serve più tempo magari per reperire documenti, il contribuente può chiedere un aggiornamento o un rinvio entro i 90 gg. L’importante è concludere entro 90+ further 30 (massimo 120 gg dalla notifica atto, salvo sospensioni da Covid o altre cause).

Acquiescenza e Riduzione delle Sanzioni

Se il contribuente ritiene fondato l’accertamento (in tutto o in parte) e vuole chiudere subito evitando contenzioso, può optare per l’acquiescenza: pagando entro 60 giorni dalla notifica tutte le somme dovute (imposte, interessi) beneficia di una riduzione delle sanzioni ad 1/3 di quelle irrogate (o minime di legge).

Ad esempio, l’accertamento impone €10.000 di imposte e €9.000 di sanzioni (90%). Se il contribuente fa acquiescenza, paga i €10.000 + interessi + €3.000 (sanzioni ridotte a 30%). Questo è spesso conveniente se non c’è discussione sui calcoli. Attenzione: l’acquiescenza impedisce successivi ricorsi (è come accettare l’atto), quindi va ponderata solo quando si è certi di non avere valide difese.

Un caso di uso: accertamento su omessa dichiarazione con imposta evasa non enorme. L’acquiescenza riduce fortemente la sanzione (che sarebbe 120%) a 40%. Inoltre, se l’acquiescenza avviene prima dell’eventuale processo penale e si paga tutto, ciò estingue il reato di omessa dichiarazione (art. 13 D.Lgs. 74/2000).

Ricorso in Commissione Tributaria e Processo

Se non si definisce in via amministrativa, il contribuente può presentare ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale (dal 2023 rinominata “Corte di Giustizia Tributaria di primo grado”) entro 60 giorni dalla notifica dell’atto (accertamento, cartella, provvedimento). Dal 2024 è stato abolito il reclamo/mediazione obbligatorio per le liti fino a €50.000, quindi ora tutte le controversie vanno direttamente in giudizio (per quelle sotto €3.000 c’è giudice monocratico).

Al momento del ricorso, il contribuente può:

  • Chiedere la sospensione dell’atto se vi è pericolo di danno grave (l’esecuzione dell’atto è sospesa se il giudice accorda la sospensione).
  • Discutere nel merito contestando vizi formali (es. notifica invalida, difetto di motivazione, violazioni procedurali come contraddittorio non attivato) e vizi sostanziali (errata applicazione della legge, calcoli sbagliati, infondatezza delle presunzioni, ecc.).

Il processo tributario è prevalentemente scritto, ma dal 2023 è ammessa la testimonianza scritta (novità riforma giustizia tributaria) e si può ricorrere a consulenza tecnica (CTU) in casi complessi. In primo grado e appello (Corte Giust. Trib. secondo grado) le parti possono difendersi con memoria e documenti. In Cassazione solo su legittimità.

Le strategie difensive variano:

  • Vizi formali (spesso efficaci se presenti, es: nullità per difetto contraddittorio, tardività notifica – attenzione alle sospensioni Covid o altre –, nullità delega firma, ecc.).
  • Nel merito, la difesa può consistere nel portare prova contraria alle presunzioni del fisco, spesso con documenti o perizie: ad esempio presentare analisi economiche per dimostrare che il margine usato dall’ufficio è inapplicabile al proprio caso particolare.
  • Testimoni: in tributario la testimonianza è stata a lungo vietata, ora la legge 130/2022 consente dichiarazioni giurate rese extra-giudizialmente (atte a confermare ad esempio che certe somme sul conto erano prestiti da familiari – il familiare può renderne dichiarazione asseverata).
  • Patteggiamento in giudizio: fino al 2022 c’era l’istituto della conciliazione giudiziale, poco usato. Dal 2023 abolito reclamo, rimane la conciliazione, ma con la fine mediazione, vedremo come evolverà. In ogni caso, anche in giudizio si può trovare un accordo transattivo col fisco (con riduzione sanzioni a 1/3 in primo grado, 1/2 in appello).

Ricordiamo che la presentazione del ricorso richiede il pagamento di 1/3 delle imposte accertate (per atti dal 2012 in poi) entro 60 gg, a titolo provvisorio, salvo sospensione. In caso di esito sfavorevole in primo grado, per l’appello bisogna pagare un ulteriore 2/3 (così in totale 100% se si perde in primo grado). Queste regole fanno sì che spesso convenga trovare soluzioni prima, perché il contenzioso può avere impatto di cassa rilevante immediato.

Se il contribuente vince in giudizio, ha diritto al rimborso di quanto eventualmente versato in eccedenza e, in certi casi, a un indennizzo per spese di giudizio (di solito modesto, a meno di temerarietà del fisco). Se invece perde definitivamente, dovrà pagare il residuo, maggiorato di interessi e spese.

Autotutela Amministrativa

L’autotutela è il potere-dovere dell’amministrazione di correggere i propri atti quando riconosce che sono errati o illegittimi, anche fuori dai casi di contenzioso. Il contribuente può presentare in qualsiasi momento (prima, durante o dopo un ricorso) una istanza di autotutela all’ufficio che ha emesso l’atto, evidenziando gli errori e chiedendone l’annullamento o la rettifica.

Esempi classici in cui l’autotutela è efficace:

  • Errori di persona (atto intestato a soggetto sbagliato).
  • Doppia imposizione evidente (due avvisi per la stessa cosa).
  • Calcolo palesemente errato o pagamento già eseguito in precedenza.
  • Sussistenza di documenti non considerati dall’ufficio che provano l’inesistenza del debito.

L’istanza di autotutela non sospende i termini di ricorso né quelli di pagamento. Dunque va usata con attenzione: se l’errore è palese, l’ufficio spesso annulla subito (soprattutto in caso di “errore materiale”), ma se l’ufficio non risponde in tempo, il contribuente rischia di decadere dai termini di ricorso. Quindi conviene comunque presentare ricorso per sicurezza, segnalando magari che è stata chiesta anche autotutela.

Non esiste un vero diritto soggettivo all’autotutela: se l’ufficio la nega, non è autonomamente impugnabile (fa eccezione la materia catastale). Va considerata come “cortesia amministrativa” nell’interesse pubblico alla legalità.

