Come si fa un ricorso per un’intimazione di pagamento?
Scoprilo nei dettagli con la nostra guida di Studio Monardo, gli avvocati che ti difendono dalle intimazioni di pagamento.
In fondo alla guida poi, potrai trovare tutti i riferimenti del nostro Studio Legale per richiedere una consulenza personalizzata per aiutarti a ridurre o cancellare i tuoi debiti:
Introduzione
L’intimazione di pagamento è un atto formale con cui un creditore richiede al debitore il pagamento immediato di una somma, preannunciando l’avvio di azioni esecutive in caso di mancato pagamento. In ambito italiano, l’intimazione di pagamento può presentarsi in diversi contesti giuridici: civile, tributario e amministrativo. In ciascuno di questi ambiti assume caratteristiche specifiche, ma la funzione di base rimane la stessa: sollecitare il pagamento di un debito pendente e avvertire che, in difetto, si procederà forzosamente.
Per i privati cittadini e le aziende, ricevere un’intimazione di pagamento è un momento delicato. Spesso significa che precedenti solleciti o atti (come bollette, accertamenti o cartelle esattoriali) non hanno portato al pagamento dovuto. Ad esempio, in materia tributaria, l’intimazione di pagamento (disciplinata dall’art. 50 del DPR 602/1973) viene emessa dall’Agente della Riscossione – oggi Agenzia delle Entrate-Riscossione (già Equitalia) – per esigere tributi, contributi o sanzioni non pagati, dando al contribuente un termine molto breve (solitamente 5 giorni) per versare. In ambito civile, l’equivalente dell’intimazione è spesso l’atto di precetto, cioè l’ultimo avviso che un creditore notifica al debitore dopo aver ottenuto un titolo esecutivo (come una sentenza o un decreto ingiuntivo) intimandogli di pagare entro un termine (in genere non meno di 10 giorni) prima di procedere al pignoramento. Nel diritto amministrativo, si pensi alle sanzioni amministrative (es. multe stradali): dopo la contestazione iniziale e l’eventuale ordinanza-ingiunzione, l’ente può iscrivere a ruolo la sanzione e notificarne la riscossione coattiva tramite una cartella o ingiunzione; anche qui può intervenire un’intimazione di pagamento come passo ulteriore se il debitore ancora non paga.
Perché è importante agire? L’intimazione di pagamento non va mai ignorata. Si tratta, infatti, di un atto propedeutico all’esecuzione forzata: se il debitore non paga né reagisce, il creditore (sia esso un privato, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione, un ente locale, l’INPS, etc.) potrà procedere con misure esecutive concrete, ad esempio pignoramenti di stipendi, conti correnti, immobili o altri beni. Inoltre, in certi casi l’intimazione “cristallizza” la situazione debitoria: ad esempio, nel settore tributario la Corte di Cassazione ha chiarito che l’intimazione di pagamento ex art. 50 DPR 602/1973 è un atto autonomamente impugnabile e che la sua mancata impugnazione rende definitivo il debito, precludendo al contribuente la possibilità di far valere successivamente eccezioni come la prescrizione. In altre parole, se si ricevono atti del genere e si hanno motivi validi di contestazione, è opportuno attivarsi tempestivamente per evitare di perdere definitivamente i propri diritti di difesa.
Questa guida, aggiornata ad aprile 2025, spiega “come si fa” il ricorso contro un’intimazione di pagamento. Si rivolge sia ai privati cittadini sia alle imprese, esaminando tutte e tre le prospettive (civile, tributaria e amministrativa). Nei capitoli che seguono vedremo: la normativa di riferimento (codici, leggi e decreti rilevanti); le procedure da seguire per presentare ricorso nei vari ambiti; i termini e le scadenze da rispettare; le modalità di notifica degli atti; i casi pratici in cui è opportuno fare ricorso e quelli in cui, magari, conviene valutare altre soluzioni. Si forniranno inoltre modelli pratici di ricorso per diverse situazioni (contro Agenzia Entrate-Riscossione/Equitalia, contro INPS, contro enti locali) e verranno discussi esempi concreti di esiti possibili (ricorso accolto, rigettato, o dichiarato inammissibile/improcedibile) per dare un’idea realistica di cosa aspettarsi. Un ultimo capitolo raccoglierà in modo ordinato tutte le fonti normative e giurisprudenziali citate, con riferimenti ufficiali, in modo che il lettore possa approfondire ulteriormente ogni aspetto.
Nota sul lessico: in questa guida utilizzeremo talvolta il termine generico “ricorso” per indicare gli atti di impugnazione. In ambito civile, il ricorso contro un’intimazione (precetto) tecnicamente si presenta con un atto di citazione in opposizione; analogamente, l’opposizione a una sanzione amministrativa può essere chiamata “ricorso” nel linguaggio comune. Per semplicità espositiva parleremo di “fare ricorso” intendendo l’azione legale di opposizione/impugnazione appropriata al caso. Inoltre, useremo il termine Agenzia delle Entrate-Riscossione (AdER) per indicare l’agente pubblico della riscossione competente dal 1° luglio 2017, sapendo che per gli atti antecedenti a tale data il soggetto era Equitalia (le procedure descritte valgono comunque in modo analogo).
Procedere con ordine è fondamentale: prima di tutto, vediamo quali sono le norme che regolano la materia nei suoi vari aspetti.
Normativa di riferimento
In questo capitolo elenchiamo le principali fonti normative – leggi e regolamenti – che disciplinano l’intimazione di pagamento e il relativo ricorso nei diversi ambiti (civile, tributario e amministrativo). Avere un quadro della normativa di riferimento aiuta a comprendere i propri diritti, i vincoli per l’ente creditore e le procedure da seguire. Faremo riferimento ai testi ufficiali (Codici, DPR, DLgs, Leggi) e indicheremo anche le recenti modifiche o pronunce costituzionali che hanno inciso sulla materia.
2.1 Normativa in Ambito Tributario (riscossione coattiva dei tributi)
- D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 – Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito: è la fonte principale in tema di riscossione coattiva fiscale. L’art. 50 di questo DPR disciplina specificamente l’intimazione di pagamento. In sintesi, la norma prevede che, “se l’espropriazione non è iniziata entro un anno dalla notifica della cartella di pagamento, essa (l’esecuzione) deve essere preceduta dalla notifica di un avviso contenente l’intimazione ad adempiere entro cinque giorni”. Questo “avviso di intimazione” (comunemente chiamato intimazione di pagamento) è dunque un atto obbligatorio prima di iniziare il pignoramento quando sia trascorso oltre un anno dalla cartella. Inoltre, dallo stesso art. 50 si desume che l’intimazione mantiene la sua efficacia per un anno dalla notifica: se entro un anno non inizia l’esecuzione forzata, un’eventuale espropriazione successiva richiederà una nuova intimazione. Altre norme rilevanti del DPR 602/1973: l’art. 25 (disciplina la cartella di pagamento, che è il titolo esecutivo emesso a seguito del ruolo); l’art. 26 (regola le modalità di notifica della cartella e degli atti della riscossione, ad esempio consente la notifica a mezzo posta con raccomandata AR direttamente da parte dell’Agente della riscossione); l’art. 49 (tratta del ruolo come elenco dei debitori e somme da riscuotere); l’art. 57 (elenca le limitazioni alle opposizioni in materia di riscossione). Quest’ultimo articolo 57 è stato dichiarato parzialmente incostituzionale dalla Corte Costituzionale nel 2018, nella parte in cui escludeva le opposizioni all’esecuzione ex art. 615 c.p.c.: la Consulta ha infatti stabilito che è illegittimo negare al contribuente la possibilità di opporsi all’esecuzione forzata dopo la notifica della cartella o dell’intimazione. Di conseguenza, oggi anche per la riscossione tributaria dopo la notifica di questi atti, sono ammesse le opposizioni tipiche del processo di esecuzione civile (ci torneremo nei capitoli successivi).
- Decreto Legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 – Disposizioni sul processo tributario: è il codice di procedura per le controversie tributarie. L’art. 19 D.Lgs. 546/1992 contiene l’elenco degli atti impugnabili dinanzi al giudice tributario (ora denominato Corte di Giustizia Tributaria di primo grado, ex Commissione Tributaria Provinciale). Tra questi, alla lettera e) del comma 1, figurano “il ruolo e la cartella di pagamento”; la giurisprudenza ha chiarito che l’intimazione di pagamento ex art. 50 DPR 602/73 è un atto ad essa assimilabile (equiparabile al vecchio avviso di mora) e dunque rientra tra gli atti impugnabili in via autonoma ai sensi di tale articolo. Inoltre, l’art. 2 D.Lgs. 546/92 definisce il riparto di giurisdizione tra giudice tributario e giudice ordinario: le liti sugli atti fino alla cartella di pagamento (e all’intimazione, se prevista) spettano al giudice tributario, mentre “restano escluse dalla giurisdizione tributaria soltanto le controversie riguardanti gli atti dell’esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento e, ove previsto, dell’avviso di cui all’art. 50 del DPR 602/1973”, per le quali continuano ad applicarsi le norme del DPR 602/73 (quindi la giurisdizione ordinaria). In pratica, la linea di confine tracciata dal legislatore è: cartella e intimazione segnano il limite – a monte di essi, le questioni attinenti la pretesa tributaria vanno dal giudice tributario; a valle (atti esecutivi veri e propri come pignoramenti, fermi, ipoteche), la cognizione spetta al giudice ordinario dell’esecuzione. L’art. 21 del medesimo decreto stabilisce il termine di 60 giorni dalla notifica per proporre ricorso tributario (vedremo dettagli in seguito). Si segnala che il processo tributario è stato riformato con la Legge 31 agosto 2022, n. 130, la quale (tra le varie novità) ha rinominato le Commissioni Tributarie in Corti di Giustizia Tributaria e introdotto nuove regole procedurali, ma i principi sopra esposti in tema di atti impugnabili e termini restano invariati.
- Statuto del Contribuente – Legge 27 luglio 2000, n. 212: raccoglie una serie di principi a tutela del contribuente. In tema di riscossione e notifiche, è importante l’art. 6 che sancisce il diritto alla “conoscenza degli atti” e la possibilità di essere rimessi in termini in caso di mancata conoscenza non dovuta a colpa del destinatario. Ad esempio, se un atto come la cartella esattoriale è stato notificato direttamente per posta (senza messo notificatore) e il contribuente non ne ha avuto effettiva conoscenza per cause a lui non imputabili, il giudice – in base all’art. 6, comma 5, L.212/2000 – può valutare una rimessione in termini per consentire l’impugnazione tardiva. Questo principio è stato riconosciuto anche dalla Corte Costituzionale, che in sentenza n.175/2018 ha richiamato l’obbligo per l’Amministrazione finanziaria di assicurare che il contribuente sia messo in condizione di conoscere gli atti a lui destinati, pur nell’ambito di procedure notifica semplificate come quella postale diretta. Lo Statuto del Contribuente, inoltre, all’art. 3 stabilisce che le norme tributarie non possono imporre adempimenti a carico del contribuente con effetto retroattivo (principio di irretroattività), e all’art. 17-bis (introdotto nel 2011, ora abrogato dal 2023) prevedeva il reclamo/mediazione per le controversie minori – istituto comunque non più vigente dal 1° gennaio 2023. In tema di riscossione, merita menzione anche l’art. 8, comma 2, dello Statuto, che prescrive un termine dilatorio di 60 giorni tra la notificazione di un avviso di accertamento esecutivo e l’inizio della riscossione, termine che si collega con quanto previsto dall’art.50 DPR 602/73 per l’intimazione (questo però riguarda più la fase tra accertamento e ruolo).
- D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112 – Riordino del servizio nazionale della riscossione: contiene disposizioni sul funzionamento dell’Agente della riscossione. Rilevante in particolare l’art. 50 di questo decreto, da non confondere con l’art.50 del DPR 602/73: l’art.50 D.Lgs. 112/1999 impone al concessionario di conservare per 5 anni la matrice o copia delle cartelle di pagamento e degli altri atti, con la relazione di notificazione. Su questo punto è intervenuto il Consiglio di Stato (Adunanza Plenaria n.4/2022) affermando che l’Agente della riscossione ha l’obbligo di esibire le copie delle cartelle notificate se il contribuente ne fa richiesta, e che la mancata conservazione può incidere sulla validità della pretesa. Ciò significa che in un eventuale ricorso il contribuente può eccepire l’inesistenza della notifica di una cartella se l’Agente non è in grado di produrne prova (ad esempio esibendo la relata di notifica firmata o la ricevuta PEC).
- Decreti “Rottamazione” e sospensioni emergenziali: Negli ultimi anni varie norme hanno introdotto definizioni agevolate dei carichi esattoriali (cd. rottamazione delle cartelle o saldo e stralcio) e sospensioni della riscossione (es. durante l’emergenza Covid-19). È utile citarli perché possono influire sui termini e sulla procedura: ad esempio, la legge di bilancio 2023 (L.197/2022) ha previsto una nuova Definizione agevolata 2023, e il DL 146/2021 (conv. in L.215/2021) ha stabilito che il semplice estratto di ruolo (l’elenco delle cartelle a carico di un contribuente, rilasciato su richiesta) non è impugnabile autonomamente, se non in presenza di vizi di notifica dei singoli atti. Quest’ultimo intervento legislativo ha recepito un orientamento giurisprudenziale e in parte modificato la materia: in precedenza la Cassazione (Sez. Un. n.19704/2015) aveva ammesso la possibilità per il contribuente di impugnare immediatamente una cartella mai notificata appena ne veniva a conoscenza tramite un estratto di ruolo; con la modifica normativa, invece, l’estratto in sé non legittima un ricorso, e il contribuente dovrà attendere un atto della riscossione (come, appunto, un’intimazione di pagamento o un atto esecutivo) per poter far valere l’eventuale mancata notifica. Questo aspetto va tenuto presente quando si discute se e quando impugnare (lo approfondiremo).
