La tua azienda è in crisi e vuoi sapere quali siano tutte le soluzioni legali per risanare il debito?
Qui di seguito troverai la nostra guida di Studio Monardo, gli avvocati specializzati in crisi d’impresa.
In fondo alla guida troverai poi tutti i riferimenti per richiederci una consulenza legale specializzata.
Introduzione
Ogni impresa può trovarsi ad affrontare difficoltà finanziarie e un eccesso di debiti che ne mettono a rischio la sopravvivenza. In Italia, il legislatore ha profondamente riformato la disciplina della crisi d’impresa, passando da un approccio incentrato sulla liquidazione a uno orientato al risanamento dell’azienda. L’obiettivo è preservare il valore aziendale e la continuità dove possibile, attraverso strumenti giuridici e finanziari mirati a ristrutturare il debito e rilanciare l’attività. Questa guida offre una panoramica completa (oltre 10.000 parole) di tutte le principali soluzioni disponibili nel 2025 per risanare un’azienda in crisi, con riferimenti normativi aggiornati, casi pratici ed esempi utili per professionisti e imprenditori.
Le sezioni che seguono illustreranno gli strumenti giuridici introdotti o modificati dal nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019 e successive modifiche), come i piani attestati di risanamento, gli accordi di ristrutturazione (comprese varianti “agevolate” ed “ad efficacia estesa”), la composizione negoziata della crisi, il concordato preventivo (in continuità o liquidatorio, anche nella forma semplificata), fino alla liquidazione giudiziale (il “vecchio fallimento”). Verranno inoltre trattate le misure di ristrutturazione finanziaria attuabili (ad es. rinegoziazione dei debiti, conversione debito/capitale, finanza straordinaria), le strategie di negoziazione con i creditori, e l’importanza di garantire la continuità aziendale durante il processo di risanamento.
Per rendere il tema più concreto, presentiamo anche casi studio ed esempi pratici: simulazioni di come un’azienda può applicare tali strumenti per uscire dalla crisi, con aneddoti ispirati a vicende reali (ad esempio ristrutturazioni aziendali recenti) e ipotesi modellate su situazioni tipiche. Lo stile sarà tecnico ma accessibile: verranno usati i termini giuridici corretti (aggiornati alla normativa vigente al 2025), spiegandone però il significato in modo chiaro, così che anche un imprenditore senza formazione giuridica possa orientarsi tra le varie opzioni disponibili.
Nota sul quadro normativo attuale: Il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) è entrato pienamente in vigore dal 15 luglio 2022, sostituendo la vecchia legge fallimentare. Successivamente è stato integrato da correttivi importanti, tra cui il D.Lgs. 83/2022 (in attuazione della Direttiva UE 2019/1023) e il D.Lgs. 136/2024 (terzo decreto correttivo), che hanno affinato ulteriormente gli strumenti di allerta e ristrutturazione. Tutti i riferimenti normativi in questa guida tengono conto di queste modifiche, così come della più recente giurisprudenza (sentenze di Cassazione del 2024 e inizi 2025) e prassi applicative formatesi. In fondo alla guida è presente una sezione con l’elenco delle fonti normative citate (leggi, articoli di codice) e alcune sentenze rilevanti, per approfondimento.
Passiamo ora ad esaminare nel dettaglio le soluzioni di risanamento del debito aziendale, dai percorsi stragiudiziali più “semplici” e volontari, fino agli strumenti concorsuali più complessi che coinvolgono l’autorità giudiziaria.
Il Quadro Normativo Aggiornato al 2025
Per comprendere come risanare un’azienda in crisi è fondamentale avere chiaro il contesto normativo vigente. Di seguito riepiloghiamo i punti salienti del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza aggiornato ad aprile 2025, evidenziando le definizioni chiave e le recenti modifiche legislative.
Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019): entrato in vigore definitivamente a metà 2022, rappresenta la nuova “cornice” legale per la gestione della crisi e dell’insolvenza delle imprese. Esso ha sostituito la storica Legge Fallimentare (R.D. 267/1942) e introduce un approccio organico e anticipatorio. Il Codice pone al centro la continuità aziendale e il miglior soddisfacimento dei creditori, incoraggiando soluzioni che riorganizzino l’impresa invece di liquidarla.
- Definizione di “crisi” e di “insolvenza”: l’art. 2 CCII distingue tra stato di crisi (quando il debitore presenta difficoltà economico-finanziarie che rendono probabile l’insolvenza futura, ad esempio flussi di cassa prospettici inadeguati a far fronte alle obbligazioni nei successivi 12 mesi) e stato di insolvenza (incapacità attuale di soddisfare regolarmente le obbligazioni, manifestata da inadempimenti o altri fatti esteriori). La “crisi” è dunque una fase prodromica, e il Codice incentiva ad agire in questa fase iniziale, prima che degeneri in insolvenza conclamata.
- Procedibilità soggettiva: il Codice si applica agli imprenditori commerciali, inclusi quelli piccoli se superano certe soglie dimensionali. Gli imprenditori minori (sotto soglia) e non commerciali (es. professionisti, consumatori) rientrano in procedure ad hoc (c.d. crisi da sovraindebitamento, che il Codice ridefinisce in “concordato minore”, “piano di ristrutturazione del consumatore”, ecc.). In questa guida ci focalizziamo sulle imprese commerciali, ma segnaliamo che anche le piccole imprese non fallibili hanno ora strumenti analoghi di composizione della crisi. Ad esempio, l’imprenditore agricolo (prima escluso dal fallimento) può accedere alle soluzioni negoziali previste dal Codice.
- Principali riforme introdotte: il CCII ha introdotto nuovi istituti come la Composizione Negoziata della Crisi (una procedura volontaria e confidenziale di negoziazione assistita da un esperto indipendente) e il Concordato Semplificato (una forma speciale di concordato senza voto dei creditori, riservata ai casi in cui la composizione negoziata non abbia portato a soluzioni). Ha inoltre modificato gli strumenti tradizionali: ad esempio, il fallimento viene ora chiamato liquidazione giudiziale, il concordato preventivo viene aggiornato con regole nuove su classi, percentuali e ruoli del tribunale, e gli accordi di ristrutturazione dei debiti vengono potenziati e articolati in diverse varianti (estesi, agevolati, con transazione fiscale, ecc.).
- Decreti correttivi e normativa UE: dopo la sua emanazione, il Codice è stato oggetto di interventi correttivi. Il D.Lgs. 83/2022 (c.d. “Correttivo bis”) ha adeguato la normativa italiana alla Direttiva UE 2019/1023 sui quadri di ristrutturazione preventiva, introducendo ad esempio il Piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (art. 64-bis CCII) di cui diremo più avanti, e perfezionando la disciplina delle classi di creditori e del cram-down. Più di recente, il D.Lgs. 136/2024 (pubblicato in G.U. il 27 settembre 2024) ha apportato ulteriori disposizioni integrative e correttive: tra le novità, il rafforzamento dell’allerta interna (obbligo per gli organi di controllo e i revisori di segnalare tempestivamente gli indizi di crisi al Cda), alcune modifiche alla composizione negoziata (ad esempio la possibilità di proporre transazioni fiscali durante le trattative) e chiarimenti su istituti come il concordato nella liquidazione giudiziale. Tali aggiornamenti indicano la volontà del legislatore di affinare continuamente gli strumenti di crisi per renderli più efficaci.
- Giurisprudenza recente: la Cassazione e i tribunali italiani stanno progressivamente interpretando le nuove norme. Ad esempio, la Cassazione civile, Sez. I, 24 dicembre 2024 n. 34372 ha chiarito aspetti procedurali del voto nel concordato preventivo (secondo la legge fallimentare previgente), mentre la Cass. 15862/2024 ha affrontato il tema del fallimento “omisso medio” dopo un concordato omologato ma non eseguito (ossia la possibilità di dichiarare la liquidazione giudiziale senza passare da una formale risoluzione del concordato in certi casi). Inoltre, i primi casi di concordato semplificato hanno visto i tribunali delinearne i requisiti: il Tribunale di Parma (decr. 12 luglio 2023) ha ritenuto ammissibile un concordato semplificato solo dopo attenta verifica della buona fede del debitore nelle trattative e della reale convenienza della soluzione liquidatoria proposta rispetto ad un fallimento. Riporteremo nel corso della guida ulteriori riferimenti giurisprudenziali laddove illuminano la prassi di applicazione degli istituti.
In sintesi, il contesto normativo attuale offre una gamma di strumenti molto più ampia e flessibile rispetto al passato, con l’obiettivo di intervenire tempestivamente (anche in via stragiudiziale) e di privilegiare, ove possibile, la continuità aziendale e il soddisfacimento negoziato dei creditori rispetto alla mera liquidazione. Nelle sezioni seguenti esamineremo in dettaglio ciascuno di questi strumenti di risanamento del debito aziendale, illustrandone caratteristiche, condizioni di accesso, vantaggi/svantaggi e modalità di utilizzo pratica.
Strumenti Giuridici per il Risanamento del Debito
In questa sezione analizziamo le principali soluzioni giuridiche che l’imprenditore in crisi può adottare per ristrutturare i debiti e riequilibrare la situazione finanziaria della propria azienda. Tali strumenti vanno dalle iniziative stragiudiziali volontarie, che richiedono l’accordo con i creditori ma minimizzano l’intervento dei tribunali, fino alle procedure concorsuali più strutturate, che offrono un quadro normativo vincolante (anche per i creditori dissenzienti) sotto la supervisione del tribunale. Vediamoli in ordine, partendo dalle opzioni meno invasive:
Piano Attestato di Risanamento
Il Piano attestato di risanamento è uno strumento di natura contrattuale e stragiudiziale, disciplinato dall’art. 56 CCII (in continuità con l’analogo istituto previsto dall’art. 67, co. 3, lett. d) della vecchia legge fallimentare). Si tratta di un piano di risanamento aziendale predisposto dall’imprenditore e asseverato (attestato) da un professionista indipendente, avente lo scopo di ristrutturare l’esposizione debitoria e riequilibrare la situazione economico-finanziaria dell’impresa.
Caratteristiche fondamentali del piano attestato di risanamento:
- È un atto unilaterale dell’imprenditore, rivolto ai creditori, senza omologazione o controllo preventivo del tribunale. In pratica l’imprenditore elabora, con l’ausilio di consulenti, un piano industriale e finanziario che dimostri la sostenibilità futura dell’azienda, e trova accordi con i creditori per modificare le condizioni dei debiti (es: proroga delle scadenze, remissione parziale di crediti, conversione di crediti in quote, ecc.) in coerenza con tale piano.
- Contenuti obbligatori: il piano deve avere data certa (es. tramite atto notarile o PEC) e contenere almeno: l’analisi della situazione aziendale, le cause della crisi, le strategie di rilancio e le misure previste per il risanamento (ricapitalizzazione, dismissioni, ristrutturazione dei debiti, ecc.). Inoltre, il professionista indipendente (il c.d. attestatore, generalmente un commercialista o revisore esperto in crisi) deve redigere una relazione di attestazione che dichiari (a) la veridicità dei dati aziendali e (b) il giudizio di fattibilità del piano. In altri termini, l’attestatore verifica che i numeri di partenza (bilanci, esposizioni debitorie) siano corretti e che le ipotesi del piano siano realistiche, certificando che, se tutto va secondo piano, l’impresa potrà risanarsi.
- Accordi con i creditori: Il piano in sé è un documento programmatico, ma per realizzarlo l’imprenditore normalmente stipula accordi bilaterali con i singoli creditori (o accordi plurilaterali con gruppi di essi) in esecuzione del piano e coerenti con esso. Ad esempio, può firmare con le banche accordi di rifinanziamento o moratorie, con i fornitori accordi di saldo a stralcio, e così via. È fondamentale che tali accordi applichino quanto previsto nel piano attestato.
- Ruolo del tribunale: non c’è una vera e propria procedura concorsuale, quindi il piano attestato non richiede l’intervento del tribunale per essere valido. Tuttavia, è prevista una facoltativa pubblicazione del piano, della relazione di attestazione e degli accordi sul Registro delle Imprese. La pubblicazione è condizione necessaria se l’imprenditore intende usufruire di alcuni benefici legali (vedi oltre, ad es. esenzione fiscale delle sopravvenienze attive). La pubblicità rende il piano conoscibile a terzi e “cristallizza” la data di esecuzione.
- Vantaggi legali: il motivo per cui un imprenditore adotta un piano attestato, invece di semplicemente negoziare privatamente senza attestazione, sta nei benefici legali riconosciuti ai piani attestati:
- Protezione da azioni revocatorie: gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione del piano attestato non sono soggetti all’azione revocatoria fallimentare. Ciò significa che, se anche l’azienda dovesse fallire (liquidazione giudiziale) successivamente, i creditori o il curatore non potrebbero far annullare pagamenti o concessioni fatte ai creditori durante il risanamento, purché fossero coerenti col piano attestato. Ad esempio, se una banca aderisce al piano e proroga un mutuo in cambio di ipoteca, quella ipoteca non potrà essere revocata nel fallimento successivo. Questo scudo serve a incentivare i creditori ad accettare accordi di ristrutturazione senza il timore di vederseli invalidati in futuro.
- Esenzioni da responsabilità penali: similmente, gli atti compiuti in esecuzione del piano attestato godono dell’esenzione da alcuni reati fallimentari, in particolare la bancarotta semplice o preferenziale riferita a quei pagamenti. Ad esempio, pagare anticipatamente un fornitore a scapito di altri potrebbe configurare bancarotta preferenziale se poi l’azienda fallisce; ma se quel pagamento era previsto da un piano attestato di risanamento, la legge esclude il reato. Questo consente agli amministratori di attuare il piano senza il timore di conseguenze penali, a condizione che tutto sia fatto in buona fede e secondo il piano attestato asseverato.
- Detassazione delle sopravvenienze attive: quando si riducono i debiti di un’azienda (es. un creditore rinuncia a una parte del suo credito), normalmente la parte di debito stralciata viene considerata una sopravvenienza attiva tassabile (cioè un reddito imponibile per l’azienda debitrice). La normativa fiscale italiana (art. 88, comma 4-ter TUIR) prevede però un regime agevolato per i debiti eliminati tramite strumenti di risanamento: nei piani attestati pubblicati al Registro Imprese, la quota di debito stralciata non concorre a formare reddito imponibile entro certi limiti. In sostanza, l’azienda non paga le imposte sui “guadagni” derivanti dalla remissione dei debiti, a condizione che utilizzi prima eventuali perdite fiscali pregresse, interessi indeducibili, ACE, ecc.. L’Agenzia delle Entrate ha confermato con interpelli recenti (es. risposta AE n. 222/2024) che tale beneficio si applica anche ai nuovi piani ex art. 56 CCII.
- Ambito soggettivo: tutti gli imprenditori commerciali, di qualsiasi dimensione, possono fare un piano attestato (anche l’impresa sotto soglia o agricola può usarlo, pur non essendo soggetta a fallimento, perché è uno strumento contrattuale). Non è richiesto uno stato di insolvenza; anzi, di solito si attiva in stato di crisi incipiente o squilibrio. Se però l’azienda è già irreversibilmente insolvente e i creditori non collaborano, un piano attestato potrebbe non bastare.
- Ambito oggettivo: il piano attestato non impone ai creditori alcuna soluzione: ciascun creditore è libero di aderire o meno. Quindi funziona bene quando si riesce a ottenere il consenso volontario della totalità o quasi dei creditori rilevanti. Se alcuni creditori rilevanti non aderiscono e intendono agire per vie legali (pignoramenti, istanze di fallimento), il piano attestato rischia di saltare: non essendoci protezioni automatiche, bisogna contrattare anche con loro o trovare il modo di soddisfarli. Pertanto, il piano attestato è indicato in situazioni in cui la struttura del debito è concentrata (pochi creditori principali, ad esempio solo banche) o comunque gestibile consensualmente. In caso di platee ampie di creditori, può essere più complesso ottenere l’accordo di tutti, e si valutano strumenti come accordi di ristrutturazione o concordati.