Tuttavia, quando l’errore è lampante, spesso l’autotutela risolve più rapidamente ed economicamente di un ricorso. Ad esempio, contribuente riceve cartella per omesso versamento ma ha la quietanza: presentando quella, l’ufficio annulla in autotutela l’iscrizione a ruolo.

Interpello e Tutoraggio (Prevenzione)

Un discorso a parte merita l’interpello: non è uno strumento di difesa post-controllo, ma di prevenzione. Il contribuente che abbia dubbi sull’interpretazione di una norma o sulla qualificazione fiscale di una fattispecie può proporre interpello all’Agenzia (artt. 11-12 L.212/2000). Se l’Agenzia risponde, la sua risposta vincola l’amministrazione sul caso concreto: quindi se il contribuente si attiene alla risposta, non potrà essere sanzionato né subire pretese diverse. Ad esempio, un’azienda che ha un’operazione particolare può chiedere in anticipo il parere se configura abuso del diritto.

Esistono vari tipi di interpello: ordinario, probatorio, anti-abuso, disapplicativo. Tutti hanno l’effetto di dare certezza preventiva. Questo riduce la necessità di difendersi dopo, perché il Fisco ha già espresso il suo avallo (o diniego motivato) prima.

Infine, il regime di adempimento collaborativo (cooperative compliance) per grandi contribuenti è la massima espressione della difesa preventiva: l’azienda e l’Agenzia lavorano insieme, condividendo informazioni e valutazioni sui rischi fiscali in tempo reale. In questo contesto, l’azienda ottiene risposte immediate e l’Agenzia non effettua accertamenti tradizionali (salvo in caso di rottura della trust relationship). Per le imprese che ne hanno accesso (soglie di fatturato molto alte, abbassate gradualmente come visto), è una forma di “difesa” ex ante che evita quasi del tutto il contenzioso.

Novità 2023-2025 sul contenzioso tributario

Vale la pena menzionare alcune novità fresche in ambito di difesa:

  • La Riforma della Giustizia Tributaria (Legge 130/2022) ha istituito giudici tributari professionali, ammesso prove testimoniali in forma scritta, e introdotto la figura del “giudice monocratico” per le liti fino a €5.000 (prima €3.000). Ciò mira a rendere più snello e specialistico il processo. Un contribuente informato può trarne beneficio, ad esempio presentando dichiarazioni giurate di terzi a supporto, cosa prima non possibile.
  • Abolito come detto il reclamo-mediazione dal 2024 per nuovi ricorsi: questo significa meno passaggi procedurali, ma anche perdere l’opportunità di definire con sanzione 35% in quella sede. Si potrà comunque ottenere sanzioni ridotte in conciliazione.
  • In arrivo possibilità di accordi stragiudiziali anche per ruoli e cartelle: la “definizione agevolata liti” e la “conciliazione straordinaria” previste dalla Legge di Bilancio 2023 hanno dato opportunità di chiudere contenziosi pendenti con sconti su sanzioni e interessi. Il legislatore negli ultimi anni offre spesso finestre di pacificazione fiscale (rottamazioni ruoli, sanatorie liti, regolarizzazioni di errori formali, ecc.). Il contribuente può valutare di attendere o aderire a queste misure se sono più favorevoli di una causa dall’esito incerto.

In definitiva, il contribuente di fronte a un controllo deve adottare un approccio attivo: far valere le proprie ragioni nei tempi e nei modi giusti, sfruttando la collaborazione quando conviene e combattendo nelle sedi opportune quando necessario. Preparazione, consulenza esperta e tempestività sono le chiavi per limitare le conseguenze di un accertamento fiscale.

FAQ – Domande Frequenti sui Controlli Fiscali

Di seguito una serie di domande comuni che professionisti e contribuenti si pongono in relazione ai controlli dell’Agenzia delle Entrate, con risposte operative e sintetiche.

D1: Per quanti anni indietro l’Agenzia delle Entrate può controllare le mie dichiarazioni?
R: Dipende dal tipo di violazione e dalla tempestività dichiarativa. In generale, il termine di decadenza per l’accertamento è il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione (ad es., dichiarazione 2020 presentata nel 2021, accertabile fino al 31/12/2026). Se la dichiarazione non è stata presentata affatto, il termine si allunga a sette anni successivi (nel caso dell’esempio, fino al 31/12/2028). Per l’IVA, fino ai periodi d’imposta 2021 il termine è allineato a quello delle imposte dirette (5 anni se dichiarazione presentata, 7 se omessa) grazie a una riforma del 2016 che ha unificato i termini. Novità: a partire dalle dichiarazioni relative al 2025, la riforma fiscale ha previsto la riduzione di un anno dei termini: quindi 4 anni (e non più 5) per le dichiarazioni tempestive dal 2025 in avanti. In ogni caso, attenzione che eventuali atti interruttivi (PVC con constatazione di reato, richiesta informazioni a autorità estere, ecc.) o sospensioni (es. adesione) possono prorogare di qualche mese. Inoltre, fino al 2015 esisteva la regola del “raddoppio dei termini” in caso di reati tributari: oggi non c’è più in modo generalizzato, ma rimane il concetto che se la denuncia penale per reato fiscale è presentata entro il termine ordinario, l’accertamento può essere notificato oltre detto termine ma entro il raddoppio. Ad esempio, per un reato sul 2018 denunciato entro fine 2023, l’accertamento poteva arrivare fino al 2025 (questo per i periodi in cui ancora si applicava). Ormai con i nuovi termini unificati il raddoppio si usa poco. In sintesi: 5 anni di norma (presto 4 anni), 7 anni se omessa dichiarazione.

