Fine della Rottamazione Quater: Cosa Succede e Come Difendersi da Equitalia (Ex)

Si è conclusa la rottamazione quater, non sei riuscito a pagare le rate e vuoi sapere cosa fare?

Qui di seguito troverai la guida di Studio Monardo, gli avvocati specializzati in cancellazione debiti con l’Agenzia Delle Entrate-Riscossione.

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Introduzione:

La Rottamazione-quater – introdotta dalla Legge n. 197/2022 (Legge di Bilancio 2023) – ha permesso a molti contribuenti di definire in modo agevolato i debiti fiscali affidati all’agente della riscossione tra il 1° gennaio 2000 e il 30 giugno 2022. Questa “definizione agevolata” ha consentito di estinguere i carichi iscritti a ruolo pagando solo le somme dovute a titolo di imposta o contributi, senza le sanzioni e gli interessi di mora, e con un tasso ridotto del 2% annuo per la rateizzazione. Il piano poteva essere in unica soluzione o dilazionato fino a 18 rate in 5 anni.

Dopo mesi di proroghe e scadenze differite, la fase di adesione e le prime rate della Rottamazione-quater si sono concluse. In particolare, il termine di presentazione delle domande, inizialmente fissato al 30 aprile 2023, è stato prorogato dapprima al 30 giugno 2023 (e fino al 2 ottobre 2023 per i soggetti colpiti dall’alluvione in Emilia Romagna). La prima rata (o unica soluzione) prevista per il 31 luglio 2023 è stata posticipata al 31 ottobre 2023 dal c.d. Decreto Bollette (D.L. 34/2023). Successivi interventi normativi hanno rimodulato il calendario delle rate: la seconda rata al 30 novembre 2023, la terza al 28 febbraio 2024 (tutte con una tolleranza di 5 giorni); la quarta al 31 maggio 2024 (pagabile entro il 5 giugno), la quinta prorogata dal 31 luglio al 15 settembre 2024, la sesta al 30 novembre 2024 (pagabile entro il 9 dicembre). Il 28 febbraio 2025 è scaduta la settima rata (considerata tempestiva se versata entro il 5 marzo 2025). In breve, fino alla fine del 2024 il calendario di pagamento agevolato è stato “allungato” per favorire i contribuenti, ma con l’inizio del 2025 ci si avvia verso la conclusione di questa definizione.

Cosa accade adesso, alla fine della Rottamazione-quater? Questa guida – dal taglio tecnico-giuridico ma con indicazioni pratiche – analizza le conseguenze per chi non ha rispettato le scadenze e rischia di perdere i benefici, e spiega come difendersi dalle azioni di riscossione dell’ex Equitalia (oggi Agenzia delle Entrate-Riscossione). Vedremo in dettaglio cosa comporta la decadenza dalla rottamazione, quali strumenti ha a disposizione il Fisco (pignoramenti, fermi amministrativi, ipoteche, notifiche di atti) e quali strategie di difesa legale e tributaria possono adottare persone fisiche e imprese: nuove rateizzazioni ordinarie, ricorsi in Commissione tributaria, istanze di autotutela, opposizioni all’esecuzione, fino ad arrivare alle soluzioni straordinarie come le procedure da sovraindebitamento o concorsuali. Non mancheranno casi pratici ed esempi applicativi, il tutto supportato da riferimenti normativi aggiornati al 2025 e dalla più recente giurisprudenza di Cassazione e delle Corti di merito.

Cos’è la Rottamazione-quater e quando termina

La “Rottamazione-quater” (così chiamata perché quarta edizione delle definizioni agevolate) è disciplinata dai commi 231–252 dell’art. 1 della Legge n. 197/2022. Essa consente di definire i debiti risultanti da cartelle esattoriali affidate all’Agente della riscossione entro il 30/06/2022, eliminando sanzioni e interessi di mora. Restano dovuti solo:

  • l’imposta o contributo originario non versato (il capitale);
  • gli interessi per ritardata iscrizione a ruolo eventualmente inclusi nel carico;
  • le spese di notifica delle cartelle e per eventuali procedure esecutive già avviate;
  • l’aggio di riscossione (quota spettante all’Agente) calcolato però solo sul capitale (nelle sanatorie precedenti l’aggio veniva condonato, ma nella quater è dovuto in misura ridotta).

Chi ha presentato domanda di adesione entro i termini ha ricevuto dall’Agente della riscossione una Comunicazione di accoglimento con il conteggio delle somme dovute e il piano dei pagamenti agevolati. In base alla normativa, si poteva scegliere se pagare in un’unica soluzione entro il 31 ottobre 2023 oppure a rate (massimo 18) secondo questo schema iniziale:

  • 1ª rata: 31 ottobre 2023 (10% dell’importo dovuto);
  • 2ª rata: 30 novembre 2023 (ulteriore 10%);
  • Rate successive (3ª in poi): ciascuna pari al restante importo diviso in 16 tranche, con scadenze 28 febbraio, 31 maggio, 31 luglio e 30 novembre di ogni anno dal 2024 in avanti.

Esempio: un contribuente con €10.000 di debito “rottamato” avrebbe versato €1.000 alla prima scadenza (31/10/2023), €1.000 alla seconda (30/11/2023) e poi €500 a ogni rata trimestrale successiva, dal 2024 al 2027, fino a completare il pagamento in 5 anni (18 rate totali).

Proroghe delle scadenze: Diversi provvedimenti hanno modificato queste date originali per venire incontro ai contribuenti in difficoltà. La conversione del decreto “Milleproroghe” 2023 (Legge n. 14/2023) ha prorogato il termine di adesione al 30 giugno 2023. Il D.L. 34/2023 (Decreto Bollette) convertito in Legge n. 56/2023 ha posticipato al 31 ottobre 2023 la scadenza della prima (o unica) rata, inizialmente prevista a fine luglio, mantenendo al 30/11/2023 la seconda. In sede di conversione e con provvedimenti successivi sono state introdotte ulteriori dilazioni: ad esempio, un emendamento ha spostato la scadenza della 3ª rata (28/02/2024) al 15 marzo 2024 (senza sanzioni); la 5ª rata è stata differita dal 31 luglio al 15 settembre 2024. È stata inoltre prevista per tutte le rate una tolleranza di 5 giorni: i pagamenti effettuati entro cinque giorni dalla scadenza legale sono considerati tempestivi. Questo significa, ad esempio, che la rata del 28/02/2025 poteva essere versata entro il 5/03/2025 senza perdere i benefici.

Lo scenario attuale (aprile 2025): per i contribuenti in regola, il piano di rottamazione-quater prosegue. Nel 2025 sono previste la 7ª rata (scaduta a febbraio 2025), l’8ª rata al 31 maggio 2025 (posticipata al 3 giugno essendo il 31/5 di sabato, con tolleranza fino all’8 giugno), la 9ª rata al 31 luglio 2025 (tolleranza fino al 5 agosto) e la 10ª rata al 30 novembre 2025 (essendo domenica slitta al 1° dicembre, pagabile entro il 6 dicembre). Seguiranno poi l’11ª, 12ª, ecc., fino alla 18ª entro il 2027. Dunque la definizione agevolata è ancora in corso per chi è riuscito a rispettare le scadenze fino ad ora.

Tuttavia, molti contribuenti non sono riusciti a pagare nei termini previsti una o più rate. La fine del 2024 ha segnato per alcuni la perdita del beneficio fiscale: è qui che si parla di “fine della rottamazione-quater” in senso sostanziale, ossia l’uscita dal regime agevolato e il ritorno alla riscossione ordinaria del debito. Analizziamo quindi cosa comporta la decadenza dalla definizione agevolata e quali sono le conseguenze e rimedi.

Decadenza dalla definizione agevolata: cause e conseguenze

La decadenza dalla rottamazione-quater si verifica quando il contribuente non rispetta le scadenze di pagamento del piano agevolato. È sufficiente anche un singolo mancato o tardivo pagamento di una rata oltre il limite di tolleranza (5 giorni) perché scattino gli effetti della decadenza. In pratica, se il contribuente paga una rata con un ritardo superiore a 5 giorni (o non la paga affatto, oppure paga un importo inferiore al dovuto), perde tutti i benefici della definizione agevolata previsti dalla Legge n. 197/2022. La normativa infatti dispone espressamente che “in caso di mancato o tardivo pagamento di una rata del piano si perdono i benefici della definizione agevolata”.

Le conseguenze immediate della decadenza sono gravose:

  • Ripristino integrale dei debiti: Il debito residuo torna ad essere gravato per intero dalle sanzioni e dagli interessi di mora originariamente esclusi. In altri termini, cessa ogni agevolazione: le somme condonate (multe, aggi, interessi) ritornano dovute per intero. È come se la rottamazione non fosse mai stata concessa per quei carichi. L’importo da pagare, quindi, aumenta rispetto a quanto previsto nel piano agevolato, perché si ricaricano sanzioni e interessi. I pagamenti parziali già effettuati vengono comunque trattenuti dall’Erario e imputati a acconto del debito complessivo dovuto, ma non evitano la resurrezione del debito originario.
  • Fine della sospensione della riscossione: durante la rottamazione, l’Agente della riscossione non poteva intraprendere azioni esecutive o cautelari sui debiti definibili, né considerare il contribuente inadempiente ai fini di DURC o compensazioni. Dopo la decadenza, queste tutele vengono meno. Il debito ritorna immediatamente esigibile in via ordinaria e l’Agente della riscossione può riprendere (o avviare ex novo) le procedure di recupero come pignoramenti, fermi e ipoteche, senza bisogno di ulteriori avvisi (salvo quelli prescritti dalla legge). Si riacquista quindi la normale qualità di debitore moroso, con tutte le conseguenze del caso.

In sintesi, chi decade dalla rottamazione-quater perde il diritto a pagare con lo sconto su sanzioni/interessi e torna ad essere debitore dell’intero importo originario. La definizione agevolata, infatti, era condizionata alla completa e puntuale esecuzione dei pagamenti: se la condizione viene meno, l’accordo si risolve automaticamente e il Fisco è libero di pretendere il dovuto come se l’adesione non fosse mai avvenuta.

Va evidenziato che, a differenza di alcune precedenti “rottamazioni” dove la decadenza poteva precludere successive dilazioni sullo stesso debito, la normativa della rottamazione-quater non contiene un espresso divieto di rateizzare il residuo dopo la decadenza. Pertanto, dal punto di vista legislativo, il contribuente decaduto può comunque richiedere un piano di rateazione ordinaria ex art. 19 del DPR 602/1973 per pagare il debito redivivo (vedremo a breve i dettagli). Questo è un elemento di discontinuità rispetto al passato: la Legge 197/2022, ai commi sulla definizione agevolata, non impedisce la dilazione dei carichi per cui la sanatoria è fallita.

Tuttavia, esistono importanti limitazioni pratiche legate alle regole ordinarie sulle rateizzazioni, specialmente se il debito era già stato oggetto di precedenti dilazioni poi decadute. Su questo aspetto torneremo nella sezione dedicata alle nuove rateizzazioni (spoiler: chi aveva una vecchia rateizzazione già decaduta prima di rottamare potrebbe non poter ottenere un altro piano).

Riammissione straordinaria (aprile 2025) per i decaduti

Prima di affrontare le strategie difensive, segnaliamo una novità eccezionale introdotta nel 2025: la possibilità di riammissione alla rottamazione-quater per alcuni contribuenti decaduti. Grazie all’art. 17-bis del D.L. 198/2023 (Milleproroghe 2024) convertito dalla Legge n. 15/2025, è stata offerta un’ultima chance a chi, entro il 31 dicembre 2024, era incappato nella decadenza della definizione agevolata per mancato/ritardato pagamento.

In particolare, la legge ha previsto che i contribuenti decaduti potessero presentare entro il 30 aprile 2025 una domanda di riammissione alla Definizione agevolata. L’istanza – da inviare telematicamente tramite il portale dell’Agenzia Riscossione – riguarda esclusivamente i debiti già inclusi in rottamazione-quater per i quali si è perso il beneficio. Non riapre dunque i termini per nuovi carichi, ma consente di “salvare” la rottamazione su quei ruoli già ammessi in origine.

Chi ha presentato domanda entro il 30/4/2025 potrà scegliere se:

  • Pagare in unica soluzione tutte le somme dovute (senza sanzioni e interessi, come da rottamazione) entro il 31 luglio 2025;
  • Oppure pagare in modo dilazionato, fino a 10 rate consecutive.