2.2 Normativa in Ambito Civile (credito privato ed esecuzione forzata)
- Codice di Procedura Civile (R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443): è la base della procedura esecutiva civile. Gli articoli chiave relativi all’intimazione di pagamento in ambito civile sono:
- l’art. 480 c.p.c., che disciplina l’atto di precetto. Il precetto è l’atto con cui il creditore munito di un titolo esecutivo intima al debitore di adempiere entro un termine non minore di 10 giorni, avvertendo che in difetto si procederà ad esecuzione forzata. Il precetto deve contenere, sotto pena di nullità, a) l’indicazione del titolo esecutivo su cui si fonda (es.: sentenza n. XYZ/anno del Tribunale di…, decreto ingiuntivo n…, etc.); b) la sommaria indicazione della prestazione dovuta (es.: pagamento di €…, oltre interessi e spese); c) l’intimazione ad adempiere entro il termine legale; d) la sottoscrizione del difensore che lo redige (se la parte è assistita) e l’indicazione della procura; e) l’elezione di domicilio dell’istante (in caso di precetto firmato dall’avvocato). Inoltre, “il precetto diventa inefficace se, nel termine di 90 giorni dalla sua notificazione, non viene iniziata l’esecuzione” (art. 481 c.p.c.). Dunque l’atto di precetto ha una validità di 90 giorni, trascorsi i quali – se il creditore non ha ancora notificato l’atto di pignoramento – un’eventuale esecuzione andrà preceduta da un nuovo precetto. Questa regola ha qualche analogia con quella dell’art.50 DPR 602/73 vista sopra (anche se i termini differiscono: 90 giorni in civile, 1 anno nel tributario). Va notato che il precetto può essere notificato anche insieme al titolo esecutivo se quest’ultimo non è stato precedentemente notificato (art. 479 c.p.c.).
- il Libro III del c.p.c. (artt. 474 e segg.) che regola l’esecuzione forzata. L’art. 474 definisce i titoli esecutivi (sentenze, provvedimenti dell’autorità giudiziaria passati in giudicato o provvisoriamente esecutivi, cambiali, atti ricevuti da notaio come mutui, etc.). L’art. 475 prevede la formula esecutiva sui titoli. L’art. 605 e seguenti riguardano l’espropriazione forzata (mobiliare, immobiliare, presso terzi). Queste norme diventano rilevanti quando, a seguito di un precetto non adempiuto, il creditore procede con pignoramenti, ecc. Ai fini della nostra guida, interessa evidenziare che il debitore, per difendersi in questa fase, ha a disposizione le opposizioni esecutive (disciplinate dagli artt. 615 e 617 c.p.c., v. infra) se vuole contestare il precetto o gli atti successivi.
- l’art. 615 c.p.c., che disciplina l’opposizione all’esecuzione: il debitore può opporsi all’esecuzione forzata contestando il diritto del creditore a procedere (ad esempio perché il debito è inesistente, già pagato, prescritto, oppure il titolo esecutivo è invalido). Se l’opposizione è proposta prima che inizi l’esecuzione (cioè prima della notifica dell’atto di pignoramento), essa si propone con atto di citazione davanti al giudice competente per l’esecuzione; se è proposta dopo l’inizio dell’esecuzione (ad es. dopo un pignoramento), va proposta davanti al giudice dell’esecuzione del processo già iniziato, con ricorso. L’opposizione all’esecuzione non ha un termine perentorio specifico se proposta prima dell’esecuzione (va fatta entro il termine di prescrizione del diritto, in linea generale, e comunque tempestivamente per chiedere sospensioni urgenti); se proposta dopo l’inizio dell’esecuzione, va fatta “prima che sia esaurita l’esecuzione” (es.: prima che i beni siano venduti o assegnati). L’art.615 c.p.c. è importante nel nostro contesto perché offre uno strumento di ricorso anche contro un precetto, qualora si voglia far valere motivi sostanziali per cui l’intimazione di pagamento del precetto sarebbe indebita (si pensi a un precetto basato su un decreto ingiuntivo mai notificato regolarmente, o su un mutuo già estinto, etc.).
- l’art. 617 c.p.c., che disciplina l’opposizione agli atti esecutivi: è il rimedio per vizi formali degli atti dell’esecuzione (es.: errori di notifica, mancato rispetto delle forme prescritte). L’opposizione ex art.617 deve essere proposta entro termini brevi e perentori: “entro 20 giorni dalla notificazione dell’atto (se si tratta di vizi relativi all’atto di precetto o altri atti notificati) ovvero dall’atto di esecuzione (se si tratta di vizi del pignoramento o successivi)”. Ad esempio, se il precetto presenta un vizio formale (mancano indicazioni essenziali), il debitore ha 20 giorni dalla notifica del precetto per proporre opposizione agli atti esecutivi davanti al giudice competente, chiedendone l’annullamento.
- l’art. 624 c.p.c., che regola la sospensione dell’esecuzione da parte del giudice, e l’art. 669 c.p.c., che consente misure cautelari nel corso dell’esecuzione. Queste norme permettono, ad esempio, al debitore che propone opposizione, di chiedere al giudice una sospensione urgente dell’efficacia del precetto o del pignoramento in attesa della decisione sul merito, se vi sono gravi motivi (evitando nel frattempo la vendita dei beni o altri danni irreparabili). Approfondiremo nel capitolo sulla procedura civile come ottenere la sospensione.
- Codice Civile (R.D. 16 marzo 1942, n. 262): contiene disposizioni di carattere sostanziale che spesso rilevano nei ricorsi contro intimazioni di pagamento. In particolare, la disciplina della prescrizione dei diritti (artt. 2934 e seguenti c.c.) è fondamentale: molti ricorsi si basano sull’eccezione di prescrizione del credito intimato. L’art. 2946 c.c. stabilisce la prescrizione ordinaria decennale, ma vi sono termini più brevi per specifici crediti: ad esempio, i tributi locali e le sanzioni amministrative in genere si prescrivono in 5 anni (salvo diversi termini previsti da leggi speciali), le sanzioni del Codice della Strada in 5 anni, le somme dovute a titolo di contributi previdenziali in 5 anni, il bollo auto in 3 anni. È importante anche l’art. 2953 c.c., che prevede la “conversione” in prescrizione decennale delle prescrizioni brevi in caso di titolo giudiziale passato in giudicato: questo articolo, però, non si applica quando un atto amministrativo (es. un accertamento fiscale) diventa definitivo per mancata impugnazione – come chiarito dalle Sezioni Unite della Cassazione. In altre parole, se non si impugna un accertamento o una cartella entro i termini, il credito resta soggetto al suo termine di prescrizione originario (ad es. 5 anni) e non automaticamente a 10; solo una sentenza passata in giudicato potrebbe far scattare l’art.2953 c.c. (punto su cui torneremo parlando dei motivi di ricorso).
- Legge 24 novembre 1981, n. 689 – Modifiche al sistema penale: rilevante per le sanzioni amministrative (come le multe stradali e altre violazioni amministrative). Sebbene si collochi a metà tra diritto amministrativo e diritto civile, è qui citata perché delinea la procedura generale di opposizione alle sanzioni. L’art. 22 L.689/1981 prevede che contro l’ordinanza-ingiunzione emessa dall’autorità amministrativa (che determina la sanzione) l’interessato può proporre opposizione davanti al giudice ordinario (di regola il Giudice di Pace, salvo materia di competenza del Tribunale) entro 30 giorni dalla notifica dell’ordinanza. Questo termine è confermato dall’art. 6 del D.Lgs. 150/2011 (vedi oltre). Dalla prospettiva dell’intimazione di pagamento, ciò significa che quando c’è una multa o sanzione non pagata e divenuta definitiva, l’ente può procedere a riscossione coattiva (tramite cartella esattoriale o ingiunzione fiscale): in tali casi l’eventuale intimazione di pagamento successiva sarà considerata un atto meramente esecutivo, non più autonomamente impugnabile se il soggetto non aveva presentato opposizione nei 30 giorni previsti contro l’ordinanza originaria. La L.689/81 fissa inoltre le regole sul cumulo di sanzioni, sulle notifiche dei verbali (rinvio al Codice di Procedura Civile per la notifica) e all’art. 28 prevede la prescrizione quinquennale delle sanzioni amministrative.
2.3 Normativa in Ambito Amministrativo (riscossione entrate degli enti pubblici)
- D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150 – Attuazione della delega per la riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione: ha riordinato le procedure speciali, tra cui quelle di opposizione alle sanzioni amministrative e di opposizione alle ingiunzioni fiscali. In particolare:
- l’art. 6 D.Lgs.150/2011 disciplina l’opposizione all’ordinanza-ingiunzione (tipicamente l’opposizione a una multa stradale confermata dal Prefetto). Conferma il termine di 30 giorni per proporre ricorso al giudice ordinario (Giudice di Pace o Tribunale a seconda della materia) dalla notifica dell’ordinanza. Stabilisce inoltre che sia possibile la sospensione dell’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato da parte del giudice, e che nel giudizio di opposizione le parti possono stare in giudizio personalmente (senza obbligo di avvocato). L’art. 6 ribadisce che, se il ricorso è tardivo (oltre 30 giorni), il giudice lo dichiara inammissibile. Queste disposizioni sono importanti perché se una persona non impugna nei termini la sanzione amministrativa, non potrà più farlo in un secondo momento: eventuali intimazioni di pagamento riferite a quella sanzione definitiva non potranno essere contestate nel merito della sanzione stessa, ma semmai solo per vizi formali residui (anche qui, come ricordato, TAR e Cassazione hanno affermato che un’intimazione basata su un’ordinanza non impugnata è inoppugnabile quanto al contenuto sostanziale, salvo il caso eccezionale di difetto totale di notifica dell’ordinanza – v. oltre).
- l’art. 32 D.Lgs.150/2011 disciplina l’opposizione all’ingiunzione per il pagamento delle entrate patrimoniali degli enti pubblici. Si tratta della procedura di opposizione alla cosiddetta ingiunzione fiscale prevista dal R.D. 14 aprile 1910, n. 639. Molti enti locali (Comuni, Regioni) per riscuotere coattivamente le proprie entrate – tributarie e non – possono emettere un’ingiunzione di pagamento (in alternativa alla cartella esattoriale) con valore di titolo esecutivo. L’art. 32 in questione, introdotto nel 2011, ha chiarito che le controversie in materia di opposizione a tali ingiunzioni rientrano nel rito ordinario di cognizione. Ciò comporta due cose: (a) l’opposizione va proposta con atto di citazione davanti al tribunale ordinario competente per territorio (individuato nel luogo dell’ufficio che ha emesso l’ingiunzione); (b) non è più previsto il termine breve di 30 giorni che la giurisprudenza antecedente applicava in via analogica, bensì si applica il termine generale, ossia l’opposizione può essere presentata entro il normale termine di prescrizione del diritto. In pratica, il debitore che riceve un’ingiunzione fiscale non è vincolato ai 30 giorni, anche se è chiaramente sconsigliabile attendere troppo: l’ente potrebbe infatti procedere subito col pignoramento. Dunque, a livello pratico, sebbene la norma consenta di proporre opposizione anche oltre 30 giorni (purché entro la prescrizione, ad es. 5 o 10 anni a seconda del credito), conviene agire tempestivamente e comunque prima che l’ente attivi misure esecutive. L’opposizione all’ingiunzione fiscale può sollevare sia motivi di merito (es. inesistenza del debito, prescrizione) sia motivi formali. In giudizio, l’ente che ha emesso l’ingiunzione sarà convenuto e dovrà provare la legittimità del proprio operato.
- Va evidenziato che con l’ingiunzione fiscale gli enti locali possono riscuotere anche tributi locali (IMU, TARI, ecc.). In tali casi, però, la giurisprudenza delle Sezioni Unite (sent. n. 8770/2020) ha chiarito che la giurisdizione spetta al giudice tributario se l’oggetto della contestazione è la pretesa tributaria in sé, anche se formalizzata in un’ingiunzione invece che in una cartella. Dunque, bisogna distinguere: se contesto la fondatezza di un tributo locale richiesto via ingiunzione, devo rivolgermi alla Corte di Giustizia Tributaria (ex Commissione); se contesto aspetti formali dell’ingiunzione o questioni non di merito tributario (ad esempio l’ingiunzione riguarda entrate patrimoniali non tributarie, o sanzioni amministrative locali), seguirò l’opposizione ordinaria ex art.32 D.Lgs.150/2011.
- Regio Decreto 14 aprile 1910, n. 639 – Testo unico sulla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato e degli altri enti pubblici: è la base storica dell’ingiunzione fiscale. Nonostante l’epoca, è tuttora in vigore (aggiornato negli anni) e consente a enti pubblici di emettere un’ingiunzione di pagamento immediatamente esecutiva per crediti verso privati. Oggi viene usato soprattutto per entrate comunali (tariffe, sanzioni, tributi minori) quando l’ente non si avvale dell’Agenzia Entrate-Riscossione. Il RD 639/1910 all’art. 2 prevede la notifica dell’ingiunzione al debitore, all’art. 3 indica che l’ingiunzione deve fare riferimento a una previa “visura” dei ruoli o registri creditori e concede 30 giorni per pagare (decorsi i quali si procede forzosamente). L’opposizione non era dettagliata nel RD ma la prassi giurisprudenziale l’aveva assimilata al regime delle opposizioni a decreto ingiuntivo. Ora, come visto, l’art.32 D.Lgs.150/2011 regola espressamente il rito. In relazione all’intimazione di pagamento, è possibile che dopo un certo tempo anche su un’ingiunzione fiscale non eseguita l’ente invii una sorta di ulteriore sollecito (a volte chiamato anch’esso intimazione). Tuttavia, data la natura unitaria dell’ingiunzione (che già di per sé intima il pagamento entro 30 giorni), nella pratica è più frequente che l’ente passi direttamente al pignoramento senza altri avvisi, oppure che invii semplici solleciti non formali. Se invece emette un atto formalmente denominato “intimazione” richiamando l’ingiunzione precedente, esso avrebbe analoga funzione del precetto: anche in tal caso, l’eventuale opposizione seguirebbe le regole dell’opposizione a ingiunzione (rito ordinario), sostenendo magari che il credito è prescritto nel frattempo o altri motivi sopravvenuti.
- Codice del Processo Amministrativo (D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104): da segnalare infine che, per alcuni atti amministrativi che impongono pagamenti al di fuori delle ipotesi sopra descritte, può entrare in gioco la giustizia amministrativa (TAR e Consiglio di Stato). Ad esempio, se un’autorità amministrativa adotta un provvedimento amministrativo che ordina il pagamento di una somma (non una sanzione ex L.689/81, ma ad esempio la revoca di un contributo con obbligo di restituzione di somme), tale provvedimento può essere impugnato davanti al TAR competente entro 60 giorni, ai sensi dell’art. 29 del codice del processo amministrativo, trattandosi di un esercizio di potere amministrativo. In questi casi, l’atto di intimazione di pagamento coincide con il provvedimento amministrativo stesso (non c’è un titolo esecutivo separato come la cartella), e il ricorso al TAR è di legittimità (si contestano vizi dell’atto). Tali fattispecie sono più rare e specialistiche, ma era doveroso menzionarle. Un esempio concreto è quello della riscossione degli aiuti di Stato considerati illegittimi: l’Amministrazione può emettere un atto che intima al beneficiario la restituzione dell’aiuto, atto che è impugnabile davanti al TAR entro 60 giorni. In questa guida, tuttavia, ci concentreremo soprattutto sulle situazioni comuni (cartelle esattoriali, precetti, multe), tenendo presente che ove l’intimazione sia essa stessa un provvedimento amministrativo, il ricorso andrà presentato in sede amministrativa.