D2: Ho ricevuto una comunicazione di irregolarità (avviso bonario) su un errore nella dichiarazione: è un accertamento? Cosa succede se non pago entro 30 giorni?
R: La comunicazione di irregolarità non è un atto impositivo definitivo, ma un esito del controllo automatizzato/formale. In pratica ti informa di una differenza riscontrata (ad esempio imposta in più da versare) e ti consente di pagarla con sanzioni ridotte (10% o 20%) entro 30 giorni. Se paghi entro i 30 giorni, la pendenza è chiusa e non avrai altro (puoi anche chiedere rateazione, tipicamente fino a 8 rate se sotto 5.000 €, o 20 rate trimestrali grazie alle agevolazioni 2023). Se invece non paghi né fornisci chiarimenti, dopo 30 giorni l’Agenzia iscriverà a ruolo le somme dovute e ti verrà notificata una cartella esattoriale. A quel punto le sanzioni diventano piene (30%) e dovrai pagare anche gli oneri di riscossione. In pratica, ignorare l’avviso bonario significa perdere lo sconto sulle sanzioni ed entrare in fase di riscossione coattiva. È quindi consigliabile, se si ritiene corretto il rilievo, pagare entro i termini. Se invece pensi che la comunicazione sia sbagliata (capita, ad es. versamento non abbinato correttamente), contatta l’ufficio o usa il canale indicato nella lettera per segnalare l’errore (allegando documentazione). L’ufficio riesaminerà e in caso di errore annullerà la richiesta senza conseguenze. La comunicazione di irregolarità non è impugnabile davanti al giudice (perché non è un atto impositivo definitivo), salvo casi eccezionali di autotutela negata; di solito o si chiarisce con l’ufficio o si attende eventualmente la cartella per fare ricorso contro quella.

D3: Che differenza c’è tra un avviso bonario e un avviso di accertamento?
R: L’avviso bonario (comunicazione di irregolarità) è un atto “amichevole” che ti invita a correggere/pagare spontaneamente quanto emerso dai controlli automatizzati o formali, con sanzioni ridotte. Non è un provvedimento impugnabile in sé e non costituisce titolo esecutivo. L’avviso di accertamento, invece, è un atto formale dell’Agenzia con cui si rettifica la tua dichiarazione o si accerta un’imposta non dichiarata: ha valore di atto impositivo e (per gli accertamenti emessi dal 2018 in poi) anche di titolo esecutivo. L’avviso di accertamento indica la maggiore imposta dovuta, le sanzioni (piene) e gli interessi, e va pagato entro 60 giorni oppure impugnato in Commissione Tributaria. Dall’avviso di accertamento scaturisce, se non pagato, la cartella esattoriale (per atti fino al 2021) o direttamente l’esecuzione forzata previo affidamento all’agente della riscossione (per atti recenti “impo-esecutivi”). In breve: il bonario precede e prova a evitare l’accertamento/cartella; l’accertamento è il provvedimento vero e proprio che accerta evasione e che puoi portare in giudizio se non sei d’accordo.

D4: Ho ricevuto un invito a comparire per accertamento con adesione (o invito al contraddittorio art. 5-ter). Devo andarci? Cosa succede se non mi presento?
R: È fortemente consigliato partecipare. L’invito a comparire ti offre la possibilità di discutere con l’ufficio prima che venga emesso (o reso definitivo) un accertamento. Durante l’incontro puoi portare nuovi elementi, correggere errori, e magari ottenere uno sconto sanzioni definendo la questione. Se è un invito “ordinario” (ex art.5-ter) e non ti presenti, l’ufficio può comunque procedere dopo il termine con l’accertamento: tuttavia, in caso di contenzioso, la tua assenza potrebbe rendere più difficile lamentare vizi di contraddittorio (dovresti comunque dimostrare cosa avresti opposto). Se è un invito con proposta di adesione allegata (spesso viene inviato direttamente come pre-accertamento per aprire la via all’adesione), la mancata presentazione chiuderà la fase e probabilmente seguirà l’accertamento pieno. Invece, presentandoti, puoi:

  • Se la proposta è ragionevole, firmare l’accordo di adesione e chiudere la partita con sanzioni ridotte a 1/3.
  • Oppure negoziare su alcuni punti (puoi portare evidenze e ottenere una riduzione della pretesa).
  • In extremis, anche se non trovi accordo, avrai almeno capito nel dettaglio la posizione dell’ufficio, cosa utile per un eventuale ricorso.

Non c’è una sanzione diretta se non vai, ma perdi un’opportunità. Quindi, a meno che tu non intenda pagare tutto e basta (acquiescenza) o fare ricorso senz’altro, meglio andare all’invito accompagnato magari dal tuo consulente.

D5: Mi hanno fatto una verifica fiscale in azienda e rilasciato un Processo Verbale di Constatazione (PVC). Posso subito fare ricorso?
R: Il PVC di per sé non è impugnabile in Commissione Tributaria, perché non è un atto impositivo ma un atto endoprocedimentale (un verbale). Dovrai attendere l’eventuale notifica dell’avviso di accertamento basato su quel PVC per poter ricorrere. Nel frattempo, hai 60 giorni dall’ultimo verbale per presentare osservazioni all’ufficio (se la verifica è dell’Agenzia) o alla Gdf/ufficio (se verifica GdF). Sfrutta questo periodo: se nel PVC ci sono errori o valutazioni contestabili, invia una memoria difensiva all’indirizzo indicato (o pec di Direzione provinciale) chiedendo che ne tengano conto. Puoi anche depositare documenti che non erano stati esibiti prima. L’ufficio è tenuto a valutare queste osservazioni prima di emanare l’atto. Solo dopo, se l’accertamento arriverà e non sarai soddisfatto, potrai fare ricorso impugnando l’accertamento stesso. Un’eccezione: se il PVC riguarda sanzioni amministrative (tipo scontrini non emessi, ecc.), in alcuni casi quelle vengono irrogate separatamente con ordinanza-ingiunzione, che sarà impugnabile. Ma il PVC in sé no.

