Cosa Succede Se Non Si Paga Un Finanziamento Garantito Da MCC?

Sei un imprenditore e non riesci più a rimborsare un finanziamento garantito dal Fondo Centrale di Garanzia (MCC)?

Allora questa guida dello Studio Monardo – gli avvocati esperti in cancellazione dei debiti aziendali e difesa da garanzie MCC – è proprio quello che fa per te.

Scopri cosa accade se smetti di pagare le rate, quali sono i rischi concreti per la tua impresa, cosa può fare realmente il Fondo di Garanzia e come difenderti legalmente prima che sia troppo tardi.

Alla fine della guida troverai tutti i contatti per richiedere una consulenza riservata e affrontare il tuo caso in modo professionale, tutelando il tuo patrimonio e la continuità aziendale.

Cosa succede se non si paga un finanziamento garantito dal Fondo PMI (MCC) – La Guida

Introduzione

Il Fondo di Garanzia per le PMI, gestito da Mediocredito Centrale (spesso abbreviato in MCC), è uno strumento pubblico che facilita l’accesso al credito di piccole e medie imprese (PMI) e professionisti. In pratica, il Fondo offre una garanzia statale su una percentuale del finanziamento concesso da banche e intermediari: ciò mitiga il rischio per il creditore e favorisce l’erogazione del prestito. Ma cosa accade se il debitore non riesce a rimborsare questo finanziamento garantito? Questa guida approfondita (aggiornata ad aprile 2025) esamina in dettaglio tutte le implicazioni – civili, fiscali e penali – del mancato pagamento, con particolare riguardo al ruolo del Fondo di Garanzia e alle procedure che si attivano in caso di insolvenza. Ci rivolgeremo soprattutto a PMI e professionisti in Italia, spiegando come funziona la garanzia MCC, cosa fanno la banca e il Fondo dopo il default, quali sono le conseguenze per il debitore (dal recupero crediti alle segnalazioni nelle banche dati, fino alle eventuali azioni esecutive), e quali responsabilità possono emergere (ad esempio per indebita percezione di aiuti pubblici o altre violazioni).

Dedicheremo inoltre spazio alle novità normative e alla giurisprudenza recente fino al 2025 (inclusi provvedimenti legali post-Covid) e forniremo esempi concreti – ad esempio, una simulazione di default su un prestito da 30.000 € – per illustrare tempistiche e scenari reali. Non mancheranno suggerimenti pratici: modelli di lettere da inviare alla banca (per chiedere una rinegoziazione, per contestare addebiti o richiedere documenti), oltre a possibili strategie legali e difensive che un’impresa o un professionista possono adottare per gestire la crisi di liquidità. Infine, chiariremo il ruolo dei vari professionisti di supporto – commercialista, avvocato, OCC (Organismo di Composizione della Crisi) – nel guidare il debitore attraverso queste difficoltà.

L’obiettivo è fornire una guida completa e aggiornata, con informazioni affidabili e riferimenti a fonti normative e giurisprudenziali, organizzata in sezioni chiare per facilitare la consultazione. Affrontiamo dunque passo passo cosa succede quando non si paga un finanziamento assistito dalla garanzia MCC e come affrontare al meglio la situazione.

Il Fondo di Garanzia PMI e il meccanismo della garanzia MCC

Prima di esaminare le conseguenze del mancato pagamento, è fondamentale capire come funziona la garanzia MCC e perché esiste. Il Fondo di Garanzia per le PMI (istituito dalla Legge n. 662/1996) è un fondo pubblico che garantisce una parte del credito erogato dalle banche alle imprese ritenute meritevoli ma prive di sufficienti garanzie proprie. In altre parole, lo Stato – tramite Mediocredito Centrale – fa da garante per il debitore verso la banca, fino a una certa percentuale dell’importo finanziato (di solito il 60-80%, con punte fino al 90% o 100% in casi particolari previsti dalla legge, ad esempio i finanziamenti emergenziali Covid-19). Questa garanzia è generalmente gratuita per l’impresa (salvo una piccola commissione in alcuni casi) ed è concessa a fronte di specifici requisiti: ad esempio dimensione aziendale (PMI con <250 dipendenti e fatturato sotto 50 mln), assenza di gravi irregolarità creditizie al momento della richiesta, e destinazione del prestito a scopi ammissibili (investimenti, liquidità aziendale, capitale circolante, ecc.).

La presenza della garanzia non significa che il debitore sia sollevato dall’obbligo di rimborso – anzi, l’azienda o il professionista resta il primo obbligato a pagare le rate. Tuttavia, se il debitore non paga, la banca ha la possibilità di escutere la garanzia statale, ottenendo dal Fondo il rimborso della quota garantita. Questo meccanismo riduce il rischio di perdite per la banca e dunque la incoraggia a concedere credito che altrimenti, in assenza di garanzia, potrebbe rifiutare. È importante notare che il Fondo di Garanzia opera “a prima richiesta”: ciò significa che, soddisfatte le condizioni previste, esso paga velocemente la banca senza entrare nel merito del perché il debitore non ha pagato. In pratica, per la banca il credito garantito diventa quasi equivalente a un credito verso lo Stato per la parte coperta.

Attualmente (regole 2025), l’importo massimo garantito per singola impresa è di 5 milioni di euro, e le percentuali di copertura variano in base alla tipologia di operazione e al regime di aiuto applicato. Ad esempio, per finanziamenti ordinari a PMI la garanzia diretta standard è dell’80% (con un massimo garantito di 2,5 mln per singola operazione), mentre per operazioni prioritarie o settoriali può salire al 90%. Durante l’emergenza Covid, in via straordinaria, si è arrivati al 100% di copertura per i piccoli prestiti fino a 30.000 € (poi elevati a 100.000 € per alcune categorie). Tali misure eccezionali, introdotte dal Decreto Liquidità (D.L. 23/2020), sono state in parte prorogate fino al 2021 e successivamente rimodulate: ad esempio, dal 2022 si è tornati gradualmente a coperture massime più basse (80-90%), con l’eccezione di alcuni interventi mirati (come garanzie potenziate per imprenditoria femminile, digitalizzazione, ecc. previsti dal PNRR). La Legge di Bilancio 2025 ha confermato la continuità del Fondo con alcune modifiche: ampliamento dell’accesso ad imprese fino a 499 dipendenti (MidCap), rimodulazione delle percentuali di garanzia (ad esempio riduzione su finanziamenti per liquidità pura) e introduzione di criteri aggiornati di valutazione. In ogni caso, il funzionamento di base rimane lo stesso: la banca istruisce la pratica di fido e richiede la garanzia al Fondo; Mediocredito Centrale valuta la richiesta secondo le Disposizioni Operative vigenti e, se tutto è regolare (rispetto dei requisiti e delle soglie di rischio), concede la garanzia pubblica sull’operazione.

Importante: la garanzia MCC è una garanzia sussidiaria e non una sostituzione del credito. Ciò significa che il debitore rimane tenuto al pagamento integrale del finanziamento, esattamente come per qualsiasi altro prestito. La banca continuerà a riscuotere le rate alle scadenze previste. Solo in caso di insolvenza conclamata (insolvenza che poi vedremo come viene definita) la banca potrà attivare la garanzia statale. Inoltre, il Fondo garantisce generalmente solo il capitale (talvolta anche una parte degli interessi contrattuali maturati fino al default), ma non copre ad esempio le penali o interessi di mora. Dunque, anche con la copertura del Fondo, il rischio di inadempimento non sparisce: parte rimane in capo alla banca (la percentuale non garantita) e, indirettamente, rimane in capo al debitore che – come vedremo – potrà essere chiamato a rifondere lo Stato per la quota pagata in sua vece.

Il mancato pagamento: la procedura della banca in caso di insolvenza del debitore

Quando un’impresa o un professionista inizia ad avere difficoltà nel rimborsare il finanziamento garantito, la banca o l’intermediario finanziatore mette in moto la consueta procedura di gestione del credito deteriorato, con alcune particolarità dovute alla presenza della garanzia pubblica. È utile distinguere varie fasi:

  • Solleciti e messa in mora: In genere tutto inizia con il mancato pagamento di una o più rate. Dopo il primo ritardo (anche di pochi giorni oltre la scadenza), la banca di solito invia un primo sollecito informale (telefono, email o lettera semplice) per ricordare il pagamento. Se l’inadempimento prosegue, scatta la messa in mora formale, ossia una lettera raccomandata o PEC di costituzione in mora in cui si intima il pagamento delle somme scadute entro un termine (ad esempio 10 o 15 giorni), avvertendo che in difetto il contratto potrà essere risolto. Nella comunicazione formale, la banca deve anche avvisare il cliente che, persistendo il ritardo, verrà segnalato alle banche dati dei “cattivi pagatori” (come il SIC di CRIF) trascorsi determinati giorni. Secondo il Codice deontologico dei Sistemi di Informazione Creditizia, la prima segnalazione avviene di norma dopo 2 rate mensili non pagate (o un importo equivalente) e comunque previa comunicazione al cliente almeno 15 giorni prima della segnalazione stessa. Dunque, già dopo 60-90 giorni di ritardo si può essere classificati come cattivi pagatori. Sul piano contrattuale, molte volte basta anche una sola rata non pagata per far decadere il beneficio del termine (clausole di decadenza dal beneficio del termine presenti nei contratti di mutuo e finanziamento): ciò significa che la banca può esigere immediatamente tutto il debito residuo in caso di inadempimento. In pratica, dopo i solleciti iniziali, l’istituto può inviare una comunicazione dichiarando risolto il contratto di finanziamento e richiedendo il pagamento immediato dell’intero importo dovuto (capitale residuo più interessi e spese). Questo di solito coincide con l’ultima diffida prima di passare alle vie legali.
  • Classificazione a default e segnalazioni: Ai sensi della regolamentazione bancaria (nuove regole EBA in vigore dal 1° gennaio 2021), un debitore è considerato in stato di default se si verifica almeno una delle seguenti condizioni: (1) è in arretrato da oltre 90 giorni consecutivi su un importo rilevante; (2) la banca giudica improbabile che il debitore adempia senza escutere le garanzie (unlikely to pay). La condizione (1) è quella più tangibile: superati i 90 giorni di ritardo su una somma che eccede la soglia di materialità (es. 100 € per privati/professionisti e PMI con esposizioni sotto 1 mln, oppure 500 € per imprese più grandi, purché tale arretrato superi anche l’1% dell’esposizione totale), scatta automaticamente la classificazione a default. Tradotto: per una piccola impresa basta non pagare anche soli 100 € per oltre 3 mesi, se questo rappresenta più dell’1% del debito verso la banca, per essere considerata in default e quindi segnalata come “sofferenza”. Questo evidenzia quanto stringenti siano i criteri e perché è importante non ignorare anche piccoli arretrati. La banca effettuerà una segnalazione alla Centrale Rischi di Banca d’Italia (se l’esposizione supera i 30.000 € o ci sono già segnali di sofferenza) e ai SIC privati (come CRIF, Experian, Cerved) indicando lo status di credito deteriorato. Una volta segnalati, tali dati rimarranno nelle banche dati per un periodo: tipicamente 36 mesi dal momento in cui si regolarizza o si estingue la posizione per i casi di morosità grave non sanata, e fino a 5 anni in caso di perdita o sofferenza mai sanata (trascorsi 36 mesi dalla scadenza contrattuale del credito). Queste segnalazioni rendono estremamente difficile ottenere nuovi finanziamenti e incidono sulla reputazione creditizia dell’impresa/professionista.
  • Azione legale di recupero crediti: Contestualmente (o subito dopo la risoluzione del contratto per inadempimento), la banca normalmente avvia un’azione di recupero crediti formale. Lo strumento tipico è il decreto ingiuntivo: la banca, essendo in possesso di un contratto di finanziamento e dell’estratto conto che attesta l’insoluto, può chiedere al tribunale un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo contro il debitore per l’intero importo dovuto. Spesso le banche inseriscono nei contratti una clausola acceleratoria e quantificano il dovuto, il che consente un’ingiunzione rapida. Se il giudice emette il decreto, questo viene notificato al debitore intimandogli il pagamento (di solito entro 40 giorni) pena l’esecuzione forzata. In molti casi, però, la banca attende l’esito della richiesta alla MCC prima di escutere forzatamente, soprattutto se sa che il debitore ha pochi beni aggredibili. Va evidenziato che, quando il finanziamento è assistito da garanzia pubblica, le Disposizioni Operative del Fondo impongono alla banca di attivare le azioni di recupero prima di chiedere la garanzia: in altre parole, la banca deve dimostrare di aver fatto almeno un tentativo di recupero (ingiunzione di pagamento, atto di precetto o iscrizione del credito nel passivo fallimentare) prima di poter escutere il Fondo. È infatti previsto che la richiesta di escussione al Fondo sia improcedibile se presentata prima dell’avvio delle procedure di recupero. Questo incentiva la banca a muoversi formalmente contro il debitore come condizione per ottenere l’indennizzo statale.
  • Escussione della garanzia MCC: Trascorsi i termini di legge (o qualora sia evidente che il debitore non pagherà spontaneamente), la banca procede a richiedere l’intervento del Fondo di Garanzia. Le regole attuali stabiliscono una finestra temporale entro cui va fatta la richiesta, pena decadenza della garanzia: per i crediti con piano d’ammortamento (come mutui e prestiti a rate) entro 18 mesi dal verificarsi dell’“evento di rischio” (il default); per crediti senza piano di ammortamento (es. linee di credito a revoca, scoperti) entro 9 mesi dall’evento di rischio. (Nel caso di procedure concorsuali del debitore, il termine decorre dall’apertura della procedura stessa). La banca quindi invia al Gestore del Fondo un’apposita richiesta di escussione tramite il Portale FdG, allegando la documentazione richiesta – ad esempio copia della diffida di pagamento o del decreto ingiuntivo ottenuto, l’eventuale stato passivo se c’è fallimento, e dichiarando l’ammontare del debito non recuperato. A questo punto, verificata la conformità formale, Mediocredito Centrale liquida alla banca l’importo dovuto in base alla copertura garantita: ad esempio, se il debito residuo al momento del default è 100.000 € e la garanzia copre l’80%, MCC pagherà alla banca 80.000 € (oltre, in alcuni casi, a una quota di interessi contrattuali maturati e spese legali ammissibili fino a una certa data, secondo le condizioni del Fondo). Questo pagamento viene spesso definito “escussione della garanzia” o “indennizzo”. Da notare che, se durante il periodo di attesa la banca avesse recuperato qualcosa dal debitore (ad esempio pagamenti parziali, realizzo di un pegno, ecc.), l’importo indennizzato dal Fondo sarebbe ridotto di conseguenza – il Fondo copre infatti la perdita finale della banca nella misura garantita.

È opportuno sottolineare che nella comunicazione di messa in mora o nel decreto ingiuntivo le banche spesso inseriscono un richiamo alla garanzia statale. Ad esempio, secondo le linee guida, possono dichiarare che “decorso inutilmente il termine per il pagamento, la Banca escuterà la garanzia del Fondo ex L. 662/96, con diritto di quest’ultimo di rivalersi sull’impresa inadempiente ai sensi dell’art. 1203 c.c.”. In tal modo il debitore è avvisato che, se non paga, oltre a dover fronteggiare la banca, si ritroverà debitore anche verso il Fondo di Garanzia (lo Stato). Come vedremo, infatti, dopo l’escussione il Fondo subentra nei diritti del creditore originario: semplificando, la banca ottiene il rimborso garantito e per quella parte “esce di scena”, mentre il debitore ora dovrà dei soldi al Fondo (cioè al soggetto pubblico).

Riassumendo questa fase: quando un finanziamento garantito diventa insoluto, la banca accelera il credito, segnala il default, avvia la pratica legale e, dopo qualche mese (90-180 giorni circa) di mancato pagamento, può richiedere al Fondo la somma garantita. I tempi complessivi possono variare: tipicamente si va da 6-9 mesi fino a oltre 1 anno perché la banca ottenga l’indennizzo statale (nel frattempo può aver già ottenuto un decreto ingiuntivo esecutivo). Ad esempio, una possibile tempistica media potrebbe essere: primo sollecito a 15 giorni di ritardo; segnalazione a CRIF attorno ai 60-90 giorni; invio della pratica legale entro 6 mesi; richiesta al Fondo attorno al 9°-12° mese. Tuttavia, ogni caso è a sé: alcune banche potrebbero attendere di più (specie se intravedono chance di rientro o se c’è una trattativa), altre attivarsi prima sulla garanzia (tenendo comunque conto dei termini minimi imposti dalle regole). L’importante è comprendere che la presenza del Fondo spinge la banca a muoversi velocemente, perché sa di poter recuperare gran parte del credito da MCC e di dover rispettare scadenze per ottenerlo.

Il ruolo del Fondo di Garanzia dopo il default: escussione e surroga

Una volta che la garanzia è stata escussa e la banca ha ricevuto dal Fondo di Garanzia la quota garantita, cosa succede per il debitore? Cambiano innanzitutto gli attori in gioco: la banca, incassato l’indennizzo, rimane creditrice solo dell’eventuale parte non coperta (scoperto residuo). Il Fondo di Garanzia, per il tramite di Mediocredito Centrale (MCC), diventa invece creditore della maggior parte del debito, in quanto si surroga nei diritti della banca verso il debitore per l’importo pagato. Questo meccanismo di surrogazione legale è previsto dall’art. 1203 del Codice Civile: in sostanza, pagando il debito altrui (la banca), il garante pubblico subentra al creditore originario. La surroga opera anche nei confronti di eventuali garanti o coobbligati del debitore. Ciò significa che, se ad esempio il finanziamento era stato garantito anche da una fideiussione di un familiare o socio dell’impresa, il Fondo dopo aver pagato la banca potrà rivalersi sia sull’impresa debitrice sia sul fideiussore per recuperare quanto sborsato, esattamente come avrebbe potuto fare la banca. In pratica MCC “prende il posto” della banca per la porzione di credito coperta dalla garanzia.