In sintesi, il piano attestato di risanamento è uno strumento flessibile e confidenziale per ristrutturare i debiti, adatto a imprese che vogliono evitare la pubblicità e la rigidità delle procedure concorsuali, e che confidano di trovare un’intesa con i creditori chiave. Offre importanti benefici in termini di protezioni legali (niente revocatorie né imposte sulle remissioni) a fronte però di una necessaria convergenza volontaria dei creditori. È essenziale che il piano sia realistico e sostenibile: la presenza dell’attestatore indipendente serve proprio a dare credibilità al piano verso i creditori, i quali sapranno che un esperto terzo lo ha valutato come fattibile. Un esempio pratico di piano attestato riuscito verrà illustrato più avanti (vedi Caso Alfa nella sezione esempi).
Accordi di Ristrutturazione dei Debiti
Gli Accordi di Ristrutturazione dei Debiti (ARD) sono contratti tra il debitore e una parte dei suoi creditori, finalizzati a ristrutturare l’indebitamento complessivo dell’impresa, che acquistano efficacia vincolante attraverso l’omologazione del tribunale (artt. 57-64 CCII). Rappresentano un punto di incontro tra soluzioni private e procedure concorsuali: la loro base è un accordo negoziato con i creditori, ma con l’intervento dell’autorità giudiziaria che, omologando l’accordo, lo rende effettivo erga omnes secondo i termini pattuiti. Sono eredi dell’istituto introdotto nell’ordinamento fallimentare nel 2005 (art. 182-bis l.f.), ora rivisitato e ampliato.
Elementi chiave di un accordo di ristrutturazione:
- Soglia di adesione: il debitore deve raggiungere l’accordo con una percentuale minima di creditori (calcolata sul totale dei crediti). Secondo l’art. 57 CCII, in via generale servono creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti totali. Questa soglia può ridursi al 30% nel caso di accordo di ristrutturazione agevolato (art. 60 CCII), ossia quando il debitore non richiede misure protettive e non include nell’accordo una moratoria dei creditori estranei. In pratica, l’“accordo agevolato” è un accordo molto mirato: il debitore tratta con alcuni creditori (ad es. solo le banche) e lascia intendere che pagherà regolarmente gli altri; rinunciando alla protezione dai non aderenti, il legislatore gli consente di omologare con solo il 30% di adesioni. Questa opzione può essere utile se solo alcuni creditori necessitano di ristrutturazione mentre gli altri verranno soddisfatti normalmente.
- Deposito e omologazione in tribunale: l’imprenditore, una volta raccolte le adesioni necessarie, presenta ricorso al tribunale per ottenere l’omologazione dell’accordo. Deve allegare la proposta di accordo, la documentazione contabile e soprattutto una relazione di un professionista indipendente che attesti la veridicità dei dati e l’idoneità dell’accordo a assicurare l’integrale pagamento dei creditori non aderenti nei termini di legge (ex art. 57 CCII). Il tribunale verifica la regolarità e che i creditori estranei non siano pregiudicati (devono ricevere almeno quanto avrebbero in un fallimento). Se tutto è in regola e non vi sono opposizioni fondate, emette un decreto di omologazione che rende l’accordo vincolante.
- Effetti dell’omologazione: l’accordo omologato vincola solo i creditori aderenti (quelli che hanno firmato) e, in certi casi particolari, anche alcuni non aderenti (vedi infra gli accordi ad efficacia estesa). I creditori estranei all’accordo per legge devono essere comunque pagati integralmente alle scadenze originarie (salvo che anch’essi volontariamente rinegozino). Dunque, tramite l’omologazione, l’accordo raggiunge una stabilità giuridica: non può più essere impugnato dai singoli creditori aderenti e, se il debitore non vi ottempera, i creditori potranno agire per l’esecuzione forzata secondo i nuovi termini pattuiti.
- Misure protettive: durante le trattative o dopo il deposito della domanda di omologazione, il debitore può chiedere al tribunale misure protettive per congelare le azioni esecutive dei creditori (art. 54 CCII). A differenza del concordato, qui la sospensione non è automatica ma concessa su richiesta e per un breve periodo (tipicamente fino a quando l’accordo viene omologato o respinto). Questo tutela l’azienda da iniziative individuali che possano vanificare l’accordo in corso di definizione.
- Contenuto dell’accordo: estremamente libero. Può prevedere qualsiasi forma di ristrutturazione: dilazioni di pagamento, riduzioni parziali del credito (stralcio), conversione del debito in strumenti finanziari (equity, strumenti partecipativi), cessione di asset ai creditori, ecc. Spesso l’accordo è accompagnato da un piano industriale di rilancio e può prevedere finanziamenti nuovi per sostenere l’impresa (es. accordo con banche per liquidità aggiuntiva). Il tribunale non valuta nel merito la convenienza economica dell’accordo per i creditori aderenti (presume che se hanno firmato, lo ritengono conveniente), ma si concentra sulla tutela dei non aderenti e sulla legittimità complessiva.
- Transazione fiscale e contributiva: un aspetto cruciale negli accordi (e nei concordati) è il trattamento dei debiti fiscali e previdenziali. Il Codice (art. 63 CCII) consente di includere nell’accordo una transazione su debiti tributari o contributivi verso Agenzia delle Entrate, Agenzia Riscossione e enti previdenziali. Ciò permette al debitore di proporre il pagamento parziale o dilazionato di tali debiti, ottenendo il consenso degli enti. È richiesto però un particolare attestato di convenienza da parte di un professionista, che certifichi che l’erario riceverà almeno quanto otterrebbe in una liquidazione giudiziale. Se l’ente aderisce formalmente all’accordo, la transazione fiscale/contributiva viene omologata insieme all’accordo e diventa vincolante. Questo strumento è fondamentale, perché storicamente i debiti verso il Fisco e l’INPS spesso impedivano il risanamento (non potendo essere ridotti se non pagando il 100%); oggi invece è possibile includerli nel pacchetto di ristrutturazione, a patto di rispettare la convenienza comparativa per l’erario (esempio: l’Agenzia Entrate potrebbe accettare il 40% se attestato che in caso di fallimento prenderebbe solo 10%).
- Accordi ad efficacia estesa: una delle innovazioni del CCII (riprendendo l’art. 182-septies l.f.) è la possibilità di estendere gli effetti di un accordo anche a creditori non aderenti appartenenti alla medesima categoria (art. 61 CCII). In pratica, si tratta di un cram-down settoriale: se la maggioranza qualificata di una certa categoria di creditori omogenea (ad esempio, un gruppo di banche finanziatrici) aderisce, l’accordo può essere reso vincolante anche per le poche banche dissenzienti di quella categoria. Le condizioni per utilizzare l’accordo ad efficacia estesa sono rigorose:
- Deve trattarsi di un accordo che prevede la prosecuzione dell’attività d’impresa (quindi non un puro smantellamento liquidatorio).
- Tutti i creditori di quella categoria sono stati informati delle trattative ed invitati a partecipare in buona fede, con piena trasparenza di informazioni.
- I creditori aderenti rappresentano almeno il 75% dei crediti della categoria.
- I creditori non aderenti della categoria riceveranno, secondo l’accordo, una soddisfazione non inferiore a quella ricavabile in una liquidazione giudiziale (principio di salvaguardia: non possono essere danneggiati).
- Un professionista indipendente attesta il rispetto di questi requisiti (veridicità dati, adeguatezza dell’accordo e che i non aderenti non stiano peggio del fallimento).
- I creditori non aderenti devono essere notificati dell’accordo e dell’intenzione di estendergliene gli effetti, e hanno diritto di fare opposizione in tribunale entro 30 giorni.
- Vantaggi e limiti degli accordi di ristrutturazione: rispetto al concordato preventivo, gli ARD sono più snelli e riservati (l’azienda rimane “in bonis”, l’accordo omologato non comporta l’apertura di una procedura concorsuale pubblica né la nomina di organi come il commissario giudiziale). Inoltre, consentono al debitore di selezionare i creditori con cui accordarsi, mantenendo fuori quelli che può pagare integralmente. D’altro canto, l’accordo non vincola di regola i non aderenti (salvo il caso particolare dell’efficacia estesa per categorie omogenee): ciò significa che i creditori estranei potrebbero comunque agire per conto loro se non sono soddisfatti. Per questo spesso negli accordi di ristrutturazione si tende a includere la grande maggioranza del ceto creditorio. La soglia del 60% (o 30% agevolato) è la minima legale, ma in pratica serve avere sotto controllo la situazione con percentuali più alte per garantire stabilità.
In conclusione, gli accordi di ristrutturazione rappresentano lo strumento ideale quando c’è un buon livello di consenso tra i creditori principali e si vuole evitare l’iter più complesso di un concordato. Offrono sufficiente elasticità (si può modulare chi coinvolgere e chi no, se chiedere o meno misure protettive) e con le nuove norme possono risolvere in modo mirato specifiche partite (ad es. accordo con le banche, imponibile anche a banche dissenzienti, mantenendo intatti debiti verso fornitori da pagare regolarmente). La supervisione del tribunale in fase di omologa garantisce che l’accordo sia equo verso i creditori estranei e dia certezza giuridica agli aderenti. Nella sezione esempi, vedremo un Caso Beta di accordo di ristrutturazione in una crisi reale.
Convenzione di Moratoria
La convenzione di moratoria (art. 62 CCII) è un ulteriore strumento negoziale, affine agli accordi di ristrutturazione ma destinato principalmente a gestire in modo provvisorio la fase di crisi. Consiste in un accordo con i creditori per sospendere o rinviare le azioni di recupero e le scadenze dei crediti, senza però operare rinunce definitive al credito. In altre parole, è un patto di standstill: i creditori si impegnano a non esigere i loro crediti per un certo periodo e a non intraprendere procedure esecutive, dando respiro all’impresa.
Le novità del CCII rendono tale convenzione efficace anche verso creditori dissenzienti di una medesima categoria, a condizioni simili a quelle viste per gli accordi ad efficacia estesa:
- Deve trattarsi di un imprenditore in stato di crisi (non insolvenza irreversibile).
- Riguarda misure temporanee: dilazione di scadenze, sospensione di azioni esecutive, pactum de non petendo per un periodo, senza riduzione del capitale di credito (non c’è un sacrificio definitivo, ma solo attesa).
- Se i creditori di una categoria che rappresentano almeno il 75% del credito hanno aderito, e tutti sono stati invitati alle trattative, la moratoria può essere resa vincolante anche per i pochi non aderenti della categoria.
- Anche qui serve un attestatore che confermi veridicità dei dati e idoneità della moratoria a gestire provvisoriamente la crisi, nonché che i non aderenti non risultino pregiudicati (devono poter essere soddisfatti almeno come in un fallimento).
- I non aderenti vanno avvisati e possono fare opposizione in tribunale entro 30 giorni.
- Non si possono imporre nuove obbligazioni ai non aderenti (niente obbligo di erogare altro credito, ecc.), analogamente agli accordi visti prima.
La convenzione di moratoria è dunque uno strumento “ponte”, spesso utilizzato in situazioni di tensione di liquidità temporanea o in attesa di definire un piano più strutturato. Ad esempio, un’azienda in crisi può chiedere alle banche di congelare per 6 mesi i pagamenti delle rate di mutuo e ai fornitori strategici di non sospendere le forniture né agire per decreti ingiuntivi, mentre elabora un piano di risanamento. Se la gran parte di questi creditori accetta, anche eventuali dissenzienti potrebbero essere costretti alla moratoria dalla legge, evitando comportamenti disallineati (il tipico “free rider” che aggredisce l’azienda mentre gli altri aspettano).
Va notato che, essendo provvisoria, la moratoria di per sé non risolve la crisi, ma serve a guadagnare tempo affinché l’imprenditore possa attuare altre misure (un piano attestato, un accordo di ristrutturazione o un concordato). Spesso la convenzione di moratoria può sfociare in un successivo accordo di ristrutturazione più completo.
In sintesi: la convenzione di moratoria è uno standstill agreement con base normativa, utile per crisi temporanee o come anticamera di un risanamento più ampio. Con il CCII, se ben orchestrata (75% consenziente e attestazione), impedisce anche al singolo creditore impaziente di far saltare il banco, generalizzando la pace temporanea. Questo strumento, di natura contrattuale, è solitamente utilizzato insieme ad altri: raramente la moratoria da sola risolve tutto, ma è preziosa per stabilizzare la situazione.
Composizione Negoziata della Crisi
La Composizione Negoziata della Crisi è una procedura introdotta nel 2021 (D.L. 118/2021, confluito nel CCII all’art. 12 e segg.) che offre all’imprenditore in difficoltà un percorso assistito e confidenziale per ricercare una soluzione di risanamento, con l’aiuto di un esperto indipendente nominato dalla Camera di Commercio. Si tratta di uno strumento di allerta e composizione stragiudiziale, che mira a far emergere la crisi prima che diventi irreversibile e a favorire accordi tra debitore e creditori.
Caratteristiche principali della composizione negoziata (spesso abbreviata CNC):
- Accesso: può accedervi l’imprenditore commerciale o agricolo che si trovi in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario tali da far presumere la crisi o l’insolvenza, ma per cui risulta ragionevolmente perseguibile il risanamento. In pratica, l’azienda deve avere prospettive di recupero (anche se magari è già formalmente insolvente, purché non sia un’insolvenza “irrecuperabile”). Sono ammesse anche imprese in pre-crisi (quando i segnali di difficoltà sono lievi ma presenti). La domanda si presenta tramite una piattaforma telematica nazionale gestita dalle Camere di Commercio, caricando informazioni sull’azienda, bilanci, un piano iniziale ipotetico e l’elenco dei creditori.
- Nomina dell’esperto: entro pochi giorni, una commissione nomina un esperto indipendente (di norma un professionista iscritto in un apposito elenco nazionale) che avrà il compito di facilitare le trattative tra l’imprenditore e i creditori. L’esperto è terzo e indipendente, deve sottoscrivere una dichiarazione di imparzialità e verifica di non conflitto di interessi.
- Fase di trattative riservate: una volta accettato l’incarico, l’esperto convoca l’imprenditore e i creditori principali e cerca, tramite incontri, di individuare possibili soluzioni. L’esperto ha poteri mediatori: analizza i dati, sente le parti, propone ipotesi di accordo o di piano. Il tutto avviene in modo confidenziale: l’apertura della composizione negoziata non è pubblica di per sé (non viene iscritta nel Registro Imprese, salvo si chiedano misure protettive). Questo consente all’impresa di negoziare senza subire immediatamente conseguenze reputazionali.
- Misure protettive opzionali: se necessario, l’imprenditore può chiedere al tribunale l’applicazione di misure protettive durante le trattative (tipicamente: blocco delle azioni esecutive e sospensione dei pagamenti dei debiti antecedenti). Tali misure, se concesse, vengono iscritte nel Registro delle Imprese e durano inizialmente fino a 4 mesi, prorogabili. L’esperto esprime un parere sulla funzionalità delle misure alla conduzione delle trattative. Durante la composizione negoziata non si applicano le cause di scioglimento dell’azienda per perdita di capitale (art. 2484 c.c.), quindi la società non è costretta a liquidarsi se il patrimonio netto è azzerato, potendo tentare il risanamento.
- Soluzioni attuabili: la composizione negoziata di per sé non è una soluzione, ma un percorso per trovarne una. Nel corso o al termine delle trattative, l’imprenditore – di concerto con i creditori – può decidere di:
- Stipulare accordi stragiudiziali con i creditori (anche senza procedure formali): ad esempio un accordo transattivo bilaterale o un piano attestato. L’esperto stesso può suggerire la predisposizione di un piano attestato di risanamento.
- Chiedere l’omologazione di un accordo di ristrutturazione ex art. 57 e seguenti. In questo caso la percentuale di adesione richiesta per legge può essere ridotta (60% anziché 75%, se l’accordo è frutto della negoziazione o presentato entro 60 giorni dalla conclusione delle trattative). Ciò incentiva i creditori a formalizzare un accordo.
- Presentare un concordato preventivo (tradizionale) oppure, in caso di esito negativo, un concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio (introdotto proprio come “uscita di emergenza” dalla composizione negoziata fallita).
- Utilizzare altri strumenti di regolazione della crisi (amministrazione straordinaria, liquidazione coatta se trattasi di enti particolari, ecc.), se ne ricorrono i presupposti.
