Sei un imprenditore e non riesci a pagare il finanziamento di Resto al Sud?
Allora qui di seguito troverai la nostra guida di Studio Monardo che ti aiuterà a capire che cosa succede e come difenderti.
Studio Monardo è uno Studio Legale specializzato in riduzione e cancellazione debiti da finanziamenti delle imprese.
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Resto al Sud: cosa succede se non pago il finanziamento – La Guida di Studio Monardo
Introduzione al programma “Resto al Sud”
“Resto al Sud” è un incentivo pubblico volto a sostenere la nascita e lo sviluppo di nuove attività imprenditoriali e libero-professionali nelle regioni del Mezzogiorno italiano e in alcune aree svantaggiate del Centro. Il programma, operativo dal 2018 e gestito da Invitalia (Agenzia nazionale per lo sviluppo), è stato istituito dall’art. 1 del D.L. 91/2017 (convertito con modificazioni dalla L. 123/2017) e disciplinato dal regolamento attuativo D.M. 9 novembre 2017, n. 174 del Ministro per la Coesione Territoriale e il Mezzogiorno. La dotazione finanziaria iniziale ammontava a circa 1,25 miliardi di euro, provenienti dal Fondo Sviluppo e Coesione 2014-2020. L’obiettivo del programma è duplice: da un lato favorire l’imprenditorialità giovanile nelle aree economicamente depresse, dall’altro contrastare la disoccupazione e lo spopolamento incentivando i giovani (e non solo) a “restare” nelle regioni del Sud avviando attività sul territorio.
Le agevolazioni offerte da Resto al Sud coprono fino al 100% delle spese ammissibili per l’avvio del progetto imprenditoriale. In particolare, l’incentivo si compone attualmente di due strumenti principali:
- Contributo a fondo perduto pari al 50% dell’investimento approvato, erogato direttamente da Invitalia. Questa parte del finanziamento non deve essere restituita, a condizione che si rispettino tutti i vincoli del programma.
- Finanziamento bancario agevolato per il restante 50%, concesso da banche aderenti a una convenzione ABI-Invitalia e garantito fino all’80% dal Fondo di Garanzia per le PMI (sezione speciale “Resto al Sud”). Il mutuo è a tasso zero per il beneficiario, poiché gli interessi sono coperti da un contributo in conto interessi erogato da Invitalia. In pratica, la banca applica un tasso d’interesse nominale fisso sul prestito, ma il costo degli interessi viene rimborsato da Invitalia, rendendo di fatto nullo l’onere finanziario per l’imprenditore.
Originariamente (2018) l’agevolazione prevedeva una copertura del 35% a fondo perduto e 65% a prestito agevolato, con un tetto di €50.000 per ogni richiedente. Successive modifiche normative hanno potenziato il programma. In particolare, con il D.L. 34/2020 (c.d. “Decreto Rilancio”) e relative conversioni, la quota a fondo perduto è stata elevata al 50% e il prestito ridotto al 50%, aumentando contestualmente l’importo massimo finanziabile per le iniziative individuali a €60.000 (rispetto ai €50.000 iniziali). Resta invece invariato il massimale per progetti societari: €50.000 per ciascun socio, fino a un totale di €200.000 (ad esempio, società con 4 richiedenti). Inoltre, al completamento del programma d’investimento, è previsto un ulteriore contributo a fondo perduto integrativo (detto contributo di liquidità) per sostenere il capitale circolante: €15.000 per ditte individuali/professionisti e €10.000 aggiuntivi per ogni socio di società, fino a un massimo di €40.000. Questo bonus finale – introdotto dall’art. 245 D.L. 34/2020 – premia le imprese che portano a termine il progetto, fornendo risorse extra per consolidare l’attività.
Destinatari e requisiti
Il target iniziale di Resto al Sud erano i giovani 18-35 anni residenti nelle 8 regioni del Mezzogiorno (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna, Sicilia). La platea è stata ampliata con la Legge di Bilancio 2019 (L. 145/2018), che ha innalzato l’età massima a 45 anni e aperto l’incentivo anche ai lavoratori autonomi e liberi professionisti, e successivamente con la Legge di Bilancio 2021 (L. 178/2020) che ha ulteriormente esteso il limite di età agli under 56 (fino a 55 anni compiuti). Pertanto, ad oggi possono beneficiare delle agevolazioni le persone di età compresa tra 18 e 55 anni, non titolari di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato per tutta la durata del finanziamento, e che non siano già titolari di altre imprese attive (alla data del 21 giugno 2017) né abbiano ricevuto ulteriori aiuti all’autoimprenditorialità negli ultimi 3 anni. È ammessa la presentazione di domande anche da parte di chi non risiede ancora in queste regioni, purché trasferisca la residenza nelle aree indicate entro 60 giorni dall’ammissione (120 giorni se residente all’estero). Sono incluse altresì le attività localizzate nei 116 comuni del cratere sismico del Centro Italia (zone terremotate 2016/2017 in Lazio, Marche, Umbria), con deroga ai limiti di età per 24 di essi (nessun limite di età nei comuni con oltre il 50% di edifici inagibili).
Le forme d’impresa ammesse comprendono le imprese individuali e le società, incluse le società cooperative, costituite dopo il 21 giugno 2017 (o costituende, purché la costituzione avvenga entro 60 giorni dall’esito positivo). Dal 2019, come detto, sono ammissibili anche le attività libero professionali, sia esercitate in forma individuale che societaria (a condizione che il professionista non abbia avuto partita IVA per attività analoga nei 12 mesi precedenti la domanda). Inizialmente erano escluse le attività commerciali e le professioni, ma le modifiche normative hanno rimosso tali esclusioni: con il D.L. 121/2021 (conv. L. 156/2021) Resto al Sud è stato esteso anche al settore del commercio e alle isole minori del Centro-Nord, completando così l’ampliamento settoriale. Restano escluse solo l’agricoltura (coltivazione) e il puro amministrativo condominiale, mentre sono finanziabili praticamente tutti gli altri settori produttivi, dai servizi al turismo, artigianato, industria, pesca e acquacoltura, ecc..
Spese finanziabili e modalità di erogazione
Il finanziamento copre investimenti produttivi e alcune spese di esercizio per l’avvio. Sono ammesse spese per ristrutturazioni e opere edili (max 30% del totale), acquisto di macchinari, impianti, attrezzature, programmi informatici, e spese iniziali di gestione (materie prime, utenze, canoni di locazione, assicurazioni) entro il limite del 20%. Non sono finanziate invece le consulenze, le spese di progettazione e il costo del personale dipendente.
L’erogazione delle risorse avviene con un meccanismo in due fasi. Prima fase: dopo l’approvazione della domanda da parte di Invitalia, la banca convenzionata eroga in unica soluzione l’intero finanziamento bancario (parte prestito) – infatti il mutuo viene concesso per intero all’avvio e accreditato su un conto dedicato. Seconda fase: il contributo a fondo perduto viene invece erogato da Invitalia in più tranche a stato di avanzamento lavori (SAL), man mano che il beneficiario rendiconta le spese effettuate. Si può richiedere un primo SAL solo dopo aver realizzato almeno il 50% del programma di spesa, e l’ultimo SAL a conclusione del progetto. In pratica, il prestito bancario anticipa tutte le spese, mentre il contributo va a rimborso parziale a fine lavori. Se il progetto consuntivato risulta inferiore al preventivato, il contributo a fondo perduto viene ridotto proporzionalmente (non essendo possibile ridurre ex post l’importo del mutuo già erogato). Ad esempio, se un’impresa riceve €100.000 di cui €50.000 a fondo perduto e spende solo €90.000, l’ultima quota del contributo verrà diminuita così che la somma finale erogata a fondo perduto sia solo €40.000, costringendo l’impresa di fatto a restituire alla banca la differenza sul mutuo non coperta dal contributo finale.
Il rimborso del finanziamento agevolato (parte prestito) avviene secondo un piano di ammortamento a medio termine, descritto nel prossimo capitolo. È importante notare che le agevolazioni sono concesse “a sportello”, cioè senza graduatorie né scadenze: le domande vengono esaminate in ordine di arrivo finché vi sono fondi disponibili. Invitalia effettua un’istruttoria tecnico-economica e, in caso di esito positivo, rilascia un provvedimento di concessione contenente le condizioni e gli obblighi a carico del beneficiario. Tra questi vi sono impegni come: mantenere la residenza nell’area agevolata (se trasferita) e la sede operativa dell’impresa nel Sud per tutta la durata del finanziamento, non assumere un lavoro a tempo indeterminato durante il periodo agevolato, realizzare integralmente il programma di spesa approvato e non distogliere i beni acquistati dall’attività per almeno 5 anni. Il mancato rispetto di tali obblighi può comportare la revoca delle agevolazioni. Nei paragrafi seguenti vedremo in dettaglio le condizioni di rimborso e soprattutto cosa accade in caso di mancato pagamento del finanziamento, con implicazioni legali, sanzioni e procedure di recupero.
Dati di sintesi: Dal lancio dell’incentivo (metà gennaio 2018) al 1º gennaio 2025 sono stati finanziati 18.561 progetti, per agevolazioni nette concesse pari a circa 821 milioni di euro (tra contributi e prestiti) e la creazione stimata di 61.834 posti di lavoro. L’interesse verso Resto al Sud è stato quindi notevole. Una valutazione SVIMEZ del 2023 evidenzia che nel periodo 2018-2022 sono state ammesse circa 10.797 domande, con investimenti medi di €88.000 e un contributo medio per progetto attorno a €48.000 a fondo perduto e €40.000 di finanziamento agevolato. I settori più finanziati risultano turismo e servizi, e geograficamente oltre la metà delle agevolazioni è concentrata in Campania, seguita da Calabria e Sicilia. Questi dati testimoniano l’impatto significativo del programma, ma implicano anche che una parte di beneficiari potrebbe incontrare difficoltà nel rimborso. Nei prossimi capitoli affronteremo proprio le condizioni di rimborso e cosa succede se un beneficiario non riesce a restituire la quota di finanziamento dovuta.
Condizioni di rimborso del finanziamento
Il finanziamento bancario agevolato ottenuto con Resto al Sud è soggetto a condizioni di rimborso specifiche, stabilite nella convenzione Invitalia-ABI e nel contratto di mutuo sottoscritto tra beneficiario e banca. Di seguito analizziamo le caratteristiche principali di questo prestito, incluse durata, tassi, garanzie e vincoli, per comprendere il contesto in cui si inseriscono eventuali inadempimenti.
- Durata e piano di ammortamento: Il mutuo ha una durata di 8 anni complessivi, di cui 2 anni di pre-ammortamento (cioè solo maturazione interessi, senza quota capitale) e 6 anni di ammortamento effettivo. I rimborsi avvengono con rate semestrali costanti posticipate (di solito con scadenza 30 giugno e 31 dicembre di ogni anno). Durante i primi 24 mesi il beneficiario non paga quote capitale, e l’eventuale interesse maturato in tale periodo viene capitalizzato o sostenuto dal contributo in conto interessi. Dal terzo anno iniziano le rate comprensive di capitale (ammortamento in 12 rate semestrali su 6 anni). Ad esempio, un prestito di €30.000 comporterà, dopo i 2 anni di grazia, 6 anni di rimborso con rate semestrali di circa €2.500 ciascuna (importo variabile in base al tasso e al piano preciso). La prima rata post-preammortamento potrebbe essere leggermente inferiore alle altre se il primo periodo è stato inferiore al semestre pieno.
- Tasso di interesse: La convenzione prevede un tasso fisso concordato. Tipicamente, il tasso nominale applicato è agganciato a un parametro (ad esempio l’Eurirs a 8 anni) più uno spread bancario. In un esempio fornito da una banca, il tasso nominale annuo era ~5,83% fisso (con TAEG lordo 6,11%). Tuttavia, il beneficiario non sostiene questo costo, in quanto Invitalia copre integralmente gli interessi tramite il contributo in conto interessi. In pratica il mutuatario potrebbe dover pagare le rate comprensive di interessi, ma la quota interessi gli viene restituita da Invitalia (accreditata su un conto vincolato). Alcune banche potrebbero anche strutturare la cosa in modo che il beneficiario versi direttamente solo la quota capitale, mentre la quota interessi viene versata dall’agenzia; dipende dagli accordi tecnici, ma l’effetto economico finale è lo stesso: tasso 0% a carico dell’imprenditore.
- Garanzie: Grazie all’intervento del Fondo di Garanzia PMI – sezione speciale Resto al Sud, la banca eroga il prestito senza richiedere garanzie reali o personali al beneficiario sulla parte principale del finanziamento. La garanzia pubblica copre infatti fino all’80% dell’importo erogato. Sulla quota eventualmente non garantita (il 20% residuo) le banche potrebbero tecnicamente richiedere ulteriori garanzie; tuttavia, data la natura dell’incentivo e la giovane età media dei richiedenti, spesso l’erogazione avviene senza garanzie aggiuntive (garanzia unsecured sul 20%). Il Fondo di Garanzia opera in modo semplificato: non valuta il merito creditizio del richiedente ex novo, ma si fida dell’istruttoria Invitalia. In caso di inadempimento (default sul mutuo), come vedremo, la banca potrà rivalersi su questo fondo per recuperare l’80% del credito residuo. Non sono previsti pegni o ipoteche iniziali sui beni dell’impresa (salvo forse facoltative su particolari acquisti finanziati, ma non usuali), proprio per facilitare l’accesso al credito a giovani senza patrimonio. Va però segnalato che l’impresa beneficiaria non può cedere o alienare i beni acquistati con le agevolazioni per almeno 5 anni dal completamento del progetto e comunque non prima di aver rimborsato interamente il mutuo agevolato, pena la revoca del beneficio. In sostanza i beni restano “vincolati” all’attività per quel periodo.
- Vincoli contrattuali e obblighi durante il rimborso: Il beneficiario, al momento della concessione, sottoscrive con Invitalia un provvedimento di concessione e con la banca un contratto di finanziamento. Nel provvedimento sono elencati vari obblighi da rispettare per tutta la durata del finanziamento. Tra questi: mantenere la sede operativa nell’area agevolata, non vendere l’attività, non cambiare la compagine sociale senza autorizzazione di Invitalia, non cumulare altri incentivi incompatibili, e come già citato non avere un rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato per la durata del mutuo. Tali impegni mirano ad assicurare che il destinatario si dedichi all’iniziativa finanziata e non la abbandoni prematuramente. Il contratto di mutuo stesso conterrà clausole standard sui casi di decadenza dal beneficio del termine (tipicamente: ritardo prolungato nel pagamento delle rate, uso improprio delle somme, insolvenza conclamata, ecc.), le quali danno facoltà alla banca di esigere immediatamente tutto il dovuto (prestito in scadenza anticipata) in caso di grave inadempimento.
