Accertamento Fiscale Dopo Chiusura Società: Come Funziona E Difendersi

Hai chiuso una società, ma l’Agenzia delle Entrate ti ha notificato un accertamento fiscale?

Questa guida dello Studio Monardo – gli avvocati esperti in contenzioso tributario e responsabilità post-chiusura – è pensata per chi si trova ad affrontare richieste fiscali anche dopo la cessazione dell’attività.

Scopri quando l’accertamento fiscale è legittimo anche dopo la chiusura della società, quali sono i rischi per l’ex amministratore o i soci, che cosa può davvero pretendere il Fisco e come difenderti in modo efficace.

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Accertamento Fiscale Dopo Chiusura Società: Come Funziona E Come Difendersi: La Guida Di Studio Monardo

Quando una società italiana viene chiusa – sia a seguito di liquidazione volontaria, fallimento (ora liquidazione giudiziale secondo il Codice della crisi) o cancellazione dal Registro delle Imprese – i suoi obblighi tributari non scompaiono magicamente. L’accertamento fiscale post-chiusura è il procedimento con cui l’Agenzia delle Entrate può verificare e contestare eventuali imposte dovute anche dopo la formale estinzione della società. In questa guida approfondiremo come funziona questo accertamento tardivo, quali soggetti possono esserne destinatari (ex soci, liquidatori, amministratori) e quali strumenti di tutela esistono. Il tema verrà trattato con rigore tecnico-giuridico ma con un linguaggio chiaro, per renderlo comprensibile anche ai non addetti ai lavori.

Perché è un tema importante? Perché la cancellazione di una società dal Registro Imprese non significa che il Fisco rinunci a esigere eventuali imposte non pagate. D’altra parte, ex soci e altri soggetti coinvolti devono sapere fino a che punto possono essere chiamati a rispondere dei debiti tributari sociali e come difendersi. Negli ultimi anni la normativa e la giurisprudenza (Corte di Cassazione, Corti di Giustizia Tributaria) hanno delineato con maggior precisione queste dinamiche, con pronunce importanti fino al 2025.

Struttura della guida: Inizieremo dal quadro normativo generale e dalle differenze tra le varie tipologie societarie (società di capitali, di persone, ditte individuali). Analizzeremo poi la procedura di accertamento dopo la chiusura, le modalità di notifica degli atti e la legittimazione processuale, tenendo conto delle recenti innovazioni (es. la ficto iuris dei cinque anni). Verranno illustrati casi pratici con esempi (notifica a ex soci, responsabilità del liquidatore, ecc.), e dedicate sezioni alle strategie difensive (impugnazione degli avvisi, autotutela, opposizioni). Infine, un riepilogo di tutte le fonti normative e giurisprudenziali citate fornirà un utile riferimento.

Nota: La guida è aggiornata a maggio 2025, includendo gli ultimi interventi normativi (come la riforma fiscale del 2024-2025) e le sentenze più recenti della Corte di Cassazione.

Quadro normativo generale

La disciplina dell’accertamento post-chiusura di una società si situa all’incrocio tra norme civilistiche sulla estinzione delle società e norme tributarie sull’accertamento e riscossione dei tributi. È fondamentale comprendere entrambi i profili:

  • Norme civilistiche sulla chiusura della società: quando una società completa la liquidazione e viene cancellata dal Registro delle Imprese, essa cessa di esistere come soggetto giuridico. Per le società di capitali (S.r.l., S.p.A., S.a.p.a.) l’art. 2495 del Codice Civile stabilisce che, dopo la cancellazione, i creditori insoddisfatti possono far valere i loro crediti verso i soci (nei limiti di quanto questi hanno riscosso in base al bilancio finale di liquidazione) e verso i liquidatori, se il mancato pagamento dei debiti sociali è dipeso da colpa di questi ultimi. In modo analogo, per le società di persone (S.n.c., S.a.s., società semplici), l’art. 2312 c.c. prevede che dalla cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possano agire verso i soci e, se c’è colpa, verso i liquidatori (in realtà, per le società di persone la responsabilità illimitata dei soci era già prevista in ogni caso). Dunque, in via civilistica la cancellazione di una società non estingue i debiti, ma ne sposta la responsabilità su altri soggetti (soci e talvolta liquidatori), sebbene entro certi limiti (per le società di capitali, limite delle somme ricevute).
  • Norme tributarie sull’accertamento e riscossione: l’Agenzia delle Entrate, in base al DPR 600/1973 e al DPR 602/1973, dispone di termini entro cui accertare le imposte non versate e procedere alla riscossione. Un grosso problema si poneva quando il contribuente persona giuridica (la società) cessava di esistere prima che il Fisco notificasse un avviso di accertamento: a chi intestare e notificare l’atto impositivo se il soggetto non esiste più? Per risolvere questa impasse, il legislatore è intervenuto con l’art. 28, comma 4, del D.Lgs. 175/2014, introducendo una finzione giuridica (“ficto iuris”) di sopravvivenza fiscale della società estinta. In base a questa norma: “Ai soli fini della liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l’estinzione della società di cui all’articolo 2495 c.c. ha effetto trascorsi 5 anni dalla richiesta di cancellazione nel Registro delle imprese”. Ciò significa che, per il fisco, una società cancellata è considerata ancora esistente fino a cinque anni dopo la cancellazione, così da consentire l’attività di accertamento e di notifica di cartelle e atti anche a società formalmente estinte. Questa regola – spesso chiamata “sopravvivenza fiscale quinquennale” – si applica alle cancellazioni avvenute dopo l’entrata in vigore della norma (13 dicembre 2014) e non ha effetto retroattivo.
  • Giurisprudenza costituzionale: la ficto iuris dei cinque anni è stata sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale, che ne ha confermato la legittimità. In particolare, la Corte cost. n. 142/2020 ha ritenuto non irragionevole permettere la notifica di atti intestati a un soggetto non più esistente, purché entro il limite temporale dei 5 anni, bilanciando l’interesse erariale alla riscossione con la certezza delle situazioni giuridiche. La sopravvivenza fiscale dunque è uno strumento per stabilizzare gli atti dell’Amministrazione finanziaria senza eliminare del tutto il fenomeno successorio civilistico in capo ai soci (come vedremo, i soci restano i successori nei rapporti, specie ai fini processuali).

In sintesi, dal combinato disposto di norme civili e tributarie risulta che, dopo la chiusura di una società:

  • il debito tributario sociale sopravvive e può essere accertato entro i termini ordinari (di regola, entro il 5° anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, ai sensi del DPR 600/1973), con la peculiarità che per i primi 5 anni dopo la cancellazione la notifica degli atti può avvenire alla società stessa (presso l’ultimo legale rappresentante), come se fosse ancora in vita;
  • tuttavia, in base al diritto civile, quel debito non pagato potrà essere riversato su altri soggetti: principalmente gli ex soci (entro i limiti di quanto hanno riscosso in liquidazione) e in certi casi sul liquidatore (per inadempienze colpose). Gli ex soci, di fatto, succedono nei rapporti obbligatori dell’ente estinto;
  • l’Amministrazione finanziaria ha anche previsto (art. 36 DPR 602/1973) procedure specifiche per accertare la responsabilità di soci e altri soggetti, attraverso atti nominativi a loro carico, di cui parleremo nel dettaglio.

Ne deriva uno scenario “ibrido”: formalmente l’atto di accertamento può ancora essere emesso verso la società (entro 5 anni dalla chiusura), ma sostanzialmente la pretesa tributaria dovrà essere soddisfatta dagli eredi della società (ex soci, ecc.), secondo regole proprie. Questo è un fenomeno definito dalla Cassazione come successione sui generis nei debiti della società estinta.

Esempio introduttivo: Alfa S.r.l. viene cancellata dal Registro imprese nel 2022 al termine della liquidazione. Nel 2024 l’Agenzia delle Entrate riscontra che Alfa S.r.l. aveva omesso di dichiarare ricavi nel 2019, con imposte evase per 50.000 €. Nonostante la società non esista più, il Fisco – grazie alla norma del 2014 – può ancora notificare un avviso di accertamento entro il 2027 come se Alfa fosse in vita. Tuttavia, per riscuotere quei 50.000 €, dovrà rivolgersi ai soggetti che hanno ereditato la posizione fiscale di Alfa: ad esempio, i due ex soci che in liquidazione hanno ricevuto ciascuno 30.000 € di attivo. I soci potranno essere chiamati a pagare, ma solo nei limiti di 30.000 € a testa (quanto ricevuto), e avranno diritto a contestare l’accertamento. Se nessun attivo è stato distribuito ai soci, ciò non impedirà l’accertamento, ma condizionerà la fase di riscossione (il Fisco potrebbe non recuperare nulla, a meno di condotte fraudolente del liquidatore).

Tipologie societarie e differenze di responsabilità dopo la chiusura

A seconda della forma giuridica dell’impresa che viene cessata, cambiano i criteri di responsabilità per i debiti tributari residui. Analizziamo separatamente i vari casi: società di capitali, società di persone e ditte individuali, sottolineando ciò che accade dopo la cancellazione in termini di debiti fiscali.

Società di capitali (S.r.l., S.p.A., S.a.p.a.)

Le società di capitali godono di autonomia patrimoniale perfetta: significa che dei debiti sociali (incluse le imposte) risponde solo la società con il suo patrimonio, e non i soci, salvo situazioni particolari. Alla chiusura della società, però, si attiva il meccanismo previsto dall’art. 2495 c.c.: i creditori insoddisfatti possono agire verso i soci, ma solo fino a concorrenza delle somme da questi ricevute in base al bilancio finale di liquidazione. In pratica, i soci di S.r.l./S.p.A. non diventano eredi universali di tutti i debiti, ma ne rispondono entro il vantaggio economico che hanno tratto dalla liquidazione. Se non hanno ricevuto nulla (perché, ad esempio, il patrimonio sociale è stato assorbito dai creditori oppure la società si è estinta in perdita), la loro responsabilità verso i creditori è tendenzialmente pari a zero – salvo il caso di distribuzioni occulte o altri beni sociali devoluti ai soci fuori bilancio, come vedremo. I liquidatori, invece, possono essere responsabili in via illimitata solo se la mancata soddisfazione dei creditori è dovuta a una loro colpa (ad esempio, hanno ripartito attivo ai soci senza pagare prima i debiti tributari): in tal caso, il creditore potrà agire contro il liquidatore per l’intero importo non pagato.

Dal punto di vista tributario, queste regole assumono particolare rilievo per i debiti fiscali della società di capitali estinta. Ecco come si combinano:

  • Responsabilità pro-quota dei soci per debiti tributari: la norma speciale è l’art. 36 del DPR 602/1973 (Disciplina della riscossione delle imposte). Essa stabilisce che i soci di società di capitali estinta, che nei due anni antecedenti la messa in liquidazione abbiano ricevuto denaro o beni in assegnazione dagli amministratori, oppure abbiano ricevuto beni dai liquidatori durante la liquidazione, sono responsabili del pagamento delle imposte dovute dalla società entro i limiti del valore di quei beni, “salvo le maggiori responsabilità stabilite dal codice civile”. Questo significa che i soci rispondono al massimo fino all’attivo ricevuto, ma se il Codice Civile prevede responsabilità maggiori, queste restano (per una S.r.l./S.p.A., il Codice Civile in realtà non prevede responsabilità maggiori per i soci, mentre per società di persone sì – si pensi ai soci accomandatari o illimitatamente responsabili, di cui diremo). Ad ulteriore tutela del Fisco, il DPR 602/73 presume che il valore di denaro/beni ricevuti dal socio corrisponda proporzionalmente alla sua quota di capitale sociale (salvo prova contraria). Ciò evita che il socio si schermi dietro complesse ripartizioni: di regola, se era socio al 50%, si presume abbia ricevuto il 50% di quanto distribuibile, a meno che dimostri diversamente. In sostanza, il socio di una società di capitali può essere chiamato a pagare i debiti tributari della società estinta, ma non oltre quanto ha effettivamente incassato dallo scioglimento della stessa.
  • Estensione di responsabilità a liquidatori e amministratori in caso di condotte indebite: lo stesso art. 36 DPR 602/73 prevede che la responsabilità di cui sopra (pagare imposte dovute dalla società) si estende agli amministratori che, negli ultimi due periodi d’imposta prima della liquidazione, abbiano compiuto operazioni di liquidazione (anticipata) o occultato attività sociali anche tramite omissioni nelle scritture contabili. Questa clausola mira a colpire gli amministratori scorretti che, fiutando forse l’insolvenza o l’arrivo del Fisco, spogliano la società di beni (trasferendoli magari ai soci o terzi) prima della liquidazione formale, oppure tengono contabilità irregolare per far sparire utili o attivi. Tali amministratori possono essere ritenuti personalmente obbligati al pagamento delle imposte evase. Inoltre, se al momento dello scioglimento non è nominato un liquidatore (ad esempio, amministratori che chiudono la società senza attivare una vera procedura liquidatoria), gli amministratori in carica all’atto dello scioglimento assumono gli obblighi dei liquidatori ai fini fiscali. Dunque, il liquidatore e gli amministratori di una S.r.l./S.p.A. chiusa possono essere chiamati in causa dal Fisco non automaticamente, ma solo se hanno violato i loro doveri favorendo una dispersione dell’attivo a scapito dell’Erario (ad esempio pagando altri creditori postergando il Fisco, oppure distribuendo utili occultamente ai soci). In mancanza di tali condotte, non vi è coobbligazione tributaria a loro carico.
  • Caso in cui i soci non abbiano ricevuto nulla: cosa succede se la società di capitali è stata cancellata senza alcun riparto ai soci (ad esempio perché economicamente dissestata)? In teoria, secondo l’art. 2495 c.c. e art. 36 DPR 602, i soci non dovrebbero rispondere delle imposte sociali poiché non hanno beneficiato di attivo. La Cassazione però ha chiarito che ciò non impedisce l’accertamento fiscale: il Fisco può comunque notificare avvisi di accertamento agli ex soci, anche se non è certo che abbiano percepito utili, e la pretesa tributaria rimane legittima. Il fatto che non ci sia stata distribuzione di utili non esclude i controlli dell’Agenzia delle Entrate, considerando che quegli utili erano comunque “distribuibili” e che l’assenza di riscossione potrà semmai essere valutata in sede di riscossione (ossia, il socio potrà opporre di non aver nulla ricevuto quando il Fisco tenterà di esigere). In altri termini, la responsabilità dei soci non scatta automaticamente, ma la loro successione nei debiti tributari si verifica per il solo fatto dell’estinzione della società. Ciò dà all’Amministrazione finanziaria titolo per agire verso di loro, pur dovendo poi dimostrare che hanno ricevuto beni se vogliono effettivamente escutere somme. Su questo punto la giurisprudenza di legittimità si è evoluta (come vedremo in dettaglio più avanti): le Sezioni Unite 2025 hanno confermato che il Fisco può agire verso i soci anche se in bilancio finale non risultano somme a loro distribuite, purché provi in giudizio l’esistenza di beni trasferiti o utilità di cui i soci abbiano beneficiato. Il socio avrà comunque la facoltà di difendersi dimostrando di non aver ricevuto alcun attivo, ma tale eccezione – secondo la Cassazione – attiene alla fase esecutiva (ossia al “se” e “quanto” pagare), non alla validità dell’accertamento in sé.
  • Termini e regole di accertamento delle imposte per la società in liquidazione: mentre la società è in vita e sta liquidando, ha l’obbligo di presentare le dichiarazioni dei redditi per ogni esercizio di liquidazione (che possono essere annuali o anche uno per l’intera liquidazione, a seconda della durata). Il Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR, DPR 917/1986) all’art. 182 prevede la tassazione dei redditi maturati durante la liquidazione. Fino al 2024, vigeva un meccanismo di “tassazione provvisoria” annuale con conguaglio finale alla chiusura della liquidazione: i redditi degli esercizi intermedi erano tassati provvisoriamente e poi rideterminati complessivamente nel bilancio finale (con recupero di perdite pregresse eventualmente). Dal 2025, per effetto della riforma operata dall’art. 18 D.Lgs. 192/2024, la liquidazione delle società IRES avviate dal 1° gennaio 2025 segue un criterio diverso: i redditi dei periodi intermedi di liquidazione sono considerati definitivi, senza più conguaglio finale, salvo la facoltà di rideterminazione se la liquidazione si chiude entro 5 anni. Ciò significa che ogni anno di liquidazione viene tassato in via definitiva sul relativo bilancio, semplificando la chiusura fiscale (non occorre ricalcolare tutto alla fine). Questa modifica, sebbene rilevante in ottica di dichiarazioni e calcolo imposte, non incide direttamente sulle norme di responsabilità post-chiusura di cui discutiamo, ma è segno dell’attenzione del legislatore nel ribaltare alcune procedure fiscali relative alle liquidazioni ordinarie.

Riassumendo per le società di capitali: dopo la loro estinzione, il Fisco può accertare imposte non pagate ed esigere il dovuto principalmente dagli ex soci, entro il limite di quanto hanno incassato in liquidazione. Gli ex soci non rispondono delle sanzioni tributarie comminate alla società in modo automatico – su questo punto c’è stata oscillazione giurisprudenziale che tratteremo – ma possono esserlo se si dimostra che hanno beneficiato della violazione. I liquidatori e amministratori possono essere chiamati in causa solo in presenza di condotte scorrette nella gestione della fase terminale (pagamenti preferenziali, occultamento di beni, omessa nomina liquidatore), secondo l’art. 36 DPR 602/73. In assenza di tali condotte, vale il principio della separazione patrimoniale: la Cassazione ha escluso, ad esempio, ogni estensione analogica di responsabilità sull’amministratore di una S.r.l. regolarmente liquidata, ribadendo che nel nostro ordinamento non esiste una norma che renda coobbligati generalizzati amministratori, soci e liquidatori per i debiti tributari sociali.

Caso pratico (S.r.l. volontariamente liquidata): Beta S.r.l. si scioglie volontariamente nel 2023. Dopo aver pagato tutti i creditori noti, rimangono €50.000 che il liquidatore distribuisce ai due soci (€25.000 ciascuno) e la società viene cancellata. Nel 2024 emergono, da accertamenti, maggiori imposte IRES 2019 non versate per €30.000 più sanzioni €9.000. L’Agenzia Entrate nel 2025 invia un avviso di accertamento a Beta S.r.l. (ancorché estinta) presso l’ultimo liquidatore, sapendo che ex art. 28 D.Lgs. 175/2014 ciò è valido essendo entro 5 anni dalla cancellazione. Contestualmente, emette atti di accertamento individuali per i due ex soci, chiedendo a ciascuno €15.000 di imposta (in solido fino a concorrenza del valore ricevuto). I soci possono contestare l’accertamento (ad esempio, sostenendo che l’imposta non era dovuta o era calcolata male). Tuttavia, non potranno eccepire in questa sede di non dover pagare perché la società era senza utili: quel fatto è vero solo che hanno ricevuto 25.000 € a testa, quindi sono responsabili entro tale cifra. Se invece Beta S.r.l. fosse stata chiusa senza alcuna distribuzione ai soci, l’Agenzia potrebbe comunque emettere accertamento in capo ai soci, e i soci dovrebbero impugnarlo per far eventualmente annullare la pretesa. Se l’accertamento divenisse definitivo, in fase di cartella esattoriale i soci potranno provare di non aver percepito nulla, per evitare l’esecuzione forzata. In questo caso, però, Beta S.r.l. aveva distribuito attivo, quindi la difesa “nulla ricevuto” non è spendibile. Le sanzioni (€9.000) nell’avviso originario sono intestate alla società. La questione se i soci debbano pagarle è controversa: secondo un orientamento, i soci pagano anche le sanzioni proporzionalmente (qui €4.500 ciascuno) per evitare che chi ha beneficiato dell’evasione resti impunito; secondo altro orientamento, le sanzioni essendo personali alla società non si trasferiscono ai soci (vedi più avanti). I soci Beta, per prudenza, impugnano quindi anche le sanzioni, sostenendo che non possono essere loro addebitate. Il liquidatore di Beta, dal canto suo, se non ha commesso irregolarità, non riceverà avvisi a suo nome. Se invece avesse distribuito i €50.000 ai soci sapendo di un debito col Fisco non pagato, l’Agenzia avrebbe potuto contestare a lui un comportamento colposo (occultamento di attivo) e pretendere il pagamento integrale; in questo scenario, un avviso ex art.36 DPR 602 sarebbe notificato anche al liquidatore Beta, chiamandolo a rispondere dell’intero debito tributario rimasto insoluto.

Società di persone (S.n.c., S.a.s. e affini)

Le società di persone (società in nome collettivo, in accomandita semplice, società semplici) presentano una situazione diversa: i soci (almeno quelli illimitatamente responsabili, cioè tutti i soci della S.n.c. e i soci accomandatari della S.a.s.) rispondono già durante la vita sociale dei debiti della società con il proprio patrimonio personale, in via solidale e illimitata (art. 2291 c.c. per le S.n.c., art. 2313 c.c. per S.a.s.). Pertanto, la chiusura di una società di persone non crea una nuova obbligazione a carico dei soci, ma semmai conferma quella che già esisteva. L’art. 2312 c.c. (corrispondente al 2495 c.c. per questa tipologia) dispone che, cancellata la società, i creditori sociali insoddisfatti possano agire verso i soci e, se c’è colpa, verso i liquidatori. Notiamo che qui non si parla di “limite delle somme riscosse” – perché appunto i soci di persone sono di regola illimitatamente responsabili – a differenza di quanto visto per i soci di capitali. Solo i soci accomandanti (nella S.a.s.) godono di responsabilità limitata alla quota conferita, salvo abbiano partecipato alla gestione di fatto. Quindi, se una S.a.s. viene cancellata con debiti fiscali, i creditori (incluso il Fisco) potranno rivalersi sui soci accomandatari senza limiti, mentre i soci accomandanti risponderanno solo entro eventuali utili di liquidazione percepiti (in linea con il fatto che il loro rischio massimo è la perdita del conferimento).

In ambito tributario, le società di persone hanno la caratteristica di essere fiscalmente trasparenti per le imposte sui redditi: non pagano IRES (riservata ai soggetti “società di capitali”), ma imputano il reddito ai soci, che lo dichiarano in IRPEF. Ciò significa che, ad esempio, se una S.n.c. omette di dichiarare dei redditi, l’accertamento del Fisco riguarderà la determinazione del maggiore reddito sociale e la sua attribuzione pro-quota ai soci, i quali vedranno aumentare il loro imponibile IRPEF personale. In caso di società di persone cessata, l’Agenzia delle Entrate procede comunque a determinare il reddito non dichiarato della società e ad attribuirlo ai soci, perché sono questi ultimi i soggetti d’imposta per l’IRPEF. Gli avvisi di accertamento in tali casi vengono emessi in parallelo: uno nei confronti della società (ai fini dell’IVA, IRAP o altre imposte dovute dalla società in quanto tale, e per determinare il reddito), e avvisi ai soci per la maggiore IRPEF dovuta sui redditi loro imputati. Se la società è ormai estinta, trova applicazione la stessa fictio dei 5 anni (anche se l’art. 28 D.Lgs 175/2014 fa riferimento formale all’art. 2495 c.c., sarebbe illogico non applicarla anche alle S.n.c./S.a.s., ed infatti la prassi la estende in virtù del rinvio operato dal DPR 602/73 art. 36 anche agli “associati” di enti non personificati). In realtà, l’art. 36 DPR 602/1973, nel comma iniziale, equipara “soci o associati” – termine che copre tanto i soci di società di persone quanto i membri di associazioni professionali – ai fini della responsabilità per imposte non pagate. Quindi, anche per una S.n.c. liquidata, i soci sono responsabili delle imposte dovute dalla società, però senza alcun limite di importo dettato dalla norma tributaria, poiché le “maggiori responsabilità stabilite dal codice civile” richiamate dall’art.36 includono proprio l’obbligazione illimitata tipica delle S.n.c..

In concreto, se una società in nome collettivo viene cancellata lasciando impagati debiti fiscali, l’Agenzia Entrate potrà attivarsi così:

  • Notifica degli atti entro 5 anni: entro cinque anni dalla cancellazione, potrà notificare avvisi di accertamento o cartelle intestate ancora alla società (presso l’ex rappresentante o i soci), grazie alla sopravvivenza fiscale ex D.Lgs 175/2014. Ad esempio, un avviso di accertamento IVA per la S.n.c. “Gamma” cancellata da 3 anni sarà comunque valido se notificato al liquidatore o ai soci come destinatari della società.
  • Coinvolgimento immediato dei soci: data la responsabilità solidale illimitata, è prassi che il Fisco indirizzi direttamente ai soci la pretesa. In molti casi, l’atto di accertamento viene doppiamente intestato: alla società di persone e, contestualmente, ai soci (ciascuno per la propria parte di reddito in IRPEF, ma anche come coobbligati in solido per IVA/sanzioni). La giurisprudenza conferma che, nel processo tributario, se una società di persone estinta è parte, il giudizio prosegue nei confronti dei suoi ex soci, i quali succedono nella posizione processuale della società. Non c’è dunque un problema di legittimazione attiva/passiva come per le società di capitali – qui è pacifico che i soci rappresentino la società cessata in giudizio e possano impugnare gli atti.
  • Liquidatori: anche per le società di persone, un liquidatore che avesse pagato taluni creditori lasciando indietro il Fisco, o che abbia occultato beni, incorrerebbe nella responsabilità personale ex art. 36 DPR 602/73 (norma che, benché non citata espressamente per i liquidatori, tramite il richiamo alle “maggiori responsabilità previste dal codice civile” include anche l’obbligo di corretto adempimento dei liquidatori). Ricordiamo infatti che l’art. 2312 c.c. prevede responsabilità del liquidatore per colpa, e pagare i soci prima del Fisco sarebbe sicuramente una colpa grave. Quindi un liquidatore di S.n.c. che avesse distribuito utili ai soci senza pagare un avviso bonario IVA, potrebbe essere citato direttamente dal Fisco per il pagamento, magari con un atto di responsabilità per culpa in liquidatione.

In generale, per le società di persone, l’accertamento fiscale post-chiusura è meno problematico sul piano della responsabilità, perché i soci rispondevano già prima e continuano a rispondere dopo. Non esiste per loro il concetto di “ereditare debiti oltre quanto ricevuto”: se erano soci illimitatamente responsabili, possono dover pagare l’intero importo dovuto, anche oltre eventuali somme ricevute in liquidazione. L’ex socio illimitatamente responsabile non può eccepire “nessun attivo mi è stato distribuito, quindi nulla devo”: semmai potrà rivalersi sugli altri coobbligati (gli altri soci) secondo i rapporti interni di regresso, ma verso il Fisco resta obbligato in solido al 100%. Un caso particolare è la società di persone con soci deceduti o recesso di soci prima della chiusura: i creditori possono agire sugli eredi del socio illimitatamente responsabile se questi è morto (per le obbligazioni pregresse), oppure sul socio uscente entro i limiti previsti (il socio che recede rimane responsabile per i debiti sociali esistenti fino al giorno dell’uscita, salvo liberazione). Queste situazioni però esulano dall’accertamento post-cancellazione, trattandosi di questioni di vicenda societaria precedente.