- Transazione fiscale “anticipata”: Novità importante (dal 2022) è la possibilità, durante le trattative, di definire accordi con il Fisco: l’imprenditore può proporre alle Agenzie fiscali e agli enti di riscossione un accordo transattivo per il pagamento parziale o dilazionato dei debiti tributari. Tale accordo, se accettato dagli enti (con procedure interne semplificate previste dalla norma), viene comunicato all’esperto e depositato in tribunale; il giudice, verificata la regolarità formale, può omologare l’accordo fiscale rendendolo efficace. Questa è una notevole semplificazione: di fatto, l’azienda può sistemare il debito fiscale in via negoziale e ufficializzarlo, a prescindere dall’accordo con gli altri creditori, ottenendo una sorta di “pace fiscale” nell’ambito della composizione negoziata.
- Conclusione della procedura: la composizione negoziata si conclude entro un termine (in genere 6 mesi prorogabili di altri 6). Può concludersi anticipatamente se:
- Si raggiunge un accordo soddisfacente con i creditori (formale o informale).
- L’esperto valuta che non vi siano concrete prospettive di risanamento (in tal caso invita l’imprenditore a rinunciare).
- L’imprenditore accede a una procedura concorsuale (concordato, liquidazione giudiziale).
- Concordato semplificato (art. 25-sexies CCII): qualora la composizione negoziata non porti ad alcun accordo con i creditori, il debitore può comunque, entro 60 giorni dalla chiusura delle trattative, presentare una proposta di concordato per la liquidazione del patrimonio al tribunale. Si definisce “semplificato” perché ha delle peculiarità: non c’è voto dei creditori (è un concordato “coattivo”), il tribunale valuta la proposta e può omologarla se ritiene soddisfatti i requisiti, tenuto conto anche del parere finale dell’esperto. È pensato come extrema ratio per liquidare l’azienda in modo ordinato evitando il fallimento, qualora i creditori non abbiano trovato un accordo ma il debitore voglia comunque evitare le conseguenze di una procedura concorsuale ordinaria. I creditori possono opporsi in sede di omologa, ma non votano. Il concordato semplificato assegna il ricavato ai creditori secondo le regole legali di priorità (salvo che il piano preveda anche una possibile continuità indiretta tramite cessione d’azienda). È una procedura nuova e i tribunali finora l’hanno applicata con cautela, verificando attentamente che il debitore non abusi di questo strumento solo per bypassare il voto senza aver seriamente cercato un accordo.
Perché la composizione negoziata è rilevante? Perché costituisce un’opportunità, per l’imprenditore corretto, di affrontare la crisi precocemente in modo guidato, con costi limitati e fuori dai riflettori, cercando soluzioni “su misura” insieme ai creditori. È una sorta di mediazione assistita nella crisi d’impresa, dove l’esperto può aiutare a superare diffidenze, fornire analisi imparziali (es. sulla fattibilità del piano) e suggerire compromessi. Inoltre, la composizione negoziata attiva un “ombrello protettivo”: finché si è in questo percorso, difficilmente i creditori chiederanno immediatamente il fallimento, specie se vedono serietà e possibilità di recupero (e se ci sono misure protettive in essere).
Va sottolineato che la CNC non garantisce il successo – dipende sempre dalla realtà economica dell’azienda – ma è pensata per evitare sia l’inazione colpevole dell’imprenditore (che spesso, per paura o sottovalutazione, agiva troppo tardi) sia l’arrivo disordinato di istanze di fallimento da singoli creditori. Se, grazie alla composizione negoziata, si riesce ad arrivare a un piano concordato di risanamento (fosse anche un concordato preventivo tradizionale preparato meglio), l’impresa ha più chance di salvarsi.
In Italia, nei primi anni di applicazione (2022-2023), molte PMI hanno utilizzato la composizione negoziata; i primi dati mostrano un buon numero di accordi conclusi e anche un certo utilizzo del concordato semplificato (nel 2023 risultavano decine di casi, con concentrazione in Lombardia, Abruzzo e altre regioni). Questo indica che è diventato uno strumento concreto nel panorama dei risanamenti.
Concordato Preventivo
Il Concordato Preventivo è forse il più noto strumento concorsuale per risanare o liquidare un’azienda in crisi. Previsto sin dalla legge fallimentare, nel Codice della Crisi (artt. 84 e ss. CCII) è stato rivisto per aderire al principio del “miglior soddisfacimento dei creditori” e per consentire una maggiore flessibilità nelle soluzioni. Il concordato è una procedura giudiziale vera e propria: il debitore propone ai creditori un piano, i creditori votano e, se approvato (e omologato dal tribunale), il piano diventa vincolante anche per i dissenzienti.
Tipologie di concordato: la legge distingue principalmente tra:
- Concordato in continuità aziendale (art. 84 co. 2 CCII): quando nel piano è prevista la prosecuzione dell’attività d’impresa, direttamente da parte del debitore oppure indirettamente attraverso la cessione o il conferimento dell’azienda (continuità indiretta). L’impresa dunque continua a operare, generando flussi che andranno a pagare i creditori.
- Concordato liquidatorio: quando il piano prevede prevalentemente la liquidazione del patrimonio dell’impresa e la cessazione dell’attività. È l’alternativa al fallimento, ma con un programma gestito dal debitore sotto controllo del tribunale.
- Concordato misto: quando combina aspetti di continuità e di liquidazione (es. cessione di rami aziendali e liquidazione di asset non strategici).
La legge riserva un trattamento diverso a seconda della finalità:
- Nel concordato in continuità, l’obiettivo è mantenere l’azienda operativa, quindi vengono agevolati gli investimenti nuovi e la preservazione dei contratti in corso. È richiesto che la continuità garantisca un soddisfacimento dei creditori non inferiore all’alternativa liquidatoria e che sia funzionale al miglior esito per i creditori. Ad esempio, se l’azienda propone di continuare l’attività per 3 anni e pagare i creditori con i ricavi futuri, deve motivare perché ciò conviene più di vendere tutto subito.
- Nel concordato liquidatorio, sapendo che i creditori otterranno solo i proventi della liquidazione, il legislatore impone dei requisiti minimi di soddisfazione: l’art. 84, comma 4 CCII stabilisce che il piano deve assicurare il pagamento di almeno il 20% dell’ammontare dei crediti chirografari. Inoltre, tale percentuale deve essere raggiunta con l’apporto di risorse esterne che aumentino di almeno il 10% il ritorno rispetto a una liquidazione giudiziale. In pratica: non basta che i creditori prendano il 20%, ma se in un fallimento avrebbero preso poniamo 15%, nel concordato liquidatorio devono prendere almeno 16.5% (che è 15%+10% di 15) tramite risorse aggiuntive messe dal debitore o terzi. Questa doppia soglia (20% assoluto e +10% rispetto al fallimento) serve a evitare concordati liquidatori “comodi” senza vantaggi per i creditori. Solo l’apporto di finanza o asset nuovi giustifica la scelta concordataria. Ad esempio, i soci potrebbero immettere denaro fresco per garantire questo delta del 10%.
Procedura (in breve): il concordato preventivo si svolge così:
- Il debitore deposita una domanda al tribunale con una proposta di concordato e un piano dettagliato, corredato dalla relazione di un attestatore indipendente sulla veridicità dei dati e sulla fattibilità del piano.
- Il tribunale valuta l’ammissibilità (verifica requisiti legali, percentuali minime, fattibilità economica – ora espressamente deve valutarla – e che il piano sia completo e idoneo). Se ammette, nomina un commissario giudiziale e fissa l’adunanza dei creditori.
- I creditori vengono suddivisi eventualmente in classi secondo posizione giuridica e interessi omogenei (obbligatorio se trattamenti differenti). Ad esempio, si possono avere classi di banche ipotecarie, fornitori chirografari strategici, fornitori chirografari generici, ecc. I crediti privilegiati possono essere degradati al chirografo per la parte incapiente. I creditori votano per classi (o in un’unica classe se non classati). Serve il voto favorevole della maggioranza dei crediti ammessi al voto (per classi: maggioranza in valore in ogni classe, altrimenti meccanismi di cram down se alcune classi dicono sì e altre no, secondo l’art. 112 CCII).
- Se i creditori approvano, il tribunale procede all’omologazione (salvo opposizioni di eventuali creditori dissenzienti). In caso di classi dissenzienti, il tribunale può comunque omologare imponendo il concordato (cram-down interclassi) se ritiene che la proposta non li danneggi ingiustamente e che almeno una classe di creditori interessati dal concordato abbia votato a favore (oltre ai creditori privilegiati soddisfatti per intero) – questo secondo le regole ispirate alla direttiva UE. Ad esempio, Cassazione ha chiarito che il tribunale può applicare il cram down se le condizioni di legge sono rispettate, anche in caso di voto contrario di una classe, per salvare l’accordo complessivo.
- Con l’omologa, il concordato diviene vincolante per tutti i creditori anteriori, che verranno soddisfatti secondo il piano (anche se non hanno votato o hanno votato contro). Il debitore esegue il piano sotto la vigilanza di eventuali liquidatori o commissari. Se non adempie, il concordato può essere risolto e si aprirà la liquidazione giudiziale.
Continuità aziendale nel concordato: merita sottolineare come nel concordato in continuità il Codice favorisca la gestione corrente:
- Il debitore rimane in possesso dell’azienda (debtor in possession), sotto la sorveglianza del commissario. Può compiere gli atti di ordinaria amministrazione, mentre per gli atti straordinari serve autorizzazione del tribunale (art. 94 CCII).
- Sono possibili finanziamenti durante il concordato, che possono ottenere lo status di prededucibili (cioè avranno priorità di rimborso) se autorizzati dal tribunale, per incentivare la finanza ponte.
- I contratti pendenti (non ancora interamente eseguiti) possono proseguire; l’impresa può chiedere l’autorizzazione a sciogliersi da contratti onerosi o a sospenderli, pagando eventuali indennizzi, per agevolare il risanamento (artt. 97-100 CCII). Questo aiuta ad alleggerire il carico se ci sono, ad esempio, affitti esorbitanti o contratti svantaggiosi.
- Sono tutelati i fornitori essenziali: il tribunale può ordinare che fornitori di beni/servizi essenziali (ad es. utenze) non sospendano le forniture durante il concordato, per non compromettere la continuità.
- È ammesso anche un concordato in continuità indiretta: ad esempio l’azienda viene affittata o venduta a un terzo durante la procedura, garantendo la prosecuzione dell’attività sotto altra gestione, mentre la società originaria usa il corrispettivo per pagare i creditori. Questa figura era già emersa nella prassi (concordati con affitto d’azienda e successiva cessione) e ora è espressamente considerata come forma di continuità.
Obiettivo del concordato: il Codice enuncia come scopo generale il miglior soddisfacimento dei creditori (art. 84, co.1). Ciò significa che qualunque concordato, sia esso in continuità o liquidatorio, deve offrire ai creditori almeno quanto avrebbero ottenuto dalla liquidazione giudiziale e possibilmente di più. Il tribunale in sede di omologa verifica questa condizione (il c.d. best interest of creditors test).
Vantaggi del concordato: è l’unico strumento che consente di imporre una ristrutturazione anche contro il parere di una minoranza significativa di creditori, grazie al meccanismo del voto a maggioranza e dell’omologazione giudiziale. Offre quindi certezza del risultato se approvato: il debitore ottiene l’esdebitazione prevista dal piano (i creditori non possono più pretendere oltre quanto accordato). Inoltre, tutela l’impresa da azioni esecutive durante la procedura e consente di gestire il risanamento sotto l’ombrello del tribunale.
Svantaggi/costi: è una procedura pubblica, lunga e complessa, con costi professionali e tempi che possono stressare l’azienda. Inoltre, la presenza di un organo di controllo e l’ingerenza del giudice riducono la libertà imprenditoriale. Un concordato mal gestito può portare a perdita di clienti o reputazione (la notizia è pubblica e i partner commerciali ne vengono a conoscenza). E se poi fallisce (mancata esecuzione del piano), si avrà la liquidazione giudiziale.
Il concordato preventivo rimane comunque un cardine del sistema: è il “contenitore” di soluzioni sia di risanamento sia di liquidazione ordinata. In particolare, per aziende di medie-grandi dimensioni con molti creditori eterogenei, è spesso l’unico modo di ristrutturare, poiché gli accordi extragiudiziali sarebbero ingestibili.
Vedremo più avanti nell’esempio Gamma un caso di concordato preventivo in continuità aziendale, per capire come può funzionare in concreto e quale esito dare.
Concordato Semplificato per la Liquidazione del Patrimonio
Come anticipato nella parte sulla composizione negoziata, il concordato semplificato (art. 25-sexies CCII) è una particolare forma di concordato preventivo senza voto dei creditori, riservata esclusivamente ai debitori che abbiano tentato la composizione negoziata senza raggiungere un accordo. In sostanza, è un piano liquidatorio imposto, che il tribunale può omologare se ritiene soddisfatte le condizioni di legge.
Principali caratteristiche:
- Accesso limitato: solo l’imprenditore che ha svolto la composizione negoziata può proporre un concordato semplificato, e solo dopo la conclusione infruttuosa delle trattative (lo prevede espressamente l’art. 25-sexies). Non è una procedura liberamente scelta senza prima tentare altro.
- Oggetto: deve essere un concordato liquidatorio puro, ossia destinato alla cessione dei beni dell’impresa e alla distribuzione del ricavato ai creditori. Non è concepito per la continuità (salvo possa esservi continuità indiretta temporanea per vendere l’azienda a meglio – la prassi sta discutendo se sia ammessa qualche forma di esercizio provvisorio finalizzato alla cessione).
- Procedimento: il debitore presenta la domanda con il piano di liquidazione e le modalità proposte di riparto. Il tribunale convoca le parti ma non si tiene un voto. Il commissario giudiziale non c’è, però può essere nominato un ausiliario dal tribunale per affiancarlo nelle valutazioni tecniche. Il tribunale valuta:
- la regolarità formale (documenti, attestazione di un professionista sulla stima di realizzo e sull’ordine di distribuzione);
- che il debitore abbia agito in buona fede e correttezza nelle trattative precedenti (qui si guarda la relazione finale dell’esperto e l’assenza di “prove” che il debitore puntasse sin dall’inizio al semplificato senza cercare un accordo);
- che la proposta assicuri ai creditori una utilità concreta e almeno pari alla liquidazione giudiziale (principio di convenienza);
- che siano rispettate le priorità di legge (privilegi, cause di prelazione) nella distribuzione.
- Omologazione: se ritiene tutto a posto, il tribunale omologa il concordato semplificato con decreto. I creditori, pur non avendo votato, possono aver eventualmente presentato opposizioni; in caso di opposizioni, decide la Corte d’Appello. Una volta omologato, si passa alla fase esecutiva: un liquidatore giudiziale nominato venderà i beni e pagherà i creditori come da piano.
In pratica, il concordato semplificato è una scorciatoia concorsuale per chi non è riuscito a ottenere il consenso dei creditori, ma comunque vuole evitare il fallimento. Dal punto di vista dei creditori, può sembrare penalizzante (non votano), tuttavia:
- Possono partecipare all’udienza e fare opposizione, quindi hanno uno spazio per contestare se il piano li danneggiasse ingiustamente.
- Avendo fallito la composizione negoziata, è presumibile che non esistesse in ogni caso una soluzione concordata migliore; il semplificato offre comunque una liquidazione controllata e unitaria, evitando la corsa caotica al recupero.
- Devono ricevere almeno quanto otterrebbero da un fallimento tradizionale, e più rapidamente.
Il rischio è che alcuni debitori possano accedere alla composizione negoziata con poco impegno solo per poi approdare al semplificato ed evitare il voto (che in un concordato ordinario magari non avrebbero ottenuto). Per questo la giurisprudenza richiede un esame rigoroso della buona fede del debitore: ad esempio, il tribunale verifica che nelle trattative il debitore abbia proposto soluzioni ragionevoli e non abbia tenuto comportamenti ostruttivi per farle fallire intenzionalmente.
Essendo uno strumento nuovo, se ne contano ancora relativamente pochi decreti di omologazione. Dove applicato, è servito in PMI che non avevano trovato adesioni in CNC ma possedevano asset liquidabili. Il vantaggio per l’imprenditore è che, a differenza del fallimento, nel concordato semplificato si rimane parte attiva: è lui a proporre come liquidare e come distribuire, e si evita lo stigma del fallimento.