- Calendario dei pagamenti: Come anticipato, le rate sono semestrali, di importo costante (fissa la quota capitale, invariata poiché il tasso è fisso). Ad esempio, per un prestito di €50.000, ipotizzando un piano standard a 6 anni di ammortamento, le rate semestrali di solo capitale sarebbero di circa €4.167 ciascuna (50.000/12). A queste andrebbe aggiunto l’eventuale interesse (che però viene rifuso da Invitalia). In pratica, il beneficiario dovrà disporre sul conto dedicato dell’importo della rata intera alla scadenza; Invitalia contemporaneamente accrediterà la quota interessi maturata tramite il suo contributo, cosicché i fondi sul conto siano sufficienti a pagare la banca. È cruciale quindi che il beneficiario rispetti le scadenze di pagamento: un ritardo, anche solo di pochi giorni, potrebbe non dar modo al contributo in conto interessi di coprire gli interessi dovuti, costringendo la banca ad addebitare l’interesse al beneficiario stesso (che diventerebbe così temporaneamente a suo carico fino a quando Invitalia non lo rifonde). Questo meccanismo richiede un’attenta gestione di cassa.
- Spese e commissioni: Le banche convenzionate applicano condizioni agevolate sul prestito. In genere non vi sono commissioni di istruttoria onerose (ad esempio può essere lo 0,5% dell’importo finanziato) né spese periodiche di gestione pratica. Molte spese sono azzerate (incasso rata, invio comunicazioni, etc.). Il beneficiario deve però aprire un conto corrente dedicato presso la banca finanziatrice per movimentare i fondi agevolati. Spesso il canone di questo conto è gratuito o agevolato per l’intera durata dell’operazione. L’utilizzo del conto dedicato serve a tenere separate le somme del finanziamento e del contributo a fondo perduto, così da facilitare i controlli. Va segnalato che, oltre al conto ordinario, viene aperto anche un conto vincolato indisponibile dove Invitalia verserà il contributo in conto interessi destinato a pagare gli interessi alla banca. Altra eventuale spesa è la polizza fideiussoria che il beneficiario deve presentare a Invitalia per ottenere le erogazioni a SAL del contributo a fondo perduto: infatti, di norma per anticipare il contributo prima della fine del progetto, Invitalia richiede una garanzia fideiussoria sul contributo stesso, che viene svincolata a fine lavori. Questo costo (premio della fideiussione) è a carico dell’impresa, ma dura solo finché non si rendiconta regolarmente.
In sintesi, le condizioni di rimborso del finanziamento Resto al Sud sono piuttosto vantaggiose: niente interessi effettivi, rate sostenibili spalmate su 6 anni (dopo due anni di avvio in cui non si rimborsa capitale) e garanzie statali che facilitano l’accesso al credito. Tuttavia, il beneficiario ha la responsabilità di gestire diligentemente il prestito e rispettare i vincoli. In caso di difficoltà nel rimborso, non sono previste in automatico moratorie o dilazioni aggiuntive (se non quelle eventualmente concesse in casi eccezionali, come fu durante l’emergenza Covid). Se il beneficiario teme di non riuscire a pagare le rate, deve attivarsi prontamente per trovare soluzioni (contattando la banca o Invitalia). Nel prossimo capitolo affrontiamo proprio lo scenario del mancato pagamento delle rate: cosa succede quando un beneficiario diventa inadempiente, quali conseguenze giuridiche e finanziarie si attivano e come intervengono Invitalia, le banche e gli altri attori in gioco.
Cosa succede in caso di mancato pagamento del finanziamento
Il mancato pagamento delle rate del finanziamento Resto al Sud innesca una serie di conseguenze a cascata, sia contrattuali che legali. L’incentivo, pur essendo agevolato, rimane in parte un debito verso una banca e verso lo Stato; pertanto, l’inadempienza espone il beneficiario alle azioni di recupero analoghe a quelle di un qualsiasi creditore, con alcune peculiarità dovute all’intervento pubblico. Esaminiamo in dettaglio cosa accade quando non si pagano le rate del mutuo agevolato, distinguendo le varie fasi:
1. Ritardo nel pagamento e interessi di mora
Se il beneficiario ritarda il pagamento di una rata oltre la data di scadenza (ad esempio non vi sono fondi sufficienti sul conto dedicato il 30 giugno o 31 dicembre), la banca applicherà innanzitutto gli interessi di mora sul pagamento tardivo. Il tasso di mora è definito nel contratto ed è tipicamente pari al tasso nominale contrattuale più una maggiorazione (ad esempio +1%). Ad esempio, se il tasso agevolato convenzionale è 0% per il beneficiario, ma 5,8% nominale per la banca, in caso di mora quest’ultima potrebbe applicare un tasso di circa 6,8% annuo sull’importo scaduto. Gli interessi di mora sono a carico del beneficiario (non coperti da Invitalia), in quanto derivano da un suo inadempimento. Dunque un breve ritardo può comportare il dover pagare una piccola quota di interessi extra non agevolati. La banca solitamente invia un sollecito di pagamento appena la rata diventa impagata, invitando a regolarizzare entro pochi giorni. Se il beneficiario paga con qualche giorno/settimana di ritardo, dovrà versare la rata arretrata più gli interessi di mora maturati nel frattempo. Un singolo ritardo di breve entità, se subito sanato, in genere non comporta altre sanzioni gravi: l’agevolazione continua, la banca non revoca il finanziamento e Invitalia non procede alla revoca, limitandosi eventualmente a registrare l’incidente.
Tuttavia, se i ritardi sono ripetuti o prolungati, la situazione si aggrava. Il contratto di mutuo può prevedere che il mancato pagamento di due rate consecutive dia luogo alla decadenza dal beneficio del termine (come per la generalità dei finanziamenti ex art. 40 TUB): ciò significa che la banca può considerare scaduto immediatamente tutto il debito residuo e richiederne il pagamento in un’unica soluzione. Ad esempio, se non si pagano le rate di giugno e dicembre di un anno, il 1° gennaio successivo la banca potrebbe comunicare la risoluzione del contratto di finanziamento e l’obbligo di restituire subito tutto il capitale ancora dovuto. Questa è una facoltà estrema, generalmente esercitata dopo vari solleciti e tentativi di recupero bonario.
2. Inadempimento conclamato e risoluzione del contratto
Quando il beneficiario non paga affatto le rate dovute, oppure accumula un ritardo significativo (es. diversi mesi) senza riuscire a sanarlo, la banca dichiara l’inadempimento e procede alla risoluzione del contratto di mutuo per inadempimento. Viene quindi richiesto formalmente il pagamento immediato di tutto l’importo residuo del prestito, maggiorato degli interessi contrattuali maturati e di mora. In questa fase la banca può ricorrere a strumenti legali di tutela del credito:
- Se il contratto di mutuo è stato stipulato tramite atto pubblico notarile (eventualità possibile se si è voluto attribuire efficacia esecutiva al contratto), esso costituisce già titolo esecutivo. La banca potrà quindi notificare al debitore un atto di precetto (ingiunzione a pagare entro 10 giorni) e, in mancanza, avviare esecuzione forzata (pignoramenti) senza bisogno di passare da un giudice per ottenere un decreto ingiuntivo. Se invece il contratto non ha efficacia esecutiva, la banca dovrà chiedere al tribunale un decreto ingiuntivo per le somme dovute. Data la natura documentata del credito (contratto di finanziamento e estratto conto delle rate impagate), il decreto ingiuntivo viene emesso abbastanza rapidamente (di solito provvisoriamente esecutivo, soprattutto se il mutuo era garantito da atto notarile). Ad esempio, diverse banche confezionano i mutui agevolati Invitalia in forma di scrittura privata autenticata dal notaio, sufficiente a ottenere un decreto immediatamente esecutivo ai sensi dell’art. 642 c.p.c. qualora il debitore non adempia, senza attendere i 40 giorni di opposizione.
- Contestualmente (o prima di procedere giudizialmente), la banca può attivare la Garanzia Statale. Nel caso di Resto al Sud, come detto, il Fondo di Garanzia per le PMI copre fino all’80% del finanziamento. Per escutere la garanzia, generalmente la banca deve dimostrare di aver tentato il recupero dal debitore. Spesso viene richiesta copia dell’atto di precetto o del decreto ingiuntivo presentato al tribunale. Una volta istruita la pratica, il Gestore del Fondo (Mediocredito Centrale) eroga alla banca l’importo garantito, cioè l’80% del capitale residuo più interessi contrattuali eventualmente maturati fino a quel momento. I tempi possono variare, ma in genere entro pochi mesi dall’inadempimento la banca riesce a recuperare gran parte del credito tramite il Fondo statale.
Facciamo un esempio numerico per chiarire: un’impresa individuale aveva ottenuto €60.000 di cui €30.000 a fondo perduto e €30.000 di prestito. Dopo due anni di preammortamento, l’impresa inizia a rimborsare ma, complice l’andamento negativo degli affari, paga solo le prime 2 rate semestrali (rimborsando €5.000) e poi smette di pagare. Rimangono €25.000 di capitale da restituire. La banca attende qualche mese, quindi dichiara la risoluzione del mutuo e chiede al Fondo di Garanzia l’80% di €25.000, ovvero €20.000. Una volta ottenuta tale somma dal Fondo, alla banca resta un credito scoperto di €5.000 (più eventuali interessi di mora) verso il debitore. La banca potrà decidere se tentare ulteriori azioni per recuperare quel 20% non coperto (in molti casi sì, specie se intravede beni aggredibili, altrimenti potrebbe anche considerare la perdita su quella parte). Ad ogni modo, per l’istituto di credito l’operazione si chiude con perdite limitate grazie alla garanzia pubblica. Per il beneficiario invece la situazione è molto più complessa, perché subentrano nuovi creditori pubblici al posto della banca.
3. Intervento di Invitalia e revoca delle agevolazioni
Nel momento in cui un beneficiario diventa inadempiente sul mutuo agevolato, Invitalia – in qualità di soggetto gestore del regime di aiuto – viene coinvolta da due punti di vista: come erogatrice del contributo a fondo perduto e come titolare della surrogazione nelle ragioni del credito dopo l’escussione della garanzia.
Revoca delle agevolazioni: Il regolamento di Resto al Sud prevede che il mancato rispetto degli obblighi contrattuali, tra cui l’obbligo di rimborsare il finanziamento, possa comportare la revoca totale o parziale delle agevolazioni concesse. In pratica, se un’impresa beneficiaria non rimborsa il prestito e quindi di fatto non completa il progetto o ne compromette la realizzazione, Invitalia avvia un procedimento di revoca del contributo. Viene emesso un provvedimento amministrativo che dichiara decaduto il soggetto dai benefici: ciò significa che il contributo a fondo perduto (o la parte di esso già erogata) diventa esigibile da parte di Invitalia. L’impresa dovrà quindi restituire il contributo ricevuto, di norma maggiorato degli interessi legali maturati dalla data di erogazione al saldo (questo per compensare il “godimento” indebito di fondi pubblici). La revoca in questi casi è pressoché certa: l’inosservanza dell’obbligo di rimborso infatti viene vista come un fallimento degli obiettivi dell’agevolazione. Ad esempio, nelle Linee Guida di Invitalia per la gestione di crediti in sofferenza, si fa riferimento a imprese “revocate per il solo mancato pagamento delle rate di finanziamento agevolato” come categorie ammesse a procedure transattive. Ciò indica che il mancato pagamento delle rate è considerato causa di revoca delle agevolazioni, qualora non vi siano altre irregolarità.
Con la revoca, Invitalia invia al beneficiario una lettera di escussione del contributo, intimando la restituzione della somma entro un certo termine. Riprendendo l’esempio precedente: l’impresa aveva ottenuto €30.000 a fondo perduto, supponiamo ne abbia già incassati €30.000 (a SAL o fine lavori). Dopo la revoca, quei €30.000 diventano un debito verso Invitalia. Se l’impresa non li restituisce spontaneamente, Invitalia potrà procedere giudizialmente (es. decreto ingiuntivo in quanto trattasi di somme dovute per effetto di un atto amministrativo di revoca) oppure – più frequentemente – iscrivere a ruolo il credito per il recupero coattivo tramite Agenzia delle Entrate-Riscossione (ex Equitalia). Infatti, i crediti vantati dallo Stato o da agenzie pubbliche possono essere riscossi tramite il ruolo esattoriale, evitando il passaggio in tribunale. In sostanza, dopo la revoca il beneficiario potrebbe vedersi recapitare una cartella esattoriale da Agenzia Riscossione per l’importo del contributo revocato più interessi e spese.
Surrogazione dello Stato nel credito bancario: Quando il Fondo di Garanzia paga l’80% dovuto alla banca, per legge lo Stato (o il gestore del Fondo) si surroga nei diritti del creditore soddisfatto per l’importo pagato. Significa che il nuovo creditore di quella parte di debito diventa l’ente pubblico che ha onorato la garanzia. In pratica, il beneficiario ora deve allo Stato l’80% del mutuo non rimborsato. Questo debito può essere gestito da Mediocredito Centrale (gestore del Fondo) oppure trasferito a Invitalia/MISE a seconda delle convenzioni interne. Generalmente, i crediti derivanti da garanzie escusse confluiscono anch’essi nelle procedure di riscossione pubblica. È frequente che tali crediti vengano iscritti a ruolo per la riscossione esattoriale. Dunque il beneficiario insolvente si troverà potenzialmente con due tipologie di debito verso entità pubbliche: (a) la restituzione del contributo a fondo perduto revocato e (b) la restituzione dell’80% del mutuo pagato dal Fondo di Garanzia alla banca.
Continuando il nostro esempio numerico: l’impresa insolvente aveva €25.000 di mutuo residuo; il Fondo ha pagato €20.000 alla banca. Questi €20.000 diventano un debito verso lo Stato. L’altro 20% (€5.000) rimane verso la banca (che potrebbe ancora agire per proprio conto). In totale il soggetto deve ora restituire €20.000 + €30.000 = €50.000 a soggetti pubblici. Sommando anche l’eventuale 20% rimasto alla banca (se questa non rinuncia), il debitore ha ancora sulle spalle circa €55.000, poco meno della somma inizialmente ricevuta – come si vede, la situazione debitoria resta grave nonostante la garanzia abbia sollevato il beneficiario dal debito verso la banca. La differenza è che ora il creditore è principalmente lo Stato (Invitalia/Mediocredito).
4. Azioni di recupero crediti e sanzioni legali
Una volta consolidato il debito verso lo Stato, la partita si sposta dunque sul fronte del recupero coattivo da parte degli enti pubblici. Gli strumenti a disposizione includono:
- Cartelle esattoriali e pignoramenti: Come anticipato, il credito pubblico può essere affidato all’Agente della Riscossione (Agenzia Entrate Riscossione). Questi notifica al debitore una cartella di pagamento indicante le somme dovute (capitale, interessi di mora, spese di notifica). Se la cartella non viene pagata entro 60 giorni, scatta la procedura esecutiva: il debitore può subire fermi amministrativi su veicoli, ipoteche legali su immobili di sua proprietà, e infine pignoramenti di beni mobili, immobili o crediti (conto corrente, stipendio, etc.). Trattandosi di credito dello Stato, le forme di esecuzione sono quelle tipiche delle imposte non pagate: ad esempio si può pignorare fino a 1/5 dello stipendio del debitore o escutere la quota di partecipazione in una S.r.l.. L’Avvocato Rossana Delbarba, rispondendo a un quesito sul recupero di un prestito d’onore Invitalia, ha confermato che Invitalia o Equitalia (oggi Agenzia Riscossione) possono agire esecutivamente rivalendosi su beni immobili, mobili, conti correnti e quote societarie per recuperare le somme non restituite. Ciò vale a maggior ragione per Resto al Sud, essendo anch’esso finanziamento pubblico. Il debitore potrebbe vedersi prelevare coattivamente le somme dovute dai suoi beni, con le stesse modalità di una cartella fiscale.