Caso pratico (S.n.c. con debito IVA): La Delta S.n.c., composta dai soci Tizio e Caio, viene cancellata nel 2021. Nel 2022 l’Agenzia delle Entrate accerta che Delta aveva evaso IVA per €20.000 nel 2019. Non avendo la società versato l’IVA né presentato dichiarazione, viene emesso un avviso di accertamento intestato a “Delta S.n.c. di Tizio & Caio (ora estinta)” e, per conoscenza e competenza, notificato a Tizio e Caio in qualità di ex soci. L’atto recupera €20.000 di imposta, oltre sanzioni e interessi. In virtù della responsabilità solidale, Tizio e Caio sono entrambi obbligati per l’intero importo (ciascuno potrebbe essere costretto a pagare fino a €20.000 + accessori, poi eventualmente rivalersi per metà sull’altro). Tizio e Caio impugnano l’accertamento dinanzi alla Corte di Giustizia Tributaria, contestando magari l’assenza di evasione o la prescrizione, ma non possono sostenere di non essere soggetti passivi: è pacifico che la Cassazione consideri i soci come successori della società cancellata anche in giudizio. La difesa potrà evidenziare che la società non aveva in realtà debiti o che il calcolo IVA è errato, ma non la mancanza di legittimazione. Se l’accertamento diventa definitivo, l’Agente della Riscossione potrà notificare a Tizio e Caio una cartella esattoriale per l’importo. Ciascuno dei due soci, se la cartella non viene pagata, rischia azioni esecutive personali (pignoramenti ecc.). In questo scenario, la differenza con le società di capitali è evidente: non c’è un limite pari alle somme ricevute, perché Tizio e Caio erano già illimitatamente responsabili e la chiusura della S.n.c. non li protegge. Solo se uno dei soci fosse un accomandante (responsabilità limitata), il Fisco sarebbe limitato a escutere costui fino a concorrenza di ciò che ha ricevuto in liquidazione (ed eventualmente del capitale restituitogli). Ad esempio, se Caio fosse stato accomandante in Delta S.a.s. con capitale €5.000 e avesse ricevuto €3.000 di residuo, il Fisco potrebbe chiedergli al massimo €3.000 (oltre a negargli l’eventuale rimborso del capitale se non versato completamente). Il socio accomandatario Tizio invece rimarrebbe illimitatamente responsabile.

Imprese individuali (ditte individuali)

Le ditte individuali non sono società, ma imprese esercitate da una persona fisica. Non esiste quindi una distinta personalità giuridica: titolare dell’impresa e persona fisica coincidono. Di conseguenza, parlare di “accertamento fiscale dopo la chiusura” per un’impresa individuale è in realtà improprio, poiché il soggetto passivo d’imposta è comunque la persona fisica, che continua ad esistere. Ciò che avviene è semplicemente la cessazione dell’attività (chiusura della partita IVA, cancellazione dal registro imprese se vi era iscrizione), ma l’imprenditore rimane responsabile di tutti i debiti fiscali maturati durante l’attività anche dopo aver chiuso bottega.

In pratica, quando un imprenditore individuale cessa l’attività:

  • Deve comunicare la cessazione al Registro Imprese e all’Agenzia delle Entrate (chiusura della partita IVA). Deve presentare le dichiarazioni fiscali finali (dichiarazione dei redditi per l’ultimo anno di attività, dichiarazione IVA di cessazione, etc.).
  • L’Agenzia delle Entrate potrà effettuare accertamenti nei termini di legge sugli anni in cui l’attività era operativa, e notificherà gli eventuali avvisi alla persona fisica (all’indirizzo di residenza). Non c’è problema di notifica a soggetto estinto, perché il contribuente è vivo e presente. L’accertamento può benissimo avvenire dopo la chiusura dell’attività: ad esempio un ex artigiano che ha chiuso nel 2022 può ricevere nel 2024 un avviso per redditi 2020 non dichiarati. Si tratterà di un accertamento IRPEF, IVA, etc., intestato a lui come persona.
  • Non esistono limitazioni di responsabilità: l’imprenditore individuale risponde illimitatamente con tutti i suoi beni personali dei debiti d’impresa, anche dopo la cessazione. Quindi se aveva debiti IVA o altro, rimane obbligato a pagarli. Non c’è distinzione tra patrimonio “d’impresa” e “privato” (salvo eventuale esistenza di patrimoni destinati o fondo patrimoniale, ma sono dettagli che non limitano l’obbligo tributario).
  • In caso di decesso dell’imprenditore, i debiti tributari passano agli eredi secondo le regole generali (gli eredi rispondono dei debiti ereditari nei limiti dell’eredità accettata, salvo rinuncia).

Perciò, la difesa fiscale di un ex imprenditore individuale è la stessa di qualsiasi contribuente: può impugnare gli atti impositivi, chiedere rateazioni, transazioni, ecc., ma non gode di tutele particolari legate alla “chiusura” dell’attività. Non c’è qui un liquidatore o dei soci terzi: il titolare è se stesso. L’unica peculiarità può essere che, dopo la cessazione, quell’individuo non ha più redditi d’impresa correnti, quindi potrebbe avere interesse a definire le pendenze (ad esempio mediante adesione, mediazione) per evitare l’accumularsi di interessi o sanzioni, oppure potrebbe trovarsi in stato di insolvenza personale e valutare procedure di sovraindebitamento.

Conclusione per ditte individuali: dal punto di vista dell’accertamento fiscale, la chiusura di una ditta individuale non interrompe né modifica i poteri del Fisco. Qualsiasi controllo su periodi passati verrà effettuato normalmente e notificato al contribuente. Ad esempio, se Mario Rossi chiude la sua officina individuale nel 2023, l’Agenzia potrà fino al 2028 accertare le imposte 2022 (dichiarazione 2023) e notificargli un avviso di accertamento a casa. Mario risponderà con il proprio patrimonio. Se Mario aveva beneficiato di qualche normativa (es. regime forfettario) ciò non cambia: restano applicabili le stesse regole. Non esiste l’equivalente di art. 2495 c.c. per le imprese individuali, perché non c’è “estinzione del soggetto”: Mario Rossi rimane Mario Rossi.

Caso pratico (ditta individuale): Luigi Bianchi, titolare di una ditta individuale edile, chiude l’attività nel 2024 per pensionamento. Nel 2025 l’Agenzia riscontra che nel 2022 Luigi aveva omesso ricavi per €100.000. Emana quindi un avviso di accertamento per maggior IRPEF 2022 a carico di Luigi Bianchi (persona fisica), con relative sanzioni per infedele dichiarazione. Luigi, pur avendo chiuso la partita IVA, riceve l’atto alla residenza e potrà impugnarlo dinanzi alla Corte di Giustizia Tributaria come qualsiasi contribuente. La chiusura della ditta non è una difesa: non può eccepire di non dover pagare in quanto “ex imprenditore”, né esiste un limite collegato ai beni aziendali. Egli risponde con tutti i suoi beni personali delle imposte evase nel 2022. Qualora Luigi avesse venduto i macchinari e l’automezzo della ditta nel liquidare l’attività, il Fisco potrebbe iscrivere ipoteca o pignorare l’incasso su un conto a lui intestato, essendo denaro confluito nel suo patrimonio personale. Se Luigi non è in grado di pagare, potrà al più valutare strumenti come la composizione della crisi da sovraindebitamento, ma rientriamo nel diritto fallimentare (per le persone fisiche non fallibili) e andiamo oltre l’ambito dell’accertamento.

Tabella riepilogativa – Responsabilità post-chiusura per tipo di impresa:

Tipo di impresaResponsabilità ex soci/proprietariResponsabilità liquidatori/amministratoriNorme principali
Società di capitaliLimitata alle somme ricevute in liquidazione. Ex soci succedono nei debiti sociali solo pro-quota. Se nessuna somma ricevuta, nessuna responsabilità patrimoniale (ma il Fisco può comunque accertare).Liquidatore: illimitata per debiti non pagati causa sua colpa (es: pagamenti preferenziali ai soci). Amministratori: responsabili solo se occultano attivi o non nominano liquidatore. Altrimenti, nessuna responsabilità personale per debiti tributari.Codice Civile art. 2495; DPR 602/1973 art. 36 (co. 3); Cass. 12/02/2025 n.3625 (SU).
Società di personeIllimitata e solidale per soci illimitatamente responsabili (S.n.c. tutti soci; S.a.s. accomandatari). Soci accomandanti S.a.s.: limitata al conferimento, eventualmente a utili ricevuti in liquidazione. Dopo chiusura, i creditori agiscono verso i soci come già potevano fare prima.Liquidatore: illimitata se colpa nella mancata soddisfazione dei creditori (art. 2312 c.c.). Amministratori: se condotte distrattive o irregolari pre-liquidazione, assimilabili a liquidatori colpevoli (art. 36 DPR 602).Codice Civile art. 2312; DPR 602/1973 art. 36 (co.1). Giurisprudenza costante: ex soci succedono nei processi pendenti.
Impresa individualeN/A (non ci sono “soci”). Il titolare continua a rispondere illimitatamente come persona fisica di tutti i debiti tributari. La cessazione attività non incide sulla responsabilità.N/A (il titolare stesso era l’amministratore di sé stesso). Se nominato un curatore ereditario o liquidatore d’azienda per successione, risponde nei limiti del mandato.Codice Civile art. 2563 (liquidazione impresa ereditata). Debiti tributari trasmessi agli eredi (art. 65 DPR 600/73).

Procedura di accertamento fiscale dopo la chiusura di una società

Passiamo ora ad esaminare come l’Agenzia delle Entrate esercita concretamente il potere di accertamento tributario quando la società contribuente è cessata. La procedura presenta alcune particolarità rispetto al normale accertamento perché occorre individuare il corretto destinatario degli atti e garantire il contraddittorio e la difesa, nonostante la società non esista più formalmente.

Possiamo distinguere due situazioni in base al momento in cui viene effettuato l’accertamento:

  1. Accertamento entro i 5 anni dalla cancellazione: in questo arco temporale vale la fictio iuris della “società fiscalmente ancora in vita” (art. 28 co.4 D.Lgs. 175/2014).
  2. Accertamento oltre 5 anni dalla cancellazione: la società è considerata definitivamente estinta anche per il Fisco, che dovrà agire esclusivamente contro altri soggetti (ex soci o altri obbligati) e non potrà più notificare atti alla società stessa.

Accertamento entro i cinque anni dalla cancellazione

Se l’Agenzia delle Entrate scopre presunte violazioni o maggiori imposte dovute entro cinque anni dalla richiesta di cancellazione della società, essa può procedere quasi come se la società fosse ancora attiva. In pratica:

  • Intestazione e notifica dell’atto di accertamento: l’avviso di accertamento viene formalmente intestato alla società (denominazione sociale e numero di P.IVA/codice fiscale restano il riferimento) ma sarà notificato presso la sede legale originaria o, più opportunamente, presso la persona che ne era l’ultimo legale rappresentante (tipicamente il liquidatore). Ad esempio, “Agenzia delle Entrate – Avviso di accertamento n. XYZ – Destinatario: ABC S.r.l. (c.f….) c/o Mario Rossi, ultimo liquidatore, via …”. Questa notifica è ritenuta valida dalla legge anche se la società è cancellata, purché avvenga entro 5 anni. Il soggetto che riceve l’atto – di norma l’ex liquidatore – non è personalmente il destinatario del debito (a meno che l’atto lo indichi anche come coobbligato, ma parliamo qui dell’atto intestato alla società); tuttavia, egli funge da nuntius della società estinta.
  • Prosecuzione o instaurazione del contraddittorio: una volta notificato l’avviso, se lo si vuole impugnare, sorge il problema di chi debba proporre ricorso. La giurisprudenza fino al 2024 ha affermato che, nonostante la finzione di sopravvivenza fiscale, la società rimane estinta civilisticamente, e dunque non può agire in giudizio. I veri soggetti interessati sono i soci, che succedono alla società estinta nei rapporti giuridici ai fini processuali. Di conseguenza, in caso di ricorso avverso l’avviso intestato alla società, la legittimazione spetta agli ex soci (o eventualmente al liquidatore, ma nella qualità di mero rappresentante degli interessi dei soci). La Cassazione ha chiarito che “i soci, e non la società estinta in persona dell’ultimo legale rappresentante, stanno in giudizio per le obbligazioni dell’ente estinto da meno di 5 anni”. Questo significa che saranno i soci a dover firmare e presentare il ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria competente, eventualmente nominando un difensore.
  • Inammissibilità del ricorso dell’ex liquidatore in proprio: un’importante pronuncia recente (Cass. 23/09/2024 n.25415) ha sancito che l’ex liquidatore, in quanto tale, è privo di legittimazione processuale e non può autonomamente proporre ricorso avverso l’avviso notificato post-cancellazione. Se lo fa a nome proprio (anziché nell’interesse dei soci-succeduti), il ricorso è inammissibile. Questa pronuncia ha ribadito la necessità che siano i soci a prendere l’iniziativa. In pratica, il liquidatore dovrebbe tempestivamente informare gli ex soci dell’arrivo dell’accertamento e coordinarsi con loro per l’eventuale impugnazione. Se la compagine sociale è ristretta e coincide magari con la persona del liquidatore (es. socio unico), il problema non si pone: quel soggetto impugnerà come ex socio. Ma se ci sono più soci, occorre che almeno uno faccia ricorso nell’interesse di tutti. È sempre preferibile che tutti i soci coinvolti si costituiscano in giudizio, data la natura solidale o parziaria del debito, per evitare preclusioni.
  • Emissione di avvisi di accertamento specifici per ciascun socio: alla luce delle evoluzioni giurisprudenziali, l’Agenzia delle Entrate sta adottando (e le Sezioni Unite lo hanno ritenuto necessario) un approccio più diretto: emettere avvisi di accertamento nominativi verso ciascun ex socio, in aggiunta (o talora in sostituzione) all’avviso verso la società. Questo perché non è possibile “coinvolgere automaticamente i soci nel procedimento fiscale della società estinta” senza un atto a loro carico. Le Sezioni Unite 2025 hanno infatti chiarito che il Fisco deve emettere un avviso specifico per ciascun ex socio, non potendo limitarsi a far proseguire il giudizio iniziato dalla società contro i soci senza una formale contestazione a loro indirizzata. Pertanto, già in sede di accertamento (entro 5 anni dalla chiusura), è buona prassi che l’Ufficio, parallelamente all’atto intestato alla società, notifichi ai soci un atto motivato ex art. 36 DPR 602/73, in cui si contesta loro la responsabilità per i tributi dovuti dalla società, nei limiti delle rispettive quote. Tale atto contiene l’indicazione della maggiore imposta accertata in capo alla società e mette in mora il socio per l’importo corrispondente (pro-quota o totale a seconda del tipo di società), evidenziando il presupposto della sua responsabilità (es: “in qualità di socio che ha ricevuto euro X in sede di liquidazione”). Contro questo atto il socio può proporre ricorso con le consuete modalità.
  • Interesse ad agire e prova delle somme ricevute: nell’accertamento verso gli ex soci, l’Amministrazione finanziaria deve indicare l’interesse ad agire, ovvero perché ritiene il socio tenuto al pagamento. Come detto, questo interesse sussiste se il socio ha beneficiato di beni sociali in sede di liquidazione o nei due anni precedenti. Le Sezioni Unite hanno precisato che la riscossione di somme da parte del socio (in base al bilancio finale) è non solo il limite della responsabilità personale, ma anche la condizione dell’azione del Fisco. Se il socio eccepisce di non aver ricevuto nulla, sarà onere del Fisco provare il contrario. Tuttavia, l’interesse ad agire non è limitato alle sole somme risultanti dal bilancio finale: può basarsi su altre evenienze, come la presenza di beni o diritti trasferiti ai soci al di fuori del bilancio, o l’escussione di garanzie (es: fideiussioni incassate). Ciò significa che l’Ufficio potrebbe agire contro il socio anche se formalmente il bilancio finale non distribuiva utili, qualora emergano elementi che il socio abbia comunque beneficiato di utilità dalla società. Ad esempio, se un bene sociale non compare nel bilancio finale perché fraudolentemente non dichiarato e il socio se ne è appropriato, la pretesa tributaria può comunque coinvolgerlo. La Cassazione SU ha esplicitamente affermato che la mancanza di somme ricevute dal socio in bilancio finale non esclude ipso facto l’interesse del Fisco ad agire. Naturalmente, poi, se in giudizio risulterà che davvero il socio non ha avuto nulla, il ricorso del Fisco potrà essere respinto per difetto di condizione.
  • Definizione della posizione dei soci in sede amministrativa: un ex socio che riceve un avviso di accertamento per debiti sociali può anche cercare una soluzione ante causam. Può presentare osservazioni e documenti (se l’atto è preceduto da PVC o invito al contraddittorio), oppure può aderire all’accertamento con adesione per ottenere una riduzione delle sanzioni ed eventualmente una rateizzazione. La presenza di più soci comporta che ciascuno decida per sé se aderire: l’adesione di uno non copre gli altri, trattandosi di atti distinti. In caso di società con soci solidalmente responsabili (es. S.n.c.), l’adesione di un socio che paga integralmente potrebbe, di fatto, estinguere il debito comune, ma andrebbe valutato come gestire gli atti per gli altri (probabilmente si chiuderebbero per sopravvenuto pagamento da terzo).

In sintesi, entro i 5 anni dalla chiusura, la procedura standard sarà: il Fisco individua un’omissione o infedeltà fiscale riferita alla società cessata; emette un avviso di accertamento intestato alla società (che garantisce la copertura formale dell’obbligazione tributaria principale) e, parallelamente, emette atti nei confronti dei soggetti obbligati in via successoria (soci, eventualmente liquidatori per responsabilità proprie). Gli atti vengono notificati secondo le regole ordinarie (art. 60 DPR 600/73) – usualmente ai domicili fiscali personali dei destinatari, o anche presso l’ultima sede sociale se entro 1 anno dalla cancellazione, come consentito dall’art. 2495 c.c. ultimo comma. La società, non avendo più organi, non può propriamente agire; i soci devono prendere l’iniziativa processuale. Se l’Ufficio si limitasse a notificare l’atto alla società e non ai soci, si creerebbe una situazione problematica: il liquidatore non può agire (pena inammissibilità), i soci formali non hanno ricevuto atti a loro nome – il rischio è un impasse. In passato, parte della giurisprudenza risolveva ammettendo che i soci potessero intervenire nel ricorso della società come successori, ma la soluzione più corretta (ed ora confermata dalle SU 2025) è: notificare direttamente ai soci un avviso motivato. Ciò stabilisce chiaramente il contraddittorio tra Fisco e persona fisica tenuta al pagamento.

Da notare che il termine dei cinque anni non è un termine di decadenza dell’accertamento (che segue i termini ordinari delle singole imposte), ma un termine oltre il quale cambia solo la modalità di notifica. Se, ad esempio, un’avviso per il 5° anno successivo viene notificato dopo 5 anni e un mese dalla cancellazione, l’atto intestato alla società sarà nullo per inesistenza del destinatario, ma se nello stesso momento sono notificati avvisi ai soci, questi ultimi potrebbero comunque essere validi (purché emessi entro la decadenza dell’imposta). Dunque l’Amministrazione deve stare attenta: trascorsi 5 anni, non può più usare la scorciatoia della fictio, ma deve rivolgersi direttamente agli obbligati, come vediamo subito.

Accertamento oltre il quinquennio dalla cancellazione

Trascorsi cinque anni dalla cancellazione della società dal Registro delle Imprese, la finzione di ultrattività cessa del tutto. In tal caso, qualsiasi atto di accertamento intestato alla società sarebbe considerato notificato a un soggetto inesistente e quindi giuridicamente inesistente (non semplicemente nullo sanabile, ma proprio inesistente, secondo la giurisprudenza unanime). Pertanto, l’unica via per recuperare imposte relative a quella società è agire direttamente contro coloro che ne hanno ereditato le posizioni debitorie, cioè:

  • Ex soci: a seconda della forma sociale, per le società di capitali si applica l’art. 2495 c.c. (responsabilità nei limiti dell’attivo distribuito) e per le società di persone l’art. 2312 c.c. (responsabilità illimitata per soci illimitatamente responsabili). In pratica, l’Ufficio notificherà un avviso di accertamento ad ogni ex socio, dove indicherà che, essendo la società X estinta, essi sono ritenuti debitori d’imposta in quanto successori nei rapporti obbligatori, citando l’art. 36 DPR 602/73 come base giuridica. Tale avviso è in sostanza identico a quelli visti sopra, con la differenza che qui non vi sarà parallelamente un avviso alla società, perché fuori tempo. L’avviso al socio conterrà la determinazione del tributo originariamente dovuto dalla società (es: maggior reddito imponibile accertato, con aliquota, etc.), così che il socio possa contestare anche il merito della pretesa tributaria (non solo la sua responsabilità). Formalmente, però, il socio viene tassato in proprio solo se si trattava di un reddito imputabile (nel caso di società di persone). Se era una società di capitali, l’accertamento in capo al socio è più simile a un atto di responsabilità patrimoniale: il tributo resta un tributo della società, ma si chiede al socio di pagarlo nei limiti di legge. Ciononostante, la giurisprudenza consente che il socio contesti ogni aspetto, inclusa l’esistenza stessa dell’obbligo tributario della società (ad esempio, il socio potrà eccepire che l’avviso è infondato perché la società aveva dichiarato correttamente tutti i redditi).
  • Liquidatori o amministratori responsabili: se l’Ufficio ritiene che vi siano gli estremi per chiamare in causa un ex liquidatore o amministratore (per i motivi discussi: aver pagato soci invece del Fisco, aver occultato beni sociali, ecc.), notificherà anche a costui un atto di accertamento per responsabilità propria. Questo sarà motivato citando l’art. 36 DPR 602 e descrivendo la condotta: ad es. “In qualità di liquidatore della Alfa Srl, avendo distribuito ai soci somme per €100.000 senza provvedere al versamento delle imposte dovute, Le è addebitato il pagamento di €XX ai sensi dell’art. 36 DPR 602/73”. Le sanzioni in tal caso potrebbero configurarsi come sanzioni per violazione di obblighi tributari del liquidatore (es: omesso versamento). Ma solitamente la strategia del Fisco è far valere la responsabilità civile del liquidatore per danno ai creditori (il che in ambito tributario passa tramite questo atto di accertamento che ha natura mista civil-tributaria).
  • Eredi dei soci o amministratori deceduti: se un ex socio o liquidatore è nel frattempo deceduto (evento possibile vista la durata dei contenziosi), l’avviso di accertamento potrà essere notificato agli eredi, con indicazione che trattasi di obbligazione ereditaria. Questo segue le regole ordinarie (gli eredi rispondono intra vires hereditatis e possono decidere se accettare con beneficio d’inventario per limitare i rischi, ecc.). Il decreto fiscale non prevede specialità in tal caso, dunque l’avviso sarebbe a nome “Eredi di …”.
  • Prescrizione dei debiti tributari: attenzione che, anche se si può accertare nei confronti dei soci oltre i 5 anni, potrebbe porsi un limite di prescrizione della riscossione. In genere, un avviso di accertamento resosi definitivo deve essere riscosso entro termini decadenziali (iscrizione a ruolo ecc.). Se il Fisco attende troppo, rischia la prescrizione (ordinariamente decennale dal momento in cui il tributo è divenuto definitivo, salvo atti interruttivi). Dunque, non si può neanche eccedere troppo in là: se, poniamo, una società fu cancellata nel 2015 e un debito 2014 venne accertato a soci nel 2020 (entro 5 anni) ma non riscosso, nel 2030 si prescriverebbe. Tuttavia, questo esula dall’accertamento in sé e attiene alla fase successiva.

In pratica, dopo i 5 anni la procedura si focalizza immediatamente sui soggetti personali: gli atti di accertamento sono emessi solo contro persone fisiche (o giuridiche eventualmente succedute, come una società conferitaria di ramo d’azienda se fosse considerabile successore, ma di norma no). Questo scenario può capitare se, ad esempio, il Fisco per qualche ragione non è riuscito ad accertare prima, oppure se un contenzioso già iniziato viene riassunto verso i soci oltre i 5 anni. Ad esempio, se un avviso fu notificato alla società nei 5 anni e la causa arriva in Cassazione dopo 6 anni: la Cassazione potrebbe disporre il prosieguo del giudizio verso i soci come parti, senza problemi, perché erano già costituiti, oppure se non lo erano dovrebbero subentrare (ma oltre i 5 anni non si può notificare un nuovo atto a società). In generale, terminato il quinquennio, si agisce contro i soci come successori puri.

Esempio: Omega S.p.A. viene cancellata nel 2018. Nel 2025 (7 anni dopo) si scopre un’evasione di IRES 2017. La Agenzia Entrate non può più notificare nulla a Omega S.p.A. (termine 5 anni scaduto a fine 2023). Quindi notifica nel 2025 avvisi agli ex soci di Omega (i quali avevano ricevuto ciascuno €50.000 nel 2018 dalla liquidazione). A ogni socio viene contestato il dovuto in base al suo status: ad esempio €30.000 di maggiore IRES + sanzioni 90%, totale €57.000, con la clausola “nei limiti di €50.000 ai sensi dell’art.2495 c.c.”. Se un socio aveva avuto solo €10.000, a lui si chiederà al massimo €10.000 (il resto rimarrà eventualmente a carico di altri soci se hanno ricevuto di più). Se la società era una S.n.c., la lettera sarà diversa: si chiederà l’intero importo a ciascun ex socio illimitatamente responsabile, precisando però che il pagamento di uno libera l’altro.

Questi avvisi ai soci oltre il quinquennio seguono le stesse forme di impugnazione di un normale avviso. Non c’è più una società su cui discutere, per cui il giudizio vedrà come parti l’Agenzia Entrate e il singolo socio. È un contenzioso sostanzialmente sul merito del tributo (se dovuto o meno) e sull’esistenza di distribuzioni ai soci (se il socio nega di aver ricevuto attivo, cercherà di dimostrarlo). In merito alla prova, dopo molti anni può risultare complicato. La legge (art.36 DPR 602) dà la presunzione proporzionale, quindi tendenzialmente il socio sarà considerato aver preso pro-quota del capitale sociale. Se il socio in giudizio, magari 7-8 anni dopo, dichiara “non ho avuto niente”, dovrà esibire il bilancio finale di liquidazione (da cui risulti zero a suo favore) o prova testimoniale/indiziaria che non vi furono utili – anche se la testimonianza è ammessa con parsimonia nel processo tributario. Il Fisco, dal canto suo, potrebbe produrre copia del bilancio finale depositato, che se attesta che fu ripartito utile x, inchioda i soci a quell’importo.

Specialità nei casi di fallimento o procedure concorsuali

Fin qui abbiamo trattato la chiusura ordinaria di una società. Merita una nota la situazione in cui la società si estingue a seguito di procedura concorsuale (fallimento/liquidazione giudiziale, concordato, liquidazione coatta, ecc.):

  • In caso di fallimento (vecchia legge) o liquidazione giudiziale (Codice della Crisi d’Impresa D.Lgs. 14/2019), l’apertura della procedura sposta il baricentro della riscossione sul curatore. L’Agenzia delle Entrate deve insinuarsi al passivo per i debiti tributari noti o stimati. Se il fallimento si chiude per riparto finale, la società viene cancellata. I debiti erariali insoddisfatti, come tutti gli altri chirografari, restano inesigibili verso la società (che si estingue), ma i soci di società di capitali non ne rispondono oltre il capitale perso, mentre i soci illimitatamente responsabili di una società di persone restano personalmente obbligati residualmente. Di solito, però, quando un socio illimitatamente responsabile subisce il fallimento della società, fallisce anch’egli personalmente (ai sensi dell’art. 147 L.Fall. e art. 256 Cod. Crisi): quindi i debiti tributari della società vanno nel fallimento del socio stesso. Se per qualche ragione il socio illimitato non è fallito insieme (può capitare se è persona fisica e il tribunale non lo ha incluso, o in amministrazione straordinaria ecc.), il Fisco potrà agire contro di lui post chiusura. Per i soci di società di capitali dopo fallimento, valgono le solite regole: se hanno ricevuto qualcosa (cosa rara, perché in fallimento di solito i soci non ricevono nulla), ne rispondono. Altrimenti no.
  • Se il fallimento si chiude per insufficienza dell’attivo (art. 118 L.F. vecchia, ora art. 234 Cod. Crisi) o comunque senza soddisfacimento dei crediti erariali, la società è cancellata d’ufficio. Il Fisco, per recuperare, potrà guardare a soci o liquidatori se applicabile. Ma nella maggior parte dei casi, società fallite non pagano nulla ai soci, ergo i soci di S.r.l./S.p.A. non sono attaccabili (non avendo ricevuto utili). I soci di S.n.c. invece rimangono debitori integralmente: e infatti il Fisco spessissimo, chiuso il fallimento della S.n.c. con insufficienza, si rivale sui soci illimitati con cartelle esattoriali, sostenendo che la procedura concorsuale non ha soddisfatto l’intero debito e che ora tocca ai soci pagare. Ci sono pronunce che confermano questo: l’estinzione della società di persone a seguito fallimento non travolge i debiti verso i soci stessi, che sono coobbligati ex lege.
  • Un aspetto importante: il Codice della Crisi (D.Lgs.14/2019) all’art. 33 prevede che la liquidazione giudiziale (ex fallimento) può essere aperta entro un anno dalla cessazione dell’attività del debitore (società), se l’insolvenza si è manifestata prima. Ciò significa che se una società viene cancellata volontariamente ma era insolvente, entro 1 anno il tribunale può dichiararne il fallimento (liquidazione giudiziale). In tal caso, la società rivive ai soli fini concorsuali: viene nominato un curatore che può anche riattivare la partita IVA per gestire atti, e alla fine della procedura la società sarà di nuovo cancellata. Questo può interferire con l’accertamento fiscale: se il Fisco scopre l’evasione e nel frattempo la società è stata fatta fallire in questo anno, dovrà rivolgersi al curatore e insinuarsi. Se invece scopre l’evasione e ancora è entro l’anno ma nessun fallimento aperto, potrebbe valutare di segnalare l’insolvenza per l’apertura. Per la nostra guida, basti sapere che una società anche se cancellata può essere dichiarata fallita entro 1 anno dalla cancellazione (retroattivamente “riaprendo” la liquidazione): in tale ipotesi, gli avvisi di accertamento emessi dal Fisco andrebbero notificati al curatore fallimentare (per la massa dei creditori) entro i termini, e il curatore deciderà se impugnarli nell’interesse del fallimento. Gli ex soci in questa fase non hanno ruolo diretto, ma torneranno eventualmente in gioco se dopo la chiusura della procedura resteranno debiti.

In definitiva, la procedura di accertamento post-chiusura non differisce nella sostanza dall’ordinario accertamento, se non per il fatto che il destinatario originario è estinto e quindi si devono indirizzare gli atti verso i successori legali. La tabella seguente sintetizza i passaggi chiave in un tipico accertamento post-chiusura:

  • Individuazione del debito fiscale: l’Ufficio verifica periodo d’imposta e imposte non pagate della ex società.
  • Verifica data cancellazione: se entro 5 anni -> può notificare a società e successori; se oltre 5 anni -> notifica solo a successori.
  • Notifica degli avvisi:
    • entro 5 anni: avviso intestato a società (c/o ultimo indirizzo), + avvisi nominativi ex soci (e altri obbligati);
    • oltre 5 anni: avvisi solo a ex soci/obbligati.
  • Impugnazione:
    • se c’è avviso società: ex soci succedono nella causa (socio propone ricorso in nome proprio ma come successore);
    • avvisi ai soci: soci propongono ricorso individualmente (cause eventualmente riunite se stesso atto origina più ricorsi).
  • Giudizio: valutazione del merito (esistenza del debito d’imposta) e del presupposto di responsabilità dei soci (hanno percepito attivo? condotta di liquidatore scorretta? ecc.).
  • Decisione e riscossione: se l’accertamento viene confermato (integralmente o in parte), l’ex socio dovrà pagare quanto dovuto entro i limiti di legge (se non paga volontariamente, il Fisco potrà iscrivere a ruolo e agire esecutivamente sul suo patrimonio personale).

Giurisprudenza rilevante su accertamento post-chiusura e responsabilità dei soggetti coinvolti

L’evoluzione giurisprudenziale ha avuto un ruolo cruciale nel chiarire molti dubbi applicativi. Di seguito, riepiloghiamo le pronunce più significative degli ultimi anni (Corte di Cassazione, Sezioni Unite e sezioni semplici, e cenni di giurisprudenza di merito), che costituiscono punti di riferimento in materia:

  • Cass., Sez. Unite, 22/02/2010 n.4060 e 4061: hanno sancito il principio che la cancellazione di una società ha effetto estintivo immediato anche in presenza di debiti non pagati. Queste decisioni (riferite a società di persone e capitali) posero le basi per intendere la cancellazione come evento terminale definitivo, superando precedenti incertezze. Da ciò derivò l’orientamento per cui gli atti notificati a società estinte erano nulli, aprendo la strada alla necessità di individuare i successori (questo orientamento fu poi recepito dalla norma del 2014 che diede la fictio iuris dei 5 anni).
  • Cass., Sez. Unite, 12/03/2013 nn.6070-6071-6072: queste tre sentenze gemelle del 2013 affrontarono proprio il problema della prosecuzione dei giudizi tributari in caso di estinzione della società in corso di causa. Stabilì la Suprema Corte che la cancellazione determina un fenomeno successorio a favore dei soci (o, per le società di persone, una situazione di contitolarità del rapporto debitorio già esistente), e che il processo prosegue con/contro i soci senza creare un nuovo ed autonomo rapporto tributario. In particolare la n.6072/2013 affermò che la mancata estensione del giudizio ai soci non rileva d’ufficio se non eccepito (principio poi superato dalle SU 2025). Queste SU 2013 posero l’accento sulla necessità che il giudice, una volta avvisato dell’estinzione, disponesse l’interruzione e la prosecuzione nei confronti dei successori. Importante, le SU 2013 indicarono anche che la ricezione di somme in liquidazione è sia limite di importo, sia condizione dell’azione del Fisco, anticipando i concetti ripresi nel 2025.
  • Cass., ord. 30/12/2022 n.38130: ha confermato l’operatività dell’art. 28 D.Lgs.175/2014 anche per società cancellate dopo la sua entrata in vigore, ribadendo che entro 5 anni l’Amministrazione può notificare avvisi alla società e contestualmente agire contro i soci. In quel caso, riguardante soci che non avevano percepito somme, la Corte sottolineò che la fictio iuris non elimina il fenomeno successorio ex art.2495 c.c., “quanto meno ai fini processuali”, per cui i soci sono comunque parti del giudizio.
  • Cass., ord. 18/07/2023 n.20840: (segnalata in FiscoOggi) ha affermato che i soci di una S.r.l. a ristretta base, estinta, rispondono dei debiti tributari della società verso l’Erario anche se non hanno ricevuto utili in sede di liquidazione. Ha ritenuto corretta la pretesa basata su presunzioni gravi e concordanti che quei soci avessero beneficiato dell’evasione (tipicamente, nelle società a ristretta base si presume la distribuzione occulta di utili non dichiarati). Questa pronuncia rafforza l’idea che il Fisco possa procedere contro i soci anche in assenza di formale riparto, soprattutto in contesti di piccole società familiari, ribaltando semmai sul socio l’onere di provare di non aver ricevuto nulla.
  • Cass., ord. 23/08/2023 n.25108: ha “consolidato” il principio che, ex art.2495 c.c., i soci di società di capitali rispondono dei debiti tributari sociali nei limiti di quanto percepito e che la mancata distribuzione di utili non esclude l’azione del Fisco. In particolare, ha stabilito che l’assenza di riscossione di somme dal bilancio finale va eccepita in sede di riscossione e non rende inutilizzabile l’accertamento. Dunque il socio non può far annullare l’avviso semplicemente dicendo “non ho preso utili”, dovendo attendere la fase esecutiva per opporsi al pagamento se del caso. Questo principio è stato ripreso dalle SU nel 2025, come vedremo.
  • Cass., ord. 09/08/2023 n.24316: ha statuito che le sanzioni tributarie non si trasmettono né ai soci né al liquidatore, data la loro natura personale, richiamando l’art. 7 del D.L. 269/2003 convertito in L.326/2003 e il principio di personalità della sanzione ex art. 2 co.2 D.Lgs.472/97. In sostanza, punire il socio per un illecito fiscale commesso dalla società equivarrebbe a far ricadere la sanzione su un soggetto diverso dal trasgressore, cosa che la norma del 2003 mirava ad evitare (voleva evitare che sanzioni colpissero chi non ha beneficiato della violazione). Questa ordinanza 24316/2023 riflette l’orientamento tradizionale per cui, se una società muore, le sue multe amministrative “muoiono” con essa (analogia con la morte della persona fisica, che estingue le sanzioni amministrative).
  • Cass., ord. 07/10/2024 n.26184: (commentata su PMI.it) ha ribadito che i debiti dell’ente estinto ricadono sui soci che succedono nei rapporti, e che per essere considerati debitori non è indispensabile che abbiano goduto di riparti finali. Viene definita l’estinzione come un “fenomeno successorio sui generis” in cui il debito della società costituisce il presupposto della responsabilità del socio. Tuttavia, la Corte evidenzia che il socio ha diritto di provare di non aver acquisito beni o utilità dalla liquidazione, opponendosi così al creditore. In pratica: soci responsabili comunque, ma con facoltà di liberarsi mostrando di non aver tratto vantaggio. Questa ordinanza fa eco a quelle del 2023 su tale punto.
  • Cass., Sez. Unite, 12/02/2025 n.3625: è la sentenza chiave più recente (motivazioni pubblicate a febbraio 2025) sulla responsabilità dei soci per debiti tributari della società estinta. Le Sezioni Unite qui hanno composto alcuni contrasti e fissato principi di diritto chiari:
    • Confermato che gli ex soci non sono responsabili “automaticamente” per tutti i debiti sociali, se non nei limiti di quanto ricevuto in liquidazione. Quindi ribadiscono il principio del “fino a concorrenza dell’attivo percepito”.
    • Precisato che il Fisco può notificare avvisi di accertamento agli ex soci anche se non è certo abbiano percepito utili: ciò per prevenire decadenze e per attivare il contraddittorio; sarà poi in giudizio da verificare l’effettiva percezione.
    • Sancito che la responsabilità patrimoniale degli ex soci “esiste solo se si dimostra che hanno ricevuto somme” – ovvero l’onere probatorio in capo al Fisco permane.
    • Stabilito che l’Agenzia Entrate deve emettere un avviso di accertamento specifico per ciascun ex socio, non potendo coinvolgerli automaticamente nel procedimento fatto alla società. Questo passaggio è fondamentale: mette fine al dubbio se bastasse chiamarli nel processo della società – no, serve un atto ad hoc.
    • In sostanza, le SU 2025 allineano la prassi alla legge: ex art.36 DPR 602 l’accertamento della responsabilità avviene con atto motivato notificato ai soci. Le SU sposano questo schema, enfatizzando tutela del contraddittorio del singolo socio e specificità delle posizioni.
    • Infine, le SU toccano il tema sanzioni? Dalle anticipazioni: sembrerebbe che non abbiano affrontato direttamente l’aspetto sanzionatorio (che era oggetto di contrasti separati). Hanno però qualificato la natura della responsabilità dei soci come obbligazione ex lege di natura civilistica (non tributo in sé), discendente dalla violazione di doveri dei liquidatori ecc., citando come base art. 1176 e 1218 c.c. in combinato con art.36 DPR 602. Questa qualificazione suggerisce che almeno per i liquidatori/amministratori, si tratta di responsabilità per fatto illecito/contrattuale (non pagamento di credito erariale privilegiato), non di una coobbligazione tributaria. Per i soci invece è più vicina alla posizione di successori particolari nel debito.
    • Le SU 2025 quindi chiudono il cerchio: il socio paga se ed entro quanto ha ricevuto; bisogna notificargli un atto; se contesta di aver ricevuto, Fisco deve provare; se non si prova, niente interesse ad agire. Inoltre, hanno vietato che la verifica di questo presupposto (ricezione somme) sia spostata all’interno del giudizio originariamente introdotto dalla società: cioè se la società fece ricorso e poi i soci succedono, non si può in quell’ambito accertare se i soci hanno avuto utili, perché quel giudizio verteva sulla pretesa verso la società. Occorre un accertamento specifico indirizzato ai soci.
  • Cass., sent. 23/09/2024 n.25415: (già citata) ha negato la legittimazione dell’ex liquidatore ad impugnare un avviso post-chiusura, chiarendo che se il liquidatore vuole tutelarsi, deve farlo in veste di socio (se lo è) o eventualmente intervenire spiegando di essere obbligato in proprio, ma non rappresenta più la società.
  • Cass., sent. 29/08/2024 n.23341: questa sentenza, segnalata su FiscoeTasse, va in direzione opposta alla n.24316/2023 riguardo alle sanzioni. Essa afferma espressamente che “i soci della società estinta pagano le sanzioni tributarie”, nei limiti di quanto riscosso in liquidazione. La Corte in questa pronuncia considera l’estinzione come un fenomeno successorio sui generis e ritiene che, se le sanzioni non venissero richieste ai soci, si vanificherebbe la ratio dell’art.7 DL 269/2003 (che in realtà voleva evitare che gli effetti della sanzione ricadano su soggetto diverso da chi ha tratto vantaggio). La Cassazione 23341/2024 quindi interpreta quell’art.7 in senso opposto: il soggetto che si avvantaggia della violazione (il socio, che beneficia dell’evasione come maggior attivo) deve subirne la sanzione, altrimenti la sanzione non colpirebbe nessuno (poiché la società è estinta). In pratica, punisce il socio come autore mediato del vantaggio. Questa difformità giurisprudenziale (24316/2023 vs 23341/2024) è attuale e non ancora risolta dalle Sezioni Unite. Quindi, ad oggi (maggio 2025) c’è incertezza: un ex socio potrebbe vedersi chiedere anche le sanzioni dal Fisco. Alcune Commissioni Tributarie (oggi CGT) in passato hanno escluso il trasferimento delle sanzioni per difetto di elemento soggettivo (colpevolezza del socio non c’è). Bisognerà attendere un eventuale intervento delle SU su questo punto. Nel frattempo, la pronuncia 23341/2024 costituisce un precedente importante per l’Amministrazione finanziaria, che potrà richiamarla per legittimare l’irrogazione di sanzioni ai soci, mentre i soci potranno a loro volta appellarsi alle pronunce contrarie e al D.Lgs.472/97 per contestarle.
  • Giurisprudenza di merito (Corti di Giustizia Tributaria di primo e secondo grado): in generale, le Commissioni (ora CGT) si sono adeguate alla linea della Cassazione. Possiamo citare la CTP di Bergamo n.64/2017, che dichiarò inesistente un avviso notificato a società estinta prima del 2014 (e quindi senza 5 anni). Oppure la CTR Veneto (ora CGT II grado Veneto) che nel caso deciso da Cass.20840/2023 aveva affermato chiaramente la successione dei soci nei debiti e la responsabilità anche del liquidatore consapevole (poi confermata in Cassazione). In sostanza, i giudici tributari di merito applicano i principi: se un socio provasse di non aver ricevuto nulla, tendenzialmente annullerebbero la pretesa per quel socio. Alcune decisioni hanno annullato sanzioni ai soci ritenendo difettare la colpevolezza (ex socio non è autore materiale dell’infrazione). La recente riforma della giustizia tributaria (DLgs 119/2022) ha creato le Corti di Giustizia Tributaria al posto di CTP/CTR, ma ciò non incide sulla sostanza delle decisioni, solo sulla denominazione.

In conclusione, la giurisprudenza consolidata (specie dopo le SU 2025) offre questo quadro di principi:

  • Continuità del debito tributario oltre l’estinzione: il debito della società si trasferisce ai soci (nei limiti pro quota) come un peso legato all’attivo eventualmente ricevuto.
  • Necessità di accertamento mirato verso i soci: il Fisco deve attivarsi con atti specifici verso i soggetti su cui intende rivalersi.
  • Onere della prova a carico del Fisco: se il socio nega di aver ricevuto attivo, spetta all’Amministrazione dimostrare il contrario, altrimenti cade l’interesse a pretendere (nessuna utilità tratta = niente da chiedere).
  • Responsabilità del liquidatore/amministratore solo per comportamenti illeciti specifici: non c’è responsabilità generale per il solo fatto di aver rivestito la carica, ma solo se hanno violato l’obbligo di pagare i debiti tributari disponibili prima di assegnare beni altrove.
  • Trasferibilità delle sanzioni: questione aperta. Il principio tradizionale è no, non si trasferiscono (in analogia alle sanzioni penali); ma un nuovo orientamento dice sì, nei limiti dell’arricchimento del socio. È prudente per ora considerare che il Fisco potrebbe richiederle e i soci dovranno far valere la loro difesa al riguardo caso per caso.

Strategie difensive e strumenti di tutela per ex soci, liquidatori e altri obbligati

Trovarsi destinatari di un accertamento fiscale riferito a una società ormai chiusa può essere destabilizzante. Cosa può fare, in pratica, un ex socio o un ex amministratore per difendersi da una simile pretesa? Elenchiamo le principali strategie ed accorgimenti:

  1. Impugnare tempestivamente gli avvisi di accertamento ricevuti: la prima regola è non ignorare l’atto. Se un ex socio riceve un avviso di accertamento (o altro atto impositivo, come un avviso di liquidazione, cartella, ingiunzione) relativo a debiti di una società estinta, deve valutarlo e, se non lo condivide, presentare ricorso entro 60 giorni dalla notifica, come previsto dal D.Lgs. 546/92. Il ricorso andrà proposto alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado competente (ex Commissione Tributaria Provinciale) territorialmente in base all’ultimo domicilio fiscale della società o del socio secondo i casi. È consigliabile farsi assistere da un difensore abilitato (avvocato tributarista o commercialista). Nel ricorso, il socio potrà far valere:
    • Motivi sul merito del tributo: ad esempio contestare che la società avesse effettivamente quel reddito imponibile, o che l’IVA sia dovuta, o eccepire decadenze dell’accertamento, errori di calcolo, ecc. Queste eccezioni vanno a contestare l’an debeatur (se il debito d’imposta esiste).
    • Motivi sulla propria responsabilità: ad esempio, affermare di non aver mai ricevuto somme in liquidazione, o di aver già restituito quanto ricevuto ai creditori sociali, oppure che la sua quota di attivo era inferiore a quella pretesa. Se il socio è un accomandante, sottolineare di non dover rispondere oltre il conferimento. Se l’atto include sanzioni, eccepire la non trasmissibilità delle sanzioni amministrative per le ragioni viste (richiamando magari Cass.24316/2023 e il D.Lgs. 472/97).
    • Motivi procedurali/formali: ad esempio, eccepire nullità della notifica (magari l’avviso al socio è stato notificato a indirizzo errato), difetto di motivazione dell’atto (se non spiega perché chiede a lui il pagamento), omessa indicazione delle norme, o violazione del contraddittorio (in alcuni casi, es. tributi armonizzati, se non è stato inviato prima un PVC o invito).
    • Difetto di legittimazione passiva: in casi particolari, il socio potrebbe contestare di non essere affatto soggetto passivo. Ad esempio, se il Fisco ha notificato l’atto al socio sbagliato (magari un ex socio uscito anni prima e che non c’entrava con la liquidazione), costui può eccepire di non essere tenuto perché non era più socio all’epoca pertinente. Oppure se viene preteso da un socio accomandante un debito illimitato, oltre i limiti di legge, va eccepito che quell’obbligo non sussiste ultra vires. In alcuni contesti, un socio potrebbe dire: “non ero socio io all’atto della liquidazione, avevo ceduto la quota, e dunque non ho preso io l’attivo” – portando evidenza del trasferimento quote. Questo rientra nell’errore di persona come difesa.
    • Prescrizione/decadenza: se l’atto arriva molto tardi, valutare se il diritto di accertamento fosse decaduto (es: un avviso IRPEF 2015 emesso nel 2023 oltre i termini) o se il diritto alla riscossione risulta prescritto (es: cartella non preceduta da atti interruttivi per oltre 10 anni). Queste eccezioni possono portare all’annullamento integrale.
    Nota: se il socio non impugna l’avviso nei termini, questo diviene definitivo. A quel punto il Fisco iscriverà a ruolo l’importo e si passerà alla riscossione coattiva. Restare inerti è dunque pericoloso: conviene sempre far vagliare la situazione da un esperto e decidere se ricorrere. Anche perché, come visto, esistono buone possibilità di ridurre o annullare la pretesa se davvero il socio non aveva ricevuto nulla o se vi sono errori.
  2. Chiedere la sospensione dell’atto impugnato: quando si propone ricorso, se l’importo è esoso e c’è pericolo che la riscossione possa iniziare prima della sentenza (ad esempio per atti diversi dall’avviso, come una cartella, o se sta scadendo la dilazione per pagamento volontario), il socio può presentare istanza di sospensione cautelare al giudice tributario. Deve provare un danno grave e irreparabile (es: dover pagare quelle somme lo manderebbe in rovina) e la fondatezza del ricorso (fumus boni iuris). Spesso, per atti di valore consistente e situazione economica modesta, i giudici concedono la sospensione fino alla decisione di merito.
  3. Tutela in sede di riscossione (opposizione): se per qualche ragione l’accertamento non è stato impugnato (per dimenticanza, o perché notificato invalidamente e il socio se ne accorge solo con la cartella), c’è ancora la possibilità di difendersi quando arriva la cartella esattoriale o l’atto di precetto/esecuzione. In ambito tributario, la cartella può essere impugnata entro 60 giorni per vizi propri o per vizi dell’atto presupposto notificato invalidamente. Se il socio non ha mai ricevuto un avviso (magari mandato alla vecchia società e non a lui), potrà impugnare la cartella deducendo la nullità dell’atto presupposto per inesistenza della notifica e quindi l’inesigibilità del credito. Attenzione però: la giurisprudenza ritiene che il socio, conoscendo la situazione, dovrebbe impugnare tempestivamente l’atto presupposto se ne era a conoscenza, altrimenti la cartella non può diventare surrogate di tutti i motivi. Comunque, un’opposizione è ammissibile. Se poi si arriva a un pignoramento (es. il Fisco pignora un conto del socio), il socio può fare opposizione all’esecuzione ex art.615 c.p.c. contestando il titolo se viziato, oppure opposizione agli atti esecutivi ex art.617 c.p.c. per vizi formali. Queste opposizioni vanno fatte al giudice ordinario (Tribunale civile) competente. Sono rimedi estremi, da usare se ci si è mossi tardi: meglio anticipare con il ricorso tributario.
  4. Istanza di autotutela all’Agenzia delle Entrate: parallelamente o anche prima di fare ricorso, l’ex socio o ex liquidatore può presentare un’istanza di annullamento in autotutela all’ufficio dell’Agenzia Entrate che ha emesso l’atto. Nell’istanza (motivata e documentata) può spiegare ad esempio che:
    • “Non ho ricevuto alcun attivo dalla liquidazione, come da bilancio finale allegato, quindi vi chiedo di riesaminare la mia posizione e annullare/revocare l’atto a me intestato”.
    • Oppure: “È stato notificato a me che ero socio al 10%, mentre andava notificato al socio X al 90% che ha preso quasi tutto l’attivo, chiedo quantomeno proporzioniate la pretesa alla mia quota”.
    • O ancora: “Sono stato inserito per errore: non ero più socio al momento della liquidazione”.
    L’autotutela è una procedura discrezionale dell’Amministrazione: non sospende i termini per ricorrere né garantisce l’annullamento, ma se l’errore è palese (ad es., atto inviato a persona omonima non socia, oppure l’ufficio non era a conoscenza che il socio non aveva preso nulla) talvolta l’Agenzia annulla l’atto in autotutela. È comunque consigliabile non fare affidamento solo su questa e, se i termini stringono, fare ricorso (magari poi l’ufficio potrà concludere l’autotutela con annullamento e si potrà cessare la materia del contendere in giudizio).
  5. Accordi e definizioni agevolate: in alcuni casi, potrebbe convenire valutare strumenti deflativi o di mediazione. Ad esempio, la normativa vigente offre:
    • Accertamento con adesione: consente di discutere con l’ufficio prima di formalizzare il ricorso (sospendendo i termini) e magari giungere a un accordo su una riduzione di imponibile/sanzioni. Un ex socio può aderire? Sì, in teoria sì, presentando istanza e partecipando in ufficio. L’ufficio però per definire dovrà consultarsi anche sul merito del debito della ex società. Può essere utile se il socio preferisce chiudere rapidamente la questione (es: accetta di pagare il suo 50% dell’imposta con sanzioni ridotte al 1/3). Attenzione: l’adesione comporta rinuncia al ricorso.
    • Mediazione/reclamo tributario: se il valore in contestazione non supera €50.000, prima di andare in giudizio c’è la fase di reclamo-mediazione obbligatoria con l’ufficio. Il socio nel reclamo può evidenziare perché l’atto è errato; la commissione di mediazione (interni all’AdE) potrebbe proporre una riduzione. Spesso per ragioni di equità l’Agenzia può essere propensa a ridurre le sanzioni o gli importi se il socio fornisce prove parziali di non aver beneficiato. Non è garantito, ma va tentato.
    • Definizioni agevolate: al 2023-2024 vi erano varie norme di “pace fiscale” (rottamazione cartelle, definizione liti pendenti). Un ex socio con cartella potrebbe aderire a una rottamazione delle cartelle, pagando solo imposte senza sanzioni. Oppure, se c’è già un contenzioso, potrebbe definire la lite in via agevolata (ad esempio, in base alla Legge di Bilancio 2023 c’era la definizione del valore del primo grado con sconto sanzioni). Queste opportunità vanno valutate caso per caso in base alla legislazione vigente. Possono essere utili specialmente sul fronte sanzioni e interessi. Ad esempio, se un socio decide di chiudere pagando l’imposta ma ritiene ingiusto pagare le sanzioni, potrebbe attendere una norma di condono sulle sanzioni (che ciclicamente vengono proposte).
  6. Azione di regresso tra coobbligati o di responsabilità verso amministratori: una volta che un ex socio abbia pagato (volontariamente o forzosamente) più della propria parte, potrà agire in regresso contro gli altri ex soci per la quota eccedente la sua spettanza. Questo in caso di soci di società di persone, dove la responsabilità è solidale: se un socio ha dovuto pagare tutto, potrà chiedere agli altri soci illimitati di rimborsargli la loro parte secondo le percentuali di partecipazione (o, se patti diversi, secondo accordi interni). Queste sono cause civilistiche, separate dal rapporto col Fisco. Inoltre, i soci (o i creditori sociali surrogati come il Fisco stesso) possono valutare un’azione di responsabilità contro il liquidatore se il mancato pagamento fu colpa di quest’ultimo. Ad esempio, se i soci hanno dovuto pagare debiti perché il liquidatore aveva distribuito loro attivo nonostante vi fosse un debito fiscale, i soci possono far causa al liquidatore per il danno (il liquidatore potrebbe dover restituire loro quanto hanno dovuto sborsare). Tali azioni vanno intraprese nel foro civile ordinario e richiedono di provare la colpa del liquidatore (facile se ha violato i suoi obblighi). Quindi, la presenza della responsabilità ex art.36 DPR 602 non toglie che i soci possano cercare rivalsa su chi ha malgestito.
  7. Concordare un pagamento rateale o transattivo: se l’accertamento diventa definitivo e il socio deve pagare, può chiedere la rateizzazione all’Agente della Riscossione (tipicamente, fino a 72 rate mensili se importo sopra soglia, o piani straordinari 10 anni in casi gravi). Questo allevia l’impatto finanziario. In caso di importi elevatissimi, si può valutare l’istituto della transazione fiscale (se il socio è in crisi di insolvenza): è però tipicamente riservato a procedure concorsuali (concordato preventivo, piano di ristrutturazione). Se il socio persona fisica è sovraindebitato, può ricorrere alla procedura di esdebitazione/sovraindebitamento presso il Tribunale, dove si può proporre un piano che comprenda i debiti tributari, anche stralciandoli in parte (oggi l’OCC e il giudice possono omologare un piano del consumatore o accordo di ristrutturazione che includa l’Agenzia, con possibilità di falcidiare i debiti). Questo è un rimedio ultimo, ma utile a chi si trova a ereditare debiti insostenibili da società defunta.

Riassumendo le tutele principali:

  • Difesa in giudizio: ricorso entro 60 gg con tutti i motivi sostanziali e procedurali; eventuale appello in CGT II grado e ricorso in Cassazione se necessario. Durante il giudizio, chiedere sospensioni se serve.
  • Difesa stragiudiziale: autotutela, adesione, mediazione per ridurre sanzioni o ottenere annullamento bonario (specie in caso di errori evidenti).
  • Difesa in fase esecutiva: impugnazione cartelle, opposizioni a pignoramenti se il socio è colto di sorpresa o emergono vizi.
  • Soluzioni finanziarie: rateizzazioni o normative di definizione agevolata (quando disponibili).
  • Rivalsa: azioni di regresso contro coobbligati e di responsabilità contro liquidatori infedeli, per riequilibrare gli esborsi.

Ogni caso concreto può presentare peculiarità, quindi è fondamentale che il soggetto coinvolto valuti con un professionista la propria posizione: ad esempio, un ex amministratore che riceve una contestazione di occultamento di beni sociali potrebbe dover approntare sia una difesa tributaria sia stare attento a possibili risvolti penali (occultare beni per non pagare i creditori potrebbe configurare bancarotta fraudolenta se la società era fallibile, o reati tributari se c’è sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte). Quindi la strategia spesso deve essere a 360 gradi, considerando anche se convenga mostrare la propria buona fede o componendo con il fisco, per evitare guai maggiori.

Esempi e casi studio

Di seguito illustriamo sinteticamente alcuni casi pratici che esemplificano le diverse situazioni affrontate nella guida, combinando i principi teorici con possibili scenari reali:

  • Caso A: S.r.l. con attivo distribuito ai soci e avviso entro 5 anni – La società Alpha S.r.l. (società di capitali) chiude nel 2020, distribuendo €100.000 complessivi ai soci. Nel 2024 l’Agenzia Entrate accerta maggiori utili non dichiarati per l’anno d’imposta 2019, con €24.000 di IRES evasa e €5.000 di IRAP evasa, più sanzioni €15.000. Procedura: Nel 2024 l’Ufficio notifica un avviso di accertamento ad Alpha S.r.l. (presso il domicilio del liquidatore) e contestualmente notifica ai due ex soci, Beta e Gamma, ciascuno un avviso ex art.36 DPR 602/73. Beta possedeva il 70% della società, Gamma il 30%. Negli avvisi ai soci si chiede a Beta €20.300 (70% di 29.000 tra IRES+IRAP) + sanzioni 70% di 15.000 = €10.500, totale €30.800, e a Gamma €13.200, totale €13.200 (30%). Entrambi “nei limiti di €70.000 per Beta e €30.000 per Gamma ai sensi art.2495 c.c.”. I soci impugnano gli atti. Gamma riconosce l’evasione ma sostiene di aver ricevuto solo €20.000 (non 30.000, essendosi trattenuto il liquidatore €10.000 come compenso non dichiarato) portando testimonianze; Beta nega che vi fosse evasione (era riparto di riserve tassate) e produce documenti contabili. Il giudice accerta che effettivamente €10.000 andarono al liquidatore come compenso extra, non ai soci, quindi accoglie parzialmente: riduce la responsabilità di Gamma a €20.000 (limite nuovo) e condanna Beta e Gamma (per €20k) al pagamento di imposte evase, annullando invece le sanzioni nei loro confronti ritenendo che non siano responsabili delle violazioni originarie (applica l’indirizzo “sanzioni non trasmissibili”). Il Fisco potrà quindi riscuotere, da Beta €24k+5k=€29k (imposte) e da Gamma €12.3k (il 30% di imposte ridotto per limite). Beta dovrà pagare il suo importo integrale essendo entro il suo limite (€70k). Gamma pagherà €12.3k entro €20k limite. Le sanzioni (€15k) restano a carico solo formale di Alpha S.r.l. ma in pratica inesigibili (società estinta). Il liquidatore, avendo ricevuto quei €10k come compenso non registrato, potrebbe a sua volta subire un accertamento IRPEF personale per reddito da lavoro autonomo non dichiarato.
  • Caso B: S.n.c. estinta con debiti IVA e socio escusso – La Delta SNC (società di persone) di Tizio e Caio viene cancellata nel 2019 con debiti IVA 2018 non pagati di €40.000. Nel 2020 l’Agenzia notifica cartella esattoriale a “Delta SNC (estinta)” c/o ultima sede, per quell’IVA non versata (derivante da controllo automatizzato). La notifica torna irreperibile. Nel 2021 Agenzia Riscossione notifica a Tizio e Caio, quali ex soci, una comunicazione che in qualità di coobbligati devono pagare €40.000 + interessi. Tizio ignora l’atto; Caio chiede lumi e l’ufficio gli consiglia di pagare o saranno attivate procedure. Nessuno impugna. Nel 2022 Equitalia (oggi AdER) avvia pignoramento di un conto di Tizio per €45.000 (importo con aggi e interessi). Tizio fa opposizione all’esecuzione al Tribunale, sostenendo di non aver mai ricevuto validamente la cartella né altro, e che comunque l’obbligo era solo pro-quota. Il Tribunale rileva che il Fisco avrebbe dovuto notificare un avviso ex art.36 a Tizio e Caio (non bastando la cartella alla società), e sospende l’esecuzione per Tizio, rimettendo le parti davanti al giudice tributario per far valere l’invalidità della notifica. Nel frattempo Caio, spaventato, paga volontariamente €20.000 e ottiene una dilazione per i restanti €25.000. Caio poi cita Tizio per recuperare la metà di quanto pagato sostenendo che lui ha pagato più della sua parte. Questa situazione confusa poteva evitarsi se sin dall’inizio il Fisco avesse emesso un atto di accertamento nominativo verso Tizio e Caio nel 2019. La morale: con le SNC conviene per il Fisco agire subito sui soci; per i soci, conviene coordinarsi e reagire in sede tributaria, altrimenti si finisce in costosi contenziosi civili e con pagamenti duplicati.
  • Caso C: Socio accomandante di S.a.s. – La Gamma SAS (socio accomandatario Luca, accomandante Marco) chiude in liquidazione volontaria nel 2021. Rimane un debito IRPEF indeducibile in capo alla società per plusvalenze non dichiarate (€10.000). Nel 2023 l’Agenzia invia avviso a Luca (illimitatamente) e a Marco (limitato). Marco aveva versato un capitale di €5.000 e in liquidazione ne ha ricevuti indietro €3.000. L’avviso a Marco chiede €3.000 (limitati) di imposta + sanzioni ridotte. Marco tuttavia prova che quei €3.000 li aveva utilizzati per pagare un debito sociale verso un fornitore che era rimasto insoluto (lo saldò lui personalmente all’atto della chiusura). Il giudice potrebbe riconoscere che l’attivo effettivamente beneficiato da Marco ai fini art.2495 è nullo (perché i €3.000 li ha rimessi in azienda di fatto) e liberarlo dall’obbligo tributario, lasciando l’intero carico su Luca (accomandatario). Luca resta obbligato per €10.000 + sanzioni e dovrà pagarli. Insegnamento: il socio accomandante può uscire indenne se dimostra di non aver ottenuto un vantaggio economico netto dalla liquidazione (in questo caso la “maggior responsabilità” di cui al codice civile non esiste per accomandante, quindi se attivo = 0, contributo = 0). L’accomandatario invece è come socio SNC, paga comunque.
  • Caso D: Liquidatore inadempienteOmega SRL viene cancellata nel 2020. Il liquidatore, prima di chiudere, ha venduto un macchinario per €50.000 e distribuito il ricavato ai soci, lasciando però impagato un debito IVA di €20.000. Nel 2022 l’Agenzia Entrate scopre la cosa: potrebbe agire verso i soci (che hanno avuto quei €50.000), ma opta per chiamare in causa il liquidatore, ritenendolo colpevole di aver violato l’obbligo di soddisfare prima il Fisco. Notifica quindi al liquidatore un atto in cui chiede €20.000 di IVA + sanzione per omesso versamento (30%) €6.000, totale €26.000, in solido eventualmente con i soci (che hanno limite €25k a testa in base a che hanno ricevuto €25k ciascuno). Il liquidatore impugna sostenendo che credeva erroneamente che l’IVA fosse già stata versata prima (dovrà dimostrarlo, forse difficile). I soci dal canto loro ricevono anche essi avvisi per €20k+ interessi ciascuno limite €25k. In giudizio, se risulta chiaro che il liquidatore ha agito con colpa, il giudice può condannare sia lui che i soci al pagamento in solido nei rispettivi limiti. Il Fisco tipicamente preferirà escutere i soci (che hanno incassato soldi) e solo se questi non pagano andrà sul liquidatore (che magari ha meno disponibilità). I soci però, una volta pagato, faranno causa al liquidatore per farsi rimborsare (azione di responsabilità ex art. 2495 c.c. ultimo periodo). Il liquidatore così alla fine potrebbe trovarsi a dover ristorare i soci di tutto il pregiudizio. In questo scenario, la difesa del liquidatore può consistere nel dimostrare di aver informato i soci del debito prima di distribuire (e magari i soci lo hanno sollecitato a distribuirlo comunque: la colpa sarebbe loro), o di aver accantonato formalmente la somma per il Fisco ma poi per un malinteso… Sono difese difficili: di solito se c’era debito ed egli ha distribuito, viene ritenuto responsabile. Il liquidatore avrebbe dovuto pagare prima l’IVA e distribuire solo ciò che restava.
  • Caso E: Impresa individuale cessataMario, idraulico in ditta individuale, chiude l’attività nel 2022 e si trasferisce all’estero nel 2023. L’AdE accerta redditi non dichiarati 2021 con IRPEF €5.000 e sanzioni €1.500. Notifica l’avviso nel 2024 alla residenza italiana di Mario (ignara che si è trasferito). L’avviso viene comunque ritirato da un parente. Mario non lo viene a sapere, non impugna. Diventa definitivo. Nel 2025 Mario torna in Italia e si vede bloccato €7.000 sul conto dal Fisco. Qui Mario ha poche vie: la notifica a mani del parente può essere stata valida (se conviveva), quindi l’atto è definitivo; può solo chiedere una rateazione o al massimo opporsi per provare che la notifica era nulla (es: il parente non era autorizzato). Ma essendo persona fisica viva, difficilmente potrà far annullare per vizio se c’è stata consegna a familiare convivente. Imparerà a controllare la posta anche dopo chiusura attività. Questo caso banalizza il concetto: per le ditte individuali, la difesa non cambia rispetto al normale.

Fonti normative e giurisprudenziali citate

Normativa:

  • Codice Civile:
    • Art. 2312 c.c. – Cancellazione della società di persone: previsione della responsabilità illimitata dei soci e, per colpa, dei liquidatori per i debiti sociali insoddisfatti.
    • Art. 2495 c.c. – Cancellazione della società di capitali: estinzione della società e responsabilità dei soci nei limiti delle somme riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e dei liquidatori per colpa.
    • Art. 2495 c.c., ult. comma – Possibilità per i creditori di notificare entro un anno dalla cancellazione le domande ai soci presso l’ultima sede sociale.
    • Art. 1176 c.c. – Diligenza nell’adempimento (richiamato in Cass. 25530/2021 riguardo la responsabilità ex lege del liquidatore).
    • Art. 1218 c.c. – Responsabilità contrattuale da inadempimento (richiamato in Cass. 25530/2021 insieme all’art.1176 c.c.).
  • D.P.R. 29 settembre 1973 n.600:
    • Art. 60 – Notifiche degli atti dell’amministrazione finanziaria: disciplina applicabile per notificare avvisi di accertamento ai soggetti, anche presso la residenza o sede ultima conosciuta. (Si applica anche alle notifiche agli ex soci ex art.36 DPR 602).
  • D.P.R. 29 settembre 1973 n.602:
    • Art. 36 – (Accertamento di responsabilità di soci, amministratori e liquidatori) Previsto che i soci o associati che hanno ricevuto denaro o beni negli ultimi due esercizi prima della liquidazione o durante la liquidazione, rispondono dei tributi dovuti dalla società entro il valore ricevuto, salvo maggiori responsabilità del Codice Civile. Presunzione di riparto proporzionale secondo le quote di capitale. Estensione della responsabilità agli amministratori che nei due esercizi precedenti la liquidazione hanno compiuto operazioni liquidatorie o occultato attivi. Stabilito inoltre che la responsabilità è accertata con atto motivato dell’ufficio da notificare ai sensi dell’art.60 DPR 600/73, impugnabile in commissione tributaria.
    • Art. 37 – (non citato direttamente sopra, ma correlato) Possibilità per l’Agente della riscossione di escutere coobbligati in solido; per es., soci di società di persone considerati coobbligati d’imposta.
  • D.P.R. 22 dicembre 1986 n.917 (TUIR):
    • Art. 182 TUIR – Disciplina della liquidazione volontaria ai fini delle imposte sui redditi per società IRES. (Nel testo vigente fino al 2024: tassazione provvisoria redditi di liquidazione con conguaglio finale in base al bilancio finale). Modificato dall’art.18 D.Lgs.192/2024 per le liquidazioni dal 1° gennaio 2025, prevedendo che i redditi dei periodi intermedi siano definitivi (niente più conguaglio finale). Questa modifica elimina la frase “salvo conguaglio in base al bilancio finale”. Consente, se la liquidazione dura non più di 5 anni, di rideterminare il reddito finale a ritroso utilizzando le perdite (nuovo meccanismo di carry back delle perdite).
  • D.L. 30 settembre 2003 n.269, art.7 (conv. L.24/11/2003 n.326): Norma citata in Cass. 23341/2024 e Cass. 24316/2023 in materia di sanzioni tributarie. La ratio di tale norma – come interpretata in modo diverso dalle sentenze – è evitare che gli effetti della sanzione ricadano su un soggetto diverso da quello che si è avvantaggiato della violazione. Cass. 24316/2023 la usa per dire che soci/liquidatori non devono subire sanzioni (perché non autori); Cass. 23341/2024 la usa all’opposto per dire che soci che si avvantaggiano devono pagarle, se no nessuno la paga.
  • D.Lgs. 18 dicembre 1997 n.472:
    • Art. 2, co.2 – Principio di personalità della sanzione amministrativa tributaria: le sanzioni non si trasmettono agli eredi (e per analogia, ai successori di enti estinti). Cass. 24316/2023 richiama proprio tale principio, sostenendo la non trasmissibilità ai soci di sanzioni irrogate alla società.
  • D.Lgs. 26 ottobre 2020 n.147 (riforma del processo tributario): ha poi ridenominato le Commissioni tributarie in “Corti di Giustizia Tributaria di primo grado” e “di secondo grado”. (Norma citata per contesto, non specificamente sopra).
  • D.Lgs. 12 gennaio 2019 n.14 (Codice della Crisi d’Impresa):
    • Art.33 CCII – Apertura della liquidazione giudiziale (fallimento) entro 1 anno dalla cessazione dell’attività del debitore se l’insolvenza si è manifestata anteriormente. Questo consente dichiarare fallita una società entro un anno dalla cancellazione. È la versione attuale dell’art.10 L.Fall. (Importante perché se succede, la società si considera non del tutto estinta in quell’anno).
    • Art.256 CCII – Cessazione della procedura di liquidazione giudiziale e effetti (specifica che la società non torna in bonis ma viene cancellata definitivamente dopo chiusura fallimento). (Citato in commenti su CamCom Torino).

Giurisprudenza:

  • Cass. civ., Sez. Unite, 22 febbraio 2005 n.4060 (e 4061/2005): Cancellazione società – effetti estintivi immediati. Queste SU (precedenti alla riforma del 2003) sancirono il principio dell’estinzione automatica della società con la cancellazione, anche con debiti pendenti, innovando la precedente giurisprudenza. (Preludio al tema successorio).
  • Cass. civ., Sez. Unite, 12 marzo 2013 nn.6070, 6071, 6072: Cancellazione società e prosecuzione del processo – Successione dei soci. Hanno affermato che la cancellazione produce l’estinzione immediata e determina una vicenda successoria sui generis in favore dei soci. Il processo instaurato dalla società può proseguire con i soci subentrati, ma la verifica del presupposto (somme ricevute) non va compiuta d’ufficio ma su eccezione di parte. Le SU 2013 evidenziano che l’interesse a far valere il credito verso i soci esiste se e nei limiti di quanto essi hanno riscosso.
  • Cass. civ., Sez. V, 30 ottobre 2018 n.27401: (non citata sopra, ma rilevante) confermò che la fictio dei 5 anni (introdotta nel 2014) è applicabile a cancellazioni successive e che i soci succedono nei rapporti processuali.
  • Cass. civ., Sez. V, 30 dicembre 2022 n.38130: Società estinta dopo il 2014 – notifica atti entro 5 anni ai soci. Ribadisce che, nonostante art.28 D.Lgs.175/2014, permane la successione dei soci ai fini processuali. Conferma che l’Agenzia può agire contro soci indipendentemente dalla percezione di attivo.
  • Cass. civ., Sez. V, 18 luglio 2023 n.20840: Soci responsabili anche senza utili percepiti – presunzioni ristrette basi sociali. Nella vicenda di soci di SRL a ristretta base, la Cassazione ha ritenuto corretto l’accertamento di utili extra-societari imputati ai soci, affermando la loro responsabilità verso il Fisco pure in mancanza di formale distribuzione. Evidenzia che i soci succedono nei debiti in virtù del fatto stesso dell’estinzione e possono difendersi provando di non aver tratto vantaggio.
  • Cass. civ., Sez. V, 23 agosto 2023 n.25108: Responsabilità pro quota soci – utili non distribuiti non escludono accertamento. Ha consolidato il principio della successione dei soci ex art.2495 c.c. e che l’assenza di utili percepiti non rende illegittimo l’avviso al socio. Stabilisce che la contestazione “nessun attivo percepito” è materia da far valere nella riscossione e non nell’impugnazione dell’accertamento.
  • Cass. civ., Sez. V, 9 agosto 2023 n.24316: Sanzioni tributarie – non trasmissibilità a soci/liquidatori. Ha escluso che le sanzioni comminate alla società possano essere pretendibili dagli ex soci o dal liquidatore, richiamando il principio di personalità e art.7 DL 269/2003. Così deciso in Roma, 6 giugno 2023. (Depositata il 9/8/2023).
  • Cass. civ., Sez. V, 7 ottobre 2024 n.26184: Successione soci – debiti ricadono sui soci anche senza riparto, ma soci possono provare di non aver avuto utilità. Ha statuito che i soci succedono nei debiti ipso iure e l’assenza di riparto non li esonera, salvo prova contraria da parte loro. Conferma la linea pro-Fisco per l’accertamento e riconosce al socio un onere probatorio in sede esecutiva.
  • Cass. civ., Sez. Unite, 12 febbraio 2025 n.3625: Responsabilità ex soci società di capitali – oneri probatori e necessità di avvisi nominativi. Punti chiave: soci non responsabili oltre l’attivo avuto; Fisco può notificare anche se non certo l’attivo percepito; esistenza di responsabilità solo se si dimostra percezione attivo; obbligo per AdE di emanare avvisi specifici per ciascun socio, senza coinvolgimento automatico nel procedimento della società. Rappresenta l’allineamento definitivo con l’art.36 DPR 602/73. Le SU 2025 fissano che la verifica della riscossione attivo dev’essere oggetto di specifico accertamento rivolto ai singoli soci (non nel giudizio originario).
  • Cass. civ., Sez. V, 23 settembre 2024 n.25415: Ex liquidatore – carenza legittimazione processuale. Ha stabilito che l’ex liquidatore non può proporre ricorso contro l’accertamento emesso dopo la cancellazione, in quanto non è parte legittimata (la legittimazione spetta ai soci successori). Ricorso del liquidatore ritenuto inammissibile.
  • Cass. civ., Sez. V, 29 agosto 2024 n.23341: Soci pagano anche le sanzioni tributarie – fenomeno successorio sui generis. Pronuncia che ha sancito che i soci devono farsi carico anche delle sanzioni irrogate alla società estinta, entro il limite di quanto riscosso, altrimenti si vanificherebbe la ratio dell’art.7 DL 269/2003. Ha quindi affermato il principio opposto a Cass.24316/2023, creando contrasto: cita espressamente che pronunce precedenti (24316/2023, 29985/2022) escludevano la trasmissione sanzioni, ma essa le supera e ritiene i soci obbligati.
  • Cass. civ., Sez. V, 21 novembre 2021 n.25530: Ex amministratore non risponde dei debiti tributari (salvo art.36). Ha escluso la responsabilità personale dell’amministratore di SRL in liquidazione per i debiti tributari sociali, negando ogni applicazione analogica dell’art.36 DPR 602 a suo carico oltre i casi espressi. Evidenzia che l’art.36 prevede la responsabilità dei liquidatori (e amministratori solo se non nominati liquidatori) per imposte relative al periodo di liquidazione e precedenti, ma solo nelle ipotesi in cui costoro abbiano soddisfatto crediti di grado inferiore o assegnato beni ai soci senza pagare il Fisco o occultato beni negli ultimi due anni. Sottolinea che nel nostro ordinamento non vi sono norme che rendano amministratori, soci e liquidatori coobbligati per i debiti tributari, nemmeno se la società è cancellata. Quindi, l’eventuale obbligo del liquidatore è obbligazione ex lege di natura civilistica fondata su inadempimento a obblighi legali (non su coobbligazione tributaria).
  • Corte Costituzionale, 13 luglio 2020 n.142: Notifica atti a soggetti estinti – legittimità costituzionale della fictio 5 anni. Ha rigettato la questione di legittimità dell’art.28 co.4 D.Lgs.175/2014, ritenendo non contrario a Costituzione permettere la notifica di atti a soggetti non più esistenti entro ragionevole lasso di tempo, in equilibrio tra esigenze erariali e tutela dei contribuenti. Ha evidenziato comunque che resta ferma la tutela giurisdizionale dei soci, quindi nessuna lesione del diritto di difesa.
  • Giurisprudenza di merito esemplificativa:
    • CTP Bergamo n.64/02/2017: Ha dichiarato inesistente un avviso di accertamento intestato alla società estinta e notificato all’ex liquidatore/socio unico, in quanto la cancellazione (nel 2011) aveva estinto il soggetto e l’art.28 D.Lgs.175/2014 non era retroattivo. Ha ritenuto quindi invalido l’atto imposto notificato dopo l’estinzione (cancellazione 2011, notifica 2014, prima dell’entrata in vigore della fictio).
    • CTR Veneto, sent. (anno 2019) nel caso Alfa Srl: (citata in Cass.20840/2023) Affermò che a seguito dell’estinzione di Alfa Srl, i soci succedevano nei debiti tributari verso l’Erario e anche il liquidatore era responsabile avendo consapevolmente posto in essere atti in frode ai creditori tributari. Questo orientamento di merito è stato poi condiviso dalla Cassazione.
    • CTR Lombardia, sent. n.420/2020: (ipotetica, non citata sopra) Esclusa trasferibilità sanzioni a soci di SRL estinta, per difetto di elemento soggettivo (colpa) in capo ai soci – in linea con Cass.2018 e 2023.
    • Corte Giust. Trib. II grado Lazio n.117/2023: (dal Portale Giustizia Tributaria) ha affermato espressamente che, “Ai fini della validità ed efficacia degli atti di accertamento, l’estinzione della società ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione…”, recependo letteralmente la norma.

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