Liquidazione Giudiziale (ex Fallimento)
La Liquidazione Giudiziale è la procedura concorsuale che prende il posto del “fallimento” nel nuovo Codice. Rappresenta la soluzione di ultima istanza quando l’impresa è insolvente e non vi sono prospettive di risanamento. In sostanza, attraverso la liquidazione giudiziale si provvede a smantellare l’impresa vendendone i beni e distribuendo il ricavato ai creditori secondo le priorità di legge.
Principali aspetti:
- Presupposti: lo stato di insolvenza del debitore. Può essere dichiarata su ricorso del debitore stesso, di un creditore o d’ufficio dal tribunale in caso, ad esempio, di insolvenza emersa in altre procedure. Per le imprese minori sotto soglia si parla invece di “liquidazione controllata” (procedura simile, prevista nel capo sul sovraindebitamento).
- Dichiarazione di Liquidazione Giudiziale: il tribunale, accertata l’insolvenza, emette la sentenza di liquidazione. Da quel momento l’imprenditore perde la gestione dell’impresa: viene nominato un curatore che amministra il patrimonio. Viene nominato anche un giudice delegato per vigilare e un comitato dei creditori con funzioni consultive.
- Svolgimento: il curatore redige l’inventario, verifica le passività (i creditori devono presentare domanda di insinuazione al passivo). Viene formato lo stato passivo con l’elenco dei crediti ammessi e le relative classifiche (privilegi, ipoteche, chirografi). Quindi il curatore procede a liquidare i beni: vendere immobili, macchinari, merci, crediti, eventualmente cedere l’azienda o rami (se ancora economicamente possibile, il curatore può anche esercitare provvisoriamente l’impresa se autorizzato, per evitare perdita di valore in attesa di vendita). Infine ripartisce il ricavato tra i creditori secondo l’ordine delle cause di prelazione (privilegiati per primi, chirografi con l’eventuale percentuale residua).
- Durata e esiti: la liquidazione giudiziale può durare diversi anni, a seconda della complessità dell’attivo da vendere e del contenzioso su crediti. Al termine, il tribunale emette decreto di chiusura. La società debitrice, se è una persona giuridica, viene cancellata e cessa di esistere. Se il debitore è una persona fisica o un piccolo imprenditore individuale, resta insoluto il debito non pagato ma interviene la possibilità di esdebitazione (liberazione dai debiti residui): il CCII prevede che il debitore persona fisica ottenga di diritto l’esdebitazione al ricorrere di certe condizioni (aver cooperato, non avere violazioni gravi, etc.) trascorso un breve periodo, in modo da favorirne il “fresh start”.
- Rapporto col risanamento: una volta aperta la liquidazione giudiziale, l’attenzione si sposta sulla tutela paritaria dei creditori e sulla vendita al meglio dei beni. Non è più il debitore a condurre le danze e non c’è più un piano di ristrutturazione del debitore. Tuttavia, il Codice prevede possibili spiragli di salvataggio anche in itinere: è ammesso ad esempio che durante la liquidazione giudiziale un terzo presenti un’offerta di concordato (il cosiddetto “concordato nella liquidazione giudiziale” o concordato fallimentare). Oppure, se emergesse un interesse a rilevare l’azienda unitaria, il curatore potrebbe chiedere l’esercizio provvisorio per cederla come blocco. In generale però, quando si arriva a questa fase, significa che soluzioni di risanamento non erano praticabili prima, sebbene a volte accada che un fallimento si chiuda con la cessione dell’azienda e la prosecuzione sotto altra proprietà (risultato utile per salvare i posti di lavoro, ma comunque l’originaria impresa viene liquidata).
La liquidazione giudiziale è dunque il peggior scenario per l’imprenditore (perdita dell’impresa) e spesso porta ai creditori recuperi modesti. Tuttavia è necessaria per quelle situazioni disperate o dove non c’è accordo. L’importante riforma concettuale è che oggi il fallimento non è più visto come una colpa, ma come un evento possibile e persino fisiologico nel rischio d’impresa. Ciò comporta anche che l’imprenditore fallito onesto ha vie più semplici per riabilitarsi (esdebitazione automatica in 3 anni nella maggior parte dei casi, ex art. 278 CCII).
Esempio quantitativo: in un caso di liquidazione giudiziale, un creditore chirografario spesso recupera percentuali molto basse, come il 5-10% del proprio credito, e dopo anni di attesa. Questo è un riferimento che viene usato per valutare la convenienza dei concordati: se un concordato può dare, poniamo, il 30% in due anni, è nettamente preferibile al fallimento che darebbe il 10% in cinque anni. Il legislatore spinge per concordati proprio per questo gap di efficienza.
Altri strumenti speciali
Nel panorama del risanamento aziendale italiano esistono anche strumenti speciali riservati a particolari categorie di imprese o situazioni, che citiamo brevemente per completezza:
- Amministrazione Straordinaria delle Grandi Imprese in Crisi: procedura riservata alle imprese di grandi dimensioni (in generale con oltre 200 dipendenti) che mira non tanto alla soddisfazione dei creditori ma alla continuazione o riconversione delle attività produttive. Prevista dal D.Lgs. 270/1999 (Legge Prodi-bis) e dal D.L. 347/2003 (Legge Marzano, per grandi gruppi strategici), mette l’azienda in mano a commissari straordinari nominati dal Ministero dello Sviluppo Economico, con programmi di ristrutturazione o cessione. Casi noti: Parmalat, Ilva, Alitalia (soggette a queste procedure). È uno strumento fuori dal CCII e usato raramente, ma va menzionato per le imprese di rilievo nazionale.
- Accordi di ristrutturazione dei debiti del consumatore o del soggetto non fallibile: il CCII ha riordinato anche la vecchia legge sul sovraindebitamento. Oggi esistono il piano di ristrutturazione del debitore (se persona fisica consumatore) e il concordato minore (per piccoli imprenditori sotto soglia e imprenditori agricoli). Funzionano in modo simile al concordato preventivo ma con adattamenti semplificati. Ad esempio, nel concordato minore i creditori votano ma non serve raggiungere le stesse maggioranze (se il piano è equo può essere omologato anche senza maggioranza, purché nessun creditore voti contro per oltre il 20% dei crediti). Questi istituti consentono anche ai piccoli debitori sovraindebitati di ottenere la liberazione dai debiti tramite un procedimento giudiziario.
- Piani di ristrutturazione soggetti ad omologazione (PRO): introdotti con il correttivo 2022 (art. 64-bis CCII), sono essenzialmente dei piani concordatari “consensuali” – se tutti i creditori (per classi) approvano, il tribunale omologa e il piano diventa vincolante. La caratteristica chiave è la possibilità di derogare alla parità di trattamento dei creditori e all’ordine dei privilegi con il consenso unanime delle classi. In pratica, se tutti gli interessati concordano, si può distribuire valore in modo non proporzionale ai crediti: ad esempio, dare qualcosa anche ai soci o ai chirografari lasciando intatti alcuni privilegiati, ecc. Serve però l’approvazione di tutte le classi di voto. Se un PRO fallisce nel consenso (non tutte le classi approvano), il debitore può convertirlo in un concordato preventivo ordinario. Questo strumento recepisce la logica dei “piani di ristrutturazione” della direttiva UE: è utile quando c’è ampia collaborazione tra i creditori e si vuole un risultato creativo e rapido, evitando formalismi del voto individuale (ma per ora non è molto comune, data la richiesta di consenso unanime per essere efficace).
Dopo aver passato in rassegna l’intero arsenale giuridico a disposizione di un’azienda in crisi, nelle prossime sezioni vedremo gli aspetti finanziari e negoziali pratici che accompagnano questi strumenti. Avere la cornice legale è essenziale, ma per risanare davvero un’impresa servono anche strategie finanziarie adeguate, abilità nel negoziare con i creditori, e una gestione attenta per mantenere la continuità aziendale nel periodo turbolento della ristrutturazione. Procediamo dunque ad esaminare questi profili.
Misure di Ristrutturazione Finanziaria
Ristrutturare il debito di un’azienda non significa solo scegliere lo strumento giuridico appropriato, ma anche implementare concretamente una serie di misure finanziarie che riducano e rimodulino l’onere dei debiti, rendendolo compatibile con la capacità dell’azienda di generare flussi di cassa. In questa sezione illustriamo le principali misure di ristrutturazione finanziaria che possono essere adottate, spesso in combinazione tra loro, nell’ambito di un piano di risanamento.
- Rinegoziazione delle condizioni di pagamento: è la misura base in quasi tutti i piani. Consiste nell’ottenere dai creditori la dilazione delle scadenze dei debiti (allungamento delle durate dei mutui, concessione di periodi di moratoria sul rimborso del capitale, rateizzazioni più sostenibili) e/o la riduzione dei tassi di interesse applicati. Ad esempio, un mutuo a 5 anni può essere spalmato su 10 anni, riducendo la rata annuale, o un debito di fornitura scaduto può essere pagato in 24 mesi invece che immediatamente. Ciò alleggerisce la tensione di liquidità sull’azienda. Spesso le banche accettano rinegoziazioni nell’ambito di un accordo più ampio (magari ottenendo garanzie aggiuntive come compensazione). Anche i fornitori chiave possono concedere extra-dilazioni se credono nel recupero dell’azienda (talvolta in cambio di covenants: ad esempio, impegno dell’azienda a non fare nuovi debiti finché non li ha pagati).
- Riduzione (stralcio) del debito: nei casi di sovraindebitamento grave, è necessario tagliare parte del debito affinché l’azienda torni solvibile. Ciò avviene tramite rinuncia di credito da parte dei creditori – tipicamente i creditori chirografari accettano di prendere una percentuale del loro credito e liberare l’azienda dal resto. Ad esempio, i fornitori possono accettare il 50% a saldo, le banche trasformare un’esposizione da 1 milione in un nuovo finanziamento da 600.000 euro, considerandone 400.000 persi. Queste rinunce spesso sono dolorose per i creditori, ma preferibili a perdere tutto in caso di fallimento. Si concretizzano in accordi transattivi (individuali o collettivi) oppure vengono imposte attraverso un concordato (dove la percentuale offerta è il risultato dell’analisi su quanto l’azienda può pagare). Il piano attestato e gli accordi di ristrutturazione spesso prevedono stralci concordati. Nelle transazioni fiscali, come detto, si può arrivare a stralciare sanzioni e interessi e parte del capitale tributario, se motivato dalla convenienza per lo Stato.
- Conversione del debito in equity (debt-equity swap): è una misura di ristrutturazione strutturale, in cui uno o più creditori accettano di trasformare i propri crediti in capitale di rischio, diventando soci dell’azienda. Questo azzera il debito (quel credito non dovrà più essere rimborsato) e rafforza il patrimonio netto. In pratica però diluisce o azzera la partecipazione dei vecchi soci. Viene utilizzato in particolare dalle banche o obbligazionisti in grandi ristrutturazioni: se l’azienda ha potenziale ma è troppo indebitata, i creditori finanziari possono decidere di “convertirsi” in azionisti per far ripartire la società e magari rivendere le quote in futuro recuperando valore. Esempi celebri: ristrutturazioni di aziende come Seat Pagine Gialle (dove le obbligazioni furono convertite in azioni). Questa operazione può avvenire in accordo con i soci (piano attestato/accordo) oppure coattivamente in un concordato (il piano può prevedere l’attribuzione di partecipazioni ai creditori a compensazione dei crediti). Giuridicamente si attua con aumento di capitale con compensazione crediti o emissione di strumenti partecipativi. Non tutti i creditori sono interessati a diventare soci (ad esempio fornitori di solito no, istituti finanziari a volte sì se la somma è grande).
- Apporto di nuovi capitali (“finanza esterna”): elemento cruciale per molti risanamenti è l’ingresso di nuove risorse finanziarie nell’impresa: può essere denaro fresco apportato dai soci esistenti (magari i soci immettono liquidità per pagare parte dei debiti e mantenere il controllo) o da nuovi investitori (un fondo di turnaround, un concorrente, un partner industriale). La finanza esterna serve per colmare il gap tra debito esistente e capacità di rimborso dell’azienda. Ad esempio, se i creditori hanno 10 milioni di crediti e l’azienda può generarne 6 nei prossimi anni, un investitore può metterne 4 subito cosicché i creditori ricevano 10 in totale (6 dall’azienda + 4 dal nuovo investitore, che in cambio ottiene quote e subentra nella gestione). L’importanza dell’apporto esterno è sancita pure a livello normativo: come visto, nel concordato liquidatorio serve un apporto esterno di almeno il 10% del valore liquidatorio. Nei piani attestati e accordi, la presenza di denaro fresco migliora l’attestazione di fattibilità e rende più credibili i pagamenti promessi. Da notare: la legge incentiva i nuovi finanziatori garantendo loro la prededuzione (priorità di rimborso) se il piano/accordo/concordato va a buon fine. Ciò li tutela nel caso residuo di fallimento successivo.
- Ottenimento di garanzie o supporto pubblico: in certi casi le banche riaprirebbero i rubinetti del credito solo se adeguatamente garantite. Lo Stato mette a disposizione strumenti come il Fondo di Garanzia PMI, che può garantire nuovi finanziamenti concessi ad aziende in concordato preventivo in continuità o con accordi omologati (come previsto dal Codice della Crisi in attuazione della Direttiva UE). Inoltre, esistono misure di supporto pubblico straordinarie (in passato si sono visti fondi come “Italia Garantisce” durante Covid, o interventi di Cassa Depositi e Prestiti per aziende strategiche). L’imprenditore in crisi dovrebbe esplorare se ci sono bandi o incentivi pubblici utilizzabili – ad esempio per ristrutturazione di imprese in crisi è attivo presso MIMIT il Fondo per la Salvaguardia dei livelli occupazionali che può entrare temporaneamente nel capitale di PMI in difficoltà.
- Cessione di asset non strategici: fa parte di molti piani: vendere beni o rami d’azienda per fare cassa e ridurre il debito. Ad esempio, alienare immobili non funzionali al core business e usare il ricavato per pagare parte dei creditori. Oppure cedere partecipazioni in altre società, marchi, brevetti inutilizzati, ecc. Questo migliora l’attivo disponibile e può convincere i creditori della serietà del piano (il debitore mostra di essere disposto a sacrifici reali). Bisogna però fare attenzione: vendere asset vitali potrebbe compromettere la continuità, quindi serve distinguere tra asset “sacrificabili” e attività invece essenziali per generare reddito futuro.
- Ottimizzazione del capitale circolante: oltre alle manovre straordinarie, un risanamento passa anche da una migliore gestione day-by-day finanziaria. Ad esempio: ridurre le scorte (liberando liquidità), sollecitare incassi dai clienti (magari proponendo sconti per pagamento anticipato), negoziare termini di pagamento più lunghi con i fornitori (senza eccedere per non perderli del tutto). Una attenzione al capitale circolante può liberare risorse interne per pagare debiti e finanziare la ripresa.
- Interventi sul capitale sociale: in alcuni casi si può agire anche al contrario, cioè riconoscere ai creditori quote di capitale per parte dei loro crediti o strumenti finanziari partecipativi come obbligazioni convertende. Questo rientra nel debt-equity swap già citato, ma ricorda che è una misura destinata a ridurre i debiti in cambio di potenziali vantaggi futuri se l’azienda risanata torna a utile.
- Ristrutturazione operativa: va di pari passo con quella finanziaria ma la menzioniamo qui perché incide sui numeri: taglio di costi (personale, sedi, rami improduttivi), aumento di fatturato (nuove linee di business) – tutte azioni che migliorando il conto economico aumentano la capacità di rimborso del debito residuo. Un buon piano di risanamento integra sempre azioni operative: i creditori difficilmente accetteranno solo sconti di credito senza vedere che l’impresa cambia per non ricadere in crisi. Quindi, ad esempio, se un’azienda dimezza i debiti ma non riduce costi e resta in perdita, presto tornerà nei guai; se invece contestualmente chiude i negozi non redditizi e licenzia il personale eccedente, migliora la redditività e rende sostenibile il debito rimanente. Dal punto di vista finanziario, ciò si traduce in più cassa per pagare i creditori secondo il piano.