- Interessi e aggi esattoriali: Il debito verso lo Stato maturerà interessi di mora secondo i tassi di legge (che sono di natura tributaria e possono essere significativi). Inoltre, l’Agente della Riscossione applica un aggio (compenso) sul recuperato. Questo significa che, col passare del tempo, il debito lievita. Ad esempio, se passano anni senza pagamento, a fronte dei €50.000 iniziali se ne potrebbero dovere molti di più sommando interessi del 5-6% annuo e spese. Quindi l’inadempimento protratto risulta estremamente oneroso.
- Prescrizione del debito: I debiti derivanti da revoca di contributi pubblici e da escussione di garanzie statali non si estinguono rapidamente. Anzi, la giurisprudenza ha chiarito che il credito per restituzione di finanziamenti agevolati ha natura unitaria e si prescrive in 10 anni (prescrizione ordinaria) e non nel termine breve quinquennale previsto per le rate periodiche. Il Tribunale di Roma, ad esempio, con sentenza n. 10124 del 13 giugno 2024, ha affermato che all’obbligo di restituire la somma avuta a mutuo non si applica la prescrizione quinquennale delle obbligazioni periodiche, poiché si tratta di un debito unico, sebbene rateizzato. In altre parole, non basta attendere 5 anni sperando che il debito “cada in prescrizione”: lo Stato ha 10 anni (rinnovabili con atti interruttivi) per pretendere il dovuto. E ogni sollecito o cartella notificata interrompe i termini, spostando in avanti la scadenza. Dunque, l’esposizione debitoria può perseguitare il beneficiario per molti anni.
- Segnalazioni e conseguenze sul credito: Un beneficiario che non paga il finanziamento Resto al Sud verrà con ogni probabilità segnalato nelle banche dati creditizie. La banca stessa, dopo 1-2 rate non pagate, effettua una segnalazione in Centrale Rischi (CR) di Bankitalia per “sofferenza” o incaglio sul credito. Analogamente, potrà risultare nei sistemi privati (CRIF, Experian) come cattivo pagatore. Ciò rende difficile ottenere nuovi finanziamenti bancari in futuro. Inoltre Invitalia registrerà l’inadempienza: ciò potrebbe precludere l’accesso ad altri incentivi pubblici in futuro, poiché spesso i bandi escludono chi abbia precedenti revoche o situazioni irregolari con amministrazioni pubbliche.
- Decadenza dal beneficio e altri effetti contrattuali: La revoca dell’agevolazione comporta anche la risoluzione dell’atto di concessione. Il beneficiario decade da eventuali altri benefici collegati (ad esempio il contributo aggiuntivo di €15.000 per circolante, se non già erogato, non verrà concesso; se l’impresa era iscritta in elenchi di beneficiari per altre provvidenze, potrà essere esclusa, ecc.). In qualche caso Invitalia può decidere di escludere il soggetto da ulteriori iniziative di supporto: ad esempio, non potrà presentare una nuova domanda Resto al Sud per un progetto diverso, né accedere ad altri finanziamenti gestiti dall’agenzia, fintanto che non abbia sanato la posizione.
Riassumendo, se non si paga il finanziamento Resto al Sud, la banca recupera il possibile attraverso la garanzia statale, e lo Stato a sua volta si rivalerà sull’inadempiente con tutti gli strumenti a disposizione (revoca del contributo, ingiunzioni, cartelle esattoriali, pignoramenti). Dal punto di vista del beneficiario, l’insolvibilità porta quasi inevitabilmente alla perdita del contributo a fondo perduto (che deve restituire) e alla necessità di affrontare azioni legali aggressive. È un epilogo finanziariamente disastroso: si rischia di dover restituire importi paragonabili all’intera somma ricevuta, ma in condizioni peggiori (perché magari l’impresa nel frattempo li ha spesi e non dispone di liquidità). Inoltre, non esistono automatismi di “perdono” del debito: la garanzia statale protegge la banca, non libera il debitore. Quest’ultimo resta obbligato verso lo Stato. Nei prossimi capitoli vedremo come la giurisprudenza ha affrontato questi casi e quali possibilità ha un debitore inadempiente (transazioni, ristrutturazioni), nonché le conseguenze fiscali specifiche.
Analisi delle implicazioni legali: sanzioni, revoche e giurisprudenza (2024-2025)
Il mancato pagamento del finanziamento Resto al Sud può dare origine a contenziosi sia in sede civile che amministrativa, oltre a possibili rilievi penali in caso di irregolarità o frodi. In questa sezione analizziamo le principali implicazioni legali e gli orientamenti giurisprudenziali emersi sino al 2024-2025:
Conseguenze civili e contrattuali
Dal punto di vista civilistico, il rapporto tra beneficiario e banca (e successivamente tra beneficiario e Invitalia/Stato) è disciplinato dai contratti di finanziamento e dalle norme in materia di obbligazioni. L’inadempimento contrattuale porta alla risoluzione del contratto e all’obbligo di risarcire il danno, che nel nostro caso coincide con la restituzione delle somme dovute più interessi e spese. Non vi sono sanzioni “civili” ulteriori (non c’è, ad esempio, una multa privata), ma il debitore insolvente subisce tutte le misure di recupero coattivo già illustrate.
Un punto importante chiarito dalla giurisprudenza recente riguarda la prescrizione delle somme dovute. Si è visto che il Tribunale di Roma ha stabilito nel 2024 che per le rate di finanziamenti agevolati Invitalia la prescrizione è decennale, confermando un orientamento basato su sentenze di Cassazione (Cass. 2086/2008 e 17798/2011) secondo cui il debito derivante da un mutuo è unitario (sebbene rateizzato) e non una serie di obblighi periodici autonomi. Ciò significa che un beneficiario non può eccepire che ogni rata scaduta da oltre 5 anni sia prescritta, perché conta l’intero debito che si estingue in 10 anni dall’ultima rata o dall’atto di decadenza del termine. Questo allunga la finestra temporale in cui il creditore pubblico può agire.
Un altro tema potenzialmente rilevante è la prescrizione delle sanzioni amministrative legate alla revoca del contributo. La richiesta di restituzione delle somme pubbliche erogate potrebbe essere assimilata a indebito erariale con prescrizione anch’essa decennale (trattandosi di obbligazione derivante da provvedimento autoritativo). In ogni caso, chi non paga non può confidare nella prescrizione breve.
Sul fronte delle azioni legali della banca, va segnalato che vi sono stati casi di contestazioni delle somme pretese dalle banche dopo la risoluzione. Ad esempio, in qualche vicenda seguita dalla stampa specializzata, imprenditori hanno eccepito la presenza di interessi non dovuti o anatocismo nei decreti ingiuntivi delle banche, ottenendo la revoca o la riduzione di tali decreti. Un caso citato (Ramses Group, Tribunale di Teramo) riguarda la condanna di una banca per interessi illegittimi su un finanziamento agevolato, anche se non sono noti i dettagli specifici se fosse Resto al Sud o altro programma. Ciò suggerisce che, talora, contestare in giudizio le pretese bancarie (ad esempio verificando se gli interessi di mora applicati eccedono i limiti legali o se sono stati chiesti interessi quando dovevano essere a tasso zero) può essere una strategia per ridurre il debito. Si tratta comunque di aspetti tecnici che richiedono perizia contabile; in genere, salvo errori nel calcolo degli interessi di mora, le somme richieste dalla banca corrisponderanno al dovuto contrattuale.
Riguardo alle transazioni possibili, Invitalia in anni recenti ha mostrato apertura a soluzioni conciliative con imprese in difficoltà. Ad esempio, la Legge 178/2020 (art. 1 c. 274) ha introdotto la facoltà per Invitalia di accettare proposte transattive a saldo e stralcio dei crediti in sofferenza derivanti dalle proprie misure agevolative. Nelle Linee Guida per la gestione dei crediti in sofferenza pubblicate da Invitalia si prospetta, per imprese revocate solo per mancato pagamento, la possibilità di chiudere la posizione pagando un importo minimo prefissato in un’unica soluzione o dilazionato, tenuto conto delle garanzie e delle disponibilità del debitore. Ciò vuol dire che, in alcuni casi, Invitalia può accordarsi con il debitore per accettare un rimborso parziale e liberarlo del restante debito, per evitare lunghe e infruttuose esecuzioni. Ad esempio, se un’impresa deve €50.000, Invitalia potrebbe accettarne €30.000 subito come saldo finale. Ovviamente si valuta caso per caso (la legge di riferimento è la L. 178/2020 e le sue linee interpretative) e non c’è garanzia che una proposta venga accettata. Inoltre non tutti i casi sono ammissibili: imprese fallite o con irregolarità diverse dal mero mancato pagamento potrebbero essere escluse dalle transazioni. Questa è comunque una chance legale importante: consente, di fatto, di condonare parte del debito se l’impresa dimostra di poter pagare almeno una certa quota subito. Ne riparleremo nei suggerimenti finali.
Profili di giurisdizione e contenzioso amministrativo
Le vicende di Resto al Sud possono finire anche di fronte ai tribunali amministrativi (TAR). Infatti, l’iter di concessione e revoca delle agevolazioni è atto amministrativo di Invitalia (che opera come soggetto attuatore pubblico). Pertanto, un soggetto che si veda revocare il contributo o che subisca un diniego di ammissione all’incentivo può impugnare quel provvedimento davanti al TAR competente.
La competenza territoriale in questi casi è stata oggetto di chiarimenti giurisprudenziali. Invitalia ha sede a Roma, ma gli effetti delle agevolazioni riguardano specifici territori. Il Consiglio di Stato, con ordinanza sez. IV n. 6067/2021, ha stabilito che le controversie sui provvedimenti Invitalia relativi a incentivi localizzati competono al TAR del territorio interessato, e non al TAR Lazio. In particolare, nel caso esaminato si trattava di un bando per startup innovative (analogo come schema a Resto al Sud) destinato ad attività in Sicilia: il CdS ha dichiarato competente il TAR Catania, riconoscendo che gli “effetti diretti” dell’atto ricadono in quella regione e applicando il criterio del luogo di esecuzione dell’attività agevolata. Dunque, per Resto al Sud, un ricorso contro la revoca delle agevolazioni andrà presentato al TAR della regione dove si svolgeva il progetto (es. TAR Campania per un’azienda in Campania). Questo aspetto è utile per i beneficiari: significa poter far valere le proprie ragioni presso il giudice amministrativo locale, spesso più vicino alle dinamiche economiche del territorio.
Quali potrebbero essere le motivazioni di un ricorso al TAR? Alcuni esempi:
- Contestare un provvedimento di revoca sostenendo che non sussistevano i presupposti (ad es. l’impresa potrebbe sostenere di aver pagato le rate, anche se in ritardo, o che il mancato pagamento dipese da cause di forza maggiore). In questi casi il TAR valuta la legittimità dell’azione di Invitalia. Non sono ancora note sentenze specifiche su revoche Resto al Sud per insolvenza, ma per analogia con altri incentivi, il giudice potrebbe verificare se Invitalia ha seguito la procedura (preavviso di revoca, valutazione delle memorie difensive dell’impresa) e se la misura non sia sproporzionata. Tuttavia, se davvero le rate non sono state pagate, difficilmente il provvedimento potrà essere annullato: l’inadempienza è oggettiva. Forse si potrebbe ottenere al massimo l’annullamento parziale (es. revoca solo del contributo e non di un eventuale saldo di circolante, o viceversa), ma sono casi limite.
- Contestare un diniego di erogazione del saldo del contributo. Ad esempio, se Invitalia rifiutasse di erogare l’ultima tranche a SAL perché nel frattempo l’impresa è morosa sul mutuo, l’impresa potrebbe impugnare tale rifiuto per ottenere almeno i fondi a cui ritiene di aver diritto. È un contenzioso complicato: Invitalia potrebbe trattenere il saldo a compensazione di quanto dovuto dall’impresa per le rate non pagate (anche se formalmente i due importi vanno su canali diversi). Non risultano pronunce specifiche, ma è uno scenario possibile.
- Ricorsi contro dinieghi di ammissione o decadenza: Qui esuliamo dal mancato pagamento e guardiamo ad altri contenziosi su Resto al Sud. Diverse imprese escluse in fase iniziale hanno fatto ricorso. Ad esempio, il Consiglio di Stato con sentenza n. 4741/2021 ha esaminato un caso (relativo però a un incentivo autoimpiego simile) in cui Invitalia aveva negato le agevolazioni per carenze nel progetto e mancate informazioni chiare, e il Tar aveva dato ragione all’impresa, decisione poi appellata. Ciò insegna che Invitalia deve motivare bene i provvedimenti di diniego o revoca, altrimenti il giudice potrebbe annullarli per difetto di motivazione. Nel caso in questione, la società ricorrente lamentava che il colloquio con Invitalia non poteva da solo giustificare un giudizio di inaffidabilità, e il Tar aveva concordato. In appello, il CdS ha probabilmente riformato la sentenza (non abbiamo tutto il testo, ma appare un caso complesso su motivazione). In ogni caso, per Resto al Sud vale lo stesso principio: decisioni arbitrarie o poco motivate possono essere censurate in sede amministrativa.
Un aspetto da considerare è che spesso, se un beneficiario è insolvente, la sua condizione economica precaria rende poco utile (o possibile) affrontare un contenzioso amministrativo costoso. Tuttavia, in alcuni casi può convenire: ad esempio, se l’impresa è convinta di poter risanare la propria posizione, potrebbe impugnare la revoca per guadagnare tempo e magari intanto ripianare i debiti (così da chiedere l’annullamento della revoca perché nel frattempo ha pagato, dimostrando la volontà di adempiere). Anche se suona ipotetico, una sospensiva del TAR sulla revoca potrebbe congelare la richiesta di restituzione del contributo, dando respiro al debitore per trovare un accordo.
