Come funziona il contenzioso tributario?
Scoprilo nei dettagli con la nostra guida di Studio Monardo, gli avvocati specializzati in contenziosi tributari.
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1. Contenzioso Tributario: Introduzione e Quadro Normativo Aggiornato al 2025
Il contenzioso tributario è il procedimento giurisdizionale attraverso cui il contribuente può impugnare gli atti dell’amministrazione finanziaria (come avvisi di accertamento, cartelle di pagamento, rifiuti di rimborso, ecc.) dinanzi alle Corti di Giustizia Tributaria. Nel 2025 tale procedimento si presenta profondamente rinnovato rispetto al passato, in virtù di rilevanti riforme normative recentissime. Le innovazioni più importanti derivano dalla Legge 31 agosto 2022 n. 130 (riforma della giustizia e del processo tributario) e dai successivi Decreti Legislativi 219 e 220 del 2023 emanati in attuazione della delega fiscale (Legge 9 agosto 2023 n. 111). Tali interventi hanno introdotto una vera e propria “svolta” per gli operatori del diritto tributario, aggiornando sia la disciplina processuale (onere della prova, modalità telematiche obbligatorie, nuove forme di conciliazione, ecc.) sia l’organizzazione stessa delle Corti Tributarie.
Le Commissioni Tributarie Provinciali e Regionali sono state infatti rinominate rispettivamente Corti di Giustizia Tributaria di primo grado e di secondo grado. Inoltre, per le controversie di minor valore è stato introdotto il giudice monocratico: oggi le Corti di giustizia tributaria di primo grado decidono in composizione monocratica le controversie di valore fino a 3.000 euro (escluse solo quelle di valore indeterminabile). Sopra tale soglia, il collegio rimane composto da tre giudici. Contestualmente, è diventato obbligatorio il processo tributario telematico: tutti gli atti (ricorsi, appelli, memorie, provvedimenti) devono essere depositati e notificati tramite il portale SIGIT o posta elettronica certificata (PEC), garantendo maggiore celerità e tracciabilità.
Un altro pilastro della riforma è il rafforzamento delle garanzie difensive del contribuente prima e durante il processo. È stato introdotto il principio generale del contraddittorio preventivo obbligatorio: tutti gli atti impugnabili devono essere preceduti da un contraddittorio effettivo, cioè da una comunicazione di chiusura delle indagini con concessione al contribuente di almeno 60 giorni per presentare memorie e documenti, a pena di nullità dell’atto. Questa novità – codificata nell’art. 6-bis dello Statuto dei Diritti del Contribuente (L. 212/2000) inserito dal D.Lgs. 29 dicembre 2023 n. 219 – mira a deflazionare il contenzioso e sostituisce di fatto alcuni strumenti deflattivi previgenti. Ad esempio, non è più prevista la procedura di reclamo-mediazione obbligatoria per le liti minori (il vecchio art. 17-bis D.Lgs. 546/92 è stato abrogato): dal 2023 il contribuente, una volta ricevuto l’atto impositivo definitivo (preceduto dall’invito a comparire o dal P.V.C. con contraddittorio), se insoddisfatto non deve più presentare un reclamo all’ufficio ma può proporre direttamente ricorso. In altre parole, l’adesione e il confronto anticipato col Fisco avvengono prima dell’emissione dell’atto, anziché dopo, e il processo tributario si attiva subito con il ricorso giurisdizionale.
Sul versante processuale, le novità del 2022-2023 hanno inciso su aspetti cruciali: è stato chiarito l’onere della prova a carico delle parti, è stata ammessa (seppur in via eccezionale) la prova testimoniale scritta, si sono introdotte restrizioni alle nuove prove in appello, sono stati potenziati gli strumenti di conciliazione giudiziale e sono state previste forme di esecuzione provvisoria delle sentenze di primo e secondo grado. Ad esempio, la Legge n. 130/2022 ha inserito nell’art. 7 del D.Lgs. 546/1992 il comma 5-bis che attribuisce espressamente all’Amministrazione finanziaria l’onere di provare in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato. Ciò significa che spetta all’ente impositore dimostrare i presupposti della maggiore pretesa tributaria (sia essa fondata su redditi non dichiarati o sulla mancanza di requisiti per una deduzione/agevolazione), mentre il contribuente si limita a “reagire” confutando tali evidenze. Fa eccezione il caso delle controversie da rimborso (dove è il contribuente, attore sostanziale, a dover provare il proprio diritto al rimborso). Questa regola ha il pregio di superare definitivamente i dubbi interpretativi del passato in tema di riparto probatorio, uniformando il processo tributario al principio che il fisco è attore in senso sostanziale e quindi deve provare i fatti costitutivi della pretesa, mentre il contribuente può limitarsi a negare o contestare tali fatti.
In parallelo, come accennato, è stato introdotto per la prima volta nel processo tributario un (sia pur limitato) mezzo di prova testimoniale. In base al nuovo art. 7, comma 4, D.Lgs. 546/92 (sostituito dall’art. 4, co.1, L. 130/2022), il giudice tributario può ammettere la prova testimoniale scritta – cioè resa tramite dichiarazioni giurate raccolte secondo le forme dell’art. 257-bis c.p.c. – se la ritiene necessaria ai fini della decisione, anche senza accordo delle parti. Resta invece vietato il giuramento (come in precedenza). La testimonianza viene dunque “sterilizzata” in una procedura di acquisizione scritta (il testimone riceve un questionario e restituisce le risposte sottoscritte), senza esame orale in udienza, e solo su circostanze di fatto estranee ai verbali ufficiali dotati di fede privilegiata (non si possono contrastare tramite testimoni i fatti attestati da un pubblico ufficiale, salvo querela di falso). Questa innovazione ha carattere eccezionale e viene applicata con cautela: la giurisprudenza delle nuove Corti di Giustizia Tributaria ha già sottolineato il carattere residuale dello strumento, da utilizzarsi solo quando indispensabile.
Altre modifiche di rilievo riguardano la gestione delle fasi successive del giudizio: la trattazione delle udienze e la decisione, specialmente in appello e in Cassazione. A partire dal 2023 è stata rafforzata la possibilità di udienza “a distanza” (videoconferenza) in alternativa alla presenza fisica. In particolare, dal 1° settembre 2023 le udienze pubbliche davanti al giudice monocratico di primo grado si tengono di regola in modalità telematica: la legge prevede l’obbligo della trattazione da remoto per le cause decise dal giudice unico, salvo che una delle parti richieda, per motivate ragioni, la discussione in presenza. In ogni caso, per tutte le cause (sia in primo che in secondo grado) ciascuna parte può chiedere sin dal ricorso o nella prima difesa (o entro 20 giorni dall’udienza) che la discussione avvenga in videoconferenza; se tutte le parti costituite lo chiedono, l’udienza si terrà a distanza, mentre se anche una sola parte si oppone, si applicherà la disciplina ordinaria dell’udienza in presenza. Questa flessibilità, già sperimentata durante l’emergenza sanitaria, è ora stabilizzata nel nuovo art. 34-bis D.Lgs. 546/92. L’obiettivo è coniugare l’efficienza della giustizia digitale con il rispetto del contraddittorio e della pubblicità delle udienze (garantita tramite collegamenti da remoto aperti alle parti e possibilità, nei casi di pubblico interesse, di partecipazione da apposite aule virtuali).
In sintesi, il contenzioso tributario nel 2025 si svolge in un quadro normativo aggiornato che valorizza il contraddittorio preventivo e gli strumenti deflattivi, chiarisce i ruoli probatori, digitalizza il processo e accelera la definizione delle liti. Nelle sezioni seguenti analizzeremo tutte le fasi del procedimento tributario – dalla notifica degli atti iniziali fino al ricorso in Cassazione – e passeremo in rassegna gli strumenti deflattivi (autotutela, adesione, mediazione, conciliazione, definizioni agevolate) che possono evitare o chiudere anticipatamente la lite. Verranno inoltre presentati modelli esemplificativi di atti processuali (ricorso, memorie, istanze, appello, ecc.) e segnalati i più rilevanti riferimenti normativi e giurisprudenziali aggiornati ad aprile 2025 per ogni tema trattato. La guida ha un taglio pratico-operativo, rivolta a professionisti (avvocati tributaristi, dottori commercialisti, consulenti fiscali) che necessitano di un orientamento completo sulle regole attuali del processo tributario.
2. Atti Impugnabili, Notifica e Termini per Ricorrere
Prima di avviare un contenzioso, è fondamentale individuare quali atti dell’amministrazione finanziaria possono essere impugnati e conoscere i termini e le modalità di notifica e ricorso. La regola generale – fissata dall’art. 19 del D.Lgs. 546/1992 – è che sono autonomamente impugnabili tutti gli atti attraverso i quali viene portata a conoscenza del contribuente una ben definita pretesa tributaria o un diniego di un suo diritto. Tra questi rientrano, a titolo esemplificativo:
- Avviso di accertamento (in materia di imposte sui redditi, IVA, registro, tributi locali, ecc.): è l’atto con cui l’ente impositore (es. Agenzia delle Entrate, Comune) accerta un maggior tributo o una sanzione. Dal 2023, come visto, deve essere preceduto da un avviso di conclusione delle indagini con contraddittorio (salvo casi eccezionali). L’avviso di accertamento diviene impugnabile appena notificato.
- Avviso di liquidazione (es. per imposta di registro, successioni, ecc.): atto con cui si liquida un tributo dovuto in base a dichiarazioni o altri atti, indicando l’importo da pagare.
- Cartella di pagamento (o ruolo): l’atto della riscossione coattiva emesso dall’Agente della Riscossione (es. Agenzia Entrate-Riscossione), con cui si intima il pagamento di somme risultanti da precedenti atti (accertamenti divenuti definitivi, controlli automatici e formali delle dichiarazioni, ecc.). La cartella è impugnabile per vizi propri o per far valere l’invalidità dell’atto a monte (se, ad esempio, non è stato notificato l’accertamento presupposto).
- Avviso di addebito o atti similari: atti con cui enti diversi (INPS per contributi, enti locali per tributi locali, ecc.) richiedono somme assimilabili a tributi.
- Provvedimenti di diniego o rigetto: ad esempio il diniego di un rimborso tributario richiesto dal contribuente, o il diniego/silenzio rigetto su un’istanza di autotutela, o il rifiuto di sgravio di una cartella.
- Iscrizioni a ruolo provvisorie e altri atti della riscossione che manifestino una pretesa determinata (fermi amministrativi, ipoteche esattoriali, intimazioni di pagamento) – questi atti, in base all’evoluzione giurisprudenziale, sono generalmente impugnabili immediatamente se producono un effetto lesivo concreto.
È importante sottolineare che la giurisprudenza tributaria adotta un criterio sostanzialistico: è impugnabile qualsiasi atto che contenga una pretesa tributaria definita ed esecutiva o nega un beneficio al contribuente, anche se la legge non lo menziona espressamente nell’elenco. Ad esempio, la Corte di Cassazione ha ritenuto impugnabile l’estratto di ruolo (se rivela per la prima volta al contribuente l’esistenza di una pretesa) o l’avviso bonario del controllo formale (quando equivale sostanzialmente a un accertamento). In caso di dubbio, pertanto, conviene proporre ricorso avverso l’atto ritenuto lesivo per evitare decadenze.
2.1 Notifica degli atti e decorrenza dei termini
La notifica dell’atto impositivo o riscossivo segna l’inizio del termine per impugnarlo. Le notifiche possono avvenire secondo le forme previste dalla legge (art. 60 DPR 600/1973 per atti dell’Agenzia delle Entrate, norme del CPC per atti giudiziari, ecc.) e oggi sempre più spesso avvengono via PEC (Posta Elettronica Certificata) se il destinatario ha un domicilio digitale attivo. La notifica via PEC è valida a tutti gli effetti, purché l’atto sia trasmesso come file allegato (in formato PDF/P7M) e la casella PEC sia censita in pubblici elenchi. In caso di notifica cartacea, può avvenire tramite ufficiale giudiziario, messo notificatore o servizio postale. È fondamentale verificare la data di perfezionamento della notifica: per il destinatario, la notifica si considera perfezionata quando l’atto viene ricevuto (fa fede la data di consegna della PEC o dell’avviso di giacenza/posta); tale data è il dies a quo per calcolare i termini di ricorso.
Il termine ordinario per proporre ricorso tributario è di 60 giorni dalla data di notifica dell’atto (art. 21 D.Lgs. 546/92). Questo termine è perentorio: significa che, salvo sospensioni o proroghe di legge, il ricorso notificato oltre i 60 giorni sarà dichiarato inammissibile. Attenzione: se la notifica avviene a mezzo posta, il termine decorre dalla data di ricezione e non da quella di spedizione. Se la notifica non viene perfezionata (es. destinatario sconosciuto, indirizzo errato), il termine non decorre finché l’ente non effettua una valida notifica (spesso tramite deposito presso comune o pubblicazione). In caso di notifica via PEC, il termine di 60 giorni parte dalla data di consegna nella casella PEC (o, se il messaggio eccede la dimensione e viene depositato su sito, dalla data di presa visione o compiuta giacenza).
Esistono poi specifiche situazioni che prorogano o sospendono i termini di impugnazione: per esempio, la sospensione feriale dei termini processuali (dal 1° al 31 agosto di ogni anno, ai sensi della L. 742/1969) si applica anche al contenzioso tributario, prorogando il termine di ricorso se cade in quel periodo. Inoltre, se entro i 60 giorni il contribuente presenta istanza di accertamento con adesione (v. §3.2), tale istanza sospende il termine per ricorrere per 90 giorni (art. 6, co.3 D.Lgs. 218/1997). Non è più prevista, invece, la sospensione di 90 giorni per la fase di mediazione, poiché come detto la mediazione obbligatoria è stata eliminata per i ricorsi notificati dal 2023 in poi.
Un ulteriore termine da considerare è quello cosiddetto “lungo” di decadenza dall’impugnazione: se il contribuente non ha ricevuto la notifica dell’atto, non c’è un termine breve; tuttavia l’atto diviene definitivo decorso un certo periodo (ad esempio, per gli avvisi di accertamento l’Amministrazione deve notificarli entro termini decadenziali stabiliti dalle norme tributarie, generalmente entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, o settimo se omessa). In pratica, se l’atto non è notificato, non si ha obbligo di ricorrere; ma se l’ente notifica fuori termine l’atto, il contribuente potrà eccepirne la decadenza.
Riassumendo i termini principali per il contribuente:
- 60 giorni dalla notifica dell’atto impugnabile per notificare il ricorso alla controparte.
- +90 giorni (sospensione) se presentata istanza di adesione entro i primi 60 giorni.
- Sospensione feriale: se il termine cade tra il 1° e il 31 agosto, è sospeso e riprende a settembre (proroga di 31 giorni).
- Termine lungo: 6 mesi dalla pubblicazione della sentenza di primo grado per impugnare in appello, se la sentenza non è stata notificata (vedremo in seguito); e 6 mesi dalla pubblicazione della sentenza d’appello per il ricorso in Cassazione, in mancanza di notifica.
In tutti i casi, il rispetto dei termini è essenziale: un ricorso tardivo, salvo rarissime eccezioni (errore scusabile davvero eccezionale o causa di forza maggiore), è irrimediabilmente inammissibile.
2.2 Costituzione in giudizio e deposito del ricorso
Una volta che il contribuente ha notificato il ricorso all’ente impositore o concessionario della riscossione competente, deve completare l’iscrizione a ruolo della causa tramite la costituzione in giudizio presso la segreteria della Corte di Giustizia Tributaria adita. Il termine per costituirsi è 30 giorni dalla data di perfezionamento della notifica del ricorso (art. 22 D.Lgs. 546/92). Oggi il deposito degli atti introduttivi avviene esclusivamente in via telematica: il difensore (o la parte, se sta in giudizio personalmente nei casi consentiti) deve caricare attraverso il Portale della Giustizia Tributaria (SIGIT) la copia del ricorso notificato, con la relata di notifica, gli eventuali documenti allegati e la procura alle liti, unitamente alla ricevuta di versamento del contributo unificato tributario (C.U.T.) dovuto per la causa. Il contributo unificato è una tassa di iscrizione a ruolo il cui importo varia in base al valore della lite (art. 13 D.P.R. 115/2002, come modificato): ad esempio, per controversie fino a 5.000 euro è 30 €, da 5.001 a 25.000 € è 60 €, salendo fino a 1.500 € per liti oltre 200.000 €. Il mancato pagamento del contributo unificato non comporta l’inammissibilità ma la segreteria invita la parte a regolarizzare (anche tramite l’eventuale integrazione per “imposta virtuale” in caso di ricorsi su perdite fiscali, come precisato dalla recente introduzione dell’art. 4-bis D.Lgs. 546/92).
La costituzione in giudizio telematica richiede di rispettare le specifiche tecniche dettate dal decreto del MEF sul processo tributario telematico. In generale, i file vanno sottoscritti digitalmente (firma elettronica qualificata) e il deposito si intende perfezionato al momento in cui il sistema genera la ricevuta di avvenuta acquisizione. È prudente effettuare il deposito con qualche giorno di anticipo rispetto alla scadenza dei 30 giorni, per prevenire problemi tecnici dell’ultimo minuto. Se il ricorso non viene depositato entro 30 giorni dalla notifica, il ricorso si considera come non proposto (improcedibile).
Parti del processo e capacità di stare in giudizio: possono ricorrere in proprio (senza assistenza tecnica) i contribuenti per le controversie di valore fino a 3.000 euro (limite calcolato al netto di interessi e sanzioni) – in tal caso firmano personalmente il ricorso. Oltre tale valore, è necessaria l’assistenza di un difensore abilitato. I difensori abilitati nel processo tributario sono: avvocati, dottori commercialisti ed esperti contabili, consulenti del lavoro, nonché, per le materie di competenza, periti agrari e agrotecnici, ingegneri (in materia catastale) e altre categorie elencate nell’art. 12 D.Lgs. 546/92. La recente riforma ha confermato tali categorie e previsto che gli enti impositori (Agenzia Entrate, enti locali) possano stare in giudizio tramite propri funzionari delegati (che devono essere laureati in giurisprudenza o economia, equiparati a difensori tecnici interni). Anche la Regione – se parte nei tributi di sua competenza – può stare in giudizio tramite propri dipendenti (novità apportata dalla L. 130/2022 sulla capacità di stare in giudizio della Regione, per garantire parità alle Province autonome e Regioni in tributi come l’IRAP).
La notifica del ricorso e la costituzione in giudizio segnano il perfetto radicamento del giudizio di primo grado. A questo punto, la segreteria attribuisce un numero di ruolo generale alla causa e la assegna a una sezione della Corte di Giustizia Tributaria di primo grado. Se la controversia rientra nei parametri del giudice monocratico (valore fino a 3.000 €), il Presidente della Corte la affida ad un singolo giudice designato; altrimenti, ad un collegio. In ogni caso, per qualsiasi errore su competenza o composizione (monocratica/collegiale), la legge prevede meccanismi di correzione d’ufficio: ad esempio, se una causa di valore alto fosse assegnata per errore a giudice unico, questi deve rimetterla al collegio.
2.3 Decorrenza dei termini per l’Ufficio e costituzione del resistente
Una volta ricevuto il ricorso notificato, l’ente impositore (Agenzia delle Entrate, ente locale, agente della riscossione, ecc., a seconda di chi ha emesso l’atto impugnato) deve costituirsi a sua volta in giudizio, depositando le proprie controdeduzioni difensive. L’atto con cui la controparte si costituisce viene comunemente chiamato “comparsa di risposta” o “memoria di costituzione” e assolve al duplice scopo di comunicare al giudice e al contribuente le difese dell’ente e di depositare gli atti e documenti rilevanti (compreso l’originale/copia dell’atto impugnato e la prova della sua notifica).
Il termine ordinario per la costituzione del resistente è 60 giorni dal momento in cui ha ricevuto il ricorso (art. 23 D.Lgs. 546/92). Tale termine non è perentorio in senso stretto – l’ufficio potrebbe costituirsi anche oltre – ma un deposito tardivo delle controdeduzioni può precludere all’ente di eccepire eventuali inammissibilità o controdedurre efficacemente, e i documenti prodotti tardivamente potrebbero essere soggetti a esclusione. Dunque è prassi che l’Agenzia o l’ente si costituiscano entro i 60 giorni con le loro difese.
La costituzione dell’ente avviene anch’essa telematicamente, mediante deposito nel fascicolo informatico. Nell’atto di risposta devono essere indicati: le conclusioni (ossia cosa chiede l’ufficio: in genere la conferma della legittimità dell’atto impugnato e il rigetto del ricorso del contribuente), l’eventuale chiamata in causa di altri soggetti litisconsorziali (ad esempio, in caso di ricorso proposto da un socio contro l’accertamento a carico della società di persone, l’ufficio potrebbe segnalare la necessità di coinvolgere la società, e viceversa), ogni eccezione processuale (es: tardività o inammissibilità del ricorso, difetto di giurisdizione, ecc.) e nel merito le controdeduzioni punto per punto rispetto ai motivi di ricorso del contribuente. L’ufficio allega i documenti necessari, in particolare l’atto impugnato, l’eventuale documentazione esibita in fase amministrativa e ogni altro elemento di prova utile a sostenere la pretesa.
Da notare che la riforma 2022 ha previsto un meccanismo acceleratorio: se l’ente impositore soccombe integralmente in primo grado e non appella, dovrà dare attuazione alla sentenza di annullamento entro 90 giorni dal suo passaggio in giudicato, altrimenti il funzionario inadempiente potrà incorrere in responsabilità disciplinare (art. 15, c.2-bis D.Lgs. 546/92, introdotto da L. 130/2022). Questo stimolo mira ad evitare inerzie dell’amministrazione in caso di sconfitta. Inoltre, per prevenire contenziosi seriali, la stessa L. 130/2022 ha stabilito che le Direzioni regionali dell’Agenzia Entrate possono non proporre appello contro le sentenze di primo grado favorevoli al contribuente quando l’ammontare in contestazione è inferiore a 50.000 euro e non ci sono questioni di particolare rilievo (criterio di economicità).
Completata anche la costituzione del resistente, il fascicolo processuale è pronto per la fase decisionale. Prima di esaminarla, tuttavia, conviene fare un passo indietro e approfondire gli strumenti deflattivi del contenzioso che possono essere esperiti prima o durante il processo per evitare di arrivare a sentenza. Questi strumenti – dall’autotutela alla conciliazione – sono fondamentali nella strategia difensiva in quanto possono risolvere la lite in modo più rapido e meno oneroso.
3. Strumenti Deflattivi del Contenzioso Tributario
Gli strumenti deflattivi sono quei procedimenti o istituti che permettono di evitare l’insorgere del contenzioso tributario o di interromperlo anticipatamente con un accordo tra le parti. Il legislatore tributario, da tempo, incentiva tali soluzioni perché alleggeriscono il carico delle Corti e spesso consentono di raggiungere risultati soddisfacenti sia per l’Erario che per il contribuente (riducendo sanzioni o dilazionando pagamenti). Nel 2025, a seguito della riforma del processo, alcuni di questi strumenti sono stati modificati, ma resta ampio il ventaglio delle opzioni deflattive, che includono:
- Autotutela tributaria (annullamento d’ufficio dell’atto da parte dell’Amministrazione).
- Accertamento con adesione del contribuente (definizione concordata dell’accertamento).
- Reclamo e Mediazione tributaria (strumento non più obbligatorio dal 2023 per nuove liti, ma rilevante per quelle pregresse).
- Conciliazione giudiziale, sia in udienza che fuori udienza (accordo transattivo durante il processo, con beneficio sanzionatorio).
- Definizione agevolata delle pendenze tributarie (istituti straordinari di chiusura delle liti, previsti da leggi speciali come la “tregua fiscale”).
Analizziamoli in dettaglio uno per uno.
3.1 Autotutela: annullamento in via amministrativa dell’atto
L’autotutela è il potere-dovere della Pubblica Amministrazione di annullare o revocare i propri atti riconosciuti illegittimi o errati, anche fuori dai casi di contenzioso. In materia tributaria, l’autotutela trova fondamento nel principio di buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione (art. 97 Cost.) e in previsioni normative specifiche (art. 2-quater del DL 564/1994, convertito in L. 656/1994; art. 68 DPR 287/92 per il catasto; art. 21-nonies L. 241/1990 in via generale). Lo Statuto del Contribuente (L. 212/2000) all’art. 10 comma 1 prevede che i rapporti tra contribuente e Fisco siano improntati alla collaborazione e alla buona fede, implicando anche la correzione spontanea di errori da parte dell’ente.
In pratica, l’autotutela tributaria si concretizza con l’annullamento d’ufficio (totale o parziale) di un avviso di accertamento, di una cartella o di altro atto, quando l’ufficio finanziario riconosca la fondatezza delle ragioni del contribuente. Ciò può avvenire a seguito di un’istanza del contribuente – tipicamente un’istanza in autotutela presentata all’ufficio che ha emesso l’atto, esponendo gli errori (di persona, calcolo, doppia imposizione, sgravio già concesso, prescrizione, ecc.) e chiedendo l’annullamento – oppure anche su iniziativa autonoma dell’ufficio, qualora questi si accorga di un evidente vizio dell’atto (ad es. errore materiale, soggetto sbagliato, ecc.).
Caratteristiche dell’autotutela: È una facoltà discrezionale dell’Amministrazione, non un diritto soggettivo del contribuente. Ciò significa che l’ufficio non è obbligato per legge ad annullare l’atto su richiesta, tranne casi particolari di errore sul destinatario. L’eventuale rifiuto o silenzio sull’istanza di autotutela non è direttamente impugnabile (Corte Cass. SS.UU. n. 7388/2007) in quanto atto meramente confermativo; il contribuente potrà sempre impugnare l’atto originario (se nei termini) o far valere i vizi in sede giudiziale. Tuttavia, la circolare del Ministero delle Finanze n. 198/1998 stabilisce che gli uffici devono esaminare nel merito le istanze di autotutela e provvedere all’annullamento in presenza di errore riconosciuto, specialmente se il contenzioso non è ancora iniziato o se l’atto è palesemente illegittimo.
L’autotutela è particolarmente utile quando si riscontra un errore manifesto: ad esempio, un accertamento notificato a un omonimo sbagliato, oppure un tributo già pagato e nuovamente richiesto per mero errore. In tali casi, anziché instaurare un contenzioso, è auspicabile che l’ufficio annulli prontamente l’atto. Anche in pendenza di giudizio, le parti possono utilizzare l’autotutela: l’ufficio può annullare l’atto (con conseguente cessazione della materia del contendere) o modificarlo in diminuzione. Se ciò avviene, il processo può chiudersi con una declaratoria di cessata materia (il giudice ne prende atto).
Procedura: L’istanza di autotutela non ha forme vincolanti, ma conviene presentarla per iscritto (anche via PEC) indicando chiaramente l’atto impugnato, i motivi per cui sarebbe viziato e allegando eventuale documentazione probatoria. L’ufficio di solito risponde con provvedimento scritto: annullamento totale (sgravio), annullamento parziale (rideterminando il dovuto) oppure diniego. Se l’istanza viene accolta totalmente e l’atto annullato prima che sia proposto ricorso, la questione finisce lì. Se invece il ricorso è già pendente, l’ufficio dovrebbe comunicare all’organo giudicante l’intervenuto sgravio per far chiudere il processo.
Limiti: Nonostante i suoi vantaggi, l’autotutela ha limiti pratici. L’amministrazione finanziaria è comprensibilmente restia ad annullare i propri atti a meno che l’errore non sia evidente e documentato: questioni interpretative o valutazioni complesse difficilmente vengono risolte in autotutela, rinviando la decisione al giudice tributario. Inoltre, dal punto di vista del contribuente, chiedere autotutela non sospende i termini di ricorso né l’esecutività dell’atto (salvo che l’ufficio autonomamente sospenda la riscossione): perciò, è importante non far affidamento esclusivo sull’autotutela. In genere il consiglio pratico è: presentare sì l’istanza di autotutela se vi sono validi motivi, ma comunque predisporre il ricorso entro i termini, per sicurezza, qualora l’ufficio non accolga l’istanza in tempo utile.
In conclusione, l’autotutela è uno strumento amministrativo che può evitare il contenzioso laddove il Fisco riconosca l’errore. Nei casi in cui ciò non avviene, il contribuente dovrà passare agli strumenti successivi (adesione, ricorso, etc.), ben potendo comunque far presente al giudice di essersi attivato inutilmente in autotutela al fine, eventualmente, di chiedere la condanna alle spese dell’ente per comportamento non collaborativo.
3.2 Accertamento con adesione
L’accertamento con adesione (disciplinato dal D.Lgs. 19 giugno 1997 n. 218) è uno strumento deflattivo che consente al contribuente e all’ufficio impositore di definire in modo concordato la pretesa tributaria contenuta in un avviso di accertamento o di liquidazione, attraverso il confronto diretto e reciproche concessioni, evitando il ricorso. In altri termini, è una sorta di “mediazione” pre-contenzioso che permette di rideterminare consensualmente le imposte dovute.
Quando si può attivare: Tradizionalmente l’adesione si avviava dopo la notifica di un avviso di accertamento (o atto assimilato) non preceduto da contraddittorio. Ma con la riforma del 2023, essendo ora il contraddittorio preliminare obbligatorio per gli accertamenti standard, si è ridotto l’ambito dell’adesione. Rimane applicabile in varie situazioni, ad esempio: per gli accertamenti cosiddetti parziali o automatizzati (che magari non hanno avuto un vero contraddittorio anticipato), per gli accertamenti dei Comuni su IMU/TASI, per gli atti di recupero crediti d’imposta, o comunque quando il contribuente riceve un atto definitivo e preferisce trattare con l’ufficio anziché ricorrere subito. Non è invece ammesso accertamento con adesione sulle cartelle da controllo formale (dove semmai c’è la possibilità di chiedere sgravio in autotutela).
Procedura: Il contribuente ha due possibilità: può presentare egli stesso una istanza di accertamento con adesione all’ufficio che ha emesso l’atto, entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso (coincidente con il termine per il ricorso). La presentazione dell’istanza sospende automaticamente il termine per impugnare per 90 giorni. Alternativamente, in alcuni casi l’ufficio stesso può invitarlo all’adesione prima della notifica dell’accertamento (invito a comparire ex art. 5 D.Lgs. 218/97); ma la prassi principale è l’istanza post-notifica.
Una volta attivato, l’adesione consiste in uno o più incontri tra il contribuente (o il suo professionista) e i funzionari accertatori, nei quali si discutono i rilievi contestati. Si può arrivare a un compromesso: ad esempio riduzione di alcuni imponibili, parziale riconoscimento di deduzioni, ricalcolo di sanzioni. Se si trova un accordo, le parti sottoscrivono un atto di adesione che definisce gli importi concordati (nuovo reddito accertato, imposta, interessi, sanzioni ridotte). Vantaggi per il contribuente: le sanzioni amministrative vengono ridotte a 1/3 del minimo previsto (anziché il 100% o 90% dell’imposta, spesso si scende al 30% o meno); inoltre, si può fruire di una rateazione fino a 8 rate trimestrali (12 rate se l’importo supera 50.000 €). Pagando la prima rata o l’unica soluzione entro 20 giorni dalla firma, l’accertamento si perfeziona e il contribuente non subirà ulteriori pretese su quella annualità/voce.
Se l’accordo non si raggiunge: le parti si lasciano e il contribuente mantiene intatto il diritto di proporre ricorso (che a quel punto, grazie alla sospensione, avrà nuovo termine di 60 giorni dalla conclusione dei 90 giorni di sospensione). Attenzione: se il contribuente durante le trattative produce documenti o ammette fatti, e poi l’adesione fallisce, tutto ciò non vincola formalmente nel processo successivo, ma l’ufficio ne sarà comunque a conoscenza (dilemma strategico: conviene scoprire le carte in adesione? Dipende dai casi).
La riforma del 2023 non ha abrogato l’accertamento con adesione (istituto che resta nei suoi termini di legge), ma come detto, col contraddittorio anticipato obbligatorio molte controversie si risolvono o definiscono già in sede amministrativa prima dell’atto finale. Infatti, se l’accertamento è stato preceduto da invito al contraddittorio, il legislatore ha previsto che dopo la notifica dell’atto non sia ammessa adesione (perché si considererebbe un duplicato del contraddittorio già svolto). Quindi, in uno scenario 2025, l’adesione “classica” troverà spazio soprattutto per atti non preceduti da invito (es: accertamenti parziali, avvisi di rettifica catastale, atti locali). È comunque un istituto importante da conoscere, perché spesso consente di ridurre notevolmente le sanzioni e di evitare il ricorso se la pretesa può essere negoziata.
3.3 Reclamo e Mediazione tributaria
Il reclamo-mediazione era un istituto introdotto nel 2012 (DL 98/2011, art. 17-bis D.Lgs. 546/92) che prevedeva, per le controversie di valore non superiore a una certa soglia, l’obbligo di tentare una conciliazione con l’ente impositore prima di arrivare effettivamente davanti al giudice. In sostanza, per le liti di modesta entità, il ricorso tributario si considerava dapprima come un “reclamo” rivolto all’Ufficio, il quale poteva accoglierlo (in tutto o in parte) o proporre una mediazione. Solo decorso un termine di 90 giorni senza accordo, il ricorso proseguiva dinanzi alla Commissione.
Sotto il regime previgente, la soglia di valore era stata elevata progressivamente fino a 50.000 euro: ciò significa che fino al 2022, per tutti i ricorsi aventi valore (imposte + sanzioni) fino a 50.000 €, il contribuente doveva obbligatoriamente proporre il reclamo (che coincideva con la notifica del ricorso stesso, contenente anche un’istanza di mediazione) e attendere 90 giorni. In caso di esito positivo, si perfezionava un accordo di mediazione con riduzione delle sanzioni al 35% (in mediazione le sanzioni erano ridotte del 60%, restando il 40% a carico). In caso di esito negativo o silenzio, il ricorso andava avanti.
Questa procedura ha avuto fortune alterne: da un lato ha effettivamente risolto un certo numero di liti minori senza arrivare a sentenza; dall’altro è stata criticata per allungare i tempi e rappresentare un filtro ulteriore a carico del contribuente. La novità cruciale è che nel 2023 l’art. 17-bis è stato abrogato (dall’art. 4, D.Lgs. 30 dicembre 2023 n. 220, attuativo della delega fiscale). Per i ricorsi notificati dal 1° gennaio 2024 in poi, dunque, non esiste più l’obbligo del reclamo-mediazione. L’abolizione è giustificata dal fatto che ora c’è il contraddittorio obbligatorio ante atto: essendoci già stato un dialogo, non serve ripeterlo dopo.
Tuttavia, occorre gestire correttamente il regime transitorio: i ricorsi di valore fino a 50.000 € notificati prima della soppressione della mediazione (quindi indicativamente fino a fine 2023) sono ancora soggetti alla vecchia disciplina. Pertanto, ad esempio, un atto notificato a dicembre 2023 con ricorso proposto a gennaio 2024 entro i 60gg, potrebbe aver ancora la fase di mediazione attiva (dato che l’atto era anteriore). Nella pratica, però, dal 2025 questo sarà sempre più raro.
Come funziona(va) la mediazione: Il contribuente redigeva normalmente il ricorso, ma nel frontespizio lo intitolava “Ricorso con istanza di reclamo-mediazione ai sensi dell’art. 17-bis D.Lgs. 546/92” e lo notificava all’ente. Entro 90 giorni l’ufficio poteva accogliere il reclamo (annullando l’atto, caso raro) oppure formulare al contribuente una proposta di mediazione con rideterminazione della pretesa. Se il contribuente accettava, la lite si chiudeva con un accordo di mediazione (atto sottoscritto dalle parti) e pagamento del dovuto con sanzioni ridotte al 1/3 del minimo ulteriormente ridotte di 1/3 (il che equivale a pagare il 35% delle sanzioni originarie). In caso di mancato accordo, il contribuente procedeva a costituirsi in giudizio decorso il 90° giorno, e la causa seguiva il suo corso.
Efficacia deflattiva: secondo i dati ministeriali, un discreto numero di controversie minori trovava soluzione in mediazione, ma spesso le proposte dell’ufficio ricalcavano quelle dell’accertamento con adesione. Ora la mediazione “sparisce” come fase obbligatoria, ma le parti possono comunque cercare un accordo in sede processuale, tramite la conciliazione giudiziale (di cui parleremo nel prossimo paragrafo).
Per completezza, forniamo un modello esemplificativo di istanza di reclamo-mediazione integrata nel ricorso (utile per le liti pregresse in cui ancora si applica):
Esempio di Ricorso con Istanza di Reclamo-Mediazione
CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA DI PRIMO GRADO di ______________
RICORSO (con istanza di reclamo-mediazione ex art. 17-bis D.Lgs. 546/1992)
Ricorrente: Sig. Alfa (C.F. _________), residente in ______, via ______ n., rappresentato e difeso dall’Avv. Beta (C.F. _________) presso il cui studio in ______, via ______ n. elegge domicilio giusta procura a margine del presente atto. PEC difensore: _________.
Resistente: Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di ________, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata per legge in ______ (indirizzo PEC: ________).
Atto impugnato: Avviso di accertamento n. ____ emesso dall’Agenzia delle Entrate di ____ e notificato in data //2023, anno d’imposta ______, con cui si accertano maggiori ricavi € ____, maggiori IVA € ____, irrogando sanzioni per € ____ (totale contestato € ____).
Istanza di Reclamo/Mediazione: Ai sensi dell’art. 17-bis D.Lgs. 546/92, il ricorrente propone formale reclamo avverso l’atto sopra indicato, chiedendone l’annullamento in via di autotutela ovvero la riduzione attraverso mediazione, per le ragioni di fatto e di diritto esposte di seguito. A tal fine dichiara sin d’ora la propria disponibilità a valutare soluzioni di definizione della controversia, anche mediante conciliazione, con rideterminazione dell’imponibile e delle sanzioni.
Fatti e motivi del ricorso: (segue la descrizione dei fatti, l’illustrazione dei motivi di illegittimità dell’atto: es. violazione di legge, errata applicazione dell’art. …, omesso contraddittorio, ecc., con eventuali documenti allegati).
Richiesta in via principale: il ricorrente chiede alla Corte di Giustizia Tributaria di annullare integralmente l’avviso impugnato per i motivi suesposti, con vittoria di spese.
(eventuale richiesta subordinata di riduzione, ecc.)
Richiesta in via adesiva (reclamo): il ricorrente istante chiede all’Ente impositore, in sede di riesame/reclamo, di voler annullare o riformare in via di autotutela l’atto impugnato alla luce delle argomentazioni sopra svolte.
Luogo, data – Firma (Avv. Beta – difensore)
Procura alle liti a margine
(Nell’atto si può inserire altresì un’istanza di sospensione dell’atto impugnato, ma in sede di reclamo l’ufficio difficilmente la considera; sarà il giudice semmai a valutarla dopo i 90 giorni.)
Come detto, dal 2024 questo modello resterà di applicazione solo per residui casi. Il reclamo-mediazione confluisce concettualmente ora nelle procedure di contraddittorio precedente o di conciliazione giudiziale, trattate di seguito.
3.4 Conciliazione giudiziale (in udienza e fuori udienza)
La conciliazione giudiziale è lo strumento che consente alle parti di una controversia tributaria già in corso di trovare un accordo transattivo e chiudere anticipatamente il giudizio, davanti al giudice tributario. A differenza dell’adesione (fase amministrativa) e della mediazione (che era pre-processuale), la conciliazione avviene all’interno del processo, con l’ausilio e sotto il controllo del giudice.
Tipi di conciliazione: Tradizionalmente si distingueva tra conciliazione fuori udienza (quando le parti depositavano un accordo scritto prima dell’udienza) e conciliazione in udienza (raggiunta verbalmente davanti al collegio, poi messa a verbale). La riforma del 2023 ha ampliato e sistematizzato la conciliazione, introducendo anche la figura della conciliazione su proposta del giudice. Ora gli articoli 48 e seguenti del D.Lgs. 546/92 disciplinano:
- Conciliazione fuori udienza (art. 48): le parti possono, in qualsiasi momento del giudizio di primo o secondo grado, depositare un accordo conciliativo sottoscritto, contenente i termini della definizione della lite. Tale accordo può riguardare l’intero oggetto del ricorso o anche solo una parte (conciliazione parziale).
- Conciliazione in udienza: in sede di trattazione orale, le parti possono dichiarare di voler conciliare e stabilire i termini dell’accordo direttamente davanti al collegio, il quale li recepisce in un processo verbale di conciliazione.
- Conciliazione su proposta del giudice (art. 48-bis.1 introdotto nel 2023): la Corte di Giustizia Tributaria, se lo ritiene opportuno, può formulare essa stessa una proposta conciliativa alle parti, tenendo conto dell’oggetto del giudizio e di eventuali soluzioni giurisprudenziali di facile applicazione. Questo avviene, di solito, nelle liti in cui emerge chiaramente una possibile definizione equitativa (ad esempio, il giudice intuisce che una riduzione del 30% dell’imponibile potrebbe essere accettabile per entrambi).
- Definizione della conciliazione (art. 48-ter): norma introdotta per regolare gli effetti dell’accordo. In particolare, stabilisce come si perfeziona la conciliazione (con il versamento entro 20 giorni delle somme dovute o della prima rata) e le conseguenze (il processo si estingue, ciascuna parte sopporta le proprie spese salvo diverso accordo).
Benefici della conciliazione: In caso di conciliazione, le sanzioni sono ridotte al 1/3 di quanto irrogato (art. 48, co.6). Questa riduzione è leggermente meno vantaggiosa rispetto alla mediazione (dove erano al 35% delle originarie), ma comunque significativa: il contribuente paga solo un terzo delle sanzioni applicate nell’atto (oltre naturalmente al tributo concordato e agli interessi legali). Inoltre, il pagamento può essere rateale in massimo 20 rate trimestrali se le somme superano € 50.000. La conciliazione evita l’incertezza del giudizio e la possibile condanna alle spese.
Ambito oggettivo: Ogni controversia, di qualsiasi valore, è conciliabile (anche quelle che prima non passavano per mediazione). Perfino in Cassazione è ora ammessa la conciliazione se compatibile: la legge nuova dispone che la conciliazione fuori udienza è ammessa anche per le controversie pendenti in sede di Corte di Cassazione, in quanto compatibile. Ciò significa che anche durante il giudizio di legittimità le parti possono transigere (nei limiti in cui la lite verte su questioni transigibili, quindi tipicamente importi dovuti, rinuncia parziale a pretese, ecc., mentre non è “conciliabile” in Cassazione una questione di solo diritto astratto se non si traduce in importi).
Procedura pratica: Se la conciliazione avviene fuori udienza, i difensori delle parti (o la parte e il funzionario delegato per l’ente) redigono un atto contenente i termini: ad esempio “il contribuente dichiara di accettare la ripresa a tassazione di € 50.000 (in luogo di € 100.000 accertati) con imposte per € X e sanzioni ridotte a 1/3 del minimo, pari a € Y; l’Ufficio concorda nel ridurre la pretesa nei suddetti termini”. Questo accordo, firmato da entrambe le parti, si deposita telematicamente. Il giudice, verificata la regolarità (presenza delle firme, rispetto della riduzione sanzioni), emette un decreto di omologa o una sentenza breve che prende atto della conciliazione e dichiara estinto il giudizio. Se invece la conciliazione avviene in udienza, il verbale sottoscritto dalle parti e dal giudice tiene luogo dell’atto e produce gli stessi effetti.
Una volta omologata la conciliazione, l’accordo ha efficacia di sentenza passata in giudicato limitatamente alla parte definita. In caso di inadempimento nei pagamenti da parte del contribuente, l’Amministrazione potrà riprendere la riscossione coattiva delle somme dovute in base all’accordo.
La riforma ha anche chiarito che la conciliazione può essere totale o parziale: se è parziale, il processo prosegue per la parte residua non conciliata. Ad esempio, su un avviso con più rilievi, si può transigere su alcuni e litigare su altri.
Differenza tra conciliazione e mediazione: Ora che la mediazione non c’è più, la conciliazione rimane l’unico strumento transattivo in giudizio. La differenza è che nella conciliazione entra in gioco il giudice (soprattutto nella proposta ex officio). Questo potrà in futuro favorire la composizione delle liti: si pensi ai casi in cui i giudici di primo grado, vedendo cause deboli da parte dell’ente, suggeriranno all’ufficio di ridurre la pretesa per evitare una probabile soccombenza integrale.
3.5 Definizioni agevolate delle controversie e altri istituti speciali
Infine, rientrano tra gli strumenti deflattivi anche le cosiddette definizioni agevolate previste da leggi speciali, che consentono di chiudere le liti fiscali pendenti o potenziali versando un importo ridotto, beneficiando di condoni o sanatorie. Negli ultimi anni il legislatore è più volte intervenuto in tal senso (le cosiddette “pacificazioni fiscali”). Elenchiamo le principali forme di definizione agevolata rilevanti al 2025:
- Acquiescenza all’accertamento: prevista dall’art. 15 D.Lgs. 218/1997, consente al contribuente di non impugnare un avviso di accertamento e pagarlo entro 60 giorni, ottenendo in cambio sanzioni ridotte a 1/3 (invece che la metà in caso di soccombenza in primo grado). È uno strumento ordinario: se il contribuente valuta che l’atto non è facilmente impugnabile o preferisce chiudere subito, può fare “acquiescenza” pagando quanto richiesto (o presentando istanza di rateazione). Questo evita il contenzioso sin dall’inizio. Spesso l’acquiescenza è usata contestualmente a una piccola riduzione automatica dell’ufficio (in taluni casi l’Agenzia invia insieme all’accertamento una proposta di definizione con sanzioni 1/3).
- Definizione agevolata delle liti tributarie pendenti: ad esempio, la Legge 29 dicembre 2022 n. 197 (Legge di bilancio 2023) ha introdotto una definizione agevolata per le liti fiscali pendenti in cui è parte l’Agenzia delle Entrate, in ogni grado di giudizio. Potevano essere definite le controversie il cui ricorso introduttivo era stato notificato entro il 1° gennaio 2023. Le condizioni erano il pagamento di una percentuale del valore della controversia, variabile a seconda dello stato del giudizio: ad esempio se il contribuente aveva vinto in primo grado si pagava solo il 40% del valore (e zero sanzioni); se aveva vinto anche in appello il 15%; se aveva perso in primo grado ma la lite era pendente in appello pagava 100% imposte e 1/3 sanzioni; se pendente in Cassazione con doppia conforme a favore contribuente, 5% (casi particolari). Questa definizione richiedeva domanda entro il 30 giugno 2023 e pagamento entro lo stesso termine (rateazione fino a 20 rate). Il processo definito si estingue con decreto del giudice. La Corte Costituzionale ha ritenuto legittima tale normativa di “chiusura liti” escludendo profili di incostituzionalità, ad esempio in tema di disparità di trattamento.
- Conciliazione agevolata in appello (2023): la medesima L. 197/2022 prevedeva un istituto peculiare per le cause in appello: era possibile entro giugno 2023 conciliare davanti alle Corti Regionali con sanzioni ridotte a 1/18 (circa il 5.56%), un forte incentivo. Questo era applicabile per appelli dell’Agenzia su cause vinte dal contribuente in primo grado.
- Rinuncia agevolata in Cassazione: sempre la “tregua fiscale” 2023 consentiva all’Agenzia Entrate di rinunciare ai ricorsi per Cassazione presentati entro il 2022, pagando un importo forfetario (5% se aveva perso nei gradi precedenti), con estinzione delle cause (agevolazione rivolta più all’ente impositore).
- Stralcio di mini-cartelle e saldo e stralcio: benché non riguardi propriamente il contenzioso in Commissione, va ricordato che vari provvedimenti (es. DL 119/2018, L. 197/2022) hanno disposto l’annullamento automatico dei debiti iscritti a ruolo di piccola entità (ad es. lo “stralcio” fino a €1.000 delle cartelle dal 2000-2015) oppure la rottamazione delle cartelle con pagamento del solo tributo senza sanzioni e interessi di mora. Questi meccanismi possono estinguere la controversia in essere sulla cartella se il contribuente aderisce e paga secondo le condizioni di legge.
Le definizioni agevolate sono misure straordinarie e temporanee, che richiedono specifiche adesioni entro termini stabiliti nelle leggi di riferimento. Nel 2025, quelle introdotte nel 2023 si sono in gran parte esaurite come termini di adesione, ma vi sono contribuenti che ne stanno beneficiando nei pagamenti rateali (fino al 2027). Ogni eventuale nuova “pace fiscale” o condono che dovesse essere emanato in anni successivi seguirebbe analoghi schemi.
In generale, il professionista deve sempre tenere d’occhio queste opportunità normative: possono offrire al cliente una via d’uscita più economica e certa rispetto al proseguire il giudizio con esiti incerti. Naturalmente, vanno valutati caso per caso (es.: se si è vinto in primo e secondo grado, pagare il 15% può essere conveniente per chiudere subito senza rischiare Cassazione; se invece si è fiduciosi di vincere completamente, si potrebbe attendere la sentenza).
Ricapitolando la sezione deflattiva: prima di (o durante) il contenzioso tributario vi sono molteplici strumenti per evitare o chiudere la disputa: dall’autotutela (annullamento per errore palese), all’adesione (accordo prima del ricorso, con sanzioni 1/3), alla conciliazione giudiziale (accordo durante il processo, sanzioni 1/3), alle definizioni speciali (percentuali forfettarie). Queste opzioni devono essere considerate attentamente dal difensore, in base alla situazione concreta, per perseguire sempre l’interesse del contribuente alla soluzione più vantaggiosa e rapida. Se però nessuno di questi strumenti porta a un risultato soddisfacente, occorre proseguire nel processo tributario fino alla decisione del giudice. Nelle prossime sezioni vedremo in dettaglio il giudizio di primo grado, l’appello e il ricorso per Cassazione, con i relativi modelli di atti.
4. Il Giudizio di Primo Grado dinanzi alla Corte di Giustizia Tributaria
Il primo grado del processo tributario si svolge davanti alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado competente per territorio, che di regola coincide con l’ambito della vecchia Commissione Tributaria Provinciale (o Regionale in Valle d’Aosta e Bolzano). Il giudizio inizia con la fase introduttiva (ricorso del contribuente e costituzione delle parti, come esaminato sopra) e prosegue con la fase istruttoria e decisoria, che può comprendere scambio di memorie, udienza pubblica di discussione e infine la pronuncia della sentenza di primo grado. Esaminiamo i passaggi principali:
4.1 Fase istruttoria: memorie e prova nel processo tributario
Una volta costituitesi le parti, la segreteria della Corte tributaria fissa la causa sul ruolo e, quando la ritiene matura, la inserisce in una udienza di trattazione. Nel frattempo, le parti hanno facoltà di depositare memorie illustrative e documenti aggiuntivi, entro termini perentori fissati dalla legge (art. 32 D.Lgs. 546/92). In particolare, il ricorrente può depositare memorie integrative fino a 30 giorni liberi prima dell’udienza, mentre l’ente resistente può replicare con memorie fino a 20 giorni liberi prima; infine, eventuali repliche di controparte fino a 10 giorni prima. Queste memorie servono per chiarire meglio le rispettive posizioni, anche alla luce delle difese avversarie emerse.
Dal 2024, a seguito della riforma, la fase istruttoria è diventata più “chiusa”: l’art. 58 D.Lgs. 546/92 modificato prevede che in appello non sono ammesse nuove prove o documenti salvo che indispensabili o non producibili prima (lo vedremo nel capitolo Appello). In primo grado, invece, vige un principio di non tassatività dei mezzi di prova, ma con alcune peculiarità del processo tributario:
- Prova documentale: è la base del giudizio tributario. Il contribuente può produrre ogni documento idoneo (contabile, extra-contabile, perizie, contratti, ecc.) a supporto delle proprie tesi. L’amministrazione allega tipicamente i verbali, i questionari, le banche dati e i riscontri ottenuti. Non c’è discovery obbligatoria come nel processo civile, ma in caso di inerzia dell’ente nel depositare atti rilevanti, il giudice può sollecitarlo.
- Prova testimoniale: come già spiegato, tradizionalmente non era ammessa la testimonianza orale; con la novella 2022 è ammessa solo nella forma della testimonianza scritta, e in via eccezionale, a discrezione del giudice. Pertanto, il difensore che ritenga fondamentale avvalersi di testimonianze deve chiedere espressamente al Collegio di ammettere la prova testimoniale ex art. 7 co.4 D.Lgs. 546/92, indicando il terzo testimone e i capitoli di prova (fatti specifici su cui sentirlo). Il giudice, se lo ritiene necessario, emetterà un’ordinanza disponendo che il testimone fornisca entro un termine una dichiarazione giurata scritta rispondendo ai quesiti approvati. Se il testimone non risponde, può essere sanzionato (fino a 1.000 €). Resta escluso il giuramento (non ammesso).
- Prova per presunzioni: il processo tributario ammette largo uso di presunzioni (semplici), in base alle quali molti accertamenti si fondano su elementi indiziari gravi, precisi e concordanti. Il contribuente può contrastarli fornendo prova contraria. Ad esempio, se l’ufficio presume ricavi in nero dall’analisi dei conti bancari (presunzione legale per le imprese, art. 32 DPR 600/73), il contribuente deve provare che quei movimenti non erano ricavi ma, ad esempio, trasferimenti tra conti o prestiti ricevuti.
- Consulenza tecnica d’ufficio (CTU): nel processo tributario non è prevista espressamente la CTU, ma la giurisprudenza ha ammesso che in casi complessi il giudice possa disporre appositi periti (specialmente su valutazioni estimative, analisi contabili, questioni tecniche). Ciò avviene in virtù del richiamo alle norme del CPC in quanto compatibili (art. 1 co.2 D.Lgs. 546/92). È comunque raro e di solito su materia catastale o di valutazione di aziende.
- Ispezioni e verifiche dirette: possibili ma poco utilizzate; il giudice tributario non dispone di organi propri per ispezioni, ma può chiedere collaborazioni (es.: far verificare un macchinario se l’oggetto è l’iperammortamento…).
Onere della prova e comportamento delle parti: come già evidenziato, oggi la legge stabilisce che l’onere di provare i fatti costitutivi della pretesa è sull’amministrazione. In giudizio ciò significa che se l’Agenzia delle Entrate pretende maggior IRPEF per redditi non dichiarati, deve provare l’esistenza di quei redditi (con documenti, controlli bancari, ecc.). Il contribuente, dal canto suo, deve provare gli eventuali fatti estintivi o modificativi, e le proprie allegazioni (ad esempio, se contesta l’accertamento sostenendo che certi ricavi presunti erano in realtà somme già tassate altrove, dovrà documentarlo). In molti casi, in assenza di prova convincente da parte del Fisco, il giudice dà ragione al contribuente per carenza probatoria dell’ufficio. Questa regola è stata ribadita dalla Cassazione anche dopo la riforma: la Suprema Corte (Sez. Trib.) ha ad esempio confermato che la nuova norma non altera la ripartizione classica se non formalizzandola.
Un particolare profilo probatorio rilevante è la questione delle prove “illegittimamente acquisite”. Spesso il Fisco raccoglie elementi tramite indagini amministrative che, secondo la difesa, potrebbero essere invalide (per esempio, documenti ottenuti senza autorizzazione, o registrazioni acquisite violando la privacy). Ebbene, la Cassazione nel 2025 (sent. n. 8452/2025) ha chiarito che, a differenza del processo penale, nel processo tributario non esiste un generale principio di inutilizzabilità delle prove irritualmente acquisite. In altri termini, un documento acquisito dal Fisco in violazione di norme procedimentali amministrative non è automaticamente inutilizzabile in giudizio tributario, salvo che tale violazione riguardi un diritto fondamentale di rango costituzionale. Questo orientamento “slega le mani” all’amministrazione: ad esempio, un PVC redatto senza aver rispettato il termine di 60 giorni dall’avviso di chiusura indagini (violazione del contraddittorio) potrà comunque essere usato come prova in giudizio, restando al giudice valutarne la rilevanza. Ovviamente, la difesa enfatizzerà queste violazioni per minare l’attendibilità o legittimità dell’atto. Ma, in linea di principio, la giurisprudenza tributaria è pragmatica: ciò che conta è se il fatto risulta provato, non come l’ufficio è arrivato a scoprirlo, salvo appunto lesione di diritti fondamentali (come domicilio violato, intercettazioni illecite, ecc., che vanno messi da parte).
Da notare anche un aspetto introdotto dalla riforma sul regime delle spese di lite collegate alla prova: l’art. 15 D.Lgs. 546/92 aggiornato prevede che se il contribuente in sede di contraddittorio amministrativo non aveva prodotto un documento decisivo, e poi lo produce solo in giudizio vincendo grazie ad esso, il giudice tributario compensa le spese (cioè ognuno paga le proprie). Ciò per “punire” la mancata collaborazione preventiva. Viceversa, se il contribuente prova di non aver potuto esibire prima quel documento per cause a lui non imputabili, potrebbe evitare la compensazione. Questa norma è volta a incentivare la trasparenza: il contribuente collabori prima, altrimenti pur vincendo potrebbe non vedersi rimborsate le spese legali.
4.2 Udienza di discussione e decisione della causa
Giunti alla data fissata, si tiene l’udienza pubblica di discussione (salvo i casi di trattazione in camera di consiglio, che nel nuovo processo tributario si verificano solo se nessuna parte chiede espressamente l’udienza pubblica). In genere, quasi tutte le cause tributarie hanno udienza pubblica, perché il contribuente la richiede nel ricorso oppure l’ufficio nella risposta, o per prassi la fissano d’ufficio.
All’udienza, se in presenza fisica, compariranno i difensori delle parti (o la parte se sta in proprio) dinanzi al Collegio giudicante. Da settembre 2023, come detto, se la causa è assegnata a giudice monocratico, l’udienza si tiene di regola da remoto (videoconferenza) a meno di richiesta di presenza; se è collegiale, può comunque tenersi da remoto se tutte le parti lo hanno chiesto, altrimenti in aula. In ogni caso, che sia via video o in aula, il difensore espone oralmente le proprie argomentazioni e risponde eventualmente alle domande dei giudici. La durata è generalmente breve (5-10 minuti per parte nelle cause ordinarie, salvo complessità).
Durante l’udienza, come visto, può emergere la possibilità di conciliazione: i difensori possono dichiarare di voler conciliare e chiedere un rinvio per formalizzare l’accordo, oppure il giudice stesso può suggerire una transazione (specie nelle liti minori). Se non si concilia, il Collegio dichiara la discussione chiusa e la causa “passa in decisione”.
La decisione avviene in Camera di consiglio, di regola lo stesso giorno o a breve distanza. I giudici deliberano e il relatore stende la sentenza, che verrà poi depositata in segreteria. La sentenza, secondo l’art. 36 D.Lgs. 546/92, deve contenere: intestazione della Corte di Giustizia Tributaria, i nomi delle parti, l’oggetto della controversia, una sintetica esposizione dello svolgimento del processo, i motivi in fatto e diritto della decisione, il dispositivo (ossia la pronuncia finale: accoglimento totale/parziale del ricorso o rigetto) e la firma del presidente e del giudice relatore.
Dal 2023 in avanti, la denominazione corretta nell’intestazione è “Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di …”. È irrilevante il termine Commissione o Corte ai fini giuridici, ma conviene adeguarsi alle nuove formule.
La sentenza, una volta depositata, viene comunicata alle parti dalla segreteria (di solito via PEC). Attenzione: questa comunicazione non fa decorrere i termini di impugnazione, a differenza della notifica che eventualmente una parte effettui all’altra. Infatti, per impugnare in appello, vale la regola che se la sentenza non viene notificata da nessuna delle parti, c’è un termine lungo di 6 mesi dalla pubblicazione; se invece una parte notifica la sentenza, l’altra ha 60 giorni da tale notifica per appellare.
Il contenuto della sentenza può essere di vario esito:
- Accoglimento totale del ricorso: annullamento integrale dell’atto impugnato (o dichiarazione di non debenza del tributo). In tal caso il contribuente vince e, salvo compensazione per particolari ragioni, avrà diritto alla rifusione delle spese di lite (onorari del difensore) ponendole a carico dell’ente soccombente.
- Accoglimento parziale: il giudice può ad esempio ridurre il maggior reddito accertato, annullare alcune sanzioni ma non altre, ecc. L’atto viene così “riformato” in parte. Anche qui di solito la parte maggiormente soccombente (se il Fisco perde in gran parte) paga le spese in proporzione, oppure possono essere compensate se entrambe le parti risultano parzialmente vittoriose.
- Rigetto del ricorso: il giudice respinge tutte le doglianze del contribuente e conferma l’atto. Il contribuente è soccombente e di solito viene condannato a rifondere le spese di giudizio all’ufficio (che quantifica il costo del proprio difensore pubblico secondo parametri).
- Inammissibilità o improcedibilità: se emergono vizi processuali (ricorso tardivo, difetto di competenza, difetto di giurisdizione, omessa indicazione dell’atto impugnato, ecc.), il giudice può dichiarare il ricorso inammissibile senza entrare nel merito. In tal caso, l’atto impugnato resta valido come se non fosse stato contestato. Anche qui, spese di norma a carico del ricorrente salvo eccezioni.
- Cessata materia del contendere: se nelle more, ad esempio, l’ufficio ha annullato l’atto (autotutela) o le parti hanno conciliato, il giudice prenderà atto e dichiarerà estinto il giudizio, spesso senza spese o con spese secondo accordi (nell’autotutela di solito si compensano).
Una novità importante concerne l’esecutività della sentenza. Nel sistema previgente, la sentenza tributaria era immediatamente esecutiva solo al 50% se favorevole al contribuente (l’ente doveva rimborsare il 50% entro 90gg, e il resto dopo il passaggio in giudicato). Se favorevole all’ente, il contribuente doveva pagare quanto dovuto salvo eventualuale sospensione. Con la riforma (D.Lgs. 130/2022 e D.Lgs. 220/2023) è stato sancito che tutte le sentenze delle Corti di giustizia tributaria sono provvisoriamente esecutive. In particolare, la sentenza di primo grado è esecutiva per intero, fatta salva la possibilità per il giudice d’appello di sospenderne l’esecuzione su richiesta. Ciò significa che se il contribuente vince in primo grado, l’amministrazione deve rimborsargli tutto quanto pagato in eccedenza e cessare la riscossione del residuo; se invece perde, l’ente può riscuotere l’intero importo (non più solo 2/3) in attesa dell’appello, salvo sospensioni. Questa è una differenza notevole introdotta per accelerare la definizione economica, ma richiede cautela: è stato infatti previsto (nuovo art. 52 D.Lgs. 546/92) che il contribuente soccombente possa chiedere alla Corte d’appello di sospendere l’esecutività della sentenza di primo grado fino alla decisione di secondo grado. D’altro canto, l’ente se perde può chiedere la sospensione di un eventuale rimborso al contribuente vittorioso.
Infine, il dispositivo della sentenza va eseguito: se ad esempio la sentenza annulla in parte l’accertamento, l’ufficio deve riliquidare il dovuto in base a essa e notificare un nuovo conteggio (spesso chiamato “atto di ottemperanza”). Qualora l’amministrazione non ottemperi, il contribuente può esperire il giudizio di ottemperanza ex art. 70 D.Lgs. 546/92 davanti alla CGT per ottenere forzatamente esecuzione (non frequente, ma previsto).
Chiusa la fase di primo grado, la parte insoddisfatta dell’esito (contribuente o ente) può valutare se proporre appello alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado (ex CTR). L’appello non è ammesso solo in rarissimi casi: ad esempio per le sentenze che decidono su valore della lite sotto 3.000 euro e il contribuente stava in proprio (in passato c’era questa limitazione), ma ad oggi con giudice monocratico anche quelle sono appellabili. In genere, tutte le sentenze di primo grado sono appellabili, tranne le sentenze di conciliazione (che essendo accordo transattivo, non possono essere appellate) e le pronunce di mero rito se non statuito diversamente (ma anche inammissibilità può essere appellata).
Nel seguito affronteremo il grado di appello e poi il ricorso per Cassazione.
Esempio di Sentenza di primo grado (schema sintetico):
CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA DI PRIMO GRADO DI ROMA
Sezione 5 – Sentenza n. 1234/2025 depositata il 10/04/2025
Giudici: Dr. X (Presidente), Dr.ssa Y (Relatore), Dr. Z (Giudice)
Ricorrente: Delta S.p.A. (C.F. …), in persona del legale rapp. pro tempore, rappresentata dall’avv. ___
Resistente: Agenzia delle Entrate – DP Roma 1, in persona del Direttore pro tempore
Oggetto: Ricorso avverso avviso di accertamento n. 777/2023, IVA 2018 – IRES 2018
Svolgimento del processo: Con ricorso notificato in data … Delta S.p.A. impugnava l’avviso di accertamento … L’Agenzia si costituiva resistendo. All’udienza pubblica del … le parti discutevano come da verbale.
Motivazione: […] (si espongono i fatti rilevanti, le censure del ricorrente e le difese dell’ufficio, quindi le valutazioni dei giudici). In diritto, la Corte rileva che l’atto impugnato risulta viziato sotto il profilo dell’omessa motivazione su un elemento essenziale. In particolare, l’Ufficio ha fondato la ripresa a tassazione su presunti ricavi in nero desunti da movimenti bancari, senza tuttavia considerare le prove contrarie offerte dalla società in sede di contraddittorio, né motivare sul perché le giustificazioni addotte fossero respinte. Tale omissione rende la motivazione dell’atto carente e contraria all’art. 7 co.1 L. 212/2000. Inoltre, nel merito, parte dei versamenti bancari (€. 100.000) trova giustificazione nei finanziamenti soci documentati in atti. Pertanto la pretesa risulta in parte infondata. Si ritiene equo ridurre del 50% le sanzioni, in ragione del parziale accoglimento.
Decisione: Alla luce di quanto esposto, la Corte accoglie parzialmente il ricorso e, per l’effetto, annulla l’avviso di accertamento n. 777/2023 limitatamente ai maggiori ricavi per € 100.000, confermandolo per il resto. Le sanzioni sono proporzionalmente ridotte. Spese compensate per metà e per il resto a carico dell’Ente, liquidate in € 2.000 oltre accessori, considerata la parziale soccombenza reciproca.
Dispositivo:
“La Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Roma, Sez. 5, definitivamente pronunciando, accoglie in parte il ricorso e, per l’effetto, ridetermina il maggior reddito imponibile in € ___ (in luogo di € ___) ed annulla la corrispondente maggiore imposta IVA e IRES accertata in eccedenza; riduce le sanzioni amministrative irrogate del 50%. Respinge il ricorso quanto al resto. Compensa le spese di giudizio per il 50% e condanna l’Agenzia delle Entrate a rifondere a Delta S.p.A. il restante 50%, liquidato in € 2.000, oltre accessori di legge.”
Roma, così deciso il …
Il Presidente – Il Relatore
(Questo è uno schema esemplificativo di come si presenta una sentenza tributaria. In casi di accoglimento totale, dispositivo semplicemente “Annulla l’atto impugnato”; in caso di rigetto: “Respinge il ricorso”.)
5. Il Giudizio di Appello dinanzi alla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado
La fase di appello è il secondo grado di merito del processo tributario, affidato alle Corti di Giustizia Tributaria di secondo grado (ex Commissioni Regionali). È un giudizio di revisione della sentenza di primo grado, sollecitato dalla parte soccombente (o parzialmente soccombente) che ritenga la decisione errata. L’appello non è un “nuovo processo da zero”: è circoscritto ai motivi di censura contro la sentenza di primo grado, anche se conserva alcune caratteristiche di novità rispetto al primo grado (fino al 2022 era abbastanza ampio, ma con la riforma si è introdotto un modello di appello a istruttoria chiusa salvo eccezioni).
Vediamo gli aspetti essenziali:
5.1 Proposizione dell’appello: forma, termini e contenuto
Chi intende appellare deve notificare alla controparte un atto di appello (o “ricorso in appello”) entro i termini previsti. Il termine breve è di 60 giorni dalla notificazione della sentenza di primo grado ad opera di controparte (se questa ha provveduto a notificare la sentenza); altrimenti il termine lungo è di 6 mesi dalla data di pubblicazione della sentenza (art. 51 D.Lgs. 546/92, richiamando l’art. 327 c.p.c.). L’atto di appello si notifica alla controparte del giudizio (ad esempio, se è il contribuente ad appellare, notificherà l’appello all’Agenzia delle Entrate, e viceversa) e poi va depositato (costituzione in appello) entro 30 giorni come in primo grado.
Forma e contenuti: L’atto di appello deve contenere, a pena di inammissibilità: gli estremi della sentenza impugnata, l’indicazione della Corte di secondo grado competente (di norma quella della regione/provincia autonoma dove ha sede la CGT di primo grado che ha emesso sentenza), le parti (appellante e appellato), e soprattutto i motivi specifici di appello, ossia le ragioni per cui si chiede la riforma o l’annullamento della sentenza di primo grado (art. 53 D.Lgs. 546/92). È fondamentale che i motivi siano specifici: l’appellante deve individuare gli errori commessi dal primo giudice in punto di fatto o di diritto. Non è ammesso un appello generico del tipo “la sentenza è ingiusta”: va indicato ad esempio “errore nel valutare la prova X”, “violazione dell’art. tal dei tali”, “omessa pronuncia su un motivo”, ecc.
L’appello nel processo tributario può essere sia incidentale che principale. Se una parte appella per prima (appello principale), l’altra può, nella propria costituzione, proporre appello incidentale (magari su punti diversi). Ad esempio: contribuente fa appello principale contro parte del rigetto, l’Ufficio può incidentale su un punto che aveva perso in primo grado e a cui non aveva appellato subito.
Da ricordare anche che l’appello non sospende automaticamente l’esecuzione della sentenza di primo grado. Come visto, la sentenza di primo grado è esecutiva; per sospenderne gli effetti (es. sospendere la riscossione se il contribuente ha perso, o sospendere il rimborso se ha vinto), la parte interessata deve presentare una istanza di sospensione in appello (art. 52 D.Lgs. 546/92 modificato). La Corte di secondo grado può concedere la sospensione dell’esecutività “in presenza di gravi e fondati motivi” (criterio analogo a quello cautelare): ad esempio, il contribuente appellante chiederà di sospendere la sentenza sfavorevole ad evitare di pagare subito importi elevati prima dell’esito dell’appello. Se accordata, la sospensione dura fino alla decisione definitiva in appello.
Competenza territoriale: di solito l’appello va alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado nella cui circoscrizione ha sede il primo giudice. Fanno eccezione le province autonome: ad esempio appello contro sentenza CGT di Trento va alla CGT II grado di Trento (che coincide con CTR Trento). Non esistono problemi di valore per l’appello: tutte le cause, di qualsiasi entità, sono appellabili (a differenza del giudice di pace civile dove cause minime no).
Contributo unificato in appello: l’appellante deve versare un nuovo contributo unificato, di importo uguale a quello di primo grado (non cumulativo, ma per grado).
5.2 Effetti devolutivi e limiti in appello – nuove prove
L’appello tributario ha effetto devolutivo, cioè trasferisce al giudice di secondo grado le questioni oggetto dei motivi di appello. La Corte potrà riesaminare nel merito il rapporto tributario entro i confini segnati dai motivi di appello. Ad esempio, se il contribuente aveva sollevato 5 motivi in primo grado e il giudice ne ha accolti 2 e rigettati 3, e poi l’Agenzia appella sui 2 motivi che ha perso, la Corte di II grado riesaminerà solo quei 2 (salvo appello incidentale del contribuente sugli altri 3 se lo desidera).
Un concetto chiave è che non si possono in appello proporre nuove domande (jus novorum in appello è limitato). Non si può cioè introdurre un motivo completamente nuovo che non era stato sollevato in primo grado, a meno che sia sorto dopo (es: questione di legittimità costituzionale sopravvenuta). Se lo si fa, il giudice d’appello lo dichiarerà inammissibile per novità.
La riforma 2023 ha stretto molto anche sulle nuove prove in appello. Mentre prima l’art. 58 D.Lgs. 546 permetteva di produrre liberamente nuovi documenti in appello (e la giurisprudenza lo consentiva, salvo la prova testimoniale comunque vietata), oggi il nuovo art. 58 (come modificato dal D.Lgs. 220/2023) prevede che nel giudizio di appello non sono ammessi nuovi mezzi di prova né nuovi documenti, salvo che il giudice li ritenga indispensabili ai fini della decisione oppure che la parte dimostri di non aver potuto produrli in primo grado per cause non dipendenti dalla sua volontà. In pratica, si è adottato un sistema simile a quello civile (art. 345 c.p.c.). Questo significa che l’appello diventa un giudizio a “prova semifissa”: tendenzialmente si decide sui documenti e prove già presentati in primo grado, salvo eccezioni. Ad esempio, se spunta un documento nuovo scoperto dopo, lo si potrà ammettere solo se l’appellante prova che non poteva averlo prima; oppure se il giudice reputa necessario es. acquisire d’ufficio un documento fondamentale non prodotto.
Tale innovazione è stata oggetto di attenzione anche da parte della Corte Costituzionale: proprio di recente, con sentenza n. 36 del 27/3/2025, la Consulta ha dichiarato illegittimo un aspetto del divieto di nuove produzioni in appello relativo a documenti essenziali come procure e deleghe di funzione. Nello specifico, la norma introdotta dal D.Lgs. 220/2023 (art. 58 c.3) vietava tassativamente di produrre in appello atti come la delega al funzionario o la procura alle liti se non erano stati prodotti in primo grado. La Corte ha ritenuto tale divieto assoluto in contrasto col diritto di difesa e l’uguaglianza, perché impediva di sanare in appello vizi pur non imputabili alla parte (ad es. se il documento non era stato depositato per un errore non proprio). Ha dunque dichiarato incostituzionale il divieto nella parte in cui impediva la produzione in appello di deleghe, procure e atti di rappresentanza non prodotti in primo grado per causa non imputabile. Questo bilancia la rigidità della regola. In sintesi: oggi in appello si possono portare nuovi documenti solo in casi stretti; e se il documento è la prova della legittimazione (procura etc.) omessa prima per errore scusabile, va ammesso (per garantire il giusto processo).
La trattazione dell’appello ricalca in buona parte quella di primo grado: deposito di memorie (termini analoghi: 60 giorni prima per motivi aggiunti? la legge tributaria non li disciplina espressamente, ma in pratica si segue lo schema 30-20-10 giorni anche in appello per repliche e controrepliche), eventuale pubblica udienza (che se non richiesta si potrebbe tenere in camera di consiglio). Dato il carattere devolutivo, all’udienza d’appello di regola non si rifà l’istruttoria ex novo, a meno che non si ammettano quelle eventuali nuove prove indispensabili. Spesso l’udienza d’appello è più incentrata sugli aspetti di diritto e su come il primo giudice li ha valutati.
5.3 Decisione in appello e sentenza di secondo grado
La Corte di giustizia tributaria di secondo grado dopo la discussione decide con sentenza, che può confermare, riformare o annullare la sentenza impugnata. Possibili esiti:
- Conferma (rigetto appello): la sentenza di primo grado viene confermata in toto. La sentenza d’appello può far proprio il motivazione di primo grado o integrarla.
- Riforma: la Corte accoglie l’appello e quindi modifica la decisione precedente. Ad esempio, se il contribuente aveva perso e appella, la CTR può accogliere il suo appello e dunque annullare l’atto che in primo grado era stato confermato. Oppure viceversa, può dare ragione all’ufficio su punti dove il contribuente aveva vinto.
- Riforma parziale: molto frequente, soprattutto se entrambe le parti hanno appelli su diversi punti. Può es. ridurre ulteriormente un’imposta o ritenere fondata una ragione aggiuntiva.
- Annullamento con rinvio: ipotesi rara in appello, perché la CTR è giudice di merito e in genere decide nel merito. Tuttavia, se rileva un vizio di procedura insanabile in primo grado che ha leso il contraddittorio processuale (es.: mancata integrazione di un litisconsorte necessario), potrebbe annullare la sentenza e rinviare al primo grado per nuovo giudizio con tutte le parti. Questo è raro, di solito queste questioni possono essere risolte anche direttamente in appello riconvocando le parti (la Cassazione invece spesso annulla con rinvio alle commissioni).
- Casi particolari: se in appello interviene una conciliazione tra le parti, vale lo stesso discorso: la Corte prende atto e dichiara estinto. Se la controversia d’appello è definita con adesione a una definizione agevolata (come quella del 2023), la Corte dichiarerà estinzione per cessata materia.
La sentenza di appello è esecutiva anch’essa. In particolare, la sentenza d’appello favorevole al contribuente è immediatamente esecutiva (l’ufficio dovrebbe restituire quanto eventualmente riscosso); se favorevole al Fisco (es: ribalta una vittoria del contribuente), l’Amministrazione può procedere a riscossione integrale, ma il contribuente può chiedere eventualmente sospensione in Cassazione (vedremo con art. 62-bis D.Lgs. 546/92 introdotto nel 2023 per sospendere esecuzione della sentenza impugnata in Cassazione). Anche qui si applicano i meccanismi cautelari analoghi.
Le spese del giudizio d’appello seguono la soccombenza complessiva dei due gradi o possono essere compensate per giusti motivi. In genere la CTR condanna la parte che risulta perdente in appello a pagare le spese del grado (talora sommando quelle di primo se riforma l’esito).
Dopo la sentenza di secondo grado, la vicenda può non essere conclusa: permane la possibilità, per chi ha interesse, di ricorrere ulteriormente in Cassazione (terzo grado, però solo per motivi di legittimità). Da notare: se nessuna delle parti ricorre in Cassazione entro termini, la sentenza d’appello passa in giudicato e diventa definitiva e immodificabile (salvo revocazione per casi eccezionali).
Esempio di Atto di Appello (modello sintetico):
CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA DI SECONDO GRADO DEL LAZIO
Atto di Appello
Appellante: Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Roma 1, in persona del direttore pro tempore, rappresentata ex lege dall’Avvocatura dello Stato (domicilio digitale: _____).
Appellato: Delta S.p.A. (C.F. …), in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’Avv. Beta (PEC: …), domiciliata presso il suo studio in Roma, via …, come… da procura speciale apposta in calce al ricorso introduttivo.
Sentenza impugnata: Sentenza n. 1234/2025 della CGT di I grado di Roma (Sez. 5) depositata il 10/04/2025, notificata all’Agenzia delle Entrate in data 12/04/2025.
Motivi di appello:
- Error in iudicando – Omessa pronuncia. La sentenza gravata ha omesso di pronunciarsi sul motivo di ricorso con cui l’Ufficio eccepiva l’inammissibilità del ricorso originario per difetto di sottoscrizione digitale del difensore, in violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 36 D.Lgs. 546/92. Tale omissione vizia la decisione impugnata (motivazione apparente/nullità della sentenza).
- Error in iudicando – Erronea valutazione delle prove (movimenti bancari). Il primo giudice ha ritenuto giustificati dalla società contribuente movimenti bancari per €100.000 sulla base di mere dichiarazioni di terzi (soci) non suffragate da riscontri oggettivi, in violazione dell’art. 32 del DPR 600/73 e dei principi sull’onere della prova. L’erronea valutazione delle prove ha portato ad annullare indebitamente parte dell’accertamento.
- Error in iudicando – Violazione di legge sulla quantificazione delle sanzioni. La sentenza ha disposto una riduzione delle sanzioni del 50% senza alcun fondamento normativo, oltre quanto previsto dall’ordinamento (art. 7 D.Lgs. 472/97), incorrendo in ultrapetizione.
Conclusioni:
L’Agenzia appellante chiede che la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio, in totale riforma della sentenza impugnata, voglia:
– In via principale, dichiarare inammissibile il ricorso originario di Delta S.p.A. e confermare integralmente l’avviso di accertamento n. 777/2023;
– In subordine, rigettare nel merito il ricorso della contribuente, confermando la legittimità dell’atto impugnato (imposte e sanzioni come da accertamento);
– Con vittoria di spese di entrambi i gradi di giudizio.
(Luogo, data)
Avvocatura Distrettuale dello Stato – per Agenzia delle Entrate – DP Roma 1
6. Il Ricorso per Cassazione
Esauriti i gradi di merito, contro la sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado è ammesso il ricorso per Cassazione davanti alla Corte Suprema (Sezione Tributaria della Corte di Cassazione). Questo è un rimedio di legittimità, finalizzato a censurare errori di diritto commessi dai giudici tributari, e non un terzo grado di merito.
Motivi di ricorso: il ricorrente per Cassazione (sia esso il contribuente o l’ente impositore) può dedurre esclusivamente i vizi previsti dall’art. 360 c.p.c.: in particolare, nelle cause tributarie i più frequenti sono la violazione o falsa applicazione di norme di diritto (es. errata interpretazione di una legge tributaria, omessa applicazione di una norma comunitaria, ecc.) e la nullità della sentenza o del procedimento (es. per difetto di motivazione, omessa pronuncia, violazione del contraddittorio processuale). Dal 2021 il vizio di motivazione della sentenza è deducibile in Cassazione solo come omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti (art. 360 n.5 c.p.c.), circostanza abbastanza limitata. Non è possibile contestare in Cassazione l’apprezzamento del merito compiuto dal giudice di appello (ad es. la valutazione delle prove): si può censurare solo se tale valutazione sia avvenuta in violazione di legge o sia totalmente illogica/omissiva (nei ristretti limiti suddetti).
Termini e modalità: Il ricorso per Cassazione va notificato alla controparte entro 60 giorni dalla notifica della sentenza di appello (se effettuata) oppure, in difetto di notifica, entro il termine lungo di 6 mesi dalla pubblicazione della sentenza di secondo grado. La notifica del ricorso avviene normalmente via PEC al domiciliatario della controparte (es. all’Avvocatura dello Stato per l’Agenzia delle Entrate, o al difensore del contribuente). Entro 20 giorni dalla notifica, il ricorrente deve depositare il ricorso presso la cancelleria della Corte di Cassazione, allegando la prova dell’avvenuta notifica e il documento di versamento del contributo unificato. La parte intimata (controparte) può a sua volta notificare entro 40 giorni un controricorso, contenente le proprie difese e l’eventuale ricorso incidentale (se anch’essa ha motivi di impugnazione). Trascorsi i termini, il fascicolo viene trasmesso alla Sezione Tributaria della Cassazione, che fisserà l’udienza (o l’adunanza in camera di consiglio) per la decisione.
Difensori abilitati in Cassazione: in sede di legittimità, la difesa tecnica del contribuente deve essere affidata a un avvocato iscritto all’albo delle giurisdizioni superiori. I difensori non avvocati (es. commercialisti) non sono abilitati al patrocinio in Cassazione, quindi il contribuente dovrà nominare un avvocato cassazionista. L’Agenzia delle Entrate è normalmente rappresentata dall’Avvocatura Generale o Distrettuale dello Stato.
Procedimento e decisione: La Corte di Cassazione esamina gli atti dei gradi precedenti limitatamente ai motivi di ricorso proposti. Non si tengono nuove udienze con prova testimoniale o altro – la Cassazione giudica ius receptum, ossia sugli atti così come sono. Spesso la causa viene decisa in camera di consiglio, con ordinanza, se i motivi sono manifestamente fondati o infondati (art. 380-bis c.p.c.). Altrimenti si tiene un’udienza pubblica con relazione di un Consigliere e intervento orale del Pubblico Ministero (Procuratore Generale) e dei difensori delle parti. Al termine, la Corte delibererà la decisione.
Gli esiti possibili sono:
- Rigetto del ricorso: la Cassazione respinge tutti i motivi; la sentenza di appello diventa definitiva. La Corte condanna il ricorrente anche alle spese del giudizio di legittimità. Ad esempio, se un contribuente ricorre avverso una sentenza a lui sfavorevole e la Cassazione rigetta, la sentenza d’appello (favorevole al Fisco) resta valida e si consolida.
- Accoglimento del ricorso: la Cassazione ritiene fondati uno o più motivi. In tal caso cassa (annulla) la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti. Contestualmente, se la causa è matura per la decisione (cioè non servono ulteriori accertamenti di fatto), la Cassazione decide nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., ponendo fine alla lite. Ad esempio, se il motivo accolto è la mancata considerazione di una causa di non tassabilità e dagli atti risulta che l’imposta non era dovuta, la Cassazione può direttamente annullare l’atto impositivo. Se invece servono ulteriori valutazioni di fatto, la Corte cassa con rinvio ad un nuovo giudice di merito: tipicamente rinvia ad altra sezione della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado (o eventualmente a una CGT di pari grado diversa). Il giudice di rinvio dovrà riesaminare la causa attenendosi ai principi di diritto enunciati dalla Cassazione (art. 384, co.2 c.p.c.). Le parti, in sede di rinvio, non potranno discutere oltre tali principi, essendo vincolanti. La causa proseguirà quindi davanti al giudice di rinvio e potenzialmente potrebbe anche tornare in Cassazione su altri aspetti, anche se spesso il secondo giro risolve la lite.
- Decisioni particolari: In rari casi, la Cassazione può dichiarare inammissibile il ricorso (es. per tardività o vizi formali gravi) o improcedibile (es. mancato deposito di atti necessari). Tali pronunce chiudono ugualmente il caso, confermando la decisione impugnata. Inoltre, la Cassazione può decidere di riunire più ricorsi connessi (ad esempio, contribuente e Agenzia ricorrono entrambi – principale e incidentale – verranno decisi con unica sentenza).
Spese del giudizio di legittimità: seguono la soccombenza. Se il ricorso è rigettato, il ricorrente paga le spese di controparte; se accolto, di norma la Cassazione regola anche le spese dei precedenti gradi (art. 385 c.p.c.), salvo rinviare anche su di esse.
Va menzionato che la riforma ha introdotto un importante strumento cautelare anche in questa fase: l’art. 62-bis D.Lgs. 546/92 consente di chiedere alla Cassazione la sospensione dell’esecutorietà della sentenza di secondo grado impugnata. Ad esempio, se la sentenza d’appello ha dato ragione al Fisco e condannato il contribuente a pagare, quest’ultimo, ricorrendo in Cassazione, può chiedere alla Suprema Corte di sospendere la riscossione fino all’esito finale, dimostrando il periculum di un danno grave e irreparabile e il fumus boni iuris del ricorso. La Cassazione decide sull’istanza cautelare in camera di consiglio. Questa novità (introdotta nel 2023) colma una lacuna preesistente, dato che prima la sentenza di appello era esecutiva senza rimedi, mentre ora c’è una tutela in più (simile a quanto avviene in civile con l’art. 373 c.p.c.).
Con la pronuncia della Corte di Cassazione, se questa decide nel merito o rigetta, la controversia tributaria giunge a conclusione definitiva (fatta salva la possibilità residua di un ricorso in Corte Costituzionale se venisse sollevata una questione di legittimità della norma tributaria applicata, evento non frequente e di solito promosso dal giudice, non dalla parte).
Infine, esistono mezzi straordinari post Cassazione:
- La revocazione delle sentenze passate in giudicato (artt. 64-65 D.Lgs. 546/92) per errori gravi come il dolo del giudice, la scoperta di nuovi documenti decisivi prima ignoti, l’errore di fatto risultante dagli atti, etc. La revocazione va chiesta alla stessa Corte che ha pronunciato la sentenza definitiva entro 60 giorni dalla scoperta del vizio (o entro 5 anni in alcuni casi di errore di fatto). Ad esempio, se emerge un documento occultato dalla controparte che avrebbe cambiato l’esito, si può chiedere la revocazione della sentenza definitiva. La riforma 2022 ha leggermente modificato la disciplina della revocazione per coordinarla col nuovo assetto (ad esempio specificando i casi di revocazione per contrasto di giudicati). Resta comunque un rimedio raro.
- L’opposizione di terzo (art. 404 c.p.c. applicabile ex art. 1 D.Lgs. 546/92) è un altro mezzo straordinario: un soggetto terzo, rimasto estraneo al giudizio, può opporsi ad una sentenza passata in giudicato che lede i suoi diritti. Nel tributario, ciò potrebbe avvenire in ipotesi eccezionali – ad esempio un coobbligato solidale non chiamato in causa potrebbe tentare opposizione di terzo contro la sentenza resa solo verso l’altro coobbligato. Anche questo strumento è di uso estremamente limitato nel processo tributario, grazie anche al fatto che ora il litisconsorzio necessario nei tributi di massa (es. società di persone e soci) è stato meglio garantito sin dal primo grado.
Possiamo quindi tracciare la “vita” di un contenzioso tipo: il contribuente eventualmente impugna in Cassazione la decisione di appello; se la Cassazione conferma la pretesa fiscale, la vicenda si chiude con la definitività del debito tributario accertato; se invece la Cassazione annulla in tutto o in parte, magari decidendo nel merito in favore del contribuente, la pretesa fiscale viene meno definitivamente. Il giudicato tributario fa stato anche nei confronti dell’Amministrazione: ad esempio, una sentenza passata in giudicato che annulla un accertamento per un certo anno impedirà al Fisco di riproporre accertamenti sul medesimo oggetto (salvo elementi nuovi prima non valutati e utilizzabili con strumenti ad hoc, come l’accertamento integrativo, nei limiti di legge).
Una volta formatosi il giudicato, resta eventualmente la fase di ottemperanza: se l’ente non esegue la sentenza (ad esempio non rimborsa le somme al contribuente vittorioso), quest’ultimo può avviare il giudizio di ottemperanza ex art. 70 D.Lgs. 546/92 dinanzi alla CGT di secondo grado competente, per ottenere un ordine coattivo di pagamento, nominare commissari ad acta, ecc. Anche questo è un procedimento particolare, che conclude la tutela giurisdizionale garantendo concreta attuazione al decisum.
Esempio di Ricorso per Cassazione (schema sintetico)
Ricorso per Cassazione
Ricorrente: Delta S.p.A., con sede in Roma, C.F. …, in persona dell’amministratore unico pro tempore Sig. ____, rappresentata e difesa dall’Avv. Gamma del Foro di Roma (cassazionista), C.F. ____, PEC ______, elettivamente domiciliata in Roma, Via __ n. (come da procura speciale in calce al ricorso in appello).
Resistente: Agenzia delle Entrate – Direzione Regionale del Lazio, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato (domicilio ex lege in Roma, Via dei Portoghesi 12).
Sentenza impugnata: Sentenza n. 4321/2025 della Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado del Lazio, depositata il 10/10/2025 e notificata in data 20/10/2025.
Motivi di ricorso:
1) Violazione di legge (art. 360 n.3 c.p.c.) – Erronea applicazione dell’art. 6-bis L. 212/2000. La sentenza impugnata ha ritenuto legittimo l’accertamento nonostante l’Amministrazione finanziaria non avesse inviato al contribuente il preventivo avviso di contraddittorio di cui all’art. 6-bis Statuto Contribuente, applicabile ratione temporis. Così giudicando, la Corte di appello ha violato la norma che impone la nullità dell’atto emesso senza contraddittorio. (Segue illustrazione della questione di diritto, richiamando la norma e la sua interpretazione)…
2) Omesso esame di un fatto decisivo (art. 360 n.5 c.p.c.). La sentenza di appello non ha considerato un fatto storico decisivo, oggetto di discussione: il versamento di €50.000 effettuato dal socio Tizio in data 10/07/2018 era già emerso come tassato in capo allo stesso socio (circostanza provata da documenti prodotti). Tale omesso esame ha condotto a confermare indebitamente la doppia imposizione.
3) Violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 n.4 c.p.c. – Omessa pronuncia. La Corte territoriale non si è pronunciata sul motivo di appello relativo alla richiesta di sgravio sanzioni per obiettiva incertezza normativa, incorrendo in nullità della sentenza per omissione di pronuncia su un motivo specificamente riproposto.
Conclusioni:
Si chiede alla Corte di Cassazione, in accoglimento del presente ricorso, di cassare la sentenza impugnata e, decidendo nel merito ex art. 384 c.p.c., di accogliere il ricorso introduttivo di Delta S.p.A., con annullamento totale dell’avviso di accertamento n. 777/2023. Con vittoria di spese dei gradi di merito e di questo giudizio.
(Luogo, data – Firma Avv. Gamma)
(N.B.: Il ricorso per Cassazione deve contenere, sotto ciascun motivo, la chiara indicazione delle norme di legge violate, nonché il “momento di sintesi” ex art. 366 c.p.c. per i vizi motivazionali. L’esempio sopra è semplificato a fini illustrativi.)
7. Fonti normative e giurisprudenziali
Di seguito si elencano le principali fonti normative e giurisprudenziali richiamate nella guida, con link di riferimento ove disponibili e indicazione dell’ultimo aggiornamento:
Fonti normative
- D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 – “Disposizioni sul processo tributario” (Testo aggiornato con le modifiche da L. 130/2022 e D.Lgs. 220/2023). Ultimo agg. 4 gennaio 2024.
- Legge 31 agosto 2022, n. 130 – “Riforma della giustizia e del processo tributario”. Ha introdotto onere della prova a carico dell’amministrazione, giudice monocratico, prova testimoniale scritta, ecc. Ultimo agg. settembre 2022.
- Legge 9 agosto 2023, n. 111 – “Delega al Governo per la riforma fiscale”. Base dei D.Lgs. attuativi 2023/2024. Art. 18-19 delega in materia di contenzioso tributario. Ultimo agg. agosto 2023.
- D.Lgs. 30 dicembre 2023, n. 219 – “Statuto dei diritti del contribuente (riforma fiscale – modulo 1)”. Ha inserito l’art. 6-bis L. 212/2000 sul contraddittorio obbligatorio. Ultimo agg. gennaio 2024.
- D.Lgs. 30 dicembre 2023, n. 220 – “Disposizioni in materia di contenzioso tributario (Attuazione L. 111/2023)”. Riforma del processo tributario in vigore dal 2024. Ha abrogato il reclamo/mediazione, modificato le regole su conciliazione, appello chiuso a nuove prove, introdotto art. 62-bis (sospensione in Cassazione), ecc. Ultimo agg. 4 gennaio 2024.
- D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218 – “Accertamento con adesione e conciliazione”. Disciplina l’adesione (artt. 2-15) e la conciliazione giudiziale ante riforma (art. 48 previgente). Ancora vigente, ma coordinato con novità 2022-25. Ultimo agg. 2023.
- Legge 29 dicembre 2022, n. 197, commi 186–205 – “Definizione agevolata delle controversie tributarie pendenti”. Ha consentito la chiusura delle liti con l’Agenzia Entrate su ricorsi notificati entro il 1/1/2023 pagando importi percentuali. Ultimo agg. gennaio 2023.
- Circolare Agenzia Entrate 27 gennaio 2023, n. 2/E – Istruzioni sulla definizione agevolata liti pendenti. Ultimo agg. 27/01/2023.
- D.M. Economia 11 febbraio 1997, n. 37 – Regolamento sull’autotutela tributaria. Stabilisce modalità di annullamento in autotutela degli atti. Ultimo agg. 1997 (ancora vigente).
- D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32 – (Poteri degli uffici, presunzioni sui conti bancari). Ultimo agg. 2020.
- D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 15 – (Iscrizione a ruolo provvisoria di 1/3, ora modificato). N.B.: parzialmente superato dalle nuove norme sull’esecutività immediata delle sentenze.
- Codice di procedura civile, artt. 360–384 c.p.c. – (Ricorso per Cassazione) applicati nel processo tributario ex art. 62 D.Lgs. 546/92. Ultimo agg. 2023.
Fonti giurisprudenziali
- Cass., Sez. Trib., 31 marzo 2025, n. 8452 – Utilizzabilità di documenti irritualmente acquisiti. Ha affermato che nel processo tributario non vige un principio generale di inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite, salvo violazione di diritti fondamentali. Ultimo agg. aprile 2025.
- Cass., Sez. Trib., 10 aprile 2024, n. 9635 – Nuovi documenti in appello. Conferma l’orientamento che (prima della riforma) era ammessa la produzione di nuovi documenti in appello in mancanza di preclusioni. (Ora superato dalla modifica legislativa del 2023). Ultimo agg. aprile 2024.
- Cass., Sez. Trib., 11 marzo 2024, n. 5321 – Preclusioni in appello. Ribadisce che, per i ricorsi in appello notificati dal 2024, opera il divieto di nuove prove salvo indispensabilità o non imputabilità della mancata produzione. Ultimo agg. marzo 2024.
- Corte Costituzionale, 27 marzo 2025, n. 36 – Legittimità costituzionale art. 58 c.3 D.Lgs. 546/92. Ha dichiarato incostituzionale il divieto assoluto di produrre in appello deleghe, procure e atti di rappresentanza non prodotti in primo grado, nella parte in cui non consente di sanare cause non imputabili alla parte. Ultimo agg. marzo 2025.
- Corte Costituzionale, 16 giugno 2022, n. 149 – Ne bis in idem e doppio binario sanzionatorio. Benché riferita a diritto d’autore, è la prima sentenza che ha dichiarato illegittimo il cumulo di sanzioni penali e amministrative in materia tributaria in taluni casi, aprendo la strada all’applicazione del principio di ne bis in idem. Ultimo agg. giugno 2022.
- Cass., SS.UU., 18 settembre 2014, n. 19667 – Litisconsorzio necessario tra soci e società. Ha statuito che negli accertamenti di redditi di società di persone e soci vige litisconsorzio necessario: l’assenza di uno dei litisconsorti rende nulla l’intera sentenza. Principio recepito dall’art. 14 D.Lgs. 546/92.
- Cass., SS.UU., 29 luglio 2013, n. 18184 – Giudicato tributario e nuove annualità. Stabilisce che il giudicato su un’annualità non estende automaticamente i suoi effetti a periodi d’imposta diversi, salvo identità di situazione (principio del “giudicato a formazione progressiva”).
- Cass., SS.UU., 17 febbraio 2010, n. 3678 – Autotutela – impugnabilità. Ha affermato che il diniego di autotutela non è atto impugnabile autonomamente dal contribuente, potendo questi far valere i vizi solo impugnando l’atto originario (ora confermato dall’art. 2-quater DL 564/94).
- Cass., SS.UU., 8 settembre 2016, n. 17758 – Giudicato penale e processo tributario. Ha chiarito che nel rapporto tra esito penale e accertamento tributario non vi è automatica prevalenza del primo: il giudice tributario può valutare autonomamente i fatti, salvo il caso di sentenza penale di assoluzione con formula piena per insussistenza del fatto (che vincola).
- Corte Giust. UE, 3 settembre 2019, causa C-482/18 (Lexel) – Ne bis in idem tributario. Conferma compatibilità del doppio binario sanzionatorio fiscale/penale con l’art. 50 CDFUE se sussistono stretta connessione e proporzionalità (richiamata in Corte Cost. 149/2022). Ultimo agg. 2019.
- Corte Giust. UE, 16 ottobre 2019, causa C-189/18 (Glencore) – Diritto al contraddittorio endoprocedimentale. Ha statuito che, in assenza di una disciplina UE specifica, spetta agli Stati decidere sul contraddittorio anticipato nei tributi non armonizzati; per l’IVA e dazi, invece, il diritto UE esige il contraddittorio prima dell’atto. Sentenza che ha influenzato l’introduzione dell’art. 6-bis L. 212/2000. Ultimo agg. 2019.
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