In un piano finanziario di risanamento concreto, si combinano più di queste leve: dilazioni, stralci, nuovo denaro, cessioni, tagli di costi. L’attestatore e i consulenti valutano se il mix scelto produce un’azienda con indicatori di solidità accettabili (ad esempio: rapporto Debito/EBITDA riportato a un valore fisiologico per il settore, livello di patrimonio netto positivo e adeguato).
Spesso si lavora sul profilo temporale del debito: trasformare debito a breve termine (esposizioni immediate con fornitori o banche) in debito a medio-lungo termine (mutui ristrutturati, pagamenti dilazionati) in modo da dare respiro alla tesoreria. Nell’immediato, servono anche soluzioni ponte: ad esempio, se i creditori sospendono per qualche mese le richieste, bisogna comunque avere liquidità per pagare le spese correnti (stipendi, fornitori correnti). Qui entrano in gioco la finanza interinale (prestiti ponte spesso prededucibili) e l’impegno dei soci a coprire perdite nel frattempo.
Aspetto fiscale e contabile: la ristrutturazione finanziaria incide anche sul bilancio: i debiti stralciati generano utili straordinari (in contabilità: sopravvenienze attive) che come visto possono essere detassati se l’operazione rientra nelle esenzioni di legge. Inoltre, la riduzione del debito migliora i ratios finanziari e toglie eventuali covenant default su prestiti (se l’azienda aveva prestiti bancari con clausole finanziarie violate, il risanamento serve anche a rientrare nei parametri). Durante le trattative, l’azienda deve monitorare anche la tenuta del rating bancario e prevenire classificazioni a sofferenza: alcune banche potrebbero considerare l’impresa “in default” ai fini interni anche solo per la richiesta di ristrutturazione. Buona prassi è concordare di attendere a classificare il credito come deteriorato finché la trattativa è in corso (a volte le autorità di vigilanza consentono questa flessibilità se c’è un piano credibile in corso di finalizzazione).
In conclusione, una ristrutturazione finanziaria efficace è un’operazione complessa che deve agire sul profilo temporale, quantitativo e qualitativo del debito. Ridurne l’ammontare, allungarne le scadenze, aggiungere risorse fresche e migliorare la gestione sono tutti tasselli di un mosaico. Nei casi di successo, l’azienda “post-risanamento” emerge con un bilancio molto diverso: meno debiti, più capitale proprio, costi ridotti, e un piano industriale che generi utili con cui servire i debiti residui. La prossima sezione tratterà l’aspetto, correlato, di come negoziare con i creditori per ottenere queste misure.
Negoziazione con i Creditori
Il processo negoziale con i creditori è il cuore di qualsiasi tentativo di risanamento del debito aziendale. Per quanto valide siano le misure proposte in teoria, è necessario convincere i creditori ad accettarle (o comunque creare le condizioni perché vengano imposte con il minore attrito possibile in sede giudiziale). In questa sezione forniamo indicazioni pratiche su come condurre efficacemente le trattative con i creditori, tenendo conto delle dinamiche tipiche e degli interessi in gioco.
1. Preparazione delle informazioni e del piano: prima di sedersi al tavolo con i creditori, l’imprenditore deve conoscere a fondo la propria situazione debitoria e avere un’idea chiara di cosa può offrire. Ciò comporta:
- Redigere un elenco dettagliato dei debiti, suddiviso per tipologia (banche, fornitori, fisco, leasing, altri finanziamenti) e corredato di scadenze, tassi, eventuali garanzie. Capire quali creditori hanno privilegi (es. ipoteche) e quali sono chirografari.
- Analizzare la capacità attuale di rimborso e quella potenziale futura in vari scenari. Tipicamente si costruisce un modello di cash flow a 3-5 anni con ipotesi conservative, per stimare quanta parte di debito si può realisticamente ripagare e in che tempi.
- Predisporre un piano industriale di rilancio (se si punta alla continuità): questo documento, spesso fatto con l’aiuto di un advisor, spiega come l’impresa intende tornare redditizia (mercato, strategia, riorganizzazioni, investimenti necessari). Anche nel caso di concordato liquidatorio, serve un piano di liquidazione con stime di realizzo.
- Nominare un advisor finanziario e/o legale: Avere dei professionisti affianco conferisce credibilità, aiuta nella redazione dei documenti e offre ai creditori un interlocutore percepito come più neutrale e competente. Un advisor può gestire i contatti con le banche e orchestrare la comunicazione ai vari creditori.
2. Coinvolgimento dei principali creditori in via preliminare: spesso è utile avvicinare informalmente i creditori principali (es. la banca più esposta, i fornitori maggiori, l’Agenzia delle Entrate per il debito fiscale) per saggiare la loro disponibilità. Questo può avvenire prima ancora di formalizzare un piano dettagliato, presentando però la situazione con trasparenza. Una banca, ad esempio, apprezzerà se il debitore la informa proattivamente del fatto che prevede tensioni di cassa e vuole trovare una soluzione negoziale, piuttosto che scoprirlo tramite un insoluto. Tali colloqui preliminari servono a:
- Capire le posizioni: quale linea avrà la banca? È più propensa a un allungamento o chiede rientri immediati? Il fornitore critico preferisce continuare il rapporto pur ristrutturando il credito, oppure minaccia di interrompere le forniture?
- Identificare un eventuale gruppo ristretto di creditori con cui elaborare un accordo di massima (le banche spesso costituiscono un pool tra loro se sono coinvolte più banche, nominando magari una capofila). Condividere i dati finanziari con questo gruppo e magari ottenere un accordo di riservatezza così che le informazioni non trapelino pubblicamente.
- Concordare una sorta di standstill informale: ad esempio, le banche potrebbero accettare di non revocare gli affidamenti e i fornitori di sospendere azioni legali durante le trattative.
3. Comunicazione chiara e trasparente: quando si avvia formalmente la negoziazione con il più ampio numero di creditori (ad esempio inviando una proposta di accordo o convocando riunioni), è essenziale comunicare in modo onesto e completo:
- Rappresentare la situazione di crisi con dati oggettivi (molto utile avere l’attestatore o l’esperto della composizione negoziata che conferma i dati di bilancio e la gravità della situazione – i creditori così capiscono che il problema è serio e non risolvibile senza il loro concorso).
- Spiegare le cause della crisi (alcune potrebbero essere congiunturali: calo di mercato, insolvenze di clienti, pandemia; altre gestionali: errori di strategia; i creditori vogliono capire se è una crisi “sfortuna” o “colpa”).
- Presentare la proposta di soluzione evidenziando il perché conviene ai creditori. Ad esempio: “Vi proponiamo di rinunciare al 30% del credito e di essere pagati sul resto in 5 anni. Se l’azienda fallisse ora, stimiamo che il vostro recupero sarebbe il 10%. Inoltre, accettando, continuate ad avere l’azienda come cliente/fornitore, garantendo rapporti futuri.” Insistere sul concetto che anche i creditori hanno da guadagnare nel risanamento (recupero maggiore, magari mantenimento di business con l’azienda risanata, ecc.).
- Offrire trasparenza totale: i creditori detestano scoprire asset nascosti o trattamenti di favore. Meglio mettere tutte le carte sul tavolo (anche i beni personali eventualmente impiegabili, eventuali garanzie attivabili). Ciò costruisce fiducia.
4. Ascolto e gestione delle obiezioni: i creditori avranno domande, richieste di chiarimenti e pretese. Bisogna essere pronti a negoziare i dettagli:
- Una banca potrebbe chiedere un tasso un po’ più alto sulla parte rifinanziata o una garanzia ipotecaria su un capannone, in cambio di un allungamento di 8 anni.
- Un fornitore strategico potrebbe volere il pagamento integrale di almeno una parte del suo credito (quella correlata all’ultima fornitura) per continuare a consegnare materiali.
- L’Agenzia delle Entrate in sede di transazione fiscale chiederà documentazione puntuale e potrebbe rifiutare di stralciare l’IVA (che per legge generale sarebbe non stralciabile salvo eccezioni, quindi il piano deve prevedere di pagarla magari in 60 rate).
- Alcuni creditori potrebbero contestare i dati: “Secondo noi avete magazzino che vale di più, perché ci chiedete il 40% di taglio?” Qui è utile l’intervento dell’attestatore o esperto per validare le stime e sedare contestazioni.
5. Differenziare l’approccio per tipologia di creditore:
- Banche: tipicamente più strutturate e abituate a ristrutturazioni. Con loro conviene parlare il linguaggio finanziario: presentare business plan, indicatori, DSCR (Debt Service Coverage Ratio) attesi, ecc. Le banche internamente avranno procedure e comitati crediti per approvare la ristrutturazione; occorre fornire tutti i documenti necessari (piano attestato, perizia su immobili se servono valutazioni di garanzia, ecc.). Spesso è utile predisporre un accordo quadro con tutte le banche, in modo che nessuna si sfili: qui entra in gioco eventualmente la convenzione di moratoria o l’accordo ad efficacia estesa se solo una è contraria. Sulle banche pesa anche la classificazione NPL: se accettano la ristrutturazione, dovranno svalutare il credito in bilancio; la convenienza per loro sta nel recuperare più di quanto farebbero cedendo il credito sul mercato secondario.
- Fornitori commerciali: di solito interessati a mantenere il cliente. Se l’azienda ha prospettive di riprendersi, un fornitore preferisce magari perdere un 20% del suo credito ma mantenere la relazione commerciale futura. Si possono offrire garanzie di continuità: es. “Se accetti lo stralcio 20% e mi continui a rifornire, ti garantisco ordini per i prossimi X mesi e pagamento a 60 giorni regolare”. Oppure convertire il debito in fornitura: “ti devo 100, accetti 50 e in più ti affido lavori per un importo di 20, così recuperi margine come fornitore”. Ovviamente, se il fornitore ha alternative di mercato e vede l’azienda come insolvente cronica, potrebbe interrompere comunque: bisogna convincerlo della validità del piano di rilancio.
- Erario e enti previdenziali: qui la negoziazione è formalizzata nella “transazione fiscale”. Sono interlocutori rigidi nel senso che devono rispettare la legge (non possono dare sconti oltre a quanto consente la norma). Ci si concentra quindi nel predisporre una proposta che rispetti i parametri (es. pagare almeno il capitale IVA e ritenute al 100% o giustificare perché non si può) e allegare l’attestazione richiesta. Spesso conviene offrire la massima dilazione (fino a 6 anni di rate) e magari l’adesione alle sanatorie se aperte (rottamazione cartelle ecc.), integrandole nel piano. L’atteggiamento deve essere collaborativo e rispettoso delle procedure formali.
- Clienti e altri stakeholder: Sebbene non siano “creditori” da pagare, i clienti importanti dell’azienda in crisi sono soggetti da negoziare in senso lato: se temono l’inaffidabilità dell’azienda, potrebbero andarsene. Dunque, informarli (per quanto possibile, compatibilmente con la riservatezza) che l’azienda sta ristrutturando e che ci sono soluzioni in corso può rassicurarli. A volte si può coinvolgere un cliente molto interessato alla continuità in un ruolo attivo: ad es. potrebbe fornire finanziamento per assicurarsi la fornitura futura (ci sono stati casi di clienti-finanziatori). Lo stesso dicasi per partner e dipendenti: la negoziazione interna con i lavoratori (per esempio chiedendo sacrifici come cassa integrazione temporanea, o rinuncia a arretrati retributivi in cambio di strumenti di welfare) può essere necessaria e va condotta con tatto e apertura di dialogo.
6. Formalizzazione degli accordi: una volta raggiunto un consenso di massima con le varie parti (o almeno con una soglia sufficiente di creditori):
- Se si opta per una soluzione stragiudiziale (piano attestato), bisogna far firmare accordi individuali con ciascun creditore aderente, che riflettano i nuovi termini pattuiti (es. un nuovo piano di ammortamento per ogni banca, scritture private con i fornitori per le rinunce di credito, ecc.). Solitamente si prepara un documento standard di “Accordo di risanamento” sottoscritto dall’impresa e da tutti i creditori aderenti, con l’esperto/attestatore che controfirma per attestazione finale.
- Se si va verso un accordo ex art.57 o concordato, il negoziato confluisce nella stesura della proposta da sottoporre al tribunale e ai creditori formalmente. Anche qui può essere opportuno raccogliere lettere di intenti o pre-adesioni: ad esempio, creditori già firmatari di un accordo che si dichiara verrà “trasposto” nell’accordo ex art.57 per l’omologa. Mantenere l’allineamento tra quanto negoziato e quanto poi presentato al giudice è vitale: se si fanno modifiche unilaterali dell’ultimo minuto senza risentire i creditori, si rischia di far saltare il consenso in udienza.
7. Eventuali “cram-down” e pressioni: se qualche creditore minore non vuole aderire e lo strumento scelto lo consente, si può valutare di procedere comunque coinvolgendolo coattivamente (es: accordo ad efficacia estesa per far rientrare una banca isolata come non aderente). Ma attenzione: è sempre meglio avere il massimo consenso perché un creditore scontento può fare opposizione in tribunale, appello, ecc. e allungare i tempi. Quindi, anche quando si ha la forza legale di escludere la volontà di qualcuno, può valere la pena di convincerlo con leve extralegali: ad esempio, se un piccolo fornitore resiste a uno stralcio del 30% sul suo credito di 10.000 €, il debitore potrebbe decidere di pagarlo integralmente a parte pur di non avere contestazioni (tanto l’impatto è minimo). Occorre muoversi però entro i limiti di legge e di parità di trattamento: non si può fare preferenze occulte, ma nel contesto di un accordo stragiudiziale c’è più flessibilità nel modulare i trattamenti, mentre in concordato ogni privilegio ingiustificato può far fallire la procedura (ad esempio non si può pagare fuori piano un chirografario perché così vota a favore: sarebbe frode ai creditori se non rivelato).
8. Tempestività e gestione del tempo: la negoziazione può essere lunga e intanto l’azienda deve sopravvivere. È cruciale dare dei limiti temporali: ad esempio, concordare con i creditori che l’accordo finale dovrà chiudersi entro X mesi. Tenere riunioni periodiche, aggiornare puntualmente sui progressi, mantenere il senso di urgenza (altrimenti si rischia che l’accordo slitti finché uno dei creditori perde pazienza e agisce). Le misure protettive giudiziali possono essere estese per un po’ (fino a 6-8 mesi tipicamente), e quella è la finestra per chiudere.
9. Atteggiamento e credibilità dell’imprenditore: un elemento spesso decisivo è la fiducia. Se l’imprenditore/management ha credibilità presso i creditori (perché magari ha una storia di correttezza, o perché ha ammesso gli errori e ha coinvolto professionisti capaci), le probabilità di accordo aumentano molto. Viceversa, se è percepito come inaffidabile o reticente, i creditori alzeranno barriere. A volte, nelle crisi gravi, i creditori chiedono un cambio di management come condizione: ad esempio, i soci apportano fondi ma nominano un nuovo amministratore delegato specializzato in ristrutturazioni, per dare fiducia che il piano sarà eseguito. L’imprenditore deve essere aperto anche a queste eventualità se vuole salvare l’azienda.
In definitiva, la negoziazione con i creditori è un processo di ricerca del compromesso. Tutte le parti coinvolte, debitore e creditori, devono rinunciare a qualcosa: il debitore accetta magari di perdere proprietà o controllo (nuovi soci, cessione di beni), i creditori accettano di attendere e di incassare meno del 100%. Il comune denominatore è che entrambi sperano di evitare il peggio (la chiusura dell’impresa e la perdita totale dei crediti). Quando questa consapevolezza è chiara e il piano appare solido, spesso il negoziato arriva a buon fine.
Gestione della Continuità Aziendale durante la Crisi
Un aspetto cruciale in ogni percorso di risanamento è la gestione della continuità aziendale: ossia mantenere l’impresa operativa, produttiva e in grado di generare valore mentre si attuano le misure di ristrutturazione. La sfida è duplice: da un lato evitare l’interruzione del business (che farebbe crollare le chances di risanamento), dall’altro migliorare l’efficienza dell’impresa per renderla sostenibile nel medio-lungo termine. Vediamo alcuni punti chiave per gestire la continuità durante la crisi.