Nel caso di rateizzazione della riammissione, il piano stabilito dalla legge è più breve rispetto alle 18 rate originarie: sono previste 10 rate così distribuite:

  • 1ª e 2ª rata: scadenze fissate al 31 luglio 2025 e 30 novembre 2025;
  • Rate successive (3ª – 10ª): scadenze il 28 febbraio, 31 maggio, 31 luglio e 30 novembre del 2026 e 2027.

Dunque il piano di “ripescaggio” si completa entro il 2027, analogamente alla rottamazione originaria ma con meno rate (importi di ciascuna rata più elevati). Sulle somme dovute nel nuovo piano si applicano interessi al 2% annuo a decorrere dal 1° novembre 2023 – un dettaglio che indica come il beneficio della tregua fiscale sia stato sospeso dal momento in cui il contribuente è decaduto: gli interessi riprendono a maturare dal giorno successivo alla scadenza originaria delle prime rate non pagate (dopo ottobre 2023).

Entro il 30 giugno 2025, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione invierà una comunicazione a chi ha fatto domanda di riammissione, indicando l’ammontare complessivo dovuto, l’importo delle singole rate e le relative scadenze. In pratica, funziona in modo simile alla comunicazione ricevuta con la domanda originale di rottamazione. Pagando puntualmente secondo questo nuovo piano, il contribuente riacquista i benefici della definizione agevolata persi nel 2024 e considera definitivamente chiuso il debito senza sanzioni e interessi di mora.

Questa riammissione straordinaria è stata concepita come misura “una tantum” per non vanificare i versamenti già effettuati dai contribuenti decaduti e dare loro una seconda opportunità, alla luce anche delle difficoltà economiche diffuse. È importante notare che la riammissione non era automatica: occorreva presentare la domanda entro il termine indicato. Chi non l’ha presentata, o è decaduto dopo il 31/12/2024 (ad esempio saltando rate nel 2025), non può accedere a questo beneficio e rimane soggetto alle regole ordinarie di riscossione.

Esempio pratico: Maria aveva aderito alla rottamazione-quater ma non è riuscita a pagare la 2ª e 3ª rata entro i termini (31/11/2023 e 5/03/2024 con tolleranza). Al 31/12/2024 risultava decaduta. Grazie alla riammissione 2025, ha presentato domanda a marzo 2025. A luglio 2025 riceve dall’Agenzia Riscossione la lettera con il nuovo piano: può pagare tutto entro il 31/7/2025, oppure pagare in 10 rate (luglio e novembre 2025, poi febbraio, maggio, luglio, novembre 2026 e 2027). Maria opta per le rate. Versando regolarmente queste, estinguerà i debiti alle stesse condizioni originarie (niente sanzioni/interessi) e i pagamenti già fatti nel 2023/24 restano validi come acconti. Se Maria non avesse fatto domanda o non seguisse il nuovo piano, i suoi debiti tornerebbero definitivamente in carico con sanzioni e interessi completi.

Chi non ha aderito affatto: La riammissione riguarda solo i decaduti che avevano aderito. Se un contribuente non ha mai presentato domanda di rottamazione-quater entro il 30 giugno 2023, purtroppo non esistono proroghe o riaperture dei termini per includere quei carichi in una definizione agevolata. Un emendamento parlamentare nel 2025 mirava a introdurre una “rottamazione-quinquies” (quinta edizione) estendendo la sanatoria ai ruoli affidati fino al 31 dicembre 2023, ma è stato dichiarato inammissibile per mancanza di coperture finanziarie. Ciò significa che, allo stato attuale, non è prevista alcuna nuova pace fiscale generalizzata in aggiunta alla rottamazione-quater. Il Governo ha anzi manifestato l’intenzione di limitare ulteriori sanatorie, considerando l’impatto negativo sul gettito e il rischio di incentivare comportamenti evasivi. Dunque, per i debiti non “rottamati” ci si deve attrezzare con gli strumenti ordinari di pagamento o di tutela (rateazioni, ricorsi, ecc.), eventualmente sperando in futuri interventi mirati ma senza certezze. Nella sezione finale vedremo comunque quali prospettive e indirizzi sono stati delineati per il triennio 2025-2027.

Ricapitolando: se “la rottamazione-quater finisce” per il contribuente (per decadenza o mancata adesione), il debito rientra nel circuito ordinario. Analizziamo adesso cosa succede ai debiti decaduti e quali azioni può intraprendere l’Agente della riscossione, prima di passare alle strategie di difesa del contribuente.

Cosa succede dopo la decadenza: ritorno alla riscossione ordinaria

Dal momento in cui avviene la decadenza dalla definizione agevolata, i debiti residui (comprensivi di sanzioni e interessi ripristinati) ritornano in carico all’Agenzia delle Entrate-Riscossione come ruoli ordinari non definiti. In pratica:

  • I carichi che erano stati “congelati” dalla rottamazione tornano esigibili immediatamente. Non c’è bisogno di una nuova cartella esattoriale, perché la cartella originaria è ancora valida (non essendo mai stata annullata, ma solo sospesa in parte). La “Comunicazione delle somme dovute” inviata a suo tempo per la rottamazione non è un titolo esecutivo autonomo, era solo un prospetto: il titolo resta la cartella originale o l’accertamento esecutivo già notificato. Quindi, l’Agente può riprendere l’iter di recupero su quei titoli.
  • In molti casi, l’Agente della riscossione invierà una comunicazione di decadenza o un sollecito di pagamento, per informare formalmente il contribuente che la definizione agevolata non ha prodotto effetti e indicare l’importo nuovamente dovuto. Questa comunicazione non è obbligatoria per legge, ma è prassi. Ad esempio, dopo le precedenti rottamazioni, Equitalia (ora AdER) inviava una lettera indicando la perdita dei benefici e invitando a saldare il dovuto. Anche il portale dell’Agenzia Riscossione, nella situazione debitoria del contribuente, normalmente aggiorna lo stato dei carichi da “Definizione agevolata” a “Scaduto” o simile, mostrando l’intero importo.
  • Se dalla data di notifica originaria della cartella esattoriale (o altro atto esecutivo) è trascorso oltre un anno senza che vi siano state azioni esecutive, l’Agente dovrà notificare un avviso di intimazione ai sensi dell’art. 50 DPR 602/1973 prima di procedere con pignoramenti. L’intimazione di pagamento è un atto (solitamente una comunicazione sintetica) che ordina al debitore di pagare entro 5 giorni, trascorsi i quali si procederà forzosamente. Nel caso di decadenza da rottamazione, spesso però l’Agente potrebbe ritenere che le comunicazioni inviate e la conoscenza del contribuente siano sufficienti; ad ogni modo, per scrupolo, un’intimazione viene inviata per rimettere formalmente in mora il debitore post-sanatoria.
  • Decorso il breve termine dell’intimazione (o se non necessaria perché, ad esempio, era già stata notificata in passato), l’Agente può avviare tutte le procedure cautelari o esecutive normalmente previste. Queste includono: il fermo amministrativo dei beni mobili registrati, l’ipoteca sugli immobili, il pignoramento di stipendi, conti correnti, crediti verso terzi, beni mobili o immobili, e la notifica di nuovi atti esecutivi.
  • Importante: i versamenti parziali fatti prima della decadenza restano acquisiti come acconti. Ciò significa che il debito residuo effettivamente dovuto sarà quello originario meno quanto pagato durante la rottamazione. Ad esempio, se un contribuente aveva €10.000 di debito condonabile e ne ha pagati €2.000 con le prime rate agevolate prima di decadere, gli resteranno da pagare €8.000 più le sanzioni e interessi sulle somme non condonate. In pratica i €2.000 saranno scalati dal capitale e forse da una parte degli aggi, ma le sanzioni e interessi vengono riallineati come se non fossero mai stati abbuonati. Non c’è una regola fissa sull’imputazione: di solito l’Agente imputava i pagamenti rottamazione in proporzione ai vari ruoli; dopo decadenza, ricalcola quanto manca per ogni carico. In ogni caso, i soldi versati non vengono restituiti né congelati: vanno a ridurre il debito residuo complessivo.

In sostanza, con la decadenza si ritorna al “mondo” pre-rottamazione. L’Agenzia delle Entrate-Riscossione considererà il contribuente come qualsiasi altro debitore con cartelle scadute: se ci sono importi significativi non pagati, verranno attivate (o riprese) le normali azioni di recupero. Queste azioni possono essere molto incisive sul patrimonio personale o aziendale. Nel prossimo capitolo passeremo in rassegna le principali procedure di riscossione coattiva che l’ex Equitalia può mettere in campo e che i contribuenti decaduti devono aspettarsi o prevenire.

Le azioni di riscossione di Agenzia Entrate-Riscossione dopo la rottamazione

Una volta che il debito torna esigibile in via ordinaria, l’Agente della riscossione (Agenzia Entrate-Riscossione, ex Equitalia) ha a disposizione vari strumenti per recuperare coattivamente le somme. È utile conoscerli in dettaglio per capire cosa può succedere e predisporre adeguate contromisure. Le principali azioni sono:

  • Pignoramenti (espropriazione forzata di beni o crediti del debitore);
  • Fermo amministrativo di veicoli (blocco della circolazione di automezzi intestati al debitore);
  • Iscrizione di ipoteca su immobili;
  • Notifica di nuove cartelle o avvisi per altri debiti e intimazioni di pagamento pre-esecutive.

Vediamole singolarmente dal punto di vista normativo e operativo, con particolare attenzione ai limiti e alle tutele previste.

Pignoramento dei beni e dei crediti

Il pignoramento è l’atto con cui inizia l’esecuzione forzata sui beni del debitore. Nel contesto fiscale, la normativa speciale (DPR 602/1973) prevede alcune peculiarità:

  • Pignoramento presso terzi (es. conto corrente, stipendio): È la forma più rapida utilizzata dall’Agente della riscossione. Si realizza notificando un atto di pignoramento sia al debitore sia al terzo che detiene somme del debitore (ad esempio la banca per il conto corrente, il datore di lavoro per lo stipendio, l’INPS per la pensione, un cliente che deve pagare il debitore, etc.). L’atto indica l’importo dovuto e ordina al terzo di non disporre delle somme fino a concorrenza del debito e di versarle all’Agente dopo 60 giorni.
    • Conti correnti: L’art. 72-bis DPR 602/73 consente all’Agente di pignorare i conti senza bisogno dell’ordine del giudice. Appena notificato il pignoramento alla banca, tutti i fondi presenti sul conto sono bloccati fino a copertura del debito. Tuttavia, la legge tutela l’ultimo stipendio o pensione accreditati prima del pignoramento: se sul conto c’è solo l’ultima mensilità di salario/pensione, essa non può essere toccata. In pratica, dopo l’atto, i nuovi accrediti di stipendio seguono le regole dei pignoramenti su stipendio (c.d. pignoramento sopravvenuto). Ma il saldo esistente al momento dell’atto, al netto di quell’ultima mensilità eventualmente identificabile, viene congelato. Ad esempio, se sul conto ci sono 5.000€ di cui 1.500 di stipendio appena versato, quell’1.500 rimane disponibile al debitore, il resto 3.500 viene bloccato e destinato al Fisco. Il pignoramento su conto corrente è molto incisivo, spesso colpisce imprese e persone fisiche lasciandole senza liquidità immediata.
    • Stipendi e pensioni: Il pignoramento dello stipendio/pensione alla fonte (cioè presso il datore di lavoro o ente pensionistico) è regolato dall’art. 72-ter DPR 602/73, che richiama i limiti dell’art. 545 c.p.c. ma in misura più favorevole al debitore. In particolare, per i debiti fiscali vale che la quota pignorabile è al massimo 1/10 dello stipendio netto se questo non supera 2.500 € mensili, 1/7 se è tra 2.500 e 5.000 €, e 1/5 (20%) se oltre 5.000 €. Sono percentuali più basse per i redditi medio-bassi rispetto al pignoramento civile standard (che sarebbe 1/5 per tutti i salari). Dunque, l’Agente notifica l’atto al datore/INPS, il quale trattiene ogni mese la quota indicata e la versa al Fisco. Se però il conto corrente del debitore viene pignorato dopo l’accredito dello stipendio, si applica quanto detto sopra (l’ultimo stipendio rimane libero, ma il residuo saldo è pignorato). In caso di più pignoramenti sul medesimo stipendio (ad esempio uno per crediti fiscali e uno per crediti bancari), la legge prevede che in totale non oltrepassino il 50% dello stipendio.
    • Altri crediti presso terzi: Equitalia può pignorare qualsiasi credito che il debitore vanta verso soggetti terzi. Ad esempio, un professionista con fatture da incassare dai clienti si può vedere notificare l’atto di pignoramento al proprio cliente, il quale sarà tenuto a pagare all’Agenzia Riscossione invece che al professionista (nei limiti del debito). Oppure si possono pignorare canoni di locazione, indennità di fine rapporto (TFR) presso il fondo o datore, rimborsi dovuti dallo Stato (rimborsi fiscali, anche se spesso questi vengono compensati automaticamente ex art. 48-bis DPR 602/73 se il contribuente ha debiti).
    • Beni mobili e immobili: L’Agente può anche pignorare direttamente beni del debitore. Il pignoramento mobiliare diretto (art. 72 DPR 602/73) – ad esempio, l’ufficiale della riscossione si reca presso l’abitazione o sede dell’azienda e vincola macchinari, merce, auto non registrate al PRA, ecc. – è oggi poco frequente, riservato a casi di evasori incalliti, anche perché recuperare valore dai beni mobili è complicato. Il pignoramento immobiliare (espropriazione di immobili) è possibile ma soggetto a condizioni stringenti (vedi ipoteca e regole sulla prima casa sotto). Se si arriva a pignorare un immobile, l’iter prosegue con la vendita forzata tramite tribunale (o notai delegati), come nelle normali esecuzioni.