Vediamo un esempio semplificato: un professionista ha un debito residuo di 25.000 € e la banca escute una garanzia MCC all’80%. Il Fondo paga 20.000 € alla banca. Ora, il professionista deve ancora 5.000 € direttamente alla banca (parte non garantita) e 20.000 € al Fondo di Garanzia che si è sostituito alla banca come creditore di quella quota. L’obbligazione complessiva per il debitore rimane 25.000 €, solo che i creditori si “sdoppiano”: banca per 5k e Stato per 20k. Se invece la garanzia copriva il 100% (come nei piccoli prestiti Covid), la banca una volta indennizzata si considera soddisfatta per l’intero capitale, e l’intero debito residuo diventa dovuto verso il Fondo.

Credito del Fondo: natura chirografaria o privilegiata?

Dal punto di vista giuridico, si è discusso sulla natura del credito vantato dal Fondo di Garanzia dopo la surroga. In linea generale, si potrebbe pensare che il Fondo si limiti a subentrare con la stessa “graduatoria” che aveva la banca (normalmente un credito chirografario, salvo eventuali garanzie reali). E in effetti, secondo un orientamento, il credito di MCC ha lo stesso rango di quello originario e non gode di preferenze ulteriori. Ad esempio, se la banca aveva un credito chirografario (non assistito da pegni o ipoteche), anche MCC sarà un creditore chirografario di pari grado. Questo significa che, in un eventuale fallimento dell’impresa debitrice, il Fondo non potrebbe pretendere di essere soddisfatto prima degli altri creditori chirografari.

Tuttavia, la normativa di settore ha previsto una tutela particolare per il recupero di risorse pubbliche: l’art. 9, comma 5, del D.Lgs. 123/1998 stabilisce un privilegio generale sui beni mobili del debitore per i crediti dello Stato derivanti da agevolazioni revocate. E l’art. 8-bis del D.L. 3/2015 (L. 33/2015) ha esteso questo concetto alle garanzie del Fondo PMI. In virtù di ciò, la prassi (e alcune pronunce) hanno ritenuto che il credito di MCC nasca già con natura privilegiata dal momento della concessione dell’agevolazione, e che l’escussione attivi semplicemente l’azione di recupero di risorse pubbliche. La Cassazione civile nel 2023 ha affrontato la questione sancendo che, una volta escussa la garanzia, il credito del Fondo non è più volto a recuperare un credito bancario ordinario, ma a ripristinare risorse pubbliche, ed è assistito da privilegio, con la conseguente legittimità della riscossione esattoriale ai sensi dell’art. 17 D.Lgs. 46/1999. In altre parole, secondo la Suprema Corte, dopo il pagamento la posizione di MCC assume carattere pubblicistico, permettendo di utilizzare gli strumenti di riscossione delle entrate statali (come vedremo, cartella esattoriale). Questo orientamento evidenzia la natura di “aiuto di Stato” della garanzia: il finanziamento garantito viene considerato una forma di agevolazione pubblica al pari di un contributo, sebbene erogato tramite banca. Di conseguenza, il recupero di quanto dovuto al Fondo è assimilato al recupero di un indebito verso lo Stato, meritando un trattamento privilegiato.

C’è però un dibattito aperto in materia. Altre interpretazioni (anche sostenute da dottrina e alcune decisioni di merito) sottolineano che la surroga disciplinata dal codice civile implicherebbe il subentro alle stesse condizioni del creditore originario, senza “creare” un nuovo credito privilegiato. In questa visione, il Fondo avrebbe un diritto di credito identico a quello della banca e dovrebbe agire in via ordinaria per il recupero, salvo i casi di revoca dell’agevolazione per uso distorto. Infatti, viene distinto il caso in cui il finanziamento pubblico sia revocato per deviazione dallo scopo (malutilizzo): in tale ipotesi scatta il privilegio e la riscossione tramite agente pubblico; ma in assenza di revoca per frode o uso illecito, l’intervento del Fondo equivarrebbe a pagare un debito privato, quindi il recupero andrebbe effettuato con mezzi civilistici normali. Emblematica è una recente pronuncia del Tribunale di Napoli (2023) che, discostandosi dalla Cassazione n. 1005/2023, ha annullato le cartelle esattoriali emesse per il recupero MCC, ritenendole indebite in mancanza di una causa di revoca formale dell’agevolazione (cioè senza una violazione delle condizioni dell’aiuto).

In sintesi, allo stato attuale il quadro giurisprudenziale è variegato: la Cassazione (Sez. III, sent. 1005/2023) propende per la tesi del privilegio pubblico e legittima la riscossione mediante Agenzia delle Entrate Riscossione, mentre alcuni giudici di merito continuano a considerare il credito di MCC alla stregua di un credito chirografario comune (sostenendo che il Fondo si surroga e non agisce in proprio se non nei casi di effettiva revoca dell’aiuto). Per il debitore ciò significa che, a seconda dei casi, potrà trovarsi a dover affrontare il recupero da parte dello Stato con strumenti “privatistici” oppure con strumenti “pubblicistici”. Approfondiamo questo aspetto nella sezione seguente, dedicata proprio alle conseguenze per il debitore inadempiente.

Conseguenze per il debitore inadempiente

Il mancato pagamento di un finanziamento garantito da MCC ha, come abbiamo visto, l’effetto di coinvolgere il Fondo di Garanzia nel rimborso verso la banca. Ma il default non fa scomparire il debito – anzi, per il debitore si apre una fase particolarmente delicata, in cui deve confrontarsi con due fronti creditori: da un lato la banca (per la parte eventualmente rimasta scoperta, interessi di mora e spese); dall’altro il Fondo di Garanzia/MCC per la quota pagata alla banca. In pratica il debito si “trasforma” ma non si estingue. Vediamo dunque le principali conseguenze che il debitore (impresa o professionista) dovrà affrontare:

Segnalazioni nelle centrali rischi e impatto sul merito creditizio

Una delle prime conseguenze della morosità è la segnalazione come cattivo pagatore. Già durante la fase di recupero stragiudiziale la banca avrà segnalato il ritardo nei pagamenti ai Sistemi di Informazione Creditizia privati (come CRIF) se il ritardo supera i 2 mesi. Dopo la risoluzione del contratto e la classificazione a sofferenza (default conclamato), la posizione verrà registrata nella Centrale dei Rischi di Banca d’Italia con stato di insolvenza. La Centrale Rischi (CR) mensilmente informa tutti gli intermediari sull’esposizione debitoria verso il sistema finanziario: comparirà il nome dell’azienda/professionista con l’importo a sofferenza (distinguendo la quota in capo alla banca e quella in capo a MCC, se quest’ultimo è intervenuto). Questa segnalazione permane per molto tempo: la CR conserva i dati negativi per 36 mesi dalla data in cui il credito è estinto o viene definitivamente passato a perdita. In altre parole, anche se domani riuscissi a pagare tutto, resterai visibile come ex-sofferente in CR per 3 anni (il che spesso comporta diniego di nuovi crediti in tale periodo). Nei SIC privati come CRIF, la registrazione di un finanziamento “non rimborsato” resta fino a 5 anni dalla scadenza contrattuale o dall’ultimo aggiornamento. Dunque il danno reputazionale e di scoring creditizio è significativo: la PMI o il professionista in default vedranno chiudersi l’accesso a nuovi prestiti, leasing, fidi di conto e spesso anche difficoltà nell’ottenere forniture a credito da parte di altri operatori (molti fornitori si tutelano consultando banche dati commerciali).

Va segnalato che il debitore ha diritto a contestare eventuali segnalazioni scorrette o improprie. Ad esempio, se la banca non ha inviato il preavviso di 15 giorni per la segnalazione negativa, la segnalazione può essere oggetto di reclamo e richiesta di rettifica/cancellazione. Oppure, se il debitore ritiene di non trovarsi in uno stato di insolvenza tale da giustificare la “sofferenza” (magari aveva offerto un piano di rientro ragionevole), potrebbe inviare un reclamo alla banca contestando la segnalazione a sofferenza in Centrale Rischi, chiedendone la rimozione. La banca deve rispondere entro 60 giorni e, in caso di diniego, il debitore può rivolgersi all’Arbitro Bancario Finanziario (ABF) o infine al giudice ordinario per far valere le proprie ragioni. Tali contestazioni non sono semplici – le banche tendono ad agire in base a normative precise – ma in alcuni casi di errore formale (ad esempio segnalazione di importo errato, mancato preavviso, ecc.) è possibile ottenere la correzione. In ogni caso, anche con segnalazioni corrette, il debitore deve mettere in conto che l’evento di default rimarrà tracciato e inciderà sulla sua capacità di credito per anni.

Azioni di recupero credito e pignoramenti

La conseguenza più tangibile per il debitore insolvente è l’avvio di azioni di recupero forzoso nei suoi confronti. Dopo il decreto ingiuntivo non opposto (o dopo una sentenza, se il debitore si oppone senza successo), la banca può procedere con l’esecuzione forzata per la parte di sua competenza. Ciò significa che potrebbe notificare un atto di precetto (un ultimo avviso a pagare entro 10 giorni) e poi attivare un pignoramento. A seconda della situazione del debitore, si possono avere varie forme di pignoramento:

  • Pignoramento mobiliare presso l’azienda o l’abitazione: un ufficiale giudiziario può recarsi presso la sede del debitore e tentare di pignorare beni mobili (macchinari, attrezzature, arredi, automezzi) da vendere all’asta. Nelle PMI questo è temuto perché può paralizzare l’attività (se vengono pignorati strumenti di lavoro). In realtà, spesso i beni aziendali hanno scarso valore d’asta, quindi queste azioni sono selettive.
  • Pignoramento di crediti verso terzi: ad esempio, la banca può pignorare i conti correnti del debitore (bloccando le somme a credito fino a concorrenza del dovuto) o i crediti che il debitore vanta verso clienti. Tipicamente viene notificato un atto ai sensi dell’art. 543 c.p.c. alla banca terza o al cliente debitore, congelando le somme. Questo è un mezzo efficace se l’impresa ha liquidità in conto o pagamenti in arrivo.
  • Pignoramento immobiliare: se l’impresa o il professionista possiede immobili, il creditore può iscrivere ipoteca giudiziale (una volta ottenuto il titolo esecutivo) e poi procedere al pignoramento dell’immobile, mettendolo all’asta. Nel caso di professionisti o ditte individuali, spesso l’immobile aggredibile è l’abitazione del debitore o un immobile strumentale. Va ricordato che la legge italiana tutela la prima casa non di lusso dai pignoramenti dell’esattore fiscale (Agenzia Entrate Riscossione) in certi limiti, ma ciò non vale per i creditori privati: quindi la banca potrebbe pignorare anche la prima casa del professionista, salvo che questa sia già oggetto di mutuo (in tal caso normalmente la banca mutuante ha ipoteca prioritaria). Questo scenario è drammatico e spesso funge da leva per indurre il debitore a trovare un accordo prima che accada.
  • Pignoramento presso terzi di stipendio o pensione: per i professionisti che magari hanno anche un impiego, o per i garanti persone fisiche, è possibile il pignoramento di una quota (di solito 1/5) dello stipendio o pensione mensile.

Nel contesto del finanziamento garantito, c’è la particolarità che anche il Fondo di Garanzia (MCC) può intervenire nelle procedure esecutive. Secondo le linee guida, se la banca aveva già avviato un pignoramento (ad esempio immobiliare) prima di escutere la garanzia, una volta ottenuto il pagamento dal Fondo essa deve informare il Giudice dell’Esecuzione della riduzione del proprio credito e MCC può subentrare nell’esecuzione per la parte di sua competenza. In pratica, l’esecuzione proseguirà con due creditori: la banca per l’eventuale quota scoperta, e il Fondo per la quota garantita pagata. Se l’esecuzione non era ancora partita, il Fondo potrà iniziarla ex novo come qualsiasi creditore munito di titolo (di solito il titolo sarà il decreto ingiuntivo ottenuto dalla banca, di cui il Fondo può chiedere l’integrazione indicando che ora il credito è in parte suo). In alternativa, il Fondo potrebbe anche procedere con un nuovo decreto ingiuntivo in proprio, ma spesso non occorre duplicare: basta la surroga sul titolo esistente.

Uno scenario tipico: l’impresa ha un immobile e la banca l’ha pignorato. Arriva la garanzia MCC: la banca incassa, quindi per esempio riduce la sua pretesa da 100 a 20 (20% non garantito). Il Fondo interviene nell’asta per il restante 80. Se l’immobile viene venduto, la somma ricavata andrà prima alle spese di procedura, poi (se c’è ipoteca, all’eventuale creditore ipotecario) e infine suddivisa tra banca e Fondo secondo le rispettive quote di credito. Se invece il debitore non possiede beni aggredibili, l’azione esecutiva risulterà infruttuosa – in tal caso la banca (o il Fondo) possono periodicamente monitorare se la situazione cambia (ad es. se in futuro il debitore acquista una proprietà o ha introiti noti). I garanti personali (fideiussori) saranno anch’essi soggetti ad azioni analoghe: se, ad esempio, un familiare ha garantito il prestito, la banca e poi il Fondo potranno escutere anche lui, fino a escutere stipendi o altre proprietà del garante.

Un’ulteriore conseguenza civilistica è che il debitore verrà con ogni probabilità inserito nell’elenco dei protestati e cattivi pagatori tenuto dalla Camera di Commercio e dalle banche dati private. Sebbene il protesto in senso tecnico riguardi titoli cambiari/assegni, spesso nell’ambiente degli affari essere conosciuti come insolventi pregiudica i rapporti commerciali. Inoltre, la banca con cui si è avuto il default quasi certamente revoca eventuali altri affidamenti concessi (scoperti di conto, carte di credito business, castelletto SBF), chiedendone il rientro immediato. Insomma, l’insolvenza su un finanziamento garantito può innescare una reazione a catena: rientro forzoso di altri debiti, contrazione del credito di fornitura dai supplier (se riscontrano la difficoltà finanziaria), peggioramento del rating interno dell’azienda presso altri istituti finanziari.

Intervento del Fondo e riscossione della quota escussa

Focalizziamoci ora sul Fondo di Garanzia (MCC) e su come agisce verso il debitore per recuperare la quota pagata. Come spiegato, dopo l’escussione MCC diventa creditore a tutti gli effetti. Nella pratica operativa, Mediocredito Centrale può procedere in due modi non esclusivi:

  • Recupero in via ordinaria: MCC può incaricare società di recupero crediti specializzate o il proprio ufficio legale per sollecitare il debitore e poi agire giudizialmente. Ad esempio, potrebbe inviare una lettera di diffida a nome di MCC, chiedendo il pagamento della somma X (quota escussa) entro tot giorni, minacciando in difetto azioni legali. Se il debitore ancora non paga, MCC – forte della documentazione di surroga (pagamento effettuato e copia del titolo della banca) – può richiedere un decreto ingiuntivo oppure insinuarsi in procedure concorsuali. In un fallimento, MCC farà domanda di ammissione al passivo allegando la quietanza di pagamento alla banca e subentrando nel medesimo grado di privilegio (o chirografo). Come visto sopra, c’è discussione se MCC debba accontentarsi del grado chirografo o possa vantare privilegio ex lege; in genere MCC nei fallimenti si insinua in via privilegiata, invocando l’art. 9 D.Lgs. 123/98, ma su questo il curatore o altri creditori potrebbero sollevare contestazioni. Ad ogni modo, il debitore fallito subisce l’insinuazione e sarà il giudice fallimentare a decidere sul privilegio o meno.
  • Recupero tramite Agenzia delle Entrate-Riscossione (AER): Questa è la via “esattoriale” che discende dalla tesi del credito pubblico. In passato, si è osservato che talvolta MCC trasmetteva il proprio credito all’ex Equitalia (ora Agenzia Entrate Riscossione) che emetteva una cartella esattoriale nei confronti del debitore insolvente. La cartella è il tipico atto con cui si riscuotono tributi o somme per enti pubblici, e comporta le medesime conseguenze di un debito fiscale: se non pagata entro 60 giorni, può portare a fermi amministrativi sui veicoli, ipoteche sugli immobili (per debiti oltre 20.000 €), pignoramenti esattoriali, ecc. L’utilizzo dell’Agente della Riscossione per i crediti MCC è stato oggetto di contestazione giudiziale: alcuni sostengono che sia possibile solo quando si configurano ipotesi di revoca del finanziamento pubblico per sviamento dello scopo, altrimenti la procedura esattoriale sarebbe radicalmente nulla. Ciononostante, la Cassazione 1005/2023 ha ritenuto legittimo il ricorso alla riscossione mediante ruolo anche semplicemente per “riacquisire risorse pubbliche” dopo l’escussione. Pertanto, in tempi recenti molti debitori si sono visti recapitare cartelle di pagamento da Agenzia Entrate-Riscossione per importi dovuti a Mediocredito Centrale (Fondo PMI). Per il debitore ciò rappresenta un ulteriore aggravio: mentre contro la banca la difesa segue le regole ordinarie (con i suoi tempi e garanzie), la cartella esattoriale impone tempi stretti di opposizione (entro 60 giorni per ricorrere davanti al giudice, in genere la Commissione Tributaria o il Tribunale a seconda dei casi) e consente al Fisco di attivare misure come fermo amministrativo di auto o pignoramenti “presso terzi” semplificati senza passare dal tribunale (basta la notifica della cartella e un’intimazione di pagamento successiva).