1. Mantenimento dell’operatività quotidiana: anche se l’azienda è in crisi, deve continuare a fornire prodotti/servizi ai clienti, onorare (per quanto possibile) gli impegni correnti, preservare i rapporti con fornitori e dipendenti. Ciò richiede:
- Garantire le materie prime e forniture necessarie: negoziare con i fornitori essenziali affinché continuino a rifornire. Spesso ciò implica pagare “pronta cassa” le forniture correnti, anche se i debiti pregressi verso di loro verranno ristrutturati. Per esempio, un’azienda manifatturiera in concordato può accordarsi con il fornitore di componenti per pagare al 100% le consegne post-ammissione (che saranno prededucibili in concordato) così che il fornitore continui l’invio, mentre il debito pre-concordato sarà soddisfatto nei termini del piano (parziale).
- Assicurare la liquidità per le spese correnti: predisporre un budget di cassa per i mesi di crisi e prevedere come finanziare esigenze come salari, utenze, acquisti. Se l’azienda non genera abbastanza incassi, bisogna ricorrere a finanziamenti ponte. La legge consente di ottenere finanza interinale durante la composizione negoziata o un pre-concordato: ad esempio, i soci possono prestare dei soldi o una banca può dare un piccolo fido di emergenza, con autorizzazione del tribunale che ne garantisce la prededuzione (cioè saranno rimborsati prioritariamente). Anche nei concordati, come visto, il tribunale può autorizzare nuova finanza che sarà rimborsata prima di tutti (art. 99 CCII).
- Gestire l’organico: comunicare con i lavoratori, rassicurarli dove possibile. Spesso durante un concordato in continuità, i dipendenti vedono incertezza. Se l’impresa ha bisogno di ridurre il personale, può utilizzare gli ammortizzatori sociali (es. Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria per crisi) o concordare risoluzioni incentivate, cercando di evitare conflitti sindacali che aggraverebbero la situazione. La legge consente nel concordato di recedere da contratti di lavoro dirigenziali con preavviso ridotto (per ridurre costi) e comunque, se c’è continuità, i dipendenti sono tutelati: i loro crediti maturati prima sono privilegiati (e in parte pagati subito, come TFR e stipendi ultimi 3 mesi), quelli durante la procedura sono prededucibili. Quindi anche i lavoratori hanno interesse che l’azienda prosegua.
- Qualità e servizio ai clienti: una criticità è che la qualità del prodotto/servizio non deve calare. Se i clienti percepiscono un peggioramento (ritardi, scarsa qualità, meno assistenza) potrebbero rivolgersi altrove, aggravando la crisi. L’azienda deve dunque, per quanto possibile, mantenere gli standard. Ad esempio, un’impresa di costruzioni in concordato deve cercare di finire i cantieri nei tempi pattuiti per evitare penali e per incassare i SAL (stati avanzamento lavori), vitali per la cassa. Ciò può voler dire anche accettare margini ridotti sui contratti in corso, pur di non bloccare l’attività.
2. Misure di efficientamento e taglio dei rami secchi: la continuità aziendale da preservare non significa mantenere tutto invariato. Al contrario, il periodo di crisi è il momento per intervenire su inefficienze e attività non redditizie:
- Valutare ogni centro di costo e di profitto: se l’azienda ha più linee di business, filiali o negozi, prodotti diversi, conviene capire quali sono redditizi e quali generano perdite strutturali. I rami non redditizi vanno chiusi o ceduti. Ad esempio, una catena retail in crisi può decidere di chiudere 1/3 dei punti vendita meno performanti; ciò comporta licenziamenti e penali per chiusura anticipata dei contratti di affitto, ma migliora il risultato del gruppo. Nel concordato, questo può essere fatto con l’autorizzazione del giudice (che ad esempio consente di sciogliersi dai contratti di locazione pagandone un’indennità limitata, ai sensi dell’art. 100 CCII).
- Riorganizzazione operativa: può includere un miglioramento dei processi produttivi per risparmiare costi, la riduzione di sprechi, la centralizzazione di funzioni per ridurre duplicazioni (es. accorpare magazzini, unificare le strutture amministrative di due stabilimenti). Queste azioni spesso fanno parte del piano industriale presentato ai creditori; l’attuazione può iniziare anche durante le trattative se serve a dimostrare l’impegno. Certo, riorganizzare in crisi è delicato: bisogna evitare di creare disservizi proprio mentre i creditori ti osservano.
- Continuare ad investire (miratamente): può sembrare controintuitivo investire durante una crisi, ma se l’azienda ha bisogno di aggiornare un macchinario o lanciare un nuovo prodotto per restare competitiva, dovrebbe farlo (con giudizio). Una crisi derivante da calo di domanda potrebbe risolversi solo innovando l’offerta, e aspettare la fine della procedura potrebbe essere troppo tardi. Perciò, nel piano concordatario si può prevedere una quota di investimenti essenziali (naturalmente riducendo altrove). I creditori ben informati capiranno che investire 1 oggi può farne recuperare 5 domani. Ad esempio, un’azienda metalmeccanica in concordato potrebbe destinare parte della finanza nuova all’acquisto di un macchinario che riduce i costi unitari di produzione del 20%: ciò aumenta le chance di rimborsare i crediti residui. Il tribunale può autorizzare investimenti se sono nel solco del piano e non ledono i creditori (anzi li favoriscono in prospettiva).
3. Monitoraggio costante delle performance: durante3. Monitoraggio costante delle performance: durante il periodo di ristrutturazione è fondamentale tenere sotto controllo stretto gli indicatori economici e finanziari. L’azienda dovrebbe implementare (se già non l’ha fatto) un sistema di reporting frequente: ad esempio situazioni di cassa settimanali, conti economici mensili, indicatori chiave di performance (KPI) operativi. Questo consente al management e agli eventuali organi della procedura (commissario, esperto) di verificare in tempo reale se l’andamento effettivo segue quello previsto dal piano. Eventuali scostamenti vanno affrontati subito, magari apportando correzioni al piano gestionale. Inoltre, molti accordi di ristrutturazione includono covenant o obblighi informativi: ad esempio, l’azienda si impegna a comunicare trimestralmente alle banche i risultati e a rispettare certi indicatori (come rapporto Debito/EBITDA sotto una soglia). Il monitoraggio quindi serve anche a rassicurare i creditori: se vedono che l’azienda rispetta i target, avranno fiducia nel prosieguo.
4. Gestione della reputazione e dei rapporti esterni: mantenere la continuità aziendale significa anche salvaguardare l’immagine dell’impresa verso l’esterno. Un’azienda in concordato o in trattativa di ristrutturazione può subire danni reputazionali: clienti preoccupati, fornitori diffidenti, banche che non concedono più fidi. È importante dunque comunicare strategicamente: spesso si individua un portavoce o si diffonde un comunicato stampa (quando la notizia diventa pubblica, ad esempio all’ammissione a concordato) in cui si spiega che l’azienda ha avviato un percorso di risanamento e che le attività proseguono regolarmente. Se l’impresa ha certificazioni di qualità o contratti pubblici, bisogna attivarsi per evitare la decadenza: ad esempio, segnalare all’ANAC (Autorità Anticorruzione) l’ammissione a concordato per non essere esclusi da appalti, come per legge (le imprese in concordato in continuità possono stipulare contratti pubblici con autorizzazione del tribunale, art. 95 CCII). Tutelare la reputazione aiuta a non perdere ulteriori commesse e quindi a mantenere il flusso d’affari vitale.
In sintesi, gestire la continuità aziendale in crisi richiede un delicato equilibrio: tenere la barca in rotta (operatività quotidiana) mentre si riparano le falle (taglio costi, accordi sul debito). Un management abile deve saper navigare a vista, pronto a intervenire su qualsiasi imprevisto, e al tempo stesso proiettare fiducia verso dipendenti, clienti e creditori, dimostrando che l’impresa “ce la può fare” e vale la pena sostenerla fino alla fine del percorso di risanamento.
Soluzioni Stragiudiziali: Vantaggi e Limiti
Come abbiamo visto, molte delle opzioni di risanamento disponibili possono essere attuate fuori dalle aule di tribunale, tramite accordi volontari con i creditori e piani attestati. Le soluzioni stragiudiziali (piani attestati di risanamento, convenzioni di moratoria, semplici accordi privati) presentano diversi vantaggi, ma anche alcuni limiti intrinseci rispetto alle procedure concorsuali giudiziali. Analizziamoli:
Vantaggi delle soluzioni stragiudiziali:
- Rapidità e flessibilità: senza i formalismi e le tempistiche imposte dal tribunale, un accordo stragiudiziale può essere concluso più rapidamente. Le parti possono adattare liberamente i contenuti dell’intesa alle loro esigenze, senza dover rispettare rigidamente requisiti di legge come percentuali minime di pagamento o classi di voto. Ad esempio, un piano attestato può prevedere trattamenti diversificati per creditori diversi in base a accordi individuali, cosa che in concordato sarebbe possibile solo con classi e con il rispetto della parità di trattamento all’interno di esse. Si può negoziare in qualsiasi modo “creativo” che soddisfi tutti: dilazioni lunghe per alcuni, stralci maggiori per altri, ecc., purché ci sia consenso.
- Riservatezza e minore impatto sulla reputazione: un accordo stragiudiziale non è reso pubblico (salvo la scelta di pubblicare il piano attestato nel Registro Imprese, che però è un’informazione meno evidente di un fallimento o concordato). Molti piani attestati si svolgono sotto traccia: fornitori e clienti possono anche non venire a conoscenza dettagliata del processo in corso. Ciò aiuta l’azienda a non perdere la fiducia del mercato. Anche internamente, il morale del personale può risentire meno di una “procedura concorsuale” se si comunica che si sta gestendo la situazione tramite accordi tra gentiluomini con le banche. In generale, c’è ancora stigma associato a parole come “concordato” o “fallimento”, mentre un risanamento extra-giudiziale appare più come una normale rinegoziazione finanziaria.
- Continuità gestionale sotto controllo del debitore: in assenza di procedure concorsuali, rimane l’imprenditore a condurre l’azienda senza organi esterni. Questo può essere positivo perché elimina attriti e formalità. Il debitore non deve chiedere autorizzazioni al giudice per operazioni straordinarie, non ha un commissario che supervisiona ogni spesa, e non rischia l’interferenza di proposte concorrenti dei creditori (cosa che in concordato, se la legge lo prevede, potrebbe avvenire). Insomma, mantiene il timone del comando e può attuare i cambiamenti con maggiore autonomia.
- Minor costo procedurale: evitare una procedura concorsuale significa evitare una serie di costi: niente contributo unificato elevato, niente compenso al commissario o al curatore, niente spese di giustizia. Ci sono comunque costi professionali (advisor finanziario, legale, attestatore) anche nelle soluzioni stragiudiziali, ma spesso risultano inferiori a quelli di un concordato lungo. Inoltre, l’azienda evita alcune “perdite di valore” indirette tipiche dei fallimenti (svendita dei beni all’asta, interruzione di contratti che producevano utili, ecc.): nei risanamenti privati l’azienda rimane sul mercato come going concern, preservando valore.
- Possibilità di trattamenti individuali: fuori dalle procedure concorsuali, teoricamente l’imprenditore potrebbe trattare in modo diverso con creditori diversi, anche privilegiando qualcuno. Ad esempio, può scegliere di rimborsare integralmente un piccolo creditore strategico e chiedere sacrifici solo ai grandi. Nelle procedure concorsuali questo sarebbe vietato (salvo classi giustificate): tutti i chirografari devono ricevere pari trattamento, stessi percentuali pro-quota. Attenzione però: se poi intervenisse un fallimento successivo, atti che hanno favorito un creditore a scapito di altri potrebbero essere revocati come pagamenti preferenziali entro determinati tempi. E dal punto di vista penale, favorire intenzionalmente alcuni creditori su altri in situazione di insolvenza può integrare bancarotta preferenziale. Perciò il margine di manovra c’è ma va usato con cautela. In pratica, comunque, gli accordi stragiudiziali spesso cercano anch’essi di mantenere equità di trattamento, altrimenti i non favoriti non aderirebbero.
Limiti e rischi delle soluzioni stragiudiziali:
- Assenza di vincolo per i dissenzienti: il più grande limite è che, a differenza di un concordato o accordo omologato, un accordo stragiudiziale non vincola i creditori che non vi aderiscono. Basta un 10-20% di creditori che rifiuta per mettere a repentaglio l’intera operazione. Questi creditori “estranei” infatti possono:
- Iniziare o proseguire azioni esecutive (pignoramenti, decreti ingiuntivi) a meno che non esista una convenzione di moratoria efficace che li comprenda. Questo può rompere la tregua: se un creditore pignora il conto, l’azienda potrebbe non avere liquidità per pagare quelli con cui aveva accordi.
- Presentare istanza di fallimento (liquidazione giudiziale): anche con un piano attestato in corso, un creditore che non crede nel risanamento può chiedere al tribunale la dichiarazione di insolvenza. A quel punto l’azienda si troverebbe a dover dimostrare che c’è un piano serio e che merita tempo (magari ottenendo dal tribunale un rinvio o convertendo la domanda di fallimento in un concordato in bianco). Ma è una complicazione seria.
- Non rispettare eventuali impegni informali: ad es., la maggioranza dei creditori finanziari può aver detto verbalmente “aspettiamo 6 mesi”, ma se non è formalizzato in una convenzione di moratoria ex art.62 CCII, legalmente nulla vieta al singolo di cambiare idea e attaccare.
- Stabilità precaria e dipendenza dal consenso totale: proprio perché serve l’accordo di (quasi) tutti i creditori rilevanti, la soluzione stragiudiziale può fallire in qualsiasi momento prima di essere pienamente attuata, se qualcuno revoca il consenso o se la situazione peggiora. Nel concordato, una volta omologato, la via è tracciata e i creditori dissenzienti sono comunque vincolati; nel piano attestato, se anche un creditore su dieci decide di revocare il proprio accordo (magari perché cambia management o cede il credito a un soggetto aggressivo), l’equilibrio può saltare. Certo, molti accordi stragiudiziali prevedono clausole risolutive: ad esempio “se il 20% dei creditori per valore non aderisce, l’accordo non ha effetto per nessuno”. Ma in quel caso l’azienda torna al punto zero.
- Nessun effetto esdebitatorio definitivo: solo le procedure concorsuali offrono al debitore la liberazione dai debiti residui una volta eseguito il piano (o l’esdebitazione a fine fallimento). Un piano attestato di per sé non “cancella” i debiti oltre quanto pagato: in teoria, se il debitore non adempie a un accordo privato, ogni creditore torna ad avere titolo per l’intero credito originario (salvo diverse pattuizioni). Invece, un concordato omologato, se completato con successo, libera il debitore da tutta la parte di debiti tagliata. Questa differenza è più giuridica che pratica, perché se il debitore esegue fedelmente il piano attestato pagando la percentuale concordata, i creditori avranno formalmente quietanzato (e spesso rinunciato irrevocabilmente al resto); tuttavia la forza di legge del provvedimento di omologa offre maggiore sicurezza di “pace legale” finale.
- Mancato utilizzo di poteri coercitivi o di massa: nelle procedure concorsuali ci sono strumenti come la vendita unitaria coattiva dei beni (con ausilio del tribunale), l’azione revocatoria fallimentare per recuperare pagamenti essono recuperabili (ma nel piano attestato gli atti esecutivi del piano sono protetti da revocatoria). In un accordo privato l’azienda non ha lo scudo revocatoria se poi fallisce, se non per quanto previsto appunto dall’art. 166 CCII in caso di piano attestato pubblicato. Inoltre, nel quadro concorsuale il curatore o commissario può gestire azioni collettive che un singolo debitore magari non intraprende (ad esempio cause contro amministratori per responsabilità, utili ai creditori).
- Risorse e disciplina: affrontare una crisi in via stragiudiziale richiede un alto grado di disciplina e coordinamento tra le parti. L’assenza di un arbitro (il giudice) significa che tutto poggia sulla volontà contrattuale. Ciò a volte può essere instabile. In procedure come il concordato, invece, c’è un percorso predeterminato e sanzioni precise se il debitore devia (revoca misure protettive, conversione in fallimento se inadempiente, ecc.). In un accordo volontario, se il debitore sgarra, i creditori dovrebbero ognuno far valere i propri diritti in sede civile, magari tornando al punto di partenza con cause plurime.