Profili penali e giurisprudenza in materia
Il mancato pagamento in sé non costituisce reato (l’insolvenza civile non è penalmente punita, a meno di eventi come fallimento fraudolento in procedure concorsuali). Tuttavia, attorno a Resto al Sud possono sorgere questioni penali in due ambiti principali:
1. Reati di indebita percezione di fondi pubblici o malversazione: Se il beneficiario ha ottenuto le agevolazioni con dichiarazioni false o artifizi, oppure se ha distratto le somme ricevute a scopi diversi da quelli del progetto, entrano in gioco fattispecie penali. L’ordinamento prevede il reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640-bis c.p.) e quello di malversazione ai danni dello Stato (art. 316-bis c.p.). Diverse inchieste hanno riguardato Resto al Sud. Nel 2022, ad esempio, un’indagine della DDA di Catanzaro ha scoperto un giro criminale che sfruttava Resto al Sud per frodare lo Stato: un consulente collegato alla ’ndrangheta predispose pratiche fittizie con fatture false per far ottenere i fondi a soggetti legati ai clan, generando un profitto illecito di almeno €186.000. In quel caso, gli indagati (tra cui un noto commercialista) sono accusati di truffa aggravata ai danni dello Stato e associazione mafiosa. In un altro caso emerso nel 2023 a Porto Torres (Sardegna), la titolare di una pizzeria beneficiaria di €60.000 è stata denunciata dalla Guardia di Finanza per malversazione, avendo speso circa €17.000 dei contributi in spese personali estranee all’attività. La malversazione (art. 316-bis c.p.) punisce chi, avendo ricevuto contributi pubblici per un’attività di pubblico interesse, non li destina alle finalità previste. È uno dei rischi per chi non utilizza correttamente le somme: oltre a doverle restituire, si può subire un processo penale con pene anche severe (reclusione). Va sottolineato che tali reati scattano indipendentemente dal pagamento delle rate: riguardano come sono stati usati i fondi. Dunque, anche un beneficiario che avesse pagato le rate ma avesse frodato sulle spese sarebbe perseguibile. Nel nostro contesto, se un imprenditore non paga le rate perché in realtà ha dirottato il denaro altrove, rischia fortemente un’indagine di questo tipo. Ad esempio, spendere l’anticipo di mutuo in acquisti personali, o gonfiare le fatture per farsi rimborsare più contributo, sono comportamenti che integrano reato.
2. Reati fallimentari (per le società): Se l’impresa beneficiaria è una società che poi fallisce, gli organi fallimentari potrebbero scrutinare l’uso del finanziamento. Se emergono distrazioni di denaro o aggravamento doloso del dissesto collegati alle agevolazioni, gli amministratori potrebbero rispondere di bancarotta fraudolenta. Ad esempio, se una S.r.l. incassa €100.000 di Resto al Sud, li spende in operazioni non legate all’oggetto sociale e fallisce senza rimborsare nulla, il curatore potrebbe denunciare gli amministratori. Questi casi rientrano nella normale disciplina fallimentare, non sono specifici del programma, ma il fatto di trattare denaro pubblico potrebbe spingere la Procura ad essere ancora più attenta. Inoltre, l’omesso versamento delle rate alla banca potrebbe essere considerato un evento di insolvenza rilevante per aprire il fallimento.
Nel panorama giurisprudenziale 2024-2025, possiamo evidenziare alcuni punti salienti:
- Tolleranza zero per le frodi sui fondi pubblici: Le sentenze e le misure cautelari in indagini come quella calabrese indicano che i giudici applicano rigorosamente le aggravanti mafiose e pubbliche nelle truffe su Resto al Sud. Non risultano ancora sentenze definitive perché le indagini sono recenti, ma l’indirizzo è chiaro: chi ha truffato per ottenere Resto al Sud sarà chiamato a risponderne penalmente, con sequestri dei beni pari alle somme indebitamente percepite. Dunque, oltre al recupero per via amministrativa, in tali casi c’è anche il sequestro preventivo per equivalente (ad esempio, beni sequestrati per €186.000 nel caso Porcaro-Mazzei) e poi la confisca in caso di condanna.
- Malversazione e revoca: Nel caso di Porto Torres, la denunciata dovrà affrontare un processo penale; nel frattempo, presumibilmente Invitalia avrà revocato l’agevolazione e chiederà indietro i soldi. La giurisprudenza penale richiede, per la malversazione, che i fondi siano stati destinati ad usi impropri con dolo (consapevolezza). La soglia di €17.000 su 60.000 suggerisce che solo una parte fu distratta, ma tanto basta per configurare il reato. Questo caso manda un messaggio: anche se si spende altrove “solo” una parte del contributo, si rischia grosso. E non regge come scusa la difficoltà dell’impresa: l’imprenditrice in questione forse ha usato quei soldi per necessità personali, ma legalmente è malversazione (uso indebito di fondi pubblici).
- Nesso tra insolvenza e reato: Può capitare che un beneficiario non paghi le rate perché, ad esempio, il progetto non ha prodotto utili o è fallito. Ciò di per sé non è reato. Tuttavia, se l’insolvenza è dovuta a cattiva gestione volontaria o a spese fuori contesto, quelle stesse condotte potrebbero essere rilevanti penalmente. Ad esempio, un amministratore che preleva dal conto dedicato i soldi del mutuo e li usa per scopi personali non solo non paga le rate (perché l’impresa non incassa nulla), ma commette appropriazione indebita o malversazione. Quindi, spesso insolvenza e illecito vanno a braccetto. Viceversa, se l’imprenditore ha agito correttamente ma il business è andato male (es. ha comprato i beni ma il mercato non ha risposto, e così non incassa per pagare le rate), non c’è reato: è un caso di sfortuna imprenditoriale punito solo sul piano civile.
In conclusione, la giurisprudenza legata a Resto al Sud sta via via affrontando vari aspetti: competenza territoriale (ormai definita a favore dei TAR locali), natura dei crediti (prescrizione decennale), obbligo di motivazione nei provvedimenti Invitalia (dinieghi), e repressione di abusi penali. Per un beneficiario inadempiente, è fondamentale sapere che:
- Non esiste un “tribunale speciale” indulgente: di fronte all’insolvenza, i giudici tenderanno ad applicare le regole ordinarie, che non giocano a favore del debitore.
- Se ci sono margini procedurali (errori di Invitalia, ecc.), vanno colti con un ricorso tempestivo al TAR o opposizioni civili. Ad esempio, se Invitalia revoca senza preavviso di rigetto ex art.10-bis L.241/90, si potrebbe eccepire un vizio di procedura.
- La difesa penale è possibile solo negando l’intento fraudolento; ma se le prove (es. bonifici a sé medesimo, intercettazioni) dimostrano l’abuso, la condanna è probabile.
Nei prossimi capitoli tratteremo gli ultimi aspetti: le conseguenze fiscali/tributarie del mancato pagamento e alcune simulazioni pratiche, prima di fornire una sezione di FAQ e la conclusione con consigli utili.
Conseguenze fiscali e tributarie del mancato pagamento
Il default sul finanziamento Resto al Sud può avere anche ripercussioni sotto il profilo fiscale e contabile, sia per l’impresa beneficiaria sia per i soggetti coinvolti (banche e Invitalia). Vediamo i principali punti da considerare:
1. Trattamento fiscale delle somme erogate e poi revocate: Il contributo a fondo perduto Resto al Sud è da considerarsi un’entrata in conto capitale per l’impresa beneficiaria. Normalmente, questi contributi non concorrono subito alla formazione del reddito imponibile, poiché la prassi fiscale italiana prevede che possano essere imputati a riduzione del costo dei beni acquistati (e quindi “spalmati” sotto forma di minori ammortamenti negli anni) o, in alternativa, contabilizzati tra i ricavi in quote costanti per la durata dei beni ammortizzabili. In entrambi i casi, l’effetto è una tassazione differita e frazionata del beneficio. Se tuttavia l’agevolazione viene revocata, l’impresa deve stornare il contributo dal bilancio e restituirlo. Fiscalmente, la somma restituita diviene una perdita deducibile (trattandosi di onere restitutorio di un provento precedentemente non tassato). Facciamo un esempio: un’impresa ha ricevuto €30.000 di contributo nel 2020 e li ha usati per comprare macchinari, riducendo il costo fiscalmente riconosciuto. Se nel 2024 deve restituire quei €30.000 per revoca, contabilizzerà un debito e una perdita. Fiscalmente dovrebbe poter dedurre la perdita (o rialzare il valore dei beni e dedurre maggiori ammortamenti futuri). C’è il rischio di disallineamenti e complicazioni, ma in linea di principio il fisco non tassa somme che poi vengono restituite. Bisogna però rispettare la corretta competenza: se la revoca avviene anni dopo, potrebbe essere necessario fare istanza di rimborso per le imposte pagate su ricavi (se si erano tassati) o aggiustare gli ammortamenti.
2. Interessi passivi e oneri finanziari: Durante la vita “normale” del finanziamento, gli interessi sul mutuo sono coperti da Invitalia e quindi non vengono dedotti dall’impresa (non li paga proprio). Tuttavia, in caso di insolvenza e decadenza dal beneficio, l’impresa potrebbe trovarsi a dover pagare interessi di mora e spese legali. Ad esempio, gli interessi di mora verso la banca (fino alla risoluzione) e quelli eventualmente dovuti allo Stato successivamente. Dal punto di vista fiscale, gli interessi di mora verso la banca sono assimilabili ad oneri finanziari deducibili (nei limiti della disciplina sul ROL, come per gli altri interessi passivi) in quanto derivanti dal contratto di mutuo. Gli interessi moratori verso l’erario (sul debito da cartella esattoriale) dovrebbero anch’essi essere deducibili per un’impresa, in quanto oneri da ritardato pagamento di somme che hanno origine nell’attività imprenditoriale (il contributo revocato). Non sono sanzioni amministrative, sono interessi compensativi, quindi deducibili. Invece eventuali sanzioni tributarie (multe) non lo sarebbero, ma qui non ci sono sanzioni tributarie in senso stretto, solo interessi e aggio che, quest’ultimo, si configura come costo accessorio di riscossione (deducibile in via generale).
3. Perdite su crediti e recuperi per i creditori: Dal lato di Invitalia/Stato, i crediti da recuperare in caso di revoca sono considerati crediti erariali. Se non recuperati integralmente, lo Stato può doverli portare a perdita. Questi aspetti riguardano la finanza pubblica più che il singolo beneficiario, ma meritano menzione: la Corte dei Conti potrebbe intervenire se constatasse inadempienze diffuse non perseguite. Quindi c’è una forte pressione affinché Invitalia e l’Agente della riscossione tentino il tutto per tutto per incassare. I bilanci pubblici considerano questi crediti come attivi fintantoché c’è speranza di recupero; solo dopo vari anni, in caso di inesigibilità, possono essere stralciati. Non c’è implicazione diretta per il beneficiario se non il fatto che lo Stato non “dimentica” facilmente il debito, perché anche i controllori esterni (Corte dei Conti) vigilano sul loro recupero.
4. Regime IVA: Il contributo a fondo perduto non è soggetto ad IVA (non è corrispettivo di servizi, è fuori campo IVA). La restituzione del contributo revocato segue la stessa logica: non c’è IVA da applicare (si tratta di riversamento di denaro). Quindi su questo fronte nessuna implicazione particolare. Invece, per le spese effettuate con i soldi agevolati: se l’impresa non ha pagato i fornitori o li ha pagati con il prestito poi non restituito, i fornitori avranno comunque emesso fatture con IVA e quell’IVA l’impresa l’avrà detratta normalmente se era soggetto IVA. La revoca del contributo non incide sulle operazioni IVA a monte, che restano valide (sempre che non fossero fittizie – ma allora entriamo nel penale). In caso di frodi con fatture false, come nel caso ‘ndrangheta citato, scattano anche reati tributari (dichiarazione fraudolenta ecc.), ma usciamo dal tema “non pagamento rate” e andiamo nel penale tributario.
5. Fallimento dell’impresa beneficiaria: Se il beneficiario è una società che fallisce, i crediti di Invitalia e dello Stato per contributi e mutui revocati partecipano al passivo fallimentare. Tali crediti potrebbero essere privilegiati? Il contributo a fondo perduto restituito forse no (non rientra tra i crediti privilegiati tipici come imposte o salari), potrebbe essere un credito chirografario dello Stato. L’80% del mutuo surrogato potrebbe avere un privilegio in quanto credito derivante da finanziamento con garanzia pubblica? Probabilmente no, rimane chirografo anche quello (la garanzia ha operato per la banca, non per il credito dello Stato). Quindi, in uno scenario di fallimento, lo Stato potrebbe recuperare poco o nulla se l’impresa non ha attivo. Questo spiega perché si cerca di escutere anche i garanti personali o i soci: spesso Invitalia si sarà fatta dare garanzie personali sui soci (anche se la garanzia pubblica copriva l’80%, la banca per il 20% residuo talvolta chiede fideiussioni ai soci). Quei garanti rispondono col patrimonio personale e possono essere escussi anche se la società fallisce. Dunque, dal punto di vista fiscale, se una società fallisce lasciando debiti verso Invitalia, questi diventano perdite deducibili per lo Stato (per così dire) e un eventuale danno erariale di cui può essere chiamato a rispondere l’organo gestionale se c’è stata negligenza nella concessione o nel controllo.
6. Effetti sul beneficiario persona fisica (socio o ditta individuale): Molte iniziative Resto al Sud sono ditte individuali o società di persone, quindi il confine tra impresa e persona è sottile. Un imprenditore individuale insolvente vede il proprio debito verso l’Erario assimilabile a un debito tributario personale. Questo significa che, oltre alle azioni esecutive, quel debito incide sul suo patrimonio personale e qualunque eventuale rimborso/condono rileva nella sua sfera fiscale personale. Ad esempio, se parte del debito viene condonato (mettiamo che attraverso una composizione con i creditori ex L.3/2012 ottenga lo stralcio del 50% del dovuto), tecnicamente la parte stralciata configurerebbe una sopravvenienza attiva per il debitore, cioè un reddito imponibile derivante dalla riduzione del debito. Fortunatamente, la legge sul sovraindebitamento prevede che le somme abbuonate ai debitori non costituiscano reddito imponibile in certi casi di procedure giudiziali, ma bisogna fare attenzione. In generale, se un creditore privato rinuncia a un credito, per il debitore c’è un reddito tassabile salvo eccezioni. Nel contesto pubblico, se lo stralcio avviene per legge (ad es. una pace fiscale), spesso viene esclusa la tassazione. Ad esempio, un’eventuale sanatoria o “rottamazione” di cartelle esattoriali potrebbe includere questi debiti (non c’è nulla di specifico su Resto al Sud, ma ipotizziamo una rottamazione delle cartelle 2018-2022: anche le cartelle di Invitalia rientrerebbero e pagando solo il capitale senza sanzioni, gli interessi verrebbero condonati senza effetti fiscali per il debitore).
7. Detraibilità dell’IVA sui beni non pagati: Un dettaglio: se l’impresa ha acquistato beni con le somme agevolate e poi non paga i fornitori (perché magari l’impresa fallisce), potrebbe scattare per i fornitori l’obbligo di emettere nota di credito IVA (per mancato incasso entro termini di legge, come previsto dal Codice della Crisi). Ma questo è tra fornitori e impresa, e fuoriesce dal rapporto con Invitalia. Lo citiamo solo per dire che l’insolvenza genera una scia di effetti: fornitori a loro volta recuperano l’IVA perché l’impresa non li paga, ecc. Una crisi di liquidità crea una catena.
In sintesi, le conseguenze tributarie per il beneficiario inadempiente sono principalmente quelle di vedersi equiparato a un debitore fiscale, con tutte le azioni esattoriali conseguenti (che si traducono anche in fenomeni contabili: interessi, addizionali, ecc.). Non c’è una “punizione fiscale” ulteriore oltre al recupero del dovuto, ma l’aspetto fiscale peggiora la situazione finanziaria perché aggiunge oneri e rende difficilmente estinguibile il debito (dato il lungo periodo di prescrizione). Per il beneficiario persona fisica c’è il rischio di dover dichiarare eventuali riduzioni di debito come redditi (a meno di procedure giudiziali protette), e per il sistema pubblico c’è l’attenzione a non creare perdite erariali (con possibili azioni di responsabilità per danno erariale qualora i funzionari Invitalia non tentino il recupero con diligenza).
Una conseguenza indiretta: l’impresa che non rimborsa e subisce revoca perde la possibilità di fruire di eventuali crediti d’imposta collegati. Ad esempio, alcune misure combinano incentivi nazionali con crediti d’imposta regionali: se l’impresa viene considerata decaduta dall’agevolazione, potrebbe dover rinunciare ad altri bonus (anche perché spesso i controlli dicono che l’impresa deve essere in regola con contributi, tasse, ecc. per avere incentivi). Quindi l’inadempienza può isolare l’impresa dal circuito virtuoso degli aiuti, portandola a pagare più tasse rispetto a competitor che invece usano crediti d’imposta.
Procedure di contenzioso e recupero crediti (Invitalia e istituti bancari)
Abbiamo già delineato cosa fanno banca e Invitalia quando un beneficiario non paga. Qui ricapitoliamo in ottica “procedurale” i passi e gli strumenti, per chiarire chi fa cosa e in che ordine, e quali possibilità di difesa o componimento esistono in ogni fase:
Fase 1: Azioni della banca verso il debitore principale – Appena si verifica l’inadempimento (es. rata non pagata):
- La banca invia solleciti e intimazioni al beneficiario. Può inviare una lettera di messa in mora dopo 30 giorni di ritardo, intimando il pagamento entro un termine (es. 15 giorni) pena la risoluzione del contratto.
- Decorso inutilmente tale termine, l’istituto può dichiarare la decadenza dal beneficio del termine (comunicazione di risoluzione del mutuo) e contestualmente attivare i propri legali. Questi possono procedere con la richiesta di decreto ingiuntivo al tribunale competente (di solito quello della sede della banca o del debitore, a scelta). Trattandosi di credito derivante da un contratto scritto e da un conteggio ufficiale, il tribunale emette il decreto ingiuntivo spesso inaudita altera parte (senza sentire il debitore). Il decreto può essere immediatamente esecutivo se ricorrono i presupposti di legge (per i mutui è frequente sia così, specie se è allegata documentazione autenticata).
- La banca notifica al debitore il decreto ingiuntivo. Da questo momento, il debitore ha 40 giorni per fare opposizione se ritiene il decreto infondato. In mancanza di opposizione, il decreto diventa definitivo ed esecutivo.
- In parallelo o subito dopo, la banca può notificare un atto di precetto, intimando il pagamento entro 10 giorni in base al decreto (o all’atto notarile, se ne aveva uno esecutivo).
- Scaduti anche i 10 giorni, la banca può promuovere il pignoramento di beni (conto corrente, stipendio, immobili, ecc.).
- Difese del debitore in questa fase: può proporre opposizione a decreto ingiuntivo entro 40 giorni dalla notifica, contestando magari il calcolo degli interessi o l’applicazione di penali. Può anche chiedere al giudice la sospensione dell’esecuzione se ci sono motivi gravi. Nel merito, se il contratto c’è e la morosità è vera, le chance di vincere sono scarse, ma come detto a volte si possono eccepire questioni (usura sugli interessi di mora? Anatocismo? incompetenza territoriale del foro se clausola vessatoria? ecc.). Sono difese tecniche e raramente eliminano il debito, magari lo riducono. L’opposizione sposta la disputa su un piano civile ordinario, che può durare anni – nel frattempo il decreto può essere sospeso (se concesso) oppure eseguito. Nota: se il debitore oppone, la banca comunque ha la garanzia statale che può attivare presentando il decreto ingiuntivo (anche se opposto, probabilmente il Fondo chiederà almeno un titolo esecutivo per pagare). Quindi l’opposizione non blocca l’escussione della garanzia.
Fase 2: Escussione della garanzia statale – La banca, come visto, si rivolge al Fondo di Garanzia:
- Presenta domanda di escussione allegando la documentazione richiesta: in genere prova dell’inadempimento (rate scadute impagate), copia della comunicazione di risoluzione del contratto, eventuale titolo esecutivo (decreto ingiuntivo). Le Disposizioni Operative del Fondo semplificano la procedura per Resto al Sud, quindi non serve attendere l’esito finale di un pignoramento: è sufficiente dimostrare che il credito è rimasto insoluto e che sono state avviate le azioni esecutive.
- Il Fondo (gestito da Mediocredito) istruisce la pratica e liquida alla banca l’80% di quanto dovuto. La banca potrebbe dover attendere qualche mese, ma mediamente entro 6-12 mesi dall’inadempimento ottiene il rimborso parziale.
- A questo punto la banca ha recuperato quasi tutto e cessa il proprio interesse a perseguitare il debitore, salvo per il restante 20%. Può decidere di tentare comunque di recuperare anche quello (per principio o se pensa che il debitore abbia capacità). Oppure può vendere il credito residuo a società di recupero (operazione che però su piccoli importi ha poco mercato) o semplicemente tenerlo a perdita. Spesso, se il debitore è nullatenente o quasi, la banca incassa l’80% e su quel 20% può evitare spese ulteriori. Ma il debitore non se ne libera: come visto, quell’80% è ora dovuto allo Stato.
Fase 3: Azioni di Invitalia/Stato – Invitalia, venuta a conoscenza del default (perché la banca comunica l’escussione del Fondo, oppure perché il beneficiario non rendiconta più nulla e scattano i controlli), procede così:
- A livello amministrativo, avvia il procedimento di revoca dell’agevolazione. Invia un preavviso di revoca indicando le inadempienze (mancato rimborso del finanziamento, progetto non concluso, ecc.) e asse- Continua da Fase 2 –
Fase 3: Azioni di Invitalia/Stato (revoca e riscossione) – Quando l’inadempimento risulta conclamato:
- Invitalia invia una comunicazione di avvio del procedimento di revoca delle agevolazioni, permettendo al beneficiario di presentare memorie difensive entro un termine (di solito 10-15 giorni). In assenza di elementi eccezionali, segue il provvedimento di revoca formale delle agevolazioni concesso (contributo a fondo perduto e eventuali incentivi aggiuntivi). Tale provvedimento indica l’importo da restituire e viene notificato all’impresa beneficiaria.
- Contestualmente o subito dopo, Invitalia iscrive a bilancio il relativo credito da restituzione verso il beneficiario. La pratica passa all’ufficio legale o a una sezione recupero crediti di Invitalia/MISE. L’obiettivo è trasformare il provvedimento di revoca in un titolo esecutivo per il recupero. Spesso, in virtù del provvedimento, Invitalia può emettere un ingiunzione di pagamento ai sensi del R.D. 639/1910 (ingiunzione fiscale) oppure richiedere all’Agenzia delle Entrate-Riscossione di emettere una cartella esattoriale per quelle somme. In altri termini, la richiesta di restituzione può seguire la via della riscossione coattiva come se fosse un tributo non pagato.
- L’Agente della Riscossione (ex Equitalia) notifica quindi una cartella di pagamento al debitore, intimando il versamento entro 60 giorni. Se la cartella non viene pagata né annullata da un giudice, trascorso il termine l’Agente può avviare le procedure esecutive (ipoteche, fermi, pignoramenti) come visto sopra. Il debitore ha facoltà di chiedere una rateizzazione amministrativa della cartella (ad esempio dilazionando su 5-6 anni il debito).
- Difese del debitore in questa fase: può presentare ricorso al TAR contro il provvedimento di revoca (entro 60 giorni dalla notifica) e/o ricorso in Commissione Tributaria contro la cartella (entro 60 giorni se si ritiene illegittima la pretesa iscritta a ruolo). La giurisprudenza non è univoca sul giudice competente per opporsi a cartelle derivanti da revoche di contributi: alcuni ritengono competente il giudice tributario, altri il giudice amministrativo, essendo un credito di natura pubblicistica ma non un tributo. In ogni caso, il debitore deve muoversi con consulenti legali specializzati, perché il mancato impugnamento nei termini rende definitiva la cartella. Se è stato presentato già ricorso al TAR avverso la revoca, di solito la cartella può essere sospesa in attesa dell’esito (il TAR può emettere decreto cautelare per sospendere la riscossione). Bisogna quindi coordinare la difesa amministrativa con quella esattoriale.
Fase 4: Composizione bonaria o procedure concorsuali – In qualsiasi momento dopo la fase 2, il debitore e Invitalia/Stato possono valutare un accordo transattivo:
- Come accennato, grazie alla normativa vigente Invitalia ha margini per accettare transazioni a saldo e stralcio su crediti da finanziamenti agevolati. Spesso l’iniziativa deve partire dal debitore, che propone di pagare subito una certa somma (superiore a quanto recupererebbe lo Stato vendendo il credito o procedendo con difficoltà). Se Invitalia ritiene conveniente l’offerta – ad esempio perché il debitore è nullatenente e offre una piccola percentuale ma subito – può aderire e formalizzare l’accordo. Questo estingue la pretesa residua.
- Se il debitore è una società fallita, i creditori (tra cui Invitalia) partecipano al riparto del fallimento. Potrebbero ricevere poco o nulla. In tal caso, una volta chiuso il fallimento, l’eventuale debito residuo della società è inesigibile (la società viene cancellata). Attenzione però: se la società aveva soci garanti o coobbligati, la loro obbligazione resta.
- Se il debitore è una persona fisica sovraindebitata, può ricorrere al tribunale civile per un piano del consumatore o concordato minore (Legge 3/2012, oggi Codice della Crisi). In tale sede può proporre di pagare parzialmente i debiti (inclusi quelli verso Invitalia/Erario) e farsi esdebitare del resto. Serve l’approvazione del giudice e (in alcuni casi) il voto dei creditori. Ad esempio, un ex imprenditore potrebbe proporre di pagare, con il proprio stipendio, il 50% del debito Invitalia in 7 anni, chiedendo esdebitazione del restante 50%. Se il giudice omologa il piano, Invitalia dovrà accettare quell’importo e poi il debitore sarà liberato legalmente dal debito residuo. Questa è un’ultima ratio, ma è una tutela prevista ordinariamente dall’ordinamento per dare una seconda chance agli indebitati onesti.
Riassumendo le strategie di difesa:
- Trattativa con la banca: possibilità limitate (magari una dilazione informale breve). Dopo la risoluzione, però, la banca passa la palla al Fondo di Garanzia.
- Opposizione giudiziaria: contro decreto ingiuntivo bancario (per questioni tecniche), contro il provvedimento di revoca (se illegittimo) e contro eventuali atti esecutivi esagerati (es. pignoramenti viziati).
- Rateizzazioni: sfruttare le dilazioni sia bancarie (se accordate) sia ex Equitalia (che per importi sotto €60.000 concede piani fino a 72 rate senza troppe formalità).
- Transazione con Invitalia: se si dispone di una somma per chiudere, tentare l’accordo a saldo e stralcio.
- Procedure da sovraindebitamento: se il debito è insostenibile e non si hanno beni aggredibili, valutare questa strada con l’ausilio di un OCC (Organismo Composizione Crisi).
È importante evidenziare che tutte queste possibilità richiedono tempestività. Molti beneficiari inadempienti, per inesperienza o paura, lasciano passare il tempo ignorando le comunicazioni: ciò è l’errore peggiore, perché porta a perdere ogni possibilità di negoziazione e ci si ritrova con pignoramenti in atto.
Simulazioni pratiche di casi di default
Per comprendere concretamente l’impatto del mancato rimborso, proponiamo di seguito alcune simulazioni numeriche di casi di default o irregolarità nel rimborso, con ipotesi semplificate:
Caso A – Ditta individuale, importo minimo non rimborsato: Maria avvia nel 2020 un’attività in Molise come lavoratrice autonoma. Ottiene €40.000 totali da Resto al Sud (di cui €20.000 a fondo perduto e €20.000 di mutuo agevolato). Dopo i primi due anni, fatica a pagare le rate semestrali da circa €1.667. Paga solo 2 rate e poi interrompe i pagamenti con €15.000 di capitale ancora da rimborsare. Cosa succede?
- Alla banca: rimangono €15.000 di mutuo insoluto. La banca escute la garanzia statale e riceve l’80% = €12.000 dal Fondo di Garanzia. Le resta un buco di €3.000. Decide comunque di notificare decreto ingiuntivo a Maria per l’intero (€15.000 + interessi). Maria non si oppone, ma non ha beni: la banca recupera €12.000 dal Fondo e mette a perdita €3.000.
- A Maria viene revocato il contributo: Invitalia le chiede indietro i €20.000 a fondo perduto ricevuti. Inoltre lo Stato (Mediocredito) la surroga per i €12.000 pagati alla banca. In totale Maria formalmente deve €32.000 allo Stato.
- Recupero: Maria, non pagando, riceve cartella esattoriale di Equitalia per €32.000 + interessi. Non possedendo immobili né avendo stipendi (la sua attività è cessata), Equitalia le blocca il conto corrente (dove c’è poco) e iscrive ipoteca su un piccolo terreno ereditato (di valore modesto). Maria, spaventata, si rivolge a un organismo di composizione della crisi e ottiene un piano che prevede di versare €10.000 (raccolti da parenti) in un’unica soluzione a saldo di tutti i debiti. Invitalia accetta in sede di procedura e le viene cancellato il debito residuo di €22.000. In definitiva, Maria su €40.000 avuti ne ha restituiti circa €13.333 (le due rate iniziali) + €10.000 transattivi = €23.333, ma ad un costo elevato: ha dovuto chiudere l’attività, utilizzare aiuti familiari e ha perso l’agevolazione.
Caso B – Società di persone, default parziale con recupero parziale: Una società in accomandita semplice in Puglia ottiene nel 2019 l’agevolazione massima: €200.000 (4 soci × €50.000). Di questi, €100.000 sono a fondo perduto e €100.000 a mutuo bancario a 8 anni. Avviano un B&B ma la pandemia e altri fattori riducono i ricavi. La società riesce a pagare per 3 anni, restituendo €50.000 di capitale, poi nel 2023 va in crisi e non paga più. Restano €50.000 di mutuo. Cosa accade?