Abbiamo quindi delineato il quadro normativo. Nei capitoli successivi passeremo alla procedura pratica per il ricorso nei vari ambiti, indicando passo passo cosa fare, con riferimenti ai termini e alle modalità previsti dalle norme sopra citate.
Cos’è l’Intimazione di Pagamento e quando impugnarla
Prima di addentrarci nelle procedure, è utile comprendere bene cos’è un’intimazione di pagamento nei diversi contesti e quando è opportuno o necessario fare ricorso. Non tutte le intimazioni, infatti, danno luogo agli stessi rimedi e non in tutti i casi conviene opporsi: dipende dalla situazione sottostante. Vediamo dunque le caratteristiche dell’intimazione e i casi tipici in cui bisogna agire.
3.1 Natura e funzione dell’intimazione di pagamento
In generale, l’intimazione di pagamento è un atto con efficacia legale che ingiunge al debitore di pagare entro un termine breve, altrimenti si procederà con la forza. Possiamo individuarne tre declinazioni principali:
- In ambito tributario, come già accennato, l’intimazione di pagamento è l’atto previsto dall’art.50, comma 2, DPR 602/1973. Viene emesso dall’Agente della Riscossione (AdER) quando c’è una cartella di pagamento già notificata e trascorso più di un anno senza che sia iniziata l’esecuzione. Serve quindi a riattivare la procedura di riscossione: da un lato interrompe i termini di prescrizione del credito, dall’altro costituisce ultimo avviso al contribuente per evitare il pignoramento. Il contenuto tipico dell’intimazione di pagamento AdER è: indicazione delle cartelle o degli atti a cui si riferisce (ad es. “intimazione relativa alla cartella n… per importo €…”), avvertimento che bisogna pagare entro 5 giorni dalla notifica, trascorsi i quali si procederà forzosamente. Dunque il termine dato è molto breve (5 giorni, lavorativi, talora specificati come “entro cinque giorni dalla notifica” escludendo il giorno della notifica). Questa brevità è consentita perché l’intimazione arriva dopo che il debitore è già stato formalmente informato col primo atto (cartella); rappresenta solo un sollecito finale. Importante: non confondere l’intimazione di pagamento con la cartella esattoriale stessa. La cartella (o l’accertamento esecutivo, o l’avviso di addebito INPS) è il primo atto che quantifica il debito e costituisce titolo esecutivo; l’intimazione è un atto successivo, eventuale, che si limita a intimare il pagamento di somme già contenute in atti precedenti. Ciò significa che l’intimazione non introduce nuovi addebiti, ma richiama quelli già dovuti. Proprio per questo, uno dei motivi frequenti di ricorso è contestare che le cartelle presupposte non siano mai state notificate: se il contribuente riceve un’intimazione e scopre così per la prima volta l’esistenza di vecchie cartelle che dichiara di non aver mai ricevuto, può impugnare l’intimazione per far valere la nullità delle notifiche precedenti. Lo vedremo nei “motivi di ricorso” più avanti.
- In ambito civile, l’atto corrispondente è l’atto di precetto. Anche qui, non si tratta del primo atto che genera il debito, ma di un atto successivo, basato su un titolo esecutivo ottenuto dal creditore. Ad esempio, se Tizio ha una sentenza favorevole contro Caio per pagamento di €10.000, Tizio (creditore) notificherà a Caio la sentenza e un atto di precetto intimandogli di pagare quei €10.000 entro 10 giorni, pena l’esecuzione forzata. L’intimazione (precetto) civile deve precedere il pignoramento almeno di 10 giorni (art. 480 c.p.c.), salvo che il giudice autorizzi tempi minori in casi urgenti. Diversamente dal caso tributario, il precetto normalmente concede almeno 10 giorni e non 5; inoltre, il precetto ha validità 90 giorni (art. 481 c.p.c.), dopodiché se il creditore non agisce dovrà notificarne un altro prima di procedere. Nei fatti, può accadere che un creditore notifichi più precetti in sequenza se per qualche ragione il pignoramento non è partito entro i 90 giorni (analogamente l’Agente della riscossione può notificare nuove intimazioni se passa oltre un anno). Un precetto può riguardare debiti di varia natura: crediti bancari, assegni non pagati, decreti ingiuntivi divenuti esecutivi, ecc. Anche lo Stato o gli enti pubblici, se agiscono come creditori in sede civile (ad es. per recuperare un danno erariale, o una spesa di giustizia), possono notificare precetti secondo il c.p.c. (non è frequente, ma possibile quando non si segue la via del ruolo esattoriale). Di solito il precetto viene redatto da un avvocato del creditore e notificato tramite ufficiale giudiziario o anche via PEC (la legge consente al difensore di notificare atti di precetto a mezzo PEC con firma digitale). Se il debitore paga nei termini, l’iter si chiude; se non paga e non fa opposizione, allo scadere dei giorni minimi il creditore può far partire l’esecuzione (pignoramento dei beni).
- In ambito amministrativo, possiamo individuare due situazioni:
a) Sanzioni amministrative (multe): come detto, dopo l’eventuale fase di opposizione, la sanzione non pagata viene iscritta a ruolo per la riscossione forzata. L’ente (es. il Comune per una multa stradale) di norma affida il tutto all’Agenzia Entrate-Riscossione, che emette una cartella di pagamento al trasgressore. La cartella è notificata e concede 60 giorni per pagare. Se il destinatario ancora non paga, AdER potrà procedere con le misure cautelari/esecutive (fermo, pignoramento) e – se passa oltre un anno dalla notifica della cartella – dovrà inviare un’intimazione di pagamento ex art.50 DPR 602/73. Questa intimazione, anche se la natura del debito è una multa, segue la forma e i termini delle intimazioni tributarie (5 giorni per pagare). Tuttavia, occorre capire che il contenuto sostanziale (la legittimità della multa) a quel punto non è più discutibile se non è mai stato contestato prima. Il debitore in questo caso potrà fare ricorso solo per motivi formali o sopravvenuti (ad es. errore di persona, pagamento già eseguito altrove, prescrizione sopravvenuta), ma non potrà chiedere al giudice di cancellare la multa per ragioni di merito che dovevano essere sollevate con l’opposizione al verbale o all’ordinanza. La Cassazione a Sezioni Unite nel 2017 ha chiarito che se l’interessato deduce di non aver mai ricevuto il verbale di multa, l’unica strada è fare opposizione entro 30 giorni dalla notifica della cartella esattoriale, contestando sia la mancata notifica originaria sia il merito della sanzione. Trascorso quel termine, la notifica eventualmente nulla del verbale viene sanata e non può più essere motivo di annullamento. In altre parole, una intimazione relativa a una sanzione amministrativa definitiva non è autonomamente impugnabile nel merito, e un ricorso tardivo verrebbe dichiarato inammissibile (come affermato da TAR Veneto). Quindi, se si riceve un’intimazione per una multa mai vista prima, bisogna immediatamente rivolgersi al giudice competente (Giudice di Pace) entro 30 giorni sostenendo di aver appreso solo ora della multa e spiegando perché era illegittima; se invece la multa era conosciuta e non contestata, un ricorso successivo sull’intimazione non potrà attaccare quel debito se non per cause esterne (prescrizione, pagamento effettuato nel frattempo, ecc.).
b) Ingiunzioni fiscali degli enti locali: in questo caso l’ente (es. il Comune) ha emesso un’ingiunzione ai sensi del RD 639/1910 per, ad esempio, recuperare una tassa rifiuti non pagata. L’ingiunzione contiene già l’ordine di pagare entro 30 giorni. Se il debitore non paga, l’ente può dopo i 30 giorni iniziare il pignoramento, oppure (come spesso accade) inviare un ulteriore sollecito. Alcuni Comuni inviano un “avviso di intimazione” prima di procedere, ad esempio trascorso un anno. Questo avviso non è obbligatorio per legge (a differenza della cartella, l’ingiunzione non ha la norma dell’art.50 DPR 602/73), ma viene utilizzato come ulteriore tentativo bonario e per interrompere la prescrizione. Se si riceve un simile atto, la situazione è analoga al precetto: abbiamo un titolo (l’ingiunzione) che non è stato impugnato e un debitore inadempiente. L’avviso di intimazione in sé in ambito ingiunzione fiscale non introduce nuovi motivi di opposizione rispetto a quelli che il debitore aveva già dalla notifica dell’ingiunzione. Pertanto, anche qui, o si erano già fatti valere i motivi di contestazione entro i termini (e.g. opponendo l’ingiunzione in tribunale tempestivamente) oppure l’ingiunzione è definitiva. Un’opposizione presentata solo dopo questo ulteriore avviso rischia l’inammissibilità per tardività, salvo magari eccepire una prescrizione maturata nel frattempo. C’è però da dire che, non essendo codificata la necessità di questa intimazione, sul piano giuridico formale l’atto impugnabile resta l’ingiunzione originaria: se si è ancora nei termini (prescrizionali, visto che non c’è più limite dei 30 giorni), il debitore potrebbe proporre opposizione indicando di aver ricevuto solo ora effettiva conoscenza attraverso il sollecito. È una situazione di confine, da valutare caso per caso con un legale.
3.2 Quando (e perché) è opportuno fare ricorso
Non ogni intimazione di pagamento va impugnata: a volte il debitore riconosce il debito e preferisce pagare (magari evitando così ulteriori aggravi). Tuttavia, è opportuno fare ricorso contro un’intimazione di pagamento in queste principali circostanze:
- Quando si ritiene che il debito sottostante sia prescritto: La prescrizione è uno dei motivi più forti per agire. Se dall’ultima notifica valida di un atto interruttivo (cartella, intimazione precedente, ecc.) sono trascorsi più anni del termine di prescrizione applicabile, il debitore può eccepire la prescrizione e chiedere l’annullamento dell’intimazione e del debito. Ad esempio, per tributi erariali (IRPEF, IVA) il termine è 10 anni; per tributi locali, contributi INPS e sanzioni amministrative è 5 anni; per bollo auto è 3 anni. Se sono passati, ad esempio, 6 anni dall’ultima cartella TARI e arriva un’intimazione, il contribuente ha un chiaro interesse a ricorrere per far valere la prescrizione quinquennale. È importante notare che il conteggio dei termini può essere complesso: bisogna individuare l’ultimo atto valido che ha interrotto la prescrizione e contare da lì. L’intimazione stessa, se valida, interrompe la prescrizione e la riporta a zero dalla sua notifica. Dunque se si lascia passare tempo dopo l’intimazione senza impugnarla, il debito non pagato resterà comunque vivo per un nuovo periodo di prescrizione (consolidandosi). Per questo la Cassazione ha chiarito che bisogna impugnare subito se si vuole far valere la prescrizione già maturata. Un caso esemplificativo: il sig. Rossi riceve nel 2025 un’intimazione per IRPEF 2014; non ha mai visto la cartella di quella imposta. Se effettivamente la cartella 2014 non gli fu notificata e nessun altro atto è intervenuto, il credito potrebbe essere prescritto (essendo passati oltre 10 anni dall’anno d’imposta). Rossi ha interesse a fare ricorso subito eccependo la prescrizione maturata nel 2019 (5 anni dopo il 2014, se consideriamo tributo locale sarebbe 5 anni, se IRPEF 10 anni dal 2014 quindi fine 2024: dipende dai dettagli). In mancanza di ricorso, l’intimazione consoliderebbe il debito e interromperebbe di nuovo il termine.
- Quando il debitore non ha mai ricevuto gli atti precedenti: Questo accade ad esempio se viene notificata un’intimazione relativa a cartelle esattoriali “sconosciute” al destinatario. Magari le cartelle furono notificate ad un vecchio indirizzo, o tramite PEC mai letta, o addirittura mai notificate per errore. In tali casi, l’intimazione può essere il primo atto con cui si ha conoscenza della pretesa. La legge consente di far valere questa circostanza. Nel processo tributario, come detto, l’intimazione è atto impugnabile autonomo e il contribuente può contestarla anche per vizi propri delle cartelle sottostanti, come l’omessa notifica. La giurisprudenza afferma che se la cartella non fu notificata, l’intimazione stessa è nulla e l’agente della riscossione deve ripetere la notifica della cartella (quindi in pratica si azzera il procedimento). Analogamente, in ambito civile, se un precetto si basa su un titolo mai notificato (ad es. un decreto ingiuntivo non notificato entro termini), il debitore può opporsi e far valere la nullità del precetto per mancanza del presupposto. Nel caso delle sanzioni amministrative, come evidenziato, se davvero né il verbale né l’ordinanza sono stati notificati e l’intimazione (via cartella) è il primo atto, allora quell’intimazione va impugnata entro 30 giorni davanti al giudice competente, deducendo la mancata notifica degli atti presupposti. Attenzione: bisogna reagire tempestivamente perché, come visto, le Sezioni Unite Cassazione hanno stabilito che la notifica nulla del verbale di multa va eccepita entro 30 giorni dalla cartella; oltre, non è più invocabile. Quindi il “quando” è cruciale: subito appena si viene a conoscenza.
- Quando il debito è stato già pagato o annullato: Può capitare che l’intimazione richieda somme non più dovute. Ad esempio, il contribuente aveva una cartella, ma ha ottenuto dall’ente impositore lo sgravio (annullamento) o ha aderito a una definizione agevolata e pagato il dovuto; tuttavia, per ritardi burocratici, l’Agente della Riscossione emette comunque l’intimazione. In tali casi, ovviamente, si deve reagire presentando ricorso e documentando l’avvenuto pagamento o provvedimento di annullamento. Il giudice, verificate le prove, annullerà l’intimazione perché l’obbligazione non sussiste più. Un altro esempio: l’intimazione cita importi doppi rispetto al reale (magari per un errore di calcolo degli interessi) – si impugna per far rettificare.
- Quando vi sono vizi formali nella notifica o nel contenuto dell’intimazione: Sebbene più raro come motivo unico (spesso si abbina a uno sostanziale), anche un vizio formale può giustificare un ricorso. Ad esempio, in ambito tributario l’intimazione deve indicare a quali cartelle si riferisce; se arrivasse un’intimazione “al buio” senza indicazione degli estremi, sarebbe illegittima per difetto di motivazione. Oppure, se l’atto è notificato a soggetto errato, o con mezzi non consentiti, si può far valere la nullità della notifica. Nel processo tributario e amministrativo, i vizi formali, se non sanati, comportano l’annullamento dell’atto. Nel civile (precetto) i vizi formali vanno fatti valere con l’opposizione agli atti esecutivi entro 20 giorni, come visto. Uno scenario tipico: un precetto intimato per una cifra diversa da quella risultante in sentenza (ad es. include spese non liquidate dal giudice); qui c’è vizio e si può opporre per far dichiarare nullo in parte il precetto.