In tutti i casi di pignoramento, le tempistiche sono: trascorsi almeno 60 giorni dalla notifica della cartella senza pagamento, e notificata l’eventuale intimazione di pagamento se necessaria (dopo 1 anno di inerzia), l’Agente può emettere l’atto di pignoramento. Dal momento della notifica al terzo, quest’ultimo (banca, datore, ecc.) trattiene immediatamente le somme fino all’importo indicato. Se il debitore presenta ad esempio un’istanza di rateizzazione subito dopo il pignoramento (ne parleremo), spesso l’Agente sospende gli effetti in attesa del piano: ad esempio, un pignoramento su conto può essere sbloccato se il debitore ottiene una dilazione e paga la prima rata. In assenza di accordi o ricorsi, però, il pignoramento procede: nel pignoramento presso terzi, trascorsi 60 giorni l’Agente può direttamente riscuotere le somme dal terzo senza ulteriori formalità (non serve udienza di assegnazione come nelle esecuzioni civili, il che rende il processo più veloce).

Difese del contribuente: Contro il pignoramento, i rimedi tipici (oltre al pagamento del debito per liberare i beni) sono gli opportuni ricorsi o opposizioni di cui parleremo in seguito (ricorso tributario se si contesta la cartella alla base, o opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. se si contesta il diritto di procedere, etc.). Va ricordato che l’atto di pignoramento in sé non è annoverato tra gli atti impugnabili davanti al giudice tributario (art. 19 D.Lgs. 546/92), pertanto le contestazioni contro di esso vanno fatte in sede civile (giudice dell’esecuzione) salvo il caso in cui si faccia valere la mancata notifica della cartella sottostante – in tal caso, la giurisprudenza consente anche un ricorso tributario tardivo per far valere la nullità della cartella mai notificata. Approfondiremo nella sezione dei ricorsi.

Fermo amministrativo di veicoli (ganasce fiscali)

Il fermo amministrativo è una misura cautelare (non esecutiva) che consiste nell’iscrizione di un vincolo presso il PRA (Pubblico Registro Automobilistico) su un veicolo di proprietà del debitore, che ne impedisce la circolazione e il passaggio di proprietà. In gergo viene detto anche “ganascia fiscale”. Il fermo è disciplinato dall’art. 86 DPR 602/1973.

Quando scatta: In teoria, per qualsiasi importo non pagato oltre i 60 giorni dalla cartella, l’Agente può iscrivere fermo sui beni mobili registrati. A differenza dell’ipoteca e dell’esecuzione immobiliare, la legge non fissa una soglia minima di debito per il fermo. In passato Equitalia adottava criteri interni: ad esempio niente fermi sotto 500 € o 800 €, uno solo veicolo fermabile per debiti fino a 2.000 €, ecc.. Oggi, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione, per prassi, evita di iscrivere fermi per somme molto piccole e comunque attende un ulteriore sollecito. In particolare, per debiti fino a 1.000 € è previsto che non si proceda a misure cautelari prima di 120 giorni dall’invio di una comunicazione bonaria al debitore. In generale però, non c’è un divieto legale sotto una certa soglia, e la Cassazione ha confermato la legittimità del fermo anche per importi modesti. Quindi un contribuente decaduto dalla rottamazione con, ad esempio, 1.500 € di multa stradale non pagata potrebbe teoricamente subire un fermo auto.

Procedura: Prima di iscrivere il fermo, l’Agente deve notificare al debitore un preavviso di fermo con raccomandata A/R (o PEC), concedendo 30 giorni per pagare o rateizzare. Se entro 30 giorni il debitore non regolarizza, scaduto tale termine viene iscritto il fermo al PRA. Il preavviso di fermo è un atto importante: specifica i veicoli che saranno oggetto di fermo e l’importo dovuto, e avvisa delle conseguenze (divieto di circolazione). La giurisprudenza ha chiarito che il preavviso di fermo è impugnabile autonomamente dal contribuente dinanzi al giudice tributario, in quanto atto lesivo incidente sul patrimonio. La Corte di Cassazione (sent. n. 9516/2018) ha infatti confermato che è legittimo e opportuno impugnare il preavviso senza attendere l’iscrizione definitiva. Ciò consente al contribuente di far valere eventualmente vizi della cartella o del procedimento prima che il fermo diventi effettivo.

Una volta iscritto il fermo, il veicolo non può circolare (se sorpreso a circolare, multa salata e confisca del mezzo) e non può essere radiato o venduto. Il fermo appare nei certificati PRA. Come si libera? Solo con il pagamento integrale del debito o con una sospensione per provvedimento del giudice o dell’ente impositore. Tuttavia, se il debitore ottiene una rateizzazione, l’Agente di solito sospende l’esecuzione del fermo: in pratica, se il fermo non è ancora iscritto ma solo preavvisato, viene congelato; se era già iscritto, può essere revocato dopo il pagamento della prima rata del piano (questa è una prassi consolidata, benché la legge non lo imponga espressamente). Ad esempio, l’Agenzia Riscossione sul proprio sito indica che in caso di concessione di rateizzazione il debitore può chiedere la cancellazione del fermo presentando la quietanza della prima rata e l’impegno a pagare le successive.

Effetti pratici e difesa: Il fermo può essere molto penalizzante per chi utilizza l’auto per lavoro. Esso tuttavia è un atto contro cui il contribuente può agire in vari modi: impugnando il preavviso di fermo (come detto, innanzi alla Commissione Tributaria, per questioni sul merito del debito o sulla correttezza della procedura); chiedendo un provvedimento d’urgenza al giudice (sospensione) se ci sono gravi motivi; oppure risolvendo alla radice con il pagamento/rateazione. Un caso frequente di contestazione è quando il debito sottostante era prescritto: il contribuente che riceve un preavviso di fermo per cartelle molto datate mai notificate potrebbe ricorrere eccependo la prescrizione quinquennale o decennale a seconda dei tributi (ad es. 5 anni per contravvenzioni del Codice della Strada, tributi locali, contributi previdenziali, ecc. – come confermato da pronunce di merito). Se il giudice accoglie l’eccezione, annulla il fermo e, di fatto, il debito non è più dovuto.

Ipoteca sugli immobili

L’ipoteca è una garanzia reale iscritta su beni immobili del debitore a tutela del credito. L’Agenzia delle Entrate-Riscossione può iscrivere ipoteca senza autorizzazione del giudice (in quanto atto amministrativo) ma deve rispettare precise condizioni stabilite dall’art. 77 DPR 602/1973 e dalla normativa successiva.

Condizioni per l’ipoteca fiscale:

  • L’importo del debito totale del contribuente deve essere di almeno €20.000. Questo limite è stato introdotto dal 2013 (D.L. 69/2013) per evitare ipoteche su case per piccoli importi. Quindi se il debitore ha, ad esempio, €15.000 di cartelle non pagate, l’Agente non può iscrivere ipoteca; se ha €25.000 sì (anche su più cartelle cumulative).
  • Deve trascorrere almeno 60 giorni dalla notifica della cartella o altro atto esecutivo senza pagamento. Inoltre l’Agente deve notificare una comunicazione preventiva di iscrizione ipotecaria (simile a un preavviso) con anticipo di 30 giorni. La Corte Costituzionale ha sancito l’obbligo di questa comunicazione preventiva a pena di nullità dell’ipoteca (sent. n. 106/2015), e il legislatore l’ha recepito: oggi, prima di iscrivere ipoteca, l’Agente invia una lettera al debitore avvisandolo dell’intenzione e concedendo 30 giorni per pagare o opporsi.
  • Limiti su prima casa: la legge vieta l’espropriazione (pignoramento e vendita) dell’unico immobile di residenza del debitore se: è l’unico immobile di proprietà, vi risiede anagraficamente, e non è di lusso (categorie catastali A/8, A/9). Questo però non vieta l’iscrizione di ipoteca su tale immobile. Su questo punto c’è stata incertezza: in passato Equitalia non ipotecava la prima casa impignorabile, ma la Cassazione a Sezioni Unite nel 2016 (sent. n. 9441/2016) ha affermato che l’ipoteca è ammessa anche sull’unica casa, pur se impignorabile, perché non è un atto di esproprio ma solo cautelativo. Dunque, se un contribuente ha una sola casa di abitazione non di lusso, l’Agente non potrà mai metterla all’asta, ma può comunque iscrivere ipoteca come garanzia, purché il debito superi 20.000€. In ogni caso, ipotecare la “prima casa” per il fisco è raro e controverso, ma legalmente fattibile.

Procedura: inviato il preavviso e decorso il termine, l’Agente invia la nota di iscrizione ipotecaria alla Conservatoria dei Registri Immobiliari. L’ipoteca fiscale ha grado sull’immobile dalla data di iscrizione e ha durata ventennale (rinnovabile). Una volta iscritta, vincola l’immobile: per venderlo occorre prima cancellare l’ipoteca (di solito pagando il debito) o l’acquirente lo prenderà ipotecato.

L’iscrizione di ipoteca non estingue il debito (che rimane da pagare) ma ne garantisce la soddisfazione: in caso di inadempimento, trascorsi ulteriori 6 mesi, l’Agente potrebbe avviare l’espropriazione dell’immobile (salvo i limiti di impignorabilità già detti). Per espropriare immobili diversi dalla prima casa non protetta, il debito deve superare €120.000 (art. 76 DPR 602/73). Quindi, ad esempio, un contribuente con debiti per €50.000 potrebbe subire ipoteca su una seconda casa, ma l’Agente potrà procedere alla vendita forzata solo se il debito totale supera €120.000.

Effetti e opposizioni: L’ipoteca è spesso scoperta dal contribuente tramite visura, o perché ostacola operazioni immobiliari. È un atto impugnabile in Commissione Tributaria entro 60 giorni dalla comunicazione di avvenuta iscrizione (di solito coincide col preavviso se l’iscrizione viene eseguita subito dopo). Le ragioni di ricorso possono essere: importo sotto soglia, mancato invio del preavviso, prescrizione del debito, erronea applicazione delle tutele (es. immobile non ipotecabile per qualche ragione), ecc. Se sussistono vizi, la Commissione può annullare l’ipoteca. Ad esempio, CTR Lombardia sent. 18/2019 ha confermato la cancellazione di ipoteche per debiti sotto soglia e oltre termini di prescrizione.

Per liberarsi dell’ipoteca, normalmente occorre pagare il debito per intero. In caso di pagamento (anche tramite rottamazioni, ma qui siamo oltre) o sgravio, l’Agente rilascia la quietanza e su richiesta cancella l’ipoteca. In alternativa, a volte il debitore può concordare di limitare l’importo garantito dall’ipoteca se ha parzialmente pagato (riduzione di grado). Ma la via più comune è ottenere una dilazione: con la rateizzazione, l’Agente di norma sospende le azioni esecutive, però mantiene l’ipoteca a garanzia fino a completo pagamento (a differenza del fermo, che può togliere dopo la prima rata, l’ipoteca tende a restare finché non è tutto pagato, trattandosi di importo elevato). Dunque, un’impresa o persona che vuole vendere casa dovrà comunque estinguere il debito per cancellare l’ipoteca, anche se sta rateizzando.

Notifica di nuove cartelle e altri atti

Parallelamente alle azioni sui debiti “rottamazione” decaduti, il contribuente potrebbe trovarsi a fronteggiare la notifica di nuove cartelle esattoriali o altri atti di accertamento/riscossione per debiti diversi (ad esempio nuovi debiti tributari sorti dopo il 30/6/2022 o non inseriti in sanatoria). È importante non confondere le due cose:

  • La fine della rottamazione-quater per un dato debito non comporta l’emissione di una “nuova cartella” per quello stesso debito (la cartella originale resta valida). Tuttavia, l’Agenzia potrebbe notificare un estratto di ruolo o una comunicazione di importo dovuto che riepiloga il nuovo saldo comprensivo di sanzioni, a titolo informativo.
  • Se invece il contribuente ha altri debiti non collegati (es. saldo IRPEF 2023, multe 2023, contributi INPS 2024, ecc.), questi potranno generare nuove cartelle esattoriali in futuro. Non essendoci al momento una “rottamazione-quinquies”, tutte le nuove cartelle seguiranno il corso ordinario (60 giorni per pagare, poi riscossione forzata).

Attenzione: con la fine delle misure di tregua fiscale, lo Stato ha annunciato un rilancio della riscossione ordinaria. Nei documenti programmatici 2025-2027 si legge che l’Agenzia Entrate punterà a rafforzare il recupero e ridurre lo stock crediti senza ricorrere a condoni generalizzati. Questo significa che i contribuenti potrebbero assistere a un aumento delle notifiche di cartelle e atti esecutivi per recuperare gettito. Dunque, chi ha arretrati non definibili deve prepararsi a ricevere atti e dover reagire.

Inoltre, tenere presente che:

  • Un debitore inadempiente verso l’erario per somme sopra 5.000 € viene segnalato nelle banche dati pubbliche e scatta il blocco delle compensazioni dei crediti verso la PA (art. 48-bis DPR 602/73). Durante la rottamazione questo non avveniva (il contribuente non era considerato inadempiente), ma decadendo torna a esserlo. Ciò vuol dire, ad esempio, che se quella persona attende un pagamento da un ente pubblico (rimborso, fornitura, ecc.), quel pagamento potrebbe essere sospeso fino a sanatoria del debito.
  • Un altro effetto: il DURC (Documento di Regolarità Contributiva). Durante la rottamazione, il debitore era considerato regolare ai fini DURC. Con la decadenza, se il debitore è un’azienda o professionista che deve ottenere DURC, la presenza di cartelle non pagate sopra certi importi può portare a DURC negativo, impedendo lavori pubblici, attestazioni SOA, ecc.

Insomma, terminata la protezione della definizione agevolata, il contribuente moroso è esposto a 360 gradi: azioni esecutive, misure cautelari, problemi amministrativi. A questo punto diventa fondamentale valutare come difendersi e quali strumenti adottare per gestire il debito ed evitare conseguenze irreparabili. Le opzioni variano dal trattamento “ordinario” (rateizzare, pagare, chiedere sconti per via amministrativa) alle difese legali vere e proprie (ricorsi e opposizioni), fino a soluzioni straordinarie per i casi di impossibilità a pagare (come procedure concorsuali o da sovraindebitamento).

Nel prossimo capitolo analizziamo le strategie di difesa legale e tributaria a disposizione, distinguendo tra quelle più adatte alle persone fisiche e quelle per imprese, con esempi pratici di applicazione.

Come difendersi: strumenti legali e soluzioni dopo la rottamazione

Trovandosi nuovamente esposto alle pretese del Fisco, il contribuente (cittadino o azienda) dispone di una serie di strumenti di difesa e di gestione del debito. Questi vanno dall’ottenere dilazioni di pagamento, ai ricorsi dinanzi al giudice tributario o civile, fino a interventi più radicali come le procedure di insolvenza personale o aziendale. La scelta dipende dalla situazione concreta: importo del debito, fondatezza o meno della pretesa, capacità finanziaria del debitore, necessità di evitare misure immediate (come pignoramenti) e prospettive future.

Passiamo in rassegna le principali strategie difensive, evidenziando per ognuna caratteristiche, requisiti e differenze di applicazione per persone fisiche e imprese.

Richiedere una nuova rateizzazione ordinaria del debito

Il primo rimedio, il più pragmatico se si riconosce il debito, è chiedere una dilazione di pagamento ordinaria all’Agenzia delle Entrate-Riscossione. Come anticipato, la normativa della rottamazione-quater non vieta di rateizzare il debito residuo dopo la decadenza. Dunque, il contribuente può presentare istanza di rateizzazione ai sensi dell’art. 19 DPR 602/1973.

Vantaggi di rateizzare: sospende le azioni esecutive e cautelari e consente di diluire l’impatto sul bilancio personale/aziendale. Inoltre, presentare la domanda di dilazione sospende immediatamente la riscossione in corso: ciò significa che, se nel frattempo l’Agente ha avviato un pignoramento, questo viene congelato in attesa dell’esito della richiesta, e si estinguerà con la concessione della rateazione. In pratica “la sola domanda di dilazione sospende la riscossione”, come confermato in dottrina e prassi. Se la rateazione viene poi accordata e il contribuente paga la prima rata, non si procederà ad ulteriori pignoramenti e quelli già in essere verranno revocati (ad es. il pignoramento del conto viene annullato e i fondi sbloccati). Anche un fermo auto in fase di preavviso verrebbe accantonato.

Nuove regole dal 2025: A partire dal 1° gennaio 2025 è entrata in vigore una disciplina più favorevole per le rateizzazioni, introdotta dal D.Lgs. n. 110/2024 (attuazione della riforma fiscale). Le novità principali sono:

  • Aumento del numero massimo di rate “automatiche”: fino al 2024 si potevano ottenere al massimo 72 rate mensili (6 anni) con semplice richiesta per debiti fino a 60.000 €; ora la soglia è stata portata a 120.000 € e il numero di rate è aumentato gradualmente:
    • Per richieste presentate nel 2025-2026: fino a 84 rate mensili (7 anni) senza necessità di documentare lo stato di difficoltà.
    • Per richieste nel 2027-2028: fino a 96 rate (8 anni) senza documentazione.
    • Dal 2029 in poi: fino a 108 rate (9 anni) senza documentazione.
    Si tratta di un aumento progressivo stabilito dalla legge delegata: ad esempio un debito di 100.000 € nel 2025 può essere dilazionato in 84 rate (7 anni) “a richiesta”, mentre nel 2028 lo stesso importo potrebbe essere concesso in 96 rate.
  • Possibilità di estendere a 120 rate con comprovata difficoltà: per debiti di qualsiasi importo, presentando adeguata documentazione, l’Agente può concedere fino a 120 rate mensili (10 anni). In particolare, per importi oltre 120.000 € la documentazione è sempre richiesta, e il limite massimo rimane 120 rate. Per importi fino a 120.000 €, se si vogliono più rate di quelle “automatiche” (oltre 84 nel 2025-26, oltre 96 nel 27-28, ecc.), bisognerà anch’essi documentare la temporanea situazione di difficoltà economica.
  • Criteri di difficoltà economica: sono ora normati. Per le persone fisiche (e ditte individuali in contabilità semplificata) il parametro è l’ISEE del nucleo familiare; per società e imprese, si usano indici di bilancio (Indice di Liquidità e Indice Alfa) e per i condomìni l’Indice Beta. Il MEF con decreto del 27/12/2024 ha dettagliato questi criteri. In sostanza, se il contribuente dimostra – con ISEE o bilanci – di non poter pagare diversamente, l’Agente gli accorda il massimo delle rate.
  • Soglia di debito per la richiesta semplificata: rimane 120.000 € (sotto tale importo non serve allegare ISEE o bilanci se si chiedono le rate standard). Sopra, serve sempre documentare. Inoltre, indipendentemente dall’importo, se si è decaduti da una precedente rateazione dopo il 16 luglio 2022, la legge pone un vincolo (ne parliamo a breve).

Procedura di richiesta: La domanda si presenta online sul sito dell’Agenzia (servizio “Rateizza adesso”) oppure tramite modulo cartaceo (Mod. RS per richieste senza necessità di documentazione, Mod. RDF per richieste documentate). Per importi fino a 120.000 € oggi è tutto molto snello: basta dichiarare di trovarsi in difficoltà economica e scegliere il numero di rate (fino al massimo consentito). L’esito è immediato online con emissione del piano di pagamenti se si rientra nei criteri. Per richieste documentate, occorre allegare i documenti reddituali/patrimoniali e attendere la valutazione; l’Agenzia mette a disposizione anche un simulatore per capire quante rate potrebbero essere concesse in base ai dati inseriti.

Limiti per chi aveva già rateizzazioni decadute: Ed eccoci a un punto cruciale: molti contribuenti che hanno aderito alla rottamazione-quater lo hanno fatto dopo essere decaduti da precedenti piani di rateazione ordinaria. La normativa introdotta con D.L. 50/2022 (conv. L. 91/2022) ha stabilito che se un contribuente decade da un piano di rateizzazione concesso dopo il 16 luglio 2022, non può ottenere una nuova dilazione sugli stessi carichi residui. In pratica:

  • Se Tizio aveva una rateizzazione nel 2021 poi decaduta (mancato pagamento di 5 rate all’epoca), con la legge di allora poteva fare domanda di nuova rateizzazione solo pagando prima tutte le rate arretrate. Oggi, per le richieste ante 16/7/2022 c’è una chance: pagando interamente le rate scadute del vecchio piano, la dilazione può essere ripresa.
  • Ma se Caio aveva ottenuto una rateizzazione nel 2023 (soggetta alle nuove regole con tolleranza 8 rate) e poi è decaduto nel 2024 su quel piano, la legge attuale gli vieta di dilazionare ancora quei debiti.

Questo ha un impatto sui decaduti dalla rottamazione: caso 1) contribuente che prima di rottamare non aveva alcuna rateizzazione o comunque non era decaduto da piani recenti – allora può accedere a una nuova rateizzazione post-rottamazione; caso 2) contribuente che ha rottamato debiti che provenivano da un piano ordinario già saltato – in questo caso l’Agente, applicando le regole ordinarie, rifiuterà la dilazione. Infatti l’Agenzia delle Entrate ha chiarito (Convegno Telefisco, feb 2024) che chi è decaduto dalla rottamazione-quater dopo essere già decaduto in precedenza da una rateazione non può presentare un’ulteriore domanda di rateazione per quei debiti. Questa situazione è purtroppo comune: ad esempio aziende che avevano piani di rientro durante il COVID, decaduti, hanno aderito a rottamazione-quater per “metterci una pezza”, e ora se falliscono la rottamazione si trovano senza possibilità di ulteriore rateazione. L’unica soluzione, per questi, è pagare integralmente tutte le rate scadute del vecchio piano (se antecedente 16/7/22) e poi ridilazionare, oppure intraprendere altre vie (ricorsi, transazioni straordinarie, ecc. di cui diremo). Se invece il vecchio piano era post 16/7/22, non c’è proprio margine normativo per ri-rateizzare quel debito: quel contribuente è definibile “prigioniero” del debito e l’Agente potrà solo procedere ad esecuzione.

Riassumendo la rateizzazione come difesa: È uno strumento amministrativo, non conflittuale, adatto quando il debito è dovuto ma serve tempo per pagare. I pro: blocca subito le azioni esecutive, evita pignoramenti, consente di conservare il DURC (durante la rateazione il contribuente è considerato adempiente) e di organizzare il pagamento su anni. I contro: comporta il pagamento integrale di sanzioni e interessi (nessuno sconto, anzi maturano interessi di dilazione, attualmente il tasso è attorno al 3,5-4% annuo fissato con decreto MEF) e non risolve il problema per chi oggettivamente non è in grado di pagare nemmeno a rate o per chi voleva contestare il dovuto. Inoltre, se si decade di nuovo (ora la tolleranza è 8 rate non pagate, anche non consecutive, prima di decadere), non ci saranno altre opportunità su quei debiti.

Persona fisica vs impresa: entrambe possono chiedere la dilazione con le stesse regole. Le differenze riguardano la documentazione in caso di importi alti: l’ISEE per le persone fisiche può essere più facile da ottenere rispetto agli indici di bilancio per imprese. Inoltre, per l’imprenditore individuale o la società, mantenere la rateazione attiva è spesso vitale per ottenere il DURC e continuare a operare (pensiamo a aziende edili con appalti pubblici). Un privato cittadino invece può avere come vantaggio personale la sospensione del pignoramento sullo stipendio o la revoca del fermo auto.

Fare ricorso in Commissione Tributaria o opposizione al Giudice civile

Se il contribuente contesta il debito o ritiene che vi siano vizi procedurali, può intraprendere un’azione giudiziaria per tutelarsi. Ci sono due principali binari di tutela giurisdizionale:

  • Il ricorso tributario davanti alla Commissione Tributaria Provinciale/Regionale (dal 2023 rinominata “Corte di Giustizia Tributaria di primo e secondo grado”), previsto dal D.Lgs. 546/1992. Serve a contestare la legittimità della pretesa tributaria o contributiva (esistenza del debito, avvenuta notifica degli atti, decadenza o prescrizione, importo, ecc.) nei limiti degli atti impugnabili elencati dalla legge.
  • L’opposizione in sede civile (davanti al Tribunale ordinario, sezione esecuzioni) ai sensi degli artt. 615 e 617 c.p.c., per contestare la regolarità o fondatezza dell’azione esecutiva intrapresa dall’Agente della riscossione. Questo è il canale tipico per eccepire vizi successivi alla formazione del titolo esecutivo (es. vizi nel pignoramento, mancato invio dell’intimazione ex art. 50 DPR 602/73, pagamento già avvenuto, ecc.) o far valere situazioni sopravvenute (es. prescrizione maturata dopo la notifica della cartella).

Nel contesto post-rottamazione, la scelta del rimedio dipende da cosa si vuole contestare:

  • Contestare la cartella esattoriale o il debito in sé: se il contribuente, decaduto dalla rottamazione, non aveva mai impugnato la cartella originaria e ritiene che quel debito non fosse dovuto (in tutto o in parte), può valutare un ricorso tributario. Normalmente la cartella esattoriale va impugnata entro 60 giorni dalla notifica; molti, avendo aderito a rottamazione, hanno implicitamente rinunciato al ricorso (la domanda di definizione agevolata comportava rinuncia al contenzioso in essere). Tuttavia, potrebbero emergere vizi come la mancata notifica della cartella stessa: in tal caso, secondo le Sezioni Unite della Cassazione, il contribuente può impugnare la cartella oltre i 60 giorni dal momento in cui ne ha avuto effettiva conoscenza (es. tramite un estratto di ruolo o un atto successivo). Attenzione però: con il D.Lgs. 110/2024 è stato inserito un chiaro divieto di impugnazione autonoma dell’estratto di ruolo (art. 12, c.4-bis D.Lgs. 546/92) e le Sezioni Unite (sent. n. 26283/2022) hanno confermato che l’estratto di ruolo non è un atto impugnabile. Significa che il contribuente per contestare una cartella mai notificata deve attendere un atto della riscossione (come un preavviso di fermo, un’intimazione, un pignoramento) e impugnare quello, facendo valere in tale sede la nullità della notifica originaria e quindi l’inesistenza del titolo. Ad esempio, se dopo la decadenza arriva un preavviso di fermo, il contribuente può impugnarlo in Commissione Tributaria sostenendo che la sottostante cartella non gli fu mai notificata e che il credito è prescritto. Se il giudice gli dà ragione, annullerà preavviso e cartella.
    • I motivi tipici di ricorso tributario di merito possono essere: la cartella riguarda un tributo che il contribuente aveva già pagato o annullato; oppure contiene errori di importo; oppure è stata emessa oltre i termini di decadenza (p.es. oltre i termini di accertamento per i ruoli sommari) o di prescrizione (per molti tributi la cartella non pagata si prescrive in 5 anni se l’ente non compie atti interruttivi). Per le sanzioni amministrative (multe stradali) la prescrizione è 5 anni dalla notifica del verbale. Diversi casi hanno visto giudici tributari annullare cartelle vecchie perché non rinnovate nei termini – ad esempio CTP Milano sent. 1085/2019 e CTR Lombardia 1183/2019 hanno riconosciuto la prescrizione quinquennale delle cartelle relative a contributi INPS e sanzioni, nonostante fossero iscritte a ruolo.
    • Un altro possibile motivo: se il contribuente aveva un contenzioso pendente e aderendo alla rottamazione-quater vi ha rinunciato, cosa succede se la rottamazione decade? Purtroppo la rinuncia al ricorso comporta l’estinzione del giudizio senza esame del merito, quindi quel contenzioso non può essere riaperto dopo la decadenza. La Cassazione (ordinanza n. 24428 dell’11/09/2024) ha chiarito che l’adesione alla definizione agevolata è una causa di estinzione del processo tributario per cessazione della materia del contendere – condizionata al pagamento – ma una volta dichiarata l’estinzione, il processo non resuscita se la definizione non si perfeziona. Quindi l’eventuale sentenza di estinzione resta valida e coperta da giudicato, e il contribuente non può “ripristinare” quel ricorso. Questo è un grosso rischio delle sanatorie: se non si perfeziona, il contribuente ha perso sia lo sconto sia il giudizio. L’unica via sarebbe impugnare nuovi atti esecutivi con motivi residuali (es. vizi di notifica come sopra), ma non rimettere in discussione il merito già abbandonato.
    In sintesi, il ricorso tributario dopo la decadenza è efficace per questioni procedurali (nullità notifiche, prescrizione) o casi particolari, ma di solito non può recuperare il beneficio perso né contestare tardivamente ciò che si è accettato definendo. Resta però uno strumento fondamentale: ad esempio per far valere che il debito era prescritto al momento della decadenza (così da non dover pagare sanzioni/interessi riaccesi), o che la cartella era nulla.
  • Contestare l’azione esecutiva o vizi formali: se il contribuente non discute l’esistenza del debito, ma trova irregolarità nelle procedure di riscossione, l’ambito adatto è l’opposizione in sede civile. Ad esempio:
    • Opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.): può essere preventiva (prima che inizi l’esecuzione, se si è solo ricevuta una intimazione) o successiva (dopo un pignoramento). Serve a dire: “non si doveva procedere, perché… il debito è già pagato/non più dovuto/perché ho ottenuto una sospensione/rottamazione in corso/etc.”. Nel nostro caso, se il contribuente decaduto ha però fatto domanda di riammissione ed Equitalia erroneamente pignorasse lo stesso, potrebbe opporsi all’esecuzione evidenziando la riammissione (ma ora la riammissione congela già tutto). Oppure se il bene pignorato era impignorabile (es: prima casa non ipotecabile, somme eccedenti i limiti su stipendio), può opporsi. Opposizione all’esecuzione si fa al Tribunale civile competente per territorio (luogo dell’esecuzione). Da notare che la Cassazione ha dibattuto sulla competenza: se si contesta l’esistenza del titolo (cartella non notificata) è materia tributaria, se si contesta un fatto estintivo successivo (pagamento, prescrizione maturata dopo il titolo definitivo) è materia da giudice dell’esecuzione.
    • Opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.): va fatta entro 20 giorni dalla notifica dell’atto che si contesta (es. il pignoramento, se ha un vizio formale, o l’intimazione se priva di motivi). Motivi tipici: il pignoramento non ha rispettato i termini (ad esempio notificato prima di 5 giorni dalla intimazione), oppure il difetto di notifiche prescritte (manca il preavviso di fermo, manca l’intimazione obbligatoria), oppure errori di persona, di importo, ecc. Questa opposizione è su profili formali e non entra nel merito del debito. Sempre Tribunale civile. La Cassazione però ha affermato che per eccepire il mancato invio del preavviso di ipoteca o fermo, trattandosi di atto antecedente, si può anche usare il ricorso tributario tradizionale.

In pratica, esiste una certa complementarità tra le tutele: spesso i ricorsi tributari e le opposizioni civili possono coesistere. Un esempio: arriva un pignoramento del conto. Il contribuente può depositare:

  • un ricorso in Commissione Tributaria contro la cartella sottostante se non gli fu notificata o è prescritta;
  • contemporaneamente, un’opposizione al pignoramento al giudice dell’esecuzione, chiedendo in via urgente la sospensione dell’esecuzione in attesa che il giudice tributario decida (oppure deducendo direttamente al GE la questione, ma di solito il GE tende a sospendere se c’è un ricorso pendente sulla cartella).

Sospendere le azioni: sia nel ricorso tributario che nelle opposizioni civili, il contribuente può chiedere una sospensiva urgente, ossia un provvedimento che blocchi immediatamente l’azione di riscossione in corso, in attesa della decisione di merito. I giudici tributari possono concedere la sospensione dell’atto impugnato ex art. 47 D.Lgs. 546/92 se ricorre grave e irreparabile danno; i giudici dell’esecuzione possono sospendere la procedura esecutiva ex art. 624 c.p.c. se l’opposizione appare fondata. Ad esempio, se c’è un’asta immobiliare fissata ma il contribuente ha una trattativa di saldo, può chiedere al GE di sospendere l’asta presentando documentazione di avvio di rateazione o ricorso per notifica nulla. Spesso le sospensive si ottengono in tempi rapidi (qualche settimana), dando respiro per negoziare.

In sintesi sulle vie giudiziarie:

  • Quando usarle: se si ritiene di avere ragioni solide per non pagare l’intero debito (prescrizione, errore del Fisco, vizio sostanziale) oppure per guadagnare tempo stoppando azioni aggressive quando la rateizzazione non è ottenibile o non conviene. Anche come leva per indurre il fisco a transigere o rivedere qualcosa in autotutela.
  • Persone fisiche vs imprese: non c’è differenza formale nei diritti processuali. Forse un’azienda, specie se grande, valuterà l’impatto reputazionale di una procedura esecutiva e cercherà di evitare l’udienza di pignoramento, mentre per un privato la questione è più personale. Ma entrambi possono agire. Le imprese spesso hanno più risorse per sostenere un contenzioso, i privati a volte rinunciano per costi legali; però se il debito è elevato, vale la pena difendersi anche per il cittadino.

Va sottolineato che la giurisprudenza recente è piuttosto severa nel far rispettare le regole: ad esempio, Cassazione ha affermato che non impugnare il preavviso di fermo preclude poi di impugnare il fermo stesso (principio di consumazione dell’azione). Quindi il contribuente deve essere tempestivo nel far valere i propri diritti.

Un altro esempio: Cass. Sez. Unite n. 4090/2022 ha stabilito che la riforma del 2021 sull’estratto di ruolo non impedisce l’impugnazione mediata del ruolo quando viene notificato un atto successivo (dunque, come detto, se esce un atto della riscossione, si può contestare la cartella “a monte” in quella sede, ma non impugnare l’estratto da solo). Queste finezze giuridiche mostrano come difendersi richieda attenzione alle forme e ai tempi.

Istanze di autotutela e sospensione amministrativa

Parallelamente (o in alternativa) alle vie giudiziarie, il contribuente può utilizzare strumenti extragiudiziali per far correggere o annullare il debito qualora vi siano errori palesi o cause di non debenza. Tali strumenti rientrano nell’autotutela amministrativa e includono:

  • Istanza di sgravio / annullamento in autotutela: consiste nel presentare una richiesta motivata all’ente creditore (es. Agenzia delle Entrate, INPS, Comune…) o all’Agente della riscossione, evidenziando un errore (doppio pagamento, tributo annullato da sentenza, decadenza per mancata notifica, ecc.) e chiedendo l’annullamento totale o parziale delle somme iscritte a ruolo. L’ente ha il potere di annullare d’ufficio atti illegittimi o infondati, anche oltre i termini di ricorso. Ad esempio, se il contribuente scopre dopo la rottamazione decaduta che una delle cartelle era già stata annullata da una sentenza passata in giudicato, può inviare all’Agenzia Entrate la copia della sentenza e chiedere di sgravare quel ruolo. Oppure se un tributo era stato versato e per errore risulta insoluto, può dimostrarlo. In caso di accoglimento, l’ente emette un provvedimento di sgravio e l’Agente annulla la cartella (o la quota contestata) interrompendo la riscossione.
  • Istanza di sospensione legale della riscossione: esiste una procedura (introdotta dall’art. 1, commi 537-543 L. 228/2012, poi integrata) che consente al debitore di chiedere direttamente all’Agente della riscossione la sospensione delle attività di recupero, presentando documentazione che attesti che il debito non è dovuto per una delle cause tassative previste (pagamento avvenuto, provvedimento di sgravio già emesso dall’ente, prescrizione o decadenza intervenuta, sentenza favorevole, ecc.). AdER mette a disposizione nel proprio sito un servizio ad hoc per inviare questa richiesta, allegando i documenti probatori. Se l’istanza è ritenuta valida, l’Agente sospende immediatamente le azioni esecutive per quei debiti e trasmette la pratica all’ente creditore perché confermi o meno l’effettivo annullamento entro 220 giorni. Se l’ente conferma che il debito non è dovuto, la cartella viene annullata; se non risponde, la legge prevede l’annullamento automatico trascorso il termine. Questa è una forma di autotutela “accelerata” introdotta per evitare che il contribuente debba per forza ricorrere in giudizio in casi lampanti di errore. Ad esempio, Tizio riceve fermo per cartella X ma ha quietanza che dimostra pagamento prima della rottamazione: fa istanza di sospensione allegando la quietanza. L’Agente sospende il fermo, chiede conferma all’ente; se l’ente riscontra il pagamento, via il debito.
  • Transazione stragiudiziale con l’ente: non esiste una vera negoziazione “privata” sulle cartelle fuori dai casi normati, però in alcuni contesti particolari (es. debiti con enti locali) a volte si può ottenere un abbattimento sanzioni direttamente dall’ente, specie se si paga subito il tributo. Ad esempio alcuni Comuni aderiscono a definizioni agevolate delle ingiunzioni fiscali locali. Nel caso dell’Agenzia Entrate, salvo normative ad hoc, non c’è discrezionalità: o si paga o si va in giudizio. Però in ambito contributivo, l’INPS a volte accoglie domande di rinuncia a sanzioni civili se c’è un contestuale pagamento di tutti i contributi dovuti (lo prevede l’art. 116, co. 8, L. 388/2000 in certe condizioni). Quindi un’azienda decaduta per contributi potrebbe chiedere all’INPS la riduzione delle sanzioni civili per tardivo pagamento, ottenendo una facilitazione.

L’autotutela ha il pregio di essere gratuita e rapida (in teoria), ma non c’è garanzia di esito positivo: è a discrezione dell’amministrazione. Non sospende automaticamente i termini di ricorso (a meno di attivare la sospensione legale ex lege come detto) né di prescrizione. Dunque andrebbe usata cum grano salis: se c’è tempo, tentar non nuoce; se i tempi stringono, meglio affiancarla a un ricorso per sicurezza.

Ad esempio: un contribuente accortosi di un vizio invia istanza di autotutela. L’ente però potrebbe non rispondere o rigettare; se nel frattempo scadono i 60 giorni per fare ricorso, si resta scoperti. Quindi spesso si consiglia: presentare sia il ricorso (per interrompere i termini) sia l’istanza (per provare a risolvere bonariamente).

Difesa per persone fisiche vs imprese: entrambe possono agire in autotutela. Forse le imprese hanno più facilità a interloquire con l’amministrazione tramite consulenti fiscali, ma anche il singolo può farlo con una PEC o raccomandata. La sospensione legale è utilizzabile da chiunque. Molti professionisti suggeriscono ai clienti con debiti di controllare sul portale AdER se risultano cause di sospensione possibili e attivarle online (il servizio sospensione – motivi: pagamento effettuato, sgravio, ecc. – è molto usato e spesso evita cause inutili).

Conclusione sulle soluzioni non contenziose: se il debito non è corretto, è sempre bene provare a farlo correggere dall’interno. AdER stessa talvolta segnala errori: ad esempio, se un contribuente ha definito in appello una causa e paga il dovuto ridotto, la CTR emette sentenza e AdER riceve input di sgravio. Se però arriva la rottamazione su quell’atto, può esserci confusione. Fornire la documentazione all’ente può risolvere il problema. L’importante è farlo tempestivamente e seguire l’esito (non dare per scontato che accolgano).

Strumenti per situazioni di sovraindebitamento (persone fisiche)

Quando la situazione debitoria è tale che, realisticamente, il contribuente non è in grado di pagare nemmeno dilazionando e non esistono profili giuridici per annullare il debito, può essere opportuno valutare strumenti straordinari previsti dalla legge per gestire l’insolvenza personale. Ci riferiamo alle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, ora inserite nel nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019 e s.m.i.).

Per le persone fisiche non fallibili (privati consumatori, piccoli imprenditori sotto soglie, professionisti, start-up innovative, enti non profit), le opzioni sono:

  • Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore: se il debitore è un consumatore (debiti personali non legati a attività d’impresa), può proporre al Tribunale un piano di rientro dei debiti, eventualmente con pagamento parziale degli stessi, commisurato alle sue reali possibilità economiche, e con eventuale liquidazione di parte del patrimonio. Il piano va omologato dal giudice e, se l’Erario è coinvolto, l’Agenzia Entrate può opporsi, ma il giudice può anche omologare nonostante il fisco sia contrario, purché il piano assicuri al fisco una soddisfazione non inferiore a quella ricavabile in caso di liquidazione forzata del patrimonio (c.d. cram-down fiscale introdotto dal Codice della Crisi). Questo strumento permette quindi di ottenere, in casi estremi, una falcidia dei debiti tributari (taglio parziale) e una loro dilazione, in un contesto giudiziale di insolvenza, cosa che al di fuori non è possibile. Ad esempio, un privato oberato da cartelle esattoriali per €200.000 e altri debiti potrebbe proporre di pagarne €50.000 in 5 anni, dimostrando che quello è il massimo possibile dati il suo stipendio e mantenendo la casa di abitazione fuori dalla liquidazione. Se il giudice ritiene il piano fattibile e conveniente rispetto all’alternativa (liquidazione e pignoramenti sparsi), può approvarlo. A fine piano, il debitore ottiene l’esdebitazione, ossia la cancellazione del debito residuo.
  • Concordato minore (ex accordo di composizione): se il debitore è un imprenditore sotto soglia o professionista con debiti di natura mista (anche verso fornitori, banche, fisco) può proporre un accordo simile a un concordato preventivo semplificato. Anche qui, può prevedere stralci su debiti fiscali, ma con necessità di adesione di una parte dei creditori o con omologa giudiziale in caso di mancato raggiungimento delle maggioranze (lo strumento è un po’ più complesso). Spesso si parla di “accordo di ristrutturazione dei debiti” per piccoli imprenditori non fallibili.
  • Liquidazione controllata del sovraindebitato: in alternativa, il debitore persona fisica può optare per mettere a disposizione tutto il suo (eventuale) patrimonio, farlo gestire da un liquidatore nominato dal Tribunale, e al termine ottenere l’esdebitazione anche dei debiti non soddisfatti. Questa è una specie di “fallimento del consumatore”. I debiti fiscali rientrano e vengono trattati come gli altri: se c’è qualcosa da distribuire, ricevono la quota di legge, il resto è cancellato. Anche l’esdebitazione opera salvo che siano emersi atti in frode o situazioni di malafede.

Queste procedure comportano costi e tempi (si passa per il Tribunale, servono OCC – organismi di composizione – e professionisti), ma rappresentano un ancora di salvezza quando il debito fiscale (unitamente ad altri debiti magari) è impagabile e altrimenti condannerebbe il debitore a un’esposizione perpetua. Importante: per accedere a questi benefici di esdebitazione il debitore deve essere meritevole, cioè non aver colposamente accumulato debiti con leggerezza o frode. L’esempio classico è la famiglia che per eventi sfortunati (malattie, perdita lavoro) non paga più, oppure l’imprenditore onesto travolto dalla crisi. Invece, chi ha evaso col dolo non sempre trova sponde (il giudice può negare l’omologazione se il comportamento non è stato corretto).

Nel contesto post-rottamazione, se un contribuente si rende conto che, decaduto dalla sanatoria, non riuscirà mai a far fronte all’intero importo ricaricato, valutare la procedura da sovraindebitamento può essere sensato. Ad esempio, un ex artigiano con €300k di cartelle e nullatenente, potrà attivare una liquidazione controllata e in pochi anni liberarsi del peso, piuttosto che subire pignoramenti a vita sul (magro) stipendio.

Attenzione: durante queste procedure, per legge le azioni esecutive individuali dei creditori (Fisco incluso) sono sospese. Quindi presentare una domanda di composizione crisi, se ammessa dal giudice, blocca i pignoramenti in corso. Inoltre oggi esiste anche la possibilità, se il debitore possiede solo la prima casa ed è in stato di insolvenza, di richiedere una moratoria di 1 anno su espropriazione di quell’immobile mentre cerca una soluzione di concordato minore.

Soluzioni concorsuali per le imprese (debitrici di importi elevati)

Per le imprese soggette a fallimento (oggi “liquidazione giudiziale”), ossia società e ditte sopra soglia, le strategie difensive cambiano prospettiva: se il debito fiscale è insostenibile, l’ordinamento prevede strumenti concorsuali di regolazione della crisi che possono ricomprendere i debiti tributari con possibilità di trattarli.

Gli strumenti principali:

  • Concordato preventivo: l’azienda presenta un piano ai creditori (tribunale) in cui propone come soddisfarli (es. percentuale sui debiti unsecured, magari liquidando asset non strategici, o in continuità aziendale offrendo pagamenti col flusso di cassa futuro). Nell’ambito del concordato, può essere inserita la transazione fiscale ex art. 182-ter L.F. (ora confluito nel Codice della Crisi art. 63 e seguenti): il piano può prevedere il pagamento parziale dei debiti tributari e contributivi, ma almeno nella misura non inferiore a quella ottenibile in caso di liquidazione fallimentare dell’azienda. L’AdE di solito vota come creditore sulla proposta. Se la maggioranza dei creditori approva il concordato, i dissenzienti (anche il fisco se fosse contrario ma in minoranza) sono cram-down, vincolati lo stesso. Dunque il concordato può portare a stralciare sanzioni, interessi e persino parte di imposte se l’alternativa (liquidazione) darebbe meno. Ad esempio, un’azienda può concordatare offrendo il 40% sui debiti fiscali chirografari e zero sulle sanzioni, motivandolo col fatto che in liquidazione il fisco avrebbe il 20%. Se i creditori non fiscali approvano, il piano passa.
  • Accordo di ristrutturazione dei debiti (ADR) con transazione fiscale: è un accordo extragiudiziale con efficacia giudiziaria se omologato, dove serve l’adesione di almeno il 60% dei creditori. Se il fisco è tra i creditori, deve necessariamente aderire per la parte che lo riguarda (non è crammable d’ufficio nell’ADR, a differenza del concordato). Ci sono però forme speciali di ADR estese anche senza quella percentuale, ma sono tecnicismi. Comunque, in un ADR un’azienda può negoziare col Fisco, di solito ottenendo dilazioni e a volte rinunce parziali su sanzioni.
  • Composizione negoziata per la crisi d’impresa: non è una procedura concorsuale, ma un percorso volontario e riservato in cui l’imprenditore in difficoltà, con l’ausilio di un esperto, tenta di trovare accordi con i creditori per risanare l’azienda. Può portare a un risanamento fuori dalle aule di tribunale. In tale sede, l’azienda può chiedere anche all’AdE soluzioni come rate extra-statutarie o remissioni parziali, ma l’AdE è vincolata dalle norme: in assenza di un concordato/ADR, non può legalmente abbuonare imposte dovute. Può al più differire pagamenti (ad esempio l’art. 23 D.Lgs 118/2021 prevede che nella composizione negoziata l’Agenzia possa accordare dilazioni fino a 6 anni anche su ruoli scaduti, e sospendere le azioni esecutive intanto). Dunque la composizione negoziata è utile per congelare le azioni per qualche mese (il tribunale può disporre misure protettive) e cercare soluzioni (magari trovare un investitore che inietta capitale per pagare i debiti, oppure predisporre poi un concordato semplificato).

In pratica, per un’azienda travolta dai debiti (fiscali compresi), attivare una procedura concorsuale può permettere di gestire la crisi in modo ordinato e ridurre l’esposizione con il Fisco in misura concordata. Certo, avviare un concordato è una scelta drastica: impatta su tutti i creditori, implica costi, e in caso di fallimento del tentativo porta poi alla liquidazione. È il ultimo stadio della difesa, quando l’alternativa è l’insolvenza selvaggia.

Esempio pratico (impresa): Alfa Srl ha €1 milione di debiti, di cui €400k verso AdER (IVA e ritenute non versate con rottamazione decaduta, e sanzioni correlate). L’azienda non può pagare tutto ma vorrebbe evitare il fallimento. Potrebbe presentare un concordato in continuità proponendo di pagare €600k totali: i debiti privilegiati (IVA) al 100% ma diluiti in 4 anni, i chirografari (tra cui sanzioni e interessi) al 20%. Se dimostra che in caso di fallimento il realizzo per l’erario sarebbe minore, c’è spazio per confermare la proposta. L’Agenzia Entrate in genere valuta la convenienza e può appoggiare. Se il concordato va a buon fine, la società prosegue la sua attività liberata dal peso e i crediti fiscali vengono ridotti secondo quanto omologato.

Differenze persone fisiche/imprese: come visto, persone fisiche non fallibili usano sovraindebitamento; imprese fallibili usano concordato/ADR. Entrambi gli approcci possono ridurre i debiti fiscali, ma richiedono passare per un giudice e rispettare condizioni di legge. Nessuno di questi è automatico: serve ammettere la propria insolvenza o difficoltà e affrontare una procedura.

Altre considerazioni e strategie

Oltre agli strumenti specifici descritti, ci sono alcune ulteriori strategie generali:

  • Attendere eventuali nuove normative: come accennato, l’orizzonte legislativo non prevede subito un’altra “pace fiscale” generalizzata, ma il passato ci insegna che periodicamente misure di sanatoria o condono tornano (specie in prossimità di elezioni o eventi eccezionali). Un contribuente molto indebitato può scegliere di adottare una strategia “attendista”, pagando il minimo indispensabile per evitare guai seri, sperando in futuri condoni. Tuttavia, è una strategia rischiosa: potrebbe non arrivare nulla di utile per anni, mentre intanto maturano interessi e il rischio di azioni aumenta. Inoltre, come evidenziato dalla Corte dei Conti, le continue sanatorie hanno creato “cattivi pagatori seriali” e il legislatore potrebbe non proseguirle su larga scala. Dunque, basare la propria difesa solo sulla speranza di un condono è poco prudente.
  • Pagare selettivamente alcuni debiti per ridurre il danno: se si hanno più cartelle, conviene dare priorità a quelle che generano effetti più gravi. Ad esempio, se c’è una cartella piccola che blocca un DURC, magari pagarla per sbloccare la situazione, mentre si dilazionano altre. Oppure pagare quei debiti che non si potranno mai scontare nemmeno in procedure concorsuali (come l’IVA, che anche in concordato va pagata in prededuzione quasi interamente). In altre parole, gestire il rischio: a volte pagare 5.000 € mirati evita un fermo camion che ne costerebbe di più all’attività.
  • Utilizzare crediti fiscali in compensazione: se il contribuente vanta crediti verso l’erario (rimborsi, crediti IVA, ecc.), può usarli per compensare debiti iscritti a ruolo (fino alla soglia annua consentita, attualmente 2 milioni di euro, art. 34 L. 388/2000). La compensazione volontaria su ruoli è permessa presentando il modello F24 con codice tributo RUOL. Questo non era consentito durante la rottamazione per quei carichi, ma decaduta la definizione, nulla vieta di usare un eventuale credito per abbattere il debito. Attenzione: se però il contribuente è inadempiente su ruoli > 5k e attende crediti da enti pubblici, scatta il blocco art. 48-bis come detto, quindi quell’ente non paga e segnala la cosa.
  • Interloquire con l’Agente della Riscossione: a volte recarsi presso gli sportelli AdER o contattare i funzionari può aiutare a capire la situazione e trovare soluzioni. Ad esempio, se è in arrivo un pignoramento, il funzionario può consigliare di presentare subito istanza di rateazione per evitarlo. Oppure si può chiedere una dilazione anche dopo un pignoramento, proponendo di lasciare al fisco la somma pignorata come prime rate e diluire il resto. Il rapporto umano, pur in un ambito regolato rigidamente, può facilitare accordi di buon senso (come evitare di vendere all’asta un macchinario se il debitore inizia a pagare regolarmente).
  • Prescrizione sopravvenuta: tenere monitorati i tempi. I debiti erariali hanno prescrizioni diverse: es. le cartelle da imposte decadono in 10 anni; quelle da contributi INPS in 5; le multe CdS in 5; i tributi locali in 5 (o 10 se ruolo per ingiunzione). Se l’Agenzia non compie atti per molto tempo, potrebbe scattare la prescrizione. In tal caso, un eccezionale “difesa” è non sollecitare l’ente e lasciare che decorra, per poi eccepirla in sede opportuna. Questo è rischioso se ci sono atti sospensivi nel mezzo (un ricorso pendente sospende la prescrizione). Ma ad esempio, se uno ha cartelle del 2012 rottamate e decadute, e nel 2025 l’Agente ancora non fa nulla, dal 2023 poteva essere maturata la prescrizione decennale: allora conviene non svegliare il can che dorme e, trascorsi 10 anni dall’ultimo atto, eccepire prescrizione in caso di futura azione. Alcune CTP hanno accolto simili eccezioni post-rottamazione, considerando che la presentazione della domanda di rottamazione non interrompe la prescrizione (tema dibattuto: l’istanza di adesione è atto di ricognizione del debito? Tendenzialmente no, è frutto di una legge, non una libera promessa di pagamento). Quindi, a rigore, se per 5 o 10 anni l’Agente non notifica nulla, il debito può estinguersi.

Abbiamo esplorato un ampio ventaglio di difese. In pratica, ogni situazione va valutata specificamente, magari con l’aiuto di un professionista specializzato (commercialista, tributarista o avvocato fiscalista). Spesso la soluzione migliore è combinare più strumenti: ad esempio, chiedere subito una rateizzazione per bloccare le ganasce, e contemporaneamente fare ricorso per abbassare l’importo dovuto; oppure avviare una procedura da sovraindebitamento e nel frattempo ottenere la sospensione amministrativa delle riscossioni.

Nel prossimo paragrafo, presentiamo alcuni casi pratici ed esempi tipici di contribuenti decaduti dalla rottamazione-quater e le possibili difese adottate, per concretizzare quanto esposto.

Casi pratici: esempi di difesa contro le azioni di riscossione

Di seguito alcuni scenari ipotetici (ma realistici) che illustrano come una persona fisica o un’impresa può difendersi dopo la fine della rottamazione-quater, applicando gli strumenti discussi:

Caso 1: Fermo amministrativo in arrivo su autovettura personale – Luigi, contribuente decaduto dalla rottamazione, riceve a gennaio 2025 un preavviso di fermo per un debito di €3.000 (mancato pagamento di imposte IRPEF condonate ma decadute). L’auto è essenziale per recarsi al lavoro. Luigi può agire così: entro i 30 giorni dal preavviso, presenta un’istanza di rateizzazione online per l’importo dovuto. Ciò, di fatto, blocca l’iscrizione del fermo (l’Agente sospende in attesa del piano) e, appena ottenuta la dilazione in 60 rate, Luigi paga la prima rata e richiede formalmente la cancellazione del fermo in base alla rateizzazione in corso. Contemporaneamente, Luigi esamina le cartelle sottostanti: scopre che una delle due cartelle da cui origina il debito non gli era stata notificata regolarmente (risulta una notifica per compiuta giacenza mai comunicata). Decide quindi di fare anche un ricorso tributario contro quella cartella per nullità della notifica e intervenuta prescrizione, chiedendo la sospensione al giudice. Se la Commissione sospende l’atto, Luigi potrebbe perfino ottenere di ridurre l’importo rateizzato. In ogni caso, la mossa immediata della dilazione gli ha permesso di evitare il fermo e continuare a usare l’auto. Il ricorso gli apre la chance di annullare parte del debito. Se non avesse agito entro i 30 giorni, si sarebbe trovato l’auto bloccata e sarebbe stato costretto a pagare tutto in fretta per rimuovere il fermo.

Caso 2: Pignoramento del conto corrente e dello stipendio – Maria, ex commerciante, ha debiti IVA e INPS non sanati. Decaduta dalla rottamazione nel 2024, non ha potuto accedere alla riammissione. Nel maggio 2025 si vede pignorare il conto in banca, su cui aveva €8.000, e riceve contestualmente un atto di pignoramento notificato al suo datore di lavoro, mirato a un quinto dello stipendio. Maria si attiva subito: tramite il suo legale, deposita un’opposizione al pignoramento presso il Tribunale. Contesta che l’Agenzia non le ha notificato l’intimazione di pagamento preventiva (necessaria perché la cartella risale a più di 1 anno fa) e chiede la sospensione dell’esecuzione. Il giudice fissa un’udienza urgente e, riscontrando la mancata intimazione, sospende il pignoramento. Ciò sblocca il conto corrente (che la banca nel frattempo teneva congelato) e interrompe le trattenute sullo stipendio prima che iniziassero. Nel frattempo, Maria decide comunque di presentare un’istanza di liquidazione controllata (procedura di sovraindebitamento) poiché ha anche altri debiti e nessuna prospettiva di pagarli: questo le garantirà, se ammessa, protezione da nuovi pignoramenti. Alternativamente, avrebbe potuto chiedere una rateizzazione ma, essendo già decaduta da un piano precedente, sa che l’AdER gliela rigetterebbe. In questo caso, la difesa è stata principalmente giudiziale, sfruttando un vizio della riscossione (mancato atto dovuto) per guadagnare tempo e poi avviarsi verso una soluzione più ampia (procedura concorsuale minore) che le darà respiro definitivo.

Caso 3: Azienda con ipoteca e rischio di esproprio – Beta Srl, piccola impresa edile, aveva aderito alla rottamazione per €250.000 di debiti IVA, INPS e IRES. Non riuscendo a pagare, a fine 2024 decade. Nel 2025 l’Agenzia iscrive ipoteca su un capannone di proprietà della società (valore stimato €400.000) per il debito di €250k. Inoltre, il debito IVA (€100k) è a rischio di esecuzione. L’azienda, con l’aiuto di un consulente, attiva una composizione negoziata della crisi: tramite un esperto nominato dalla CCIAA, cerca un accordo con i creditori. Ottiene dal Tribunale misure protettive che sospendono qualsiasi azione esecutiva, dando 3 mesi di tempo. In quei 3 mesi, Beta Srl tratta con l’Agenzia delle Entrate una proposta di transazione fiscale da inserire in un futuro concordato: propone di pagare integralmente l’IVA di €100k (in 4 anni) e il 30% degli altri debiti, vendendo il capannone (sul quale c’è ipoteca di primo grado della banca e secondo grado del Fisco). L’Agenzia valuta che, in caso di fallimento, probabilmente recupererebbe meno (forse zero sui chirografari e qualcosa sull’IVA). Nel frattempo, Beta Srl ha presentato ricorso contro l’ipoteca contestando che sul capannone c’era già un’ipoteca bancaria e il valore residuo per il fisco era nullo – ma questo ricorso viene tenuto in stand-by in attesa di vedere se la soluzione concordataria passa. La società poi presenta un concordato preventivo con continuità indiretta (affitto d’azienda a una newco) che incorpora la transazione fiscale sopra descritta. La maggioranza dei creditori approva e il concordato viene omologato. Effetti: Beta Srl vende il capannone, paga la banca e parzialmente il Fisco secondo accordi; la restante parte del debito fiscale è stralciata all’esito positivo del concordato. L’ipoteca del Fisco viene cancellata dopo l’omologa. L’azienda prosegue l’attività (tramite la newco) liberata dal fardello debitorio. Qui la difesa è stata complessa e multistrato: legale (misure protettive, concordato) e negoziale (accordo col Fisco dentro la legge fallimentare). Non tutte le PMI hanno la possibilità di seguire questa via, ma è un esempio di come, anche con debiti fiscali ingenti, ci siano strade per evitare la chiusura forzata e trovare un compromesso.

Caso 4: Privato sovraindebitato cerca esdebitazione – Marco, ex imprenditore ora dipendente, aveva accumulato €150.000 di cartelle per contributi e IRPEF. Rottamazione-quater decaduta, nessuna riammissione fatta. I creditori (Agenzia Riscossione e una banca per un prestito) lo perseguitano con pignoramenti sullo stipendio. Marco si rivolge a un OCC (Organismo Composizione Crisi) della sua provincia e presenta un Piano del Consumatore al Tribunale: propone di pagare €500 al mese per 5 anni (totale €30.000) e offrire la liquidazione di una vecchia auto e qualche risparmio (altri €5.000), per un totale di €35.000 da dividere pro-quota tra Fisco e banca. Motiva che il resto del debito andrebbe cancellato perché lui deve mantenere la famiglia e non ha altri beni. L’ISEE dimostra la sua modesta capacità reddituale. L’Agenzia Entrate si oppone, sostenendo che è troppo poco, ma il giudice verifica che in una liquidazione fallimentare il Fisco non otterrebbe di più (Marco non ha casa di proprietà, né altri asset significativi). Dunque il giudice omologa il piano anche senza il voto del Fisco (applicando il meccanismo di cram-down previsto). Ciò comporta la sospensione immediata di tutti i pignoramenti. Marco inizia a pagare le rate stabilite al Gestore designato. Dopo 5 anni di pagamento regolare, ottiene dal Tribunale l’esdebitazione: il residuo di circa €115.000 di debiti fiscali è cancellato per legge. Marco può così ripartire da zero senza quel peso. Questo esempio estremo mostra come l’ordinamento, in ultima analisi, preveda anche la liberazione dai debiti per chi proprio non può pagarli, a fronte di uno sforzo di pagamento commisurato alle proprie forze e sotto controllo giudiziario.

Caso 5: Cartelle prescritte nonostante la rottamazione – Luigi aveva alcune cartelle di Equitalia del 2010 per tasse minori. Nel 2023 le ha inserite in rottamazione-quater, ma poi non ha pagato nulla ed è decaduto. Nel 2025 l’Agenzia Riscossione gli invia un sollecito cumulativo di pagamento. Luigi, con l’aiuto di un tributarista, si accorge che quelle cartelle erano già prescritte da 2-3 anni (prescrizione decennale maturata nel 2020, mai interrotta perché Equitalia dal 2010 non aveva compiuto atti). La rottamazione aveva temporaneamente “rianimato” il debito, ma l’adesione non ha valore interruttivo (non c’è norma che la assimili a un atto di riconoscimento del debito). Così, Luigi fa ricorso alla Commissione Tributaria contro il sollecito, eccependo la prescrizione compiuta prima e sostenendo che la decadenza dalla rottamazione non fa rivivere un credito già estinto. La Commissione gli dà ragione e annulla i ruoli per intervenuta prescrizione, evidenziando che la definizione agevolata non può sanare l’inerzia decennale dell’ente e che la domanda di rottamazione non è un atto volontario di rinuncia alla prescrizione. Di conseguenza, Luigi non deve più nulla. – Nota: non tutte le Commissioni potrebbero decidere allo stesso modo, ma c’è giurisprudenza di merito favorevole su casi analoghi. Questo dimostra l’importanza di verificare sempre i termini di prescrizione: la rottamazione quater ha sospeso i termini di decadenza del processo esecutivo, ma non ha interrotto quelli di prescrizione sostanziale già maturati.

Questi esempi coprono diverse situazioni. La lezione generale è che ogni caso è diverso: alcuni richiedono un approccio negoziale, altri un approccio contenzioso, altri entrambe. L’importante per il contribuente è non restare fermo di fronte alle richieste di Equitalia (AdER). Informarsi dei propri diritti, usare i tempi a proprio vantaggio (ad esempio sfruttare i 60 giorni dalla cartella o i 30 giorni dal preavviso di fermo per attivarsi) e farsi assistere da esperti può fare la differenza tra subire passivamente pignoramenti o riuscire a gestire la situazione minimizzando i danni.

Infine, ricordiamo che il quadro normativo è in continua evoluzione: tenersi aggiornati sulle novità (come quelle introdotte nel 2025 sulle rateazioni) è fondamentale per cogliere opportunità di alleggerimento del peso fiscale o evitare errori. Di seguito, nella sezione conclusiva, elenchiamo le principali fonti normative e giurisprudenziali citate in questa guida, utili per approfondire gli argomenti trattati.

Fonti e Giurisprudenza

  • Legge 29 dicembre 2022, n. 197 (Bilancio 2023) – art. 1, commi 231-252: Definizione agevolata “Rottamazione-quater” dei carichi affidati dal 2000 al 30/06/2022.
  • Decreto-Legge 30 marzo 2023, n. 34, conv. in L. 26 maggio 2023 n. 56 (c.d. Decreto Bollette): art. 17-bis proroga al 30/06/2023 il termine di adesione e al 31/10/2023 la scadenza prima rata.
  • Legge 24 febbraio 2023, n. 14, di conversione del D.L. 198/2022 (Milleproroghe 2023): interventi sulle scadenze fiscali 2023 (proroga adesione rottamazione-quater al 30/06/2023).
  • Legge 9 agosto 2023, n. 100, di conversione del D.L. 51/2023: proroga termini per il pagamento rate rottamazione-quater (estensione tolleranza 5 giorni, ecc.).
  • Legge 26 maggio 2023, n. 56, di conversione del D.L. 34/2023: v. art. 17-bis cit. (modifiche scadenze rottamazione-quater).
  • Legge 26 febbraio 2024, n. 18, di conversione del D.L. 148/2023: ulteriori proroghe rate 2024 (es. spostamento 5ª rata al 15/09/2024).
  • Legge 24 marzo 2025, n. 15, di conversione del D.L. 202/2024 (Milleproroghe 2024): art. 3 riapertura termini rottamazione-quater per decaduti al 31/12/2024 (domanda entro 30/04/2025).
  • Comunicazione Agenzia Entrate-Riscossione 25 febbraio 2025 – Nota su riammissione dei decaduti, con istruzioni e calendario pagamenti (entro 31/07/2025 unica soluzione o 10 rate).
  • D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 – Principale testo sulla riscossione delle imposte: art. 19 (rateazione cartelle, come modificato dal D.Lgs. 110/2024); art. 50 (intimazione ad adempiere dopo 1 anno); art. 72-bis e 72-ter (pignoramento presso terzi su conti e stipendi, con limiti); art. 76 (divieto espropriare abitazione principale se unico immobile); art. 77 (ipoteca oltre 20.000€); art. 86 (fermo amministrativo).
  • Decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149, riforma giustizia tributaria: ha introdotto il nuovo art. 5-septies D.Lgs. 546/92 sul processo tributario, e altre modifiche. (Rilevante per nuove regole contenzioso dal 2023).
  • Decreto legislativo 8 ottobre 2021, n. 149, di attuazione riforma processo civile: prevede competenze su opposizioni esecutive. Cass. SU 8500/2021 ha precisato riparti giurisdizione su atti riscossione.
  • Decreto legislativo 15 luglio 2020, n. 83, convertito in L. 120/2020: ha chiarito impugnabilità atti riscossione (estratto ruolo). D.Lgs. 110/2024 ha ulteriormente stabilito inammissibilità impugnazione estratto ruolo.
  • Decreto Ministeriale MEF 27 dicembre 2024 – Criteri per valutare temporanea difficoltà e numero rate concedibili nelle nuove rateizzazioni.
  • Codice della Crisi d’Impresa (D.Lgs. 14/2019) – Artt. 65-88: procedure di composizione crisi da sovraindebitamento (piano del consumatore, concordato minore, liquidazione controllata) aggiornati al D.Lgs. 83/2022. Previste possibilità di stralcio debiti tributari con omologa giudiziale.
  • Cassazione Civile, Sez. Unite, 7 maggio 2010, n. 11087: afferma impugnabilità autonoma del preavviso di fermo amministrativo dinanzi al giudice tributario.
  • Cassazione Civile, Sez. V, 19 aprile 2018, n. 9516: conferma che il preavviso di fermo è atto impugnabile autonomamente in CTP e che deve essere notificato prima del fermo.
  • Cassazione Civile, Sez. Unite, 22 settembre 2022, n. 26283: sancisce la non autonomamente impugnabilità dell’estratto di ruolo e la necessità di contestare cartella solo con atto di riscossione notificato (recependo norma art. 3 D.L. 146/2021).
  • Cassazione Civile, Sez. III, 4 novembre 2022, n. 32506: ritiene legittimo il fermo amministrativo anche per importi modesti, non esistendo soglia legale minima.
  • Cassazione Civile, Sez. Unite, 2 marzo 2020, nn. 7822-7823: ammette il ricorso avverso cartella mai notificata conosciuta tramite estratto di ruolo; principi poi superati dalla norma 2021 (ora serve atto successivo).
  • Cassazione Civile, Sez. Unite, 31 maggio 2016, n. 12066: su rottamazione (D.Lgs. 193/2016) e rinuncia giudizi, considera definizione agevolata come causa estintiva del giudizio. Ordinanza Cass. 24428/2024 ha confermato per rottamazione-ter/quater che il pagamento parziale non condiziona l’estinzione del processo: è sufficiente l’adesione e la norma speciale di estinzione opera (salvo revoca se non paga, ma il processo è estinto).
  • Cassazione Civile, Sez. V, 17 agosto 2021, n. 22982: in tema di condono L. 289/2002, ha affermato che la decadenza per mancato pagamento delle somme dovute in definizione comporta il ripristino integrale della pretesa originaria (analogia con rottamazione).
  • CTR Lombardia, 4 luglio 2017, n. 221: ha ritenuto che la dilazione concessa dall’Agente della riscossione (art. 19 DPR 602) non interrompe i termini di prescrizione del credito, salvo riconoscimento espresso del debito (orientamento pro-contribuente).
  • CTR Lazio, 14 giugno 2021, n. 4942: (Osservatorio Giustizia Tributaria) su decadenza credito – es. cartella regolarmente notificata e non impugnata non può poi contestare decadenza in giudizio dopo, ecc. (conferma regime preclusioni).
  • Fonti di prassi AdER e AdE: FAQ AdER sulla Definizione agevolata (agg. 27/2/2025); Guida AdE-AdER su pagamenti cartelle (23/5/2024) citata da informazionefiscale; Circolare Agenzia Entrate n. 2/E 2017 su rottamazione (principi analoghi per quater).
  • Relazioni e studi: Corte dei Conti e Uff. Parlamentare Bilancio in audizione 2025 criticano rottamazioni ripetute; Dati MEF su magazzino ruoli 2025 (1.273 mld) e incassi <10%.
  • Articoli di approfondimento citati: PMI.it 4/3/2025 (calendario e decadenza); Informazionefiscale.it 20/1/2025 (conseguenze decadenza e nuove rateazioni 2025); FiscoOggi 28/2/2025 (riammissione ultimi giorni); QuiFinanza 3/4/2025 (rottamazione quinquies mancata e alternative); FiscoeTasse 1/2/2024 (chiarimenti AdE su rateazioni post-decadenza); Consulenti del Lavoro, 3/3/2025 (nota AdER riammissione).

Cancellazione Debiti con l’Agenzia delle Entrate Riscossione: Perché Affidarsi a Studio Monardo

Hai accumulato cartelle esattoriali, avvisi di pagamento, pignoramenti o fermi da parte dell’Agenzia delle Entrate Riscossione (ex Equitalia)? Ti senti oppresso dai debiti fiscali e non vedi via d’uscita neanche con la rottamazione quater?
Oggi esistono soluzioni legali concrete e praticabili per ottenere la cancellazione totale o parziale dei debiti, anche se non hai beni o redditi.

Affidarsi all’Avvocato Giuseppe Monardo significa avere accanto un legale abilitato e riconosciuto a livello nazionale, in grado di bloccare l’attività del Fisco, attivare la giusta procedura e ottenere per te l’esdebitazione fiscale definitiva.

Cosa fa per te l’Avvocato Monardo

  • Verifica la legittimità delle cartelle esattoriali e dei crediti iscritti a ruolo
  • Analizza la tua posizione fiscale, patrimoniale e reddituale
  • Avvia la procedura di sovraindebitamento o transazione fiscale più adatta al tuo caso
  • Predispone tutta la documentazione legale, economica e giustificativa
  • Ti rappresenta in Tribunale, presso l’OCC o nei rapporti con l’Agenzia delle Entrate
  • Ottiene per te la cancellazione dei debiti o la sospensione immediata delle azioni esecutive

Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

L’Avvocato Monardo è:

  • Gestore della Crisi da Sovraindebitamento, iscritto al Ministero della Giustizia
  • Fiduciario di un Organismo di Composizione della Crisi (OCC)
  • Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa, abilitato ex D.L. 118/2021
  • Coordinatore di una rete nazionale di avvocati e commercialisti esperti in diritto tributario, bancario ed esecutivo

Con queste competenze, segue direttamente ogni fase della procedura, con rapidità e precisione, fino alla definitiva cancellazione del debito.

Conclusione

La cancellazione dei debiti con l’Agenzia delle Entrate Riscossione è possibile, legale e accessibile, se agisci con il supporto di un avvocato esperto.
Affidarsi all’Avvocato Giuseppe Monardo vuol dire proteggere il proprio reddito, la propria casa e il futuro economico, con strategie collaudate e procedure efficaci.

Qui di seguito tutti i nostri contatti del nostro Studio Legale specializzato in cancellazione debiti e rottamazione delle cartelle esattoriali:

Leggi con attenzione: Se stai affrontando difficoltà con il Fisco e hai bisogno di una rapida valutazione delle tue cartelle esattoriali e dei debiti, non esitare a contattarci. Siamo pronti ad aiutarti immediatamente! Scrivici su WhatsApp al numero 351.3169721 oppure inviaci un’e-mail all’indirizzo info@fattirimborsare.com. Ti ricontatteremo entro un’ora per offrirti supporto immediato.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
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