- Banca: dichiara il default e attiva la garanzia. Il Fondo rimborsa €40.000 (80%). La banca ha ancora €10.000 esposti. Siccome però la società ha due immobili adibiti a B&B, la banca li pignora: con l’asta ne ricava €60.000, di cui €10.000 vanno a lei (coprendo il residuo mutuo) e il surplus €50.000 torna alla procedura concorsuale (la società nel frattempo ha avviato liquidazione).
- Contributo: Invitalia revoca i €100.000 a fondo perduto. Poiché i soci hanno firmato garanzie personali pro-quota, notifica a ciascuno un’ingiunzione per €25.000 (la loro parte) e ottiene decreti ingiuntivi.
- Recupero Invitalia: uno dei soci è nullatenente, uno ha un reddito modesto, due hanno beni. L’Agente Riscossione pignora un appartamento a uno dei soci e lo vende ricavando €30.000, che coprono la metà del contributo dovuto da quel socio (era €25.000 + interessi). L’altro socio benestante, per evitare il peggio, chiede una rateazione e paga €500 al mese per 6 anni per un totale di ~€36.000 (coprendo suo dovuto + interessi). Gli altri due soci, essendo insolvibili, rimangono con debito pendente ma senza esecuzioni fruttuose.
- Esito: la banca è rientrata completamente (grazie a garanzia e pignoramento), Invitalia/Stato su €100.000 di contributo ne recupera circa €66.000 (30k + 36k) dagli unici due soci capienti, il resto rimane non riscosso (magari un giorno se i soci nullatenenti erediteranno qualcosa verrà preteso). La società è stata liquidata. I soci che hanno pagato hanno perso i beni/pagato a lungo; gli altri due di fatto escono senza aver potuto restituire niente, ma con la macchia dei debiti non pagati. Il progetto imprenditoriale è fallito e i posti di lavoro creati (forse 4) sono andati persi.
Caso C – Inadempienza tecnica e rimedio tardivo: Un imprenditore individuale in Sicilia ottiene €50.000 (35% fondo perduto, 65% mutuo, essendo pratica del 2018). Dopo qualche anno, per disattenzione, salta due rate del mutuo (importo circa €4.200). La banca risolve il contratto e segnala l’intero debito residuo (€30.000) come esigibile. L’imprenditore però nel frattempo ha ripreso fatturato e liquidità. Appena si rende conto, versa immediatamente alla banca tutto l’arretrato con interessi di mora (€4.400) e chiede di reintegrare il piano. La banca tuttavia aveva già inviato la segnalazione al Fondo di Garanzia e avviato la revoca.
- Invitalia infatti gli notifica la revoca per inadempimento. Lui invia memorie spiegando di aver saldato il dovuto e chiede la revoca in autotutela del provvedimento.
- Si instaura un contenzioso-lampo: il TAR Sicilia, vista la particolarità, sospende la revoca (l’impresa sta pagando di nuovo regolarmente). Invitalia, in sede di giudizio, annulla in autotutela la revoca concedendo all’imprenditore una sorta di “seconda chance” (nel frattempo la banca ha rinunciato alla garanzia statale visto che ha ricevuto i pagamenti).
- L’imprenditore continua a pagare le restanti rate e porta a termine il programma, mantenendo il contributo di €17.500 non dovendo restituirlo.
- Morale: in casi limite di ravvedimento operoso e progetto salvato, Invitalia può soprassedere alla revoca (soprattutto se nessun fondo pubblico è ancora uscito dalle casse, come qui dove la garanzia non era stata ancora erogata). Questi casi sono rari e non previsti esplicitamente, ma dimostrano che con un rapido intervento e un po’ di fortuna, il default può essere recuperato se si intercetta in tempo.
Questi esempi illustrano che gli esiti possono essere molto variabili: a volte lo Stato recupera buona parte dei fondi, altre volte subisce perdite significative; il beneficiario talora perde tutto (beni, contributo, attività), talora riesce a limitare i danni con negoziazioni o procedure. In generale, prima si agisce meglio è: i casi positivi (come il C) avvengono solo se il beneficiario reagisce tempestivamente. I casi negativi (A e B) mostrano le conseguenze di lasciare degenerare la situazione.
Dati statistici su inadempimenti e recupero crediti
Poiché Resto al Sud è un incentivo relativamente recente (le prime erogazioni sono del 2018) e molti finanziamenti sono ancora nella fase di rimborso, i dati sugli inadempimenti e sull’efficacia del recupero crediti sono in evoluzione. Non esistono pubblicazioni ufficiali periodiche che riportino, ad esempio, il tasso di default dei beneficiari, ma alcune informazioni si possono desumere:
- Tasso di rinuncia e revoca iniziale: Secondo un rapporto 2020 del sistema di valutazione coesione, la maggior parte delle rinunce/revoche riguarda rinunce volontarie o mancata attivazione del finanziamento. In particolare, circa 2/3 dei provvedimenti di revoca emessi entro il 2020 erano dovuti alla mancata consegna dei documenti per la stipula o all’inerzia del proponente, piuttosto che a inadempimenti dopo l’erogazione. Ciò significa che molti richiedenti ammessi in realtà poi non hanno finalizzato l’investimento (spesso perché non riuscivano a ottenere il mutuo bancario entro i termini, oppure perché hanno cambiato idea). Queste revoche “preventive” implicano la non erogazione né di prestito né di contributo, e quindi non generano un credito da recuperare (semplicemente l’agevolazione non viene usufruita). Al 27 aprile 2020 risultavano 18.813 domande presentate dall’avvio, ma solo una parte arrivò a concessione e di queste una frazione subì revoca per rinuncia. Questo dato (2/3 per rinunce) segnala dunque che, almeno nelle fasi iniziali, i casi di revoca per inadempimento successivo erano una minoranza (circa 1/3 delle revoche totali).
- Andamento dei rimborsi: Invitalia non ha diffuso pubblicamente (al maggio 2025) statistiche sul tasso di default dei mutui Resto al Sud. Tuttavia, i dati sui pagamenti del contributo a fondo perduto possono dare un’idea indiretta. A fine 2022 risultavano erogati solo €203 milioni sui €517,6 milioni di contributi concessi, pari a circa il 39%. Ciò indica che molti progetti erano ancora in corso e non avevano ricevuto tutto il contributo (possibilmente non avevano completato le spese). Una parte di questi progetti in ritardo potrebbe sfociare in revoche se non portati a termine. D’altro canto, il fatto che il 61% dei contributi promessi non fosse ancora erogato a fine 2022 può anche riflettere ritardi amministrativi o dilazioni richieste (non necessariamente insolvenze).
- Numero di revoche effettive: Non abbiamo una cifra ufficiale aggregata nazionale. Possiamo però guardare ad alcune regioni: in un’interrogazione parlamentare del 2021 (resoconti non ufficiali), si citava che in Calabria circa 80 progetti Resto al Sud erano decaduti o revocati su oltre 1.000 finanziati (indicando un tasso sotto il 10%). Potrebbe non essere rappresentativo. In regioni con più progetti (Campania, Sicilia), il numero assoluto di inadempienze sarà maggiore. Possiamo stimare (prudenzialmente) che su circa 18 mila progetti finanziati entro inizio 2025, i casi di insolvenza conclamata possano essere dell’ordine di qualche migliaio. Ad esempio, se anche un 5-10% dei progetti risultasse in default, significherebbe 900-1.800 imprese inadempienti. È però un dato ipotetico; sul medio termine, la percentuale potrebbe crescere considerando che non tutti i business reggeranno i 6-8 anni di rimborso.
- Efficienza del recupero: Resto al Sud è concepito in modo da minimizzare la perdita per le banche grazie alla garanzia statale (che funziona, come visto, recuperando l’80%). Per lo Stato, il recupero dipende dalla solvibilità residua dei debitori. Non ci sono statistiche pubbliche su quanto dello stock di crediti da revoca sia stato incassato. L’esperienza di altri schemi Invitalia (come “Prestito d’onore” degli anni 2000) non è molto positiva: in passato, Sviluppo Italia/Invitalia ha avuto difficoltà a recuperare integralmente i prestiti agevolati non pagati, tanto che una percentuale consistente è rimasta inesigibile. Nel caso Resto al Sud, tuttavia, intervengono gli Agenti della riscossione e c’è maggiore tracciabilità dei beneficiari (che sono imprenditori con sede nota). Anecdotica: alcuni studi legali segnalano, ad esempio, cartelle esattoriali arrivate per Resto al Sud anche a distanza di anni, segno che la macchina di recupero è attiva. Non risulta ad oggi una “sanatoria” politica di questi debiti (e probabilmente non ci sarà, essendo fondi pubblici mirati a obiettivi precisi).
- Azioni legali concluse: Non abbiamo notizia di cause civili concluse con condanne dei beneficiari oltre a quelle per recupero crediti (che sono procedure abbastanza standard). Sul fronte penale, invece, come detto ci sono state operazioni della Guardia di Finanza e Procure (diverse decine di persone indagate e arrestate tra 2020 e 2023 per truffe su Resto al Sud in varie regioni). Questo evidenzia un’attività di controllo a campione o su segnalazione che ha portato a scoprire abusi. Spesso, quando c’è un procedimento penale, il recupero crediti amministrativo viene sospeso in attesa dell’esito (ad esempio, se un soggetto è sotto processo per truffa aggravata, la restituzione dei fondi farà parte delle sanzioni e potrà essere ordinata dal giudice penale). Dunque, alcuni importi non risultano riscossi semplicemente perché “congelati” in attesa di definizione giudiziaria. Se il giudizio si conclude con condanna, il giudice penale può disporre la confisca dei beni equivalenti al contributo, assicurando allo Stato il recupero (se ci sono beni).
- Andamento geografico: Probabilmente, il tasso di default varia da regione a regione, in funzione anche della struttura economica locale. In regioni come Campania e Sicilia (che assorbono assieme ~80% delle agevolazioni) il numero di casi problematici sarà più elevato in valore assoluto. Uno studio SVIMEZ rilevava come la concentrazione settoriale su attività di piccole dimensioni e a basso valore aggiunto (es. turismo, servizi alla persona) potesse limitare l’impatto di Resto al Sud sul tessuto produttivo. Tali attività sono anche quelle spesso più fragili e a rischio chiusura. È dunque plausibile aspettarsi un tasso di mortalità delle imprese finanziate non trascurabile entro i 5 anni dall’avvio. Ad oggi, però, questi numeri non sono stati ufficializzati.
In conclusione, i dati disponibili suggeriscono che la maggior parte dei beneficiari di Resto al Sud sta adempiendo ai propri obblighi o comunque è riuscita a non incorrere in revoche definitive. Le revoche precoci per rinuncia hanno interessato molti casi nel periodo iniziale, mentre le insolvenze “pure” (dovute a fallimento del progetto) sembrano finora contenute entro percentuali ad una cifra. Bisognerà verificare nel 2025-2028, quando una larga quota di finanziamenti arriverà a scadenza, quale sarà la percentuale finale di default. L’efficacia dei meccanismi di recupero crediti pubblici rimane un punto interrogativo: storicamente il recupero totale è raro, ma con gli strumenti di riscossione attuali lo Stato può perseguire a lungo i debitori, quindi è probabile che una parte significativa (forse 40-60%) dei crediti da revoca venga incassata col tempo.
Va anche detto che, dall’altro lato, il successo del programma si misura nei tassi di sopravvivenza delle imprese create: se anche un 10-15% dovesse fallire, significherebbe comunque che l’85-90% ha proseguito l’attività, creando occupazione. In attesa di dati ufficiali consolidati, queste rimangono stime. È auspicabile che nei prossimi rapporti del MISE o del Dipartimento Coesione vengano pubblicati indicatori come: numero di revoche per mancato rimborso, importo delle somme recuperate, percentuale di recupero medio, ecc., per avere un quadro completo dell’efficacia di Resto al Sud non solo nell’erogare ma anche nel tutelare le risorse pubbliche.
Normativa di riferimento (aggiornata al 2025)
Elenchiamo qui i principali riferimenti normativi nazionali (e comunitari, se pertinenti) relativi a Resto al Sud, inclusi i provvedimenti istitutivi e le successive modifiche:
- Decreto-legge 20 giugno 2017, n. 91, art. 1 (commi 2-17): istitutivo della misura “Resto al Sud”, nell’ambito degli interventi per la coesione territoriale. Convertito con modificazioni dalla Legge 3 agosto 2017, n. 123. Questo è l’atto normativo base che definisce requisiti generali, risorse (Fondo Sviluppo e Coesione) e demanda a un decreto attuativo le modalità operative.
- Decreto del Ministro per la Coesione Territoriale e il Mezzogiorno 9 novembre 2017, n. 174: regolamento attuativo di Resto al Sud, pubblicato sulla G.U. n.284 del 5 dicembre 2017 ed entrato in vigore il 6/12/2017. Contiene in dettaglio criteri di ammissibilità delle spese, percentuali di contributo e finanziamento (nella versione originaria: 35% fondo perduto, 65% prestito), procedure di concessione, obblighi e cause di revoca.
- Circolare Attuativa del Dipartimento per le Politiche di Coesione (Presidenza del Consiglio) n. 33 del 22 dicembre 2017 e s.m.i.: linee guida operative per l’implementazione di Resto al Sud, con chiarimenti su istruttorie, erogazioni a SAL, rendicontazioni, vincoli (ad es. elenco attività escluse in allegato, uso beni per 5 anni, ecc.).
- Legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Legge di Bilancio 2019), art. 1, comma 601: modifica la disciplina estendendo l’agevolazione ai soggetti fino a 45 anni (in luogo di 35) e includendo tra i beneficiari anche i lavoratori autonomi e liberi professionisti (prima esclusi).
- Decreto-legge 24 ottobre 2019, n. 123 (Decreto “Sisma”), art. 5: estende l’ambito territoriale di Resto al Sud ai comuni del cratere sismico Centro Italia (terremoti 2016/17 in Lazio, Marche, Umbria). Inoltre elimina il limite di età per l’accesso all’agevolazione nei 24 comuni più colpiti (oltre 50% edifici inagibili). Convertito con modificazioni dalla Legge 12 dicembre 2019, n. 156.
- Decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (Decreto “Rilancio” 2020), art. 245 e 245-bis: potenzia significativamente Resto al Sud. In particolare l’art. 245-bis innalza la quota a fondo perduto dal 35% al 50% e corrispondentemente riduce al 50% la quota a prestito; aumenta l’importo massimo per iniziative individuali a €60.000 (rispetto ai €50.000 standard); prevede inoltre, all’art. 245, il riconoscimento di un ulteriore contributo a fondo perduto a titolo di liquidità a completamento progetto – €15.000 per ditte individuali/professionisti, €10.000 per socio (max €40.000 per società). Queste misure rafforzative hanno natura di misure anti-crisi (infatti furono introdotte nel contesto dell’emergenza Covid per sostenere le nuove imprese). Il decreto è stato convertito con modificazioni dalla Legge 17 luglio 2020, n. 77.
- Legge 30 dicembre 2020, n. 178 (Legge di Bilancio 2021), art. 1, commi 170-171: dispone l’ulteriore innalzamento del limite di età per Resto al Sud a 55 anni (under 56). Conferma inoltre le altre estensioni già introdotte nel 2020. Ciò amplia definitivamente la platea agli “under 56”, rendendo strutturali tali modifiche.
- Decreto-legge 10 settembre 2021, n. 121 (Decreto “Infrastrutture” 2021), art. 13: estende Resto al Sud al settore del commercio e ad alcune zone insulari del Centro-Nord (isole minori marine come Elba, Ponza ecc., isole lagunari come quelle venete), precedentemente escluse. Convertito con modificazioni dalla Legge 9 novembre 2021, n. 156. Questa modifica rimuove l’ultima grande esclusione settoriale, includendo negozi, ristoranti e attività commerciali in genere tra quelle finanziabili.
- Altri riferimenti: La misura rientra nell’ambito degli aiuti di Stato autorizzati per il Mezzogiorno (in regime di esenzione SA.49791, inizialmente De Minimis poi adeguato ai nuovi massimali). Non vi sono normative comunitarie specifiche citate nei decreti, se non il quadro di riferimento generale dei Regolamenti UE sugli aiuti regionali e di Stato. Inoltre, per la gestione della garanzia, si applicano le norme del Fondo di Garanzia PMI (L. 662/96 e s.m.i., D.M. Mise 6/3/2017) e le relative Disposizioni operative: la Sezione Speciale Resto al Sud del Fondo è istituita dall’art. 1, c. 9, lett. b) D.L. 91/2017, e opera secondo le modalità semplificate illustrate (garanzia diretta all’80%, esenzione valutazione merito creditizio). In caso di revoca e recupero, trovano applicazione le norme generali sulla riscossione coattiva delle entrate patrimoniali dello Stato (R.D. 639/1910) e, se necessario, il Codice di procedura civile per le esecuzioni forzate.
- Normativa penale correlata: art. 316-bis c.p. (Malversazione ai danni dello Stato, per uso difforme delle somme pubbliche), art. 640-bis c.p. (Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, per false attestazioni in domanda), D.Lgs. 231/2001 (responsabilità amministrativa enti, applicabile se una società commette reati di truffa verso lo Stato). Queste norme entrano in gioco se vi sono illeciti nella fruizione dell’agevolazione.
- Normativa sulla composizione debiti: Legge 3/2012 (ora Codice della Crisi d’Impresa, D.Lgs. 14/2019, art. 65 e ss.) sul sovraindebitamento, che può essere utilizzata dal debitore inadempiente per trovare un accordo giudiziale con Invitalia/creditori.
FAQ – Domande frequenti su Resto al Sud e mancato pagamento
Di seguito una serie di domande comuni sul tema del finanziamento Resto al Sud e delle conseguenze in caso di problemi nel rimborso, con risposte chiare basate su quanto esposto:
- D: Cosa succede se pago una rata con qualche giorno di ritardo?
R: In caso di lieve ritardo, la banca applicherà solo gli interessi di mora per i giorni di ritardo (tipicamente tasso contrattuale +1%). Se si salda entro poche settimane, di norma non si attivano procedure di revoca: l’importante è comunicare subito con la banca e regolarizzare. Tuttavia, più di un ritardo può far perdere credibilità e, se i ritardi sono ripetuti, la banca potrebbe segnalare la situazione a Invitalia. Quindi è bene evitare anche piccoli ritardi, oppure farsi accordare per iscritto un breve rinvio della scadenza se proprio necessario. - D: Posso ottenere una sospensione o dilazione delle rate del mutuo Resto al Sud?
R: Non è prevista automaticamente una moratoria. Durante l’emergenza Covid nel 2020, il MISE ha permesso la sospensione di 12 mesi della quota capitale e l’allungamento a 15 anni per alcuni finanziamenti agevolati, ma riguardava bandi precedenti (Investimenti innovativi, ecc.). Per Resto al Sud specificamente non c’è una moratoria dedicata per legge. Tuttavia, nulla vieta di chiedere alla banca una rinegoziazione privata: se avete pagato regolarmente per un certo periodo e poi avete difficoltà, la banca potrebbe, su propria discrezione, concedere una proroga o una riscadenzazione (soprattutto se Invitalia acconsente). Inoltre Invitalia offre un servizio di rinegoziazione e dilazione per imprese beneficiarie in difficoltà (menzionato tra i servizi di supporto): conviene contattare Invitalia per valutare se il vostro caso rientra. Ricordate però che finché la normativa non prevede espressamente la moratoria, la banca potrebbe anche rifiutare; in tal caso restano le soluzioni alternative (transazioni, ecc.). - D: Se la mia impresa chiude o fallisce, devo restituire il contributo a fondo perduto?
R: Sì. La chiusura anticipata dell’attività finanziata, specie se entro i primi 5 anni, è causa di revoca delle agevolazioni. Invitalia vi chiederà indietro l’intero contributo a fondo perduto ricevuto. Non importa se l’attività ha chiuso per cause di forza maggiore: il contributo era vincolato al proseguimento dell’iniziativa. Nel caso di procedure concorsuali (fallimento, liquidazione), il debito per il contributo diventa parte del passivo della procedura. In pratica, lo Stato si insinua come creditore e tenterà di recuperare nel limite possibile. Quindi, purtroppo, fallire l’impresa non esonera dal rimborso: anzi, formalmente accelera la richiesta di restituzione di tutto (prestito + contributo). Solo in casi fortunati, se la procedura fallimentare non lascia nulla e voi non avete garanzie personali, potreste non riuscire a restituire nulla; ma resterà una perdita per lo Stato e per voi una situazione debitoria irrisolta (che può anche tradursi in azioni di responsabilità verso gli amministratori, nei casi peggiori). - D: La garanzia statale dell’80% non copre il debito al posto mio?
R: Attenzione, è una garanzia a favore della banca, non una polizza a vostro favore. Significa che se voi non pagate, lo Stato paga la banca (80%), ma poi si rivale su di voi per lo stesso importo. Quindi non è un’assicurazione che vi solleva dal debito: semplicemente cambia il creditore (da banca a Stato). Il 20% restante rimane comunque a vostro carico verso la banca, a meno che la banca non lo consideri perduto. In sintesi, la garanzia vi aiuta solo indirettamente perché la banca sarà meno aggressiva (avendo copertura), ma voi dovete restituire comunque il prestito, altrimenti allo Stato. Non fate l’errore di credere che l’80% sia un regalo: per voi non lo è. - D: Se non riesco proprio a pagare, mi conviene lasciar perdere e magari “sparire”?
R: No, assolutamente no. Come visto, il debito verso lo Stato non sparisce e l’Agenzia Riscossione può colpirvi anche anni dopo. “Sparire” (cioè cessare l’attività e non avere beni intestati) può sembrare una soluzione, ma comporta una vita finanziaria compromessa: sarete segnalati come cattivo pagatore, non potrete intestare nulla a vostro nome per timore di pignoramenti, eventuali futuri redditi verrebbero aggrediti. Inoltre, è anche una situazione psicologicamente stressante. Meglio affrontare il problema: trattare una riduzione, rateizzare, o se proprio non avete nulla, valutare la procedura di sovraindebitamento per ottenere un’esdebitazione legale. Ignorare il problema vi porterà a ricevere cartelle, ulteriori interessi e magari provvedimenti penali se risultasse che avete commesso irregolarità. In breve: meglio collaborare e cercare un accordo che fuggire. - D: Posso negoziare con Invitalia una riduzione dell’importo da restituire?
R: Sì, in alcuni casi è possibile. Invitalia, grazie alla Legge di Bilancio 2021, ha linee guida per transare crediti in sofferenza. Ciò significa che, se siete già decaduti e dovete restituire tot soldi, potete proporre di pagarne subito una parte a saldo finale. Non è un diritto, è una facoltà discrezionale di Invitalia, valutata caso per caso. In genere, funziona se dimostrate che il recupero coattivo sarebbe lungo e incerto, mentre voi offrite una somma immediata (anche se parziale). Ad esempio, se dovete €50.000, ma potete raccoglierne €20.000 subito da parenti, potreste proporre di versare quelli e chiudere la partita. Invitalia potrebbe accettare pensando che altrimenti, magari, non recupererebbe niente. Quindi sì, tentare la via transattiva conviene. Formalmente dovete inviare una proposta motivata all’ufficio recupero crediti di Invitalia (spesso via PEC). Consigliabile farlo con l’assistenza di un legale o commercialista. Tenete presente che se invece avete ancora beni/ipotesi di recupero integrale, difficilmente Invitalia accetterà sconti sostanziali. - D: Dopo quanti anni non mi possono più chiedere i soldi (prescrizione)?
R: La prescrizione del debito è di 10 anni (ordinaria) e ogni atto interruttivo (lettera raccomandata, decreto ingiuntivo, cartella) fa ripartire il conteggio. Quindi, in pratica, non c’è un limite temporale breve: l’amministrazione vi terrà “in vita” il debito notificandovi atti prima che trascorrano 10 anni, e così via. È praticamente impossibile che scadano i termini senza azioni, a meno che davvero non riescano a trovarvi per 10 anni (ma con residenza anagrafica e PEC oggi è difficile). Dunque, è irrealistico confidare nella prescrizione per sfuggire: lo Stato ha tempi lunghi e memoria lunga. Solo se riusciste a non ricevere formalmente alcuna comunicazione per 10 anni si potrebbe eccepire prescrizione – scenario assai improbabile. - D: Posso utilizzare la legge “salva suicidi” (sovraindebitamento) per questo debito?
R: Sì. I debiti verso Invitalia e lo Stato rientrano tra quelli rinegoziabili in un piano del consumatore o accordo di composizione previsto dalla Legge 3/2012 (ora Codice Crisi). Ci sono diversi casi di successo in cui piccoli imprenditori con finanziamenti agevolati non ripagati hanno ottenuto dal giudice l’omologazione di un piano di rientro parziale. Ad esempio, un avvocato online consiglia di valutare la procedura di sovraindebitamento per stralciare in parte il debito Invitalia, pagando rate compatibili con le proprie possibilità. Chiaramente serve rivolgersi a un organismo autorizzato (OCC) e mostrare la propria completa insolvenza. Se il piano è approvato, vi consente di chiudere la posizione pagando magari solo una frazione del dovuto, con liberazione definitiva. È una soluzione estrema, ma legale e pensata proprio per chi è sommerso dai debiti. Tenete presente però che dovrete cessare l’attività o ridimensionarla, e in genere il sovraindebitamento “libera” la persona fisica dai debiti ma la priva di eventuali beni vendibili. - D: Il contributo a fondo perduto va dichiarato come reddito?
R: No, il contributo in conto capitale di Resto al Sud non è imponibile come ricavo. Viene contabilizzato a patrimonio netto o in conto capitale. Tuttavia riduce il costo ammortizzabile delle spese: in pratica il beneficio fiscale lo avete spalmato negli anni perché dedurrete meno ammortamenti. Non dovete includerlo nell’IRPEF/IRES nell’anno di incasso. Se però l’agevolazione viene revocata, quando restituite le somme queste diventano una perdita deducibile (il che compensa eventuali tasse pagate in più per via degli ammortamenti ridotti). Dal lato IVA, il contributo è fuori campo IVA, quindi non si genera credito/debito IVA da esso. Insomma, il fisco tratta queste somme come capitale, non come reddito ordinario. - D: Se spendessi i soldi per scopi diversi dall’investimento approvato e non pago il prestito, potrei cavarmela?
R: No, sarebbe la scelta peggiore: configurereste vari reati. Utilizzare i fondi pubblici per fini privati o diversi dal progetto è malversazione ai danni dello Stato (art. 316-bis c.p.). Se in più avete mentito a Invitalia su fatture e rendiconti, aggiungereste la truffa aggravata (art. 640-bis c.p.). In tal caso scatterebbe quasi certamente un’indagine penale: controlli incrociati e segnalazioni (anche anonime) ne fanno partire diverse. Le conseguenze penali vanno dalla reclusione (diversi anni) alla confisca di ciò che avete comprato. In sintesi, non fatelo! Sarebbe un tentativo di “farla franca” che quasi sempre finisce male. Molto meglio spendere correttamente i soldi e, se proprio l’attività non decolla, affrontare la questione per vie civili come spiegato. Le conseguenze penali sono di gran lunga peggiori di un debito non pagato. - D: Se muore il beneficiario durante il rimborso, cosa accade al debito?
R: Il debito rientra nell’asse ereditario. Gli eredi possono accettare o rinunciare all’eredità. Se accettano, ereditano anche l’obbligo di rimborso (salvo polizze assicurative di credit protection eventualmente stipulate). Se rinunciano all’eredità, chiaramente non subentrano nel debito (ma neanche nei beni eventualmente acquistati). Non ci sono clausole di perdono automatico per decesso. A volte le banche richiedono una polizza vita sull’intestatario del mutuo: se c’è, la compagnia pagherà il residuo in caso di morte (ma nel caso di Resto al Sud non è prassi richiederla). Dunque, gli eredi devono valutare cosa conviene: se il deceduto lascia beni e azienda avviata, probabilmente conviene proseguire e pagare le rate; se lascia solo debiti, potrebbero rinunciare. - D: Il mio progetto non sta andando bene, ma non sono ancora in default. Posso utilizzare parte del contributo a fondo perduto per pagare le rate del prestito?
R: In linea teorica nulla lo vieta: il contributo a fondo perduto è liquidità nelle vostre mani (dopo rendicontazione spese) e potete disporne. Pagare le rate del mutuo con quei soldi significa di fatto “consumare” una parte del beneficio per restituirlo. Non è vietato – alcuni potrebbero farlo per evitare insolvenze. Ovviamente ciò riduce i fondi disponibili per l’attività, e può indicare che il progetto non genera abbastanza utili. Ma se siete al limite e dovete scegliere tra pagare le rate con i fondi contributo o saltare la rata, è meglio pagare le rate (evitando default e mantenendo l’agevolazione). Nel lungo termine però dovrete riequilibrare i conti dell’impresa, perché il contributo è one-off e finirà. In ogni caso, mai usare il contributo per scopi estranei all’impresa (come detto, sarebbe malversazione). Usarlo per pagare il mutuo dell’impresa invece è lecito (state comunque sostenendo un onere dell’attività). - D: Posso estinguere anticipatamente il mutuo agevolato?
R: Sì, generalmente è consentito rimborsare anticipatamente in tutto o in parte il finanziamento bancario, senza penali. Anzi, se l’impresa genera profitti, è una mossa prudente ridurre il debito appena possibile. L’estinzione anticipata non comporta la perdita del contributo a fondo perduto, a condizione che l’attività prosegua per i termini previsti. Pagando prima il mutuo vi liberate dall’obbligo delle rate e rimanete solo con il contributo a fondo perduto “incassato” che non dovrete restituire, a patto di rispettare gli obblighi (continuare l’attività 5 anni, non vendere beni, etc.). Quindi sì, è permesso e spesso auspicabile. Verificate con la banca le procedure (di solito basta una comunicazione e il versamento del residuo). - D: Un domani posso richiedere un altro Resto al Sud per una nuova impresa o altri incentivi, se non ho pagato il primo?
R: In linea di massima, no. Chi è incorso in revoca o inadempienza su un’agevolazione è quasi sempre escluso da nuove agevolazioni finché non regolarizza. Ad esempio, i bandi Invitalia spesso richiedono la “regolarità contributiva e con le precedenti agevolazioni”. Inoltre, se siete segnalati in Centrale Rischi come sofferenza, difficilmente potrete accedere ad altri finanziamenti pubblici o di altro tipo. Insomma, un fallimento sul primo incentivo vi marchia negativamente. Se invece avete rimborsato tutto e l’impresa è fallita senza colpa, potreste tecnicamente ripresentarvi (ma Resto al Sud si può ottenere solo una volta per persona). Potreste provare con altri incentivi (es. “ON – Oltre Nuove Imprese a tasso zero”), ma va dichiarato l’eventuale precedente e Invitalia lo valuterebbe con sospetto se c’è stata revoca. L’unica maniera per “ripulire” la propria posizione è sanare il debito o trovare un accordo. A quel punto, in futuro, potrete dire di aver risolto e forse ottenere fiducia di nuovo.
Queste FAQ coprono i dubbi più comuni che un beneficiario o aspirante tale potrebbe avere in materia di obblighi di rimborso e rischi del mancato pagamento. In caso di ulteriori dubbi, è sempre consigliabile contattare direttamente Invitalia (che sul proprio sito ha anche una sezione “Contatti” per assistenza) o consultare un esperto legale/tributario.
Conclusione: suggerimenti e buone pratiche per evitare inadempimenti
Il programma Resto al Sud rappresenta un’importante opportunità di finanziamento per nuovi imprenditori e professionisti nelle regioni del Mezzogiorno e aree svantaggiate. Tuttavia, come abbiamo visto, comporta anche un impegno di restituzione da non sottovalutare. Prevenire situazioni di insolvenza è certamente meglio che doverle gestire a posteriori. In conclusione, riassumiamo alcuni suggerimenti chiave e buone pratiche affinché chi usufruisce di queste agevolazioni possa trarne beneficio senza incorrere in problemi:
- Pianificazione finanziaria realistica: Prima di richiedere Resto al Sud, fate un piano d’impresa solido, con previsioni di flussi di cassa che tengano conto delle rate di rimborso. Valutate prudenzialmente quando l’attività inizierà a generare utili e se avrete sufficiente liquidità per coprire le rate nei primi tempi. Ad esempio, se c’è un periodo iniziale di costruzione/ristrutturazione in cui l’impresa non incassa, prevedete già nel piano come coprire le rate dal terzo anno. Può essere utile destinare una parte del contributo a fondo perduto come riserva di cassa per pagare le prime rate del mutuo, in attesa che l’attività ingrani.
- Disciplina nell’uso dei fondi: Usate i soldi dell’agevolazione **esclusivamente per le sp- Disciplina nell’uso dei fondi: Usate i soldi dell’agevolazione esclusivamente per le spese ammesse e necessarie all’avvio dell’impresa. Resistete alla tentazione di destinare parte del denaro a scopi personali o estranei: oltre a essere illecito, priva l’azienda di risorse preziose. Ogni euro del finanziamento deve lavorare per far crescere l’attività, che è la miglior garanzia di poter rimborsare il debito. Mantenete una contabilità separata (il conto dedicato serve a questo): monitorate l’entrata e l’uscita dei fondi Resto al Sud e fate rendicontazioni puntuali.
- Monitoraggio costante e allerta precoce: Tenete sotto controllo l’andamento economico mese per mese. Se notate che i ricavi sono inferiori alle attese o che i costi sono maggiori, intervenite subito: tagliate spese non essenziali, cercate nuovi sbocchi, ecc. Prevedete con anticipo se ci saranno difficoltà a pagare una prossima rata. In tal caso, non aspettate di essere insolventi: contattate la banca e Invitalia, spiegate la situazione e chiedete se esistono soluzioni (ad esempio, una dilazione temporanea). Mostrarsi proattivi e in buona fede può indurre la banca a darvi un po’ di respiro. Al contrario, restare in silenzio e saltare una scadenza farà scattare subito le procedure formali.
- Comunicazione con gli enti finanziatori: Il rapporto con Invitalia non si esaurisce con la concessione. Invitalia offre servizi di accompagnamento e monitoraggio: approfittatene. Se avete dubbi o problemi, parlate con Invitalia. Ad esempio, esistono sportelli dedicati per rinegoziare (ove possibile) o per far entrare investitori in azienda (operazioni autorizzate che potrebbero portare capitali freschi). Far sapere all’ente che state cercando soluzioni può prevenire una revoca precipitosa. Anche con la banca, mantenete un dialogo aperto: informatevi sulle politiche di tolleranza, chiedete se potete spostare una scadenza prima di mancarla, ecc.
- Gestione prudente della liquidità: Nei primi anni, cercate di accantonare gli utili invece di prelevarli tutti. Costruite un fondo cassa per emergenze che possa coprire magari 1-2 rate nei momenti di magra. Ci saranno alti e bassi: se avete riserve, affronterete i bassi senza default. In sostanza, non vivete “alla giornata” sul cash flow. Inoltre, considerate strumenti assicurativi o finanziari per tutelarvi: ad esempio una polizza assicurativa sui crediti (meno comune per piccoli business) o sul titolare (che in caso di decesso copra il debito). Può sembrare eccessivo, ma fa parte della gestione oculata del rischio.
- Correttezza e tracciabilità: Rispettate alla lettera gli obblighi del provvedimento di concessione. Tenete per 5 anni i beni acquistati, non cambiate la sede senza autorizzazione, non vendete quote societarie senza permesso di Invitalia, e così via. Ogni cambio deve essere concordato, altrimenti può costituire causa di revoca indipendentemente dai pagamenti. Inoltre, documentate tutto: ogni spesa con fattura, ogni pagamento con bonifico tracciabile. Se mai Invitalia o la GdF vengono a controllare, avrete le carte in regola e chiuderete eventuali contestazioni sul nascere.
- Piano B e diversificazione: Valutate piani alternativi qualora il mercato non risponda come previsto. Ad esempio, se aprite un B&B e dopo un anno notate pochi turisti, ragionate su diversificare l’offerta (es. co-working, eventi locali) per aumentare i ricavi. Adattarsi può salvare il business e permettervi di onorare i debiti. In altri termini, non rimanete immobili se la realtà smentisce il vostro business plan iniziale. Mantenete un approccio flessibile e creativo: Resto al Sud vi dà il capitale di partenza, ma poi sta a voi farlo fruttare.
- Consulenza professionale: Non esitate a farvi affiancare da professionisti. Un commercialista può aiutarvi a gestire la contabilità in modo da ottimizzare l’uso del contributo e prevenire problemi fiscali. Un mentor d’impresa o un consulente Invitalia può darvi consigli strategici (Invitalia stessa talvolta organizza workshop per i beneficiari). E se la situazione degenera, consultate subito un avvocato esperto in diritto d’impresa e recupero crediti: meglio pagare una consulenza e magari trovare un accordo, che ignorare tutto e finire con cartelle esattoriali ingestibili.
- Sfruttare eventuali misure di sostegno aggiuntive: Restate informati su bandi o bonus che potrebbero aiutarvi a migliorare la sostenibilità. Ad esempio, se esce un bando regionale per contributi in conto interessi o per il consolidamento dei debiti, potreste partecipare e alleggerire il peso finanziario. Oppure, se la vostra camera di commercio offre voucher per consulenza o promozione, usateli per potenziare il business. In sintesi, massimizzate le opportunità per rendere la vostra impresa solida.
- Etica e responsabilità: Considerate l’agevolazione una spinta per voi ma anche una responsabilità verso la collettività (sono fondi pubblici). Questo atteggiamento vi aiuterà a impegnarvi di più per il successo dell’impresa. Sapere che un fallimento costa soldi allo Stato e al vostro territorio può motivarvi a mettere in campo tutte le energie. E se proprio qualcosa va storto nonostante il massimo impegno, sarete in pace di aver fatto tutto il possibile.
In definitiva, Resto al Sud può essere un volano di sviluppo per tantissime iniziative, ma va gestito con professionalità e serietà. Le situazioni di insolvenza non sono inevitabili: spesso derivano da errori pianificatori o gestionali. Con preparazione adeguata, monitoraggio continuo e un approccio trasparente nei confronti di banca e Invitalia, è possibile minimizzare il rischio di mancato pagamento.
Per chi dovesse comunque trovarsi in difficoltà, questo documento ha illustrato gli strumenti a disposizione: non siete i primi né sarete gli ultimi ad affrontare simili problemi, quindi niente panico ma agite con metodo. Ricorrere a una transazione, rinegoziare, o in ultima analisi utilizzare le procedure di composizione della crisi sono strade percorribili per chi dimostra buona fede e collaborazione.
L’auspicio è naturalmente che possiate sviluppare la vostra impresa con successo, restituendo la parte dovuta senza affanni e mantenendo il contributo come base del vostro capitale. Così facendo, “Resto al Sud” raggiungerà il suo scopo: non solo far nascere nuove attività, ma farle crescere solide, in grado di restituire il prestito e generare valore economico e sociale nel territorio.
Fonti e riferimenti
Normativa e atti ufficiali:
- D.L. 20 giugno 2017, n. 91 (art.1) convertito in L. 3 agosto 2017, n. 123 – Istituzione della misura “Resto al Sud”.
- D.M. 9 novembre 2017, n. 174 – Regolamento attuativo di Resto al Sud (GU n.284/2017).
- Circolare PCM – Dip. Coesione n. 33 del 22/12/2017 – Istruzioni operative Resto al Sud.
- Legge 30/12/2018 n. 145 (Bilancio 2019), art.1 c.601 – Estensione a under 46 e liberi professionisti.
- D.L. 24/10/2019 n. 123 (Decreto Sisma), art.5 conv. in L. 12/12/2019 n.156 – Estensione a comuni cratere Centro Italia, senza limiti d’età in 24 comuni più colpiti.
- D.L. 19/05/2020 n. 34 (Decreto Rilancio), art. 245 e 245-bis conv. in L. 17/07/2020 n.77 – Aumento contributo a fondo perduto al 50%, finanziamento max €60.000 per imprese individuali, contributo integrativo €15.000/40.000 a fine progetto.
- Legge 30/12/2020 n. 178 (Bilancio 2021), art.1 c.170-171 – Innalzamento età massima beneficiari a 55 anni (under 56).
- D.L. 10/09/2021 n. 121 (Decr. Infrastrutture), art.13 conv. in L. 09/11/2021 n.156 – Estensione al settore commercio e isole minori Centro-Nord.
- Fondo di Garanzia PMI – Disposizioni Operative (Decr. MISE 6/3/2017, sezione speciale “Resto al Sud”) – Garanzia statale 80% su finanziamenti Resto al Sud.
Documentazione e siti istituzionali:
- Invitalia (sito ufficiale) – Sezione “Resto al Sud”: descrizione incentivo, requisiti e risultati aggiornati; FAQ Resto al Sud (risposte dell’Agenzia); servizi post-concessione (Transazione, Rinegoziazione, Dilazione).
- Dipartimento per le Politiche di Coesione (PCM) – Pagina “Cosa finanzia – Resto al Sud” (riepilogo normativo e modifiche fino al 2021).
- SVIMEZ – Audizione parlamentare 29/11/2023 – Misura Resto al Sud: dati di attuazione 2018-2022 e valutazioni di impatto.
- Agenzia Entrate-Riscossione – Modulistica e istruzioni su rateizzazione cartelle (sito istituzionale, per gestione debiti esattoriali).
Giurisprudenza e sentenze:
- Consiglio di Stato, sez. IV, ord. 30/08/2021 n. 6067 – Competenza territoriale del TAR sulle controversie Invitalia: competente il TAR regionale (es. TAR Sicilia per attività in Sicilia) e non il TAR Lazio.
- Tribunale di Roma, sent. 10124/2024 (XVI sezione) – Prescrizione decennale (non quinquennale) per l’obbligo di rimborso di finanziamento agevolato Invitalia, in quanto debito unitario seppur rateizzato.
- Consiglio di Stato, sez. II, sent. 18/06/2021 n. 4741 – Necessità di adeguata motivazione nel diniego di un incentivo (caso autoimpiego L.185/2000): rilievo che generiche affermazioni di scarsa coerenza progettuale non bastano se non supportate dal colloquio istruttorio.
- Consiglio di Stato, sez. IV, ord. 26/02/2021 n. 2397 – Rimessione al CdS su competenza, e TAR Catania, ord. 2021 n. 149 – Incompetenza dichiarata in favore TAR Lazio (orientamento superato da CdS 6067/21).
- Cassazione Penale (orientamenti generali) – Reati di truffa aggravata (art.640-bis c.p.) e malversazione (art.316-bis c.p.) applicabili ai casi di utilizzo indebito dei fondi pubblici; confisca obbligatoria del profitto del reato ai sensi art.322-ter c.p. (es. Sez.II, 7/01/2020, n.29 – su fondi comunitari, analogia per fondi nazionali).
Resto al Sud: Perché Affidarti a Studio Monardo Se Non Riesci a Pagare Il Finanziamento
Hai ottenuto un finanziamento a fondo perduto o a tasso agevolato con il programma Resto al Sud, ma ora non riesci a restituire la quota finanziata?
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La mancata restituzione della parte a prestito del contributo non è un problema penale, ma può avere gravi conseguenze civili, fiscali e patrimoniali, soprattutto se non intervieni per tempo.
Affidarsi all’Avvocato Giuseppe Monardo significa affrontare la situazione con uno specialista della crisi d’impresa, capace di difenderti dalle richieste di Invitalia, banche e Agenzia delle Entrate Riscossione e guidarti verso una soluzione sostenibile e protetta dalla legge.
Cosa fa per te l’Avvocato Monardo
- Analizza la tua posizione debitoria (Invitalia, banca, AdER)
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Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo
- Gestore della Crisi da Sovraindebitamento, iscritto al Ministero della Giustizia
- Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa, abilitato ex D.L. 118/2021
- Fiduciario di un Organismo di Composizione della Crisi (OCC)
- Coordinatore di una rete nazionale di professionisti specializzati in diritto bancario, tributario e gestione di fondi agevolati
Perché agire subito
- Il ritardo nei pagamenti attiva meccanismi automatici di recupero
- La cartella esattoriale può arrivare anche dopo anni dalla garanzia MCC
- Senza difesa legale, rischi sequestri, fermi, ipoteche, e responsabilità personali
- Solo agendo per tempo puoi negoziare, bloccare l’esecuzione o accedere a procedure di esdebitazione
Conclusione
Il mancato pagamento del finanziamento Resto al Sud non è la fine: è un problema da gestire con lucidità e strumenti legali concreti.
Affidarsi all’Avvocato Giuseppe Monardo significa difendersi con competenza, evitare danni irreparabili e trovare la strada giusta per salvare i beni, chiudere i debiti e ripartire.
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