- Quando l’intimazione riguarda un provvedimento impugnato o sospeso: Se il debitore ha già in corso un ricorso contro la cartella o il titolo su cui si basa l’intimazione, e magari ha ottenuto anche una sospensione, il ricevere comunque un’intimazione è un fatto anomalo. Potrebbe essere necessario impugnare l’intimazione segnalando la pendenza del giudizio e chiedendo la sospensione/annullamento in attesa della decisione sul merito principale. Ad esempio, Tizio ha impugnato un accertamento tributario e in via provvisoria l’esecuzione è sospesa, ma AdER iscrive a ruolo e notifica lo stesso intimazione: Tizio farà ricorso facendo valere che il credito è sub iudice e non esigibile.
Riassumendo, è consigliabile fare ricorso contro un’intimazione di pagamento se si ha un motivo concreto per ritenere l’atto errato, illegittimo o il debito non dovuto. Non reagire significa accettare tacitamente l’intimazione e lasciare campo libero all’esecuzione forzata. Come affermato anche dalle fonti ufficiali, “l’intimazione di pagamento è un atto impugnabile quando sussistono vizi specifici o diritti lesi. Non va ignorata, perché è propedeutica al pignoramento e ad altre forme di esecuzione forzata”.
Di contro, quando non conviene opporsi? Se il debitore riconosce il debito come dovuto, non rileva vizi, e magari preferisce beneficiare di una dilazione di pagamento, il ricorso potrebbe solo procrastinare l’inevitabile con costi aggiuntivi. In tali casi può essere più utile contattare l’ente creditore o l’Agente della riscossione per trovare una soluzione (rateizzazione, saldo parziale, ecc.), tenendo presente però che alcune azioni (come chiedere la rateizzazione) possono essere interpretate come rinuncia a contestare e anzi come riconoscimento del debito – la Cassazione ha ritenuto che la domanda di dilazione può valere come atto di riconoscimento e quindi interrompere la prescrizione. Dunque, va ponderata bene la strategia: se si è in dubbio sui motivi di ricorso, consultare un esperto prima di attivare procedure di pagamento che potrebbero precludere contestazioni future.
Nei prossimi capitoli vedremo come procedere concretamente per presentare il ricorso/opposizione nei vari ambiti, indicando passo passo le modalità e i tempi.
Procedura di ricorso in ambito Tributario
In questo capitolo esaminiamo come impostare e presentare il ricorso contro un’intimazione di pagamento relativa a tributi, ossia tipicamente l’atto di intimazione emesso da Agenzia delle Entrate-Riscossione per imposte, tasse, contributi previdenziali INPS iscritti a ruolo, o sanzioni amministrative fiscalizzate. La procedura descritta è quella del processo tributario (dinanzi alle Corti di Giustizia Tributaria, ex Commissioni Tributarie). Indicheremo gli step pratici, i documenti necessari, i termini e daremo consigli utili per redigere un ricorso efficace.
4.1 Giudice competente e giurisdizione – Come stabilito dalla normativa (art. 19 D.Lgs.546/92) e confermato dalla giurisprudenza, l’intimazione di pagamento ex art.50 DPR 602/73 è atto impugnabile davanti al giudice tributario. Dunque, il ricorso va proposto dinanzi alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado competente per territorio. La competenza territoriale, nel processo tributario, è determinata dal luogo in cui ha sede l’ente impositore o l’ufficio finanziario che ha emesso l’atto originario. Nel caso di intimazione su più cartelle, in genere la competenza segue il tributo prevalente o comunque può radicarsi presso la Corte tributaria della provincia del domicilio fiscale del contribuente. Esempio: intimazione per IRPEF e TARI – competente sarà la Corte Giust. Trib. della provincia del domicilio fiscale (per IRPEF, Agenzia Entrate locale; per TARI, Comune locale, comunque stesso ambito). Eccezione: se l’intimazione riguarda esclusivamente crediti non tributari (es. solo contributi INPS) potrebbe sorgere questione di giurisdizione. Come visto, la Cassazione ha delineato il confine: se i crediti sono tributi o sanzioni tributarie, giudice tributario; se sono entrate non tributarie, la giurisdizione può essere ordinaria. In pratica, un’intimazione mista (tributi + contributi) può generare contestazioni di giurisdizione. In tali casi spesso conviene proporre doppio ricorso: uno in Commissione per la parte tributaria e uno al giudice ordinario per la parte non tributaria (Tribunale civile, sezione lavoro per contributi). Tuttavia, la circostanza tipica è che l’intimazione AdER riguardi ruoli tributari, quindi ci si rivolge al giudice tributario.
4.2 Termini per presentare ricorso – Il termine per impugnare un’intimazione di pagamento in ambito tributario è di 60 giorni dalla data di notifica dell’atto. Il termine decorre dal momento in cui l’intimazione è stata notificata al contribuente, sia che la notifica sia avvenuta a mezzo PEC (in tal caso farà fede la ricevuta di avvenuta consegna) sia che sia avvenuta tramite posta cartacea o messo notificatore (in tal caso fa fede la data di consegna o, in caso di irreperibilità relativa, la compiuta giacenza). Ad esempio, se l’intimazione è stata notificata il 10 marzo 2025, il termine ultimo per spedire il ricorso sarà il 9 maggio 2025 (salvo sospensioni feriali in agosto: dal 1° al 31 agosto i termini sono sospesi per legge nei giudizi tributari, quindi quel periodo non si conta, come da L.742/1969). Attenzione: i 60 giorni sono per la proposizione del ricorso (notifica alle controparti), non per il deposito in segreteria, il quale ha una sua scadenza di 30 giorni aggiuntivi, come vedremo. Se il 60° giorno cade di sabato, domenica o festivo, si estende al primo giorno lavorativo successivo. Se l’atto è notificato all’estero, il termine è di 90 giorni. È fondamentale rispettare il termine: un ricorso notificato in ritardo verrà dichiarato inammissibile dal giudice (salvo casi eccezionali di rimessione in termini ex art.6 Statuto Contribuente, visti prima, che però richiedono prova di causa di forza maggiore nella mancata tempestiva conoscenza).
4.3 Soggetti da convenire (legittimati passivi) – Il ricorso va proposto contro l’ente che ha emesso l’intimazione, ossia l’Agenzia delle Entrate-Riscossione (AdER), e inoltre contro l’ente impositore titolare del credito sottostante. Quest’ultimo è importante: nel processo tributario l’ente creditore originario (ad esempio l’Agenzia delle Entrate per le imposte statali, il Comune per i tributi locali, l’INPS per i contributi) è parte necessaria. Se non viene chiamato in causa, il giudizio potrebbe essere dichiarato nullo o comunque l’ente potrebbe intervenire successivamente. Dunque il ricorso deve indicare entrambi. Esempi: se l’intimazione riguarda IRPEF e IVA, l’ente impositore è l’Agenzia delle Entrate (Direzione Provinciale competente); se riguarda contributi previdenziali, l’ente è l’INPS competente; se riguarda una sanzione del Codice della Strada iscritta a ruolo, l’ente è il Comune o la Prefettura che ha emesso la sanzione. Nel dubbio, si può leggere l’intimazione stessa: di solito indica “Ente creditore: …”. Formalmente quindi, il ricorso introdurrà come resistenti sia AdER (in persona del legale rappresentante p.t.) sia l’Ente creditore (in persona del suo legale rappresentante). La notificazione del ricorso andrà fatta a entrambi questi soggetti.
4.4 Redazione del ricorso: forma e contenuto – Il ricorso tributario non è un modulo prestampato, ma un atto da redigere preferibilmente con l’assistenza tecnica di un professionista abilitato (avvocato o, per tributi, anche commercialista o esperto contabile, se l’importo in contestazione supera €3.000 è obbligatoria l’assistenza tecnica). Il ricorso deve contenere, ai sensi dell’art.18 D.Lgs.546/92:
- le generalità del ricorrente (nome, cognome/denominazione, codice fiscale, domicilio o elezione di domicilio – oggi generalmente il domicilio è digitale via PEC);
- l’indicazione dell’atto impugnato (nel nostro caso: “Intimazione di pagamento n… notificata in data…”), meglio se se ne allega copia integrale;
- i motivi di ricorso, ossia l’esposizione dei fatti e delle censure mosse all’atto impugnato, in punti chiari e numerati;
- la richiesta finale (petitum), ad esempio: l’annullamento dell’intimazione e degli atti presupposti per i motivi esposti, con vittoria di spese; eventualmente anche la richiesta di sospensione dell’esecuzione (si può inserire nel ricorso stesso una domanda cautelare, oppure farla con atto separato contestuale).
È bene che il ricorso sia organizzato, ad esempio: Fatti (descrizione della notifica dell’intimazione e degli atti collegati, date, importi); Motivi di Diritto (elencare: 1) nullità per prescrizione, 2) nullità per omessa notifica delle cartelle, 3) ecc., sviluppando ciascun punto con riferimenti normativi e giurisprudenziali pertinenti); Conclusioni (ciò che si chiede). Si possono allegare documenti utili: copia dell’intimazione ricevuta, copie di eventuali ricevute di raccomandate relative alle cartelle se disponibili, documenti che provino un pagamento o altro. Tali documenti saranno elencati nell’indice dei documenti allegati.
Nel ricorso tributario non si indicano testimoni o prove orali (il processo tributario è tendenzialmente scritto, le prove sono documentali; dal 2023 è stata introdotta la possibilità di testimonianza scritta solo in casi particolari, ma nelle liti su cartelle e intimazioni raramente serve, poiché tutto dipende da documenti e notifiche).
4.5 Notifica del ricorso alle controparti – Una particolarità del processo tributario è che il ricorso introduttivo va prima notificato alle controparti e poi depositato in Corte. La notifica può avvenire in vari modi:
- tramite PEC (Posta Elettronica Certificata): oggi questo è il canale preferenziale. AdER e i vari enti hanno indirizzi PEC attivi pubblicati nei registri. Se il ricorso è sottoscritto digitalmente dal difensore, può essere inviato a mezzo PEC agli indirizzi PEC di AdER (differenziati per regione) e dell’Ente impositore (es. Agenzia Entrate DP di …, Comune di …). La notifica PEC si perfeziona con la ricevuta di consegna. Bisogna fare attenzione a inviare da una PEC abilitata e conservare ricevute.
- in alternativa, notifica a mezzo ufficiale giudiziario o raccomandata A/R: tradizionalmente il ricorso tributario poteva essere notificato tramite consegna all’Ufficiale Giudiziario, che provvede poi a notificarlo. Oggi, con la PEC diffusa, questa via è meno usata, ma resta possibile specie per chi agisce senza assistenza tecnica su valori modesti (il contribuente può spedire il ricorso a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno direttamente all’ente – in quel caso la notifica si perfeziona con l’avviso di ricevimento firmato).
- consegna diretta all’ufficio dell’ente (con ricevuta di protocollo) – opzione che era prevista, ma oggi poco pratica.
Nel notificare, il ricorrente può inviare un originale per ciascuno: uno all’AdER e uno all’Ente impositore. Se più enti impositori (più crediti diversi), a ciascuno. Dopo la notifica, andrà compilata una nota di deposito indicando a chi e quando è stato notificato il ricorso.
4.6 Deposito del ricorso presso la Corte di Giustizia Tributaria – Una volta notificato, il ricorso va depositato presso la segreteria (cancelleria) della Corte Tributaria entro 30 giorni dalla data in cui è stata eseguita la notifica. Questo deposito può avvenire oggi tramite il Portale della Giustizia Tributaria – SIGIT (deposito telematico, obbligatorio per i professionisti). Il contribuente non assistito può ancora depositare in cartaceo recandosi in segreteria. Se si deposita oltre i 30 giorni, il ricorso viene dichiarato improcedibile, cioè come se non fosse mai stato perfezionato, anche se la notifica era tempestiva. Quindi bisogna rispettare anche questo termine. Al deposito occorre allegare:
- copia del ricorso notificato (con le ricevute di consegna PEC o l’originale notificato con relata);
- le ricevute di ritorno, se raccomandata, o le ricevute PEC;
- la documentazione comprovante la costituzione in giudizio: nel telematico sono i moduli generati dal sistema. In cartaceo, si allega una nota di deposito e copia della ricevuta del contributo unificato.
- la procura alle liti se ci si avvale di un difensore, firmata dal contribuente (la procura può essere in calce al ricorso stesso, o a margine, o separata da allegare).
- il pagamento del contributo unificato tributario, il cui importo dipende dal valore della causa (per importi fino a €2.582,28 è €30; poi fasce di valore crescenti). Va acquistata la marca o pagato il modello F23/F24 apposito e allegata ricevuta.
Una volta depositato, il ricorso è assegnato a una sezione e registrato a ruolo. L’ente resistente (AdER e/o ente impositore) potranno costituirsi a loro volta depositando memorie difensive entro 60 giorni dal ricevimento del ricorso.
4.7 Sospensione dell’intimazione (tutela cautelare) – Presentare ricorso non sospende automaticamente la riscossione. L’Agente della riscossione, ricevuto il ricorso, per prassi interna spesso modera le azioni esecutive, ma non è obbligato a fermarsi. Quindi, se c’è pericolo che nel frattempo AdER proceda (magari l’intimazione era stata preceduta da preavvisi di fermo o ipoteca), conviene chiedere la sospensione. Come? Nel processo tributario, ex art. 47 D.Lgs.546/92, il contribuente può presentare un’istanza motivata di sospensione, dimostrando che l’esecuzione dell’atto impugnato gli causerebbe un danno grave e irreparabile e che il ricorso presenta fumus (motivi validi). Questa istanza può essere contenuta nel ricorso stesso (in un paragrafo apposito) oppure in un’istanza separata contestuale. La Corte tributaria fissa di solito un’udienza in tempi brevi (entro 30-40 giorni) per decidere sull’istanza cautelare. Se accoglie la richiesta, emette un’ordinanza di sospensione dell’esecuzione dell’intimazione fino alla decisione di merito. Se respinge, il contribuente può tentare reclamo in secondo grado contro il diniego, ma intanto AdER potrà procedere. Durante l’attesa, a volte AdER stessa sospende spontaneamente per 180 giorni su richiesta del contribuente, ma è discrezionale. Quindi, la via giudiziale è spesso necessaria in caso di urgenza. Esempio: Caio riceve intimazione di pagamento di €50.000 e sa che AdER potrebbe a breve pignorare sul conto. Caio fa ricorso eccependo prescrizione e contesta l’intimazione. Nel ricorso inserisce anche la domanda cautelare, allegando un estratto conto che mostra pochi soldi sul conto e sostenendo che il pignoramento gli bloccherebbe l’attività (danno grave). Il giudice fissa udienza e, se ritiene fondate le ragioni almeno prima facie, sospende l’efficacia dell’intimazione. L’effetto pratico è che AdER non potrà proseguire con l’esecuzione finché il ricorso non sarà deciso (in primo grado). Se il ricorso dura molto, dopo 6 mesi la sospensione va confermata pena decadenza, ma di solito le commissioni rinnovano finché necessario.
4.8 Processo e decisione – Dopo l’eventuale fase cautelare, si svolge il processo di merito. Le parti possono depositare memorie aggiuntive (il ricorrente di solito entro 30 giorni prima dell’udienza può replicare alle difese dell’ente, e 15 giorni prima per eventuali repliche brevi). Si terrà un’udienza pubblica, in cui raramente si discute molto oralmente, di solito la causa è “a decisione” sugli atti. La Corte di Giustizia Tributaria emetterà una sentenza. Possibili esiti:
- Accoglimento del ricorso: la sentenza accoglie in toto o in parte le richieste del contribuente. In tal caso, annulla l’intimazione di pagamento impugnata. Se l’annullamento è totale, il debito portato da quell’intimazione non è più riscuotibile; se è parziale (ad es. riconosce prescritti solo alcuni delle cartelle, o annulla sanzioni ma non imposta), l’intimazione rimane valida per la parte non annullata (in pratica, può capitare se l’intimazione cumulava vari ruoli e solo alcuni erano viziati). Quando si annulla l’intimazione, normalmente ciò travolge anche gli atti ad essa consequenziali (es. se nel frattempo era stato avviato un pignoramento sulla base di quell’intimazione, va caducato). Dal punto di vista del contribuente, un accoglimento significa vittoria: non deve pagare le somme contestate (o almeno ottiene lo stralcio parziale). Inoltre la Commissione in genere condanna l’ente alle spese di giudizio (salvo compensazione in caso di novità della questione o parti che vincono parzialmente). Esempio reale: Cassazione ha affermato che la mancata notifica delle cartelle rende invalida l’intimazione, quindi il giudice di merito che accerti ciò accoglie il ricorso. Oppure, se riconosce prescrizione, accoglie e annulla per quel motivo. L’effetto è liberatorio per il ricorrente.
- Rigetto del ricorso: la sentenza respinge le doglianze del contribuente e conferma la legittimità dell’intimazione. Ciò significa che, secondo i giudici, l’atto è valido: il debito va pagato. In tal caso, l’Agente della riscossione potrà riprendere o continuare le procedure esecutive (se erano sospese, la sospensione cade). Il contribuente soccombente può decidere se impugnare a sua volta la sentenza (appello) o trovare un accordo di pagamento. In caso di rigetto, di solito il giudice lo condanna a rifondere le spese legali all’ente (in misura generalmente attorno al 10-15% del valore del debito, salvo casi complessi). Tuttavia, se il ricorso non era palesemente infondato, talvolta le spese vengono compensate (ogni parte paga le proprie). Ad esempio, se il contribuente non è riuscito a provare un vizio di notifica o se il giudice ha ritenuto non maturata la prescrizione, rigetterà il ricorso e il debitore dovrà adempiere.
- Improcedibilità/Inammissibilità: il giudice potrebbe non entrare nel merito se ravvisa un vizio nel ricorso. Ad esempio, ricorso presentato fuori termine (inammissibile), oppure notificato a soggetto sbagliato, o mancata costituzione nei 30 gg (improcedibile). In questi casi la Corte con sentenza (o ordinanza) dichiara il ricorso inammissibile/improcedibile e il risultato pratico è che l’intimazione resta valida ed efficace. Si tratta di esiti formali dovuti a errori procedurali: ecco perché insisteremo sull’importanza di rispettare termini e forme. Anche qui, se ciò accade, il contribuente è di fatto sconfitto e soggetto alle spese (magari limitate). Esempio: contribuente che invece di ricorrere in Commissione presentò ricorso al TAR contro intimazione AdER – il TAR si dichiarerà difetto di giurisdizione, e intanto i 60 giorni saranno scaduti, precludendo un nuovo ricorso in Commissione: risultato, perdita di tutela. Oppure contribuente che fa ricorso 6 mesi dopo: inammissibile per tardività, come ricordato anche dalla giurisprudenza.
4.9 Impugnazioni successive – La parte che perde in primo grado (sia esso il contribuente o l’ente) può proporre appello alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado (ex Commissione Regionale) entro 60 giorni dalla notificazione della sentenza di primo grado. L’appello segue regole simili (va notificato controparte e depositato). La sentenza di appello a sua volta è impugnabile per Cassazione (entro 60 giorni dalla notifica, o 6 mesi se non notificata). Durante questi gradi, l’intimazione può rimanere sospesa se la sentenza di primo grado era a favore del contribuente (in genere AdER non esegue se ha perso, in attesa esito finale) o, se il contribuente ha perso ma ha appellato, può chiedere nuovamente sospensione in appello. Insomma, c’è ulteriore tutela ma col tempo i benefici di un ricorso possono attenuarsi per via degli interessi che maturano. Da notare: grazie alla riforma 2022, oggi le cause tributarie minori (fino a €3.000) si definiscono già in primo grado senza appello, mentre quelle di valore fino a €50.000 possono in appello rientrare in un rito semplificato. Ma per semplicità non entriamo in tali dettagli.
4.10 Costi e benefici – Il ricorso tributario comporta alcuni costi: il contributo unificato (esiguo se il valore non è alto), l’onorario del difensore (se ci si avvale) e l’eventuale rischio di spese di controparte se si perde. Prima di procedere è bene valutare l’entità del debito intimato. Se, ad esempio, si tratta di una piccola somma e non ci sono evidenti vizi, forse conviene pagare. Ma spesso l’intimazione contiene importi rilevanti (anche perché può essere l’accumulo di più cartelle e interessi). In tali casi il ricorso è uno strumento prezioso per far valere i propri diritti. “Agire nei tempi e nei modi corretti è l’unico modo per evitare gravi conseguenze”, come giustamente sottolineano gli esperti. Nel dubbio, è consigliabile almeno presentare istanza di sospensione all’Agente della riscossione (che dal 2022 ha l’obbligo di sospendere se l’ente creditore comunica che il debito è sgravato, ad esempio) oppure valutare soluzioni come la rateazione – ma ricordando l’effetto di riconoscimento del debito.
Riassumendo la procedura tributaria:
- Redigere il ricorso indicando atto impugnato, fatti e motivi (es. prescrizione, difetti di notifica, errori importo, ecc.).
- Notificarlo entro 60 giorni a AdER e ente creditore.
- Depositare entro 30 giorni dalla notifica in Corte tributaria competente.
- (Facoltativo) Chiedere sospensione dell’esecutività se necessario.
- Seguire il giudizio, partecipando all’udienza e depositando memorie se servono.
- Ottenere la sentenza: in caso di accoglimento, l’intimazione è annullata e il debito relativo non esigibile; in caso di rigetto, l’intimazione rimane valida (valutare appello).
- Eventuale appello o esecuzione della decisione.
Nel prossimo capitolo vedremo la procedura in ambito civile, ovvero come fare opposizione a un atto di precetto o intimazione di pagamento in contesto non tributario.
Procedura di ricorso in ambito Civile
In questa parte analizziamo come opporsi a un’intimazione di pagamento in sede civile, tipicamente un atto di precetto notificato da un creditore privato o da un ente per crediti non tributari. La procedura qui rientra nelle opposizioni all’esecuzione civile, disciplinate dal Codice di Procedura Civile, ed è diversa dal processo tributario: si svolge davanti al tribunale ordinario (o giudice di pace in taluni casi di valore modesto), con le forme del procedimento civile. Vedremo i due principali tipi di opposizione: l’opposizione all’esecuzione (art.615 c.p.c.) e l’opposizione agli atti esecutivi (art.617 c.p.c.), nonché peculiarità relative alle ingiunzioni fiscali equiparate ai titoli esecutivi.
5.1 Giudice competente e termini di proposizione – Quando si riceve un atto di precetto (o un’ingiunzione di pagamento ex RD 639/1910, come spiegato) e si intende far opposizione, occorre individuare il giudice competente:
- La regola generale (art.27 c.p.c.) vuole che per le opposizioni relative all’esecuzione forzata sia competente il giudice dell’esecuzione del luogo dove questa si svolge o si dovrà svolgere. In pratica, se il precetto preannuncia un pignoramento mobiliare o immobiliare, competente è il tribunale del luogo dove avverrà l’esecuzione (es.: per pignoramento immobiliare, il tribunale dove è situato l’immobile; per pignoramento presso terzi, il tribunale del luogo di residenza del terzo debitore). Se l’esecuzione non è iniziata ancora, spesso si individua come foro competente quello del luogo di residenza del debitore. In ogni caso, le opposizioni a precetto vanno in genere proposte innanzi al Tribunale civile in composizione monocratica (un solo giudice), poiché il valore è dato dall’importo del precetto ed è normalmente superiore alla competenza del giudice di pace (che è fino a €5.000 solo per materie di danaro non esenti; eccezione: se il precetto fosse inferiore a 5.000 € e originato da contratto semplice, potrebbe essere GP, ma è raro perché i titoli esecutivi di solito comportano competenza tribunale). Dunque, come regola pratica, si deposita l’opposizione in Tribunale.
- Opposizione ex art. 615 c.p.c. (all’esecuzione): se proposta prima dell’inizio dell’esecuzione, prende la forma di un atto di citazione introduttivo di un giudizio a cognizione piena. Il codice non fissa un termine perentorio in questo caso: in teoria il debitore potrebbe opporsi in qualsiasi momento prima che il pignoramento inizi. Tuttavia, aspettare è rischioso: se il creditore procede col pignoramento e notifica l’atto di pignoramento, da quel momento l’opposizione all’esecuzione va proposta non più con citazione ma con ricorso al giudice dell’esecuzione (nel processo esecutivo pendente). Inoltre, se si arriva al pignoramento senza aver opposto il precetto, certe eccezioni potrebbero considerarsi precluse. Pertanto, la prassi consiglia di agire rapidamente, preferibilmente entro lo stesso termine di 20 giorni del precetto o giù di lì, così da poter anche chiedere misure urgenti. Non c’è però un termine fisso: l’azione è esercitabile finché l’esecuzione non è conclusa. Ad esempio, un’eccezione di prescrizione del titolo potrebbe sollevarsi anche a pignoramento avvenuto (finché non si distribuiscono le somme). Ma, ripetiamo, agire prima è meglio.
- Opposizione ex art. 617 c.p.c. (agli atti esecutivi): qui invece il termine è preciso e breve – 20 giorni dalla notifica dell’atto che si contesta. Se si intende impugnare un vizio del precetto (atto di intimazione), l’atto va proposto entro 20 giorni dalla sua notifica. Questa opposizione si propone con atto di citazione se rivolta contro un atto precedente l’inizio dell’esecuzione (come il precetto stesso) oppure con ricorso al giudice dell’esecuzione se l’atto viziato è successivo (es.: un pignoramento). Dunque, per un vizio formale del precetto, si dovrà notificare entro 20 giorni dall’avvenuta notifica del precetto un atto di citazione all’indirizzo del creditore procedente, citandolo davanti al tribunale competente.
- Opposizione a ingiunzione fiscale (art.32 D.Lgs.150/2011): Come visto nel Capitolo 2, questa opposizione segue il rito ordinario senza termine perentorio breve. Quindi, è assimilabile a una opposizione all’esecuzione (si contesta il diritto dell’ente a esigere), da farsi con citazione al tribunale del luogo dell’ente. La competenza è in base alla sede dell’ente che ha emesso l’ingiunzione. Non c’è un termine di 30 giorni; tuttavia se l’ingiunzione è già stata notificata da molto, bisogna stare attenti alla prescrizione: l’art.32 consente di opporsi entro la prescrizione del credito, quindi se un Comune notifica un’ingiunzione TARI e il contribuente attende 6 anni, rischia che il credito sia prescritto e quindi tanto l’ingiunzione quanto la possibilità di opposizione. In pratica, conviene comunque muoversi entro 30 o 40 giorni, analogamente alle altre opposizioni, anche per chiedere la sospensione (vedi oltre). Quindi possiamo dire che nel dubbio…(continua)
5.2 Procedura di opposizione: atti introduttivi e sospensione – L’opposizione a un precetto si propone, prima dell’inizio dell’esecuzione, con un atto di citazione da notificare al creditore procedente. Questo atto deve essere indirizzato al Tribunale competente e contenere: le generalità dell’opponente (debitore) e dell’opposto (creditore che ha intimato il precetto), l’indicazione dell’atto impugnato (precetto notificato il…, numero di repertorio se indicato, importo intimato, titolo esecutivo su cui si fonda), i motivi dell’opposizione (esporre in paragrafi separati perché non si ritiene dovuto quanto intimato: ad esempio “1) Intervenuto pagamento in data …”; “2) Prescrizione del credito per decorso oltre 10 anni dal titolo esecutivo…”; “3) Nullità del precetto per omessa indicazione del titolo…”), e le conclusioni (la richiesta al giudice, ad esempio: “dichiarare non dovuta la somma intimata e quindi inefficace/nullo il precetto, con condanna alle spese”). Va inserita la data di udienza di comparizione (che, ex art. 163bis c.p.c., deve tenere conto di un termine di citazione di almeno 90 giorni liberi, o 150 se il convenuto risiede all’estero; nei casi urgenti il giudice può autorizzare abbreviazioni). In pratica, l’opponente, dopo aver notificato l’atto di citazione al creditore (a mezzo ufficiale giudiziario o PEC se possibile), lo iscriverà a ruolo depositandolo in tribunale. Da quel momento si apre un procedimento civile ordinario.
Se l’opposizione è proposta dopo che il pignoramento è già iniziato, allora l’atto introduttivo è un ricorso al giudice dell’esecuzione (lo stesso del pignoramento) da presentare nel fascicolo dell’esecuzione; il giudice fisserà un’udienza ad hoc. Spesso, però, per contestare un precetto non conviene attendere il pignoramento: oltre a evitare misure immediate, così si ha la possibilità di chiedere subito la sospensione dell’efficacia esecutiva del precetto. Infatti, contestualmente all’opposizione (sia 615 che 617 c.p.c.), il debitore può presentare un’istanza al Presidente del Tribunale o al Giudice designato per ottenere un provvedimento di sospensione urgente, in base all’art. 624 c.p.c. (opposizione all’esecuzione) o art. 649 c.p.c. (se fosse un decreto ingiuntivo non opposto, ma siamo oltre il nostro caso) o art. 615 comma 2 (il giudice può sospendere l’esecuzione su istanza e con ordinanza motivata). Il debitore dovrà dimostrare il periculum in mora (cioè il rischio di danno grave e irreparabile se l’esecuzione prosegue, ad es. pignoramento di beni essenziali) e il fumus boni iuris (cioè che l’opposizione non è pretestuosa ma ha serie possibilità di successo). Se il giudice accorda la sospensione, il creditore non potrà procedere ad atti esecutivi (o dovrà fermarli, se già iniziati) fino alla decisione finale. La sospensione viene spesso decisa in tempi rapidi, con decreto o ordinanza, dopo una breve comparizione delle parti.
5.3 Fase decisoria e esiti dell’opposizione civile – L’opposizione a precetto (615 pre-esecutiva) viene trattata come una causa civile ordinaria di cognizione. Ci sarà uno scambio di memorie (comparsa di risposta del creditore opposto, eventuali memorie istruttorie) e un’istruttoria se servono prove (di solito documentali; raramente testimonianze, ma possibili se ad esempio si discute di notifiche o accordi verbali di saldo). Dopo la fase istruttoria, il giudice fisserà l’udienza di precisazione delle conclusioni e quindi emetterà la sentenza. Gli esiti possibili sono:
- Accoglimento dell’opposizione: il Tribunale dà ragione al debitore. Ad esempio, dichiara che il credito era estinto o prescritto, o che il precetto è nullo per vizi, e conseguentemente annulla il precetto impugnato (o dichiara non dovuta la somma). In sostanza, viene inibita l’esecuzione forzata per quella pretesa. Se nel frattempo c’era un pignoramento sospeso, esso verrà estinto. Il creditore generalmente viene condannato a pagare le spese legali dell’opponente.
- Rigetto dell’opposizione: il giudice respinge i motivi del debitore, ritenendo valido il precetto. In questo caso l’atto di precetto conserva la sua efficacia e il creditore può procedere oltre (se l’esecuzione era sospesa, può ripartire). Il debitore opponente viene di regola condannato alle spese, dovendo pagare le spese legali sostenute dal creditore opposto.
- Opposizione parzialmente accolta: il giudice potrebbe ad esempio rilevare che una parte dell’importo non era dovuta (magari gli interessi oltre un certo limite, o una partita già prescritta) – in tal caso dichiara il precetto parzialmente nullo o ridetermina la somma dovuta. Il precetto rimane valido per la parte restante. Spese eventualmente compensate o ripartite in proporzione.
- Inammissibilità per tardività: ciò può avvenire soprattutto per l’opposizione agli atti ex art.617 c.p.c., se il debitore ha sforato il termine di 20 giorni. Ad esempio, se un vizio formale del precetto viene eccepito con citazione notificata oltre il ventesimo giorno dalla notifica del precetto, il giudice dichiarerà l’opposizione irricevibile/inammissibile. L’effetto è come un rigetto sul merito, ma motivato da ragioni procedurali: il precetto resta efficace. Anche qui, possibile condanna alle spese. (Una situazione simile nel tributario sarebbe il ricorso oltre 60 giorni, analogamente inammissibile).
Contro la sentenza che definisce l’opposizione, la parte soccombente può proporre appello presso la Corte d’Appello competente (entro 30 giorni dalla notifica della sentenza, o 6 mesi se non notificata). L’appello non sospende automaticamente l’efficacia esecutiva della sentenza di primo grado; quindi, se il debitore ha perso, il creditore può subito riprendere l’azione esecutiva, a meno che il debitore non ottenga in appello (o in Cassazione) una sospensione della provvisoria esecuzione. Dopo l’appello, sarà eventualmente possibile il ricorso per Cassazione sui soli motivi di legittimità.
Va ricordato che le opposizioni all’esecuzione in base all’art.615 c.p.c. sono ammesse, nel campo tributario, solo dopo la notifica di cartella o intimazione, per questioni successive (grazie alla pronuncia della Corte Cost. 114/2018). Quindi, se un contribuente non ha impugnato in Commissione un’intimazione AdER e subisce un pignoramento, oggi può comunque rivolgersi al giudice dell’esecuzione civile per eccepire ad esempio la pignorabilità dei beni o fatti estintivi avvenuti dopo l’intimazione (pagamenti, transazioni, ecc.). Ma non potrà rimettere in gioco aspetti anteriori che doveva far valere in sede tributaria. Questa separazione è delicata: Cassazione e Corte Cost. hanno tracciato una linea, come già visto, per cui si evita che il giudizio civile diventi un “secondo round” sul merito del tributo.
5.4 Opposizione a ingiunzione fiscale (entrate enti pubblici) – Un caso particolare di ambito civile-amministrativo è l’opposizione all’ingiunzione prevista dal R.D. 639/1910 (trattata dall’art. 32 D.Lgs.150/2011). In questo scenario, l’ente pubblico notifica un’ingiunzione di pagamento immediatamente esecutiva. Il debitore ha facoltà di opporsi con atto di citazione in Tribunale (rito ordinario) senza il vincolo dei 30 giorni, anche se – come detto – è buona prassi agire prontamente per chiedere eventualmente la sospensione dell’ingiunzione. L’atto di citazione sarà simile a quello per il precetto: si indica l’ingiunzione impugnata e i motivi (es.: “il credito del Comune è prescritto”, “non mi è mai stato notificato l’atto presupposto”, “erronea quantificazione”, ecc.). Il giudice competente è quello del luogo in cui ha sede l’ente che ha emesso l’ingiunzione. Il processo segue le forme ordinarie: eventuale istruttoria e sentenza. L’esecuzione dell’ingiunzione può essere sospesa ex art. 615 c.p.c. (applicabile per analogia, come da orientamento ormai consolidato, visto che è un titolo esecutivo come gli altri). La sentenza potrà confermare l’ingiunzione (rigettando l’opposizione) oppure annullarla in tutto o in parte. Contro la sentenza c’è appello in Corte d’Appello. Importante: se l’ingiunzione riguarda un tributo locale e il contribuente solleva contestazioni sul merito del tributo (es. “non dovevo pagare TARI perché…”), alcune pronunce (Cass. SS.UU. n.8770/2020) sostengono che la giurisdizione resti tributaria. In pratica, il contribuente potrebbe aver dovuto impugnare l’atto impositivo (es. avviso di accertamento TARI) in Commissione tributaria nei termini. Se ciò non è avvenuto, l’ingiunzione diventa definitiva come una cartella. L’opposizione in tribunale potrà far valere solo vizi formali dell’ingiunzione o fatti successivi (pagamenti, prescrizioni sopravvenute). Dunque, anche qui, l’ambito di tutela civile è limitato rispetto a quello tributario.
5.5 Costi e note finali sul ricorso civile – L’opposizione civile comporta il pagamento del contributo unificato (che dipende dal valore del precetto/ingiunzione: ad esempio, per importi fino a €5.200 è €168, fino a €26.000 è €237, e così via, salvo esenzioni se relative a lavoro o previdenza). Inoltre, se ci si avvale di un avvocato (di fatto necessario in Tribunale, salvo rarissimi casi in cui il valore sia sotto €1.100 per poter stare da soli, ma praticamente mai in queste materie), ci saranno spese legali. In caso di esito negativo, come visto, si rischia la condanna a rifondere anche le spese dell’altra parte. Tuttavia, il beneficio di evitare un pignoramento ingiusto o somme non dovute di solito supera i costi, soprattutto su importi elevati. L’importante è agire con cognizione di causa: se le ragioni di opposizione sono deboli (es. voler solo prendere tempo senza veri motivi), il rischio è di dover poi pagare anche ulteriori oneri.
6. Procedura di ricorso in ambito amministrativo (sanzioni e altri atti)
In ambito strettamente amministrativo, come già accennato, la possibilità di ricorrere contro un’intimazione di pagamento è limitata, perché di norma l’intimazione è parte della fase esecutiva, mentre la fase di accertamento dell’obbligo di pagare si è conclusa con un atto amministrativo definitivo. Ricapitoliamo i casi principali e le relative procedure:
- Sanzioni amministrative (multe stradali e simili): Se una multa diventa definitiva (perché non è stato presentato ricorso al Prefetto o al Giudice di Pace entro i termini, oppure perché il Prefetto ha emesso ordinanza-ingiunzione e non è stata opposta entro 30 giorni), la riscossione coattiva avviene tramite cartella esattoriale o ingiunzione. Come visto, qualsiasi intimazione successiva è considerata atto meramente esecutivo. L’unica finestra di opportunità per far valere ragioni sostanziali (es. che la multa era viziata o non notificata) è riaperta solo se il destinatario prova di non aver mai avuto effettiva conoscenza della sanzione in tempo utile. In tali circostanze, la giurisprudenza – ad es. Cass. SS.UU. n.22080/2017 – ha stabilito che il soggetto deve attivarsi entro 30 giorni dalla prima comunicazione utile (che può essere la notifica della cartella esattoriale) per proporre un’opposizione “tardiva” al verbale/ordinanza innanzi al Giudice di Pace. Si tratta di una sorta di reclamo in cui si deduce la nullità della notifica originaria e contestualmente si fa valere l’illegittimità della sanzione. Se sono decorsi più di 30 giorni da quando si è avuta conoscenza (ad es. si riceve la cartella e si lascia passare mesi), non c’è più tutela: l’intimazione di pagamento non potrà essere annullata per motivi di merito. Quindi, in ambito di multe, non esiste un “ricorso contro l’intimazione” specifico, ma occorre considerare l’intimazione stessa come la notifica tardiva dell’ordinanza, e opporsi ad essa come fosse l’ordinanza entro 30 giorni, come ricordato anche da TAR e Cassazione. La procedura è quella dell’art. 6 D.Lgs.150/2011 (opposizione a ordinanza-ingiunzione) dinanzi al Giudice di Pace (di solito competente per le sanzioni del CdS). Si propone con ricorso depositato in cancelleria GdP entro 30 giorni dalla notifica della cartella/intimazione, esponendo i motivi (nullità notifica originaria, invalidità del verbale, etc.). Il giudice, se accoglie, annulla la sanzione e gli atti esecutivi conseguenti; se rigetta, la sanzione resta dovuta. Oltre questo caso, l’intimazione per multa può essere impugnata solo per vizi formali (ad es. intimazione arrivata quando la sanzione è già prescritta – 5 anni dopo l’ultima notifica valida). In tal caso si potrebbe proporre un’opposizione ex art.615 c.p.c. al giudice dell’esecuzione (Tribunale) per far dichiarare prescritta la sanzione e inefficace la cartella/intimazione. In effetti, Cass. civ. n. 3645/2021 ha ammesso che il giudice ordinario possa dichiarare estinto un credito da sanzione amministrativa se la P.A. ha lasciato decorrere il termine di prescrizione dopo il titolo definitivo. Dunque, ad esempio, se il Comune notifica un’intimazione per multa 6 anni dopo la precedente cartella, il debitore può ricorrere al Giudice di Pace (se entro 30 gg) o al Tribunale in opposizione all’esecuzione, invocando la prescrizione quinquennale.
- Atti amministrativi diversi (ingiunzioni, ordini di pagamento): Se l’intimazione di pagamento è essa stessa un provvedimento amministrativo (ad es. una lettera di un ente che chiede la restituzione di un finanziamento pubblico entro X giorni, minacciando in difetto l’iscrizione a ruolo o altre conseguenze), allora non siamo propriamente nella fase esecutiva ma ancora in una fase di accertamento amministrativo. In tal caso l’atto può essere impugnato con ricorso al TAR competente entro 60 giorni dalla notifica, come qualsiasi provvedimento amministrativo, per motivi di legittimità (vizi di legge, difetto di motivazione, ecc.). Ad esempio, se una Regione invia a un’azienda un’intimazione a restituire un contributo ritenuto indebito, l’azienda può fare ricorso amministrativo al TAR regionale contestando quella decisione (che di fatto ha valore di ordinanza ingiunzione amministrativa). Questa però è materia specifica, non rientrante nella riscossione ex DPR 602/73 o RD 639/1910. La competenza in questi casi spetta al giudice amministrativo perché si contesta l’an della pretesa in un rapporto pubblicistico. Se invece si contestano solo modalità di riscossione (es.: l’ente minaccia di escutere una polizza o di revocare licenze se non paghi), si è sul crinale tra esecuzione e provvedimento, e la tutela può essere fornita dal giudice amministrativo (con ricorso urgente ex art. 700 c.p.c. al giudice ordinario se trattasi di diritti, o ricorso cautelare al TAR se prevale l’aspetto autoritativo).
Riassumendo, nel campo amministrativo la chiave è non far diventare definitivo l’accertamento: altrimenti, le chance di successo contro un’intimazione successiva si riducono al minimo (solo vizi formali o prescrizioni). Questo capitolo evidenzia l’importanza di muoversi per tempo già contro gli atti originari. Nei capitoli seguenti proponiamo alcuni modelli pratici di ricorso/opposizione e delle simulazioni di casi concreti, per illustrare come tali principi si applicano nella realtà.
Modelli pratici di ricorso/opposizione
Di seguito presentiamo degli schemi semplificati (fac-simile) di atti di ricorso, utili come traccia per orientarsi nella redazione. Attenzione: si tratta di modelli generali, che vanno sempre adattati al caso specifico e redatti preferibilmente con l’aiuto di un professionista.
7.1 Fac-simile di Ricorso Tributario avverso Intimazione di Pagamento (Corte Giustizia Tributaria)
Ricorso dinanzi alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di … (competente per territorio)
Ricorrente: [Nome e Cognome], C.F. […], residente in […], elettivamente domiciliato in […], rappresentato e difeso dall’Avv. XY (C.F….), del Foro di …, come da procura in calce;
Resistenti:
1) Agenzia delle Entrate-Riscossione, in persona del legale rappresentante pro tempore, sede legale in Roma, Via … (CF …);
2) [Ente impositore] (es.: Comune di … / Agenzia delle Entrate – Ufficio di … / INPS – Sede di …), in persona del legale rapp. p.t., con sede in …;
Oggetto: Impugnazione di intimazione di pagamento n. … notificata in data …, emessa da Agenzia Entrate-Riscossione per conto di [Ente impositore] – Importo intimato € …
Fatti:
– In data … il ricorrente riceveva la notificazione dell’intimazione di pagamento indicata in oggetto, con cui AdER richiede il pagamento di €… relativo a [descrivere brevemente origine del debito: es. “cartella n… per IRPEF anno…, sanzioni amministrative …, ecc.”].
– Il ricorrente ritiene tale atto illegittimo per i motivi di seguito esposti.
Motivi di ricorso:
1. Intervenuta prescrizione del credito – L’intimazione impugnata è illegittima poiché il credito ivi indicato risulta prescritto. In particolare, dal momento della notifica della cartella (o altro atto) cui l’intimazione si riferisce (notifica avvenuta il …) sono decorsi oltre … anni senza atti interruttivi. Ai sensi dell’art. 2946 c.c. (o art. … c.c. se prescrizione breve) il diritto di procedere alla riscossione coattiva era dunque estinto. Si cita Cass. civ. …:contentReference[oaicite:87]{index=87}, secondo cui l’omessa impugnazione della cartella non comporta la conversione del termine di prescrizione breve in decennale ex art.2953 c.c.; nel caso di specie il tributo (…)/la sanzione si prescrive in … anni, termine ampiamente decorso.
2. Omessa notifica delle cartelle presupposte – L’atto impugnato difetta dei suoi presupposti legittimi, non risultando mai notificata al ricorrente la cartella di pagamento (o l’accertamento esecutivo) cui esso si riferisce. Il ricorrente non ha mai ricevuto la cartella n… menzionata nell’intimazione; ne ha avuto conoscenza solo attraverso l’estratto di ruolo richiesto in data … (doc. …). Pertanto l’intimazione è nulla per mancanza dell’atto presupposto regolarmente notificato:contentReference[oaicite:88]{index=88}. Sul punto, la Corte di Cassazione ha affermato che la mancata notificazione della cartella rende nulla l’intimazione successiva (Cass. …).
3. Vizio di motivazione – L’intimazione impugnata viola l’art. 3 L.241/1990 e l’art.7 L.212/2000 in quanto non indica con sufficiente chiarezza l’origine delle somme pretese. Manca il riferimento dettagliato agli atti precedenti: ciò impedisce al contribuente di comprendere la pretesa e difendersi adeguatamente. (Eventuale)
(Altri motivi secondo il caso concreto: es. pagamento già effettuato e non risultante, sgravio deliberato dall’ente ma non recepito, vizio di notifica dell’intimazione stessa, ecc.)
Richiesta (Conclusioni):
Alla luce di quanto esposto, il Sig. …, ricorrente, chiede che la Corte di Giustizia Tributaria voglia:
- accogliere il ricorso e per l’effetto annullare l’intimazione di pagamento n. … notificata il …, con conseguente annullamento di ogni atto successivo e/o presupposto ad essa relativo, perché illegittima;
- con vittoria di spese di giudizio a carico delle parti resistenti.
(Eventuale istanza di sospensione: considerata la gravità e irreparabilità del danno derivante dall’esecuzione forzata – AdER ha già preannunciato azioni esecutive e iscrizione di fermo amministrativo sull’auto del ricorrente, fonte di danno professionale – si chiede la sospensione ex art.47 D.Lgs.546/92 dell’atto impugnato).
Luogo e data, Firma digitale/firmata Avv. XY
Note: il ricorso va notificato entro 60 giorni dall’intimazione a AdER e all’ente impositore, poi depositato in Corte entro 30 giorni. I motivi sopra sono esemplificativi: vanno adattati (ad es. se trattasi di contributi INPS, prescrizione 5 anni ex L.335/1995, ecc.). L’istanza di sospensione va motivata e corredata da prove del pregiudizio (es. documenti su beni pignorabili). In sede di discussione, il ricorrente potrà allegare giurisprudenza a sostegno (come quella citata nelle note).
7.2 Fac-simile di Atto di citazione in opposizione a precetto (Tribunale civile)
TRIBUNALE ORDINARIO di …
Atto di citazione in opposizione a precetto ex art. 615 c.p.c.
Opponente: [Nome Opponente], C.F. […], residente in […], elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. … (C.F….), che lo rappresenta e difende in virtù di procura in calce;
Opposto: [Nome del Creditore procedente], C.F./P.IVA […], con sede/residenza in […];
Fatto e svolgimento: Il giorno … è stato notificato all’opponente un atto di precetto (prot./n. …) ad istanza di [Creditore] per la somma di €…, fondato sulla sentenza/decreto ingiuntivo/atto notarile… n. … del …. L’opponente contesta tale intimazione di pagamento per le ragioni di seguito esposte.
Motivi dell’opposizione:
1. Inesistenza del diritto di credito per intervenuto pagamento: l’importo preteso con il precetto risulta già pagato (o non dovuto) dall’opponente. In data … l’opponente ha versato a [creditore] l’importo di €… (si allega copia della ricevuta – doc.1), soddisfacendo integralmente il debito di cui al titolo esecutivo. Pertanto il precetto è stato emesso in violazione dell’art. 480 c.p.c. e dell’art. 474 c.p.c., mancando un credito esigibile.
2. Nullità del precetto per vizi formali: l’atto di precetto notificato il … è privo degli elementi essenziali richiesti dall’art. 480 c.p.c., in quanto non specifica il titolo esecutivo con sufficiente chiarezza (manca data e numero della sentenza) e non contiene l’elezione di domicilio del creditore procedente. Tale omissione lo rende nullo:contentReference[oaicite:90]{index=90}. (oppure: il precetto è stato notificato senza il rispetto del termine di 10 giorni tra notifica del titolo e precetto, etc., a seconda del caso).
3. Prescrizione del credito: in ogni caso, il diritto di procedere esecutivamente è prescritto. Il titolo esecutivo (sentenza…) risale al …; da allora sono decorsi oltre 10 anni senza atti interruttivi. Ai sensi dell’art. 2953 c.c./2946 c.c., il credito non è più esigibile. L’azione esecutiva intrapresa con il precetto è quindi impropria.
Istanza cautelare: Visto il pericolo che, nelle more del giudizio, il creditore proceda ad esecuzione forzata (ha già preannunciato pignoramento), si chiede ex art. 615, comma 1 e 2 c.p.c., la sospensione dell’efficacia esecutiva del precetto impugnato sino alla definizione del presente giudizio, ricorrendo gravi motivi (il credito è già stato pagato, come comprovato; l’esecuzione causerebbe altrimenti grave danno).
Concludendo, l’opponente chiede che l’Ill.mo Tribunale voglia:
- dichiarare nullo e/o annullare il precetto notificato in data … a istanza di [creditore] per €… per i motivi esposti;
- in subordine, dichiarare che nulla è dovuto dall’opponente a detto titolo e vietare alla parte opposta di procedere esecutivamente;
- con vittoria di spese di lite.
Si indica quale indirizzo PEC per le comunicazioni …; il valore della causa è di €… (rif. importo precetto).
Citazione delle parti: si invita la parte opposta a comparire all’udienza del … (data entro 90 gg) dinanzi al Tribunale di …, con avvertenza delle decadenze ex art. 167 c.p.c. in caso di mancata costituzione.
Luogo, data.
Avv. …
Note: L’atto va notificato al creditore secondo le forme ordinarie (ufficiale giudiziario o PEC se abilitata) entro 20 giorni se si fanno valere vizi formali (art.617 c.p.c.); per motivi sostanziali (art.615) non c’è un termine fisso, ma conviene comunque agire entro 20-40 giorni al massimo. La comparsa di risposta del creditore avrà le sue eccezioni (es. contesterà l’avvenuto pagamento). La richiesta di sospensione va corroborata da documenti (es. quietanza di pagamento già allegata). Il giudice può emanare un’ordinanza di sospensione abbastanza rapidamente, anche inaudita altera parte in casi urgenti.
7.3 Schema di opposizione a sanzione amministrativa (multa) dopo intimazione
(Ricorso ex art. 6 D.Lgs. 150/2011 – Giudice di Pace)
GIUDICE DI PACE di …
Ricorso in opposizione a ordinanza-ingiunzione (art. 6 D.Lgs.150/2011) – (multa CdS)
Ricorrente: [Nome], nato a … il …, residente in …, C.F. …;
Resistente: Prefettura di … / Comune di … (ente che ha emesso l’ordinanza-ingiunzione), in persona del Prefetto/Sindaco p.t., con sede in …;
Oggetto: Opposizione avverso ordinanza-ingiunzione n… del … relativa al verbale di infrazione n… (multa stradale) – Cartella di pagamento n… di €… notificata il … – Istanza di rimessione in termini.
Fatti: Il ricorrente premette che in data … ha ricevuto la notifica di una cartella di pagamento (o intimazione) per €…, riferita a sanzione amministrativa (verbale n… elevato dalla Polizia … il …, per violazione art. … CdS). Il ricorrente non ha mai ricevuto in precedenza né il verbale né la successiva ordinanza-ingiunzione prefettizia. La cartella è stato il primo atto attraverso cui ha avuto conoscenza della sanzione.
Motivi:
1. Nullità della notifica del verbale e dell’ordinanza: La notifica originaria del verbale di multa risulta omessa o nulla. Infatti, dalla copia della cartella (all. doc…) si evince che il verbale n… sarebbe stato notificato il … ad un indirizzo in cui il ricorrente non risiedeva (o non è mai stata ricevuta alcuna notifica, come da visura anagrafica allegata). Pertanto, ai sensi dell’art. 201 CdS e art. 14 L.689/81, la notifica non ha prodotto effetto e il procedimento sanzionatorio doveva dichiararsi estinto. L’ordinanza-ingiunzione emessa dal Prefetto in data … (all. doc…) è a sua volta nulla in quanto adottata senza che il ricorrente abbia mai avuto conoscenza della contestazione, in violazione del diritto di difesa (art. 24 Cost.).
2. Illegittimità nel merito della sanzione: In ogni caso, il verbale è infondato: il ricorrente non ha commesso l’infrazione contestata (esporre circostanze: non era presente sul luogo, veicolo venduto in data precedente, ecc.). Tali circostanze non poterono essere fatte valere tempestivamente per cause non imputabili al ricorrente (mancata notifica).
3. Prescrizione del diritto alla riscossione: Inoltre, dal giorno dell’asserita infrazione (…/…) sono trascorsi oltre 5 anni senza atti interruttivi validi, sicché il diritto a riscuotere la sanzione risulta prescritto ex art. 28 L.689/81. L’intimazione odierna (cartella …) è stata notificata solo il …, quindi oltre il quinquennio. Ciò costituisce ulteriore motivo di annullamento:contentReference[oaicite:92]{index=92}.
Istanza: Si chiede, ai sensi dell’art. 6 co.6 D.Lgs.150/2011, la rimessione in termini del ricorrente, stante la mancata conoscenza degli atti per causa a sé non imputabile (notifica postale nulla), e quindi l’ammissione dell’odierna opposizione sebbene decorrente da atto esecutivo notificato (cartella).
Richiesta: Il ricorrente conclude chiedendo che il Giudice di Pace voglia:
- annullare il verbale n… e conseguentemente l’ordinanza-ingiunzione n… del Prefetto di …, con conseguente annullamento della cartella di pagamento n… notificata il …, perché illegittimi per i motivi esposti;
- in subordine, dichiarare non dovuta la somma richiesta per intervenuta prescrizione;
- con integrale compensazione delle spese (trattandosi di P.A.).
Si allegano: copia cartella, visura anagrafica, eventuale copia verbale se disponibile, ecc.
Luogo, data, firma ricorrente (o avvocato se nominato).
Note: In opposizione a sanzione davanti al Giudice di Pace, non vige l’obbligo di difensore (ammesso stare in giudizio personalmente), ma è comunque consigliato. Il termine ordinario è 30 giorni dalla notifica dell’ordinanza; qui il ricorso parte dalla cartella perché il verbale/ordinanza non era noto: va quindi motivata la rimessione in termini. Le argomentazioni mescolano vizi formali (notifica nulla) e merito (contestazione infrazione) per fornire al giudice tutti gli elementi. Se la notifica originaria era davvero nulla, il giudice accoglierà l’opposizione (caducando anche la cartella, in quanto atto consequenziale).
Questi modelli coprono i casi più comuni: ricorso tributario, opposizione a precetto, opposizione a multa. Ogni caso reale richiede adeguamenti: ad esempio, per l’INPS l’opposizione al suo avviso di addebito va proposta al Tribunale (sez. Lavoro) entro 40 giorni con rito del lavoro; il ricorso sarà simile a un 615 c.p.c., ma depositato come ricorso al tribunale del lavoro.
Simulazioni di casi pratici
Di seguito presentiamo tre scenari verosimili che mostrano l’esito diverso di un ricorso/opposizione contro intimazione di pagamento: accoglimento, rigetto o inammissibilità. Queste simulazioni aiutano a capire come le regole si applicano concretamente.
Caso 1 – Ricorso accolto (prescrizione del debito tributario)
Situazione: La società Alfa Srl riceve nel gennaio 2025 un’intimazione di pagamento da Agenzia Entrate-Riscossione per €50.000, riferita a una cartella IVA anno 2013 notificata (a una sede ormai chiusa) nel 2014. La società, esaminando i documenti, rileva che dopo il 2014 non ha mai ricevuto ulteriori atti. Nel 2025 quell’IVA sarebbe prescritta (termine 10 anni) se nessun atto interruttivo è valido. Alfa Srl presenta ricorso alla Corte tributaria eccependo la prescrizione decennale e anche la nullità della notifica originaria (poiché la cartella del 2014 fu spedita a un indirizzo errato e andò irreperibile). Chiede anche sospensione, dato che l’Agente minaccia ipoteca sugli immobili.
Esito: La Corte di Giustizia Tributaria di primo grado, dopo aver sospeso l’esecuzione, discute il merito. Vengono prodotti dall’azienda un estratto di ruolo e visura camerale attestante che nel 2014 la società aveva sede diversa. L’AdER non riesce a dimostrare una notifica regolare (manca la ricevuta, c’è solo un CAD di irreperibilità relativa). La Corte accoglie il ricorso: nella sentenza dichiara che l’intimazione di pagamento è nulla in quanto la cartella presupposta non risulta notificata (vizio procedimentale) e, comunque, il credito IVA è prescritto alla data dell’intimazione (oltre 10 anni dal termine di pagamento 2013). Dunque annulla l’intimazione. Effetto: i €50.000 non sono più esigibili; l’Agente deve rinunciare all’esecuzione. Le spese di lite (€1.500) sono poste a carico dell’AdER e dell’Agenzia Entrate (ente impositore), che non avevano accolto in autotutela l’eccezione di prescrizione. Nota: In questo caso, se anche la società non avesse eccepito la nullità di notifica, la sola prescrizione maturata sarebbe bastata. La Cassazione ha più volte ribadito che il mancato ricorso contro la cartella non trasforma i 5 anni in 10 ex art.2953 c.c., quindi il termine restava 5 anni per IVA (essendo imposta erariale in realtà 10 ex legge, ma qui comunque superati). Questa sentenza si fonda su orientamenti consolidati e tutela il contribuente diligente che ha sollevato subito l’eccezione.
Caso 2 – Ricorso/opposizione rigettato (validità dell’intimazione)
Situazione: Il sig. Mario Rossi riceve un’intimazione di pagamento da Agenzia Entrate-Riscossione per €3.000, relativa a tre multe stradali non pagate del 2019. Egli sostiene di non aver mai avuto quei verbali, e propone ricorso al Giudice di Pace 40 giorni dopo la notifica dell’intimazione, invocando notifica nulla delle multe. Nel frattempo, però, verifica presso il Comune che i verbali erano stati notificati correttamente via PEC (Rossi aveva un domicilio digitale attivo). In udienza, emergono due fatti: (1) Rossi aveva una PEC registrata ma non la controllava, e lì sono stati notificati i verbali (il Comune esibisce le ricevute di consegna); (2) Rossi ha presentato il ricorso oltre i 30 giorni dalla notifica della cartella/intimazione.
Esito: Il Giudice di Pace rigetta l’opposizione. In sentenza rileva che la notifica via PEC è valida e conforme a legge, dunque i verbali sono divenuti definitivi; inoltre il ricorso è tardivo (andava proposto entro 30 gg). Poiché l’opponente non ha addotto motivi di merito (se non generiche contestazioni di non aver visto la multa), e la tardività preclude ogni esame ulteriore, il giudice conferma la legittimità della riscossione. L’intimazione resta valida e Rossi dovrà pagare i €3.000. Viene condannato a rifondere le spese di lite forfettarie al Comune (€300). Commento: Rossi ha avuto un esito sfavorevole perché la sua eccezione di notifica nulla era infondata (la PEC è una modalità legittima, equiparata alla notifica postale tradizionale). Inoltre, il ricorso fu tardivo – il giudice, pur potendolo respingere solo per tardività, ha voluto sottolineare anche il merito sfavorevole (notifica valida). Questo caso mostra che presentare ricorso senza verificare bene i fatti e fuori termine porta alla sconfitta. Se Rossi avesse contestato entro 30 giorni magari avrebbe almeno evitato l’inammissibilità, ma comunque sul merito avrebbe perso. Il risultato è che l’esecuzione (fermo auto annunciato) potrà procedere.
Caso 3 – Ricorso dichiarato inammissibile (errore di giurisdizione e decadenza)
Situazione: La ditta Beta snc riceve un’intimazione per TARI (tassa rifiuti) non pagata, €5.500, dal Comune. Invece di rivolgersi alla giustizia tributaria, la ditta – erroneamente convinta sia un atto amministrativo – propone ricorso al TAR regionale dopo 90 giorni, lamentando difetti di motivazione e chiedendo annullamento dell’intimazione. Il TAR, esaminando il ricorso, rileva che trattasi di materia tributaria (TARI è tributo locale) e che comunque il ricorso sarebbe oltre i termini (60 gg per atti amministrativi).
Esito: Il TAR emette una sentenza con cui dichiara il ricorso inammissibile per difetto di giurisdizione (la controversia è tributaria e andava proposta al giudice tributario). Anche se volesse trasmettere gli atti al giudice competente, rileverebbe che il ricorso è stato notificato oltre 60 giorni dalla notifica dell’intimazione, quindi comunque fuori termine per un ricorso tributario (che era 60 gg) e pertanto irricevibile. La ditta Beta si ritrova così senza più strumenti: non può ripresentare ricorso in Commissione perché il termine è scaduto; l’intimazione diviene definitiva. Il Comune procederà con l’esecuzione (pignoramento conto corrente). Le spese processuali vengono poste a carico di Beta (€500) per aver attivato un giudice non competente. Commento: Questo scenario evidenzia l’importanza di individuare il giusto giudice e rispettare i termini. Un ricorso al foro sbagliato non interrompe i termini per quello corretto; quando il TAR dichiara difetto di giurisdizione, il tempo è ormai trascorso. Situazioni analoghe sono accadute quando contribuenti hanno fatto opposizione al giudice ordinario mentre serviva il giudice tributario, o viceversa. La recente giurisprudenza cerca di definire confini netti: atti come l’intimazione per tributi devono essere impugnati entro 60 gg in Commissione, pena decadenza. Beta snc, avendo ignorato ciò, ha perso ogni chance nel merito.
Da questi casi pratici traiamo alcune lezioni: (a) verificare sempre la competenza e i termini (una mossa procedurale sbagliata può vanificare diritti sostanziali); (b) raccogliere prove e informazioni prima di agire (come visto nel caso 2, la verifica delle PEC avrebbe sconsigliato un ricorso infondato); (c) agire tempestivamente quando si hanno validi motivi (caso 1, la società ha evitato di pagare un debito prescritto grazie a un ricorso puntuale).
Conclusioni
Abbiamo esaminato in dettaglio cos’è un’intimazione di pagamento e come reagire attraverso i vari strumenti di ricorso e opposizione nei settori civile, tributario e amministrativo. È emerso un principio comune: tempestività e correttezza procedurale sono essenziali per tutelare efficacemente i propri diritti. Un’intimazione di pagamento indica che la situazione è già avanzata verso la riscossione forzata; ignorarla equivale quasi sempre a subire l’esecuzione (pignoramenti, fermi, ipoteche) senza ulteriore preavviso.
D’altra parte, opporsi in modo errato – ad esempio oltre i termini o davanti al giudice sbagliato – può far perdere per sempre la possibilità di contestare il debito. Per questo motivo la guida ha insistito sulla distinzione degli ambiti: giudice tributario per i tributi (cartelle, intimazioni ex DPR 602/73), giudice ordinario per questioni di esecuzione forzata civile (precetti, ingiunzioni fiscali, pignoramenti), giudice amministrativo in casi particolari di atti autoritativi non catalogabili altrove. La materia, come si è visto, è tecnica e ricca di insidie, ma conoscere le linee guida (scadenze, forme, motivi validi) permette di affrontarla con successo.
Dal punto di vista pratico, se siete un privato cittadino alle prese con una cartella esattoriale seguita da un’intimazione, verificate subito di che tipo di debito si tratta (tributo, multa, contributo) e agite di conseguenza: 60 giorni di tempo (in genere) per ricorrere, e valutate bene se ricorrono motivi come prescrizione o vizi di notifica – spesso decisivi per vincere. Se invece siete un professionista o azienda, sappiate che le stesse regole valgono anche per voi, ma con l’aggravante che importi maggiori implicano maggiore attenzione (ad esempio, un’intimazione su contributi INPS può essere bloccata solo con un ricorso al Tribunale entro 40 giorni, altrimenti l’INPS/AdER potrà agire).
In tutti i casi, non aspettate oltre. Come recita un motto giuridico: “Dormientibus non succurrit ius” – il diritto non assiste chi dorme. Se ricevete un’intimazione, informatevi subito (anche attraverso guide come questa) e, se il caso lo richiede, affidatevi a un professionista qualificato. Spesso già in sede di analisi iniziale un esperto saprà dirvi se avete buone probabilità (ad esempio, confermando che il credito è prescritto o che ci fu un vizio di notifica) oppure se è meglio negoziare un pagamento/rateazione invece di intraprendere un contenzioso dall’esito incerto.
Infine, concludiamo con un consiglio operativo: conservate sempre con cura gli atti che ricevete (buste, ricevute di ritorno, copie di email PEC) e le prove di eventuali pagamenti effettuati. Questi documenti sono spesso la differenza tra vincere o perdere un ricorso, come abbiamo visto nelle simulazioni. Una difesa ben documentata è una difesa vincente.
La materia è in continua evoluzione (basti pensare alle riforme del processo tributario del 2022 o agli interventi della Corte Costituzionale sulla riscossione), pertanto mantenersi aggiornati è fondamentale. Le fonti normative e giurisprudenziali citate di seguito costituiscono un utile riferimento per approfondire.
Grazie per l’attenzione.
Riferimenti normativi e giurisprudenziali
Di seguito si elencano tutte le principali fonti giuridiche menzionate nella guida, suddivise in normativa (codici e leggi) e giurisprudenza (sentenze), con indicazione di link ufficiali ove disponibili:
Normativa:
- Codice Civile (R.D. 16 marzo 1942, n. 262): Artt. 2934–2963 c.c. (prescrizione) e art. 2953 c.c..
- Codice di Procedura Civile (R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443): Artt. 474–481 c.p.c. (titoli esecutivi e precetto), art. 615 c.p.c., art. 617 c.p.c., art. 624 c.p.c.
- D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602: Artt. 25 (cartella di pagamento), 26 (notifica atti), 50 (intimazione ad adempiere entro 5 gg, validità 1 anno), 57 (opposizioni all’esecuzione).
- Decreto Legislativo 31 dicembre 1992, n. 546: Art. 2 (giurisdizione tributaria vs ordinaria), art. 19 (atti impugnabili, include cartella e atti equiparati), art. 21 (60 giorni per il ricorso), art. 47 (sospensione provvisoria).
- Legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto del Contribuente): Art. 6 (conoscenza atti e rimessione in termini), art. 8 c.2 (dilazione tra atto e riscossione), art. 17-bis (reclamo/med., abrogato 2023).
- D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112: Art. 50 (obbligo conservazione cartelle 5 anni).
- Legge 24 novembre 1981, n. 689: Artt. 22–23 (opposizione a ordinanza-ingiunzione entro 30 gg), art. 28 (prescrizione sanzioni 5 anni).
- D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150: Art. 6 (rito opposizione sanzioni amm., 30 gg Giudice Pace), art. 32 (opposizione ingiunzioni entrate enti pubbl., rito ordinario senza termine decadenziale).
- R.D. 14 aprile 1910, n. 639: Testo unico sulle entrate patrimoniali (ingiunzione fiscale) – Artt. 2–3 (notifica e termine 30 gg).
- Codice del Processo Amministrativo (D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104): Art. 29 (ricorso entro 60 gg per atti definitivi).
- D.L. 21 ottobre 2021, n. 146 (conv. L.215/2021): Art.3 c.4-septies (inimpugnabilità estratti di ruolo). Gazzetta Ufficiale n.252/2021).
Giurisprudenza:
- Cass., Sez. Un., 25 luglio 2007, n. 16412: in tema di sanzioni amministrative, afferma che la nullità della notifica del verbale va eccepita entro 30 gg dalla cartella, altrimenti è sanata.
- Cass., Sez. Un., 2 ottobre 2015, n. 19704: riconosce la possibilità di impugnare la cartella mai notificata appena conosciuta tramite estratto, anticipando poi la norma 2021 (estratto non impugnabile).
- Cass., Sez. Un., 17 novembre 2016, n. 23397: stabilisce che l’omessa impugnazione di un atto amministrativo (es. accertamento) non comporta applicazione dell’art.2953 c.c., quindi la prescrizione resta quella ordinaria breve.
- Cass., Sez. Un., 22 settembre 2017, n. 22080: (materia multe) chiarisce che l’opposizione tardiva per difetto di notifica del verbale va proposta entro 30 gg dalla cartella, altrimenti la nullità è sanata.
- Cass., Sez. V, 22 dicembre 2020, n. 28995: conferma intimazione ex art.50 DPR 602/73 come atto impugnabile autonomamente entro 60 gg (equiparato a avviso di mora) – ribadendo onere di immediata impugnazione per far valere la prescrizione.
- Cass., Sez. Un., 29 aprile 2020, n. 7822: delimita giurisdizione tributaria vs ordinaria: atti fino a intimazione→giudice tributario; atti esecutivi successivi→giudice ordinario.
- Cass., Sez. V, 11 marzo 2025, n. 6436: (in FiscoOggi) sancisce che l’intimazione ex art.50 DPR 602/73 è atto necessario da impugnare, pena cristallizzazione del debito; il contribuente deve far valere la prescrizione nel ricorso contro l’intimazione, non potrà più farlo dopo.
- Cass., Sez. VI – L, 8 marzo 2022, n. 7514: (Adunanza Plenaria, materie previdenziali) afferma che l’opposizione avverso avviso di addebito INPS va proposta entro 40 gg al tribunale lavoro, e che l’estratto di ruolo non è autonomamente impugnabile se non per vizi di notifica (in linea con DL 146/2021).
- Cass., Sez. III, 10 febbraio 2021, n. 3645: sulle sanzioni amministrative: la prescrizione quinquennale ex art.28 L.689/81 può essere dichiarata dal giudice ordinario anche in sede di opposizione all’esecuzione (se cartella non opposta ma credito prescritto nel frattempo).
- Corte Cost., 15 luglio 2005, n. 280: ha dichiarato illegittimo l’art.25 DPR 602/73 (cartella) nella parte in cui riduceva il termine di pagamento senza adeguata informativa, rafforzando le garanzie del contribuente (principio di conoscenza effettiva).
- Corte Cost., 31 maggio 2018, n. 114: ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art.57, co.1, lett.a) DPR 602/73, nella parte in cui non ammetteva le opposizioni ex art.615 c.p.c. dopo la notifica di cartella/intimazione. Da questa sentenza discende che oggi il debitore può opporsi all’esecuzione tributaria per fatti successivi alla cartella (es. prescrizione sopravvenuta, pignorabilità beni) anche davanti al giudice civile.
- T.A.R. Veneto, Sez. I, 2 aprile 2020, n. 262: (ricordato in Italiaius) ha ribadito che l’intimazione di pagamento conseguente a un’ordinanza-ingiunzione non opposta non è autonomamente impugnabile nel merito: il ricorso tardivo va dichiarato irricevibile.
- Consiglio di Stato, Sez. VI, 22 maggio 2024, n. 4542: ha affrontato il caso di un’intimazione AGEA (quote latte) impugnata al TAR: ha distinto tra “invalidità caducante” e “invalidità viziante” sugli atti consequenziali. In sostanza ha stabilito che se l’atto presupposto (es. cartella) viene annullato in giudizio, anche l’intimazione cade automaticamente (effetto caducante); ma se non è stato impugnato nei termini, l’intimazione resta valida (obbligazione cristallizzata).
Questi riferimenti offrono base normativa e precedenti utili per approfondire le tematiche trattate e per consultare direttamente le fonti ufficiali in caso di necessità di verifica puntuale.
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Conclusione
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