È fondamentale che il debitore non ignori eventuali comunicazioni di MCC o cartelle: se riceve una cartella esattoriale per un debito MCC e ritiene sia illegittima (magari perché lui non ha in realtà beneficiato correttamente della garanzia, o perché vuole contestare l’importo), deve valutare un’opposizione legale tempestiva. Ad esempio, un’azienda potrebbe ricorrere al giudice contestando che la cartella MCC è nulla poiché il finanziamento non è stato revocato formalmente come agevolazione (tesi sostenuta da alcune pronunce di merito). Casi concreti hanno visto giudici annullare cartelle MCC proprio su questo presupposto. Ma attenzione: impugnare una cartella comporta costi e incertezza, e con la Cassazione favorevole alla riscossione pubblica, l’esito è tutt’altro che garantito. In alternativa, il debitore può richiedere una rateazione della cartella all’Agenzia Riscossione (diritto concesso per legge: si possono ottenere fino a 72 rate mensili, o 120 rate in casi di grave e comprovata difficoltà). Questo almeno diluisce l’impatto. Periodicamente, inoltre, le “rottamazioni” delle cartelle (definizioni agevolate) indette dal legislatore possono offrire la chance di pagare debiti iscritti a ruolo senza sanzioni e interessi. Ad esempio, nel 2023 la “Rottamazione-quater” ha permesso di sanare molti debiti a ruolo antecedenti al 2017 con forti sconti: bisognerebbe verificare se i crediti MCC rientrano tra quelli definibili (trattandosi di somme dovute allo Stato, generalmente sì, salvo siano considerate risorse UE, questione sottile ma improbabile per il Fondo PMI).

In caso di mancato pagamento anche verso il Fondo, dunque, il debitore rischia di subire un doppio binario di recupero: giudiziale ordinario (decreto ingiuntivo/pignoramento) e/o esattoriale. In entrambi i casi, il risultato pratico è che i suoi beni personali e aziendali sono in pericolo. Il debito verso lo Stato viene gestito con la stessa severità di un debito fiscale. Ad esempio, se un professionista deve 50.000 € a MCC e questo viene messo a ruolo, superati i termini l’Agenzia delle Entrate-Riscossione potrebbe iscrivere una ipoteca esattoriale sulla sua casa (per importi sopra 20-30.000 €) e un fermo amministrativo sulla sua auto (per importi sopra 1.000 €). Con l’ipoteca esattoriale, il debitore non potrà vendere l’immobile senza saldare il debito, e col fermo auto non potrà circolare legalmente con il veicolo. In prospettiva, se il debito resta insoluto, AER può procedere con un esproprio immobiliare dopo 6 mesi dall’iscrizione di ipoteca (anche se la legge vieta di espropriare la prima casa se è unico immobile di residenza e non di lusso, questa tutela vale solo per AER e solo se il debitore non ha altre proprietà). Quindi un professionista che abbia una sola casa di residenza potrebbe salvarla dall’esecuzione fiscale (perché l’Agenzia non può pignorare la prima casa abitata dal debitore, salvo ipoteche preesistenti) – però la banca privata potrebbe invece pignorare quella stessa casa se ha un titolo.

Riassumendo, le conseguenze per il debitore inadempiente sono pesanti: perdita di affidabilità creditizia, azioni legali aggressive, rischio di pignoramento di beni mobili e immobili, ed eventualmente l’apparato della riscossione fiscale contro di lui. È una situazione che, se non affrontata, può portare in breve tempo l’azienda al collasso e il professionista alla decozione, specie se non dispone di risorse per soddisfare le pretese.

Rischio di procedure concorsuali o di sovraindebitamento

Se il finanziamento garantito da MCC rappresenta una somma rilevante e il suo mancato rimborso si accompagna ad altri debiti non pagati (ad esempio verso fornitori, Fisco, dipendenti), l’insolvenza del debitore potrebbe sfociare in una vera e propria procedura concorsuale. Per le società di capitale e gli imprenditori commerciali non piccoli, questo significa fallimento (liquidazione giudiziale) o altre procedure previste dal nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019, in vigore dal luglio 2022). La banca o un qualsiasi altro creditore con un credito certo, liquido ed esigibile di almeno 30.000 € può presentare istanza di fallimento (ora liquidazione giudiziale) se l’impresa versa in stato di insolvenza. Il mancato pagamento di un finanziamento bancario, specie se accompagnato da esecuzioni infruttuose, è un forte indicatore di insolvenza. Dunque, non è raro che la banca, una volta escussa la garanzia, valuti di iniziare anche un’azione di questo tipo per recuperare il restante o per spingere la chiusura dell’attività. Il Fondo di Garanzia in quanto tale di solito non chiede il fallimento (essendo un ente pubblico, preferisce insinuarsi se altri lo attivano), ma potrebbe farlo un altro creditore (es. l’Agenzia Riscossione se ci sono molti debiti fiscali).

Per i professionisti e le imprese sotto soglia di fallibilità (imprese non soggette a fallimento perché di dimensioni ridotte secondo i parametri dell’art. 2 CCII: attivo annuo < €300k, ricavi < €200k, debiti < €500k), esiste la possibilità di accedere alle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento (oggi rinominate procedure di ristrutturazione dei debiti o liquidazione controllata). Non c’è il fallimento, ma un soggetto sovraindebitato può rivolgersi al tribunale per: un piano di ristrutturazione per il consumatore (se persona fisica con debiti prevalentemente personali), un concordato minore (se è un imprenditore/professionista non fallibile con debiti professionali) oppure la liquidazione controllata del patrimonio (simile a un fallimento volontario per sovraindebitati). In tutte queste procedure verrà nominato un gestore o liquidatore (spesso tramite un OCC) e i creditori, incluso il Fondo di Garanzia, dovranno presentare domanda di ammissione. Se il debitore vi accede, riuscirà a cristallizzare la situazione debitoria ed evitare azioni esecutive individuali (scatta il blocco delle azioni – stay – una volta accettata la procedura). Questo può essere un modo per gestire in maniera ordinata l’insolvenza complessiva e magari stralciare parte dei debiti con un piano (se i creditori votano a favore nel concordato minore, o se il giudice omologa un piano del consumatore fattibile, i debiti vengono ridotti secondo quanto previsto dal piano, e il debitore esegue i pagamenti parziali concordati liberandosi del resto). Da notare che i crediti privilegiati – qualora il credito di MCC fosse riconosciuto privilegiato – nelle procedure di concordato generalmente vanno pagati per intero almeno per la parte di capienza sui beni, salvo rinuncia del creditore. Ma se non ci sono beni sufficienti, anche un creditore privilegiato potrebbe dover accettare una soddisfazione parziale in sede concorsuale (limitatamente alla parte chirografa non coperta da garanzia patrimoniale).

Se l’impresa decide di non reagire e non ricorre a nessuna procedura, rischia l’erosione graduale del patrimonio dai pignoramenti e un possibile fallimento d’ufficio su istanza dei creditori. In caso di liquidazione giudiziale (fallimento), i beni dell’azienda verranno liquidati e i creditori soddisfatti secondo l’ordine delle prelazioni: se il credito di MCC è ammesso come privilegiato ex art. 9 D.Lgs 123/98, concorrerebbe insieme ad altri eventuali privilegiati generali (ad es. crediti INPS, Inail); se ammesso solo come chirografo, parteciperà alla distribuzione assieme ai chirografari (e presumibilmente vedrà soddisfatto solo qualche percentuale se va bene). Ciò che non viene pagato nel fallimento potrà essere esdebitato (il nuovo codice prevede l’esdebitazione anche per le società, a chiusura del fallimento, benché per le società estinte sia un concetto solo liberatorio per i soci illimitatamente responsabili; per le persone fisiche, c’è l’esdebitazione del fallito onesto). Per un professionista sovraindebitato, a fine liquidazione controllata il giudice può concedere l’esdebitazione del debitore incapiente (introdotta dal Codice della Crisi) anche se non è stato possibile pagare nulla ai creditori, purché il debitore abbia meritevolezza e non vi fossero atti in frode. Ciò significa una “pulizia” dei debiti residui, compreso il debito verso MCC eventualmente.

In conclusione, il mancato pagamento di un finanziamento MCC può condurre il debitore verso l’insolvenza conclamata. È fondamentale rendersi conto presto della gravità della situazione e valutare soluzioni organizzate (negoziazioni, accordi, procedure concorsuali minori) piuttosto che subire passivamente l’azione disordinata dei singoli creditori. Nella sezione sulle strategie legali e difensive vedremo quali opzioni ha un debitore per tentare di gestire o risolvere questa crisi debitoria prima di arrivare a punti di non ritorno.

Profili fiscali del mancato rimborso

Il default su un finanziamento garantito da MCC porta con sé anche alcune conseguenze di natura fiscale che è bene considerare. In primo luogo, occorre distinguere se il debitore è un’impresa (soggetta a imposte sui redditi d’impresa, IVA, ecc.) oppure un professionista o persona fisica non imprenditore.

Per le società e imprese individuali che tengono la contabilità, il mancato pagamento di un debito può generare una sopravvenienza attiva imponibile se quel debito viene successivamente cancellato o ridotto in modo definitivo. Ad esempio, se si raggiunge un accordo a saldo e stralcio con la banca (o con il Fondo) per cui il debitore paga solo una parte e il restante gli viene condonato, la parte di debito condonata costituisce, dal punto di vista fiscale, un provento straordinario tassabile (salvo eccezioni). Il Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR) all’art. 88 prevede che le sopravvenienze attive derivanti da riduzione dei debiti sono imponibili, a meno che ciò avvenga in procedura concorsuale o accordo di ristrutturazione omologato dal tribunale. Infatti, una norma introdotta per favorire le ristrutturazioni (art. 88, comma 4-ter TUIR) esenta da imposizione le sopravvenienze da accordi di ristrutturazione ex art. 182-bis L.F. (oggi 57 CCII), da piani attestati ex art. 67 L.F. (oggi art. 56 CCII) e da concordati preventivi o fallimentari omologati. Quindi, se l’impresa riesce a ridurre il debito verso la banca/Fondo tramite una procedura formale, il beneficio in termini di taglio del debito non sarà eroso dalle tasse. Al contrario, se la riduzione avviene con un semplice accordo stragiudiziale privato (ad esempio la banca accetta 10.000€ su 20.000€ dovuti e rinuncia al resto fuori da ogni procedura), quei 10.000€ “risparmiati” diventano teoricamente un ricavo imponibile nell’esercizio in cui l’accordo si perfeziona.

Nel caso di insolvenza senza accordo – ad esempio la banca e MCC non recuperano nulla e alla fine desistono, magari portando a perdita il credito – per il debitore non c’è una remissione esplicita del debito, dunque formalmente il debito rimarrebbe in bilancio. Tuttavia, se dopo un certo numero di anni il debitore toglie dal bilancio quel debito (perché prescritto o perché nessuno lo chiede più), ancora una volta emergerebbe una sopravvenienza attiva tassabile. Insomma, dal punto di vista fiscale il sollievo dal debito ha un costo fiscale, se non incanalato nelle giuste forme.

Un professionista o una ditta in contabilità semplificata può avere regimi diversi, ma in linea di massima la parte di debito non pagata può costituire un reddito imponibile nell’anno in cui viene definitivamente meno l’obbligo. Occorre coordinare ciò col principio di cassa/competenza: un professionista in contabilità di cassa potrebbe non dover rilevare nulla finché non paga, ma se viene liberato dal debito, potrebbe configurarsi un componente positivo (anche i professionisti seguono la regola delle sopravvenienze attive, anche se la disciplina è meno chiara che per le imprese).

Altra questione fiscale riguarda l’IVA e la detraibilità dei costi: se il finanziamento era finalizzato ad acquisti di beni o servizi con IVA, l’IVA è stata già detratta al momento dell’acquisto, quindi non rileva nel rimborso. Gli interessi passivi sul finanziamento erano deducibili per competenza per l’impresa; se il finanziamento viene meno, la deduzione già fruita per interessi competenziati non viene rettificata (si sono maturati fino a quando c’era il finanziamento attivo). Tuttavia, gli interessi di mora e le sanzioni per ritardato pagamento non sono deducibili fiscalmente.

Dal lato del creditore (banca/Fondo), quando una quota di credito è persa possono dedurre la perdita su crediti; questo al debitore non importa direttamente, ma è per dire che banca e MCC hanno interesse a certificare la perdita (anche via accordo) per ragioni fiscali loro.

Un tema spesso trascurato: se il Fondo di Garanzia (Stato) paga la banca, quella somma tecnicamente è un beneficio che l’impresa ha ricevuto (perché un suo debito è stato pagato da altri). Questo beneficio, seppur indirettamente percepito, la Cassazione penale lo assimila a un’erogazione pubblica ai fini dei reati (come vedremo in seguito), ma sul piano fiscale non risulta che generi un reddito immediato tassabile – in effetti il debitore non ha incassato denaro, ha solo cambiato creditore. Quindi il pagamento di MCC alla banca non è tassato come sopravvenienza attiva al momento del pagamento, perché il debitore non è stato liberato dal debito: semplicemente ora lo deve a un altro soggetto (lo Stato). Diventerà eventualmente sopravvenienza solo se e quando quello Stato gli condonerà o rinuncerà al credito.

Un’altra potenziale implicazione fiscale: se il debitore è una società di capitali e la situazione debitoria la porta a una riduzione del patrimonio netto oltre i limiti legali, potrebbe esservi l’obbligo di ricapitalizzazione o scioglimento (art. 2482-ter c.c. per S.r.l., 2447 c.c. per S.p.A.). Questo è un effetto contabile che non è direttamente fiscale, ma è conseguenza di perdite registrate (ad esempio per sopravvenienze passive se la banca ha segnalato che non incasserà tutto e la società rileva la perdita). Spesso accade che, se l’impresa fallisce o viene liquidata, i debiti come quelli verso banche/Fondo rimangono in gran parte insoddisfatti e vengono cancellati in chiusura di liquidazione: ciò genera una fiammata fiscale di sopravvenienze attive. Tuttavia, il TUIR prevede che quando si chiude una liquidazione (anche concorsuale) le sopravvenienze attive da eliminazione dei debiti non siano tassabili (perché la società cessando non prosegue l’attività). In pratica, se la società si liquida e muore, non paga tasse sui debiti rimasti impagati.

Infine, va menzionata la possibilità che scattino sanzioni fiscali indirette: ad esempio, se per pagare le rate la società aveva dedotto costi fittizi o gonfiati per trovare liquidità altrove, o se il default è avvenuto parallelamente a omessi versamenti di IVA o ritenute, ci saranno conseguenze (ma queste non sono dovute al finanziamento in sé, piuttosto alla crisi di liquidità generale). In particolare, imprenditori in crisi spesso sacrificano il pagamento di tasse e contributi per far fronte ai debiti bancari: se poi falliscono, rimangono debiti fiscali che possono portare a sanzioni e reati tributari (come l’omesso versamento IVA > 250k euro, art. 10-ter D.Lgs 74/2000). Questi aspetti esulano un po’ dal tema specifico “finanziamento MCC”, ma fanno parte del quadro della crisi in cui quell’insolvenza si verifica.

Un cenno anche agli aspetti IVA in procedure concorsuali: qualora con il concordato o piano si preveda un pagamento parziale, non c’è emissione di note di credito IVA perché le banche/il Fondo non sono fornitori commerciali (il finanziamento non genera IVA). Quindi almeno l’IVA non è coinvolta qui.

In conclusione, dal lato fiscale il debitore deve principalmente stare attento a: eventuali imponibilità delle riduzioni di debito (cosa che va pianificata preferibilmente all’interno di procedura per evitare tasse), e assicurarsi di gestire la crisi senza incorrere in violazioni tributarie. Inoltre, se riesce a stralciare parte del debito con MCC/banca, dovrà consultare il proprio commercialista per contabilizzare correttamente la transazione e valutarne l’impatto fiscale (spesso quando si fa un accordo si cerca anche di includere i crediti erariali e contributivi in modo da sfruttare la protezione dell’esenzione fiscale art. 88 TUIR).

Responsabilità penali connesse al mancato pagamento e all’utilizzo della garanzia pubblica

L’insolvenza su un finanziamento garantito dallo Stato può far emergere anche profili di responsabilità penale, soprattutto se il finanziamento era frutto di dichiarazioni non veritiere o se le somme ottenute non sono state usate secondo quanto dichiarato. È importante chiarire: non esiste un reato di “mancato pagamento di debiti” in sé – l’inadempimento civile non è penalmente sanzionato (il principio generale è che il diritto penale non punisce l’“insolvenza” semplice). Tuttavia, attorno ai finanziamenti con garanzia pubblica orbitano alcune fattispecie di reato specifiche. Vediamo le principali:

  • Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato (art. 316-ter c.p.): Questo reato punisce chiunque, mediante l’utilizzo di dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, oppure attraverso omissioni, ottiene indebitamente dallo Stato o da enti pubblici contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo. Ebbene, la Cassazione penale ha chiarito che i finanziamenti garantiti dal Fondo PMI rientrano tra le “erogazioni” considerate dall’art. 316-ter. In particolare, nel contesto dei prestiti Covid con garanzia statale, la Suprema Corte (Sez. VI, sent. 24/11/2021) ha stabilito che chi li ottiene indebitamente fornendo false attestazioni commette il reato di indebita percezione ai danni dello Stato. Ad esempio, durante l’emergenza Covid molte imprese o professionisti hanno autocertificato requisiti (come il calo di fatturato, l’assenza di condanne, ecc.) per accedere a prestiti garantiti al 100%. Se tali autocertificazioni erano false o contenevano dati non veritieri per far ottenere il prestito, il beneficiario risponde penalmente. La pena prevista dall’art. 316-ter c.p. va da 6 mesi a 3 anni di reclusione se l’importo indebitamente ottenuto supera 4.000 € (sotto questa soglia scatta solo una sanzione amministrativa pecuniaria). La Cassazione ha precisato che qui non si configura la truffa aggravata (art. 640-bis c.p.) perché manca l’elemento del “dolo ingannatorio” sofisticato: la banca in questi casi si limita a erogare sulla base dell’autocertificazione, senza un’attività di verifica approfondita, quindi non c’è un artificio o raggiro complesso, ma una semplice falsa dichiarazione. Ciò incastra perfettamente nella fattispecie di indebita percezione. In pratica: se ho dichiarato il falso per ottenere un prestito garantito, ad esempio attestando di essere impresa attiva quando ero cessata, oppure gonfiando i dati di fatturato per ottenere importo maggiore, rischio la denuncia (spesso queste situazioni emergono a seguito di controlli ex post della Guardia di Finanza).
  • Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640-bis c.p.): È una fattispecie simile ma più grave, che si applica quando l’ottenimento dell’erogazione pubblica (in questo caso il prestito garantito) avviene mediante artifizi o raggiri. La linea di demarcazione con l’art. 316-ter sta nella sofisticazione dell’inganno: se, ad esempio, un soggetto avesse creato documentazione contabile falsa, bilanci artefatti, o utilizzato prestanomi per far risultare un’impresa attiva, inscenando una realtà inesistente per farsi dare il prestito, si potrebbe contestare la truffa aggravata ai danni dello Stato. La pena per la truffa aggravata è più alta (reclusione da 1 a 6 anni, aumentabile in caso di ingenti profitti). In pratica, tra 316-ter e 640-bis spesso si sceglie l’una o l’altra in base alla condotta: dichiarazione mendace senza elaborato inganno -> 316-ter; macchinazione fraudolenta più elaborata -> 640-bis. L’importante è capire che ottenere il finanziamento pubblico senza averne diritto per mezzo di menzogne è reato.
  • Malversazione ai danni dello Stato (art. 316-bis c.p.): Questo reato punisce chi, avendo ottenuto dallo Stato o da altro ente pubblico contributi, sovvenzioni o finanziamenti destinati a favorire iniziative a contenuto pubblico (attività di interesse generale), non li destina alle finalità per cui sono stati erogati. La malversazione si focalizza sull’uso distorto dei fondi pubblici ricevuti. Il dibattito è stato se un finanziamento erogato da una banca, ma con garanzia pubblica, potesse ricadere in questa fattispecie. Ebbene, la Cassazione del 2022-2024 ha preso posizione affermativa: ha infatti riconosciuto che i finanziamenti concessi nell’ambito di aiuti di Stato (garanzia Fondo PMI, garanzia SACE) vanno considerati “una forma di aiuto pubblico, realizzato non con erogazione diretta da parte dello Stato, ma favorendo l’accesso al credito”. Di conseguenza, l’utilizzo di quel denaro per scopi diversi dall’iniziativa imprenditoriale da sostenere configura malversazione. Un caso concreto: un professionista ottiene €25.000 di prestito Covid garantito, dichiarando che gli servono per esigenze della sua attività colpita dalla pandemia, ma poi li usa per estinguere un mutuo personale sulla casa. La Cassazione (sent. n. 14874/2024) ha giudicato che questo comportamento integra il reato di malversazione. La motivazione è che quei fondi, seppure provenienti dalla banca, erano destinati a sostenere l’attività professionale (nozione ampia che include spese ordinarie, investimenti, pagamento di dipendenti, ecc.), mentre usarli per scopi estranei all’attività (pagare un debito personale, acquistare beni non attinenti) è un dirottamento dell’agevolazione dalla sua finalità, arrecando un danno pubblico. La malversazione è punita con la reclusione da 6 mesi a 4 anni (aumentati se coinvolgono fondi UE sopra soglie, ma nel nostro caso sono fondi statali). Molti casi giudiziari sono sorti su come sono stati impiegati i prestiti Covid: c’è chi li ha spesi in auto di lusso, chi per investimenti finanziari personali, ecc. Le Procure hanno contestato la malversazione in tali situazioni. Va precisato che per integrare il reato non basta generare una perdita generica: occorre proprio una destinazione diversa da quella per cui il finanziamento era stato concesso. Nel caso del Fondo PMI, la destinazione tipica è “sostenere l’attività d’impresa/professionale”. Quindi se spendo i soldi nell’attività, non c’è reato anche se poi fallisco; se li spendo completamente fuori dall’attività, sì. La sottile zona grigia potrebbe essere: ho usato parte dei fondi per pagare debiti personali che però indirettamente mi consentivano di dedicarmi al business – qui le interpretazioni possono variare, ma la Cassazione del 2024 è stata abbastanza rigorosa: nel caso citato, un professionista aveva usato il prestito per pagare rate di mutuo della casa familiare, e la Corte ha detto che quello non è compatibile con le finalità, quindi è reato. I contorni esatti ancora si delineano caso per caso.
  • Falsità ideologica in atto pubblico (art. 483 c.p.): Chi presenta un’autocertificazione falsa ad un ente pubblico commette anche il reato di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico. Nel contesto dei finanziamenti garantiti, le domande spesso contengono dichiarazioni sostitutive di atto notorio (ad esempio sul fatto di non essere in difficoltà al 31/12/2019, requisito previsto dal Temporary Framework Covid, o di non avere condanne ostative, ecc.). Se tali dichiarazioni sono mendaci, oltre ai reati già visti, si potrebbe contestare l’art. 483 c.p. (punito fino a 2 anni di reclusione). In genere, le Procure preferiscono concentrarsi su 316-ter o 640-bis che assorbono un po’ il disvalore, ma non si può escludere un cumulo di accuse (es: falsa attestazione in autocertificazione + indebita percezione).
  • Reati fallimentari (bancarotta semplice o fraudolenta): Se l’insolvenza del debitore sfocia in un fallimento (liquidazione giudiziale), possono emergere responsabilità penali per gli amministratori dell’impresa. Nel contesto di un finanziamento MCC non pagato, un aspetto rilevante è la bancarotta semplice per aggravamento del dissesto. Il vecchio art. 217, co. 1 n.4 L.Fall puniva l’imprenditore che aggravava il dissesto ricorrendo a mezzi rovinosi per ottenere credito (ad esempio facendo nuovi debiti sapendo di non poterli pagare, ritardando il fallimento). Nel nuovo Codice della Crisi, condotte simili sono considerate nell’ambito dei reati di gestione aggravata dell’insolvenza. Il Tribunale di Torino in un caso ha ritenuto che la banca mutuante potesse addirittura essere complice di bancarotta semplice se concede incautamente il prestito e ritarda il fallimento, ma la Cassazione (ord. 26248/2024) ha poi smentito di poter equiparare la violazione degli obblighi di valutazione del merito creditizio da parte della banca a un concorso nel reato del debitore. Ciò che qui rileva è: per gli amministratori dell’impresa debitrice, avere utilizzato un prestito garantito per tirare avanti sapendo di essere insolventi potrebbe configurare bancarotta semplice (avere aggravato il dissesto). Inoltre, se fondi del prestito sono stati distratti a fini personali o sottratti all’azienda, al fallimento ciò costituirà bancarotta fraudolenta patrimoniale, un reato grave (punito 3-10 anni). Ad esempio, se i soci si sono divisi i soldi del prestito invece di usarli in azienda e poi l’azienda è fallita, quei prelievi verranno contestati come distrazioni fraudolente di cassa. Anche la sparizione o falsificazione delle scritture contabili per coprire come sono stati usati i fondi integrerà bancarotta fraudolenta documentale.
  • Altre fattispecie: Qualora il debitore rilasci assegni a vuoto per cercare di prendere tempo (pratica sconsiderata ma talvolta usata con fornitori per guadagnare giorni), potrebbe incorrere nel reato di emissione di assegno senza provvista (art. 2 L. 386/90, depenalizzato in illecito amministrativo grave) oppure, se mira a frodare i creditori sottraendo beni (vendendoli “a parenti” a poco prezzo, ecc.), nel reato di atti in frode ai creditori (art. 216 L.F., se poi fallisce). Nel contesto MCC, se qualcuno avesse fornito garanzie false (es. una fideiussione falsa per ottenere il prestito – ipotesi remota perché c’era la garanzia pubblica quindi la banca di solito non chiedeva altre garanzie se non a volte personali vere) potrebbe configurarsi truffa.

In generale, il semplice fatto di non riuscire a pagare le rate non è di per sé un reato, ma tutto ciò che ruota attorno all’ottenimento e all’uso dei fondi sì. Per il professionista o l’imprenditore debitore è fondamentale aver agito con trasparenza e correttezza: se ha detto la verità in fase di richiesta e ha impiegato il denaro nell’attività (anche se poi è fallita lo stesso), non è un criminale, è solo sfortunato economicamente. Viceversa, se ha mentito per ottenere soldi facili dallo Stato o li ha dirottati a fini personali, rischia conseguenze penali severe. Da notare che, in sede di indagini, spesso scatta il sequestro preventivo per equivalente del profitto del reato (art. 321 c.p.p. e 322-ter c.p.): ad esempio, se si indaga Tizio per aver malversato 20.000 € di prestito pubblico, il giudice può disporre il sequestro dei suoi beni personali fino a 20.000 €, in vista di una futura confisca. Questo è un ulteriore motivo per cui certe condotte possono mettere in ginocchio il professionista: si trova con beni congelati dalla magistratura mentre già faticava con i creditori.

Riassumendo i principali reati in uno scenario tipico: un’impresa chiede un prestito MCC dichiarando A, ottiene i soldi ma li usa per B, non li restituisce e fallisce. Potenzialmente: falso in autodichiarazione e indebita percezione per come li ha ottenuti; malversazione per come li ha usati; bancarotta per come la cosa è finita. Non è detto vengano contestati tutti, ma questo dipende dalle circostanze specifiche. Le autorità stanno ponendo attenzione a questi casi soprattutto nel post-Covid, per evitare che i prestiti garantiti si trasformino in regali indebiti a chi li ha sfruttati disonestamente. Anche la Corte dei Conti potrebbe muoversi sul fronte del “danno erariale”: ad esempio citare in giudizio per danni chi (amministratori o banche compiacenti) ha causato un esborso ingiustificato del Fondo di Garanzia. Ci sono state pronunce della Corte dei Conti che hanno affermato la giurisdizione contabile su finanziamenti garantiti da MCC, considerandoli aiuti di Stato. Questo per dire che la malagestione di soldi pubblici può portare a dover risarcire il danno erariale oltre che rispondere penalmente.

In definitiva, il debitore onesto che purtroppo fallisce non deve temere di per sé conseguenze penali, ma quello disonesto o spregiudicato sì. Se ci si trova in difficoltà, è importante non peggiorare la propria posizione con azioni illegali: meglio affrontare subito il problema legalmente (chiedendo aiuto, come vedremo), piuttosto che mentire o nascondere, perché queste scorciatoie possono sfociare nel penale.

Esempio pratico: cosa accade con un prestito da 30.000 € non pagato

Per concretizzare tutte queste informazioni, proponiamo un esempio pratico ipotetico, seguendo la vicenda di un professionista con una piccola attività, che ha ottenuto un prestito garantito e purtroppo finisce per non riuscire a pagarlo.

Scenario iniziale: Il sig. Rossi è un giovane professionista (ingegnere informatico con P.IVA) che nel 2021, per sostenere la propria attività, ottiene dalla banca Unicredito un finanziamento di 30.000 € della durata di 5 anni, tasso 4%, rate mensili. Questo prestito rientrava nelle misure agevolate post-Covid ed è garantito al 90% dal Fondo di Garanzia PMI (MCC). Quindi Mediocredito Centrale garantisce 27.000 €, la banca rimane esposta per il 10% (3.000 €) più gli interessi. Il contratto non prevede altre garanzie reali, ma vede la firma di Rossi come obbligato principale e quella di sua moglie come coobbligata/fideiussore a garanzia personale.

Rossi inizialmente paga regolarmente le rate per un anno. Poi, nel 2023, la sua attività subisce un calo improvviso (perde un cliente importante) e comincia ad accumulare ritardi nei pagamenti. Vediamo passo passo come evolvono le cose:

  • Mancato pagamento e intervento della banca: A partire da giugno 2023, Rossi salta il pagamento di 3 rate consecutive (ognuna di circa 552 €). La banca lo sollecita telefonicamente, poi con lettera AR dopo la seconda rata non pagata. Trascorsi 3 mesi di insoluti (settembre 2023), scatta la segnalazione a CRIF come ritardato pagatore (la banca gli aveva inviato a fine agosto il preavviso di segnalazione). Rossi prova a spiegare le sue difficoltà alla banca e chiede una dilazione, ma le trattative informali non vanno a buon fine. Ad ottobre 2023, persistendo il mancato pagamento, la banca dichiara la decadenza dal beneficio del termine: invia a Rossi e alla fideiussoria (la moglie) una comunicazione formale in cui risolve il contratto e richiede il pagamento immediato del debito residuo. Il debito residuo in quel momento ammonta a circa 25.000 € di capitale (perché in un anno ha rimborsato poco più di 5.000 di capitale) più interessi contrattuali e moratori. Nella stessa lettera, Unicredito avvisa che, se entro 15 giorni non avverrà il saldo, procederà legalmente e attiverà la garanzia statale MCC. Rossi purtroppo non riesce a trovare i soldi né a ottenere aiuto dalla famiglia (30.000 € sono tanti).
  • Fase legale e segnalazioni: A novembre 2023 la banca avvia la procedura monitoria: presenta ricorso per decreto ingiuntivo al tribunale competente, allegando l’estratto conto del finanziamento e la lettera di decadenza. Il tribunale emette un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo per 25.500 € (capitale + interessi + spese legali) in favore di Unicredito contro Rossi e la moglie (in qualità di coobbligata). A fine novembre il decreto viene notificato. Rossi non propone opposizione (in effetti il debito c’è). Nel frattempo, la banca invia la segnalazione di sofferenza in Centrale Rischi a ottobre, indicando il credito in sofferenza di circa 25.000 €. Questo peggiora ulteriormente la reputazione creditizia di Rossi: altre banche con cui aveva rapporti minori (es. carta di credito) glieli revocano.
  • Escussione della garanzia MCC: Già a dicembre 2023, trascorsi i 90 giorni dalla prima rata insoluta, Unicredito può attivare la pratica con il Fondo. Seguendo le regole, la banca carica sul portale del Fondo la richiesta di escussione allegando la lettera di mora, il decreto ingiuntivo ottenuto e dichiarando l’importo dovuto (supponiamo 25.000 € + interessi maturati fino al 30/11/2023). Nonostante non abbia ancora fatto pignoramenti, la banca ha comunque avviato la procedura di recupero (ha ottenuto il titolo esecutivo), soddisfacendo così i requisiti del Fondo. Entro pochi mesi (diciamo entro febbraio 2024) Mediocredito Centrale approva la richiesta e paga alla banca il 90% del dovuto. Supponiamo che includendo qualche interesse e spesa il debito conteggiato fosse 26.000 €: MCC versa circa 23.400 € a Unicredito (90%). La banca quindi recupera tutta la sua esposizione coperta (ricordiamo che di capitale suo rischio erano 3k). Rimane fuori una quota di circa 2.600 € (il 10% non garantito più eventuali interessi/more non coperti). La banca a questo punto chiude la posizione per 23.400 € e resta creditrice di 2.600 €. Molto probabilmente cederà questo residuo a una società di recupero (dato l’importo piccolo) o continuerà a recuperarlo per conto proprio in via residuale. Ma potrebbe anche, per semplicità, lasciare che sia MCC a gestire tutto e accordarsi con MCC: tuttavia, formalmente MCC ha diritto di surroga solo sulla parte pagata, la banca resta titolare del piccolo importo residuo.
  • Suddivisione del debito dopo l’escussione: Ora il sig. Rossi deve: 2.600 € verso Unicredito e 23.400 € verso MCC. In totale è aumentato anche un po’ per via delle spese, ma prendiamolo come confronto. Quindi ora Rossi ha un debito con lo Stato di 23,4k. Mediocredito Centrale invia una comunicazione a Rossi (e per conoscenza alla moglie garante) informandolo che, avendo pagato la banca, è ora tenuto a rimborsare al Fondo la somma di 23.400 € ai sensi dell’art. 1203 c.c. e dell’art. 9 D.Lgs. 123/1998. Gli allegano magari l’atto di surroga e chiedono pagamento entro 30 giorni. Rossi però, se non aveva 25k prima, non li ha neanche adesso per MCC.
  • Azione esecutiva e riscossione: Unicredito, pur avendo incassato il grosso, vuole chiudere la partita del residuo: a marzo 2024 notifica un atto di precetto a Rossi e moglie per 2.600 € (riferito al decreto ingiuntivo). Nel frattempo, MCC decide di utilizzare la via “pubblicistica”: a maggio 2024 l’Agenzia delle Entrate-Riscossione notifica a Rossi e alla moglie una cartella esattoriale di 24.500 € (l’importo di 23.400 € più interessi legali e oneri di riscossione). Rossi si trova un doppio problema: la banca può ancora procedere per 2.6k (ad esempio potrebbe pignorargli il conto, dove però ormai c’è poco), e lo Stato gli intima 24.5k. Rossi non possiede immobili, ma ha un’auto e soprattutto un c/c in cui ogni mese gli arrivano circa 1500 € di pagamenti da clienti. A luglio 2024, la banca tramite ufficiale giudiziario effettua un pignoramento presso terzi sul suo conto corrente: riesce a bloccargli 1.000 € che erano sul conto. Questo importo va a ridurre il debito residuo verso Unicredito, che quindi praticamente esaurisce la sua pretesa (2.600 – 1.000 = 1.600 ancora, ma può cercare di prendere altri soldi più avanti). L’Agente della Riscossione, dal canto suo, verifica che Rossi non ha immobili intestati e a ottobre 2024 iscrive un fermo amministrativo sulla sua auto (valore sui 8.000 €). Inoltre, gli notifica un preavviso di ipoteca sulla casa dei genitori di Rossi dove risulta avere una piccola quota di proprietà ereditata (lui neppure ricordava di avere il 10% di quella casa): lo Stato minaccia ipoteca se non paga.
  • Conseguenze personali e soluzioni: Rossi a questo punto è in seria difficoltà: la sua attività è quasi ferma, il fermo auto gli impedisce di utilizzare l’automobile

Strategie legali e difensive per PMI e professionisti inadempienti

Affrontare tempestivamente e attivamente una situazione di inadempimento può fare la differenza tra una crisi gestibile e conseguenze irreparabili. Di seguito esaminiamo le principali strategie difensive e soluzioni pratiche per imprese e professionisti che non riescono a rimborsare un finanziamento garantito dal Fondo PMI:

Rinegoziazione del debito con la banca

La prima mossa consigliabile, non appena si profilano difficoltà finanziarie, è contattare la banca per cercare una rinegoziazione o rimodulazione del finanziamento. Molti istituti, soprattutto a seguito della crisi Covid-19, hanno mostrato disponibilità a concedere moratorie, sospensioni delle rate o allungamenti dei piani di ammortamento alle PMI in temporanea difficoltà. L’obiettivo è trovare un accordo che consenta al debitore di riprendere i pagamenti (anche parziali) ed evitare di essere classificato a “sofferenza” e segnalato come cattivo pagatore nelle centrali rischi.

Cosa proporre in concreto? Si può chiedere ad esempio:

  • Una dilazione del debito, con piani di rientro più sostenibili (es. estensione della durata del mutuo, riduzione temporanea della quota capitale delle rate, periodo di solo pagamento interessi).
  • Una ristrutturazione del finanziamento, magari accorpando più debiti in un unico prestito consolidato con rata più bassa.
  • L’applicazione di eventuali moratorie previste da accordi ABI o normative emergenziali. (Ad esempio, durante la pandemia era prevista una moratoria ex lege per le PMI sui finanziamenti, poi scaduta; in assenza di obblighi di legge attuali, resta la possibilità di accordi volontari con la banca).

La banca ha anche un incentivo proprio a rinegoziare: se il debitore collabora e offre un piano credibile di rientro, la banca potrebbe evitare di dover classificare il credito come “in sofferenza” e di attivare la garanzia statale. Quest’ultima infatti copre solo una parte del finanziamento (tipicamente l’80%), e il residuo resta a carico della banca, che dovrà comunque provare a recuperarlo dal cliente o accantonare perdite. Inoltre, l’escussione della garanzia comporta tempi e procedure burocratiche, mentre un accordo diretto può essere più rapido ed efficiente.

Attenzione: è fondamentale muoversi prima che la posizione sia definitivamente deteriorata. In genere, dopo alcune rate non pagate (ad esempio 3 mesi di insolvenza), la banca può inviare la comunicazione di decadenza dal beneficio del termine e successivamente attivare il Fondo di Garanzia. Se si aspetta troppo, il finanziamento verrà revocato e segnalato come inesigibile; a quel punto lo spazio per una trattativa bonaria si riduce notevolmente.

È consigliabile dunque presentare per iscritto alla banca una richiesta di rinegoziazione o un piano di rientro dettagliato (vedi fac-simile più avanti), motivando la temporanea difficoltà (es. calo di fatturato, ritardi incassi, emergenza imprevista) e indicando come si intende recuperare il ritardo (es. diluire gli arretrati su un certo numero di mesi, oppure pagare rate ridotte per un periodo concordato). Se l’azienda intravede prospettive di ripresa (ad esempio nuovi contratti in arrivo), andrà evidenziato nel dialogo con la banca, per convincerla che la ristrutturazione può andare a buon fine.

Documentazione: durante la negoziazione con la banca è utile avere chiara la situazione debitoria. Si può esercitare il diritto di ottenere copia dei documenti di conto e del contratto (ex art. 119 TUB), in modo da verificare l’ammontare esatto del debito residuo, interessi e spese. Questo aiuterà a formulare una proposta realistica e a scongiurare errori.

In sintesi, rinegoziare è quasi sempre il primo tentativo da fare: mostra buona fede, può fermare azioni drastiche e spesso porta beneficio a entrambe le parti (il debitore evita escalation e la banca aumenta le chance di recuperare il credito senza attivare garanzie o cause legali).

Accordi transattivi a saldo e stralcio (coinvolgendo il Fondo di Garanzia)

Se la rinegoziazione standard non è praticabile o insufficiente, un passo successivo è valutare un accordo transattivo a saldo e stralcio del debito, coinvolgendo anche il Fondo di Garanzia MCC. Saldo e stralcio significa proporre alla banca il pagamento di una parte del debito – tipicamente in forma di somma immediata o in poche soluzioni – in cambio dell’esonero dal pagamento del restante. In pratica il debitore offre ciò che realisticamente può pagare (ad es. grazie a liquidità ottenuta vendendo un bene, o supporto di terzi) e chiede di stralciare (cancellare) la quota eccedente.

Con i finanziamenti garantiti dallo Stato, questi accordi richiedono un coordinamento con MCC, perché la banca non può da sola rinunciare alla parte coperta da garanzia senza coinvolgere il garante pubblico. Dal 14 ottobre 2022, però, sono state introdotte precise istruzioni operative che consentono tali accordi transattivi con il Fondo di Garanzia, specialmente nell’ambito delle procedure di composizione negoziata della crisi. In base alla circolare MCC n. 8/2022, recepita dal Decreto MISE 3/10/2022, oggi è possibile per un’impresa in difficoltà proporre un saldo e stralcio su un finanziamento garantito, alle seguenti condizioni principali:

  • Adesione della banca: la banca finanziatrice deve essere d’accordo nel definire transattivamente la posizione.
  • Istanza tempestiva: la proposta di accordo va presentata entro i termini previsti per la richiesta di escussione della garanzia (cioè prima che la banca chieda ufficialmente al Fondo di pagare).
  • Pagamento minimo del 15%: il debitore deve offrire il pagamento di almeno il 15% dell’importo complessivo dovuto. Offerte inferiori non vengono prese in considerazione dal Fondo.
  • Finalità di risanamento: l’accordo deve essere funzionale al risanamento dell’impresa. In pratica, deve inserirsi in un percorso credibile di ristrutturazione (spesso in un contesto di composizione negoziata o altro piano concordatario) e risultare più conveniente, per banca e Fondo, rispetto ad altre opzioni (come l’escussione integrale e la liquidazione coattiva).

Come funziona nella pratica un saldo e stralcio con garanzia MCC? Il meccanismo prevede una ripartizione dell’onere tra debitore, banca e Fondo. Ad esempio, supponiamo un finanziamento residuo di 100 (di cui 80 garantiti da MCC e 20 a rischio della banca). Senza accordo, la banca escuterebbe la garanzia per 80, ottenendo dallo Stato tale importo, e continuerebbe (in teoria) a chiedere al debitore i 20 scoperti. Con un accordo a saldo, invece, si può convenire quanto segue:

  • Il debitore paga subito una quota (es. 20 su 100, cioè il 20%). Questa va alla banca.
  • La banca rinuncia a una parte di garanzia, chiedendo a MCC un’escussione ridotta pari alla differenza mancante (nell’esempio 60 anziché 80).
  • MCC accetta l’accordo e rinuncia al diritto di rivalsa sul debitore per la parte non incassata (in questo caso rinuncia a rivalersi sui 60 pagati, anziché 80).

In tal modo, la banca recupera complessivamente 80 (20 dal cliente + 60 dal Fondo) – ovvero lo stesso importo che avrebbe ottenuto escutendo la garanzia piena – ma con il vantaggio di incassare parte in contanti subito e di chiudere la posizione senza ulteriori strascichi. MCC limita la propria perdita a 60 invece che 80, migliorando il proprio risultato rispetto allo scenario di insolvenza totale. Il debitore ottiene uno sconto del 80% circa sul debito (pagandone solo 20 su 100) e si libera definitivamente dall’obbligazione residua, poiché il Fondo, avendo aderito all’accordo, non eserciterà azioni di regresso né farà iscrivere cartelle esattoriali per la quota stralciata.

Va sottolineato che MCC valuterà attentamente queste proposte: devono risultare convenienti rispetto ad un recupero forzoso (ad esempio perché l’impresa altrimenti fallirebbe e non vi sarebbe nulla da riscuotere). Spesso viene richiesta la presentazione di un piano di risanamento dell’azienda e di documentazione economico-finanziaria a supporto, nonché la relazione di un professionista indipendente attestante la fattibilità dell’accordo in un contesto di riequilibrio. In molti casi queste transazioni si sviluppano all’interno della procedura di composizione negoziata della crisi d’impresa (strumento introdotto nel 2021), che funge da “contenitore” ideale per negoziare con banche e creditori pubblici in modo organizzato. Ciò non toglie che accordi di saldo e stralcio possano essere tentati anche stragiudizialmente in altre situazioni, purché banca e debitore trovino un’intesa e sottopongano per tempo la proposta al Gestore del Fondo tramite l’apposito portale.

In concreto, per il debitore l’approccio sarà: preparare una proposta scritta alla banca indicando l’importo immediatamente disponibile che si è disposti a pagare e chiedendo che la banca stessa si faccia portavoce presso MCC per l’approvazione dell’accordo transattivo (vedi fac-simile di richiesta di stralcio più avanti). È bene motivare la richiesta spiegando perché la situazione economica non consente di pagare interamente il debito, ma al contempo perché l’offerta è seria e migliorativa rispetto all’alternativa (ad esempio, dichiarare che in mancanza di accordo l’impresa sarebbe costretta alla liquidazione fallimentare, in cui il Fondo recupererebbe zero).

Nota: finché l’accordo transattivo non è perfezionato e approvato, continuano a decorrere i termini entro cui la banca può escutere la garanzia. L’apertura di trattative sospende tali termini solo se formalizzata secondo le disposizioni operative del Fondo. Pertanto, è cruciale muoversi tempestivamente e seguendo le regole: la banca dovrà caricare la proposta sul portale del Fondo e attendere la delibera del Consiglio di gestione MCC (entro 30 giorni). In caso di esito positivo, la transazione va conclusa entro 3 mesi. Se tutto va a buon fine, la banca incasserà dal Fondo l’importo pattuito (entro 6 mesi dall’accordo) e rilascerà al debitore quietanza a saldo.

Limiti: non tutte le situazioni permettono un saldo e stralcio. Se il debitore non ha alcuna risorsa da offrire (neanche quel 15% minimo) oppure se la banca ha già escusso la garanzia prima di qualunque trattativa, questa strada potrebbe essere preclusa. Inoltre, un’impresa che voglia mantenere attiva l’attività deve valutare l’impatto reputazionale: un saldo e stralcio sostanzialmente inadempie una parte del debito, quindi potrebbe comportare segnalazioni negative e difficoltà di accesso ad altri crediti in futuro (anche se, ad accordo chiuso, quantomeno la posizione verrà aggiornata come “saldo a stralcio” e non più come sofferenza aperta).

In conclusione, l’accordo transattivo è una soluzione potente ma da maneggiare con cura. Quando ben congegnato, consente di eliminare gran parte del debito e chiudere definitivamente la vertenza, scongiurando azioni esecutive dello Stato. Tuttavia richiede risorse immediate (per offrire il pagamento parziale) e la capacità negoziale di allineare gli interessi di banca e Fondo su un percorso di recupero parziale ma certo.

Procedure di sovraindebitamento (OCC, piani del consumatore, concordato minore)

Se la situazione debitoria dell’imprenditore o professionista è particolarmente grave e non risolvibile con meri accordi stragiudiziali, occorre prendere in considerazione gli strumenti giudiziari offerti dall’ordinamento per gestire le crisi da sovraindebitamento. Si tratta delle procedure previste originariamente dalla Legge 3/2012 (cd. “Salva Suicidi”) e oggi confluite nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019, in vigore dal 15 luglio 2022). Tali procedure permettono, sotto controllo dell’Autorità Giudiziaria, di ristrutturare o cancellare i debiti di soggetti non fallibili (come piccoli imprenditori, start-up, professionisti, consumatori), garantendo al debitore una esdebitazione (liberazione dai debiti residui) a fronte di uno sforzo di pagamento commisurato alle proprie possibilità.

Le opzioni principali oggi disponibili sono:

  • Ristrutturazione dei debiti del consumatore (ex piano del consumatore): riservata a debitori persone fisiche consumatori, cioè che hanno contratto debiti per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale. Ad esempio, un professionista che ha debiti principalmente per esigenze familiari/personali potrebbe rientrarvi, ma non un imprenditore con debiti d’impresa. Questa procedura (disciplinata dagli artt. 67 e segg. del Codice della crisi) consente di proporre al giudice un piano di rientro dei debiti senza bisogno del voto dei creditori. È il tribunale, verificate la fattibilità e la meritevolezza (assenza di colpa grave o frode del debitore), ad omologare il piano rendendolo vincolante per tutti i creditori, anche dissentienti. Il piano può prevedere il pagamento parziale dei debiti (saldo e stralcio) e forme di moratoria o ristrutturazione, purché il debitore metta a disposizione tutte le risorse disponibili coerenti con il principio di massimo sforzo. Durante la pendenza del procedimento, e ancor più dopo l’omologa, il debitore è protetto: si possono ottenere misure di sospensione delle azioni esecutive (pignoramenti, ecc.) e nessun creditore può agire individualmente.
  • Concordato minore (ex accordo di composizione con i creditori): destinato a debitori non consumatori, quindi piccole imprese, ditte individuali, professionisti con debiti derivanti dall’attività professionale o aziendale. È regolato dagli artt. 74 e segg. Cod. crisi ed è concettualmente simile a un concordato preventivo “semplificato”: il debitore propone un accordo di ristrutturazione ai creditori, che deve ottenere l’adesione di almeno il 60% dei crediti (maggioranza qualificata). Se si raggiunge tale quorum e il tribunale approva (verificando che i creditori dissenzienti non ricevano meno di quanto otterrebbero da una liquidazione), l’accordo diventa efficace per tutti i creditori. Nel concordato minore, a differenza del piano del consumatore, i creditori votano sulla proposta, per cui occorre negoziare con le banche e gli altri soggetti per ottenere consensi. È una procedura adatta quando si vuole salvaguardare la continuità aziendale: il debitore può continuare l’attività mentre ristruttura i debiti, eventualmente prevedendo la soddisfazione parziale di alcuni crediti e la continuazione dei rapporti essenziali. Anche qui il tribunale può disporre la sospensione delle azioni esecutive durante le trattative.
  • Liquidazione controllata del sovraindebitato (ex liquidazione del patrimonio): è l’equivalente di un fallimento (liquidazione giudiziale) per i soggetti sotto soglia o non fallibili. Viene nominato un liquidatore che vende i beni del debitore e ripartisce il ricavato tra i creditori. La differenza rispetto al fallimento tradizionale è che, al termine della procedura, la persona fisica debitrice può ottenere l’esdebitazione, cioè la cancellazione dei debiti residui non soddisfatti. In altre parole, anche se il ricavato è insufficiente a pagare tutti (eventualità molto comune), il debitore viene liberato dalle obbligazioni pregresse ed è messo in condizione di ripartire da zero. La liquidazione può essere avviata volontariamente dal debitore sovraindebitato che riconosce di non poter offrire un piano di rientro, oppure può essere convertita da un precedente piano/concordato minore non riuscito. Anche i creditori o un pubblico ministero possono chiederla in alcune circostanze (ad es. se il debitore aggrava la propria posizione con atti in frode). Durante la liquidazione, il patrimonio (inclusi i beni personali, salvo quelli impignorabili per legge) viene aggredito in modo ordinato: i creditori privilegiati vengono soddisfatti per primi, e tra questi figura anche lo Stato per crediti come quelli di MCC, che per legge hanno natura di credito privilegiato. Tuttavia, come detto, una volta chiusa la procedura il debitore persona fisica ha diritto all’esdebitazione (salvo eccezioni per comportamenti fraudolenti o altre cause di esclusione).
  • Esdebitazione del debitore incapiente: novità introdotta prima dalla L.176/2020 e ora recepita nel Codice della crisi, consente anche a chi non ha alcun bene liquidabile di chiedere al tribunale la cancellazione dei propri debiti. È un provvedimento eccezionale e concesso una sola volta in vita, riservato ai debitori “meritevoli” che si trovino in una persistente situazione di insolvenza senza colpa e non siano in grado di offrire nulla ai creditori. Se accolta, l’esdebitazione cancella i debiti immediatamente; resta fermo un obbligo morale (e giuridico condizionato) di pagare in futuro i creditori in misura pari al 10% dei debiti, nel caso il debitore riacquisti capacità reddituale nei successivi 4 anni. Questa misura rappresenta davvero l’ultima spiaggia, ma costituisce un importante riconoscimento del principio della “fresh start” (nuovo inizio) per chiunque, in buona fede, incappi in un fallimento economico totale.

Le procedure di sovraindebitamento si attivano rivolgendosi a un Organismo di Composizione della Crisi (OCC) o a un professionista gestore della crisi. L’OCC aiuta il debitore a predisporre la proposta di piano/concordato o l’istanza di liquidazione, raccoglie i documenti e redige una relazione sulla solvibilità e le cause dell’indebitamento. Successivamente, la pratica viene presentata al tribunale competente. Durante questo percorso il debitore deve rispettare obblighi di trasparenza e collaborazione; in cambio ottiene tutela dalle aggressioni dei creditori (il giudice può sospendere pignoramenti in corso, come vedremo nel paragrafo seguente sulla casa).

Per PMI e professionisti con esposizioni verso banche (inclusi finanziamenti MCC) e altri creditori, queste procedure possono risultare complesse ma efficaci: tagliano il debito in base alla reale capacità contributiva e congelano le azioni esecutive individuali, consentendo una gestione unitaria della crisi. Ad esempio, un professionista indebitato potrebbe proporre un concordato minore offrendo ai creditori il ricavato della vendita di un bene non essenziale più una percentuale dei redditi futuri, liberandosi del resto delle pendenze. Oppure, se non possiede nulla, può optare per la liquidazione controllata mettendo a disposizione il poco che ha (anche solo una somma modesta) per poi ottenere l’esdebitazione totale.

È importante notare che, in presenza di debiti garantiti da MCC, lo Stato sarà considerato un creditore privilegiato nell’ambito di queste procedure. Ciò significa che, ad esempio in una liquidazione, il Fondo di Garanzia (MCC) verrà soddisfatto con precedenza rispetto ai crediti chirografari comuni. Nei piani/concordati, il trattamento proposto al credito di MCC dovrà rispettare la parità di trattamento degli altri crediti privilegiati e non potrà discriminarlo ingiustamente. Tuttavia, l’ordinamento consente anche di pagare parzialmente i crediti privilegiati se il valore dei beni su cui insiste il privilegio è insufficiente a coprirli integralmente (si pensi ad un’ipoteca su un immobile il cui valore è diminuito). In tali casi, la parte di credito privilegiato eccedente il valore realizzabile diventa chirografaria e può subire decurtazioni.

In definitiva, rivolgersi alla procedura di sovraindebitamento è una scelta impegnativa ma risolutiva: si entra in tribunale e si affronta la crisi in modo formale, ma si può ottenere ciò che con mezzi stragiudiziali è spesso impossibile, ossia la sistemazione definitiva di tutti i debiti (anche quelli verso Erario, banche, ecc.) e la possibilità di ripartire puliti. È un percorso da intraprendere con l’assistenza di professionisti qualificati (avvocati, commercialisti esperti in crisi d’impresa) e con la consapevolezza che richiederà tempi e sacrifici; tuttavia, per molti piccoli imprenditori schiacciati dai debiti, rappresenta l’unica via per uscire dal tunnel.

Protezione della prima casa e dei beni essenziali

Uno degli aspetti più delicati per imprenditori e professionisti indebitati è la tutela dei beni personali essenziali, in primis la casa di abitazione della famiglia. L’esposizione debitoria, infatti, può portare a pignoramenti immobiliari e alla vendita all’asta della casa, con conseguenze drammatiche sul piano sociale. Fortunatamente, esistono strumenti per proteggere la prima casa in caso di sovraindebitamento, evitando che venga forzosamente espropriata.

Procedura di composizione della crisi (piano del consumatore o concordato minore): come accennato, se il debitore attiva una procedura di ristrutturazione dei debiti, può chiedere al giudice di sospendere eventuali pignoramenti in corso sull’abitazione. Ad esempio, nel piano del consumatore il giudice, su istanza del debitore, può disporre il divieto di azioni esecutive sul patrimonio del debitore, inclusi i pignoramenti immobiliari, già dalla fase di ammissione. Ciò significa che, presentando un piano sostenibile, si può bloccare un’asta immobiliare imminente. La normativa introdotta dalla L.176/2020 e confermata nel Codice della crisi consente addirittura di omologare piani del consumatore in corso di pignoramento immobiliare, ossia anche dopo che la casa è stata pignorata, purché prima della vendita definitiva.

Nel piano si può poi prevedere la continuità del mutuo sulla prima casa: il debitore può proporre di continuare a pagare le rate del mutuo ipotecario residuo (magari dilazionandole o rinegoziandole) in modo da soddisfare integralmente la banca con ipoteca, mentre ristruttura o taglia gli altri debiti non garantiti. Questa opzione è stata introdotta proprio per consentire al debitore di non perdere la casa pur accedendo alla procedura di sovraindebitamento. In pratica la casa ed il relativo mutuo vengono “estratti” dalla massa da liquidare, a condizione che il debitore si impegni a pagare il mutuo regolarmente. Ciò non toglie che, se il debito complessivo è troppo elevato, si possa anche proporre un saldo parziale del mutuo nel contesto del piano. In alcuni casi la giurisprudenza ha omologato piani che prevedevano il pagamento solo di una percentuale del mutuo residuo, ritenendo la soluzione più vantaggiosa anche per la banca ipotecaria rispetto all’esecuzione. Ad esempio, è stato approvato un piano del consumatore che, a fronte di un pignoramento già avviato, permetteva di salvare la casa pagando il 37% del mutuo originario in 7 anni. Ciò implica che la banca ipotecaria ha accettato uno stralcio del 63% circa, probabilmente perché il valore di mercato dell’immobile e le effettive capacità del debitore non avrebbero consentito di ricavare di più nemmeno con la vendita forzata. Questo esempio mostra come la protezione della prima casa sia concretamente attuabile: il debitore, dimostrando lealtà e offrendo ai creditori il miglior rimedio possibile, può ottenere di mantenere l’abitazione e pagare solo una parte del debito ipotecario con un piano sostenibile.

Nel concordato minore (per debiti d’impresa), salvare la casa è un po’ più complesso, poiché richiede comunque il voto favorevole dei creditori, compreso l’eventuale banca ipotecaria. Tuttavia, nulla vieta di impostare un concordato prevedendo che l’immobile abitativo non venga liquidato ma che ai creditori (incluso chi ha ipoteca) venga offerto un trattamento almeno equivalente a quello ottenibile dalla vendita. Se, ad esempio, un familiare del debitore offre finanza esterna per rilevare l’immobile o per pagare la quota di soddisfazione dei creditori garantiti, si può evitare la vendita forzata. In sostanza, si può trattare con la banca per concordare che, nell’ambito dell’accordo, il debitore mantenga la proprietà della casa in cambio di un pagamento concordato (che può essere l’intero debito ipotecario dilazionato o anche parzialmente ridotto, se la banca acconsente).

Liquidazione controllata: in caso di liquidazione giudiziale del patrimonio, purtroppo la regola generale è che tutti i beni pignorabili vengano venduti, compresa l’abitazione (salvo rari casi in cui essa risulti difficilmente liquidabile o di valore trascurabile per i creditori). La legge non prevede un’esenzione automatica della prima casa dalla liquidazione – a differenza di alcuni ordinamenti esteri – anche se la recente riforma ha introdotto la possibilità di una liquidazione con finanza esterna che potrebbe, in teoria, escludere alcuni beni se i creditori sono soddisfatti con altre risorse. In generale, però, se si arriva a questo stadio, la casa è a rischio. Ecco perché, se l’obiettivo primario è tutelare l’abitazione di famiglia, conviene cercare soluzioni prima della liquidazione forzata: piani del consumatore, concordati minori o accordi stragiudiziali.

Va menzionato che, per i debiti fiscali (Agenzia Entrate) relativi alla prima casa, esiste dal 2013 una norma che vieta l’espropriazione da parte del fisco dell’unico immobile di residenza del debitore (a certe condizioni). Tale norma però non si applica ai crediti bancari: la banca (o il Fondo di Garanzia surrogatosi) può pignorare la casa indipendentemente, se ha un titolo esecutivo. Dunque la protezione “automatica” della prima casa è limitata ai debiti tributari; per i debiti bancari serve invece un’azione attiva del debitore come quelle sopra descritte.

Strumenti ulteriori: oltre alle procedure concorsuali, un debitore può tentare di rinegoziare privatamente il mutuo ipotecario della prima casa (ad esempio chiedendo una ristrutturazione a lungo termine magari con l’intervento del Fondo di Garanzia Prima Casa – Consap, se ha i requisiti da privato). Esistono anche associazioni e fondazioni che aiutano le famiglie in difficoltà con il mutuo, prevenendo i pignoramenti (es. Fondo di prevenzione usura per mutui). Queste tuttavia sono soluzioni al di fuori dell’ambito strettamente giuridico.

In sintesi, salvare la prima casa è possibile, ma richiede di muoversi per tempo e di imboccare la giusta strada procedurale. Un professionista o una piccola impresa devono valutare costi e benefici: talvolta sacrificare qualche altro asset o accettare un piano di rientro lungo può valere la pena per mantenere il tetto sulla testa della propria famiglia. L’importante è non aspettare che la casa venga venduta all’asta: una volta avvenuto il trasferimento, diventa irreversibile. Prima, invece, ci sono vari stadi (pignoramento, avviso di vendita, ecc.) in cui si può ancora intervenire con una richiesta al giudice o un accordo transattivo per sospendere la procedura esecutiva e imboccare un percorso diverso.

Rateizzazione e difesa dalle cartelle esattoriali

Come visto, una delle conseguenze del mancato pagamento di un finanziamento garantito da MCC è che il credito venga iscritto a ruolo e affidato all’Agente della Riscossione (Agenzia Entrate-Riscossione). Il debitore si trova quindi di fronte a cartelle esattoriali che intimano il pagamento, con importi maggiorati di interessi e oneri di riscossione. Anche in questa situazione non tutto è perduto: esistono tutele specifiche previste dalla legge per gestire i debiti iscritti a ruolo.

Rateizzazione delle cartelle: Il D.P.R. 602/1973 consente al debitore di chiedere all’Agente della Riscossione un piano di rateazione del debito iscritto a ruolo. Attualmente, per debiti fino a 120.000 euro è concessa una dilazione automatica fino a 72 rate mensili (6 anni); per importi superiori o in caso di comprovata grave difficoltà, si può arrivare fino a 120 rate (10 anni). Presentando istanza di rateizzazione prima che inizino atti esecutivi, si ottiene la sospensione di fermi amministrativi e ipoteche e ci si mette in regola evitando ulteriori aggravamenti. Dunque, se vi è impossibilità di pagare in un’unica soluzione la cartella MCC, è saggio chiedere subito la dilazione: questo blocca anche eventuali procedure esecutive già avviate (pignoramenti) purché la richiesta avvenga tempestivamente e poi si rispettino le rate concordate.

Definizioni agevolate (rottamazioni): Negli ultimi anni, il legislatore ha introdotto diverse misure di definizione agevolata delle cartelle esattoriali – le cosiddette rottamazioni – che permettono di estinguere i debiti iscritti a ruolo con condizioni favorevoli (ad esempio stralcio di sanzioni e interessi). Anche i crediti derivanti da escussione del Fondo di Garanzia rientrano in linea di massima tra quelli rottamabili, trattandosi di crediti non tributari ma affidati ad Agenzia Riscossione. Ad esempio, la “Rottamazione-quater” prevista dalla L. 197/2022 (Legge di Bilancio 2023) consente di pagare solo il capitale e una quota spese, condonando interessi e sanzioni, per i carichi affidati entro il 30/6/2022. Chi si trova quindi con cartelle derivanti da garanzie MCC potrebbe averne beneficiato facendo istanza entro i termini di legge. È importante tenersi informati su eventuali nuovi provvedimenti di definizione agevolata: in caso di riapertura delle rottamazioni o di “stralcio” dei debiti minori, anche questo genere di posizioni debitorie potrebbe rientrarvi (salvo esclusioni espresse). A titolo di esempio, nel 2021 e 2023 sono stati disposti annullamenti automatici di micro-debiti fino a 1.000 euro relativi a ruoli di vecchia data – soglia che difficilmente riguarda un finanziamento MCC, ma è indicativa di come periodicamente lo Stato introduca misure di sollievo per i sovraindebitati.

Opposizione a ruoli e cartelle: Se si ritiene che vi siano vizi nella procedura di riscossione – ad esempio la cartella non è stata notificata correttamente, o il ruolo è stato iscritto senza titolo – è possibile presentare una opposizione in sede giudiziaria. Nel caso di crediti da MCC, l’opposizione tipica è quella ex art. 615 c.p.c. (opposizione all’esecuzione) per contestare il diritto stesso dell’Agente di riscuotere. Tuttavia, va detto che la giurisprudenza ha chiarito la legittimità dell’iscrizione a ruolo per i crediti del Fondo PMI, considerandoli equiparati a crediti pubblici. Ad esempio, il Tribunale di Matera nel 2023 ha confermato che la riscossione tramite ruolo è utilizzabile per recuperare le somme pagate dal Fondo di Garanzia sia verso il debitore principale sia verso eventuali garanti privati. Ciò sulla base della natura pubblicistica di tali crediti di regresso, riconosciuta anche dalla Cassazione. Pertanto, opporsi su questo fronte può avere scarse probabilità di successo, a meno che non vi siano specifiche irregolarità (come importi errati, prescrizione, mancato invio dell’intimazione, ecc.). Vale la pena verificare, con l’aiuto di un legale, se tutti gli atti sono stati compiuti regolarmente e se il calcolo del dovuto è corretto, ma in assenza di errori l’obbligo di pagare sarà confermato.

Sospensione per sovraindebitamento: Da ultimo, ricordiamo che se il debitore intraprende una delle procedure di composizione della crisi (piano del consumatore, concordato minore o liquidazione) può chiedere al giudice di sospendere le azioni di riscossione anche delle cartelle esattoriali. L’omologazione di un piano di sovraindebitamento impone automaticamente ad Agenzia Riscossione di adeguarsi alle condizioni del piano (es: se il piano prevede stralcio parziale dei debiti erariali, questo vincola anche AdER). Quindi l’avvio di tali procedure speciali “ingloba” tutti i debiti, compresi quelli derivanti da MCC, superando la frammentazione tipica delle cartelle.

In conclusione, di fronte a una cartella MCC, non lasciarsi paralizzare: si può negoziare una dilazione, sfruttare eventuali condoni di legge e, in extrema ratio, portare il debito in un tribunale tramite sovraindebitamento per gestirlo in modo organico. L’importante è agire entro le scadenze: una cartella non pagata né rateizzata può portare rapidamente ad azioni esecutive (fermo dell’auto, ipoteca sugli immobili, pignoramenti su conti e stipendi). AdER ha poteri invasivi, ma il debitore informato ha comunque strumenti di difesa e negoziazione da mettere in campo.

Modelli di lettere pratiche (fac-simile)

Di seguito proponiamo alcuni fac-simile di lettere che il debitore (PMI o professionista) in difficoltà può inviare alla banca o al Gestore del Fondo di Garanzia. Si tratta di schemi generali da personalizzare con i propri dati e le specificità del caso. È sempre consigliabile mantenere toni formali e collaborativi, conservare copia protocollata/inviata (meglio se tramite PEC o raccomandata A/R) e allegare la documentazione utile a supporto delle richieste.

1. Richiesta di piano di rientro alla banca

Scopo: proporre alla banca un accordo per regolarizzare gli arretrati e proseguire il finanziamento, evitando la risoluzione del contratto e l’escussione della garanzia MCC.

Oggetto: Richiesta di piano di rientro per finanziamento n. XYZ garantito dal Fondo PMI
Spett.le [Nome Banca] – Ufficio Crediti/problematiche,
presso [indirizzo PEC della banca]

Egregi Signori,
in riferimento al contratto di finanziamento n. XYZ intestato a [Nome impresa/professionista], garantito dal Fondo Centrale PMI, con la presente Vi rappresentiamo la nostra volontà di addivenire a un accordo di rientro del debito in essere.
Purtroppo, a causa di [breve descrizione delle cause delle difficoltà: es. calo di fatturato per crisi settore, ritardo significativo nei pagamenti da parte di un cliente importante, emergenza sanitaria Covid-19, ecc.], la scrivente ha accumulato un ritardo nei pagamenti delle rate del suddetto finanziamento. Ad oggi risultano scadute e non pagate le rate di [elencare mesi/scadenze non pagate], per un importo complessivo di euro [importo] oltre interessi di mora.
Tali difficoltà, di natura temporanea, sono in via di superamento grazie alle azioni intraprese per il rilancio dell’attività ([opzionale: es. nuovi contratti acquisiti, riduzione costi operativi, ingresso di soci finanziatori…]). Confidando in una prospettiva di miglioramento, desideriamo evitare la risoluzione del rapporto di credito e la conseguente escussione della garanzia statale.
Proponiamo pertanto un piano di rientro così articolato: pagamento immediato di euro [X] entro il [data] a parziale copertura degli arretrati, e rateizzazione del residuo importo arretrato di euro [Y] in [N] rate mensili aggiuntive rispetto alla normale scadenza delle rate. In pratica, a partire dal [data], verrebbe corrisposta una doppia rata mensile di euro [rata corrente] + [quota arretrati], così da recuperare l’intero scaduto entro [data fine piano di rientro]. Contestualmente, si garantisce il regolare pagamento di tutte le nuove rate alle rispettive scadenze contrattuali.
Restiamo disponibili a valutare con Voi eventuali differenti soluzioni di rimodulazione (ad esempio, estensione del piano di ammortamento o periodo di sola quota interessi), qualora da Voi ritenute preferibili per agevolare il rientro. Il nostro obiettivo comune è la normalizzazione del rapporto di credito nel più breve tempo possibile, evitando ulteriore inadempimento.
Alleghiamo alla presente un prospetto dettagliato del piano di rientro proposto e documentazione attestante la temporaneità delle difficoltà incontrate ([es. bilancio provvisorio, ordine cliente, piano previsionale]).
Vi chiediamo cortesemente di voler esaminare la proposta con sollecitudine e di confermarci per iscritto la Vostra disponibilità ad accettare il piano di rientro, sospendendo nel frattempo ogni iniziativa di risoluzione del contratto o segnalazione negativa nelle centrali rischi.
Fiduciosi in un Vostro riscontro positivo, porgiamo cordiali saluti.

Distinti saluti,
[Luogo e data]
[Firma del legale rappresentante / debitore]
[Nome e carica][Denominazione impresa/professionista]

(Inviare preferibilmente via PEC o raccomandata A/R, conservandone copia)

2. Lettera di contestazione di segnalazione in CRIF/Centrale Rischi

Scopo: contestare formalmente una segnalazione a “sofferenza” o negativa in un sistema di informazioni creditizie (es. CRIF, Experian, Cerved) o Centrale Rischi Bankitalia, ad esempio per mancato preavviso o perché la posizione era in via di definizione.

Oggetto: Contestazione segnalazione a sofferenza / richiesta di rettifica dati creditizi
Spett.le [Nome Banca] – Ufficio Crediti / Ufficio Contenzioso

[indirizzo PEC]

Egregi Signori,
abbiamo riscontrato che la posizione relativa al finanziamento n. XYZ intestato a [Nome impresa/professionista] risulta segnalata come “sofferenza” presso i Sistemi di Informazione Creditizia (es. CRIF) e/o in Centrale Rischi Banca d’Italia, a partire da [mese/anno].
Con la presente intendiamo contestare formalmente l’illegittimità di tale segnalazione e chiederne l’immediata rettifica/cancellazione, per le seguenti ragioni:

  1. Mancato preavviso: Non ci risulta di aver ricevuto alcuna comunicazione preventiva di imminente segnalazione a sofferenza, come invece previsto dalle normative vigenti e dai codici deontologici dei SIC. In base alle disposizioni sulla tutela dei debitori, la segnalazione negativa avrebbe dovuto essere preceduta da un preavviso di almeno 15 giorni per consentirci di regolarizzare la posizione ed evitare l’iscrizione. L’assenza di tale preavviso configura una violazione delle regole di correttezza e buona fede e ha già portato, in casi analoghi, all’annullamento della segnalazione da parte dell’Autorità Giudiziaria.
  2. Posizione oggetto di trattativa/definizione: Al momento della segnalazione, la nostra posizione era (ed è tuttora) in fase di definizione bonaria. In data [data] vi avevamo inviato una proposta di rientro/soluzione del debito (rimasta in attesa di riscontro), manifestando la volontà di addivenire a un accordo. Segnalare a sofferenza un credito mentre sono in corso trattative costruttive contrasta con gli orientamenti giurisprudenziali che richiedono, per la classificazione a sofferenza, una situazione di conclamata e grave insolvenza, non semplicemente un ritardo nel pagamento. Nel nostro caso, l’inadempimento è parziale e temporaneo, e la Vostra stessa condotta negoziale precedente la segnalazione induceva a ritenere che non avreste adottato misure drastiche senza ulteriore confronto.
  3. Danno reputazionale e patrimoniale: La permanenza di questa segnalazione negativa sta causando gravi ripercussioni sull’operatività della nostra impresa/professione, precludendo l’accesso al credito e deteriorando l’immagine finanziaria. Riteniamo la banca responsabile di tale danno qualora non provveda tempestivamente a sanare la situazione segnaletica.
    In virtù di quanto sopra, Vi intimiamo di: (a) procedere entro e non oltre [termine, es. 15 giorni] alla rettifica o cancellazione della segnalazione pregiudizievole relativa al finanziamento in oggetto presso tutte le centrali rischi e SIC dov’è stata inoltrata; (b) darci conferma scritta dell’avvenuto aggiornamento. In difetto, ci riserviamo di adire le competenti sedi giudiziarie per la tutela dei nostri diritti, incluse le azioni risarcitorie per il grave pregiudizio subito.
    Restiamo in attesa di un Vs. pronto riscontro e porgiamo distinti saluti.

[Luogo, data]
[Firma]
[Nome debitore/legale rappresentante] – [Denominazione]

(Da inviare preferibilmente via PEC per avere prova certa di consegna. Eventualmente, per scrupolo, inviarne copia anche alla società di gestione del SIC – es. CRIF – indicando che la segnalazione è contestata e chiedendo una verifica.)

3. Richiesta documentazione e informazioni al creditore (banca/Fondo)

Scopo: esercitare il diritto di ottenere copia di contratti e atti del finanziamento e della garanzia, sia per conoscere esattamente la propria posizione debitoria, sia per verificare la correttezza della procedura (utile anche in ottica difensiva). La richiesta può essere rivolta alla banca e per conoscenza a MCC se opportuno.

Oggetto: Richiesta di documentazione ex art. 119 TUB – Finanziamento n. XYZ garantito dal Fondo PMI
Spett.le [Nome Banca] – Ufficio Legale/Contenzioso – [PEC banca]
e p.c. Spett.le MedioCredito Centrale S.p.A. (Gestore Fondo di Garanzia PMI) – [PEC MCC]

Egregi Signori,
il sottoscritto [Nome e cognome], legale rappresentante di [Denominazione impresa] (C.F./P.IVA ……), in qualità di debitore del finanziamento in oggetto, chiede formalmente ai sensi dell’art. 119 del T.U. Bancario (D.Lgs. 385/93) e della normativa in materia di trasparenza bancaria, il rilascio di copia della seguente documentazione relativa al rapporto creditizio in questione:
Contratto di finanziamento n. XYZ stipulato in data [data] e relativo piano di ammortamento originario;
Eventuali atti aggiuntivi o modificativi (es. contratti di rinnovo, moratorie, comunicazioni di variazione condizioni) afferenti al suddetto finanziamento;
Situazione contabile dettagliata del finanziamento, con evidenza delle rate pagate, delle rate scadute impagate, interessi di mora maturati e spese addebitate, aggiornata alla data odierna;
Comunicazioni di messa in mora o altre intimazioni inviate da codesto Istituto relative all’inadempimento (es. lettera di decadenza dal beneficio del termine, se emessa);
Documentazione inerente la garanzia MCC: attestazione di ammissione alla garanzia del Fondo PMI, comunicazione di eventuale escussione della garanzia da parte Vostra, quietanza o riscontro da parte del Fondo.
Tali documenti risultano necessari per una completa valutazione della posizione debitoria e per l’eventuale predisposizione di un piano di rientro o altra soluzione concordata.
Vi chiediamo cortesemente di voler inviare la suddetta documentazione in formato PDF all’indirizzo [PEC/nominativo email] oppure di predisporne il ritiro cartaceo presso la filiale [indicare filiale di riferimento].
In mancanza di riscontro entro [es. 30 giorni] dalla presente, ci riserviamo di inoltrare reclamo all’Arbitro Bancario Finanziario o altre autorità competenti, stante l’obbligo dell’intermediario di fornire la documentazione richiesta dal cliente entro congruo termine.
Certi della Vostra collaborazione, porgiamo distinti saluti.

[Luogo, data]
[Firma]
[Nome azienda/professionista] – [timbro se disponibile]

(Da inviare via PEC alla banca. In caso di inerzia, è possibile coinvolgere l’Arbitro Bancario Finanziario presentando un ricorso gratuito.)

4. Proposta di saldo e stralcio / accordo transattivo

Scopo: proporre alla banca (e indirettamente al Fondo di Garanzia) una soluzione transattiva con pagamento parziale del debito e stralcio del residuo. Da utilizzare quando il debitore ha una somma disponibile per chiudere la posizione e vuole cercare un accordo evitando l’escussione della garanzia o dopo un inadempimento già avvenuto, per transigere prima di un’azione legale.

Oggetto: Proposta transattiva a saldo e stralcio – Finanziamento n. XYZ garantito da Fondo PMI
Spett.le [Nome Banca] – Direzione Crediti Speciali/Uff. Legale – [PEC]

Egregi Signori,
la sottoscritta [Denominazione impresa], debitrice nei confronti di codesto Istituto per il finanziamento in oggetto (saldo attuale dovuto euro [importo complessivo], di cui garantito dal Fondo Centrale PMI per l’[X]%), intende sottoporVi una proposta di definizione transattiva della posizione.
Purtroppo, come già comunicato in precedenza, l’azienda versa in una situazione di crisi di liquidità tale da rendere impraticabile il rimborso integrale del debito. A fronte di ciò, dopo aver esplorato varie opzioni, siamo riusciti a reperire risorse straordinarie pari a euro [somma], anche grazie al contributo di [eventuale: soci/familiari/investitore], che possiamo destinare immediatamente al creditore per una definizione bonaria.
Proponiamo quindi il pagamento a Vostro favore dell’importo forfettario di euro [somma proposta] a titolo di saldo e stralcio, con le seguenti condizioni:
– pagamento di euro [somma] entro [data] (a mezzo bonifico bancario, non appena avremo conferma della Vostra accettazione per iscritto);
– a fronte di tale pagamento, rinuncia da parte Vostra al recupero del restante debito e chiusura definitiva del rapporto di finanziamento n. XYZ, con liberatoria a saldo e stralcio sia verso la scrivente debitrice principale sia verso gli eventuali coobbligati/garanti personali;
– contestuale impegno di codesto Istituto a non procedere (o a rinunciare) all’escussione della garanzia statale per la quota residua non pagata, richiedendo eventualmente al Fondo di Garanzia solo la parte concordata. In altri termini, l’accordo dovrebbe prevedere il coinvolgimento di MCC affinché rinunci a rivalersi sulla scrivente per la quota di perdita che dovesse subire aderendo alla transazione (ossia [eventuale formula:] MCC incasserebbe dal Vostro Istituto la richiesta di escussione ridotta pari a €… e rinuncerebbe alla surroga per tale importo).
La somma proposta, pari a circa [X]% del totale dovuto, rappresenta il massimo sforzo attualmente sostenibile per la nostra azienda. Riteniamo che l’alternativa – ossia l’avvio di azioni esecutive e/o la liquidazione giudiziale – non sarebbe vantaggiosa per nessuna delle parti: da nostre proiezioni, in caso di procedura concorsuale il realizzo per i creditori sarebbe significativamente inferiore. La presente offerta Vi permette invece di incassare in tempi brevi una componente liquida certa e di limitare la perdita, evitando le lungaggini e i costi di un recupero forzoso.
Siamo consapevoli che per la definizione sarà necessario il coinvolgimento del Gestore del Fondo di Garanzia PMI (MCC). A tal fine, Vi chiediamo di voler sottoporre con cortese urgenza la nostra proposta agli organi competenti, secondo le modalità previste dalla circolare MCC n. 8/2022 e ss.mm., al fine di ottenere la necessaria approvazione dell’accordo transattivo. Dichiariamo sin d’ora la nostra disponibilità a fornire eventuali documenti integrativi o piani attestanti lo stato di difficoltà e la convenienza della transazione (ad es. bilanci, situazione patrimoniale, etc.) qualora fossero richiesti da MCC per l’istruttoria.
In attesa di un Vostro riscontro, ribadiamo che l’intento è di chiudere ogni pendenza in modo concordato e definitivo, permettendo all’azienda di proseguire l’attività spogliandosi del peso debitorio insostenibile. Confidiamo dunque nella Vostra sensibilità nel valutare positivamente la proposta nell’interesse reciproco.
Cordiali saluti,

[Luogo, data]
[Firma]
[Nome e carica del legale rappresentante] – [Denominazione impresa]

(Allegare eventuale documentazione a supporto: ad esempio una bozza di piano di risanamento, oppure una lettera di un professionista attestatore sulla convenienza dell’accordo, se disponibile. Inviare via PEC alla banca.)

Esempi reali di casi risolti positivamente

Di seguito riportiamo alcuni casi concreti (anonimizzati) in cui PMI o professionisti fortemente indebitati, inclusi debiti da finanziamenti garantiti da MCC, sono riusciti a risolvere la propria situazione attraverso le strategie illustrate. Questi esempi mostrano come, con le giuste azioni legali o negoziali, sia possibile evitare il tracollo e ripartire.

Caso 1 – Esdebitazione totale di un imprenditore edile tramite liquidazione: Un ex imprenditore edile trentacinquenne (ditte individuale) aveva accumulato circa €850.000 di debiti verso banche (mutui e scoperti di conto) e Agenzia delle Entrate, a seguito del fallimento di alcuni progetti e della crisi immobiliare. Tra i debiti vi era anche un finanziamento bancario garantito dal Fondo PMI. L’imprenditore, trovato un nuovo impiego come dipendente, non aveva beni da offrire tranne una piccola disponibilità mensile dal suo stipendio. Assistito da un OCC, ha avviato nel 2021 una liquidazione del patrimonio (Legge 3/2012) mettendo a disposizione dei creditori una somma di circa €25.000 (rate mensili di 450 € per 4 anni, trattenute dallo stipendio). Il Tribunale ha aperto la procedura e, dopo 4 anni di pagamenti regolari, ha disposto l’esdebitazione integrale: tutti i debiti residui dell’imprenditore sono stati cancellati. Ciò includeva il debito verso lo Stato derivante dalla garanzia MCC, che non essendo stato soddisfatto integralmente nella liquidazione è stato scaricato. L’imprenditore ha così potuto ripartire da zero, liberato dall’onere insostenibile, e contestualmente ha visto cancellarsi anche le segnalazioni di “cattivo pagatore” nelle banche dati una volta decorso il periodo di procedura. Azioni adottate: accesso alla procedura di sovraindebitamento con assistenza OCC, liquidazione del (poco) patrimonio disponibile, utilizzo di parte del reddito futuro per offrire almeno una soddisfazione minima ai creditori; richiesta e ottenimento del beneficio dell’esdebitazione finale. Esito: positivo – debiti azzerati e ripartenza senza strascichi.

Caso 2 – Salvataggio di una piccola impresa familiare e della casa con un accordo di ristrutturazione: Una S.n.c. a conduzione familiare (settore commercio) aveva circa €400.000 di esposizione debitoria (mutui bancari, debiti tributari e verso fornitori). Tra questi, un finanziamento COVID garantito al 90% dal Fondo PMI, di cui non erano state pagate diverse rate. La società, pur avendo ridotto il fatturato, era ancora potenzialmente attiva e i titolari volevano evitare la chiusura. Inoltre, uno dei mutui riguardava l’immobile in cui risiedeva la famiglia (prima casa) dato in garanzia ipotecaria. Nel 2022, i soci hanno deciso di percorrere la via dell’accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento (ex art. 7 bis L.3/2012, oggi concordato minore), presentando un’unica procedura familiare. Hanno proposto ai creditori un pagamento complessivo di €287.000 (sui circa 437.000 dovuti) da effettuarsi in 120 rate mensili (10 anni e 1 mese), impegno che potevano sostenere proseguendo l’attività. La proposta prevedeva il pagamento integrale, ma dilazionato, dei crediti privilegiati e ipotecari (come il mutuo casa), e un pagamento parziale dei chirografari (stralcio di circa 150.000 € del debito totale). Il Tribunale di Napoli nel febbraio 2022 ha omologato l’accordo nonostante il voto contrario di alcuni creditori, giudicandolo conveniente. Grazie a ciò l’azienda ha potuto evitare fallimento e proseguire a pagare secondo il piano concordato, e soprattutto la famiglia ha mantenuto la proprietà della prima casa, unico bene, poiché il piano ha impedito l’esecuzione immobiliare. Azioni adottate: attivazione procedura sovraindebitamento familiare, coinvolgimento di tutti i membri debitori, formulazione di un piano a lungo termine ma sostenibile, con sacrificio di una parte di debito (saldo e stralcio concordatario); negoziazione con i creditori (raggiunto il 60% di consensi); omologazione giudiziale che rende il piano obbligatorio per tutti. Esito: positivo – debiti ridotti e ristrutturati, attività salvata, casa non pignorata.

Caso 3 – Blocco di un pignoramento immobiliare e riduzione del debito grazie a un piano del consumatore: Un professionista (geometra libero professionista) aveva garantito con ipoteca la propria casa di abitazione per un prestito ricevuto. A causa di problemi di salute e conseguente calo di reddito, non è riuscito a pagare diverse rate, e la banca ha avviato un pignoramento sulla casa. L’immobile, gravato da un debito residuo di €120.000, aveva però un valore di mercato stimato intorno a €80.000, per cui la vendita all’asta non avrebbe coperto tutto il debito. Il professionista, con l’ausilio di un OCC, ha presentato un piano del consumatore al Tribunale competente, proponendo di pagare €45.000 (37%) del debito ipotecario in 7 anni, ritenendolo il valore equo dell’immobile, e di stralciare il resto. Ha incluso nel piano anche gli altri debiti minori (alcune carte di credito), offrendo a tutti i creditori il ricavato della stessa somma ripartita proporzionalmente. Il giudice ha immediatamente sospeso la procedura esecutiva sul bene e, valutata la sostenibilità del piano e l’assenza di dolo del debitore, lo ha omologato nonostante l’opposizione iniziale della banca. Quest’ultima, prendendo atto del valore di realizzo comunque limitato dell’immobile, non ha impugnato l’omologa. Il risultato è che la casa non verrà venduta all’asta, il debitore continuerà ad abitarvi pagando la somma concordata in rate sostenibili, e al termine dei 7 anni otterrà la cancellazione del debito residuo ipotecario e di tutti gli altri debiti inclusi. Azioni adottate: analisi della situazione di sovraindebitamento da parte dell’OCC, predisposizione di un piano del consumatore puntuale (con relazione particolareggiata sulle cause della crisi e sulla convenienza per i creditori rispetto all’esecuzione), richiesta di misure protettive al tribunale; interlocuzione con la banca ipotecaria durante la procedura; omologazione giudiziale sfruttando la normativa favorevole al consumatore meritevole. Esito: positivo – casa salva, debito ipotecario ridotto del 63% e ristrutturato (e restante debito cancellato a fine piano).

Questi casi dimostrano che soluzioni efficaci esistono, anche quando la situazione sembra disperata. Chiaramente ogni vicenda ha le sue particolarità e non sempre tutti i debiti possono essere annullati o ridotti (specie se ci sono asset significativi). Tuttavia, con un approccio proattivo, consulenze specialistiche e l’utilizzo degli strumenti giuridici appropriati, imprenditori e professionisti possono evitare il tracollo finanziario e mettere in sicurezza la propria vita economica.

Conclusione operativa: cosa fare in caso di difficoltà su finanziamenti MCC

Riassumiamo in modo schematico i passi da seguire se vi trovate in difficoltà nel rimborsare un finanziamento garantito dal Fondo di Garanzia PMI:

  1. Agite subito, non aspettate! – Appena emergono problemi di liquidità o saltate una rata, contattate la banca. L’inazione è il peggior nemico: prima che la posizione degeneri (decadenza dal termine, sofferenza, segnalazioni) cercate il dialogo e spiegate la situazione temporanea.
  2. Rinegoziate e chiedete aiuto alla banca – Presentate una proposta di piano di rientro scritto (come da modello) adattato alla vostra capacità attuale. Richiedete eventualmente un periodo di moratoria o la ristrutturazione del prestito (allungamento durata, riduzione tasso se possibile). Mostratevi collaborativi e forniti di un piano credibile per tornare in bonis.
  3. Evitare la segnalazione negativa – Cercate di prevenire la segnalazione a sofferenza in centrale rischi: fate comprendere alla banca che state attivandovi seriamente per risolvere. Se comunque la banca minaccia la segnalazione, ricordatele gli obblighi di preavviso e le trattative in corso. Se siete già stati segnalati ingiustamente, inviate una contestazione formale e valutate reclamo all’ABF o azione legale per far correggere i dati.
  4. Valutate un saldo e stralcio – Se le prospettive di ripresa sono scarse e avete la possibilità di reperire una somma una tantum, considerate di offrire un accordo transattivo. Magari coinvolgendo un consulente o mediatore del credito, fate pervenire alla banca una proposta di chiusura a saldo e stralcio, evidenziando i vantaggi rispetto all’escussione della garanzia. Ricordate il requisito di offrire almeno ~15% e di muovervi prima che la banca escuta MCC. Documentate la convenienza (es. se l’azienda altrimenti fallirebbe, ditelo chiaramente).
  5. Chiedete la rateizzazione ad Agenzia Riscossione – Se ormai la banca ha escusso il Fondo e vi arriva una cartella esattoriale da AdER per il debito MCC, non fatevela sfuggire di mano. Entro 60 giorni potete chiedere una dilazione fino a 6–10 anni, evitando misure come fermi o pignoramenti. Inserite la rata di Agenzia Entrate-Riscossione nel vostro budget mensile come spesa prioritaria, per non decadere dal piano di rate.
  6. Informatevi su possibili “scorciatoie” normative – Tenete d’occhio eventuali rottamazioni o sanatorie di cartelle esattoriali. In caso di apertura di termini per definizioni agevolate, valutate l’adesione: potreste risparmiare su sanzioni e interessi, pagando meno del dovuto (lo Stato periodicamente offre queste opportunità per smaltire gli arretrati). Ad esempio, controllate se il vostro debito rientra nei provvedimenti di stralcio dei mini-debiti o simili.
  7. Proteggete i beni vitali – Se avete beni personali importanti (prima casa, strumentazione per l’attività) minacciati dai creditori, muovetevi per tempo. Ad esempio, per la prima casa, considerate il piano del consumatore se siete persona fisica o altre soluzioni concordatarie. Non lasciate che la casa venga venduta senza aver tentato tutto il possibile (dal saldo e stralcio col mutuante, all’intervento di un OCC per sospendere la vendita).
  8. Considerate le procedure di sovraindebitamento – Quando il debito complessivo è insostenibile, non abbiate timore di ricorrere al tribunale tramite le procedure dedicate (piano del consumatore, concordato minore, liquidazione controllata). Informatevi presso un OCC o un professionista esperto: sono procedure fatte apposta per dare sollievo a chi è sommerso dai debiti. Richiedono impegno ma offrono esiti come riduzioni del debito e cancellazione finale dei debiti che nessuna trattativa privata può dare.
  9. Affidatevi a professionisti qualificati – Non siete obbligati a fare tutto da soli. Anzi, è spesso decisivo farsi assistere da un avvocato o commercialista specializzato in diritto bancario o crisi d’impresa. Un esperto saprà come trattare con la banca (magari conosce già le prassi MCC), come impostare un piano finanziario credibile, e come guidarvi se necessario attraverso la procedura giudiziale. I costi di una consulenza professionale sono spesso infimi rispetto ai benefici (debiti annullati o ridotti) che potete ottenere.
  10. Mantenete la buona fede e la trasparenza – In ogni interazione (con la banca, con il tribunale, con l’OCC) adottate un atteggiamento di massima sincerità e collaborazione. Non occultate problemi né beni, non tentate furbizie: qualsiasi beneficio (dilazioni, stralci, esdebitazione) presuppone che il debitore sia meritevole, ovvero onesto e sfortunato, non certo approfittatore. La buona fede traspare dalle azioni: pagare quanto riuscite, comunicare tempestivamente, rispettare gli impegni presi anche parziali. Questo vi darà credibilità e vi metterà in condizione di ottenere la fiducia necessaria per un accordo o per l’approvazione in tribunale.

Affrontare una crisi debitoria non è semplice né indolore, ma come abbiamo visto ci sono molti strumenti da utilizzare. Il filo conduttore è non arrendersi all’ineluttabile: ogni debito, anche se garantito dallo Stato, può essere rinegoziato, ridotto o cancellato, a patto di scegliere la strategia giusta e agire con determinazione e competenza. PMI e professionisti costituiscono l’ossatura del tessuto economico, e l’ordinamento ha predisposto tutele proprio per consentire a chi incappa in un insuccesso di rialzarsi e continuare a contribuire all’economia, piuttosto che venire emarginato dal circuito produttivo. Con questa guida speriamo di aver fornito un orientamento chiaro su quelle tutele e su come attivarle.

Fonti normative, giurisprudenza e prassi (aggiornate ad aprile 2025)

  • Legge 662/1996, art. 2 comma 100 lett. a): Istituzione del Fondo di Garanzia per le PMI presso MCC (garanzia statale su finanziamenti).
  • Decreto M.I.C.A. 31/05/1999 n. 248 e D.M. 20/06/2005 n. 125: Regolamenti attuativi sul Fondo di Garanzia PMI, criteri e modalità di concessione ed escussione garanzia. In particolare, art. 2 c.4 D.M. 20/06/2005 disciplina l’operatività della garanzia diretta in caso di inadempimento.
  • D.Lgs. 123/1998: Norme sugli incentivi alle imprese. Art. 9 disciplina revoca benefici pubblici; base giuridica della natura pubblicistica delle garanzie statali alle PMI.
  • D.Lgs. 46/1999: Norme sulla riscossione a mezzo ruolo. L’art. 17 abilita l’iscrizione a ruolo dei crediti dello Stato non tributari. Utilizzato per i crediti da escussione Fondo PMI.
  • Codice Civile, art. 1203: Surrogazione legale. MCC surroga la banca nei diritti verso il debitore per la parte pagata (credito di regresso).
  • Cassazione Civile, sez. III, 9 marzo 2020 n. 6508: Ha qualificato come credito di diritto pubblico con privilegio generale quello vantato da MCC in surroga, in quanto funzionale a finalità pubblicistiche di sostegno alle PMI. Conferma che MCC può avvalersi della riscossione esattoriale privilegiata.
  • Cassazione Civ., 18 gennaio 2022 n. 1485: ha ribadito che il credito di rivalsa di MCC sorge per effetto del pagamento e ha natura privilegiata; il semplice inadempimento del debitore finale attiva la surroga ex lege (MCC non necessita di decreto ingiuntivo).
  • Tribunale di Matera, 8 giugno 2023: Sentenza che conferma la legittimità della riscossione coattiva tramite ruolo per i crediti di MCC e anche verso eventuali garanti di diritto privato. Riconosce natura pubblica e privilegiata del credito da escussione Fondo PMI e respinge opposizione dei debitori.
  • Tribunale di Napoli, sez. VII civ., 22 febbraio 2022: Omologa accordo di composizione della crisi ex L.3/2012 presentato da un nucleo familiare con debiti per 437mila €, con stralcio parziale e salvaguardia della casa familiare. Innovativa applicazione dell’art. 7-bis L.3/2012 introdotto da L.176/2020 (procedure familiari).
  • Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019): in vigore dal 15/07/2022, ha sostituito la L.3/2012. Disciplinate:
    • Ristrutturazione dei debiti del consumatore (ex piano consumatore) agli artt. 67-73.
    • Concordato minore (ex accordo) agli artt. 74-83.
    • Liquidazione controllata (ex liquidazione patrimonio) agli artt. 268-277 (esdebitazione a fine procedura all’art. 278).
    • Esdebitazione del debitore incapiente all’art. 283 (cancellazione debiti senza attivo, se meritevole).
  • Legge 3/2012 (abrogata): Vecchia disciplina sovraindebitamento, rilevante per casi avviati prima del 2022. Art. 12-bis (piano consumatore), 12-ter (accordo), 14-ter (liquidazione patrimonio), 14-quaterdecies (esdebitazione del debitore incapiente, introdotta da L.176/2020).
  • Legge 18 dicembre 2020 n. 176: ha anticipato molte norme del Codice Crisi, modificando la L.3/2012. Introdotti: art. 7-bis (procedura familiare); facilitazioni piani consumatore (più ampio accesso, possibile includere debiti anche se provenienti da cessata attività d’impresa se prevalgono quelli personali); esdebitazione “di diritto” per incapienti meritevoli.
  • D.L. 118/2021 conv. L. 147/2021: ha istituito la Composizione negoziata della crisi (strumento stragiudiziale volontario per imprese in difficoltà, con nomina di esperto). Rilevante perché nel suo ambito sono ora consentiti accordi transattivi con il Fondo PMI (vedi DM 3/10/2022).
  • Decreto MISE 3 ottobre 2022: Ha approvato modifiche alle Disposizioni operative del Fondo di Garanzia PMI in vigore dal 14/10/2022. Fra queste, la possibilità di formulare accordi transattivi a saldo e stralcio con MCC nell’ambito di composizione negoziata. Condizioni: adesione banca, domanda entro termini escussione, pagamento almeno 15%. (Circolare MCC 8/2022).
  • Codice deontologico dei Sistemi di Informazione Creditizia (Provv. Garante Privacy n. 8/2004): prevede l’obbligo per gli intermediari di inviare un preavviso scritto almeno 15 giorni prima di segnalare a “sofferenza” un cliente in un SIC privato (es. CRIF). Il mancato preavviso rende la segnalazione potenzialmente illegittima e cancellabile su ricorso.
  • Cassazione Civ., sez. I, 3 aprile 2015 n. 6437: ha stabilito che l’ob# Cosa succede se non si paga un finanziamento garantito da MCC? (Parte II)

La prima parte di questa guida ha illustrato cosa accade in caso di mancato pagamento di un finanziamento assistito dalla garanzia del Fondo Centrale di Garanzia per le PMI (gestito da Mediocredito Centrale, MCC). Abbiamo visto come la banca possa attivare la garanzia pubblica ottenendo il rimborso fino all’80% (o altra percentuale prevista) del credito dal Fondo PMI, e come lo Stato – subentrato alla banca – possa rivalersi sul debitore finale per l’importo pagato, anche tramite cartelle esattoriali emesse dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione (AdER). In questa seconda parte, ci concentriamo sulle strategie legali e difensive a disposizione di PMI e professionisti inadempienti, per evitare o attenuare le conseguenze della morosità.

Saranno inoltre forniti fac-simile di lettere pratiche da inviare alla banca o al Fondo/MCC (ad esempio per richiedere un piano di rientro, contestare una segnalazione in centrale rischi, ottenere documentazione, proporre un saldo e stralcio). Illustreremo alcuni casi reali risolti positivamente, spiegando le soluzioni adottate (legali, negoziali o procedurali) e i relativi esiti. Concluderemo con un riepilogo operativo dei passi da seguire in caso di difficoltà su finanziamenti garantiti da MCC, e una sezione finale con le fonti normative, giurisprudenziali e di prassi aggiornate ad aprile 2025 di riferimento.

Cosa Succede Se Non Si Paga Un Finanziamento Garantito Da MCC? Affidati a Studio Monardo

Hai ottenuto un finanziamento garantito dal Fondo di Garanzia per le PMI (MCC) e ora non riesci più a pagare le rate?

Molti imprenditori si trovano in questa situazione: dopo la crisi economica, l’aumento dei costi e il calo dei ricavi, non riescono più a rispettare le scadenze del prestito agevolato. Ma ora la banca minaccia la revoca, attiva la garanzia MCC e parte la richiesta di rientro immediato.

Ma cosa comporta davvero il mancato pagamento di un finanziamento garantito da MCC? Chi ti chiederà i soldi? Cosa può succedere al tuo conto, alla tua azienda, al tuo patrimonio?

Studio Monardo: la difesa legale se non riesci più a pagare il prestito garantito

L’Avvocato Giuseppe Monardo è esperto nella gestione dei debiti aziendali e nella tutela degli imprenditori in difficoltà con prestiti garantiti dallo Stato.

Ecco come ti aiuta a difenderti da banche, MedioCredito Centrale, Agenzia delle Entrate Riscossione:

Cosa fa per te l’Avvocato Monardo

Analizza il tuo caso: controlla la documentazione del prestito e verifica eventuali irregolarità o abusi da parte della banca o del Fondo MCC.

Blocca le azioni esecutive: interviene per fermare pignoramenti, fermi, ipoteche o segnalazioni in centrale rischi.

Predispone una strategia legale: impugna il decreto ingiuntivo, la cartella o il provvedimento di escussione della garanzia.

Tratta soluzioni alternative: propone piani di rientro sostenibili, accordi transattivi o accesso a procedure di esdebitazione.

Ti rappresenta in giudizio: contro la banca, contro l’Agenzia delle Entrate Riscossione o contro qualsiasi altro soggetto coinvolto nel recupero del credito.

Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

🔹 Gestore della Crisi da Sovraindebitamento, iscritto al Ministero della Giustizia
🔹 Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa, abilitato ex D.L. 118/2021
🔹 Fiduciario di un Organismo di Composizione della Crisi (OCC)
🔹 Coordinatore di una rete di professionisti in diritto bancario, tributario e fallimentare

Perché agire subito

– Dopo la comunicazione di decadenza dal beneficio del termine, hai pochissimo tempo per opporti
– Una volta attivata la garanzia, lo Stato ti chiederà indietro i soldi con interessi e sanzioni
– L’Agenzia delle Entrate Riscossione può agire senza preavviso con pignoramenti e iscrizioni a ruolo
– Solo un’azione immediata può evitare il tracollo della tua azienda o la perdita dei beni personali

Conclusione

Non pagare un finanziamento garantito da MCC non significa arrendersi. Ma senza una difesa legale, rischi seriamente il blocco dell’attività, l’aggressione dei conti correnti, o peggio.

Lo Studio Monardo è al tuo fianco per fermare la procedura, trattare con le banche e con il Fondo di Garanzia, e trovare la soluzione giusta per proteggere la tua impresa.

Qui di seguito trovi tutti i riferimenti per richiedere subito una consulenza dedicata.

Leggi con attenzione: Se stai affrontando difficoltà con il Fisco e hai bisogno di una rapida valutazione delle tue cartelle esattoriali e dei debiti, non esitare a contattarci. Siamo pronti ad aiutarti immediatamente! Scrivici su WhatsApp al numero 351.3169721 oppure inviaci un’e-mail all’indirizzo info@fattirimborsare.com. Ti ricontatteremo entro un’ora per offrirti supporto immediato.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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