D6: Quanto tempo possono trattenersi i verificatori presso la mia azienda? Possono tornare più volte?
R: Lo Statuto del Contribuente (art. 12 c.5 L.212/2000) prevede che la permanenza dei verificatori non superi 30 giorni lavorativi (prorogabili fino a 60 in casi complessi) nell’arco di un anno presso la sede del contribuente. Per aziende più grandi (volume d’affari > 5 milioni) i termini sono doppi (60+60). “Giorni lavorativi” significa che se vengono 2 giorni a settimana per 4 settimane, contano 8 giorni. Possono frazionare le visite. Possono anche sospendere e riprendere (entro limiti). Se necessitano di più tempo, devono notificare un provvedimento di proroga motivato (casi particolari). Tuttavia, la normativa non prevede espressamente una nullità dell’atto se sforano i termini e la Cassazione ha detto che il termine è ordinatorio. Quindi, se restano 40 giorni senza proroga, tu puoi lamentarlo nelle osservazioni e anche in ricorso come comportamento scorretto, ma difficilmente otterrai l’annullamento solo per quello (a meno di dimostrare un concreto pregiudizio). Possono tornare più volte, sì, ma sempre nel rispetto di quei limiti complessivi. Finita una verifica su un certo periodo, non dovrebbero ritornare sullo stesso periodo senza nuovi elementi; potrebbero però venire per un altro periodo d’imposta diverso. Se pensi che stiano esagerando, puoi segnalare la cosa al Garante del Contribuente. In pratica: 30 giorni è la regola, oltre dovrebbe essere raro e motivato.

D7: Non ho potuto rispondere a un questionario dell’Agenzia Entrate perché la richiesta non mi è arrivata (o l’ho trascurata). Ora in accertamento mi contestano che non ho fornito quei documenti e non li vogliono considerare. È legittimo?
R: Purtroppo la legge (art. 32 DPR 600/73) prevede che se il contribuente non risponde a una richiesta di informazioni o esibizione di documenti entro il termine assegnato, i dati o documenti che avrebbe dovuto fornire non possono essere poi utilizzati a suo favore in sede amministrativa o contenziosa, salvo che dimostri di non aver potuto adempiere per causa a lui non imputabile. Quindi, se hai ignorato il questionario e poi in ricorso tiri fuori i documenti richiesti, l’ufficio (e anche il giudice su eccezione dell’ufficio) può dichiararli inutilizzabili a tua difesa, a meno che tu giustifichi perché non li hai prodotti prima (es. non li avevi materialmente perché erano all’estero, o il questionario è stato inviato a vecchio indirizzo e tu non l’hai proprio ricevuto – qui se provi che la notifica era viziata, cambia). Questa “sanzione” si chiama inutilizzabilità dei documenti non esibiti e si aggiunge alla sanzione pecuniaria (da €250 a €2.000) per la mancata risposta. Quindi la posizione dell’ufficio è legittima se la notifica del questionario era regolare. In giudizio puoi provare a sostenere di non aver ricevuto (magari era indirizzo errato) o di aver avuto un impedimento grave. Se il giudice crede alla causa non imputabile (es. eri in ospedale e nessuno poteva accedere ai documenti, per dire), allora ammette i documenti. Ma è difficile. Questo sottolinea l’importanza di rispondere sempre ai questionari o chiedere proroga motivata se non riesci nei termini. Ignorare le richieste del fisco è molto pericoloso.

D8: Possono controllare il mio conto corrente personale? Non ho partita IVA.
R: Sì, l’Agenzia può effettuare indagini finanziarie su qualsiasi conto intestato a un contribuente, sia esso imprenditore, professionista o privato, purché vi sia un’istruttoria autorizzata. In pratica, è uno strumento mirato: non è che controllano a tappeto tutti i conti, ma se c’è un accertamento in corso e ritengono utile esaminare i tuoi movimenti bancari per capire redditi/spese, possono ottenere dagli istituti tutti i dettagli. Per le persone fisiche non imprenditori, di solito succede in ambito di accertamenti sintetici/redditometro o se si hanno indizi di grosse evasioni (es. hai venduto immobili e pensano tu abbia incassato somme non dichiarate). Anche se non hai partita IVA, se sul conto vedono accrediti particolari (es. bonifici ricorrenti da varie persone, o assegni elevati), dovrai giustificarli. In base alla legge, i versamenti non giustificati sul conto corrente di un privato possono essere considerati reddito imponibile (in passato la presunzione riguardava solo imprenditori e lavoratori autonomi, ma la Cassazione ha esteso la presunzione semplice a “tutti i contribuenti” salvo prova contraria). Invece i prelievi non giustificati sul tuo conto personale in sé non sono reddito (perché potresti semplicemente spenderli), ma se fossero enormi e sproporzionati potrebbero far sorgere domande su come li hai usati. Quindi, sì, possono guardare i conti personali. Per farlo serve autorizzazione interna e fanno richiesta alle banche tramite un sistema centrale (SID). Se succede, verrai coinvolto perché ti chiederanno spiegazioni su certi movimenti.

D9: Se pago tutto quello che mi chiedono nell’accertamento, posso evitare la sanzione penale?
R: Dipende dal tipo di reato tributario ipotizzato, ma esistono cause di non punibilità penale legate al pagamento. In particolare, l’art. 13 D.Lgs. 74/2000 prevede:

  • Per il reato di omesso versamento IVA o ritenute, il pagamento integrale del dovuto (imposta, interessi, sanzioni amministrative) prima della dichiarazione di apertura del dibattimento penale estingue il reato.
  • Per i reati di dichiarazione infedele, omessa dichiarazione, indebita compensazione, il pagamento integrale del debito tributario (imposte, interessi, sanzioni) entro il termine del primo grado di giudizio tributario (o se non impugnato l’atto, entro i termini per impugnare) costituisce causa di non punibilità.
  • Per il reato di dichiarazione fraudolenta, non c’è causa estintiva completa, ma il ravvedimento (quindi pagamento) è considerato attenuante importante.

Quindi, se hai un accertamento e pensi che potresti rientrare in soglie di reato (es. imposta evasa > €150k), pagando subito potenzialmente eviti il processo penale. Ad esempio, ti contestano €200k di IRPEF evasa (dich. infedele reato): se definisci e paghi tutto prima che la causa tributaria arrivi in primo grado, non sei punibile penalmente. Attenzione: il pagamento dev’essere integrale di tributi e accessori, ed è indifferente che tu paghi per adesione, acquiescenza o in pendenza ricorso. L’importante è che avvenga nei termini di legge. Comunque, è sempre bene farsi seguire anche da un legale penalista in questi casi, ma la risposta in breve è: sì, pagando il debito tributario si può evitare la sanzione penale per molti reati tributari, grazie alle cause di non punibilità introdotte dal legislatore per incentivare la regolarizzazione.

D10: Ho accettato un accertamento con adesione, ma ora mi sono pentito perché ho trovato prove che avrei potuto vincere in ricorso. Posso impugnarlo o annullarlo?
R: No, una volta che hai sottoscritto l’atto di adesione e non hai esercitato il recesso nelle 48 ore (hai la facoltà di ripensarci entro 2 giorni dalla firma, trascorsi i quali l’atto è definitivo), l’accordo di adesione è definitivo e non impugnabile. Equivale a un accordo contrattuale tra te e l’amministrazione. Non puoi presentare ricorso contro l’accertamento oggetto di adesione, né revocare l’adesione unilateralmente. L’unica via per riaprire la questione sarebbe dimostrare che l’adesione è viziata da dolo o violenza (casi eccezionali, tipo sei stato costretto con minacce – ipotesi accademiche). Quindi purtroppo se hai firmato e pagato, il caso è chiuso. Potrai semmai usare quelle prove per altri periodi d’imposta se pertinenti, ma non per quello definito. La lezione qui è valutare attentamente prima di aderire: l’adesione è conveniente perché riduce sanzioni, ma fa perdere la chance di far valere eventuali elementi in giudizio.

D11: Ho una piccola partita IVA in regime forfettario. Corro il rischio di controlli?
R: Il regime forfettario semplifica gli adempimenti e spesso i forfettari dichiarano importi modesti, per cui non sono il target primario di verifiche complesse. Tuttavia, ci sono un paio di aspetti da considerare:

  • L’Agenzia controlla che tu rispetti i requisiti del regime: fatturato sotto soglia (€85.000 annui), assenza di cause di esclusione (es. partecipazioni in società di persone, lavoro prevalente verso ex datore di lavoro recente, ecc.). Questi controlli possono essere automatizzati (incroci con dati INPS, Camera di commercio, ecc.). Se riscontrano che non avevi diritto al regime in un anno (es. hai sforato €100k di ricavi), possono emettere un accertamento per ricalcolarti le imposte in regime ordinario (IVA, IRPEF con aliquota ordinaria) più sanzioni.
  • Il fatto che tu non debba tenere registri IVA né dettagliare costi non ti esime da possibili controlli sui ricavi non dichiarati. Ad esempio, se emetti ricevute elettroniche, l’Agenzia vede comunque quanto incassi. Se sospettano che incassi di più e non lo fatturi (vale per tutti i piccoli, forfettari o no), potrebbero fare un controllo mirato (magari un acquisto in incognito per vedere se fai lo scontrino).
  • Statisticamente comunque, sotto regime forfettario (specie se redditi < 50k) i controlli approfonditi sono rari. Più probabile ricevere lettera di compliance se, ad esempio, risulta che hai percepito redditi da lavoro dipendente sopra 30k e insieme hai forfettario (caso di verifica del limite 30k per dipendenti in accesso al regime, abrogato dal 2020).
  • Un altro controllo possibile: se suddividi artificiosamente l’attività. Esempio: marito e moglie entrambi forfettari svolgono di fatto insieme un’attività che supererebbe la soglia. L’Agenzia potrebbe (non semplice, ma teoricamente) contestare un abuso di frammentazione. Sono però situazioni eccezionali.

In pratica, il rischio di verifica per un forfettario “genuino” è basso. Devi però fare attenzione a non commettere ingenuità: conserva comunque le fatture di acquisto e i documenti, perché se mai dovessero accertarti un reddito più alto, potrai chiedere di dedurre i costi (anche se in forfettario non li dichiari, in accertamento puoi provare di avere avuto costi). E assicurati di rispettare i requisiti formali (comunicazione fatture elettroniche se hai optato, ecc., dal 2024 tutti i forfettari emettono e-fattura). Quindi dormi abbastanza tranquillo, ma resta nei ranghi.

D12: In caso di accertamento su una società di persone (snc, sas), chi deve fare ricorso? La società o i singoli soci?
R: Entrambi, perché c’è un litisconsorzio necessario tra società di persone e soci per le impugnazioni riguardanti il reddito sociale. In pratica, l’avviso di accertamento per maggior reddito di una società di persone deve essere emesso sia a nome della società (ai fini IRAP o IVA eventualmente, e ai fini determinazione reddito) sia nei confronti di ciascun socio per la sua quota IRPEF. Tutti questi atti formano un unico tutto. Il ricorso va presentato congiuntamente da società e soci (o separati ma poi riuniti) e tutti devono essere parte del giudizio, altrimenti la decisione potrebbe non essere valida erga omnes. Spesso si fa un ricorso unico società + soci, indicando tutti come ricorrenti e impugnando sia l’atto societario sia i provvedimenti verso i soci. Se, per errore, l’Agenzia notifica solo alla società e non ai soci, l’accertamento potrebbe essere annullabile per vizio di notifica (violazione litisconsorzio). Ma dal tuo lato, per sicurezza, se sei socio e arriva atto solo alla società, fai ricorso citando la questione (solitamente comunque notificano a tutti). In conclusione: la difesa deve essere coordinata tra società e soci. Di solito lo stesso professionista rappresenta tutti e presenta un ricorso cumulativo.

D13: Se aderisco a una definizione agevolata (rottamazione cartelle o conciliazione agevolata) sto ammettendo l’evasione? Possono farmi controlli a tappeto dopo?
R: No, aderire a misure di definizione agevolata (“pace fiscale”) non comporta un’ammissione di colpevolezza fraudolenta, né può essere usato contro di te come prova di evasione dolosa. È una scelta consentita dalla legge per chiudere debiti fiscali o liti pendenti a condizioni favorevoli. L’Agenzia non inserisce chi aderisce a rottamazione in una blacklist futura. Anzi, spesso è contenta di recuperare senza contenzioso. Certo, se emerge che avevi molte irregolarità pregresse che stai definendo, potresti essere un soggetto a cui in futuro prestano attenzione, ma non c’è un automatismo ufficiale. In pratica, non c’è ritorsione. Il consiglio è di aderire serenamente se ti conviene economicamente. Ad esempio, con la rottamazione delle cartelle risparmi sanzioni e interessi di mora – questo non peggiora il tuo scoring fiscale. Piuttosto, dimostra buona volontà nel chiudere col passato. Quindi no, non ti esponi a “liste di proscrizione” richiedendo definizioni agevolate previste dalla legge. Diverso è se ogni tot anni fai grossi debiti e aspetti condoni: in quel caso la tua storia potrebbe evidenziare un pattern, ma sarebbe una tua scelta rischiosa confidare sempre in condoni. Di per sé, l’adesione una tantum a una sanatoria non aumenta il rischio di controlli futuri in modo significativo.

D14: Ho ricevuto un accertamento per redditi esteri non dichiarati grazie allo scambio di informazioni con l’estero. Posso difendermi dicendo che li avevo già tassati fuori o erano già conosciuti?
R: Sì, certamente. Molti accertamenti su redditi esteri (interessi su conti, dividendi, vendite immobili esteri) arrivano perché l’Italia riceve i dati tramite Common Reporting Standard (CRS) o accordi bilaterali. Se però quei redditi erano:

  • Già tassati definitivamente all’estero e c’è convenzione contro le doppie imposizioni, potresti avere diritto a credito d’imposta o addirittura non doverli dichiarare se spettava solo all’estero (caso per caso). Devi documentare la tassazione subìta.
  • Esenti o esclusi (es. alcuni redditi da lavoro all’estero se risiedevi fuori, o donazioni estere, etc.), dovrai provarne la natura.
  • Già noti all’amministrazione in altro modo (non frequente: es. li avevi inclusi in un quadro RW magari, ma non in redditi), comunque devi spiegare.

Insomma, in difesa dovrai presentare la documentazione estera: dichiarazioni presentate lì, certificati di trattenute, eventuali prove che eri residente altrove se rivendichi non imponibilità in Italia. L’Agenzia italiana tende ad accertare per sicurezza e lascia a te l’onere di dimostrare il credito per imposte estere o la non imponibilità. È fattibile ma serve precisione e magari un consulente esperto in fiscalità internazionale. Non limitarti a dire “li ho tassati fuori”, devi produrre carte. Se riesci, eviterai la doppia tassazione (ti riconosceranno il credito o annulleranno se non imponibili). Nota: se erano redditi di un conto estero non dichiarato, oltre all’imposta ci sono sanzioni per monitoraggio fiscale omesso (norm. 6% del saldo). Anche su quelle si può difendere dimostrando eventuale non obbligo (es. conto cointestato già dichiarato dall’altro).

D15: Che succede se un controllo formale evidenzia errori nella dichiarazione precompilata compilata dal CAF?
R: Se tu hai presentato il 730 tramite un CAF o intermediario abilitato, quest’ultimo appone il visto di conformità. In caso di errori (ad es. il CAF ha validato oneri che non spettavano), tu contribuente comunque dovrai versare le imposte dovute, ma c’è una particolarità: sei tutelato dal CAF. Infatti il CAF/professionista risponde per le sanzioni e gli interessi derivanti dal visto infedele. L’Agenzia normalmente notificherà a te la comunicazione di irregolarità per l’imposta e a seguire anche al CAF la contestazione del visto infedele. Se paghi tutto tu, puoi poi rivalsa sul CAF per sanzioni/interessi. Spesso però l’iter è: l’Agenzia invita il CAF a pagare sanzioni e interessi, e il contribuente paga solo l’imposta. Per te l’importante è che se non c’è dolo tuo (hai fornito documenti veritieri al CAF), le sanzioni non devono gravare su di te. Ricorda anche che c’è una garanzia: i CAF sottoscrivono polizze assicurative proprio per coprire questi rischi. Quindi in sintesi: paga l’eventuale imposta mancante, segnala subito al CAF la comunicazione, e coordina con loro per la sistemazione. Non ignorare pensando “ci pensa il CAF”, perché la posizione fiscale è tua; però sai che hai diritto a non rimetterci le sanzioni. Nel caso di 730 precompilato accettato senza modifiche, invece, l’Agenzia non dovrebbe sanzionarti per eventuali errori in alcuni quadri (ha una sorta di safe-harbor), ma su questo c’è un perimetro preciso – comunque col precompilato accettato integralmente le probabilità di comunicazioni di irregolarità sono minime perché teoricamente è tutto già verificato a monte.

D16: Posso rateizzare le somme di un accertamento o di una cartella?
R: Sì. Ci sono diverse possibilità di rateazione:

  • In fase bonaria (avvisi bonari): di default offrono la rateazione in 8 rate trimestrali (se importo < €5.000 sono 8 rate, sopra 20 rate). Le istruzioni sono nella comunicazione. Basta pagare la prima rata entro 30 gg e seguire il piano.
  • Accertamento con adesione: puoi rateizzare l’importo dell’accordo in max 8 rate trimestrali (o 16 se l’importo dovuto > €50.000). Prima rata entro 20 giorni dalla firma dell’adesione.
  • Acquiescenza (o ricorso): in realtà l’avviso di accertamento “esecutivo” di per sé non prevede rateazione automatica. Se non paghi nei 60 gg, passa a riscossione. Però puoi chiedere rateazione all’Agente della Riscossione dopo che il debito gli viene affidato. Dunque, se non aderisci o fai ricorso, finisci per rateizzare con Equitalia (vedi punto successivo).
  • Cartelle esattoriali / importi a ruolo: puoi chiedere all’Agente della Riscossione (ex Equitalia, ora Agenzia Entrate-Riscossione) la dilazione. Per debiti fino a €120.000 è concessa automaticamente fino a 72 rate (6 anni) su semplice richiesta se dichiari temporanea difficoltà. Per importi maggiori serve dimostrare lo stato di difficoltà finanziaria (indice di liquidità <1, ecc.). Possono concedere piani fino a 6 anni ordinari o straordinari 120 rate (10 anni) in casi eccezionali. La domanda va fatta online o agli sportelli dell’AdR entro i termini indicati nella cartella (comunque anche dopo, finché il debito non è pre-azione esecutiva).
  • Definizioni agevolate: se aderisci a rottamazione, ecc., la legge stessa prevede rate (es. rottamazione-quater 18 rate in 5 anni per importi grandi).

In sintesi, quasi sempre c’è modo di rateizzare. Attento a non confondere: la rateazione non sospende il decorso di termini di ricorso. E se salti una rata in fase di adesione o bonario, decadi e il residuo diventa immediatamente esigibile con sanzioni piene.

Se hai difficoltà economiche, la strada del piano con l’Agente della Riscossione è la più “flessibile” (puoi includere più atti insieme). Però a volte è meglio definire prima con adesione (sanzioni ridotte) e poi rateizzare quel minor importo.

D17: Che diritti ho se la Guardia di Finanza mi perquisisce l’ufficio o l’abitazione?
R: In caso di accesso domiciliare (abitazione privata), la GdF deve avere un decreto di perquisizione del magistrato o, se è per finalità solo amministrative, un’autorizzazione del Procuratore della Repubblica (ma spesso se vanno in abitazione è perché sospettano reato, quindi scenario penale). Hai diritto a vedere tale decreto e a che sia specificato cosa cercano. Puoi farti assistere da un legale. Possono sequestrare documenti o supporti elettronici attinenti all’evasione sospettata. Hai diritto che di ogni cosa sequestrata sia rilasciato verbale e copia elenco. Se ritieni violato qualcosa (eccesso di perquisizione in spazi non autorizzati) potrai farlo valere eventualmente nel procedimento. In ufficio/azienda, se autorizzati a perquisizione, simile. Se è solo accesso amministrativo, no perquisizione delle persone ma possono ispezionare locali, arredi, computer (in tua presenza possibilmente). I tuoi diritti: chiedere che eventuali dati non pertinenti (ad es. su pc ci sono dati personali dei clienti protetti, segnalare) vengano circoscritti. Puoi chiedere copia digitale dei file copiati. Hai diritto a presenza di un testimone di fiducia se lo desideri (non previsto formalmente, ma puoi chiamare un consulente informatico per assistere). Al termine, va redatto un verbale di perquisizione/sequestro: leggilo bene e fai inserire a verbale eventuali dichiarazioni (es. “il tal documento sequestrato era già stato consegnato al precedente controllo” ecc.). Se coinvolge ambito penale, rivolgiti subito a un avvocato penalista. In generale, i tuoi diritti fondamentali: rispetto della privacy (cercano solo cose rilevanti fiscalmente, non possono divulgare il contenuto a terzi), integrità (non possono danneggiare locali, salvo forzare serrature se necessario e autorizzati), e di nuovo contraddittorio: dopo, potrai spiegare la tua versione.

D18: Sono stato vittima di un controllo “ingiusto” (secondo me). Posso chiedere danni all’Agenzia?
R: È molto difficile ottenere risarcimento danni per un controllo fiscale a meno di condotte davvero fuori legge da parte dei verificatori. L’esercizio della funzione di accertamento è protetto da ampia discrezionalità. Se un accertamento viene annullato in giudizio, non c’è un automatismo di risarcimento; dovresti provare un dolo o colpa grave dell’ufficio (es: hanno ignorato di proposito prove certe, arrecandoti un danno). Ci sono rarissimi casi di risarcimento per lite temeraria del fisco, ma devi dimostrare che l’azione dell’Agenzia era palesemente infondata e ti ha causato un danno quantificabile. Più praticabile è farsi rimborsare le spese di lite (che però in Commissione spesso liquidano in poche centinaia di euro nonostante spese maggiori sostenute). In caso di condotte scorrette durante la verifica (es. violazione segreto aziendale, o comportamenti offensivi), potresti segnalare ai superiori e al Garante del Contribuente, ma un vero risarcimento in denaro richiede causa civile contro l’amministrazione, con onere della prova a tuo carico, esito incerto e tempi lunghi. In sintesi, sì in teoria se dimostri danno ingiusto da atto illegittimo, ma in pratica succede di rado. Conviene piuttosto concentrarsi sull’annullare l’atto e andare avanti. Unica eccezione: se hai subito un fermo attività illegittimo (es. chiusura locale ingiusta per mancati scontrini), lì qualche spiraglio in più per danno emergente e lucro cessante c’è, ma sempre da dimostrare.

D19: L’Agenzia può controllare anche anni per cui ho aderito a un condono/tombale?
R: Se hai aderito a un condono o sanatoria che definisce integralmente il periodo d’imposta, come ad esempio la “Dichiarazione integrativa speciale” (non attuata) o condoni tombali dei primi anni 2000, per quei periodi l’Agenzia non può più accertare tributi condonati, salvo esclusioni previste dalla legge di condono. Ad esempio, nel 2003 chi fece condono tombale per 2001-2002 si blindò da accertamenti su imposte dirette e IVA, però non su eventuali frodi IVA (che erano escluse dallo scudo) o contributi previdenziali (non coperti). Quindi bisognerebbe vedere la legge specifica del condono. Più recentemente, la “Definizione liti pendenti” chiude il contenzioso ma non copre eventuali nuovi elementi emersi su altre questioni non litigiose. In generale, se una annualità è definita, è “tombata” per ciò che hai definito. Esempio: con la pace fiscale 2019 hai definito il reddito imponibile oggetto di lite, quell’aspetto è chiuso, ma se emergesse un reddito diverso non conosciuto prima, in teoria potrebbero ancora accertarlo se sono nei termini. Insomma, condono totale del periodo = niente controlli ulteriori su quell’anno per quegli tributi; definizioni parziali = rimane possibile controllo su ciò che non era incluso. L’Agenzia in pratica di solito non torna su anni condonati, se non in casi eccezionali (tipo condono viziato da falsità). Attenzione: il saldo e stralcio 2023 (stralcio cartelle <1000€ 2000-2015) toglie quelle cartelle, ma non impedisce se fosse ancora accertabile il tributo di rifare atto (per quell’epoca oramai no perché anni vecchi). Quindi direi che se hai condonato, puoi star ragionevolmente tranquillo su quegli anni, salvo tu stesso non abbia mentito nel condono (in quel caso può decadere).

D20: Quali sanzioni rischio se non mi faccio trovare quando arrivano per un controllo?
R: Dipende. Se parliamo di un accesso programmato (tipo ti mandano preavviso o ti invitano a farti trovare), e ti fai trovare sempre assente o chiuso, l’ufficio potrebbe supporre un rifiuto e potrebbe chiedere un decreto di accesso coattivo (specie se è un’azienda). Non c’è una sanzione pecuniaria per non essere presenti, ma ti crei un problema: se non assicuri l’accesso ai locali dove tieni le scritture, potrebbero presumere che le stai occultando, con conseguenze (accertamento induttivo). Se invece parliamo di questionario/invito e tu lo ignori, la sanzione pecuniaria c’è (250-2.000 €) più la preclusione di difesa vista prima. Se i verificatori vengono e trovano chiuso, lasciano un invito a presentarsi in ufficio con i documenti. Se tu persisti nel non comparire né dare notizie, scatterà sanzione per mancata collaborazione e peggiori la tua posizione. In caso di accesso con autorizzazione giudiziaria (tipo GdF con mandato), se non apri possono farsi aprire coattivamente (fabbro, forze dell’ordine). Resistere può configurare reati (tipo intralcio o violenza privata se li impedisci fisicamente). Quindi, non è reato non farsi trovare, ma certamente non è una strategia consigliabile. Meglio affrontare il controllo e cooperare il minimo richiesto. Se c’è un legittimo impedimento (eri malato, chiuso per ferie), documentalo subito e contatta l’ufficio per fissare un altro appuntamento. In tal caso eviterai sanzioni (causa non imputabile).

D21: Come funziona il Garante del Contribuente? Posso rivolgermi a lui se mi sento trattato male?
R: Il Garante del Contribuente è un organo previsto dallo Statuto (art.13 L.212/2000) presente a livello regionale, con funzione di vigilare sull’osservanza dello Statuto stesso e sulla correttezza dei rapporti fisco-contribuente. È una figura a cui puoi inoltrare reclami o segnalazioni circa disfunzioni, ritardi, irregolarità o abusi da parte dell’amministrazione finanziaria. Ad esempio, se durante un controllo riscontri violazioni dei tuoi diritti (permanenza eccessiva senza motivo, mancata concessione del contraddittorio, linguaggio scorretto da parte di funzionari, ecc.), puoi scrivere al Garante regionale descrivendo i fatti. Il Garante non ha potere di annullare atti o sanzionare direttamente i funzionari, ma può chiedere spiegazioni agli uffici, sollecitare rimozione di comportamenti lesivi e raccomandare soluzioni. In qualche caso il suo intervento “moral suasion” porta l’ufficio ad aggiustare il tiro (ad esempio a concedere una proroga, o a riesaminare una posizione). È gratuito e informale rivolgersi al Garante. Tieni però presente che non interrompe termini (se devi fare ricorso, fallo comunque). Il Garante può anche attivarsi se noti e segnali un malfunzionamento sistemico (es: ufficio che non risponde mai ai telefoni, ritardi cronici nei rimborsi, etc.). In definitiva, sì puoi contattarlo, male non fa. Molti contribuenti però ne ignorano l’esistenza: nelle comunicazioni dell’Agenzia in teoria c’è scritto come contattarlo. Non aspettarti miracoli, ma è uno strumento in più di tutela extragiudiziale.

Fonti Normative e Bibliografia

  • DPR 29 settembre 1973, n.600 – Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi (artt. 32, 36-bis, 36-ter, 38, 39, 41-bis)
  • DPR 26 ottobre 1972, n.633 – Istituzione e disciplina dell’IVA (artt. 51, 52, 54-bis)
  • Statuto dei Diritti del Contribuente – Legge 27 luglio 2000, n.212 (artt. 12 – garanzie del contribuente soggetto a verifiche; art.13 – Garante del contribuente)
  • D.Lgs. 19 giugno 1997, n.218 – Accertamento con adesione e conciliazione (art. 5-ter – invito obbligatorio al contraddittorio)
  • Circolare Agenzia Entrate n.17/E del 22 giugno 2020 – Chiarimenti sull’obbligo di contraddittorio dal 1° luglio 2020
  • D.Lgs. 18 dicembre 1997, n.472 – Sanzioni tributarie (art.13 – ravvedimento operoso)
  • D.Lgs. 10 marzo 2000, n.74 – Reati tributari (art.13 – cause di non punibilità per pagamento del debito tributario)
  • Legge 9 agosto 2023, n.111 – Delega per la riforma fiscale 2023 (prevede riduzione termini accertamento da 5 a 4 anni, potenziamento cooperative compliance, superamento redditometro)
  • D.Lgs. 5 agosto 2023, n.108 – Attuazione delega fiscale (primo correttivo): modifica art.38 DPR 600/73 (nuovo accertamento sintetico “evasometro”: scostamento >20% e >10x assegno sociale)
  • Abolizione “redditometro” tradizionale e introduzione criteri selettivi (D.Lgs. 108/2024) – Approfondito da BattistiBellini (2024) e informazionefiscale.it.
  • Provvedimento AE 2023 e Circ. AE n.1/2023 – Definizione agevolata avvisi bonari (L.197/2022).
  • Circolare AE 16/E 2016 – utilizzo dati finanziari e collaborazione volontaria bis.
  • Giurisprudenza di legittimità:
    • Cass., Sez. Un., n.24823/2015 – contraddittorio endoprocedimentale (principi generali).
    • Cass. n.228/2014 – Corte Costituzionale, presunzione bancaria prelevamenti illegittima per autonomi.
    • Cass. n.21665/2013 – obbligo rispondere questionari (confermato inutilizzabilità doc. tardivi).
    • Cass. n.11981/2003 – onere prova contribuente in accert. sintetico (citata in FiscoOggi).
    • Cass. n.14707/2023 – conferma art.32: sanzione inutilizzabilità se mancata risposta (richiamata su gm.tax).
    • Cass. n.37368/2021 – esclusa presunzione su prelievi di socio (accenna su consulenzaagricola.it).

Controlli dell’Agenzia delle Entrate: Perché Affidarti a Studio Monardo

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