Intimazione Di Pagamento Equitalia (Ex): Cosa Fare Subito

Vuoi sapere come funziona un’intimazione di pagamento Equitalia (ex) e cosa fare subito per difendersi?

Qui di seguito troverai la nostra guida di Studio Monardo, gli avvocati specializzati in intimazioni di pagamento dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione.

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Cos’è un’intimazione di pagamento?

L’intimazione di pagamento è un atto formale emesso dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione (già Equitalia) con cui si intima al debitore il pagamento di somme dovute entro un termine perentorio di 5 giorni. In sostanza, è un ultimatum inviato prima dell’avvio dell’esecuzione forzata (pignoramenti, fermi, ipoteche), analogo al “precetto” previsto nel processo civile. Questo avviso viene infatti notificato al contribuente quando vi è un debito risultante da cartelle esattoriali o atti esecutivi non pagati nei termini, ed è finalizzato a sollecitare il pagamento prima di procedere con azioni esecutive.

Dal punto di vista normativo, l’intimazione di pagamento è disciplinata dall’art. 50 del D.P.R. 602/1973. Tale norma prevede che l’agente della riscossione possa procedere a espropriazione forzata trascorsi 60 giorni dalla notifica della cartella di pagamento (termine ordinario per pagare una cartella). Inoltre, se l’esecuzione non è iniziata entro un anno dalla notifica della cartella, l’esecuzione stessa deve essere preceduta dalla notifica di un avviso contenente intimazione ad adempiere entro 5 giorni. Questo avviso è comunemente chiamato intimazione di pagamento (in passato noto anche come avviso di mora) ed è redatto su modello ministeriale.

In pratica, l’intimazione di pagamento viene utilizzata dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione come ultimo sollecito formale: il contribuente viene avvisato che se non paga entro 5 giorni, si darà il via alle procedure esecutive per recuperare coattivamente il credito. Essa contiene il riferimento alle cartelle o agli atti precedenti non pagati, indicando gli estremi dei debiti ancora dovuti. Non dettaglia minutamente la natura di ogni debito (ad esempio il tipo di imposta), poiché la Cassazione ha chiarito che è sufficiente il richiamo alle cartelle esattoriali precedentemente notificate per mettere il debitore in condizione di individuare la pretesa. In altri termini, l’intimazione è un atto a contenuto vincolato: il suo formato è stabilito per legge e deve limitarsi a intimare il pagamento richiamando gli atti precedenti.

A chi si rivolge: possono ricevere un’intimazione sia privati cittadini (per debiti personali, es. tributi locali, multe, imposte non versate), sia imprese (società con cartelle per tasse, contributi previdenziali, ecc.), sia professionisti con partita IVA (per imposte come IVA, IRPEF, ecc. non pagate). In tutti i casi, l’atto proviene dall’agente della riscossione e si riferisce a somme iscritte a ruolo o comunque affidate per la riscossione coattiva.

Differenza rispetto alla cartella: la cartella di pagamento è il primo atto con cui viene richiesto il pagamento di un debito iscritto a ruolo; contiene il dettaglio delle somme dovute e concede 60 giorni per pagare. L’intimazione di pagamento, invece, interviene successivamente (spesso a distanza di tempo) se la cartella non è stata pagata: concede solo 5 giorni e preannuncia direttamente l’esecuzione forzata imminente. Per questo è considerata più insidiosa della cartella stessa, perché i tempi di reazione del contribuente sono estremamente brevi.

In sintesi, l’intimazione di pagamento ex Equitalia è l’avvertimento finale che Agenzia Entrate-Riscossione invia al debitore per adempiere immediatamente al proprio obbligo, pena l’attivazione delle procedure di recupero forzoso del credito.

Termini e scadenze da conoscere

Quando si ha a che fare con un’intimazione di pagamento, è fondamentale conoscere i termini temporali entro cui vengono compiuti gli atti e quelli entro cui è possibile reagire. Ecco i principali tempi e scadenze da tenere presenti:

  • 60 giorni dalla cartella di pagamento: è il termine ordinario entro cui va pagata una cartella esattoriale dopo la sua notifica. Decorso questo termine senza pagamento (e in assenza di rateizzazione), la somma diventa esigibile e l’agente della riscossione può intraprendere azioni cautelari o esecutive. In alcuni casi particolari previsti da leggi speciali, il termine per pagare la cartella può essere elevato a 180 giorni, ma sono eccezioni specifiche.
  • 1 anno dalla notifica della cartella: se l’esecuzione forzata non viene iniziata entro un anno dalla notifica della cartella, prima di procedere al pignoramento l’Agenzia delle Entrate-Riscossione deve notificare un’intimazione di pagamento. Questo significa che il ruolo (titolo esecutivo) non può essere utilizzato per pignorare trascorsi 12 mesi dalla cartella, a meno che il debitore non riceva questo ulteriore avviso di 5 giorni. L’obbligo è sancito dall’art. 50, comma 2, D.P.R. 602/1973. In pratica:
    • Se la cartella è stata notificata da meno di un anno, l’agente può ancora procedere al pignoramento senza bisogno di intimazione (previo decorso dei 60 giorni).
    • Se è passato oltre un anno, deve prima emettere l’intimazione e attendere 5 giorni.
  • 5 giorni per pagare dall’intimazione: l’intimazione di pagamento concede al debitore soltanto 5 giorni dalla notifica dell’atto per eseguire il pagamento di quanto dovuto. Questo termine è perentorio e molto breve. Decorso inutilmente, l’agente della riscossione è legittimato ad avviare subito le procedure esecutive (salvo quanto vedremo per i piccoli debiti). Occorre sottolineare che non esistono proroghe legali di questo termine: ricevere un’intimazione significa essere a pochi giorni dal pignoramento.
  • Durata di efficacia dell’intimazione: l’intimazione di pagamento perde efficacia trascorso un anno dalla sua notifica. Ciò vuol dire che l’agente della riscossione ha un anno di tempo, dal giorno in cui notifica l’intimazione, per iniziare le azioni esecutive; passato un anno senza aver attivato pignoramenti, quell’intimazione non vale più e, per procedere, ne andrà notificata un’altra (che riaprirà un nuovo termine di 5 giorni). Nota: Fino al 2020 la durata era di 180 giorni (6 mesi), il che ha originato il “mito” dei 180 giorni. Dal settembre 2020, con il D.L. 76/2020 convertito in L. 120/2020, il termine di efficacia è stato esteso a 12 mesi. Pertanto, non è corretto ritenere nullo un pignoramento avviato dopo 6 mesi ma prima di 1 anno dall’intimazione: oggi la legge consente 1 anno di tempo. Attenzione quindi alle informazioni non aggiornate: un’opposizione basata solo sul superamento di 180 giorni dall’intimazione è destinata a essere respinta.
  • Debiti sotto 1.000 € – attesa di 120 giorni: per importi esigui, la legge prevede una cautela in più. Per i debiti fino a 1.000 euro, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione non può avviare né misure cautelari né esecutive se non dopo aver inviato al debitore un sollecito di pagamento e atteso inutilmente 120 giorni. Questo sollecito è generalmente una comunicazione informale (posta ordinaria) riepilogativa delle somme dovute, che invita a pagare entro 120 giorni. Solo trascorsi quei 4 mesi senza pagamento (né richiesta di rateizzazione) si potrà procedere con pignoramenti o fermi anche per crediti sotto 1.000 €. Dunque, se l’intimazione riguarda un debito inferiore a 1.000 €, in realtà prima di essa il contribuente dovrebbe aver già ricevuto questo “preavviso” di 120 giorni. La normativa di riferimento è l’art. 1, comma 544, L. 228/2012.
  • Termini per impugnare l’intimazione: qualora il debitore voglia proporre ricorso contro l’intimazione (vedremo dettagli a seguire), deve attivarsi entro termini stringenti:
    • Se si tratta di debiti tributari (es. imposte, tasse), il ricorso alla Commissione Tributaria/Corte di Giustizia Tributaria va presentato entro 60 giorni dalla notifica dell’intimazione (termine ordinario per impugnare gli atti tributari).
    • Se si tratta di contributi previdenziali INPS o altre entrate non tributarie, solitamente l’opposizione innanzi al giudice ordinario va proposta entro 40 giorni (ad es. per contributi, l’opposizione ai sensi dell’art. 24 D.Lgs. 46/1999 segue i termini del processo del lavoro) – ne parleremo nella sezione dedicata alle opposizioni.
    • Opposizione all’esecuzione/atti esecutivi: se l’intimazione non viene impugnata e si arriva all’atto di pignoramento, restano eventualmente i termini di 20 giorni per opporsi all’atto di pignoramento (vizio formale) o la possibilità di opporsi in ogni momento per questioni attinenti il diritto a procedere all’esecuzione, ma sono rimedi residuali (artt. 615 e 617 c.p.c., come vedremo).
  • 90 giorni per chiedere sospensione legale: esiste una procedura di sospensione in autotutela prevista dalla L. 228/2012 (dettagli più avanti), la quale richiede che il contribuente presenti l’istanza entro 90 giorni dalla notifica dell’intimazione o altro atto di riscossione. Sebbene questa non sia un’impugnazione giudiziale, è un termine da ricordare per poter usufruire della tutela amministrativa (sospensione immediata della riscossione).

Riassumendo i tempi chiave: dopo la cartella (60 giorni per pagare) l’agente attende al massimo un anno prima di dover notificare un’intimazione, che dà altri 5 giorni. L’intimazione è “valida” per 1 anno e consente l’esecuzione in quel lasso di tempo. Il debitore ha 5 giorni per pagare o 60 giorni (in linea generale) per fare ricorso. Per debiti piccoli c’è un preavviso di 120 giorni. Scaduti i termini, si passerà al pignoramento.

Notifica dell’intimazione di pagamento e validità dell’atto

Come viene notificata l’intimazione: L’intimazione di pagamento deve essere notificata al debitore con modalità analoghe a quelle previste per la notifica delle cartelle esattoriali e degli atti giudiziari tributari. In particolare, la legge (art. 50, co. 2 D.P.R. 602/1973 richiamante l’art. 26) stabilisce che la notifica avvenga tramite:

  • Posta elettronica certificata (PEC): oggi è la via preferenziale, soprattutto per imprese e professionisti obbligati ad averne una. Dal 1° luglio 2017, con la soppressione di Equitalia, la legge impone la notifica a mezzo PEC per tutti i soggetti con domicilio digitale registrato. In tal caso, l’intimazione arriva come allegato (spesso un file PDF firmato digitalmente, talvolta in busta compressa) all’indirizzo PEC risultante dai registri ufficiali (INI-PEC per imprese/professionisti, Indice PA, ecc.). La notifica PEC è valida quando il messaggio risulta consegnato alla casella PEC del destinatario, con relativa ricevuta.
  • Ufficiale della riscossione o messo notificatore: per i privati cittadini non obbligati alla PEC, o se la PEC non è disponibile/esito negativo, si procede con notifica a mezzo messo notificatore dell’Agente della Riscossione o ufficiale giudiziario. Questi può consegnare l’atto al destinatario di persona presso la residenza, dimora o domicilio.
  • Raccomandata con ricevuta di ritorno (AR): l’art. 26 del D.P.R. 602/73 consente la notifica delle cartelle anche tramite invio per raccomandata AR. Per l’intimazione si segue lo stesso criterio, quindi l’atto può essere spedito per posta. In caso di assenza del destinatario, si applicano le regole di compiuta giacenza analoghe (deposito presso l’ufficio postale e avviso in cassetta).
  • Notifica presso la residenza/domicilio fiscale: l’intimazione viene inviata all’indirizzo di residenza anagrafica del debitore o al diverso domicilio fiscale eletto. È onere del contribuente comunicare all’Agenzia Entrate eventuali cambi di domicilio fiscale; diversamente, le notifiche all’indirizzo risultante dagli archivi anagrafici/fiscali sono comunque valide (anche se il destinatario si è trasferito senza aggiornare).
  • Irreperibilità e deposito: se il destinatario è temporaneamente irreperibile, scatta la compiuta giacenza (dopo 10 giorni dal deposito dell’avviso); se è irreperibile assoluto (sconosciuto all’indirizzo), l’atto viene depositato presso il Comune e la notifica si perfeziona per compiuta giacenza o pubblici proclami (come da art. 60 DPR 600/73). In sintesi, anche chi cerca di “sfuggire” rischia che la notifica si perfezioni ugualmente tramite deposito e pubblicazione.

Contenuto dell’atto e requisiti di validità: L’intimazione di pagamento, essendo un atto a contenuto vincolato, deve riportare alcuni elementi essenziali:

  • Intestazione e riferimenti: indica l’ente creditore (o gli enti creditori) per conto del quale l’Agente della riscossione procede, il nome del debitore, il numero dell’intimazione.
  • Riferimento alle cartelle/atti: elenca i numeri delle cartelle esattoriali, avvisi di addebito INPS, avvisi di accertamento esecutivi o altri atti già notificati e rimasti insoluti, con i relativi importi aggiornati. Non è necessario che descriva dettagliatamente la natura di ciascun debito; il richiamo ai numeri delle cartelle è considerato sufficiente e valido come motivazione. Questo aspetto è stato confermato dalla Cassazione: l’intimazione non richiede una motivazione ad hoc, essendo un atto consequenziale che trae la sua giustificazione negli atti precedenti già noti al contribuente. L’indicazione dei numeri delle cartelle o degli estremi degli avvisi precedenti mette in grado il destinatario di conoscere l’origine del debito e quindi rispetta il suo diritto di difesa.
  • Termine di 5 giorni: deve essere espressamente indicato che il pagamento è richiesto entro 5 giorni dalla ricezione dell’intimazione. Questa clausola avvisa il contribuente della perentorietà del termine.
  • Avvertimento di esecuzione forzata: l’atto di solito contiene una formula di stile in cui si avverte che, in mancanza di pagamento entro i 5 giorni, si procederà ad esecuzione forzata ai sensi dell’art. 50 DPR 602/73 (pignoramento di beni mobili, immobili o crediti).
  • Modalità di pagamento: vengono forniti i bollettini RAV o le indicazioni per pagare online, nonché i riferimenti per eventuale rateizzazione (numero verde, sito web, modulistica).
  • Indicazione dell’organo competente per ricorsi: l’intimazione generalmente riporta l’ente giurisdizionale presso cui è possibile impugnarla (ad es. la Corte di Giustizia Tributaria di primo grado ex Commissione Tributaria, oppure il tribunale ordinario) e il termine per farlo, in conformità all’art. 19 D.Lgs. 546/1992 o altre norme. Ad esempio, il nuovo modello approvato nel 2022 ha aggiornato la dicitura sostituendo “Commissione Tributaria” con “Corte di giustizia tributaria”.
  • Firma: è sottoscritto digitalmente dal Direttore dell’Agente della riscossione o da un suo delegato (in caso di notifica cartacea, vi sarà una sottoscrizione autografa o meccanografica).

L’intimazione è valida se contiene questi elementi ed è notificata correttamente secondo la legge. Diversamente, potrebbe essere nulla. Ad esempio, vizi di notifica (atto mai realmente notificato, o notificato a soggetto estraneo, o vizi formali gravi nella relata) possono inficiare la validità dell’intimazione. Anche la mancanza di indicazione delle cartelle di riferimento potrebbe renderla nulla per difetto di motivazione, ma nella prassi questo non accade perché l’atto prevede sempre il richiamo ai numeri dei ruoli.

Un tema peculiare sollevato da alcuni riguarda il modello di intimazione: la legge richiede che sia approvato con decreto del Ministero delle Finanze, mentre l’ultimo modello (2022) è stato approvato con provvedimento del Direttore dell’Agenzia Entrate. Secondo un’opinione critica, ciò sarebbe una violazione della norma e renderebbe le intimazioni nulle perché adottate con atto amministrativo anziché con decreto ministeriale. Si tratta però di una tesi non (ancora) avallata esplicitamente dai giudici in maniera univoca: allo stato attuale, le intimazioni continuano ad essere considerate valide. In altre parole, fino ad eventuali pronunce contrarie, il contribuente deve comunque fare i conti con l’intimazione come atto valido.

Validità temporale: Come detto, l’intimazione vale per 1 anno dal giorno della notifica. Ciò significa che se l’agente non inizia pignoramenti entro quell’anno, dovrà notificare una nuova intimazione per poter procedere. Attenzione: se invece l’agente avvia un pignoramento entro l’anno, l’intimazione ha esaurito il suo scopo (che era avvisare) e l’esecuzione intrapresa rimane valida anche se si conclude dopo oltre un anno.

Conclusione sulla notifica: Appena si riceve un’intimazione (che sia via PEC o cartacea), essa è immediatamente efficace. Non occorre alcuna “convalida” giudiziaria: è un atto amministrativo esecutivo. Perciò, dal momento in cui la notifica è perfezionata, iniziano a decorrere:

  • i 5 giorni per pagare;
  • il termine (60 gg di regola) per impugnarla;
  • il periodo di efficacia di un anno per gli esecutori.

Verificate sempre la data di notifica (sulla relata di notifica cartacea o nell’attestazione di consegna PEC) per calcolare correttamente le scadenze. In caso di notifica PEC, conservate il messaggio completo con le ricevute; in caso di notifica postale, l’AR firmata; in caso di deposito, l’avviso di giacenza e la data di ritiro. Questi elementi saranno importanti se dovrete contestare o eccepire difetti di notifica.

Effetti e rischi in caso di mancato pagamento di un’intimazione di pagamento Equitalia (ex)

Ricevere un’intimazione di pagamento significa essere ad un passo dall’esecuzione forzata. Se non si provvede a saldare il debito intimato entro i 5 giorni previsti, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione è legittimata ad attivare una serie di misure molto incisive per recuperare coattivamente le somme. Vediamo quali sono i principali effetti e rischi per il debitore che ignora o non ottempera all’intimazione:

  • Pignoramento dei beni (esecuzione forzata): Trascorsi inutilmente i 5 giorni, l’Agente della riscossione può procedere col pignoramento. Il pignoramento può colpire:
    • Beni mobili del debitore: ad esempio denaro su conti correnti, auto e veicoli, arredi o macchinari in caso di imprese, ecc. In pratica, spesso si concretizza come pignoramento presso terzi, ossia blocco dei conti correnti bancari o postali, o pignoramento dello stipendio/pensione presso il datore di lavoro/INPS. L’Agente invia un atto di pignoramento ai sensi dell’art. 72-bis DPR 602/73 alla banca o al datore di lavoro, e le somme vengono bloccate (nei limiti di legge: per stipendi/pensioni solitamente 1/10 o 1/7 a seconda dell’importo).
    • Beni immobili di proprietà del debitore: se il debito è consistente (almeno alcune migliaia di euro), può essere avviata un’esecuzione immobiliare. Verrà notificato un atto di pignoramento immobiliare sull’immobile di proprietà (es. una casa) e, in mancanza di accordi, si potrà procedere alla vendita all’asta. Tuttavia va ricordato che dal 2013 vigono dei limiti per la casa di abitazione: l’Agente della riscossione non può pignorare l’unico immobile di proprietà del debitore se questo è adibito a uso abitativo e vi risiede anagraficamente, salvo che il debito superi 120.000 € e l’immobile non sia di lusso. In pratica la prima casa del debitore, se unica, è protetta da pignoramento esattoriale (art. 76 DPR 602/73, introdotto dal D.L. 69/2013). Al di fuori di questo caso, gli immobili possono essere pignorati, ma è richiesta la soglia minima di debito superiore a 120.000 € e che sia passato un certo termine dalla notifica degli atti (6 mesi dall’intimazione, ora 1 anno con la modifica del 2020).
    • Beni mobili registrati (autoveicoli, moto, barche): il pignoramento di un veicolo avviene tramite iscrizione di fermo amministrativo (che vedremo a parte) oppure con un vero e proprio pignoramento mobiliare se si individua il bene fisicamente.
    • Altri crediti verso terzi: l’agente può pignorare crediti che il debitore vanta, ad esempio canoni di affitto dovuti da un inquilino, crediti commerciali presso clienti (per le imprese), rimborsi d’imposta dovuti dall’Agenzia Entrate stessa (compensandoli).
    Il pignoramento è in genere lo strumento più utilizzato e temuto perché porta al blocco immediato delle risorse finanziarie del debitore. Nei casi di intimazioni su debiti > 1.000 €, l’esperienza recente mostra che Equitalia/AdER tende ad agire anche molto rapidamente: sono stati segnalati casi di pignoramento del conto corrente appena 6-7 giorni dopo la notifica dell’intimazione. Questo significa che appena decorso il termine di 5 giorni, l’ente può già emettere e notificare l’atto di pignoramento (a banca o datore di lavoro). Dunque, il rischio concreto è il blocco del conto in tempi brevi, con tutte le conseguenze del caso (impossibilità di disporre del denaro, problemi nei pagamenti quotidiani, ecc.).
  • Fermo amministrativo di beni mobili registrati: Il fermo amministrativo è una misura cautelare (non esecutiva in senso stretto) che l’Agente della riscossione può disporre sui veicoli intestati al debitore. Consiste nell’iscrizione di un vincolo presso il PRA (Pubblico Registro Automobilistico) che impedisce di utilizzare legittimamente l’auto o moto (non si potrebbe circolare, pena sanzioni, e non si può vendere se non con il fermo). Il fermo viene preceduto da un preavviso di fermo notificato al debitore che concede 30 giorni per pagare prima di iscrivere il fermo. Se entro 30 giorni dal preavviso il debitore non paga o rateizza, l’auto viene “bloccata”. Il fermo è tipicamente minacciato per indurre il pagamento, soprattutto se il debitore possiede veicoli di valore. Da notare:
    • Per legge (art. 86 DPR 602/73), il preavviso di fermo è obbligatorio: non si può iscrivere fermo senza quel preavviso.
    • Il fermo può essere attivato per qualsiasi importo di debito oltre i 1.000 €, ma in realtà l’art. 1 c.544 L.228/2012 proibisce di attivarlo per debiti ≤ 1.000 € senza prima il sollecito+120gg, come visto. Dunque, nei piccoli importi il fermo non scatta immediatamente.
    • Se il bene è strumentale all’attività d’impresa o professionale (es. unico furgone per lavorare), si può presentare documentazione per evitare il fermo anche dopo il preavviso.
    • Il fermo permane finché il debito non è saldato (o ridotto sotto soglia minima, se prevista). Non comporta direttamente l’esproprio del mezzo, ma impedisce di fatto di sfruttarlo. In caso di circolazione con veicolo sottoposto a fermo, si rischiano pesanti multe e sequestro del mezzo.
  • Iscrizione di ipoteca sugli immobili: L’ipoteca esattoriale è un altro strumento cautelare che l’Agente della riscossione adotta per tutelare il credito. Si tratta di iscrivere un’ipoteca (una garanzia reale) su uno o più immobili di proprietà del debitore, in modo da vincolarli a garanzia del pagamento delle somme dovute. L’ipoteca viene preceduta da un preavviso di ipoteca (o comunicazione preventiva) notificato al contribuente che concede 30 giorni per pagare prima di procedere. Trascorso tale termine senza esito, si iscrive l’ipoteca presso i registri immobiliari. Per legge esiste una soglia minima: l’ipoteca può essere iscritta solo se il debito totale del contribuente non è inferiore a 20.000 € (soglia elevata dal DL 16/2012, prima era 8.000 €). Quindi per importi minori di 20mila l’ipoteca non è consentita. L’importo tutelabile con ipoteca può arrivare fino al doppio del credito dovuto (per cautelare anche interessi e spese future). L’ipoteca non implica immediatamente che l’immobile venga venduto, ma mette pressione perché:
    • Il debitore non può disporre liberamente dell’immobile (difficile venderlo perché l’acquirente lo vedrebbe gravato da ipoteca statale, che dovrebbe essere cancellata pagando il debito).
    • Se il debito persiste, l’Agente può successivamente procedere a esecuzione immobiliare (pignoramento e vendita) – anche se, come detto, sulla prima casa abitata dal debitore vigono dei limiti per la vendita forzata, l’ipoteca però può comunque essere iscritta.
    In alcuni casi, l’ipoteca è scoperta dal contribuente solo in ritardo, perché se magari ha cambiato indirizzo la comunicazione di preavviso può non essergli giunta. Tuttavia, oggi la prassi è sempre di notificare regolarmente il preavviso (anche via PEC). Se viene iscritta ipoteca senza preavviso, l’atto è impugnabile e tendenzialmente annullabile.
  • Ulteriori oneri: interessi di mora e spese: Il mancato pagamento nei termini fa lievitare il debito per effetto:
    • degli interessi di mora, calcolati sulle somme iscritte a ruolo dal giorno successivo alla scadenza della cartella (dunque dopo i 60 giorni) fino al pagamento. Il tasso di interesse di mora è stabilito annualmente dall’Agenzia Entrate (ad esempio, intorno al 3-4% annuo in anni recenti).
    • delle spese di esecuzione: se si procede a pignoramento, le spese della procedura (notifica degli atti, compensi per l’eventuale intervento dell’ufficiale giudiziario, custodia di beni pignorati, compenso di delegati per le aste immobiliari, etc.) vengono aggiunte al carico del debitore. Anche la semplice iscrizione di ipoteca o fermo comporta spese amministrative aggiuntive. Dunque, ignorare l’intimazione e far partire l’esecuzione comporta un aumento del costo finale.
    Inoltre, se il debitore poi decide di pagare dopo che è iniziata l’esecuzione, dovrà pagare anche queste spese oltre all’importo inizialmente dovuto. Per esempio, pagare dopo il pignoramento del conto significa dover coprire anche la c.d. quota maturata di esecuzione.
  • Segnalazioni e conseguenze indirette: Un debitore con cartelle e intimazioni può subire ulteriori disagi:
    • Potenziali segnalazioni nelle banche dati creditizie (ad esempio, a seguito di pignoramenti o insoluti con la PA).
    • Difficoltà ad ottenere certificati di regolarità fiscale e contributiva (DURC), il che può impedire di partecipare ad appalti o ricevere pagamenti dalla PA se l’impresa ha debiti iscritti a ruolo non in regola.
    • Nelle procedure concorsuali (fallimento, liquidazione), la presenza di intimazioni indica che il Fisco sta procedendo e può presentare istanza di fallimento per le società con rilevanti debiti fiscali.

Debiti sotto 1.000 €: Come accennato, per i debiti minori c’è un passaggio di tutela: l’Agente invia una comunicazione bonaria e attende 120 giorni. Decorso tale termine, anche i piccoli debiti possono portare a pignoramenti (spesso pignoramenti di conto corrente) oppure all’iscrizione di fermo amministrativo. Ad esempio, se Tizio ha € 500 di multe non pagate, riceverà una lettera di sollecito; dopo 120 giorni senza pagamento, l’Agenzia può pignorargli il conto o fermargli l’auto (non c’è necessità di intimazione formale in questi casi, poiché il sollecito ha fatto da preavviso). Dunque, non bisogna sottovalutare un debito solo perché di modesta entità: le azioni ci saranno comunque, anche se con un iter leggermente più lungo.

In sintesi, quali rischi corri se non paghi entro 5 giorni? In caso di debito sopra € 1.000: praticamente immediato pignoramento di stipendio, conto bancario o altri beni, oppure fermo dell’auto o ipoteca su immobili, con aggravio di interessi e spese. In caso di debito sotto € 1.000: un sollecito in più, poi comunque pignoramenti o fermi trascorsi i 120 giorni. Il panorama è dunque serio: ignorare l’intimazione espone il debitore alla piena forza delle misure di riscossione, che l’Agenzia può esercitare con efficacia e senza ulteriore preavviso (a parte quelli specifici per fermo/ipoteca già menzionati).

Modalità di pagamento e richiesta di rateizzazione di un’intimazione di pagamento Equitalia (ex)

Di fronte a un’intimazione di pagamento, una delle possibili azioni immediate da considerare è pagare il debito (se lo si riconosce come dovuto), magari usufruendo delle opportunità di rateizzazione se non si dispone dell’intera somma. Vediamo quali sono le modalità pratiche per adempiere all’intimazione ed evitare l’esecuzione forzata:

  • Pagamento integrale entro 5 giorni: Se si hanno le disponibilità economiche, pagare l’importo dovuto entro i 5 giorni dalla notifica è la soluzione più rapida per chiudere la questione. L’intimazione tipicamente include i bollettini RAV (Ruoli Mediante Avviso) precompilati, uno per il pagamento in un’unica soluzione. In alternativa, è possibile utilizzare il codice RAV indicato per pagare online:
    • sul portale dell’Agenzia Entrate-Riscossione (area pagamenti, inserendo il numero RAV),
    • tramite internet banking (molti home banking hanno la sezione per pagare i RAV/bollettini),
    • presso gli sportelli bancari o postali, o i tabaccai/ricevitorie abilitate (circuito Sisal, Lottomatica), presentando il bollettino cartaceo.
    È importante pagare entro i 5 giorni: il pagamento si considera tempestivo in base alla data di esecuzione (per i pagamenti online) o di versamento. Se pagate con bonifico, meglio farlo qualche giorno prima o utilizzare sistemi immediati, per evitare che la valuta arrivi dopo i 5 giorni. Pagare in tempo ferma sul nascere ogni azione esecutiva; l’Agenzia, una volta incassato l’importo, non procederà oltre e rilascerà la quietanza.
  • Pagamento parziale: Può capitare di non poter pagare tutto subito ma di poter versare qualcosa entro i 5 giorni. Un pagamento parziale non evita formalmente l’esecuzione, ma in alcuni casi potrebbe ridurre il debito sotto soglie critiche (es. portare il residuo sotto € 1.000). Attenzione però: se non si salda completamente, l’Agenzia potrebbe comunque procedere per il residuo. È consigliabile comunicare all’Agenzia eventuali pagamenti parziali e chiedere contestualmente una rateazione sul residuo per dimostrare la volontà di regolarizzare.
  • Richiesta di rateizzazione (dilazione del pagamento): La legge consente al contribuente in difficoltà di chiedere una rateazione del debito iscritto a ruolo, anche dopo aver ricevuto l’intimazione. La rateazione infatti può essere richiesta fino a quando non sia notificato un atto di pignoramento. Ricevuta l’intimazione, siete ancora in tempo per dilazionare il pagamento delle cartelle sottostanti, purché la domanda di rateizzo sia presentata prima che inizino i pignoramenti. Ecco le caratteristiche principali:
    • Si può chiedere la dilazione anche dopo i 60 giorni dalla cartella. L’intimazione non preclude la rateazione, anzi sollecita ad attivarsi.
    • La richiesta va presentata all’Agenzia delle Entrate-Riscossione. Oggi è molto semplice farlo:
      • Online: tramite il servizio “Rateizza adesso” nell’area riservata del portale AdER, si possono ottenere piani di rateazione fino a 120.000 € di debito in modo automatico. Bastano SPID/CIE per accedere e seguire la procedura.
      • Modulo cartaceo/PDF: compilando l’apposito modulo (disponibile sul sito AdER) da inviare via PEC o presentare agli sportelli.
    • Numero di rate: la legislazione (art. 19 DPR 602/73) permette fino a 72 rate mensili (6 anni) ordinariamente. In caso di comprovata grave difficoltà e importi elevati, si può chiedere un piano straordinario fino a 120 rate mensili (10 anni). Esistono inoltre soglie: per debiti fino a 120.000 € è concessa dilazione con semplice istanza senza documentare lo stato di difficoltà (basta l’istanza “ordinaria”). Per importi superiori a 120.000 € occorre documentare la temporanea situazione di obiettiva difficoltà economica (es. presentando l’ISEE per persone fisiche, o indici di bilancio per aziende).
    • Effetti della rateazione: la concessione della rateizzazione blocca le azioni esecutive. Infatti, una volta accettato il piano e pagata la prima rata, l’Agente della riscossione non potrà procedere con pignoramenti finché il piano è rispettato (art. 19, c. 1 DPR 602/73). Se erano stati iscritti fermi amministrativi, questi saranno sospesi durante la rateazione (vengono revocati solo a saldo concluso, ma non possono iscriverne di nuovi su quei debiti). Se era stata iscritta ipoteca, di norma rimane a garanzia finché tutto il piano non è pagato, ma non si procede oltre.
    • Decadenza: attenzione che se poi si saltano le rate (oggi si decadde se non si pagano 8 rate anche non consecutive), il piano viene revocato e l’Agenzia può riprendere le azioni esecutive sul residuo dovuto, senza possibilità di ottenere un nuovo piano sullo stesso debito se non dopo aver saldato le rate arretrate.
    In pratica, chiedere la rateazione è spesso il modo più efficace di “disinnescare” l’intimazione in extremis, qualora non si abbia liquidità immediata. Ad esempio, se avete un debito di 20.000 € e non potete pagare in una volta, ottenendo un piano a 72 rate pagherete circa 72 quote mensili (più interessi dilatori) e, nel frattempo, l’Agenzia sospenderà i pignoramenti.
  • Sospensione per adempimenti fiscali straordinari: A volte il legislatore introduce misure di tregua fiscale (come rottamazioni, saldo e stralcio, sospensioni per emergenze). Ad esempio, durante la pandemia Covid sono stati sospesi per molti mesi i pagamenti e le azioni di riscossione. Ad aprile 2025, le misure straordinarie più recenti sono:
    • La Rottamazione-quater 2023/2024 (definizione agevolata delle cartelle fino al 2017), i cui termini di adesione e pagamento rateale sono in corso di esecuzione. Se il debito rientra e avete aderito, l’intimazione non dovrebbe arrivare; se arriva per errore, segnalare subito l’adesione.
    • Lo Stralcio dei debiti fino 1.000 € affidati dal 2000-2015, disposto dalla L. 197/2022 (Legge di Bilancio 2023): molti piccoli debiti fino a 1.000 € di quei anni sono stati annullati d’ufficio al 31/3/2023. Verificate se l’intimazione comprende per caso debiti che avrebbero dovuto essere stralciati (in tal caso, contestatelo in autotutela).
    • In generale, se sospensioni legislative sono vigenti (es. decreto “blocca cartelle”), l’intimazione non dovrebbe essere notificata nel periodo di sospensione. Ad aprile 2025 non risultano moratorie generalizzate in atto, ma è bene essere aggiornati.
  • Pagamento dopo l’avvio del pignoramento: se, malauguratamente, non avete pagato nei 5 giorni e scatta ad esempio un pignoramento del conto, potete comunque pagare il dovuto anche oltre i 5 giorni: ciò tipicamente porterà alla cessazione del pignoramento (la banca, ricevuta l’attestazione di pagamento, svincolerà il conto). Ovviamente, una volta iniziata l’azione esecutiva, dovrete pagare anche le spese di pignoramento maturate. È consigliabile in questi casi contattare subito l’ufficio dell’Agente della riscossione per ottenere l’importo aggiornato e la liberazione del vincolo.

Come comunicare l’avvenuto pagamento: Se pagate interamente e tempestivamente quanto intimato, generalmente non serve ulteriore comunicazione: l’Agenzia stessa registra il pagamento (soprattutto se fatto con bollettini RAV) e interrompe l’iter. È però prudente conservare la ricevuta e magari inviare via PEC una copia all’Agenzia con due righe di accompagnamento (o consegnarla a mano allo sportello) per segnalare che il pagamento è stato eseguito, chiedendo contestualmente conferma della chiusura delle procedure. Questo soprattutto se il pagamento avviene sul filo dei 5 giorni o se l’intimazione includeva più cartelle e avete dubbi sull’esatto abbinamento dei versamenti.

Se il debito non è dovuto o contiene errori: In alcuni casi il contribuente è disposto a pagare, ma ritiene che l’importo richiesto sia errato (ad esempio sono incluse sanzioni sgravate, o avete già pagato una parte). In questi casi potete:

  • Pagare intanto la parte che riconoscete come dovuta e contestare la parte controversa (con ricorso o autotutela).
  • Oppure presentare immediatamente un’istanza di sospensione legale (si veda la sezione successiva) portando le prove dell’errore, in modo da bloccare temporaneamente le richieste finché l’ente verifica.

In ogni caso, non ignorate mai l’intimazione pensando che “tanto chiarirete poi”: se c’è un errore, va segnalato subito o portato all’attenzione del giudice, perché altrimenti la macchina della riscossione andrà avanti.

Riepilogo delle opzioni: di fronte a un’intimazione il contribuente che riconosce il debito ha queste scelte pratiche:

  1. Pagamento immediato entro 5 giorni (soluzione definitiva, azzera il rischio).
  2. Richiesta di rateizzazione immediata (blocca i pignoramenti una volta accordata, e permette di pagare gradualmente).
  3. Se non può pagare né rateizzare (o non vuole perché il debito è contestato), allora deve passare alle azioni di opposizione (ricorso o sospensione) di cui parliamo oltre.

Come opporsi a un’intimazione di pagamento Equitalia (ex) (sospensione e ricorsi)

Se il contribuente ritiene indebita la richiesta contenuta nell’intimazione, oppure rileva vizi formali sostanziali (ad es. cartella mai notificata, prescrizione maturata, ecc.), è suo diritto attivarsi per opporsi all’intimazione, al fine di evitarne gli effetti. Esistono due vie principali di opposizione:

  • la via amministrativa/autotutela per ottenere una sospensione legale della riscossione,
  • la via giudiziaria (ricorso al giudice competente).

Vediamole nel dettaglio, distinguendo i vari strumenti.

Sospensione legale della riscossione (istanza in autotutela)

La Legge n. 228/2012 (Legge di Stabilità 2013) ha introdotto uno speciale strumento di tutela per i contribuenti: la possibilità di presentare una dichiarazione/istanza all’Agente della riscossione chiedendo la sospensione immediata della riscossione, qualora si rientri in alcune ipotesi tassative che rendono il credito non esigibile. Si tratta di una procedura amministrativa (non si va subito in giudizio) che può bloccare sul nascere pignoramenti e fermi. Ecco come funziona:

Presupposti per chiedere la sospensione: bisogna ritenere che il debito richiesto non sia dovuto per una delle cause previste dalla legge. In particolare, l’art. 1, c. 537-540 L. 228/2012 elenca situazioni come:

  • Pagamento già effettuato prima della formazione del ruolo: ad esempio, avete pagato l’imposta o la multa ma per errore vi è stata comunque iscritta a ruolo (doppia imposizione). Presentando la ricevuta di pagamento, potete chiedere l’annullamento.
  • Provvedimento di sgravio dell’ente creditore: se l’ente che ha emesso il debito (es. Agenzia Entrate per una tassa, Comune per una multa) ha annullato o ridotto in autotutela il debito, o c’è un errore riconosciuto, ma ciò non è ancora arrivato all’Agente della riscossione, potete allegare copia del provvedimento di sgravio.
  • Prescrizione o decadenza del debito già intervenute prima che il ruolo venisse esecutivo: significa che quando la cartella è stata emessa, in realtà il diritto a riscuotere era già prescritto o decaduto. Esempio: un tributo locale che aveva 5 anni di tempo per la riscossione e il Comune ha emesso ruolo dopo 6 anni. Oppure una multa stradale oltre i termini. Se potete dimostrare che la cartella originaria era stata emessa fuori tempo massimo, lo dichiarate.
  • Sospensione amministrativa o giudiziale: se c’è un provvedimento di sospensione in corso. Ad esempio, l’ente creditore stesso ha sospeso la cartella in attesa di verifiche, oppure avete un’ingiunzione del TAR che sospende un debito.
  • Sentenza favorevole al contribuente: se esiste una sentenza (anche non definitiva) che annulla in tutto o in parte il debito, o comunque un provvedimento giudiziario che vi dà ragione, potete farlo valere. (La legge specifica: sentenza di annullamento in un giudizio in cui AdER non ha preso parte – tipico caso, sentenza tributaria contro l’ente impositore).
  • Qualsiasi altra causa di non esigibilità: questa è una formula aperta prevista dalla direttiva Equitalia del 2013, per includere altri motivi oggettivi per cui la pretesa non può essere richiesta (es. errore di persona, doppia iscrizione, fallimento concluso con esdebitazione, ecc.).

Procedura pratica: Il contribuente deve presentare una dichiarazione/istanza di sospensione all’agente della riscossione entro 90 giorni dalla notifica dell’intimazione (o del primo atto di riscossione ricevuto). In essa deve:

  • Indicare quali cartelle/atti sono oggetto di contestazione (si possono includere anche più cartelle elencate nell’intimazione).
  • Dichiarare sotto la propria responsabilità quale causa di non esigibilità ricorre (tra quelle sopra elencate).
  • Allegare la documentazione che provi il motivo: es. ricevuta di pagamento, copia sentenza, ecc..
  • Allegare documento di identità.
  • Inviare il tutto preferibilmente via PEC (all’indirizzo PEC della Direzione Regionale AdER competente indicato sul modulo) oppure tramite raccomandata A/R o consegna a sportello. L’Agenzia delle Entrate-Riscossione fornisce anche un modulo prestampato (Modello “R–Sospensione” o SL1) scaricabile dal sito.

Effetti della sospensione legale: Una volta ricevuta l’istanza, l’Agente della riscossione è tenuto a sospendere immediatamente ogni attività di recupero. Ciò significa che, dalla presentazione della domanda:

  • Si fermano i pignoramenti: l’Agente non può proseguire con nuovi atti esecutivi né portare avanti quelli già avviati.
  • Non possono essere iscritti fermi o ipoteche ulteriori.
  • Il debitore ottiene una “boccata d’ossigeno”: finché la situazione non viene chiarita, non subirà espropri.

L’Agente trasmette la documentazione all’ente creditore (es. Agenzia Entrate, Comune, INPS…) che ha iscritto il ruolo, chiedendo di verificare la fondatezza della richiesta. L’ente creditore ha 60 giorni di tempo per rispondere, con esito:

  • Se l’ente conferma che il debito non è dovuto (es: riconosce l’errore, o recepisce la sentenza), dispone l’annullamento (sgravio) e la pratica viene chiusa.
  • Se l’ente respinge l’istanza (ritiene cioè dovuto il debito), comunica all’Agente di riprendere la riscossione, inviando anche al contribuente il diniego motivato.
  • Mancata risposta: se l’ente non fornisce risposta entro il termine (che la legge ha fissato dapprima in 220 giorni, poi ridotti a 200 giorni dal 2021, infine riportati a 220 nel 2022 – in ogni caso circa 7-8 mesi) dal ricevimento dell’istanza, la legge stabilisce che il debito è automaticamente annullato. In pratica, il silenzio-assenso oltre 220 giorni comporta l’annullamento definitivo delle cartelle in questione.

Dunque, presentare questa istanza può condurre a:

  • una risoluzione positiva (debito annullato dall’ente o decaduto per mancata risposta),
  • oppure, se l’ente risponde negativamente, la riscossione riparte e bisognerà eventualmente fare ricorso in giudizio.

Vantaggi della sospensione legale:

  • Immediatezza: Si ottiene il blocco immediato della riscossione, senza dover attendere i tempi di un tribunale. Questo è cruciale quando si hanno solo 5 giorni e il giudice difficilmente interverrebbe in tempo.
  • Sgravio definitivo se l’ente non risponde: Il meccanismo dei 220 giorni mette un limite all’inerzia della PA: trascorso quel termine, il cittadino ha diritto all’annullamento ex lege. (Da usare con cautela: è raro che l’ente non risponda affatto; spesso risponde per non perdere il credito, ma può succedere in caso di disguidi o carenze documentali).
  • Semplicità: Non occorre pagare contributo unificato o farsi assistere obbligatoriamente da un legale (anche se è consigliabile farsi aiutare per impostare bene l’istanza). È un modulo tutto sommato semplice.

Limiti e attenzioni:

  • La sospensione non sospende i termini per fare ricorso. Quindi, se avete presentato istanza, ma l’ente dovesse rispondere negativamente dopo 3 mesi, rischiate che nel frattempo siano scaduti i 60 giorni per il ricorso tributario. La legge consente di fare entrambe le cose in parallelo: presentare istanza di sospensione in autotutela e contestualmente proporre ricorso in Commissione tributaria. Anzi, gli avvocati suggeriscono spesso di utilizzare la sospensione per guadagnare tempo e preparare meglio il ricorso. Quindi, non affidatevi ciecamente alla sospensione se avete dubbi che l’ente possa rigettarla: valutate di impugnare comunque l’intimazione entro i termini, per non perdere il diritto.
  • Se l’Agente di riscossione non risponde affatto alla vostra istanza (cosa rara, di solito risponde l’ente creditore), tecnicamente il silenzio dell’Agente non comporta di per sé l’annullamento, poiché la procedura prevede la trasmissione all’ente. Occorre che trascorrano i 220 giorni senza risposta dall’ente creditore per far scattare l’annullamento. In pratica, il contribuente potrebbe dover sollecitare o monitorare la situazione.
  • L’istanza deve essere veritiera: dichiarare il falso (es. sostenere un pagamento mai avvenuto) espone a responsabilità anche penali per false dichiarazioni. Inoltre, l’Agente può richiedere integrazioni o rigettare l’istanza se manifestamente infondata (ad esempio, se si allegano documenti che non provano nulla).
  • Questa procedura è applicabile per ruoli dal 2013 in poi (anche se la legge prevede applicazione pure ad istanze antecedenti, ma di fatto è operativa dal 2013). Per intimazioni relative a ruoli molto vecchi (precedenti al 2013) potrebbe non essere formalmente invocabile, ma si può comunque fare una richiesta in autotutela generica.

Autotutela “semplice”: Oltre alla sospensione legale ex L.228/2012, rimane sempre possibile presentare istanze di autotutela agli enti creditori o all’Agente per errori vari, anche al di fuori dei casi previsti dalla legge. Ad esempio, se scoprite un errore di persona (cartella intestata a voi per omonimia), potete scrivere sia all’AdER che all’ente che ha emesso il ruolo per far correggere. L’autotutela semplice non ha termini né effetti predeterminati: è una richiesta volontaria all’amministrazione di riesaminare il caso. Conviene usarla per segnalare errori materiali, allegando documenti, magari in aggiunta (non in sostituzione) al ricorso giudiziario quando necessario.

In conclusione, la sospensione legale introdotta dalla L.228/2012 è uno strumento fondamentale “da usare subito” se ci sono validi motivi per cui l’intimazione è ingiustificata. Inviando l’istanza (preferibilmente via PEC per avere data certa) potete guadagnare tempo prezioso e mettere in stand-by la riscossione, così da organizzare poi la difesa in sede giudiziaria con più calma.

Ricorso alla Commissione Tributaria (Corte di Giustizia Tributaria)

Se l’intimazione di pagamento riguarda debiti tributari (imposte statali come IRPEF, IVA, IRES; tributi locali come IMU, TARI, TASI; o sanzioni fiscali), l’atto rientra nella giurisdizione tributaria. In tali casi il contribuente può proporre ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale – dal 2023 rinominata in Corte di Giustizia Tributaria di primo grado – competente per territorio, ai sensi dell’art. 19, comma 1 D.Lgs. 546/1992.

Impugnabilità dell’intimazione: Per lungo tempo ci si è chiesti se l’intimazione fosse un atto autonomamente impugnabile. La risposta è : l’intimazione (avviso ex art. 50 DPR 602/73) è equiparata all’“avviso di mora” ed è espressamente compresa tra gli atti impugnabili davanti al giudice tributario. Le Sezioni Unite della Cassazione nel 2024 hanno ribadito che, al di là del nome diverso, l’atto ha la funzione di sollecito pre-esecutivo e deve considerarsi tra quelli elencati nell’art. 19 D.Lgs. 546/92. Dunque il contribuente deve impugnarlo se vuole contestare qualcosa, altrimenti il debito si consolida. In altre parole, se non si fa ricorso, l’intimazione “cristallizza” il credito: non sarà più possibile opporre questioni su atti precedenti divenuti definitivi.

Motivi di ricorso: Nel ricorso tributario contro l’intimazione si possono far valere vizi propri dell’atto, ossia relativi alla legittimità dell’intimazione stessa, oppure situazioni sopravvenute. In particolare:

  • Omessa notifica della cartella o dell’atto presupposto: È un motivo classico. Si eccepisce che l’intimazione si basa su una cartella mai notificata al contribuente. Poiché la cartella sarebbe l’atto impositivo originario, se non è stata notificata regolarmente, tutta la procedura è viziata. In sede di ricorso, si chiede al giudice di annullare l’intimazione (e in via derivata la cartella) per difetto di notifica. Questo è spesso un motivo vincente se provato, perché viola il diritto di difesa: l’intimazione non può supplire la mancata conoscenza della cartella. Attenzione: l’onere di provare la notifica della cartella spetta all’Agente della riscossione: in giudizio, AdER dovrà esibire la relata di notifica o la PEC della cartella. Se non la produce, il giudice di solito presume la mancata notifica.
  • Vizi formali dell’intimazione: Es. mancanza degli elementi essenziali (estremi delle cartelle, importo, termine), errata intestazione, notifica dell’intimazione a soggetto non legittimato. Come visto, l’indicazione dei numeri delle cartelle è sufficiente e la Cassazione ha escluso che serva dettagliare la motivazione. Quindi eccepire “mancata motivazione” se nell’intimazione ci sono i numeri delle cartelle è infondata. Invece, è fondato eccepire ad esempio che l’intimazione è stata notificata oltre il termine di efficacia della cartella (ad es. pignoramento iniziato dopo un anno senza intimazione preventiva).
  • Intimazione non dovuta perché esecuzione non tardiva: Può capitare di ricevere un’intimazione anche se la cartella è recente (meno di un anno). In teoria non sarebbe necessaria. Tuttavia, l’invio di un’intimazione “non dovuta” non causa un danno al contribuente – anzi gli dà un ulteriore preavviso. Quindi questo motivo ha scarsa utilità pratica: semmai, se fanno intimazione anche prima dell’anno, l’atto è valido, rimane solo non obbligatorio per loro.
  • Prescrizione del debito: Questo è un motivo molto importante. Il contribuente può dedurre che il credito si è prescritto. Ad esempio, se dall’ultima notifica utile (cartella, sollecito, ecc.) sono trascorsi più di 5 anni (per certi tributi) o 10 anni (per altri) prima dell’intimazione, si può eccepire la prescrizione. La giurisprudenza tributaria ammette di sollevare la prescrizione nel ricorso contro l’intimazione, purché riferita a periodo successivo alla notifica dell’atto precedente definitivo. In particolare:
    • Tributi erariali (IVA, IRPEF, IRAP, etc.): prescrizione 10 anni se il debito deriva da atti divenuti definitivi, salvo eccezioni (alcune sanzioni, interessi, potrebbero avere 5 anni, come vedremo in sezione prescrizione).
    • Tributi locali (IMU, TARI, ecc.): prescrizione 5 anni ordinaria.
    • Contributi previdenziali INPS: prescrizione 5 anni anche se a ruolo.
    • Multe stradali: 5 anni dal momento in cui il ruolo diviene esecutivo (ossia 60 giorni dopo notifica verbale, se non opposto).
    Se i tempi sono stati superati e non ci sono stati atti interruttivi nel mezzo, la pretesa non può più essere riscossa. Ad esempio, se una cartella TARI del 2015 è stata notificata, ma da allora l’ente non ha più fatto nulla fino all’intimazione nel 2022 (7 anni dopo), il credito TARI si è prescritto in 5 anni; l’intimazione nel 2022 è impugnabile per sopravvenuta prescrizione.
  • Nullità per altri motivi: Es. l’intimazione è stata notificata a un indirizzo errato (e magari l’avete saputo per caso); oppure è stata emessa nonostante il debito fosse già stato sgravato dall’ente impositore. In tali casi il ricorso evidenzierà il vizio.
  • Sussistenza di una sospensione in atto: Ad esempio, se c’era una sospensione giudiziale o amministrativa che vietava all’Agente di procedere, l’intimazione emessa in violazione di ciò è illegittima. Può capitare se l’ente creditore aveva sospeso la cartella ma per disguidi Equitalia ha intimato lo stesso: allegando la prova della sospensione, il giudice annullerà l’intimazione.
  • Difetto di legittimazione/passiva: se l’intimazione è indirizzata a un soggetto non obbligato (es. erede che ha rinunciato all’eredità, coobbligato che in realtà non doveva rispondere per quel debito), si può far valere.

Competenza e rito: Il ricorso va presentato alla Commissione Tributaria Provinciale (CTP) competente in base al domicilio fiscale del contribuente per le imposte erariali, o al luogo dell’ente impositore per tributi locali (in genere coincide con la provincia in cui ricadono i tributi). Dal 16 settembre 2022, con la riforma del processo tributario, le Commissioni sono divenute “Corti di Giustizia Tributaria di Primo Grado”, ma la sostanza non cambia. Si applica il D.Lgs. 546/92:

  • Termine: 60 giorni dalla notifica dell’intimazione.
  • Si paga un contributo unificato in base al valore della controversia (es. per importi fino a 2.582 € si paga € 30, oltre sale progressivamente).
  • Nel ricorso occorre citare come resistente l’Agente della riscossione (Agenzia Entrate-Riscossione) e talvolta anche l’ente creditore (soprattutto se si contestano aspetti del merito del tributo, è opportuno chiamare in causa anche l’ente titolare del credito, ad es. il Comune per la TARI, l’Agenzia Entrate per IRPEF, etc., ai sensi dell’art. 14 D.Lgs. 546/92).
  • È necessario l’assistenza tecnica di un difensore (avvocato, commercialista o altro abilitato) se il valore supera € 3.000 circa. Sotto tale soglia, il contribuente può stare in giudizio da solo, ma considerata la complessità conviene farsi assistere comunque.
  • Il ricorso si deposita telematicamente (sistema PTT) o presso la segreteria della Commissione.

Sospensione giudiziale: Se l’esecuzione forzata è imminente, insieme al ricorso si può presentare un’istanza di sospensione cautelare al Presidente della Commissione (art. 47 D.Lgs. 546/92). Bisogna indicare il danno grave e irreparabile che si avrebbe dall’esecuzione (es. blocco conto impedisce di pagare i dipendenti) e i motivi validi del ricorso. La Commissione può fissare in tempi brevi (a volte d’urgenza in pochi giorni, se convincente) una camera di consiglio e sospendere l’efficacia dell’intimazione fino alla decisione sul merito. Tuttavia, come rilevato, ottenere un provvedimento entro 5 giorni è difficile. Più realistico è che nel frattempo si sia attivata la sospensione legale ex L.228/2012. In ogni caso, se non si ottiene sospensione e parte il pignoramento, il giudizio tributario va avanti lo stesso per far annullare l’intimazione (ed eventualmente gli atti successivi, con richiesta di estinzione del pignoramento).

Esito del ricorso tributario: La Corte di Giustizia Tributaria esaminerà i motivi e le prove:

  • Se accoglie il ricorso, l’intimazione viene annullata (in tutto o in parte). Ciò comporta che anche gli atti esecutivi eventualmente avviati su quell’intimazione decadono (il pignoramento basato su un atto annullato va revocato). Ad esempio, se viene riconosciuta la prescrizione, il giudice dichiarerà non dovuto il tributo e annullerà l’intimazione e la cartella sottostante.
  • Se respinge il ricorso, l’intimazione resta valida e la riscossione procederà. Si può appellare la sentenza alla Commissione Regionale (Corte di Giustizia di 2° grado) entro 60 giorni dalla notifica della sentenza.

Importante: secondo la Cassazione, l’intimazione non impugnata fa consolidare il debito. Quindi, se avevate motivi come prescrizione o vizi di notifica e non li avete fatti valere ora, non potrete farlo successivamente (ad esempio in sede di opposizione all’esecuzione dopo il pignoramento vi diranno che dovevate opporre l’intimazione). In pratica l’intimazione chiude il cerchio: diventa essa stessa titolo definitivo se non contestata. Dunque, per i tributi, è cruciale non lasciar scadere i 60 giorni se avete qualcosa da obiettare.

Opposizione in sede civile (Giudice ordinario)

Non tutti i debiti riscossi da Agenzia Entrate-Riscossione rientrano nella giurisdizione tributaria. Per alcuni tipi di crediti, l’intimazione andrà impugnata davanti all’autorità giudiziaria ordinaria. Bisogna quindi distinguere:

  • Contributi previdenziali INPS/INAIL: le somme richieste a ruolo per contributi non versati (es. di lavoratori dipendenti, contributi artigiani/commercianti, gestione separata) sono di natura previdenziale. Le controversie su di esse rientrano nella competenza del Giudice del Lavoro (Tribunale, sezione lavoro) ai sensi della legge. Ad esempio, se un’azienda riceve un’intimazione per contributi INPS, dovrà fare opposizione all’avviso di addebito/cartella davanti al Tribunale (entro 40 giorni dalla notifica, come previsto per le cause previdenziali). Nel caso specifico di un’intimazione successiva, si può proporre un’opposizione agli atti esecutivi (ex art. 617 c.p.c.) entro 20 giorni, oppure un’azione dichiarativa in tribunale per far accertare l’intervenuta prescrizione (che per contributi è 5 anni). Attenzione: c’è stata incertezza su chi decide la prescrizione dopo cartella non opposta; la Cassazione a Sezioni Unite n. 2098/2025 ha chiarito che, se il credito è tributario, è il giudice tributario a decidere anche su prescrizione sopravvenuta. Per i contributi, analogamente, l’indirizzo è che resti il giudice ordinario competente.
  • Sanzioni amministrative (multe stradali, altre ammende): se l’intimazione riguarda una multa del Codice della Strada, la giurisdizione è del Giudice di Pace (per importi fino a €15.000 circa) o del Tribunale in composizione monocratica (sopra tale soglia, rarissimo per multe). Tecnicamente, se ci siamo lasciati scappare il ricorso al GdP contro la cartella entro 30 giorni dall’epoca, potremmo ancora opporre l’intimazione al GdP entro 30 giorni come opposizione tardiva per difetti (notifica mai avvenuta, prescrizione di 5 anni maturata, ecc.). In effetti, alcuni ricorrono al Giudice di Pace contro l’intimazione per far valere la prescrizione delle multe (che è quinquennale) o la mancata notifica del verbale originale.
  • Altri crediti non tributari: ad esempio, somme per recupero di aiuti di Stato, sanzioni per violazioni diverse (antitrust, etc.) – vanno valutate caso per caso, ma in genere sono di competenza del giudice ordinario.
  • Opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.): Indipendentemente dalla natura del credito, se non avete impugnato l’intimazione e siete già al pignoramento, potete fare opposizione all’esecuzione davanti al giudice dell’esecuzione (Tribunale civile) per questioni come pignoramento su somme impignorabili, o contestare la legittimità dell’esecuzione per un fatto estintivo successivo (es. avete pagato dopo l’intimazione, ma il pignoramento è partito lo stesso). Tuttavia, come detto, se è un tributo e avete saltato l’impugnazione dell’intimazione, il giudice civile potrebbe dichiararsi incompetente a rivedere cose che dovevano essere proposte in Commissione. Le SU Cassazione hanno infatti teso a escludere il giudice ordinario in favore di quello tributario per questioni di merito sul credito tributario, anche se sollevate in sede esecutiva. In soldoni: per i tributi, la strada giusta è la Commissione; il giudice ordinario resta solo per aspetti come vizi dell’atto di pignoramento in sé (es. mancata notifica dell’atto di pignoramento, o difetto del precetto se mai dovuto in certi casi, ecc.).

Atto introduttivo in sede civile: Diversamente dal ricorso tributario (che è con ricorso), davanti al giudice ordinario si procede generalmente con un atto di citazione in opposizione ad intimazione (equiparato come un’opposizione ad atto esecutivo). Ad esempio:

  • Per contributi INPS: atto di citazione in opposizione ai sensi dell’art. 615 c.p.c. o ricorso ex L. 46/99 entro 40 giorni, a seconda dei casi.
  • Per multe: ricorso al Giudice di Pace entro 30 giorni dall’intimazione (spesso invocando l’art. 615 c.p.c. analogicamente, o il combinato del DLgs 150/2011 per opposizioni a sanzioni).

Questi atti devono essere ben impostati perché i termini sono stringenti e la procedura civile differente (ad es. per il GdP non vige obbligo di avvocato fino a 1.100 €, oltre conviene avvocato; per il Tribunale serve l’avvocato; e i termini di costituzione, notifica atto, ecc., seguono il c.p.c.).

Motivi sostanziali in sede civile: coincidono con quelli già detti: prescrizione, vizi di notifica, ecc., adattati al contesto. Ad esempio, in un fac-simile di ricorso GdP 2025 contro intimazione per multa, i motivi includono:

  • Mancata notifica del verbale o della cartella (vizio a monte).
  • Intervenuta prescrizione quinquennale del credito di multa.
  • Eventuale vizio proprio dell’intimazione.

Coordinamento delle giurisdizioni: Può capitare che un’intimazione contenga diverse voci, alcune tributarie e altre no (es. stessa intimazione: una cartella IRPEF e una per multa). In teoria andrebbero impugnate separatamente nelle sedi competenti. In pratica, ci si concentra sul motivo prevalente o si presentano due ricorsi separati. Oppure si può adire il giudice ordinario per tutto, ma se c’è parte tributaria il rischio è un difetto di giurisdizione parziale.

Conclusione sulla scelta del rimedio: Il contribuente deve quindi innanzitutto capire la natura del debito intimato:

  • Se è tributo (tassa, imposta, contributo di natura fiscale): giudice tributario entro 60 gg.
  • Se è contributo previdenziale: giudice ordinario (Tribunale lavoro) – normalmente opposizione cartella in 40 gg, ma per l’intimazione specifica consultare un legale per forma e tempi (spesso art. 615 cpc immediato).
  • Se è multa o altra sanzione amm.va: Giudice di Pace entro 30 gg.
  • Se dubbio, meglio fare entrambi (ricorso tributario e opposizione ord) per non sbagliare, ma coordinandosi bene con i legali.

Ricordiamo che laddove possibile è preferibile risolvere in fase di autotutela/sospensione prima di arrivare al contenzioso, ma se ciò non è risolutivo, il ricorso è l’unica via per far valere i propri diritti e bloccare definitivamente pretese illegittime.

Eccezioni: nullità dell’atto e prescrizione dei debiti

In questa sezione riepiloghiamo le principali eccezioni difensive che possono portare all’annullamento dell’intimazione di pagamento o comunque all’annullamento dei debiti sottostanti. In pratica, sono i vizi e le circostanze che un contribuente dovrebbe verificare “subito” quando riceve un’intimazione, perché costituiscono spesso la base per un ricorso vincente o per l’istanza di autotutela.

Vizi di notifica e nullità dell’intimazione

Un’intimazione può essere dichiarata nulla (o annullabile) se non è stata validamente formata o notificata. Alcune situazioni tipiche:

  • Omissione della notifica della cartella presupposta: come già sottolineato, se la cartella di pagamento (o l’accertamento esecutivo) che genera il debito non è mai stata notificata al contribuente, l’intimazione “salta” un passaggio fondamentale ed è affetta da nullità. In giudizio si eccepisce la nullità derivata dell’intimazione per inesistenza/nullità della notifica dell’atto presupposto. AdER dovrà provare il contrario esibendo le relate. Se non lo fa o se le relate mostrano errori (ad es. notifica a indirizzo sbagliato, o mancanza di firme), il giudice annullerà l’intimazione per carenza del presupposto. Questo è uno dei vizi più frequenti e di solito porta a esiti favorevoli al contribuente.
  • Notifica dell’intimazione viziata: può succedere che l’intimazione stessa sia notificata in modo irregolare (es. consegnata a persona non abilitata a ricevere e senza successiva regolarizzazione). Se la notifica è inesistente (mai consegnata, o consegnata a indirizzo totalmente diverso), l’intimazione non produce effetti. Tuttavia spesso il contribuente viene comunque a saperlo (magari tramite estratto di ruolo) e allora deve impugnarla per farne dichiarare l’inesistenza. Se la notifica è semplicemente nulla (es. vizi formali), va contestata con ricorso e il giudice potrà annullarla. La differenza tra inesistenza e nullità è tecnica, ma in entrambi i casi conviene agire.
  • Difetto di contenuto minimo: come visto, l’intimazione deve richiamare gli estremi del debito. In passato alcuni contribuenti hanno eccepito la carenza di motivazione quando l’intimazione si limitava a elencare numeri di cartella senza specificare tributo e anno. La Cassazione ha però respinto tali eccezioni, ritenendo sufficiente il richiamo alle cartelle. Dunque oggi è difficile far valere una nullità per “motivazione insufficiente” se comunque i numeri di cartella sono indicati. Diverso sarebbe se l’intimazione non citasse affatto quali ruoli intima: in tal caso sarebbe evidentemente nulla, ma non accade perché il modello prevede sempre l’elenco.
  • Violazione dell’art. 50 DPR 602/73: se l’Agente non rispetta quanto prescritto dalla legge. Esempi:
    • Mancata intimazione obbligatoria: se hanno eseguito un pignoramento dopo un anno dalla cartella senza notificare prima l’intimazione, quel pignoramento è viziato. L’intimazione in sé manca, ma la si fa valere come eccezione contro il pignoramento (opposizione agli atti esecutivi). Questo di fatto rende nullo l’atto esecutivo per violazione dell’art.50, co.2. (Ecco perché Equitalia è sempre attenta a notificare intimazioni su ruoli “vecchi”).
    • Intimazione reiterata senza nuova escussione: se l’intimazione è scaduta (dopo 1 anno) e l’Agente non ne fa una nuova e procede lo stesso, c’è violazione del co. 2 e 3. Anche qui, la difesa è far rilevare che l’intimazione era decaduta e serviva un’altra (quindi l’esecuzione intrapresa è illegittima).
  • Invalidità derivata da atti successivi irregolari: esempio: se viene iscritto un fermo senza preavviso o un’ipoteca senza preavviso, l’intimazione in sé non c’entra ma la sequenza procedurale è viziata. Non è esattamente nullità dell’intimazione, ma in un ricorso spesso si cumulano le richieste: annullare intimazione e anche il fermo eseguito senza preavviso, ecc.

Va detto che non tutte le nullità portano all’annullamento automatico: se l’errore è considerato “mero errore materiale” e non incide sui diritti, il giudice potrebbe ritenere l’atto valido lo stesso (principio di raggiungimento dello scopo). Ad esempio, se nell’intimazione c’è un refuso nel numero della cartella ma comunque identifica il debito chiaramente, non la annulleranno per quello.

Prescrizione e decadenza: quando il debito si estingue

La prescrizione è un’arma potentissima per il debitore, poiché estingue il debito se l’ente creditore/Agente della riscossione è rimasto inattivo per troppo tempo. Bisogna però conoscere i tempi di prescrizione esatti, che variano a seconda della natura del credito:

  • Imposte erariali (Statali): IRPEF, IVA, IRES, IRAP, imposta di registro, bollo, ecc. In base all’orientamento consolidato (Cass. SS.UU. 23397/2016), se l’imposta deriva da un accertamento definitivo o cartella non impugnata, si applica la prescrizione ordinaria di 10 anni. Questo perché diventano somme certe ed esigibili come da titolo definitivo equiparato a sentenza. Dunque un’intimazione per IVA non pagata potrà essere contestata se sono passati oltre 10 anni dall’ultima notifica valida. Eccezione: alcune componenti accessorie hanno 5 anni (le sanzioni tributarie e interessi potrebbero prescriversi in 5 anni secondo l’art. 20 D.Lgs.472/97 e art. 2948 c.c.).
  • Tributi locali: (IMU, TASI, TARI, ICP ecc.) hanno termine di prescrizione quinquennale salvo eccezioni. Ad es. IMU è 5 anni; la TARI (tassa rifiuti) è 5 anni. In generale le entrate locali non aventi natura tributaria si prescrivono in 5 anni in quanto pagamenti periodici ex art. 2948 c.c. n.4.
  • Contributi previdenziali INPS/INAIL: prescrizione 5 anni (ridotta a 5 anni anche per contributi da lavoro dopo le riforme, prima alcuni erano 10 ma dal 2013 uniformati a 5). Quindi una cartella INPS non riscossa si estingue dopo 5 anni di inerzia.
  • Premi assicurativi INAIL: 5 anni (equiparati ai contributi).
  • Multe stradali: 5 anni dal momento in cui il ruolo è divenuto esecutivo (ossia in genere 5 anni + 60gg dalla multa se non opposta). Importante: se avete una multa in cartella, e per 5 anni dopo la notifica della cartella non vi hanno fatto intimazioni o altro, è prescritta.
  • Bollo auto: 3 anni (prescrizione breve prevista da legge per tassa automobilistica).
  • Altre sanzioni amministrative: in genere 5 anni (es. sanzioni per violazioni amministrative varie, ex L.689/81, soggette a prescrizione quinquennale).

Questi termini decorrono, per le somme a ruolo, dal giorno successivo alla scadenza della cartella se la cartella non è impugnata. Ogni atto notificato nel frattempo (sollecito, intimazione stessa, pignoramento) interrompe la prescrizione, facendo decorrere di nuovo il termine da capo. Dunque, per valutare la prescrizione occorre costruire la “cronologia”:

  • Data notifica cartella -> +5 o 10 anni (a seconda del tributo).
  • Se nel mezzo c’è stato un sollecito (anche una intimazione precedente, o un atto di pignoramento poi non andato a buon fine, etc.), quello interrompe.
  • Se un periodo superiore al termine è trascorso senza atti, il credito è prescritto e l’intimazione è illegittima.

Decadenza: Diverso dalla prescrizione, riguarda i termini per l’ente di formare e notificare gli atti (es. l’Agenzia Entrate ha tot anni per notificare l’avviso di accertamento, il Comune tot anni per la cartella TARI, etc.). Se questi termini iniziali sono violati, l’atto originario era già nullo. Esempio: avviso TARI va notificato entro 5 anni dall’anno di imposta; se notificato dopo è decaduto -> la cartella è nulla -> anche l’intimazione lo è. Però la decadenza va fatta valere tempestivamente contro l’atto decaduto (cartella). Se non l’hai impugnato e ora è definitiva, non puoi più invocare decadenza dell’accertamento in sede di intimazione (perché dovevi farlo prima, essendo vizio proprio dell’atto impositivo). Quindi la decadenza è rilevante solo in sede di sospensione L.228 (che infatti la menziona) o se l’atto presupposto non ti fu notificato (allora sollevi decadenza perché l’atto non notificato e tardivo non può essere ora riscoss0).

Verifiche pratiche per il contribuente: Quando arriva un’intimazione, controllare le date:

  • Quando è stata notificata la cartella X?
  • Ci sono stati atti in mezzo (avvisi bonari, solleciti, preavvisi)?
  • Calcolare quanti anni sono trascorsi.
    Se notate che sono passati più di 5 (o 10 a seconda) anni di silenzio, c’è un’alta probabilità che la pretesa sia prescritta e dunque contestabile con successo. Ad esempio, un intimazione nel 2025 per una cartella del 2017 (8 anni prima) senza solleciti nel mezzo indica molto probabilmente prescrizione quinquennale superata (se tributo locale, contributo, ecc.) e quindi dà luogo a ricorso vittorioso.

Effetti della prescrizione: Se il giudice accerta la prescrizione, dichiara il credito inesigibile e annulla l’intimazione e i ruoli. Ciò non solo evita i pignoramenti, ma significa che il debito non è più dovuto per legge, e l’ente non può emetterlo di nuovo (è estinto). Attenzione però: se pagate volontariamente un importo prescritto, non avete diritto alla restituzione (art. 2940 c.c.), quindi meglio far valere la prescrizione prima di pagare, non dopo.

Contestazioni frequenti sulla prescrizione: La difesa dell’Agente spesso è: “No, è 10 anni perché c’era atto definitivo”. Sta alla controversia giuridica: come abbiamo visto, la Cassazione SS.UU. ha optato per la distinzione (tributi erariali 10, locali 5, contributi 5). Oggi questo è il prevalente. Anche Cass. SS.UU. 2098/2025 ha ribadito che il giudice tributario può decidere sulla prescrizione maturata post-cartella, quindi non serve andare dal giudice ordinario per farla valere: lo fate in Commissione (o GdP per le multe).

Nullità per vizi sostanziali vari: Oltre ai vizi di forma e prescrizione, citiamo anche:

  • Importo errato: se l’importo intimato è palesemente sbagliato (magari più alto di quanto risultante dalle cartelle per errori di calcolo), è un motivo di ricorso (errore materiale) e l’intimazione può essere annullata o rettificata.
  • Soggetto non tenuto: se arriva a persona deceduta (e gli eredi non hanno accettato l’eredità o hanno accettato con beneficio e i termini…), oppure a un coobbligato che non lo è legalmente – vizi di legittimazione.
  • Cartella già impugnata e sospesa dal giudice: se per esempio avevate un ricorso pendente sulla cartella con sospensione, l’intimazione in pendenza di giudizio è di regola nulla (essendoci sospensione giudiziale, l’Agente non può procedere).
  • Difetto di qualità dell’agente: in casi remoti, si è contestato il difetto di potere di Agenzia Entrate-Riscossione su certe entrate se non aveva formale delega (questioni ormai risolte dalla legge istitutiva di AdER nel 2017 che le ha affidato tutto il carico ex Equitalia).

In conclusione, nullità e prescrizione sono i due pilastri su cui costruire la difesa. Se presenti, permettono al contribuente di liberarsi totalmente dell’intimazione e del debito annesso. È fondamentale sollevarle tempestivamente e nella sede appropriata, perché spesso non sono rilevabili d’ufficio dal giudice: se il contribuente non le eccepisce, passano in giudicato. Quindi alla domanda “Ho ricevuto un’intimazione, cosa fare subito?”, una parte della risposta è: verifica subito se puoi contestare notifica o prescrizione. Questo potrebbe salvarti dal pagamento di somme non dovute.

Simulazioni e casi pratici

Per comprendere meglio come applicare le regole sopra esposte, analizziamo alcuni casi pratici tipici di intimazione di pagamento e relative possibili strategie. I seguenti esempi riguardano rispettivamente un privato (persona fisica) per un debito di tassa comunale, un’impresa per contributi previdenziali non versati, e un libero professionista con debiti IVA.

Caso 1: Privato con intimazione su cartella TARI

Scenario: Il Sig. Mario Rossi, residente a Milano, riceve nel marzo 2025 un’intimazione di pagamento dall’AdER. Nell’intimazione sono indicate due cartelle esattoriali relative alla TARI (Tassa Rifiuti) del Comune, per gli anni 2018 e 2019, per un importo totale di € 1.200 (comprensivo di sanzioni e interessi). Mario ricordava di aver avuto problemi economici in quei periodi e di non aver pagato la tassa; aveva poi ricevuto le cartelle nel 2020 ma, pressato da altre spese, non vi aveva adempiuto. Ora, a distanza di qualche anno, arriva questa intimazione che lo invita a pagare € 1.200 entro 5 giorni, avvertendolo che in difetto si procederà al pignoramento.

Verifica iniziale: Mario controlla i documenti:

  • Trova in effetti copia di due cartelle TARI notificate via raccomandata nel settembre 2020. Quindi la notifica originaria delle cartelle c’è stata.
  • Da allora, non ha ricevuto ulteriori comunicazioni dal Comune o da AdER (nessun sollecito, nessun preavviso di fermo).
  • Siamo nel 2025: sono passati circa 4 anni e mezzo dalla notifica delle cartelle. La TARI è un tributo locale a prescrizione quinquennale. Dunque, teoricamente la possibilità di riscuotere coattivamente queste somme si prescrive dopo 5 anni dall’ultima notifica valida (settembre 2020 + 5 anni = settembre 2025). L’intimazione di marzo 2025 è arrivata prima che maturassero 5 anni, quindi interrompe la prescrizione. Non si può ancora sostenere che il credito sia prescritto, perché siamo a 4 anni e mezzo, sotto il limite. (Se AdER avesse ritardato oltre settembre 2025, Mario avrebbe potuto eccepire la prescrizione quinquennale; ma qui sono in tempo).
  • Mario verifica se per caso le cartelle fossero viziate o se abbia pagato qualcosa: niente pagato, notifiche regolari. Non ci sono errori evidenti negli importi.

Valutazione rischi: L’importo è € 1.200, quindi sopra i 1.000 €: l’Agente può agire subito dopo 5 giorni. Cosa rischia Mario? Probabilmente, essendo un privato senza partita IVA, il rischio più concreto è il pignoramento del conto corrente o dello stipendio (Mario lavora come dipendente). Un fermo auto è possibile se possiede un’auto (lo possiede, ma è datata), e un’ipoteca no perché non ha immobili di proprietà. Il pignoramento stipendio è temuto: potrebbe portargli via 1/10 dello stipendio finché saldato. Mario vorrebbe evitare queste misure.

Opzioni di Mario:

  1. Pagare subito € 1.200 entro 5 giorni. Ha messo qualcosa da parte, ma non l’intera somma liquida. Potrebbe però chiedere aiuto in famiglia e pagare. Se paga, fine dei problemi. Valuta comunque se l’importo è corretto: sembra di sì.
  2. Rateizzare: Può chiedere una dilazione. € 1.200 è un importo dilazionabilissimo. Anche online, in pochi clic potrebbe ottenere ad esempio 18 rate da ~€ 70 mensili. Con la rateazione, AdER sospende tutto. Questa opzione gli è congeniale perché l’importo, seppur non enorme, gli peserebbe pagarlo in una volta. Mario decide quindi di chiedere la rateizzazione. Essendo già arrivate intimazioni, deve fare in fretta, ma per fortuna la procedura online è immediata:
    • Si collega al sito AdER con SPID e utilizza “Rateizza adesso”. Inserisce i riferimenti delle cartelle (le trova anche nell’intimazione) e sceglie di dilazionare.
    • Ottiene un piano di 24 rate mensili (2 anni) dato che il sistema glielo propone automaticamente.
    • Genera il piano, lo accetta e scarica i bollettini. Paga subito la prima rata (circa € 50) online.
    • Così facendo, entro i 5 giorni ha attivato la rateazione e pagato la prima rata.
    • Il giorno dopo invia via PEC ad AdER una comunicazione con ricevuta prima rata e copia piano rateazione, chiedendo conferma che l’intimazione è da intendersi sospesa per effetto della rateazione.
    • AdER risponde (o comunque in base alla normativa) che la rateazione accordata sospende le azioni. Mario si è messo al sicuro: niente pignoramenti, a patto che paghi le rate puntualmente.
  3. (In alternativa, se Mario non avesse voluto o potuto rateizzare, avrebbe potuto valutare un ricorso. Ma in questo caso quali motivi? Prescrizione ancora no, vizi no, l’unica sarebbe magari attaccarsi a un vizio formale improbabile. Quindi ricorso con scarse chance, sconsigliato. Oppure chiedere la sospensione 228/2012? Non ci sono cause valide, lui il debito lo deve. Quindi, giustamente, ha preferito la soluzione transattiva del pagamento a rate).

Conclusione caso 1: Mario ha gestito il caso in maniera efficace scegliendo la rateizzazione. Così facendo:

  • Ha evitato che dopo 5 giorni scattasse il pignoramento stipendio.
  • Ha diluito il pagamento in comode rate.
  • Non ha dovuto intraprendere contenziosi, dato che il debito era dovuto e non c’erano motivi di annullamento.
  • Una volta finite le 24 rate, sarà a posto con la TARI e senza ipoteche sul futuro.

Nota didattica: Questo caso mostra che per i debiti riconosciuti come dovuti, è consigliabile sfruttare gli strumenti di adempimento (pagamento/ratte) piuttosto che lasciare andare in esecuzione. Il costo psicologico e anche economico di un pignoramento (spese, segnalazioni) può essere ben superiore allo sforzo di pagare ratealmente. Mostra anche che per tributi locali come la TARI la prescrizione è 5 anni, e come AdER di solito provveda entro quel termine a non far decadere la riscossione (qui ha fatto intimazione a 4,5 anni, sul filo).

Caso 2: Impresa con contributi INPS non versati

Scenario: La società Alfa S.r.l. (una piccola impresa edile) riceve un’intimazione di pagamento riferita a contributi INPS non versati per i dipendenti relativi all’anno 2019. L’importo intimato è di € 25.000. In dettaglio, l’intimazione elenca un avviso di addebito INPS emesso nel 2020 e una cartella per un altro periodo, entrambi non pagati. L’azienda aveva effettivamente avuto problemi di liquidità nel 2019 e aveva saltato i versamenti di contributi; l’INPS ha iscritto a ruolo il dovuto. Ora l’Agenzia delle Entrate-Riscossione ingiunge di pagare il totale entro 5 giorni, altrimenti procederà.

Verifica iniziale: L’amministratore di Alfa Srl controlla:

  • Notifiche precedenti: ricorda di aver ricevuto un Avviso di addebito INPS (che è l’atto esecutivo con valore### Caso 2: Impresa con intimazione per contributi INPS non versati
    Scenario: La Alfa S.r.l. riceve un’intimazione di pagamento per € 25.000 riferita a contributi previdenziali INPS non versati nel 2019. In particolare sono indicati un avviso di addebito INPS emesso a fine 2020 e una cartella per differenze contributive, mai pagati. La società, all’epoca in difficoltà finanziarie, aveva anche avviato un contenzioso contro l’INPS contestando parte di questi addebiti (riteneva, ad esempio, che alcuni contributi fossero stati indebitamente richiesti doppio). Nel 2024 il Tribunale del Lavoro ha emesso una sentenza che accoglie in parte il ricorso di Alfa Srl, annullando circa metà delle somme richieste (per difetto di fondamento), lasciando dovuti però gli altri contributi. Questa sentenza, favorevole in parte ad Alfa, non è stata ancora recepita dall’INPS (che peraltro ha appellato la decisione). Nel frattempo, AdER – ignara del giudizio in corso – nel marzo 2025 notifica l’intimazione per l’intero importo originario di € 25.000.

Problemi e rischi: Il debito complessivo è elevato (> € 20.000) e la società possiede alcuni beni immobili (un magazzino): l’Agenzia potrebbe iscrivere ipoteca sul magazzino, data la soglia superata. Inoltre, potrebbe bloccare i conti aziendali o pignorare crediti verso clienti (essendo un’impresa edile, incassa pagamenti da committenti). Ciò metterebbe a rischio la liquidità aziendale e i cantieri in corso. C’è però un elemento chiave: metà di quel debito potrebbe non essere dovuto in virtù della sentenza ottenuta (che AdER ancora chiede per intero). Pagare tutto significherebbe pagare anche la parte contestata e annullata dal giudice, il che non è giusto. D’altra parte, la società non può neanche ignorare l’intimazione perché subirebbe azioni per l’intero importo.

Strategia: L’amministratore di Alfa Srl decide di sfruttare la procedura di sospensione legale prevista dalla L. 228/2012. Entro pochi giorni dalla notifica, fa preparare dal consulente un’istanza di sospensione indirizzata ad Agenzia Entrate-Riscossione, dichiarando che parte del debito non è esigibile in quanto c’è una sentenza del Tribunale che ha annullato quegli importi. Nella dichiarazione (su modello SL1):

  • Elenca i riferimenti delle cartelle/avvisi INPS inclusi nell’intimazione.
  • Spunta la casella relativa a “sentenza che ha annullato in tutto o in parte la pretesa”.
  • Allegherà copia autentica della sentenza 2024.
  • Chiede contestualmente la sospensione immediata delle azioni esecutive.

Invia l’istanza via PEC all’AdER competente. Effetti: quasi immediatamente, l’Agenzia sospende ogni attività di riscossione. L’intimazione di fatto viene “congelata”: niente pignoramenti sui conti, niente ipoteche, in attesa della risposta dell’INPS. Quest’ultima dovrà verificare la sentenza:

  • Se l’INPS (creditore) dovesse accogliere l’istanza, disporrà lo sgravio degli importi annullati dal giudice e comunicherà all’AdER di procedere solo sul residuo (verosimilmente intorno a € 12.500).
  • Se l’INPS respinge (ipotizzando faccia valere che la sentenza non è definitiva perché appellata), AdER potrà riprendere la riscossione, ma a quel punto Alfa Srl potrà valutare altre azioni (ad es. ricorrere contro l’intimazione per la parte rimanente in contestazione).
  • Nessuna risposta: se, ipotesi remota, trascorrono 220 giorni senza esito, per legge il debito verrà annullato. (In pratica, l’INPS difficilmente lascerà correre tanto, ma è una tutela in più per la società).

Nel frattempo, Alfa Srl, sapendo di dover comunque pagare almeno la metà non contestata (circa € 12.500), richiede la rateizzazione di tale importo. Anche se formalmente l’istanza di sospensione blocca tutto, l’azienda mostra buona fede versando quanto riconosce dovuto: presenta domanda di dilazione per € 12.500 e inizia a pagare le rate sul dovuto certo. Questo tornerà utile anche per eventuali trattative: dimostrano di voler regolarizzare la parte non controversa.

Possibili esiti: Grazie a questa strategia combinata:

  • L’azienda ha evitato i rischi immediati di pignoramenti e ipoteche sulla base di un debito contestato (sfruttando la sospensione legale).
  • Ha guadagnato tempo per far valere le proprie ragioni fino all’esito definitivo del giudizio con l’INPS (che probabilmente arriverà in appello l’anno seguente).
  • Ha già iniziato a sanare la parte di contributi effettivamente dovuti tramite rate, evitando di accumulare ulteriori interessi di mora su quella.
  • Se l’INPS dovesse perdere l’appello o comunque confermarsi che metà del debito non era dovuta, Alfa Srl potrebbe addirittura ottenere l’annullamento totale di quell’intimazione per la quota eccedente, senza dover pagare ciò che non doveva.

Nota didattica: Questo caso mostra l’importanza di far valere tempestivamente situazioni particolari: una sentenza favorevole, un errore palese, un pagamento già fatto, ecc. La sospensione ex L.228/2012 è stata risolutiva per stoppare l’intimazione. Se Alfa Srl non si fosse attivata, avrebbe rischiato di subire azioni per l’intero importo e poi magari dover inseguire rimborsi. Invece, così, tutela i propri diritti. Naturalmente, occorre avere fondamento: in questo caso c’era un provvedimento giudiziario concreto. Se non avesse avuto alcuna base, la sospensione non sarebbe stata concessa e avrebbe dovuto procedere con altre soluzioni (pagare o ricorrere). Inoltre, il caso evidenzia la prescrizione contributiva di 5 anni: i ruoli del 2020 sarebbero caduti in prescrizione a fine 2025; AdER ha agito poco prima. Dunque l’azienda non poteva sperare di “farla franca” aspettando, anzi era nel mirino giusto in tempo.

Caso 3: Professionista con debiti IVA non pagati

Scenario: Il Dott. Giovanni Bianchi, libero professionista (consulente informatico con partita IVA), riceve un’intimazione di pagamento per un debito IVA di € 15.000. Tale importo deriva dall’IVA dovuta sulla dichiarazione annuale 2018 che Giovanni non è riuscito a versare all’erario. L’Agenzia delle Entrate ha formato un ruolo e AdER gli ha notificato una cartella di pagamento nel 2020, mai pagata. Nel 2021 Giovanni aveva richiesto una rateizzazione, ma dopo aver pagato alcune rate, è decaduto dal piano a causa di difficoltà durante la pandemia (ha saltato più di 8 rate). Ora, aprile 2025, ecco l’intimazione che gli intima di versare il residuo € 15.000 entro 5 giorni.

Problemi e rischi: Giovanni, da professionista, non ha uno stipendio fisso pignorabile, ma ha un conto corrente dove confluiscono i pagamenti dei clienti per i suoi servizi. Il rischio principale è un pignoramento del conto corrente: ciò bloccherebbe di colpo tutti i suoi fondi e magari i bonifici in arrivo dai clienti, mettendolo in seria difficoltà operativa (non potrebbe pagare fornituri, collaboratori, ecc.). Potrebbe anche subire un fermo amministrativo sulla sua automobile; quest’ultima è essenziale per recarsi presso i clienti, quindi un fermo gli impedirebbe di lavorare efficacemente (anche se in teoria potrebbe opporre che è bene strumentale all’attività, dovrebbe però dimostrarlo). Non possiede immobili (è in affitto), quindi almeno l’ipoteca non è in gioco. In generale, però, ignorare l’intimazione non è un’opzione: potrebbe di fatto paralizzare la sua attività.

Verifiche possibili: Giovanni verifica se ci sono motivi di contestazione:

  • La cartella 2020 era stata regolarmente notificata via PEC, lui l’aveva ricevuta e infatti aveva iniziato a pagarla a rate.
  • Prescrizione: dal momento di decadenza del piano (metà 2022) ad oggi, sono passati circa 3 anni, quindi ben entro i 10 anni previsti per IVA.
  • Errori di calcolo non ce ne sono; anzi, residuano sanzioni e interessi di mora per via della decadenza.
  • Non c’è alcun elemento di nullità evidente (anche la notifica PEC dell’intimazione è ok).
    Insomma, il debito è dovuto.

Opzioni: L’unica strada sensata è regolarizzare il debito per evitare il pignoramento. Giovanni prende contatto con Agenzia Entrate-Riscossione per capire se può accedere a un nuovo piano di rateizzazione, dato che in passato è decaduto. Scopre che grazie a norme sopravvenute può chiedere una nuova dilazione purché paghi upfront le rate scadute del vecchio piano (o attenda 24 mesi dalla decadenza, periodo ormai trascorso) – in ogni caso c’è margine. Decide quindi di:

  • Richiedere una rateazione sul residuo € 15.000. Presenta l’istanza (tramite il commercialista) per 60 rate mensili. Vista la decadenza passata, l’Agente può richiedere qualche garanzia, ma per importi modesti generalmente concede un nuovo piano dopo il periodo di attesa.
  • Nel frattempo, per sicurezza e per ridurre il debito, effettua subito un pagamento parziale di € 3.000 entro i 5 giorni, giusto per abbassare l’importo e dimostrare impegno.
  • Paga regolarmente la prima rata del nuovo piano appena viene approvato.

Effetti: Ottenuta la rateizzazione, l’intimazione viene sostanzialmente superata: l’Agenzia non procederà con il pignoramento, perché il debito è stato “congelato” nel piano dilazionato. Giovanni si impegna a rispettare le scadenze mensili. Questo gli permette di:

  • Evitare il blocco del suo conto e continuare la sua attività senza intoppi.
  • Pianificare il pagamento su 5 anni, più gestibile con il suo flusso di cassa.
  • Tornare in regola fiscalmente, ottenendo anche la possibilità di avere un DURF regolare (documento fiscale) se dovesse servire per contratti, e in generale di non accumulare ulteriori interessi di mora.

Nota: Giovanni ha valutato anche un’altra cosa: un debito IVA molto alto può avere riflessi penali (omesso versamento IVA sopra soglia di legge). Nel suo caso 15k è sotto il limite di punibilità (oggi € 250.000), quindi non rischiava sanzioni penali, ma ha comunque evitato di far crescere il debito. Qualora il debito IVA fosse stato enorme, la condotta più prudente sarebbe ancora di più trovare un accordo di pagamento o una definizione agevolata per evitare di oltrepassare la soglia penalmente rilevante.

Insegnamento dal caso 3: Per i debiti tributari non contestabili, agire rapidamente con gli strumenti di dilazione può salvare la propria situazione economica. Anche se Giovanni aveva “fallito” una prima rateizzazione, la legge italiana negli anni ha mostrato una certa flessibilità, permettendo di rientrare nei piani dopo un periodo o con certe condizioni. È importante informarsi (anche presso AdER stessa) sulle possibilità aggiornate. Inoltre, il caso sottolinea che un professionista con debiti fiscali farebbe bene a cercare soluzioni concordate: l’alternativa, subire il pignoramento conto, sarebbe disastrosa. Pagare qualcosa entro i 5 giorni è stato saggio, perché se anche per ipotesi il pignoramento fosse partito al 6° giorno, sul conto avrebbero trovato già meno soldi (avendone lui destinati una parte al Fisco).

Modelli di ricorso e istanze (fac-simile)

Di seguito forniamo indicazioni e schemi generali di atti difensivi che un contribuente (o il suo legale) può utilizzare per reagire a un’intimazione di pagamento. Si tratta di fac-simili semplificati a scopo illustrativo, da adattare ai singoli casi.

Fac-simile di ricorso alla Commissione Tributaria

Quando si decide di impugnare un’intimazione davanti al giudice tributario, l’atto introduttivo è un ricorso. Ecco gli elementi tipici che deve contenere:

  • Intestazione all’organo giudiziario competente: es. “Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di [Nome Città]” (già Commissione Tributaria Provinciale).
  • Dati del ricorrente: indicare le generalità del contribuente (nome, codice fiscale/partita IVA, residenza o domicilio fiscale) ed eventuale difensore incaricato (con relativi recapiti e indirizzo PEC).
  • Dati del resistente: indicare l’ente contro cui si ricorre. Nel caso di intimazione, il resistente principale è Agenzia delle Entrate-Riscossione, eventualmente con l’indicazione della Direzione provinciale competente. Se nel ricorso si contestano aspetti del tributo, è opportuno citare anche l’ente impositore originario (es. Comune di X per TARI, Agenzia delle Entrate – Ufficio Y per IRPEF, etc., in qualità di convenuto obbligato litisconsorte).
  • Atto impugnato: descrivere l’intimazione impugnata: “ricorre avverso l’intimazione di pagamento n. XXXX notificata in data [gg/mm/aaaa] relativa alle cartelle di pagamento nn… (elenchi estremi)”. Va allegata copia dell’atto.
  • Fatti (In fatto): narrare in modo ordinato la vicenda: es. “In data … il ricorrente riceveva cartella n… relativa a …; in data … riceveva l’intimazione ora impugnata; il ricorrente ritiene l’atto illegittimo per i motivi di seguito esposti…”. È importante evidenziare cronologicamente eventuali mancanze (es. mai ricevuto la cartella) o circostanze rilevanti (es. avvenuto pagamento, presenza di sentenze, ecc.).
  • Motivi di ricorso (In diritto): elencare puntualmente le censure mosse all’intimazione, ciascuna preferibilmente con un titolo. Ad esempio:
    1. Nullità dell’intimazione per omessa notifica dell’atto presupposto: sviluppare il motivo citando l’art. 19 D.Lgs. 546/92 e l’art. 26 DPR 602/73, sostenendo che la cartella X cui l’intimazione si riferisce non risulta notificata validamente, violando così il diritto di difesa (magari richiamando giurisprudenza: Cass. n. …).
    2. Intervenuta prescrizione del credito: se applicabile, argomentare che tra la notifica della cartella (o altro atto) e l’intimazione sono trascorsi oltre X anni (specificare), in violazione dei termini di prescrizione ex art. 2946/2948 c.c. e giurisprudenza pertinente.
    3. Vizio di motivazione dell’intimazione: (da usare solo se pertinente, ad es. mancanza di indicazione degli atti, anche se come visto la giurisprudenza richiede solo il numero cartella).
    4. Violazione art. 50 DPR 602/73: ad esempio se l’intimazione è stata notificata oltre un anno dalla cartella ma seguita da pignoramento tardivo, ecc.
    Ogni motivo deve concludersi con la spiegazione di perché l’atto è illegittimo e citare norme violate e magari precedenti (si possono citare sentenze come Cass. SU 26817/2024 sull’impugnabilità, Cass. 22108/2024 su motivazione, etc., se rilevanti).
  • Richiesta di sospensione (eventuale): se si chiede la sospensiva, inserire un paragrafo specifico evidenziando il periculum (danno grave: pignoramento imminente) e il fumus (motivi validi).
  • Conclusioni (P.Q.M.): la parte finale in cui si formula la richiesta al giudice. Ad esempio: “Si chiede che l’Ecc.ma Corte di Giustizia Tributaria voglia annullare l’intimazione di pagamento n… per i motivi esposti, con ogni conseguenza di legge. In via subordinata, annullare parzialmente l’atto limitatamente ai carichi… Si chiede inoltre la condanna alle spese di giudizio.”. Se pertinente, inserire “Si chiede in via cautelare la sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato, ai sensi dell’art. 47 D.Lgs. 546/92”.
  • Luogo, data e firma del ricorrente o del difensore. Allegare la procura alle liti se c’è un difensore (di solito a margine o su foglio a parte).
  • Allegati: elenco degli allegati: copia dell’intimazione impugnata, delle cartelle, eventuali documenti (ricevute, copie sentenze, istanze presentate, ecc.), ricevuta PEC di notifica del ricorso all’AdER, ecc.

Una volta predisposto, il ricorso va notificato all’Agenzia delle Entrate-Riscossione (e all’ente impositore se parte) entro 60 giorni dalla notifica dell’intimazione, preferibilmente via PEC. Quindi va depositato presso la segreteria della Corte tributaria (oggi tramite SIGIT – processo tributario telematico) entro 30 giorni dalla notifica, con la ricevuta di avvenuta consegna PEC come prova. Da lì inizierà il giudizio tributario.

Fac-simile di istanza in autotutela (sospensione legale ex L.228/2012)

Quando si opta per la strada amministrativa della sospensione, si deve inviare un’istanza/dichiarazione all’Agente della riscossione. Può essere redatta in carta libera (o tramite il modulo predisposto SL1). Ecco un possibile schema:

  • Destinatario: Agenzia delle Entrate-Riscossione – Direzione Provinciale di ______ (indicare l’ufficio che ha emesso l’intimazione, se noto).
  • Oggetto: Istanza di sospensione legale della riscossione ai sensi dell’art. 1, c.537 L.228/2012 – Intimazione di pagamento n. ____.
  • Dati del dichiarante: Nome e cognome (o denominazione società) del debitore, cod.fisc/P.IVA, indirizzo, eventuale PEC.
  • Corpo della dichiarazione:
    • Riferimento atto: “Il sottoscritto ha ricevuto in data ____ l’intimazione di pagamento n. ___ relativa alle cartelle/avvisi indicati in allegato.”
    • Dichiarazione causa di sospensione: “Ai sensi e per gli effetti dell’art.1, comma 537, L.228/2012, dichiara che la riscossione delle somme di cui all’intimazione deve essere sospesa in quanto il relativo credito non è esigibile per la seguente causa: (barrare o indicare la causa) .”
      Qui si elenca la circostanza specifica. Se si usa il modulo, vi sono opzioni: pagamento effettuato in data … come da quietanza allegata; prescrizione o decadenza maturata in data …; sgravio/annullamento disposto dall’ente creditore prot. n…; sentenza favorevole n…/… del … (allegata); altra causa: ______.
    • Richiesta: “Si chiede quindi la sospensione immediata di ogni attività di riscossione relativa ai suddetti importi e l’annullamento degli stessi qualora la presente dichiarazione risulti fondata, come previsto dalla legge.”
    • Impegno alla veridicità: (importante) “Il sottoscritto è consapevole delle responsabilità penali ex art. 76 DPR 445/2000 in caso di dichiarazioni mendaci.” (Questa formula è presente anche nel modello standard).
  • Luogo, data e firma del dichiarante (se PEC, firma digitale o scansione con documento).
  • Allegati: elenco documenti probatori allegati (esempio: copia ricevuta pagamento del…; copia sentenza Tribunale…; copia provvedimento di sgravio n…, copia dell’intimazione ricevuta, documento d’identità).

Questa istanza va inviata entro 90 giorni dalla notifica dell’intimazione (o primo atto di riscossione). La modalità migliore è tramite PEC all’indirizzo PEC dell’Agente della riscossione dedicato (reperibile sul sito AdER, esistono PEC per regione). In alternativa, a mezzo raccomandata A/R o consegna a sportello protocollando il documento.

L’Agenzia, ricevuta la dichiarazione, sospende subito la riscossione e avvia le verifiche con l’ente creditore competente. Come spiegato, entro 60 giorni l’ente deve rispondere; intanto il contribuente non subisce azioni esecutive. È importante dunque inviare l’istanza in tempi rapidissimi e assicurarsi che sia completa di prove: ad esempio, se si sostiene un pagamento precedente, allegare la ricevuta inconfutabilmente; se si invoca una sentenza, allegarla integralmente.

Suggerimento: dopo l’invio PEC, conservare le ricevute di accettazione e consegna. Si può anche contattare il call center AdER dopo qualche giorno per avere conferma che la posizione risulta “in sospeso per verifica” ai sensi della legge 228/2012. Eventualmente annotatevi il numero di pratica o protocollo assegnato.

Se, trascorsi 220 giorni, non si riceve risposta, ricordarsi di inviare una diffida all’agente di riscossione affinché prenda atto dell’annullamento di diritto del debito (anche se teoricamente automatico, è bene sollecitare).

Fac-simile di atto di opposizione all’esecuzione (giudice ordinario)

Nel caso in cui la controversia debba essere portata dinanzi al giudice ordinario (ad esempio per contributi previdenziali o sanzioni amministrative) o in sede di esecuzione civile, l’atto di opposizione assume la forma di un ricorso o di un atto di citazione, a seconda dei casi. Forniamo uno schema tipico di atto di citazione in opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. relativo a un’intimazione (che si può adattare anche ad opposizione ex art. 617 c.p.c. se rivolta a vizi formali, con termini di 20 gg).

  • Intestazione: “Tribunale Ordinario di ______” (es. il Tribunale del luogo di esecuzione o del debitore, competente per opposizioni esecutive).
  • Atto di citazione in opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c.
  • Parte opponente (attore): indicare nome del debitore che propone l’opposizione, CF, residenza/sede, eventuale elezione di domicilio legale e difensore (avv. …).
  • Parte opposta (convenuto): indicare Agenzia delle Entrate-Riscossione, in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede in Roma, Via…, e direzione territoriale di…, nonché eventualmente INPS – sede di…, se il credito è previdenziale, oppure Comune di … per sanzione amministrativa, ecc. (tutti i soggetti da convenire).
  • Fatti: illustrare i fatti: “In data … l’opponente riceveva intimazione di pagamento n… relativa a …; tale atto costituisce il precetto ai sensi dell’art. 50 DPR 602/73. L’opponente ritiene che il credito in questione non sia più esigibile/persegubile per le ragioni che seguono…”. Se nel frattempo c’è già un pignoramento, indicare gli estremi: “In data … AdER notificava atto di pignoramento presso terzi (conto corrente)…”. In opposizione all’esecuzione, si può agire prima o dopo l’inizio del pignoramento: prima per far dichiarare inesistente il diritto di procedere, dopo per contestare la prosecuzione (in quest’ultimo caso va citato anche l’atto di pignoramento).
  • Motivi di opposizione (diritto): elencare come punti separati:
    1. Prescrizione del credito: ad es. “Il credito portato dalla cartella n… si è estinto per intervenuta prescrizione quinquennale ai sensi dell’art. 2948 c.c., essendo decorso oltre un quinquennio dalla notifica della cartella (….) all’intimazione senza atti interruttivi validi. Pertanto non sussiste più il diritto a procedere ad esecuzione”.
    2. Omessa notifica della cartella (o titolo inesistente): “L’atto presupposto (cartella n… del …) non è mai stato notificato regolarmente, come da estratto di ruolo privo di relata che si produce. Difetta quindi un valido titolo esecutivo e l’intimazione è da ritenersi nulla, così come gli atti esecutivi successivi”.
    3. Irregolarità dell’intimazione come atto di precetto: es. se non ha rispettato i 5 gg minimi o è scaduto il termine di 1 anno (180 gg se vecchio caso): “L’intimazione notificata in data … non poteva più legittimare l’azione esecutiva in quanto erano decorsi oltre 12 mesi dalla sua notifica senza atti esecutivi (art. 50, c.3 DPR 602/73), cosicché il pignoramento avviato in data … risulta invalido”.
    4. Altri motivi vari: es. “In ogni caso si eccepisce la nullità della cartella per vizio di motivazione, con conseguente inesigibilità del credito”, ecc.
  • Richiesta di sospensione: nelle opposizioni esecutive, si può chiedere al giudice dell’esecuzione la sospensione della procedura (art. 615 co.2 c.p.c.) indicando i gravi motivi. Esempio: “Si chiede la sospensione dell’esecuzione intrapresa, atteso che il pignoramento del conto corrente sta causando all’opponente un grave pregiudizio alla propria attività e sussistono fondati motivi di opposizione (prescrizione maturata)”.
  • Conclusioni: formulare le domande: “Voglia l’Ill.mo Tribunale adito, contrariis reiectis, così decidere: dichiarare che Agenzia Entrate-Riscossione non ha diritto di procedere ad esecuzione forzata in relazione alla cartella n… per intervenuta prescrizione del credito, e per l’effetto annullare l’intimazione di pagamento n… e il successivo pignoramento n…; in subordine annullare detti atti per i vizi sopra esposti. Con vittoria di spese di lite. In via cautelare, sospendere la procedura esecutiva in corso.”.
  • Firma dell’avvocato che redige l’atto e indicazione della procura. L’atto di citazione va poi notificato ai convenuti (AdER ecc.) e ci si costituisce in Tribunale secondo le norme del rito ordinario (o del lavoro, se contributi).

Va notato che, come discusso, spesso le questioni come prescrizione su cartelle potrebbero essere di competenza del giudice tributario. Tuttavia, qualora ci si trovi in sede di esecuzione già avviata (pignoramento in corso) e non si sia fatto ricorso tributario prima, questa procedura è l’ultima spiaggia per far valere certe eccezioni. Il giudice ordinario valuterà anche la giurisdizione: se il credito è tributario puro e si stanno sollevando questioni di merito fiscale, potrebbe dichiararsi incompetente, rifacendosi all’orientamento Cassazione SU 2025. Invece su contributi o multe, procederà.

Importante: Questi modelli sono semplificati; è sempre consigliabile farsi assistere da un professionista per la redazione effettiva, perché errori formali (ad esempio notificare all’ufficio sbagliato, o mancare un elemento) possono compromettere l’esito.

Strategie difensive e suggerimenti pratici

Affrontare un’intimazione di pagamento in modo efficace richiede tempestività, cognizione dei propri diritti e un piano d’azione. Ecco alcune strategie e consigli pratici da attuare subito:

  • Non ignorare l’atto: Sembra banale, ma il primo errore da evitare è mettere da parte l’intimazione sperando “passi da sola”. Dopo 5 giorni l’Agenzia può già agire, spesso con strumenti automatici come il pignoramento del conto. Pertanto, reagisci immediatamente alla sua ricezione.
  • Analizza nel dettaglio la situazione debitoria: Prendi l’intimazione e verifica tutte le cartelle/atti elencati. Chiediti:
    • Li conoscevi? Li hai ricevuti a suo tempo?
    • Hai già pagato in parte o totalmente qualcuno di quei debiti?
    • Hai magari presentato un ricorso o una domanda di annullamento per qualcuno di essi?
    • È possibile che qualcuno di quei debiti sia prescritto (molto vecchio) o decaduto?
    In caso di dubbio su notifiche passate, un’ottima mossa è chiedere un estratto di ruolo aggiornato e le relate di notifica di ciascun atto. Puoi farlo recandoti allo sportello AdER o tramite PEC. Avere in mano le relate delle cartelle ti permette di farle visionare a un esperto per scovare vizi (notifica a un indirizzo sbagliato, relata mancante, ecc.). Questa informazione sarà oro in sede di ricorso.
  • Consulta un professionista se necessario: Se l’importo è significativo o la situazione complessa, coinvolgi subito un consulente (avvocato tributarista o esperto del settore). I tempi sono stretti, ma un legale può aiutarti in 1-2 giorni a impostare una strategia (ad esempio, quali motivi di ricorso sollevare) e anche semplicemente a redigere l’istanza di sospensione in autotutela in modo efficace.
  • Valuta l’opzione di pagamento/rateazione: Se dai controlli risulta che il debito è corretto e dovuto e hai le risorse finanziarie, la via più rapida è pagare entro 5 giorni per chiudere la partita. In alternativa, attiva immediatamente la rateizzazione (anche online). Come visto nei casi pratici, ottenere un piano di dilazione entro pochi giorni blocca le azioni esecutive e ti mette al riparo, dandoti respiro finanziario. Anche se hai già usufruito di una dilazione in passato, informati: le norme cambiano e potresti aver diritto a una nuova chance. Attenzione: se scegli di rateizzare, ricorda che devi presentare l’istanza prima che inizino le procedure esecutive (prima che notificino un pignoramento); farlo nei 5 giorni dell’intimazione è l’ideale. Pagare la prima rata è essenziale perché la sola domanda non sospende le azioni finché non è accettata.
  • Se il debito è contestabile, prepara ricorso e/o istanza di autotutela: Nel caso tu ritenga che la richiesta sia indebita (ad es. perché hai pagato, o perché vizi procedurali, o importo non dovuto, ecc.), non limitarti a ignorarla: devi formalizzare la contestazione. Scegli lo strumento adatto:
    • L’istanza di sospensione legale (autotutela) va fatta entro 90 giorni e serve a congelare subito la situazione presentando prove concrete. Usala se rientri in uno dei casi previsti (pagamento già effettuato, prescrizione maturata prima del ruolo, provvedimento di sgravio, sentenza favorevole, errore palese). È a costo zero e rapido.
    • Il ricorso giudiziario (Commissione Tributaria o Giudice competente) è imprescindibile per far valere i tuoi diritti in sede legale. Va presentato entro 60 giorni (in tributi) o termini specifici per le altre materie. Inizia a prepararlo subito, raccogliendo documenti e prove. Anche se hai presentato istanza di sospensione in autotutela, non aspettare l’esito se i termini di ricorso stanno per scadere: proponi comunque il ricorso per sicurezza.
  • Richiedi la sospensione giudiziale se necessario: Se il debito è elevato e c’è pericolo concreto (pignoramento di beni vitali), nel ricorso chiedi al giudice di sospendere l’efficacia dell’intimazione. Nel tributario, il giudice può concederla con provvedimento d’urgenza; nell’ordinario si può chiedere la sospensione dell’esecuzione ex art. 615. Non è garantito (ci vogliono motivi solidi), ma tentare può salvarti temporaneamente.
  • Mantieni traccia di tutte le comunicazioni: Conserva copie di tutto: intimazione, buste, ricevute PEC, modelli presentati, ricevute di pagamento. Se parli telefonicamente con AdER o enti, annota date, nomi degli operatori e protocolli. Ogni dettaglio può tornare utile se la vicenda diventa contenziosa.
  • Occhio alle scadenze di prescrizione: Se l’intimazione è arrivata a ridosso di una prescrizione (ad es. 4 anni e 11 mesi dopo la cartella per un tributo locale), il debito stava per cadere in prescrizione. In questi casi, l’Agente invia l’intimazione proprio per interromperla. Sii consapevole che, se non impugni, l’intimazione stessa fa ripartire da zero il termine di prescrizione. Quindi, se non puoi pagare subito, potrebbe valere la pena comunque ricorrere per giocarti la carta della prescrizione (magari maturata pochi giorni dopo): c’è complessità qui, ma un legale potrebbe eccepire che al momento dell’esecuzione il credito sarà comunque prescritto. In sintesi, non lasciare consolidare il debito senza almeno aver tentato di far valere la prescrizione in giudizio se eri proprio al limite.
  • Se l’intimazione riguarda multe stradali o contributi: Informati bene sui termini differenti. Per le multe il termine di impugnazione in GdP è 30 giorni e non 60, e spesso conviene verificare se la cartella è stata notificata entro 2 anni dall’iscrizione a ruolo (decadenza ex art. 36 DL 248/2007 per le multe). Per i contributi, sappi che l’INPS spesso emette avvisi di addebito che devi opporre entro 40 giorni. Insomma, adegua la strategia alla natura del credito.
  • Utilizza eventuali definizioni agevolate o “rottamazioni”: Verifica se il tuo debito rientra in qualche provvedimento di sanatoria in corso. Ad esempio, nel 2023 c’è stata la Rottamazione-quater per ruoli fino al 2017: se avevi aderito, l’intimazione non doveva arrivare. In caso di errore, segnala subito all’AdER che quel debito è oggetto di definizione agevolata e quindi l’intimazione è impropria. Oppure, se sei nei termini, aderire alla rottamazione (niente sanzioni e interessi) potrebbe essere più conveniente che fare ricorso. Mantieniti informato su nuovi possibili condoni o stralci in legge di bilancio (nel 2025, ad esempio, lo stralcio automatico dei debiti < 1.000 € del 2000-2015 ha estinto molti piccoli ruoli).
  • Prevenzione per il futuro: Dopo aver gestito l’urgenza dell’intimazione, fai tesoro dell’esperienza:
    • Cerca di evitare di accumulare nuovi debiti con l’Erario o altri enti, per quanto possibile. Ad esempio, se sei un’impresa o professionista, valuta di rateizzare tempestivamente nuove cartelle prima che si arrivi all’intimazione.
    • Mantieni aggiornato il tuo domicilio digitale (PEC): così riceverai subito avvisi e atti, potendo reagire prima che si accumulino more.
    • Usa i servizi online di AdER (area riservata) per tenere d’occhio la tua posizione: puoi verificare se hai cartelle aperte, richiedere estratti, ecc. Questo ti aiuta a non farti sorprendere dalle intimazioni.
    • Se hai in corso un ricorso tributario o altro contenzioso su un atto a ruolo, comunica l’esito ad AdER (spesso non ricevono automaticamente l’aggiornamento se vinci, finché l’ente creditore non invia lo sgravio). Eviterai di ricevere intimazioni “fuori luogo”.
  • Muoviti prima che scadano i 5 giorni: In definitiva, il grosso vantaggio del contribuente è che quell’ultimatum di 5 giorni esiste: sfruttalo. Non aspettare il giorno 6 sperando in un miracolo. Che tu scelga di pagare, ricorrere o chiedere una sospensione, fallo nei primissimi giorni. Ogni giorno di inerzia dopo l’intimazione è un giorno in cui l’Agente potrebbe attivarsi: a volte sono celeri, specialmente per recuperi facili come conto bancario.

Riassumendo: “Cosa fare subito?”valutare, decidere e agire. Valuta la fondatezza del debito (magari con aiuto professionale), decidi se pagare o opporsi, e attua la decisione entro i termini. Così trasformerai un momento critico (intimazione) in un percorso gestibile (rateazione, ricorso vinto o debito ridotto).

Normativa e giurisprudenza di riferimento

Di seguito elenchiamo i principali riferimenti normativi e le pronunce giurisprudenziali citate o rilevanti in tema di intimazione di pagamento ex Equitalia (Agenzia Entrate-Riscossione):

  • D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602: Art. 26 (notifica delle cartelle e degli atti della riscossione); Art. 50 (espropriazione forzata e intimazione ad adempiere dopo 60 giorni – comma 1; obbligo di intimazione se esecuzione oltre 1 anno – comma 2; forma dell’avviso e efficacia – comma 3); Art. 77 (iscrizione di ipoteca da parte dell’Agente, soglia €20.000); Art. 86 (fermo amministrativo di beni mobili registrati e preavviso di fermo); Art. 76 (limiti al pignoramento immobiliare: divieto su abitazione principale sotto €120.000, introdotto da D.L. 69/2013).
  • D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546: Art. 19 (atti impugnabili davanti alle Commissioni Tributarie, includendo cartella di pagamento e avviso di mora – in cui rientra l’intimazione); Art. 21 (termine di 60 giorni per ricorso tributario); Art. 47 (sospensione dell’atto impugnato da parte del giudice tributario su istanza di parte).
  • D.L. 78/2010, art. 29, comma 1: introduzione dell’accertamento esecutivo per le imposte erariali, con obbligo di intimazione se esecuzione oltre un anno dall’accertamento (menzionato per assimilare l’intimazione ai casi di accertamento).
  • Legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Legge di Stabilità 2013): Art. 1, commi 537-543 (procedura di sospensione legale della riscossione su istanza del debitore con autodichiarazione e obbligo di risposta dell’ente entro 60gg; annullamento di diritto dopo 220 giorni in assenza di riscontro); comma 544 (divieto di avviare azioni esecutive e cautelari per debiti ≤ €1.000 senza prima inviare sollecito e attendere 120 giorni).
  • D.L. 16/2012, art. 9, comma 3-bis e 3-ter: conferma l’obbligo di intimazione anche per ruoli da accertamenti doganali e innalza la soglia per ipoteca a €20.000 (modificando art. 77 DPR 602/73).
  • D.L. 69/2013 (“Decreto del fare”): Art. 52, comma 1, lett. m), n.2: ha introdotto il divieto di espropriare l’unico immobile adibito ad abitazione principale del debitore (salvo lusso o debito oltre 120.000 €) e l’obbligo di cancellare fermi su beni strumentali se provato lo status.
  • D.L. 193/2016 (convertito L. 225/2016): Ha disposto dal 1° luglio 2017 la soppressione di Equitalia e il subentro di Agenzia delle Entrate-Riscossione, con obbligo di notifica via PEC per soggetti con domicilio digitale.
  • D.L. 34/2019 (convertito L. 58/2019): Ha aumentato da 5 a 8 il numero di rate non pagate che causa decadenza da una dilazione, e introdotto la possibilità di riammissione a rateazione per decadenze pregresse dopo certo termine.
  • D.L. 76/2020 (convertito L. 120/2020): Art. 26 ha modificato l’art. 50, comma 3 DPR 602/73, estendendo la validità dell’intimazione da 180 giorni a 1 anno. Ciò dal 15/09/2020 in poi; prima, le intimazioni perdevano efficacia dopo 180 gg (6 mesi).
  • Legge 130/2022: Riforma del processo tributario – tra l’altro cambia la denominazione in Corti di Giustizia Tributaria (adeguamento recepito nel nuovo modello di intimazione 2022).
  • Codice Civile: Art. 2946 (prescrizione ordinaria 10 anni, applicata ai tributi erariali in diversi casi); Art. 2948 (prescrizione 5 anni per tutto ciò che deve pagarsi periodicamente o annualmente – applicato a tributi locali, contributi, interessi, sanzioni); Art. 2953 (trasformazione in 10 anni se c’è giudicato – rilevante se cartella divenuta definitiva equiparata a titolo con forza di cosa giudicata).
  • Cass., Sez. Unite, 17/11/2016 n. 23397: ha risolto il contrasto sulla prescrizione delle cartelle esattoriali, stabilendo che il termine dipende dalla natura del credito: 10 anni per tributi erariali, 5 anni per tributi locali e contributi previdenziali, salvo il caso di titolo giudiziario definitivo.
  • Cass., Sez. Unite, 25/10/2019 n. 27209: (non citata sopra, ma importante) ha affermato che l’estratto di ruolo è impugnabile se il contribuente non ha mai ricevuto la cartella, per far valere vizi anche oltre i termini (principio di diritto a tutela del contribuente “ignaro”).
  • Cass., Sez. Unite, 16/11/2020 n. 8500: (idem, sul tema giurisdizione) ha stabilito che le opposizioni sull’atto di pignoramento per crediti tributari rientrano comunque al giudice tributario se vertono su vizi degli atti presupposti, confermando tendenzialmente la giurisdizione tributaria anche in fase esecutiva, salvo vizi propri dell’esecuzione.
  • Cass., Sez. Unite, 16/10/2024 n. 26817: ha chiarito definitivamente che l’intimazione di pagamento è un atto impugnabile davanti al giudice tributario, in quanto assimilabile all’avviso di mora, nonostante non sia nominata letteralmente nell’elenco dell’art. 19: conta la sua funzione, che è quella di sollecito pre-esecutivo. La mancata impugnazione preclude eccepire vizi antecedenti in seguito.
  • Cass., Sez. Unite, 30/01/2025 n. 2098: ha risolto un conflitto di giurisdizione stabilendo che è il giudice tributario competente a decidere dell’eccezione di prescrizione del credito tributario anche se questa matura dopo la formazione del ruolo e la notifica della cartella. Ciò significa che anche per eccepire prescrizioni sopravvenute (dopo cartella non impugnata) il contribuente deve rivolgersi al giudice tributario, non a quello ordinario.
  • Cass., ord. 5/08/2024 n. 22108: ha confermato che l’intimazione di pagamento non richiede una motivazione dettagliata: è un atto a contenuto vincolato, basta il riferimento alla cartella precedente. Inoltre ha ribadito il principio che, se la cartella non fu impugnata, nel ricorso contro l’intimazione non si possono riesumare motivi di merito del tributo, ma solo vizi propri o estintivi sopravvenuti.
  • Cass., ord. 11/04/2024 n. 10692: in linea con la sopra citata, afferma che l’intimazione post-cartella non necessita di motivazione autonoma perché la motivazione risiede negli atti presupposti, essendo redatta su modello ministeriale.
  • Cass., ord. 17/06/2024 n. 16743: (orientamento minoritario, superato) riteneva che l’intimazione non rientrasse tra gli atti ex art.19 e quindi l’impugnazione fosse facoltativa. Come detto, le Sez. Unite con 26817/2024 hanno superato questa tesi, affermando l’obbligatorietà dell’impugnazione se vi sono vizi da far valere.
  • Cass., ord. 6/07/2022 n. 21065: (richiamata indirettamente) ha evidenziato il concetto di “atto a contenuto vincolato” dell’intimazione approvato con modello ministeriale. È da questa pronuncia che è nata la questione, sollevata in dottrina, del possibile vizio perché il nuovo modello è stato approvato dal Direttore AdE e non con decreto ministeriale. Questione ancora non risolta giurisprudenzialmente in modo chiaro.
  • Norme sulla rateizzazione: Art. 19 DPR 602/73 (come modificato da vari interventi, da ultimo D.L. 34/2019) – possibilità di rate fino a 72 rate ordinarie (120 straordinarie); decadenza dopo 8 rate non pagate; possibilità di riammissione se si paga il dovuto; soglie 120.000 € per istanze semplificate.
  • Art. 48-bis DPR 602/73: (collegato indiretto) blocco pagamenti della PA oltre 5.000 € se ci sono debiti iscritti a ruolo – a ricordare che ignorare il debito può portare ad altri effetti (un ente pubblico non ti paga se hai debiti esattoriali in sospeso).
  • Legge 197/2022 (Bilancio 2023): Stralcio automatico dei debiti fino a € 1.000 affidati dal 2000-2015, efficace al 31/3/2023, e Definizione agevolata 2023 (rottamazione-quater) che ha permesso di sanare ruoli 2000-2017 senza sanzioni interessi. Riferimenti utili per chi in futuro leggerà: eventuali intimazioni relative a tali debiti potrebbero non essere più valide se il debito è stato stralciato o rottamato.
  • Art. 10-ter D.Lgs. 74/2000: Soglia penale €250.000 per omesso versamento IVA (non incide direttamente sull’intimazione, ma è un deterrente a non accumulare troppi debiti IVA).

Questi riferimenti normativi e giurisprudenziali compongono il quadro entro cui si colloca la gestione delle intimazioni di pagamento. Affrontare un’intimazione con cognizione di tali norme e precedenti consente di muoversi con maggiore sicurezza e costruire una difesa efficace, oppure scegliere consapevolmente il pagamento, a seconda dei casi.

Intimazione di Pagamento Equitalia (ex): Perché Affidarsi a Studio Monardo

Hai ricevuto una Intimazione di Pagamento dall’Agenzia delle Entrate Riscossione? Si tratta di un atto formale con cui il Fisco ti intima di pagare entro 5 giorni somme derivanti da cartelle esattoriali non pagate. Se non reagisci in tempo, l’ente può procedere con pignoramenti, fermi amministrativi, ipoteche e vendite forzate.

Affidarsi all’Avvocato Giuseppe Monardo significa agire immediatamente, analizzare la legittimità dell’atto e attivare tutte le procedure per bloccare l’esecuzione, impugnare l’intimazione o rateizzare legalmente il debito.

Cosa fa per te l’Avvocato Monardo

  • Analizza l’intimazione e verifica la legittimità del credito e della notifica
  • Verifica la prescrizione o l’estinzione del debito
  • Attiva ricorso o procedura giudiziale urgente per bloccare l’atto
  • Predispone un piano di pagamento sostenibile o una procedura di esdebitazione
  • Ti rappresenta davanti a AdER, al giudice tributario o ordinario, o presso l’OCC

Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

L’Avvocato Monardo è:

  • Gestore della Crisi da Sovraindebitamento, iscritto al Ministero della Giustizia
  • Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa, abilitato ex D.L. 118/2021
  • Fiduciario di un Organismo di Composizione della Crisi (OCC)
  • Coordinatore di una rete nazionale di avvocati e commercialisti esperti in diritto tributario, bancario ed esecutivo

Con queste competenze, è in grado di agire immediatamente per bloccare l’intimazione di pagamento e trovare una soluzione definitiva e legale.

Perché agire subito

  • Dopo 5 giorni, l’Agenzia può procedere senza ulteriore preavviso
  • I ricorsi devono essere presentati entro termini rigidi e perentori
  • Più si aspetta, più si riducono le possibilità di difesa
  • Solo un’azione tempestiva può salvare il conto, lo stipendio o la casa

Conclusione

L’intimazione di pagamento non è una condanna inevitabile. Se agisci subito e con l’avvocato giusto, puoi bloccarla, contestarla o ristrutturare il debito.
Affidarsi all’Avvocato Giuseppe Monardo significa ricevere una difesa tecnica e completa, con strumenti giuridici efficaci e strategie su misura per proteggere il tuo patrimonio.

Qui di seguito tutti i contatti del nostro Studio Legale specializzato in intimazioni di pagamento per richiedere una consulenza personalizzata:

Leggi con attenzione: Se stai affrontando difficoltà con il Fisco e hai bisogno di una rapida valutazione delle tue cartelle esattoriali e dei debiti, non esitare a contattarci. Siamo pronti ad aiutarti immediatamente! Scrivici su WhatsApp al numero 351.3169721 oppure inviaci un’e-mail all’indirizzo info@fattirimborsare.com. Ti ricontatteremo entro un’ora per offrirti supporto immediato.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
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