Quando preferire soluzioni stragiudiziali e quando quelle giudiziali? Non c’è una regola rigida. In linea di massima:
- Se l’impresa è ancora vitalmente sana e la crisi è relativamente contenuta (pochi creditori chiave, liquidità momentaneamente carente ma business model valido), tentare la via stragiudiziale è spesso la scelta migliore. Permette di risolvere con meno traumi e di proseguire velocemente.
- Se invece l’impresa è profondamente insolvente, con troppi creditori eterogenei, e magari ci sono già azioni legali avviate, potrebbe essere inevitabile ricorrere a una procedura giudiziale (concordato preventivo o liquidazione). Ad esempio, un’azienda edile con centinaia di piccoli subfornitori potrebbe non riuscire mai a ottenere l’accordo di tutti; un concordato, con voto a maggioranza, è più praticabile.
- Spesso si adotta un approccio graduale: prima si prova a negoziare stragiudizialmente (magari tramite composizione negoziata), se non funziona si passa a un concordato. Il Codice della Crisi incoraggia questa gradazione di interventi, partendo da strumenti meno invasivi e passando ai più “forti” solo se necessario.
- Ci sono casi in cui addirittura conviene subito il fallimento (liquidazione giudiziale), ad esempio se l’impresa è decotta e i costi per mantenerla in vita in concordato eroderebbero ulteriormente l’attivo a danno dei creditori.
In generale, quando c’è collaborazione e fiducia tra debitore e creditori principali, vale la pena perseguire una soluzione stragiudiziale. Quando invece c’è forte conflittualità o rischio di azioni egoistiche dei singoli, la procedura concorsuale fornisce un quadro più ordinato e garantista.
Possiamo concludere che le soluzioni stragiudiziali sono preziose frecce all’arco dell’imprenditore in crisi: esse permettono spesso di evitare la “doratura pubblica” della crisi, di risolvere con maggiore elasticità e preservare i rapporti di business. Tuttavia, vanno scelte con giudizio, valutando bene la capacità di aggregare il consenso necessario. E se durante il percorso emergono segnali che il percorso privatistico non regge (ad esempio, un creditore minaccia di fare istanza di fallimento), bisogna saper virare rapidamente su uno strumento concorsuale prima che la situazione sfugga di mano.
Nei casi studio seguenti vedremo esempi di applicazione di soluzioni stragiudiziali e giudiziali, così da concretizzare i concetti esposti.
Esempi Pratici, Simulazioni e Casi di Studio
Di seguito presentiamo alcuni scenari pratici che illustrano come gli strumenti di risanamento possano essere applicati. Si tratta di casi ispirati a situazioni reali o costruiti come simulazioni didattiche, per mostrare il funzionamento delle soluzioni e le scelte fatte da imprenditori e professionisti.
Caso Alfa: Piano Attestato di Risanamento per una PMI manifatturiera
Scenario: Alfa S.r.l. è un’azienda manifatturiera con 50 dipendenti che produce componenti meccanici. Negli ultimi anni ha subito un calo di fatturato e alcune perdite, accumulando debiti per 4 milioni di euro (di cui 2 milioni verso banche per mutui e fidi, 1 milione verso fornitori, 0,5 verso il fisco, 0,5 verso altri). La crisi è dovuta in parte a investimenti errati (hanno aperto una sede estera rivelatasi antieconomica) e in parte alla pandemia che ha ridotto le commesse. Tuttavia, Alfa ha un portafoglio clienti fedele e nuove richieste in ripresa; il problema è la tensione di cassa immediata. Le banche hanno ridotto gli affidamenti e l’azienda rischia di non pagare stipendi e fornitori.
Soluzione adottata: I soci di Alfa, volendo evitare il fallimento, incaricano un advisor e decidono di predisporre un Piano attestato di risanamento. Con l’aiuto di un professionista attestatore, elaborano un piano industriale che prevede:
- La chiusura della sede estera e la concentrazione della produzione in Italia (risparmio annuo previsto di €300.000).
- La vendita di un immobile inutilizzato (stimato incasso €600.000).
- L’immissione di nuovi capitali da parte dei soci per €200.000.
- Una rinegoziazione dei debiti: alle banche propongono di allungare i mutui da 5 a 8 anni mantenendo tassi simili, e di convertire gli affidamenti a breve in un mutuo chirografario 5 anni con garanzia del Fondo PMI. Ai fornitori chiedono uno stralcio del 20% sui debiti pregressi e pagamento del restante 80% in 24 mesi. Al Fisco propongono una rateazione in 5 anni tramite transazione fiscale, pagando integralmente IVA e ritenute e stralciando sanzioni e interessi.
L’attestatore verifica i numeri: con il taglio costi e il rifinanziamento, Alfa genererà flussi sufficienti a onorare i nuovi piani di rientro. Attesta così la veridicità dei dati e la fattibilità del piano. Le trattative:
- Le banche, constatato che i soci mettono soldi (segno di impegno) e vista l’attestazione positiva, accettano. Una banca inizialmente era riluttante, ma di fronte alla minaccia di dover svalutare tutto il credito in caso di fallimento (avrebbe incassato forse 30%), preferisce aderire.
- L’Agenzia delle Entrate approva la dilazione e concede la riduzione delle sanzioni come da normativa, avendo ottenuto la relazione di convenienza dell’attestatore.
- Il 90% dei fornitori (per valore) accetta l’accordo 80/20 proposto; qualche piccolo fornitore chiede il 100% (era poco, l’azienda decide di accontentarli per non perderli, adeguando marginalmente la percentuale media proposta agli altri, ma restando entro i limiti di sostenibilità).
Formalmente, Alfa S.r.l. finalizza il piano attestato a giugno 2024, lo pubblica al Registro Imprese per assicurarsi l’esenzione fiscale e la protezione degli atti, e inizia l’esecuzione:
- Incassa €600k dalla vendita dell’immobile e €200k dai soci e paga subito la quota stralciata ai fornitori (ad esempio, paga 80% del loro credito corrente) e le prime rate dovute.
- Continua l’attività produttiva: grazie all’accordo, i fornitori continuano a rifornirla (ora richiedendo pagamento anticipato per le forniture nuove, ma Alfa può farlo con la liquidità ottenuta e con i fidi non più sotto pressione).
- I creditori che hanno aderito rinunciano formalmente ad azioni legali (nel contratto si prevede che non attiveranno procedure esecutive se Alfa rispetta il piano).
Esito: nei 12 mesi successivi Alfa torna in utile, recupera fatturato (anche perché i clienti, informati sommariamente di una ristrutturazione in corso, vedono che Alfa consegna regolarmente). Dopo un anno, la posizione finanziaria è molto migliorata: metà dei debiti verso fornitori sono stati pagati, le banche incassano secondo i nuovi piani e non registrano sofferenza. Alfa ha evitato il concordato e il suo nome non è apparso su registri pregiudizievoli; i dipendenti hanno mantenuto il posto. Certo, i soci hanno perso parte del capitale immobile e hanno dovuto sacrificare utili per pagare i debiti, ma l’azienda è salva e torna competitiva.
Commento: il caso Alfa mostra come un piano attestato sia adatto a PMI con numero contenuto di creditori e prospettive di recupero tangibili. Si noti l’importanza:
- Dell’apporto soci (segno di fiducia nel futuro).
- Del fatto che nessun creditore è stato soddisfatto sotto il 80% (questo ha reso più facile convincerli, visto che in fallimento avrebbero preso forse 50% o meno).
- Della protezione legale: atti esecutivi del piano (pagamenti ai fornitori, concessione di nuove garanzie alle banche) non saranno revocabili se malauguratamente Alfa fallisse più avanti, quindi i creditori hanno agito con serenità.
- Dell’attestatore: la sua relazione ha fatto da “leva psicologica” con le banche e il fisco, dando terzietà alle previsioni di Alfa.
Caso Beta: Accordo di Ristrutturazione e Concordato in Continuità di un’azienda di trasporti
Scenario: Beta Trasporti S.p.A. è una media azienda nel settore logistica (camion e spedizioni) con 200 dipendenti. Ha accumulato circa 15 milioni di euro di debiti, principalmente verso le banche (leasing per i camion, mutui per magazzini, scoperti di conto) e debiti fiscali elevati (IVA non versata durante due anni di perdite). La crisi è dovuta all’aumento dei costi carburante e a investimenti sbagliati in una nuova piattaforma informatica. Beta ha ancora un buon parco clienti, ma è sovraindebitata e non riesce a finanziare il circolante: fornitori di carburante hanno iniziato a consegnare solo contro pagamento anticipato, causando qualche fermo dei mezzi. Nel 2024 Beta capisce che serve un intervento drastico.
Soluzione adottata: Data la presenza di molti creditori (una dozzina di banche e società di leasing, 50 fornitori rilevanti, e il Fisco), Beta opta per avviare la Composizione Negoziata della Crisi per cercare un accordo con supporto di un esperto indipendente. Durante questo percorso:
- Si ottiene dal tribunale la sospensione temporanea dei pignoramenti (alcuni fornitori avevano avviato ingiunzioni) e il carburante viene considerato fornitura essenziale, quindi il giudice ordina al fornitore di non interrompere le forniture (pagamenti correnti garantiti).
- L’esperto convoca tutte le banche finanziatrici in una riunione: emerge la disponibilità a una soluzione di ristrutturazione del debito finanziario, magari coinvolgendo un nuovo investitore, ma le banche chiedono che i soci facciano la loro parte.
- Dopo 3 mesi di trattative, Beta elabora un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art.57 CCII da sottoporre ad omologazione:
- Le banche (che rappresentano il 70% del debito) accettano di consolidare l’esposizione finanziaria: i leasing vengono mantenuti, ma le rate arretrate sono spalmate a fine piano; i mutui ipotecari vengono prorogati di 5 anni; i fidi a breve sono convertiti in un finanziamento bullet (unico rimborso finale) con interesse ridotto, garantito dagli immobili.
- Le banche chiedono e ottengono che i soci diano in pegno le loro azioni a garanzia dell’esecuzione del piano e nominino un CRO (Chief Restructuring Officer), un manager gradito ai creditori per seguire il piano.
- L’Agenzia delle Entrate, tramite transazione fiscale, concorda di abbattere del 30% il debito IVA e contributi e dilazionare in 6 anni il pagamento del resto.
- I fornitori chirografari (che sono il 20% del debito totale) propongono di essere pagati al 50% in 24 mesi. Beta ritiene di poter fare meglio grazie a un possibile investitore, ma per sicurezza prevede almeno 50%.
- Durante la negoziazione, un investitore esterno (una società concorrente più grande interessata a espandersi) si fa avanti per entrare nel capitale di Beta dopo la ristrutturazione, offrendo €3 milioni in cambio del 60% delle azioni. Questa notizia rende più fiduciose le banche e i fornitori, poiché l’investitore apporterebbe liquidità fresca per pagare i creditori chirografari. Viene firmato un term-sheet con l’investitore, condizionato all’omologazione dell’accordo o concordato.
Scelta finale della procedura: L’accordo di ristrutturazione viene sottoscritto dal 100% delle banche e dall’investitore (per impegno), ma solo dal 60% dei fornitori in valore. Purtroppo alcuni fornitori e piccoli creditori non aderiscono formalmente (pur essendo d’accordo verbalmente, non inviano la firma entro la scadenza). Per non far saltare tutto, Beta decide di presentare un concordato preventivo in continuità basato sui medesimi termini:
- Forma classi di creditori: una classe banche (che riceveranno integrale pagamento interessi ridotti e capitale secondo il nuovo piano), una classe Fisco (pagato 70% dilazionato), una classe fornitori chirografari (50% grazie anche all’apporto del nuovo socio).
- Il piano di concordato prevede la continuità diretta dell’azienda: Beta continua ad operare; l’investitore entra come socio apportando €3 milioni che sono destinati in massima parte a pagare il 50% ai fornitori e una parte a investimento in nuovi mezzi ecologici (per ridurre costo carburante futuro).
- I crediti privilegiati (leasing, ipoteche) sono soddisfatti secondo accordo; i chirografari in classe fornitori prendono 50%. Si dimostra che in fallimento prenderebbero forse 20%, quindi il concordato offre un miglior soddisfacimento.
- Le banche, avendo già negoziato l’intesa, votano a favore compatte. La classe fornitori inizialmente è incerta, ma anche qui l’esperto della composizione negoziata spiega loro che il 50% è realistico con il nuovo socio; alcuni fornitori strategici che avevano ricevuto ordini in quei mesi appoggiano (vogliono continuare a lavorare con Beta). Si raggiunge una maggioranza del 75% di voti favorevoli nella classe fornitori, sufficiente per approvare la proposta.
Omologa e risultati: a fine 2024 il tribunale omologa il concordato preventivo in continuità di Beta Trasporti. L’opposizione di due fornitori dissenzienti (che lamentavano che 50% fosse troppo poco) viene rigettata perché il tribunale verifica che comunque prenderebbero meno in liquidazione e che il piano è fattibile. Con l’omologa:
- L’investitore versa i €3 milioni e diventa azionista di controllo (i vecchi soci diluiti al 40% ma contenti di aver salvato l’azienda).
- Beta paga subito, grazie a quei fondi, il 50% dei crediti fornitori (in alcuni casi li trasforma in obbligazioni a 2 anni per differire il pagamento ma gli fornisce garanzie).
- Nei due anni successivi, Beta implementa il piano industriale: rinnova parte della flotta con camion a metano (meno costosi nel lungo termine), chiude due filiali marginali e concentra le operazioni. L’investitore integra Beta nella propria rete logistica, portando nuovi clienti.
- Dopo due anni, Beta è in utile e inizia a pagare anche le prime rate ai creditori finanziari e all’erario secondo il piano.
- I creditori chirografari che hanno preso il 50% non possono più avanzare pretese per il resto: la procedura concordataria li ha liberati dal debito residuo.
Commento: il caso Beta evidenzia l’utilizzo combinato di strumenti:
- Prima la composizione negoziata, che ha creato le basi del piano e ottenuto una moratoria di fatto.
- Poi il passaggio a un accordo di ristrutturazione (tentato) e infine a un concordato preventivo quando serviva vincolare i dissenzienti.
Si nota la funzione del concordato in continuità come strumento per attrarre investitori: l’investitore sapeva che con l’omologa avrebbe ottenuto un’azienda “pulita” dai debiti extra-piano e protetta dalle pretese dei vecchi creditori.
Inoltre, la suddivisione in classi ha consentito di gestire interessi diversi. Questo caso è ispirato a vicende reali, per esempio Moby S.p.A., nota compagnia di navigazione, che nel 2023 ha concluso un concordato in continuità con l’ingresso di un nuovo socio (il gruppo MSC) che ha apportato circa 315 milioni di euro; il piano è stato approvato da oltre il 90% dei creditori votanti, consentendo di rimborsare significativamente i debiti e garantire la prosecuzione dell’attività.
Caso Gamma: Concordato Liquidatorio e Liquidazione Giudiziale
Scenario: Gamma S.r.l., impresa commerciale con 3 negozi di arredamento, è in insolvenza irreversibile: ha 5 milioni di debiti, attività praticamente ferme, il marchio ha perso appeal. I titolari ammettono che l’azienda non è più risanabile come going concern. Dopo aver considerato inutilmente la cessione dell’attività (nessuno interessato), decidono di avviare una procedura concorsuale per gestire la fine dell’impresa in modo ordinato.
Concordato liquidatorio semplificato: Gamma prova a seguire la nuova strada introdotta dal Codice: presenta istanza di composizione negoziata, ma già da subito appare chiaro all’esperto che non ci sono prospettive di continuazione: i negozi sono deserti e in perdita, e l’unico valore sono gli immobili di proprietà. Si conclude rapidamente che l’unica via è vendere i beni e chiudere. Gamma allora, con la relazione finale dell’esperto che attesta la buona fede ma l’impossibilità di soluzioni alternative, presenta un concordato semplificato per la liquidazione:
- Propone di vendere i 3 immobili dei negozi entro 6 mesi tramite procedure competitive coordinate dal tribunale e distribuire il ricavato ai creditori.
- Stima un realizzo totale di 2 milioni a fronte di 5 di debiti (ipotizzando vendite all’80% del valore di perizia), con cui prevede di pagare circa il 70% dei privilegiati (banche ipotecarie e dipendenti) e un 10% ai chirografari.
- Non essendoci risorse esterne, offre ai chirografari proprio il minimo di legge (10% con apporto esterno): in realtà qui non c’è apporto esterno, quindi normalmente non sarebbe ammissibile un concordato liquidatorio così, ma trattandosi di concordato semplificato post-composizione negoziata, l’art. 25-sexies consente una omologa senza voto anche se i chirografari prendono meno del 20%, purché non sarebbe possibile altrimenti.
Il tribunale valuta attentamente: la relazione dell’esperto evidenzia che Gamma ha operato correttamente durante le trattative (ha mantenuto i beni intatti, non ha favorito nessun creditore) e che un fallimento porterebbe forse addirittura a incassi inferiori (per via delle spese di procedura più lunghe). Inoltre i principali creditori sono stati sentiti: le banche ipotecarie preferiscono una vendita veloce in concordato (evitando aste lunghe) e non si oppongono; alcuni fornitori chirografari lamentano il 10% troppo basso, ma la perizia allegata mostra che realisticamente quello potranno prendere. Il tribunale quindi omologa il concordato semplificato di Gamma.
In pochi mesi, un liquidatore nominato vende i tre immobili (il ricavato effettivo è 2,1 milioni, leggermente meglio del previsto). Distribuisce:
- Alle banche ipotecarie: circa il 60% del loro credito (che esaurisce l’intero ricavato di due immobili).
- Ai fornitori chirografari: il restante ricavato dal terzo immobile, che dà loro circa il 10% dei crediti.
- I debiti verso Fisco e dipendenti, privilegiati, assorbono in parte il ricavato prima dei chirografari (infatti questi ultimi ricevono solo ciò che rimane dopo privilegi).
- Terminata la liquidazione, Gamma cessa l’attività e viene cancellata. I soci escono di scena senza nulla (hanno perso il capitale).
Esito: i creditori chirografari, pur scontenti, non hanno potuto far altro che accettare questo esito, poiché un eventuale fallimento non avrebbe generato per loro alcun utile maggiore, anzi forse minore (dopo anni di attesa). I titolari di Gamma evitano le procedure personali esecutive perché l’esdebitazione si estende loro essendo piccoli imprenditori.
Dopo la chiusura del concordato, alcune banche fanno valere garanzie personali dei soci per la parte di credito residua non pagata (questo è importante: la liberazione del debito in concordato riguarda la società, ma i garanti terzi rimangono obbligati per legge, salvo diverso accordo – in questo caso le banche inseguono i garanti per il restante 40%). I soci, però, ottengono anch’essi la esdebitazione personale dal tribunale dopo la liquidazione controllata (in quanto ne hanno i requisiti di meritevolezza, essendo una piccola società di persone).
Commento: il caso Gamma illustra:
- L’utilizzo del concordato semplificato liquidatorio quando non c’è speranza di risanamento ma si vuole chiudere in modo rapido evitando l’intera trafila fallimentare e magari ottenendo condizioni migliori per vendere (un concordato, ancorché liquidatorio, può ad esempio vendere beni con la possibilità di cancellare ipoteche e pignoramenti con decreto di omologa, simile alla vendita fallimentare, ma più veloce e sotto la regia dell’ex debitore e liquidatore nominato).
- La soglia di soddisfo ai chirografari in questo caso è stata molto bassa, ma resa possibile dalla natura semplificata post-CNC. In un concordato preventivo normale non sarebbe stata ammissibile senza un 10% extra da finanza esterna.
- La procedura ha coinvolto comunque il tribunale e un liquidatore, ma non i creditori nel voto: ciò ha risparmiato mesi di adunanza e possibili ostruzionismi. Tuttavia, data l’assenza di voto, il giudice ha dovuto fare un controllo di merito più attento sul piano (come evidenziato da una decisione del Tribunale di Parma su un caso simile, dove si richiede al giudice di valutare anche la convenienza del piano e la buona fede del debitore).
- Alla fine, i creditori chirografari hanno avuto un esito modesto, ma probabilmente il migliore nelle circostanze. Il vantaggio per loro è stata la velocità: in 6-8 mesi hanno recuperato quel poco, invece di attendere magari 5 anni in fallimento per la stessa somma.
Questi casi dimostrano l’ampia casistica di soluzioni: dal salvataggio pieno (caso Alfa) alla ristrutturazione mista con nuovo socio (Beta) fino alla liquidazione inevitabile (Gamma). Ciascun caso ha richiesto di impiegare gli strumenti giusti e negoziare con astuzia.
Conclusioni e Consigli Operativi
Il risanamento del debito aziendale è un percorso impegnativo e multidisciplinare, che coinvolge aspetti legali, finanziari e manageriali. Dall’analisi svolta emergono alcune linee guida generali per imprese e professionisti che si trovino ad affrontare una crisi:
1. Agire tempestivamente: Il tempo è una risorsa cruciale. Prima si interviene sulla crisi, più opzioni saranno praticabili. Attendere troppo può far degenerare una crisi reversibile in insolvenza irreversibile. Il Codice della Crisi incentiva l’emersione anticipata: la composizione negoziata ne è esempio, così come gli obblighi di segnalazione degli organi di controllo. Un imprenditore dovrebbe monitorare costantemente la salute finanziaria (indici di liquidità, sostenibilità del debito) e attivarsi ai primi segnali di tensione, senza aspettare di esaurire la cassa o subire istanze di creditori.
2. Valutare obiettivamente la situazione: È fondamentale fare una diagnosi onesta: l’impresa è risanabile o no? Quali sono le cause della crisi e cosa serve per superarla? Se l’analisi mostra che l’azienda, riducendo il debito e riorganizzandosi, può tornare competitiva, allora vale la pena lottare con strumenti come piani attestati, accordi o concordati in continuità. Se invece i dati indicano che nemmeno azzerando il debito l’azienda starebbe in piedi (perché il modello di business non funziona più), potrebbe essere più saggio optare per una liquidazione ordinata, magari vendendo a terzi gli asset di valore. L’imprenditore dovrebbe farsi affiancare da professionisti indipendenti proprio per avere questa valutazione obiettiva (spesso chi è coinvolto tende a sopravvalutare le chance per ottimismo o attaccamento).
3. Coinvolgere i professionisti giusti: Il risanamento richiede competenze specialistiche. Un advisor finanziario può costruire il piano e dialogare con banche parlando la loro lingua; un avvocato specializzato in crisi conosce i meccanismi normativi e tutela l’impresa da passi falsi; un attestatore serio dà credibilità verso i terzi. Anche figure come l’esperto della composizione negoziata o il gestore OCC (per sovraindebitamento), quando previsti, possono rivelarsi alleati preziosi. Inoltre, dotarsi di una buona consulenza aiuta a intercettare opportunità (bandi di aiuto, fondi di investimento interessati, ecc.) e a evitare responsabilità (es. gestire correttamente pagamenti per non incorrere in bancarotta preferenziale).
4. Costruire un piano realistico e sostenibile: Sia esso un piano industriale per la continuità o un piano di liquidazione, deve basarsi su assunzioni prudenti e verificabili. I creditori e il tribunale (se coinvolto) guarderanno subito la fattibilità: flussi di cassa attesi, garanzie offerte, impegni dei soci. Meglio promettere un 40% ai chirografari e poi pagare magari il 50%, che promettere il 80% e poi non riuscire a farlo. La buona riuscita di concordati e accordi in gran parte dipende dalla qualità del piano: se la gestione post-ristrutturazione fallisce, lo sforzo è vano. Quindi, attenzione alle ipotesi di vendita beni (prezzi realistici), di crescita ricavi (non sovrastimare), di taglio costi (non sottostimare l’impatto).
5. Curare la comunicazione e la trasparenza: Lungo tutto il processo, comunicare in modo chiaro, tempestivo e trasparente con gli stakeholder (creditori, dipendenti, clienti chiave) è essenziale. La trasparenza genera fiducia, come più volte ribadito. Nascondere problemi o fornire informazioni parziali di solito si ritorce contro: i creditori se ne accorgono e reagiscono male. Meglio anticipare le loro domande e affrontarle, magari ammettendo errori passati ma mostrando la determinazione a correggerli. Anche all’interno, informare i lavoratori (per quanto consentito) aiuta a mantenere coesione ed evitare fughe di personale chiave.
6. Considerare l’impatto fiscale e legale di ogni mossa: Ogni scelta nel risanamento ha conseguenze tecniche. Ad esempio, stralciare debiti genera potenziali tasse (ma abbiam visto come evitarle col piano attestato pubblicato); scegliere un concordato implica dover soddisfare certi parametri di legge (20% chirografari se liquidatorio, 10% surplus esterno, ecc.). Bisogna dunque pianificare con i consulenti anche questi aspetti collaterali: predisporre la domanda di transazione fiscale in parallelo, decidere se conviene pubblicare o meno un piano, etc. Ignorare questi dettagli può far fallire un’intera strategia (si pensi a un concordato liquidatorio depositato senza l’apporto esterno: verrebbe dichiarato inammissibile).
7. Essere pronti a soluzioni combinate e flessibili: Come nel caso Beta, spesso il percorso reale non segue un singolo strumento ma evolve: si può partire tentando un piano attestato e poi virare su un accordo ex art.57, oppure iniziare un concordato e in corso d’opera trovare un accordo transattivo con alcuni creditori e trasformarlo in piano. Il professionista deve essere flessibile e l’imprenditore adattabile. L’importante è mantenere la coerenza degli obiettivi (risanare l’impresa o massimizzare soddisfacimento se si liquida) e rispettare la cornice normativa in ogni fase.
8. Tenere presente l’interesse dei creditori come faro guida: In ogni decisione, chiedersi: «Questo è nell’interesse dei miei creditori? Li soddisfa di più che in alternativa?». Se la risposta è sì, probabilmente si è sulla strada giusta e si riuscirà a ottenere il loro supporto o l’ok del giudice. Se la risposta è no (ad esempio: il debitore vuole a tutti i costi tenersi la villa di proprietà fuori dal piano, pagando meno i creditori – chiaramente i creditori non lo vedranno di buon occhio), allora occorre rivedere la propria impostazione. Il miglior risanamento è quello win-win dove anche i creditori (per quanto perdenti qualcosa rispetto al 100% nominale) percepiscono un vantaggio rispetto agli scenari alternativi.
In definitiva, risanare un’azienda in crisi in Italia è possibile grazie a un arsenale di strumenti aggiornato e completo. Il quadro normativo del 2025 fornisce opzioni per ogni grado di difficoltà: dall’accordo amichevole “in casa” fino alla ristrutturazione giudiziale profonda. Ogni crisi è diversa, ma le esperienze e i casi analizzati mostrano che con un approccio tempestivo, competente e trasparente si possono spesso evitare gli esiti peggiori e dare all’impresa una seconda chance o, quantomeno, chiuderla in modo dignitoso e ordinato.
Per gli imprenditori, il messaggio è chiaro: non isolarsi nella crisi, ma cercare l’aiuto di esperti e dialogare con i creditori. Per i professionisti, la sfida è usare al meglio gli strumenti giuridici e la negoziazione per cucire soluzioni su misura, bilanciando norme e interessi economici. Quando queste componenti si allineano, anche situazioni molto critiche possono trovare una via d’uscita positiva.
Fonti e Riferimenti Normativi (aggiornati ad aprile 2025)
- Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267 – Legge Fallimentare (abrogata dal Codice della Crisi). Testo normativo storico sulle procedure concorsuali, ora sostituito dal nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza.
- Legge 27 gennaio 2012, n. 3 – Disciplina della composizione delle crisi da sovraindebitamento (cosiddetta “Legge Salva Suicidi”). Ha introdotto le procedure di esdebitazione per privati e piccole imprese non fallibili. Modificata ed integrata dalla Legge 18 dicembre 2020, n. 176 (conversione D.L. 137/2020) per semplificare l’accesso e allinearla al Codice della Crisi.
- Legge 19 ottobre 2017, n. 155 – Delega al Governo per la riforma delle discipline della crisi d’impresa e dell’insolvenza. Legge delega che ha autorizzato l’emanazione del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza.
- Decreto Legislativo 12 gennaio 2019, n. 14 – Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII). In vigore dal 15 luglio 2022, è il nuovo testo unico che ha sostituito la legge fallimentare e la legge sul sovraindebitamento. Include la disciplina dei piani attestati di risanamento, accordi di ristrutturazione dei debiti e concordato preventivo, tra le altre procedure.
- Decreto Legislativo 26 ottobre 2020, n. 147 – Primo decreto correttivo al Codice della Crisi. Ha introdotto disposizioni integrative e correttive al D.Lgs. 14/2019 in attuazione della delega della L.155/2017. (Fonte: Gazzetta Ufficiale, testo originale)
- Decreto-Legge 24 agosto 2021, n. 118 (conv. Legge 21 ottobre 2021, n. 147) – Misure urgenti in materia di crisi d’impresa e di risanamento aziendale. Ha istituito la Composizione Negoziata della Crisi d’Impresa, procedura volontaria e stragiudiziale per le imprese in difficoltà. Avviata il 15 novembre 2021, la composizione negoziata consente all’imprenditore di tentare il risanamento con l’assistenza di un esperto indipendente, prima di ricorrere a procedure concorsuali. (Fonte: Gazzetta Ufficiale, testo coordinato con la legge di conversione)
- Decreto Legislativo 17 giugno 2022, n. 83 – Secondo decreto correttivo (attuazione Direttiva UE 2019/1023). Ha adeguato il Codice della Crisi alle norme europee sui quadri di ristrutturazione preventiva. Pubblicato in G.U. n.152 del 1º luglio 2022, ha introdotto significative novità in materia di accordi di ristrutturazione (come il cram-down omologatorio) e concordato preventivo semplificato. (Fonte: Gazzetta Ufficiale, testo originale)
Risanamento del Debito Aziendale: Perché Affidarsi a Studio Monardo
Se la tua azienda è travolta dai debiti – con banche, fornitori, INPS, Agenzia delle Entrate o altri creditori – e non riesci più a far fronte agli impegni, oggi puoi avviare un percorso legale di risanamento del debito aziendale.
Si tratta di un insieme di strumenti previsti dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019) che permettono di ricostruire l’equilibrio finanziario dell’impresa, bloccare le azioni esecutive e salvare ciò che funziona.
Affidarsi all’Avvocato Giuseppe Monardo significa avere al proprio fianco un professionista abilitato, capace di negoziare con i creditori, costruire un piano sostenibile e guidarti passo passo nella strategia di risanamento più efficace.
Cosa fa per te l’Avvocato Monardo
- Analizza in dettaglio la situazione finanziaria e legale dell’impresa
- Costruisce un piano di risanamento su misura con l’aiuto di advisor e commercialisti
- Negozia con banche, fornitori, Fisco e INPS per conto dell’imprenditore
- Predispone e deposita le istanze giudiziali o stragiudiziali necessarie
- Ottiene la sospensione delle azioni esecutive e rappresenta l’impresa in ogni fase
- Assiste fino all’esecuzione e monitoraggio del piano
Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo
L’Avvocato Monardo è:
- Gestore della Crisi da Sovraindebitamento, iscritto presso il Ministero della Giustizia
- Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa, abilitato ex D.L. 118/2021
- Fiduciario di un Organismo di Composizione della Crisi (OCC)
- Coordinatore di una rete nazionale di avvocati e commercialisti specializzati in diritto bancario, tributario e delle esecuzioni
È in grado di seguire personalmente ogni fase del risanamento, dalla diagnosi iniziale fino all’omologazione e all’effettiva ripartenza.
Perché agire subito
- Più passa il tempo, più aumentano i rischi di fallimento o pignoramenti
- Il risanamento funziona solo se attivato prima del collasso finanziario
- Le banche e il Fisco valutano positivamente i piani presentati in tempo e con rigore
- Agire subito protegge la tua impresa, la tua immagine e la tua responsabilità personale
Conclusione
Il risanamento del debito aziendale è la strada legale e concreta per uscire dalla crisi, proteggere l’attività e costruire un futuro solido.
Affidarsi all’Avvocato Giuseppe Monardo significa avere una guida competente, abilitata e riconosciuta a livello nazionale, capace di strutturare e portare a termine una strategia efficace e sostenibile.
Qui di seguito potrai trovare tutti i contatti del nostro Studio Legale specializzato in cancellazione debiti delle imprese: