Vuoi saperne di più sul piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (PRO).
Qui di seguito troverai la nostra guida di Studio Monardo, gli avvocati esperti in crisi d’impresa e piani di Ristrutturazione Soggetto a Omologazione.
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Buona lettura.
1. Cos’è il PRO e contesto di applicazione
Il Piano di Ristrutturazione Soggetto a Omologazione, comunemente abbreviato in “PRO”, è un nuovo strumento giuridico introdotto nell’ordinamento italiano per la regolazione della crisi d’impresa. Esso consente al debitore imprenditore commerciale in stato di crisi o insolvenza (ai sensi dell’art. 2, co.1, lett. a, Codice della Crisi) di proporre un piano di risanamento dei debiti che, una volta approvato dai creditori e omologato dal tribunale, diviene vincolante per tutti. Il PRO si inserisce nel quadro delle procedure di regolazione della crisi d’impresa introdotte dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), di cui al D.Lgs. 14/2019, come innovato dal D.Lgs. 83/2022 (attuativo della Direttiva UE 2019/1023) e dai successivi correttivi. Si colloca a metà strada tra gli accordi di ristrutturazione dei debiti e il concordato preventivo, costituendo uno strumento ibrido che unisce elementi negoziali (l’accordo con i creditori) a elementi concorsuali (l’intervento dell’autorità giudiziaria).
Il contesto applicativo del PRO è quello delle procedure di “allerta precoce” e di ristrutturazione preventiva promosse dall’UE. In particolare, l’istituto del PRO nasce per dare attuazione nell’ordinamento italiano alla Direttiva (UE) 2019/1023 (cosiddetta Insolvency Directive) in materia di quadri di ristrutturazione preventiva. La Direttiva richiede agli Stati membri di prevedere una procedura che consenta di derogare alle ordinarie regole di distribuzione dell’attivo nelle procedure concorsuali, purché vi sia il consenso di tutti i soggetti interessati in ciascuna classe di voto. Il PRO risponde esattamente a tale scopo: esso consente di sovvertire i principi tradizionali della parità di trattamento dei creditori e della graduazione delle cause di prelazione, in presenza di un consenso qualificato, come illustrato in seguito.
In sintesi, il PRO è uno strumento destinato ad avvocati e imprenditori che cercano soluzioni di ristrutturazione flessibili ma giudizialmente controllate, potendo operare sia in situazioni di crisi reversibile (quando l’insolvenza è soltanto probabile nei successivi 12 mesi) sia in situazioni di insolvenza conclamata (incapacità attuale di far fronte regolarmente alle obbligazioni). Esso si applica agli imprenditori commerciali medio-grandi, in quanto l’art. 64-bis CCII ne consente l’accesso al debitore che “non dimostra il possesso congiunto dei requisiti di cui all’art. 2, comma 1, lett. d)”, requisiti che definiscono l’impresa minore non assoggettabile alle ordinarie procedure concorsuali. Ciò significa che il PRO è pensato principalmente per aziende “fallibili” (non di piccolissime dimensioni). Sono invece esclusi gli imprenditori agricoli e, in generale, i soggetti non assoggettati a fallimento (salvo diverse previsioni normative). Il PRO può essere utilizzato sia per piani in continuità aziendale (cioè finalizzati al risanamento e alla prosecuzione dell’attività d’impresa) sia per piani di natura liquidatoria, come confermato anche dalla recente giurisprudenza. In altri termini, il piano omologato può prevedere tanto la ristrutturazione dei debiti mantenendo l’impresa in funzione, quanto la liquidazione del patrimonio con cessazione dell’attività, a seconda delle strategie ritenute più opportune.
Va evidenziato infine che il PRO, introdotto formalmente nel nostro ordinamento con il D.Lgs. 83/2022 (in vigore dal 15 luglio 2022), rappresenta una novità di rilievo nel panorama degli strumenti di gestione della crisi. Esso si affianca agli altri istituti già previsti (piano attestato di risanamento, convenzione di moratoria, accordi di ristrutturazione, concordato preventivo), arricchendo le opzioni a disposizione delle imprese in difficoltà. Nelle sezioni seguenti verranno analizzati in dettaglio la disciplina normativa del PRO, la procedura prevista, i ruoli dei soggetti coinvolti, gli effetti della omologazione (anche forzosa) sui creditori, i rapporti con particolari categorie di creditori (banche, Erario, enti previdenziali, fornitori) nonché i vantaggi e differenze del PRO rispetto agli altri strumenti di soluzione della crisi d’impresa. Il tutto con l’ausilio dei primi orientamenti giurisprudenziali emersi e dei contributi più rilevanti della dottrina sino ad aprile 2025.
2. Disciplina normativa di riferimento
2.1 Normativa dell’Unione Europea – Il PRO trova la sua matrice nella normativa europea, in particolare nella Direttiva (UE) 2019/1023 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, relativa ai quadri di ristrutturazione preventiva, all’esdebitazione e alle interdizioni. Tale Direttiva – emanata nell’ambito dell’Action Plan dell’UE per affrontare più efficacemente le crisi d’impresa – mira a far sì che tutti gli Stati membri dispongano di procedure che consentano la ristrutturazione preventiva delle imprese viabili in difficoltà finanziaria, prima che degenerino in insolvenza conclamata. In particolare, l’art. 11 della Direttiva richiede la possibilità di omologare piani di ristrutturazione anche in deroga alle regole di priority tradizionali, purché approvati dalle necessarie maggioranze di ciascuna classe di creditori interessati. Inoltre, la Direttiva sollecita l’introduzione di strumenti per il cram-down transclassi (omologazione nonostante il dissenso di alcune classi, a certe condizioni) e di misure protettive temporanee per sostenere le trattative, elementi che hanno influenzato la riforma italiana.
L’Italia, recependo tali principi, ha progressivamente adeguato la propria legislazione fallimentare. Già con la legge delega n. 155/2017 e il successivo D.Lgs. 14/2019 (Codice della crisi) si era delineata l’introduzione di procedure ispirate alla logica della composizione negoziale della crisi e della preventiva ristrutturazione. Tuttavia, il recepimento specifico della Direttiva 2019/1023 è avvenuto con il D.Lgs. 17 giugno 2022 n. 83, che ha modificato il Codice della crisi prima della sua entrata in vigore, introducendo fra l’altro la disciplina del PRO. A livello eurounitario va menzionato anche il Regolamento (UE) 848/2015 in materia di insolvenza transfrontaliera, per quanto attiene al possibile riconoscimento in altri Stati membri di un piano omologato in Italia (il PRO rientra nei “procedimenti di insolvenza” riconosciuti dal Regolamento, essendo assimilabile a una procedura concorsuale con intervento giudiziario).
2.2 Normativa nazionale – Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII) – La disciplina del PRO è contenuta nel Capo I-bis del Titolo IV del CCII (Parte Prima), in particolare negli articoli 64-bis, 64-ter e 64-quater. L’art. 64-bis CCII definisce i presupposti e il contenuto essenziale del piano di ristrutturazione soggetto a omologazione; l’art. 64-ter disciplina le ipotesi di mancata approvazione da parte di tutte le classi e la conversione del PRO in concordato preventivo (nonché, specularmente, la conversione inversa); l’art. 64-quater detta ulteriori disposizioni procedurali attuative, in particolare sui termini e sulle interferenze con altre procedure. Tali norme sono state inserite nel Codice della crisi dal D.Lgs. 83/2022, in attuazione della legge delega n. 53/2021 che recepiva la Direttiva europea. La Relazione illustrativa allo schema di decreto legislativo (approvato dal Consiglio dei Ministri il 17 marzo 2022) evidenziava che con il PRO si intendeva predisporre un quadro di ristrutturazione capace di prescindere dalle regole distributive ordinarie (absolute priority rule) quando vi sia il consenso unanime delle classi di creditori.
Successivamente, la disciplina del PRO è stata integrata e modificata da ulteriori interventi normativi. In particolare, il D.Lgs. 13 ottobre 2022 n. 149 (c.d. decreto correttivo) e soprattutto il D.Lgs. 13 settembre 2024 n. 136 (Terzo correttivo, in vigore dal 28 settembre 2024) hanno inciso su taluni aspetti del PRO, ampliandone la portata. Il Terzo correttivo del 2024 ha esteso la possibilità di transazione fiscale e contributiva all’interno del piano di ristrutturazione omologato, tramite l’aggiunta del comma 1-bis all’art. 64-bis CCII (tema che sarà approfondito più avanti). Inoltre, sono stati aggiornati alcuni richiami normativi contenuti nell’articolato del PRO per coordinarli con le modifiche contestuali al concordato preventivo. Da segnalare che il CCII, nella versione aggiornata, utilizza l’espressione generale “strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza” per ricomprendere tutte le procedure concorsuali e gli accordi di ristrutturazione (escludendo però la liquidazione giudiziale e quella controllata), e in tale nozione rientra a pieno titolo anche il PRO.
2.3 Ulteriori riferimenti normativi e prassi – Oltre al CCII, rilevano alcune norme specifiche che interagiscono con il PRO. Ad esempio:
- Legislazione fiscale: l’art. 26 del DPR 633/1972 (decreto IVA) e successive modifiche disciplinano la possibilità per i creditori di emettere note di variazione IVA per il mancato pagamento dei crediti in caso di procedure concorsuali. Nonostante il PRO non sia esplicitamente nominato nella versione precedente al 2021, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che esso rientra nelle procedure che consentono la riduzione dell’imponibile IVA all’esito della omologazione. La Risposta AE n. 79/2025 ha infatti precisato che il creditore di un debitore che ha presentato domanda di PRO nel 2024 può emettere la nota di variazione IVA in diminuzione al momento del decreto di omologa nel 2025. Ciò allinea la disciplina del PRO a quella di concordato preventivo e accordi di ristrutturazione per quanto riguarda il trattamento dell’IVA non incassata.
- Norme civilistiche e penali: pur non essendo una liquidazione fallimentare, il PRO produce alcuni effetti protettivi analoghi. Ad esempio, i pagamenti e le operazioni compiuti in esecuzione del piano omologato godono della esenzione dall’azione revocatoria fallimentare e non integrano reati di bancarotta preferenziale (analogamente a quanto avviene per il concordato preventivo). Inoltre, dalla presentazione della domanda di PRO derivano effetti di prededuzione per i nuovi crediti sorti per la gestione corrente autorizzata (cfr. art. 46 CCII, richiamato dall’art. 64-bis, co.2). Tali aspetti, sebbene non dettagliati in questa sede, completano il quadro normativo di riferimento.
Di seguito, verranno esaminati i vari aspetti operativi e procedurali del PRO, facendo costante riferimento alle suddette fonti normative.
3. Presupposti e condizioni di accesso al PRO
Per poter accedere alla procedura di piano di ristrutturazione soggetto a omologazione, è necessario che sussistano specifici presupposti soggettivi e oggettivi.
3.1 Presupposti soggettivi – il debitore ammesso. Possono utilizzare il PRO gli imprenditori commerciali (incluse le società) assoggettabili a fallimento/liquidazione giudiziale. In base all’art. 64-bis, co.1 CCII, il debitore che propone il PRO deve “non dimostrare il possesso congiunto dei requisiti di cui all’art. 2, co.1, lett. d)”. Tale richiamo si riferisce ai parametri dimensionali dell’impresa minore: l’art. 2, co.1, lett. d) CCII individua infatti come “minori” (e dunque escluse dalla liquidazione giudiziale) le imprese che negli ultimi esercizi non hanno superato determinati limiti (attivo di €300.000, ricavi di €200.000, debiti ≤ €500.000). Pertanto, il debitore “non minore” (cioè che supera anche uno solo di tali limiti) può accedere al PRO, mentre l’imprenditore di piccolissime dimensioni teoricamente ne sarebbe escluso. In pratica, però, anche le imprese sotto soglia dispongono di altri strumenti semplificati (come la composizione negoziata e, in caso di esito negativo, il concordato semplificato) che meglio si adattano alla loro scala. Il PRO, per complessità e oneri, è pensato soprattutto per imprese medio-grandi. Sono altresì esclusi dal PRO i soggetti non esercenti attività d’impresa commerciale (come i privati consumatori, i professionisti o le aziende agricole, i quali però dispongono di procedure ad hoc quali il sovraindebitamento).
3.2 Presupposti oggettivi – stato di crisi o di insolvenza. Il debitore deve versare in uno stato di crisi o di insolvenza ai sensi di legge. Lo stato di crisi viene definito dal Codice come “lo stato che rende probabile l’insolvenza e si manifesta con l’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni nei successivi 12 mesi”. Si tratta quindi di una situazione di difficoltà futura prevedibile (early warning) prima che vi siano inadempimenti gravi. Lo stato di insolvenza, invece, è la conclamata incapacità del debitore di soddisfare le proprie obbligazioni in modo regolare, desumibile da inadempimenti ed altri fatti esteriori. Diversamente dal concordato preventivo ante riforma, il PRO è accessibile anche in caso di insolvenza già conclamata, non solo in caso di crisi incipiente. Ciò segna una differenza rispetto all’orientamento tradizionale, aprendo la porta a utilizzare il PRO persino quando l’insolvenza sarebbe tale da giustificare un fallimento (fermo restando che occorre muoversi prima dell’eventuale sentenza dichiarativa di liquidazione giudiziale). È comunque essenziale che il debitore non abbia già in corso una procedura concorsuale incompatibile: la domanda di PRO blocca e impedisce l’apertura di un fallimento (liquidazione giudiziale) su istanza di creditori, ma se quest’ultimo fosse già stato dichiarato, non vi sarebbe spazio per un PRO successivo.
3.3 Ulteriori condizioni di ammissibilità. Oltre ai presupposti soggettivi e oggettivi sopra indicati, la legge richiede alcune condizioni specifiche per l’ammissibilità del piano di ristrutturazione omologato. Tali condizioni emergono dalla formulazione dell’art. 64-bis CCII e possono essere sintetizzate come segue:
- Classi di creditori omogenee: il debitore deve suddividere obbligatoriamente i creditori in classi, secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei. La formazione delle classi è un requisito essenziale e di legittimità del PRO (diversamente dal concordato, dove è facoltativa). Il tribunale verificherà d’ufficio che i criteri di classamento siano corretti ed omogenei. Ad esempio, si potranno prevedere classi separate per creditori finanziari chirografari, per fornitori chirografari, per creditori privilegiati degradati al chirografo, per crediti postergati dei soci, ecc., in modo da raggruppare posizioni similari.
- Unanimità delle classi: il piano per essere omologato deve ottenere l’approvazione (a maggioranza) di tutte le classi costituite. L’espressione “unanimità delle classi” significa che ogni classe di voto deve pronunciarsi a favore, secondo le maggioranze di legge (si veda infra il dettaglio sul meccanismo di voto). In altri termini, non è ammesso che vi siano classi dissenzienti: il dissenso anche di una sola classe preclude l’omologazione del PRO, salvo la conversione in altra procedura (concordato) come esaminato in seguito. Questo stringente requisito è la chiave che giustifica le ampie deroghe concesse: solo con il consenso trasversale di tutte le categorie di creditori il legislatore tollera la violazione delle regole ordinarie di prelazione.
- Deroga alle regole di responsabilità patrimoniale: il PRO può validamente prevedere il soddisfacimento dei creditori anche in deroga agli artt. 2740 e 2741 c.c. e alle norme sulle cause di prelazione. Ciò significa che il piano può distribuire il valore generato senza rispettare rigorosamente la par condicio creditorum né l’ordine dei privilegi. Ad esempio, è possibile che crediti chirografari vengano soddisfatti in misura maggiore di crediti privilegiati degradati, oppure che alcuni creditori ricevano strumenti partecipativi in luogo di denaro, e così via, in maniera non lineare rispetto alle posizioni di priorità legale. Questa libertà distributiva – del tutto eccezionale rispetto al principio generale per cui il debitore risponde con tutti i beni e i creditori hanno pari diritto sul patrimonio – è consentita soltanto se ricorrono le altre condizioni (classi e consensi) appena descritte.
- Tutela dei crediti dei lavoratori: unica eccezione inderogabile è il trattamento dei crediti assistiti dal privilegio ex art. 2751-bis n.1 c.c., ossia i crediti per retribuzioni dei lavoratori subordinati. Tali crediti devono essere soddisfatti integralmente in denaro entro 30 giorni dall’omologazione. In pratica, i lavoratori dipendenti (e assimilati) vanno pagati integralmente e subito (un “pagamento flash” entro un mese dall’omologa) affinché il piano sia omologabile. Questa disposizione rispecchia la tutela di rango costituzionale dei diritti dei lavoratori e costituisce un limite alla flessibilità del PRO: non è ammesso dilazionare o decurtare i crediti da lavoro dipendente.
- Attestazione di un professionista indipendente: come per il concordato e gli accordi, anche il PRO richiede che un attestatore indipendente rediga una relazione giurata che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano. L’attestatore deve essere un professionista (di regola un commercialista o esperto in crisi d’impresa) in possesso dei requisiti di indipendenza di cui all’art. 2, co.1, lett. o) CCII e all’art. 13 CCII, e viene scelto dal debitore. La sua relazione deve accompagnare il piano sin dal deposito della domanda. Questa attestazione rappresenta una garanzia di attendibilità delle informazioni fornite e di ragionevole eseguibilità del piano, a tutela sia dei creditori sia dell’organo giudiziario.
Oltre a quanto sopra, l’art. 64-bis, co.9 CCII prescrive che al PRO si applichino, in quanto compatibili, molte delle norme previste per il concordato preventivo (in continuità e liquidatorio). Ciò comporta ulteriori oneri documentali: ad esempio, il piano deve contenere un’analisi delle cause della crisi, la descrizione dell’attivo e del passivo, il valore di liquidazione del patrimonio in caso di fallimento, le modalità dettagliate di ristrutturazione e le eventuali garanzie offerte. Il debitore deve anche indicare perché la proposta sarebbe più conveniente per i creditori rispetto all’alternativa liquidatoria. Questa comparazione viene poi effettivamente valutata dai creditori stessi in sede di voto e, se del caso, dal tribunale in sede di omologa (c.d. test di convenienza).
Riassumendo, il PRO è ammissibile se: (i) il debitore è un imprenditore commerciale assoggettabile a fallimento; (ii) si trova in stato di crisi o insolvenza attuale; (iii) presenta un piano con classi di creditori omogenee; (iv) il piano prevede anche eventuali deroghe al trattamento paritario dei creditori, ma i creditori lavoratori sono tutelati integralmente; (v) tutte le classi approveranno il piano secondo le maggioranze richieste; (vi) un attestatore ne conferma dati e fattibilità. Queste condizioni fanno da “filtri” all’accesso e al successo del PRO. Se rispettate, il piano potrà poi essere omologato dal tribunale e produrre gli effetti desiderati di risanamento o liquidazione concordata.
4. Procedura: fasi e svolgimento del PRO
Vediamo ora passo dopo passo come si articola la procedura del piano di ristrutturazione soggetto a omologazione, dalla presentazione della domanda sino all’omologazione finale. La procedura è in parte modellata su quella del concordato preventivo, con alcune differenze importanti dovute alla diversa natura del piano.
4.1 Presentazione della domanda e documentazione iniziale. La procedura prende avvio con il deposito, da parte del debitore, di una domanda di accesso al PRO presso il tribunale competente (tribunale del luogo dove l’impresa ha la sede principale). La domanda si propone con ricorso scritto ex art. 40 CCII, analogo a quello del concordato preventivo. Non è prevista la possibilità di un “concordato in bianco” per il PRO: il debitore deve fin da subito allegare al ricorso la proposta, il piano dettagliato e tutta la documentazione richiesta dall’art. 39 CCII. Ciò include, tra l’altro, i bilanci degli ultimi esercizi, l’elenco dei creditori e debiti, l’elenco dei beni, la relazione sulla situazione economico-patrimoniale dell’impresa e la relazione del professionista attestatore. In pratica, la domanda di PRO deve essere completa di piano e attestazione sin dall’inizio. Non è consentito presentare una domanda “riservata” (prenotativa) con piano da depositare in seguito, come invece si può fare nel concordato preventivo con riserva; l’ottica qui è favorire rapidità e certezza. Tuttavia, anche il PRO può essere preceduto dalla composizione negoziata della crisi (l’esperimento stragiudiziale di trattativa assistita da un esperto). In tal caso il debitore potrebbe aver ottenuto misure protettive temporanee nella fase negoziale e giungere alla domanda di PRO con un accordo già delineato con alcuni creditori. La normativa prevede espressamente che gli strumenti di regolazione della crisi (incluso il PRO) possano essere preceduti dalla composizione negoziata su richiesta del debitore. Se ciò accade, la domanda di PRO conterrà le risultanze della negoziazione svolta e, talora, la nomina del commissario potrà coincidere con quella dell’esperto che ha seguito la fase stragiudiziale (se vi sono i requisiti di indipendenza).
Dal momento del deposito del ricorso PRO, si applicano gli effetti protettivi ex art. 46, commi 4 e 5 CCII, richiamati dall’art. 64-bis, co.2. In sostanza: (i) gli atti legalmente compiuti dal debitore dopo il deposito della domanda non possono essere dichiarati inefficaci o revocati in un eventuale futuro fallimento (godono di protezione); (ii) i creditori preesistenti non possono acquisire cause di prelazione se non concordate; (iii) i crediti sorti durante le trattative e funzionali al piano, se il PRO viene aperto, sono considerati prededucibili (cioè verranno pagati con precedenza in caso di successiva procedura concorsuale). Si tratta di norme tecniche che incoraggiano i terzi a continuare a operare con l’impresa durante la fase iniziale, sapendo di essere tutelati. Inoltre, dalla data di presentazione della domanda di PRO fino all’omologazione, il debitore è soggetto (ex lege) ad una serie di obblighi di gestione conservativa e di divieti, come dettagliato più avanti.
4.2 Decreto di apertura della procedura e misure protettive. Dopo il deposito del ricorso completo, il tribunale procede in tempi rapidi ad una prima valutazione. Non è prevista un’istruttoria pre-fallimentare lunga: tipicamente il tribunale esamina la ritualità formale della proposta e la completezza della documentazione, senza entrare nel merito della convenienza (che spetta ai creditori in sede di voto). Se tutto è in ordine, il tribunale emette un decreto di apertura del procedimento (art. 47 CCII). Con tale decreto il tribunale:
- Nomina un giudice delegato (ossia un giudice incaricato di seguire la procedura) e nomina o conferma il commissario giudiziale. La nomina del commissario è obbligatoria. Se il PRO è la prima procedura aperta, il tribunale nomina un commissario ad hoc (scelto nell’elenco dei professionisti ex art. 356 CCII); se invece la domanda di PRO giunge in conversione da un precedente concordato preventivo già aperto, il tribunale può confermare il commissario già nominato in quella sede. Questa flessibilità evita duplicazioni di incarichi quando vi è continuità tra procedure. Il commissario giudiziale è figura analoga a quella del concordato: un professionista indipendente che vigila sull’operato del debitore nell’interesse dei creditori e riferisce al giudice delegato.
- Concede le misure protettive richieste. Ai sensi dell’art. 47, co.2, lett. c) e d) CCII, richiamato dall’art. 64-bis, il tribunale contestualmente può: sospendere o inibire le azioni esecutive individuali dei creditori sul patrimonio del debitore, e disporre il divieto per i creditori di acquisire privilegi o ipoteche sui beni del debitore. In pratica, con il decreto di apertura viene concesso un “ombrello protettivo” simile all’automatic stay del Chapter 11 statunitense: i creditori non potranno iniziare o proseguire pignoramenti, né sequestri, né far valere cause di prelazione non concordate. Queste misure protettive tipicamente durano sino all’omologa (o fino ad un termine fissato dal giudice) e possono essere revocate o modulate in qualsiasi momento. L’obiettivo è preservare il patrimonio durante la trattativa di ristrutturazione e impedire che iniziative individuali possano pregiudicare il piano collettivo. Va ricordato che a differenza del concordato, nel PRO le misure protettive non scattano automaticamente con il deposito della domanda, ma necessitano della pronuncia del tribunale (che comunque di regola emette il decreto in tempi brevi).
- Eventuali altre disposizioni: nel decreto di apertura, il tribunale fissa altresì le modalità procedurali per la fase successiva, come i termini per le votazioni dei creditori e l’udienza di omologazione, e impartisce eventuali prescrizioni al debitore e al commissario. Ad esempio, potrà ordinare al debitore di depositare somme per le spese, o di fornire determinate informazioni integrative ai creditori, ecc. Inoltre, in base all’art. 47, co.2, lett. d), può disporre la pubblicazione del decreto nel registro delle imprese e la comunicazione ai creditori (atto che segna l’apertura formale della procedura concorsuale).
Una volta emesso questo decreto, la procedura PRO è ufficialmente aperta. Il nominativo dell’impresa verrà iscritto nel registro delle imprese come soggetta a procedura di concordato preventivo (in mancanza di una categoria ad hoc, spesso il PRO viene assimilato ai fini pubblicitari al concordato). Da tale momento, i creditori dovranno astenersi da azioni individuali, e ogni eventuale istanza di fallimento pendente verrà sospesa.
4.3 Gestione dell’impresa durante il procedimento. Uno degli aspetti centrali (e peculiari) del PRO è che, dalla presentazione della domanda sino all’omologazione, il debitore mantiene la gestione ordinaria e straordinaria dell’impresa, ma sotto la supervisione del commissario giudiziale. Il regime è simile a quello del debtor-in-possession, con alcune cautele. In particolare:
- Il debitore deve gestire nell’interesse prevalente dei creditori. Questa clausola, mutuata dal concordato in continuità, impone all’imprenditore di orientare le decisioni aziendali tenendo conto prioritariamente della tutela della massa creditoria, limitando comportamenti distrattivi o avventati.
- Per gli atti di ordinaria amministrazione, il debitore può operare liberamente (continuando la normale attività d’impresa). Per gli atti di straordinaria amministrazione e per i pagamenti non coerenti col piano, invece, vige un obbligo di informativa preventiva al commissario. L’imprenditore deve avvisare per iscritto il commissario prima di compiere atti eccedenti l’ordinaria amministrazione o pagamenti che non siano in linea con quanto previsto dal piano di ristrutturazione. Ad esempio, vendite di cespiti importanti, assunzione di debiti significativi, concessione di garanzie, ecc., richiedono questa comunicazione anticipata.
- Il commissario giudiziale esercita un controllo attivo: se ritiene che un atto straordinario preavvisato possa arrecare pregiudizio ai creditori o sia incoerente rispetto al piano, egli ne dà immediata segnalazione scritta al debitore e all’organo di controllo (collegio sindacale). Questa “segnalazione” funge da monito: se nonostante ciò il debitore compie ugualmente l’atto sconsigliato, il commissario ne informa senza indugio il tribunale. Il tribunale, a sua volta, potrà valutare i provvedimenti del caso ai sensi dell’art. 106 CCII, ad esempio revocando le misure protettive o dichiarando improcedibile il PRO e aprendo la liquidazione giudiziale (sanzione estrema per abuso). In tal modo, pur non essendoci un’autorizzazione preventiva obbligatoria del giudice per gli atti straordinari (come invece avviene nel concordato in alcune situazioni), si crea un sistema di vigilanza ex post: il debitore è libero, ma sotto minaccia di perdere i benefici se agisce contro gli interessi dei creditori.
Durante la procedura, il commissario deve redigere relazioni periodiche per il tribunale e svolgere vari compiti: verificare l’elenco dei creditori e predisporre l’eventuale progetto di stato passivo (se necessario ai fini del voto), convocare i creditori alle operazioni di voto, raccogliere e scrutinare le espressioni di voto di ciascuno (o presiedere l’adunanza se prevista), e infine redigere la relazione conclusiva sulle votazioni e sulla fattibilità del piano. Questa relazione finale del commissario (ex art. 110 CCII) è fondamentale perché certifica l’esito della votazione per ciascuna classe e viene presentata al tribunale in vista dell’udienza di omologazione.
Per quanto riguarda la continuazione aziendale, salvo quanto detto per gli atti straordinari, il debitore può proseguire normalmente l’attività: i contratti in corso proseguono e sono vincolanti. I contratti pendenti non possono essere risolti anticipatamente dai contraenti per il solo fatto dell’apertura del PRO (divieto di ipso facto clauses), in armonia con i principi del diritto della crisi moderno. In particolare, fornitori essenziali e controparti non possono sospendere le forniture o recedere unilateralmente invocando la sopravvenuta procedura, a meno di inadempimenti correnti. Il CCII prevede norme di salvaguardia su questo (art. 94 CCII per il concordato in continuità, richiamato per il PRO), assicurando la continuità operativa. Se il piano lo prevede, il debitore può anche chiedere al tribunale di autorizzare la sospensione o lo scioglimento di specifici contratti in essere, qualora risultino onerosi e pregiudizievoli (come locazioni, forniture non più utili, etc.), in analogia a quanto consente l’art. 97 CCII per il concordato. Queste scelte devono essere dettagliate nel piano e comunicate ai contraenti interessati, con eventuale indennizzo del danno in prededuzione.
Un capitolo delicato è quello dei finanziamenti durante la procedura. Può accadere che l’impresa in crisi necessiti di nuova finanza per proseguire l’attività fino all’omologazione (c.d. finanza interinale) o per attuare il piano una volta omologato (c.d. finanza a esecuzione del piano). Il CCII consente di ottenere finanziamenti prededucibili in procedura concordataria, previa autorizzazione del tribunale (artt. 99 e 101 CCII). Il PRO, richiamando tali norme per compatibilità, permette quindi al debitore di accedere a nuovi finanziamenti autorizzati, che godranno di privilegio generale sui beni in caso di successiva insolvenza. Ad esempio, un finanziamento ponte bancario per pagare fornitori strategici durante il PRO potrà essere autorizzato dal giudice delegato, sentito il commissario, e il relativo credito sarà in prededuzione. Anche i finanziamenti eventualmente effettuati dai soci o da società infragruppo nell’ambito del piano possono essere considerati postergati o prededucibili a certe condizioni (il CCII disciplina questi aspetti agli artt. 100-102, applicabili al PRO).
4.4 Adunanza o votazione dei creditori e maggioranze richieste. Giunti al cuore della procedura, occorre raccogliere il consenso dei creditori sul piano proposto. Nel PRO, data la natura negoziale, questa fase è cruciale e si conclude con il voto delle classi. Le modalità pratiche di votazione possono ricalcare quelle del concordato preventivo: il tribunale fissa un termine o un’udienza per le operazioni di voto. In genere, si procede tramite adunanza dei creditori (in presenza o da remoto) presieduta dal commissario giudiziale, oppure con espressione di voto per iscritto entro un certo termine (specie se il numero di creditori è elevato). L’importante è che a ogni creditore sia data informazione completa del contenuto del piano e possibilità di esprimere il proprio voto (favorevole o contrario). Il CCII prevede l’invio ai creditori, prima del voto, della proposta e del piano (art. 109 CCII) nonché della relazione del commissario. Nel PRO ciò è ovviamente osservato.
La maggioranza richiesta perché una classe approvi il piano è disciplinata dall’art. 107 CCII (richiamato per il PRO) e specificata dall’art. 64-bis, co.7 CCII. In ciascuna classe:
- La proposta si considera approvata se ottiene il voto favorevole di creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto in quella classe. La maggioranza si calcola sul valore dei crediti. Dunque, se ad esempio in una classe vi sono €1.000.000 di crediti ammessi al voto, occorre almeno €500.001 di crediti favorevoli.
- Qualora non si raggiunga la maggioranza assoluta sui crediti ammessi, è prevista una seconda soglia alternativa: l’approvazione scatta se hanno votato favorevolmente i 2/3 (due terzi) dei crediti dei creditori effettivamente votanti, a condizione che abbia partecipato al voto almeno il 50% dei crediti della classe. In pratica, questa norma consente l’approvazione anche in caso di scarsa partecipazione, evitando che l’astensione nuoccia eccessivamente: è necessario però un quorum minimo di metà dei crediti votanti, e un super-quorum di due terzi tra chi ha votato. Ad esempio, se in una classe da €1.000.000 di crediti solo €600.000 partecipano al voto (60%), si ha il quorum, e se di questi €600.000 almeno €400.000 (i 2/3) esprimono voto favorevole, la classe approva, pur non avendo il 50% dell’intero (in questo esempio i voti favorevoli sarebbero il 40% del totale crediti di classe). Questo meccanismo, mutuato dal diritto societario, impedisce che pochi creditori inattivi possano far fallire il consenso, e di fatto consente l’approvazione anche con una percentuale inferiore alla metà del totale crediti, purché vi sia coesione tra i votanti attivi.
Occorre inoltre tenere conto della posizione dei creditori privilegiati o con garanzia reale (ipoteca, pegno). Nel PRO, come nel concordato, tali creditori possono trovarsi in parte “coperti” dal valore delle garanzie e in parte scoperti. L’art. 64-bis, co.7 stabilisce che i creditori muniti di prelazione non votano se sono soddisfatti per intero in denaro entro certi termini brevi: entro 180 giorni dall’omologazione (6 mesi), termine ridotto a 30 giorni per i crediti privilegiati ex 2751-bis n.1 c.c. (cioè i crediti di lavoro, già menzionati). La logica è che un creditore privilegiato pagato integralmente e rapidamente non ha interesse a votare sul piano (gli viene riconosciuto tutto il dovuto in breve tempo, quindi è neutralizzato). Diversamente, se il piano prevede per un creditore privilegiato un pagamento parziale o dilazionato oltre 180 giorni, allora quel creditore acquista diritto di voto: voterà come chirografario per la parte non soddisfatta integralmente. In pratica, il suo credito viene “degradato” per la quota incapiente e inserito in una classe apposita di chirografari (o unito agli altri chirografari, se omogeneo). Questo meccanismo consente di includere nel voto anche i creditori garantiti che subiscono falcidie o dilazioni significative. Ad esempio, se una banca ipotecaria da €1.000.000 ha una garanzia che nel piano viene valutata €700.000, e il piano propone di pagarle €700.000 entro 180 giorni e nulla sul resto, la banca non vota per la parte €700.000 (perché è pagata integralmente su quella in tempi brevi) ma vota come chirografaria per i €300.000 residui non coperti (inserita in una classe di “chirografari da incapienza”). Se invece il piano proponesse di pagarle €700.000 ma in 24 mesi, ciò eccede i 180 gg: la banca allora voterebbe comunque, probabilmente per l’intero credito essendo pagamento non nei termini. – Questi dettagli tecnici garantiscono equilibrio: un creditore privilegiato o ipotecario non può essere privato del voto se subisce un pregiudizio (mancato pieno pagamento nei termini di legge). Tuttavia, il debitore può scegliere di pagare subito e integralmente alcuni creditori privilegiati per escluderli dal voto e ottenere così un ceto votante più favorevole. Una strategia frequente ad esempio è pagare integralmente i creditori con privilegio generale (come l’Erario e gli enti previdenziali) entro 180 giorni, in modo da evitare che costituiscano classi dissenzienti.
Terminata la raccolta delle espressioni di voto, il commissario giudiziale redige il verbale con i risultati per ciascuna classe. Per l’esito positivo complessivo, tutte le classi devono aver approvato a maggioranza il piano. Se ciò accade, si passa alla fase di omologazione giudiziale con un piano approvato. Se invece una o più classi non approvano, la situazione è critica: il PRO, in linea di principio, non è omologabile. In tal caso, come vedremo, il debitore ha la facoltà di innescare una conversione della procedura in concordato preventivo, per evitare il fallimento e tentare una diversa omologazione (c.d. switch procedurale). Approfondiremo questo scenario nel §8.
4.5 Omologazione del piano da parte del tribunale. L’ultima fase è l’omologazione, ovvero l’approvazione giudiziaria del piano di ristrutturazione. A differenza degli accordi di ristrutturazione puramente privati, il PRO richiede sempre un vaglio e un decreto/sentenza di omologazione da parte del tribunale. Si fissa dunque un’udienza davanti al tribunale (collegio) in cui: il commissario deposita la sua relazione finale sull’esito del voto e sull’attuabilità del piano; gli eventuali creditori oppositori presentano obiezioni all’omologazione; infine il tribunale decide se omologare o meno il piano.
Nel caso fisiologico – quando tutte le classi hanno approvato – il tribunale procede all’omologa con una sentenza (o decreto motivato) che rende il piano efficace erga omnes. Il controllo del tribunale è tendenzialmente limitato alla legalità formale: verifica che la procedura sia regolare, che le maggioranze siano raggiunte, che non vi siano violazioni manifeste di norme inderogabili (ad esempio sul pagamento integrale dei lavoratori). Non è invece richiesto un giudizio di merito sulla convenienza del piano per i creditori – in linea di principio sono loro stessi che hanno valutato e accettato. La legge tuttavia prevede un importante correttivo a tutela delle minoranze: se un creditore dissenziente propone opposizione eccependo il difetto di convenienza (ossia sostenendo che avrebbe un trattamento inferiore rispetto a un fallimento), il tribunale deve valutare questa contestazione. In particolare, l’art. 64-bis, co.8 CCII dispone che, in caso di opposizione per difetto di convenienza, l’omologazione è possibile solo se dalla proposta risulta che il credito dell’opponente verrà soddisfatto in misura non inferiore a quella ottenibile nella liquidazione giudiziale. Si tratta del cosiddetto best interest test: nessun creditore può, contro la sua volontà, essere trattato peggio di come sarebbe trattato nel fallimento di quel debitore. In pratica il tribunale compara quanto il creditore in questione riceverebbe col PRO (in percentuale o valore attuale) e quanto presumibilmente otterrebbe dal patrimonio del debitore in caso di liquidazione fallimentare. Se il piano offre almeno altrettanto, l’opposizione viene respinta e si omologa comunque (si considera il creditore “convenientemente soddisfatto”). Se invece il piano offre di meno, l’opposizione è fondata e l’omologa non può essere concessa, nonostante l’approvazione a maggioranza in tutte le classi. Questo controllo di convenienza garantisce un limite alla discrezionalità nella distribuzione dell’attivo: il debitore e la maggioranza non possono spingersi a imporre ad un singolo creditore un sacrificio maggiore di quello che subirebbe in fallimento. In definitiva, nell’omologare un PRO unanime il tribunale compie due verifiche sostanziali: la correttezza formale-procedurale e, solo se sollevata, la verifica del rispetto del paradigm of liquidation per gli eventuali oppositori dissenzienti.
L’omologazione viene pronunciata con sentenza (data la natura contenziosa in caso di opposizioni) o con decreto motivato, e viene pubblicata e comunicata. Da quel momento il piano omologato diviene obbligatorio per tutte le parti: vincola il debitore e tutti i creditori anteriori, ancorché non abbiano votato o abbiano votato contro. Il tribunale, con la sentenza di omologa, nomina eventualmente il liquidatore giudiziale se il piano prevede la liquidazione di beni o l’esercizio provvisorio (ruolo previsto dall’art. 84, co.8 CCII, richiamato per il PRO quando il piano è liquidatorio). Si tratta di un ausiliario incaricato di sovraintendere alla vendita dei beni e alla distribuzione del ricavato secondo il piano. Se invece il piano è in continuità e l’imprenditore prosegue l’attività, non vi sarà liquidatore, ma spesso rimarrà in funzione il commissario (che in sede di omologa può essere confermato come commissario per l’esecuzione o come monitoring trustee per vigilare sull’attuazione del piano).
Tempistiche: Il Codice impone che l’intero procedimento di omologazione si concluda entro 12 mesi dal deposito della domanda, salvo sospensioni per opposizioni. Questo per garantire celerità. In molti casi, specie per piani liquidatori semplici, l’omologa può arrivare in pochi mesi; per piani complessi con continuità potrebbe richiedere vicino all’anno, specialmente se vi sono opposizioni.
4.6 Esecuzione del piano omologato e chiusura della procedura. Dopo l’omologa, si apre la fase di attuazione del piano. Essa avviene sotto la sorveglianza del commissario o del liquidatore nominato. Il debitore dovrà eseguire gli atti previsti (pagamenti ai creditori secondo le percentuali e le scadenze stabilite, eventuali cessioni di beni, aumento di capitale, emissione di strumenti finanziari da assegnare ai creditori, e così via). La sentenza di omologa del PRO produce effetti simili a quella di un concordato: sospende e sostituisce le azioni dei creditori verso il debitore con quanto stabilito nel piano. In particolare:
- I creditori anteriori (le cui pretese sono oggetto del piano) non possono iniziare o proseguire azioni esecutive individuali per la parte dei loro crediti ristrutturata, né chiedere il fallimento del debitore per quei crediti. Devono attendere ed accettare quanto previsto dal piano omologato.
- Eventuali garanti o coobbligati del debitore (es. fideiussori, soci obbligati in solido) non sono liberati dall’omologazione del PRO, salvo diversa pattuizione. Questo significa che se un creditore riceve un pagamento parziale dal debitore in forza del piano, resta libero – in linea generale – di escutere la parte residua nei confronti di eventuali terzi garanti. Ad esempio, se un fornitore vantava €100 e col piano accetta €60, potrà chiedere i restanti €40 al fideiussore. Tuttavia, il piano potrebbe prevedere accordi liberatori anche per i garanti (p.e. il creditore rinuncia ad escutere i soci fideiussori), ma ciò necessita del consenso espresso dei creditori interessati.
- I creditori post-piano (sorti durante ed eventualmente dopo l’omologa), come quelli che hanno continuato a fornire beni/servizi durante la procedura, sono estranei al piano e conservano integri i loro diritti (molti di questi hanno anche privilegio di prededuzione come visto).
Una volta eseguite integralmente le obbligazioni previste nel piano (pagamento delle percentuali ai creditori, atti dispositivi, ecc.), il debitore ottiene gli effetti esdebitatori tipici: viene liberato dai debiti pregressi eccedenti quanto soddisfatto. In altri termini, se il piano prevede che un creditore chirografario ottenga il 40% del suo credito, quando il debitore paga quel 40%, il restante 60% si considera definitivamente cancellato (salvo appunto rivalersi su eventuali terzi garanti). L’omologazione del PRO ha dunque efficacia analoga a quella di un concordato preventivo ai fini dell’esdebitazione dell’impresa: estingue le obbligazioni anteriori secondo quanto stabilito e rimette il debitore in bonis per la parte residua non pagata. A differenza dell’istituto dell’esdebitazione del fallito (che riguarda le persone fisiche post-fallimento), qui si tratta di una esdebitazione “negoziata” incorporata nell’esecuzione del piano concordatario.
Se invece il piano non viene eseguito regolarmente (ad esempio il debitore non paga le rate concordate), i creditori potranno rivolgersi al tribunale per far dichiarare la risoluzione del concordato ex art. 118 CCII (norma che, in quanto compatibile, si applica anche al PRO). La risoluzione per inadempimento comporta la perdita dei benefici per il debitore e la possibilità di essere nuovamente esposto ad azioni esecutive e fallimento. In pratica, l’omologazione non cancella i debiti ipso iure, ma li tiene in stato di quiescenza condizionata all’adempimento del piano; una volta adempiuto, la liberazione diviene definitiva.
Merita ricordare che, per incentivare la riuscita, il CCII ha escluso per il debitore in concordato (dunque anche in PRO) alcune conseguenze negative: ad esempio, è sospeso il diritto di recesso dei soci fino all’attuazione del piano se esso prevede operazioni straordinarie (fusioni, trasformazioni); inoltre, l’omologa del PRO determina la neutralità fiscale delle eventuali sopravvenienze attive da stralcio dei debiti (non concorrono al reddito). Anche eventuali utili generati dall’attuazione del piano godono di regime agevolato se reinvestiti nell’impresa.
Con l’esecuzione completa del piano, il tribunale, verificato l’adempimento, dichiara chiusa la procedura. A questo punto l’azienda è risanata o liquidata a seconda dei casi, e il PRO ha esaurito i suoi effetti.
5. Ruolo delle parti e degli organi coinvolti nel PRO
La procedura di PRO vede l’interazione di molte figure: alcune proprie delle procedure concorsuali (tribunale, commissario giudiziale, giudice delegato, creditori), altre più tipiche delle soluzioni negoziali (il debitore stesso in possesso, l’esperto della composizione negoziata, l’attestatore). Analizziamo i ruoli e le funzioni dei principali attori:
5.1 Il Tribunale e il Giudice Delegato. L’autorità giudiziaria svolge un ruolo di supervisione e garanzia nel PRO. Inizialmente, è il tribunale in composizione collegiale che valuta la domanda e emette il decreto di apertura, nominando gli organi e impartendo le misure protettive. Successivamente, il giudice delegato (singolo magistrato nominato nel decreto) segue da vicino la procedura: vigila sull’operato del debitore e del commissario, decide su eventuali autorizzazioni (es. finanziamenti urgenti, atti straordinari non segnalati) e su eventuali reclami dei creditori nel corso del procedimento. Il giudice delegato è l’interlocutore per le istanze di parte durante la fase di voto. In sede finale, di nuovo il tribunale collegiale interviene per l’omologazione, decidendo sulle opposizioni e dichiarando l’omologa con provvedimento motivato. Il tribunale, come visto, verifica in tale sede sia la regolarità del procedimento sia il rispetto del best interest test per gli opponenti. Può rifiutare l’omologa se ravvisa violazioni di legge o difetto di convenienza per un oppositore. In caso di mancata approvazione di tutte le classi, il tribunale può assumere due diverse decisioni: (i) se il debitore non chiede la conversione in concordato e se esistono istanze di fallimento pendenti, il tribunale dichiara aperta la liquidazione giudiziale (fallimento), ove ne ricorrano i presupposti; (ii) se invece il debitore avvia la conversione in concordato (vedi §8), il tribunale apre la procedura di concordato preventivo al posto di dichiarare il fallimento, dando seguito alla nuova domanda. In sintesi, il tribunale è il garante ultimo: tutela la corretta formazione delle classi (controllo di legittimità iniziale), tutela le minoranze dissenzienti (controllo di convenienza in omologa) e assicura che il PRO non si traduca in abuso (poteri di revoca misure protettive e impulso alla conversione/fallimento se necessario). Da notare che il CCII prevede forme di reclamo alle Corti superiori avverso i provvedimenti del tribunale: ad esempio, un creditore potrebbe reclamare in Corte d’Appello contro la sentenza di omologa (se ritiene erronea la valutazione di convenienza), o il debitore potrebbe reclamare contro un’eventuale sentenza di fallimento pronunciata dal tribunale in esito negativo. I giudizi di reclamo e ricorso in Cassazione sono disciplinati dagli artt. 51-53 CCII e sono applicabili al PRO. In generale, però, l’iter è disegnato per essere veloce e con limitate interferenze dell’appello, essendo il PRO concepito come procedura concordata più che contenziosa.
5.2 Il Commissario Giudiziale. È la figura cardine di controllo. Viene nominato subito dal tribunale all’apertura. Deve essere un professionista indipendente (solitamente iscritto all’albo dei gestori della crisi) con competenze contabili/legali. Il commissario svolge compiti plurimi:
- Sorveglianza sulla gestione: monitora l’attività del debitore durante la procedura, ricevendo le informative sugli atti straordinari e segnalando eventuali irregolarità. Se il debitore agisce in modo pregiudizievole, il commissario interviene come visto, fino a informare il tribunale per eventuali provvedimenti.
- Informazione ai creditori: redige entro un certo termine una relazione particolareggiata (ex art. 104 CCII richiamato) destinata ai creditori, nella quale illustra lo stato patrimoniale del debitore, le cause della crisi, il contenuto del piano e soprattutto esprime un parere sulla fattibilità e convenienza dello stesso. Questa relazione viene comunicata ai creditori prima del voto, così che possano deliberare in modo informato.
- Organizzazione del voto: indice l’adunanza dei creditori o le procedure scritte di voto, predispone l’elenco dei creditori aventi diritto al voto (tenendo conto delle eventuali contestazioni sui crediti e distinguendo chi vota e chi no, ad esempio privilegiati soddisfatti vs. falcidiati), raccoglie i voti espressi, verifica le deleghe, e al termine compila il verbale con l’esito per ciascuna classe. Se sorgono contestazioni sul diritto di voto di qualcuno, riferisce al giudice delegato che decide in merito.
- Relazione finale e attestazione esiti: al termine della votazione, il commissario deposita la relazione ex art. 110 CCII attestante l’esito (quali classi hanno approvato e con quali percentuali) e conferma o aggiorna il suo giudizio di fattibilità alla luce di eventuali modifiche al piano emerse in corso di trattative. Questa relazione è fondamentale per l’omologa, poiché il tribunale la utilizza per sapere se tutte le classi hanno aderito o meno.
- Esecuzione del piano: dopo l’omologa, se previsto, il commissario può restare in carica per vigilare sull’esecuzione. In caso di piano liquidatorio, spesso viene nominato un liquidatore distinto; ma in piani misti il commissario può coadiuvare il liquidatore o supervisionare il debitore in continuità. Il commissario può dover predisporre rapporti periodici di stato avanzamento per il tribunale e i creditori.
In definitiva, il commissario è la figura di fiducia del tribunale e dei creditori: assicura che il debitore non devii dal lecito, certifica i dati e porta trasparenza nel processo decisionale dei creditori. La sua imparzialità e competenza sono cruciali per il buon esito del PRO.
5.3 I Creditori. I creditori rivestono un ruolo da protagonisti nel PRO, che è essenzialmente basato sul loro consenso. Le principali prerogative/obblighi dei creditori sono:
- Diritto di informazione e partecipazione: tutti i creditori noti vengono informati dell’apertura del PRO e ricevono copia del piano e della relazione del commissario. Hanno il diritto di partecipare all’assemblea dei creditori (se indetta) o comunque di esprimere formalmente il proprio voto sulla proposta. Possono anche presentare osservazioni scritte prima del voto, o porre domande al commissario e al debitore durante l’adunanza, per chiarimenti.
- Voto sul piano: come descritto, ciascun creditore avente diritto di voto può votare sì (approvo) o no (rigetto) alla proposta per la propria classe. Possono anche astenersi (il che equivale a non partecipare al voto, incidendo come visto sul calcolo delle maggioranze). Il voto può essere espresso di persona, per delega, oppure per corrispondenza/elettronico se previsto. I creditori sono liberi di valutare secondo il proprio interesse: tipicamente confronteranno quanto offre loro il piano con quanto stimano ricaverebbero da un fallimento del debitore.
- Potere negoziale: prima e durante la votazione, i creditori (singoli o in comitati) possono negoziare col debitore modifiche al piano per ottenere condizioni migliori. Il piano PRO, infatti, può essere emendato in corso di procedura, purché prima della chiusura delle votazioni, per venire incontro alle richieste di alcune classi. Il commissario può aggiornare l’adunanza se c’è la prospettiva di un accordo migliorativo. Questa dinamica negoziale è essenza del PRO: i creditori utilizzano il loro potere di veto (ricordiamo che basta una classe contraria per far saltare il piano) come leva per ottenere concessioni.
- Opposizione all’omologazione: dopo il voto, i creditori che sono rimasti dissenzienti (cioè hanno votato no in una classe comunque approvata a maggioranza, oppure erano non votanti ma pregiudicati) hanno facoltà di proporre opposizione al tribunale in sede di omologa. Devono farlo entro i termini di legge (di solito entro 30 giorni dal deposito della relazione del commissario). L’opposizione può vertere su motivi di legittimità (vizi procedurali, formazione scorretta classi) o di convenienza comparativa (come visto, sostenendo di ricevere meno che in fallimento). Se nessun creditore propone opposizione, l’omologa avviene di solito in maniera “semplificata”; se vi sono opposizioni, si apre un contenzioso limitato su quei punti.
- Adesione alla transazione fiscale/contributiva: i creditori pubblici (Agenzia Entrate, INPS, etc.) hanno un ruolo particolare perché il loro voto è vincolato da valutazioni di legge (vedi §9.2). Di recente essi possono essere crammati nel concordato se dissenzienti (forzati con omologa), mentre nel PRO rimangono vincolanti: se votano contro e fanno fallire la classe, il PRO non è omologabile e serve la conversione. Per tale ragione i creditori pubblici in PRO hanno un potere di veto sostanziale se rilevanti come classe. Tuttavia, come vedremo, normative aggiornate incentivano tali enti ad aderire se il piano è più conveniente del fallimento, per evitare poi di subire un cram-down nel successivo concordato.
- Rispetto delle misure protettive: tutti i creditori, dal momento del decreto di apertura, devono astenersi da azioni individuali di recupero. Eventuali pignoramenti in corso restano sospesi. Il creditore che violasse le misure protettive (ad es. escutendo una garanzia senza permesso) sarebbe passibile di nullità degli atti compiuti e di sanzioni.
In generale, i creditori nel PRO detengono un potere contrattuale maggiore che in un concordato tradizionale: potendo esigere l’unanimità per classi, ciascuna classe (e di riflesso i creditori principali in essa) ha una sorta di diritto di veto. Questo li pone in posizione di chiedere trattamenti migliori. D’altro canto, i creditori sono anche chiamati a comportarsi secondo buona fede e correttezza (dovere generale di leale collaborazione previsto dal Codice della crisi), evitando abusi del proprio potere di blocco. La procedura incoraggia quindi un dialogo costruttivo: i creditori devono valutare realisticamente la proposta e, se vantaggiosa rispetto all’alternativa liquidatoria, sono incentivati ad approvarla, pena perdere quei benefici e magari subire un concordato successivo meno vantaggioso.
5.4 Il Debitore. Il debitore-imprenditore rimane il regista del piano di ristrutturazione omologato. È lui che prende l’iniziativa, prepara il piano (coadiuvato dai suoi advisor) e lo sottopone ai creditori. Durante la procedura, come evidenziato, egli resta “in possesso” dell’azienda, conservando gestione e poteri di disposizione con i soli limiti di vigilanza commissariale. I suoi obblighi fondamentali sono:
- Obbligo di trasparenza e veridicità: il debitore deve fornire documentazione completa e veritiera, nonché collaborare pienamente con il commissario e con i creditori. Ogni eventuale reticenza o falsità può minare l’attestazione e costituire causa di non ammissibilità o revoca. La relazione dell’attestatore e del commissario garantiscono su questo.
- Elaborazione del piano e proposta: è compito del debitore formulare la proposta di trattamenti ai creditori (chi paga e quanto) e predisporre un piano industriale/finanziario credibile. Egli può farsi affiancare da consulenti finanziari, legali e dall’attestatore stesso nel definire un piano sostenibile. Spetta al debitore, ad esempio, decidere se mantenere l’azienda in vita (piano in continuità con eventuale nuova finanza, ecc.) oppure liquidare tutto (piano liquidatorio magari con vendita a terzi). È il debitore-proponente che disegna la struttura delle classi, selezionando l’aggregazione dei creditori in base agli interessi comuni, ovviamente nei limiti di correttezza (non può creare artificiosamente classi per manipolare le maggioranze, poiché il tribunale lo controlla).
- Gestione day-by-day: l’imprenditore continua a gestire l’attività corrente, dovendo evitare qualsiasi operazione che esuli dall’ordinaria amministrazione senza preavviso al commissario. Egli deve anche preservare il valore aziendale durante la procedura: è tenuto quindi a non disperdere beni, a non favorire illegittimamente alcuni creditori (pagandoli al di fuori del piano, cosa vietata salvo permesso per spese urgenti), e in generale a condurre l’impresa con la diligenza del buon padre di famiglia ma con l’ottica di soddisfare i creditori secondo il piano.
- Pagamento integrale di alcuni crediti nei termini: come condizione per l’omologa, il debitore deve assicurarsi di adempiere all’obbligo di legge verso i lavoratori (integrale in 30 gg) e verso eventuali privilegiati da soddisfare entro 180 gg. Ciò significa predisporre la liquidità necessaria o ottenere accordi per anticipo di cassa. Spesso il debitore, prima dell’omologa, deve costituire depositi cauzionali a copertura di questi pagamenti flash (il tribunale può richiederlo come garanzia).
- Modifiche del piano se necessario: se durante la discussione con i creditori emergono criticità, il debitore può presentare modifiche al piano o alla proposta per ottenere il consenso mancante (ad es. aumentare la percentuale a una classe, inserire maggiori garanzie). Tali modifiche, se significative, devono essere fatte conoscere a tutti i creditori prima del voto definitivo, ma il Codice consente di modificarle anche in sede di omologazione con il consenso di tutte le classi (nel PRO però, essendo necessario il loro accordo totale, di fatto ogni modifica sostanziale implica far rivotare le classi o raccogliere la loro adesione). Il debitore ha comunque la facoltà di ritirare la domanda di PRO e presentare, al suo posto, una domanda di concordato preventivo (conversione) in qualsiasi momento prima che inizino le operazioni di voto. Questa è una leva negoziale: se si accorge che non otterrà l’unanimità delle classi, può cambiare strategia prima di incorrere in un rigetto.
- Esecuzione del piano: dopo l’omologa, il debitore deve rigorosamente adempiere agli impegni presi verso i creditori nei tempi stabiliti. Nel PRO in continuità, ciò significa proseguire l’attività e destinare i flussi concordati ai creditori. Nel PRO liquidatorio, se l’imprenditore stesso è incaricato delle vendite (caso raro, di solito c’è un liquidatore), dovrà vendere i beni e ripartire l’attivo come promesso. L’adempimento è condizione per la liberazione dai debiti residui, quindi l’interesse del debitore è di eseguire correttamente e chiudere la procedura positivamente.
In sintesi, il debitore è l’artefice del PRO ma anche colui che ne subisce la sorte: se riesce a convincere i creditori e soddisfa le condizioni, potrà superare la crisi ed evitare la fine traumatica dell’impresa; se fallisce nel raggiungere le maggioranze o nel rispettare gli obblighi, dovrà affrontare conseguenze (dal fallimento alla perdita di benefici di esdebitazione). Il nuovo codice esige dal debitore un comportamento proattivo e leale (duty to cooperate con creditori e organi) come presupposto per ottenere la protezione delle procedure di crisi.
5.5 L’Esperto nella composizione negoziata (fase pre-procedurale). Anche se esterno alla procedura giudiziale in senso stretto, è opportuno menzionare il ruolo dell’esperto indipendente nominato nell’ambito della composizione negoziata della crisi (di cui al Titolo II CCII). La composizione negoziata è uno strumento stragiudiziale introdotto nel 2021 e consolidato nel CCII: consiste in trattative facilitate da un esperto terzo (spesso un commercialista) per aiutare l’imprenditore a trovare un accordo con i creditori. Molti PRO, soprattutto nei primi casi applicativi, sono in realtà sbocciati a valle di una composizione negoziata. L’esperto in quella sede non ha poteri decisionali, ma aiuta a individuare soluzioni di risanamento, mediando tra debitore e creditori. Se la negoziazione va a buon fine, potrebbe sfociare in un accordo stragiudiziale o in un accordo di ristrutturazione dei debiti. Se invece non tutti i creditori aderiscono spontaneamente, l’esperto può suggerire al debitore di ricorrere a un PRO. In tal caso, il piano elaborato in composizione negoziata costituisce la base della proposta PRO, con il vantaggio che parte dei creditori è già d’accordo. Si riduce così l’incertezza nella fase giudiziale. Inoltre, la legge prevede che se il PRO fa seguito a una composizione negoziata, nel ricorso introduttivo si possa chiedere la conferma delle misure protettive già attivate nella fase stragiudiziale (es. blocco delle azioni esecutive) senza soluzione di continuità. L’esperto negoziale, terminato il suo incarico con esito infruttuoso parziale, consegna una relazione finale che il debitore allegherà alla domanda di PRO. In qualche caso, il tribunale può anche valutare di nominare lo stesso esperto come commissario giudiziale, sfruttando la conoscenza che ha già della situazione (ciò è ipotizzato dalla normativa per il concordato successivo alla negoziazione). Non è un automatismo, ma è possibile se l’esperto possiede i requisiti per fare il commissario e se le parti lo gradiscono. In ogni caso, l’esperto risulta una figura facilitatrice che può aumentare le chances di costruire un piano che poi in sede di PRO otterrà il consenso necessario. Viceversa, se la composizione negoziata fallisce del tutto (creditori irriducibili), può preludere o a un concordato semplificato (se solo liquidazione) o a un concordato preventivo ordinario: il PRO infatti richiede comunque un certo livello di consenso, per cui se in fase stragiudiziale nessun accordo era possibile, il PRO difficilmente verrà scelto.
5.6 Il Professionista Attestatore. Menzione a parte merita la figura del certificatore indipendente, benché non inserita stabilmente nella procedura. Egli interviene prima della presentazione della domanda, redigendo la relazione di attestazione sulla veridicità dei dati e la fattibilità del piano. Tale relazione, allegata obbligatoriamente al ricorso, ha un duplice valore:
- Tecnicamente, serve a dare credibilità e “terzietà” ai numeri del piano, rassicurando i creditori che le stime sono realistiche e che il piano può funzionare. L’attestazione funge da base per eventuali azioni di responsabilità se risultasse gravemente mendace.
- Giuridicamente, è condizione di ammissibilità: senza attestazione il piano non può essere omologato (è un requisito formale inderogabile). Inoltre, in presenza di attestazione, alcuni atti di esecuzione del piano (come finanziamenti) acquistano status di prededuzione e alcune riduzioni di debiti assumono rilevanza fiscale (ad esempio, l’art. 88 TUIR considera non imponibili le sopravvenienze da concordato se c’è attestazione di convenienza). Nel PRO, come nel concordato, è dunque fondamentale scegliere un attestatore esperto e indipendente.
L’attestatore di regola esaurisce il proprio compito con la consegna della relazione e non partecipa alla procedura attiva, sebbene spesso rimanga come consulente del debitore per eventuali modifiche di piano e per interfacciarsi col commissario su questioni tecniche. L’attestazione potrà essere aggiornata se il piano viene modificato in modo sostanziale in corso di procedura (in tal caso il tribunale può richiedere un supplemento di attestazione prima di omologare). Vale la pena di sottolineare che l’attestazione non garantisce il successo del piano, ma solo che esso è ragionevolmente fattibile. Se poi gli eventi smentiscono le previsioni, il piano può comunque naufragare (non a caso spetta ai creditori accettarlo o meno, valutando i rischi). Tuttavia, un’attestazione robusta è spesso citata dalla giurisprudenza come elemento a supporto della fattibilità, soprattutto se qualche creditore contesta l’irrealizzabilità del piano: un giudice difficilmente metterà in dubbio la fattibilità se c’è l’attestazione, a meno che non emergano errori macroscopici o nuovi fatti.
In conclusione, tutti questi attori – tribunale, commissario, creditori, debitore, esperto, attestatore – concorrono nel procedimento PRO ciascuno secondo il proprio ruolo. Il bilanciamento è delicato: il debitore conserva la regia ma sotto controllo, i creditori decidono l’esito ma non possono prevaricare arbitrariamente (vi è il limite del controllo giudiziario), il commissario e l’attestatore portano trasparenza e professionalità, e il tribunale assicura la legalità complessiva. Questa coralità è ciò che distingue il PRO tanto dai puri accordi privati (dove manca la figura imparziale del giudice/commissario) quanto dalla procedura fallimentare tradizionale (dove il debitore perde la gestione e i creditori non votano un bel nulla).
6. Contenuto del piano, effetti dell’omologazione e trattamento dei crediti
In questa sezione approfondiamo cosa può prevedere concretamente un piano di ristrutturazione omologato (il suo contenuto in termini di proposte ai creditori e operazioni sul patrimonio), nonché quali sono gli effetti dell’omologazione sui crediti (moratorie, riduzioni, esdebitazione) e i riflessi per eventuali garanti.
6.1 Contenuto e struttura del piano PRO. Il piano di ristrutturazione omologato può essere estremamente flessibile nel contenuto, purché rispetti le poche limitazioni normative viste (pagamento integrale lavoratori, ecc.) e ottenga l’accordo richiesto dei creditori. Può includere misure di vario genere, ad esempio:
- Dilazioni di pagamento: il piano può prevedere che certi creditori vengano pagati integralmente ma in forma rateizzata nel tempo. Ad esempio, i creditori bancari chirografari potrebbero ricevere il 100% in 5 anni, a interessi ridotti. Tali dilazioni (moratorie) richiedono il consenso e sono possibili; per i creditori privilegiati, come visto, la moratoria massima senza voto è di 6 mesi, oltre la quale devono votare e quindi accettare la dilazione.
- Falcidia (riduzione) dei crediti: il piano quasi sempre offre ai creditori chirografari una percentuale del loro credito, stralciando la parte restante. Questa falcidia può essere modulata diversamente per diverse classi. Ad esempio, i fornitori strategici potrebbero ricevere il 50%, mentre le banche chirografarie il 30%. Queste differenze di trattamento sono lecite nel PRO purché i creditori siano suddivisi in classi omogenee e ciascuna classe accetti la propria percentuale. Nel concordato tradizionale liquidatorio la legge imponeva un minimo del 20% per i chirografi, salvo apporto esterno; nel PRO invece non vige alcun minimo legale, come confermato dal Tribunale di Roma. Anche percentuali molto basse (es. <1%) per i chirografari possono essere ammesse, se motivate dalla comparazione con il ricavato fallimentare e accettate dai creditori (nel caso di Roma citato, fu ritenuto ammissibile un piano liquidatorio che pagava gli chirografari in misura variabile con un minimo dello 0,8%, superiore a quanto avrebbero avuto in fallimento). Naturalmente falcidie drastiche rendono difficile ottenere il voto favorevole, per cui l’elasticità teorica è frenata dalla necessità pratica del consenso.
- Moratorie dei creditori privilegiati: il piano può prevedere di non pagare immediatamente alcuni creditori privilegiati (diversi dai lavoratori), dilazionandoli entro un certo tempo. Nel concordato in continuità la legge consente di dilazionare i privilegiati anche oltre l’anno se ciò è funzionale al risanamento, e nel PRO, per analogia, ciò è possibile purché il privilegio resti protetto (ad esempio se si prevede di liquidare il bene su cui insiste la garanzia in un secondo momento). I privilegiati che non vengano soddisfatti entro 180 giorni dovranno però esprimersi votando. È anche possibile prevedere falcidia dei crediti privilegiati: ad esempio, ridurre del 20% un credito ipotecario se il valore di realizzo dell’immobile non copre l’intero e la banca accetta. Su questo punto la disciplina è particolare: nel concordato preventivo, la legge impone che ai creditori privilegiati non possa essere dato meno di quanto otterrebbero dalla liquidazione del bene gravato (art. 84, co.5 CCII), salvo consenso. Nel PRO, inizialmente lo schema di decreto richiamava questa regola, ma nel testo definitivo tale richiamo è stato eliminato. Ciò suggerisce che nel PRO la soddisfazione dei privilegiati potrebbe essere contrattata anche al di sotto del valore di liquidazione della garanzia, se la classe di quei creditori approva. In pratica però, come rimarcato dalla dottrina, rimane il vincolo del best interest: un privilegiato che riceva meno del valore di liquidazione potrà opporsi e il tribunale non omologherà. Dunque, c’è una apparente libertà (il debitore può proporre anche meno ai prelatizi) bilanciata da un controllo finale (se anche un solo creditore garantito dissente e prova che il valore di garanzia era superiore a quanto offerto, l’omologa salta). Questo dualismo comporta che i debitori prudenti tenderanno comunque a offrire ai creditori con pegno/ipoteca almeno il valore di realizzo stimato dei beni, per evitare contestazioni future. Laddove invece i creditori privilegiati stessi concordino nel valutare diversamente i beni e accettino la falcidia, non vi sarà problema (nessuno farà opposizione).
- Conversione di crediti in strumenti partecipativi: uno strumento molto interessante è la possibilità di soddisfare i creditori mediante attribuzione di azioni, quote, obbligazioni o altri strumenti finanziari. Il CCII espressamente contempla che la ristrutturazione possa passare tramite operazioni sul capitale dell’impresa debitrice. Ad esempio, il piano potrebbe prevedere che i creditori chirografari convertano parte dei loro crediti in quote di partecipazione nel capitale sociale della società debitrice (diventandone soci, e rinunciando alla pretesa monetaria). Oppure, che ricevano obbligazioni di nuova emissione con scadenza futura. Queste soluzioni possono essere efficaci in piani di risanamento in continuità: i creditori finanziari spesso preferiscono ottenere equity se credono nel rilancio dell’azienda, sperando in un recupero di valore. Ovviamente serve il loro assenso (saranno classi specifiche di creditori disposte alla conversione). Tali misure implicano operazioni societarie (aumenti di capitale, emissioni titoli) che devono essere ben descritte nel piano e poi attuate dopo l’omologa, eventualmente ricorrendo ai poteri del tribunale di superare dissensi individuali di soci (nel PRO, come nel concordato, l’omologa può costituire titolo per far eseguire aumenti di capitale anche senza diritto di opzione dei vecchi soci, e i soci non possono recedere fino a esecuzione del piano).
- Cessione di beni o rami d’azienda: se il piano è liquidatorio, l’elemento centrale sarà la vendita del patrimonio. Il debitore può inserire nel piano un programma di liquidazione dei beni aziendali, specificando tempi e modi di realizzo e riparto del ricavato. Spesso viene individuato un investitore pronto ad acquistare l’intera azienda o specifici asset (come l’immobile aziendale) per un certo prezzo, che costituirà la provvista per pagare i creditori. Infatti, nelle prime applicazioni, molti PRO liquidatori sono stati supportati da offerte irrevocabili di acquisto, condizionate all’omologa, che garantivano la riuscita economica del piano. Il PRO può così funzionare come una sorta di “pre-pack sale”: si concorda la vendita con un terzo acquirente e la distribuzione del prezzo tra i creditori secondo le regole flessibili consentite. Il vantaggio rispetto a una vendita fallimentare sta nella rapidità e nel maggior controllo dei valori (evitando aste dispersive). Da notare che nel PRO liquidatorio non si applicano i requisiti minimi del concordato preventivo liquidatorio (20% ai chirografari, 10% di apporto esterno), permettendo maggiore libertà, come già accennato. Anche eventuali azioni risarcitorie o revocatorie possono essere cedute ai creditori o a terzi come componente del piano.
- Ristrutturazione societaria: il piano può prevedere operazioni di riorganizzazione dell’impresa, come fusioni, scissioni, trasformazioni, conferimenti di asset in una newco, ecc., se ritenute funzionali al miglior soddisfacimento dei creditori. Ad esempio, scorporare un ramo sano dell’azienda e cederlo può massimizzare il valore. Tali operazioni devono ovviamente rispettare le norme civilistiche (es. per la fusione serve progetto, relazione ex art. 2501-segg. c.c., ecc.), ma il tribunale può superare eventuali opposizioni di soci o parti correlate per facilitarle (il CCII ha introdotto un art. 116 che sospende il diritto di recesso dei soci in piani che comportino trasformazioni societarie, proprio per evitare ostacoli).
- Continuità aziendale diretta o indiretta: se il piano è in continuità diretta, l’impresa prosegue in capo allo stesso imprenditore; se è in continuità indiretta, è prevista la cessione o il conferimento dell’azienda a un soggetto terzo che la proseguirà (ad esempio un investitore che rileva l’azienda in esercizio). Entrambe sono possibili e si combinano con le altre misure: nel caso di continuità indiretta, avremo elementi di liquidazione (cessione azienda) e insieme elementi concordatari (come destinare parte del corrispettivo ai creditori). Nel PRO è lecito anche prevedere forme di affitto d’azienda nel mentre (es. affittare l’azienda a un investitore in attesa dell’omologa e vendita definitiva), come avviene nel concordato.
- Soddisfacimento non integrale delle cause di prelazione: uno degli aspetti più innovativi (già toccato) è la possibilità di distribuire il valore creato dal piano non seguendo l’ordine legale delle prelazioni. Ciò consente, ad esempio, di destinare parte del ricavato anche ai chirografari benché non siano soddisfatti tutti i privilegiati superiori. Nel concordato ordinario liquidatorio, i chirografari non possono ricevere nulla finché tutti i privilegiati non siano pagati almeno per il valore di realizzo dei loro beni (absolute priority); nel PRO, essendo pattizio, si può convenire che anche i chirografari prendano una quota prima del pagamento integrale dei privilegiati (purché, ripetiamo, nessuno dei privilegiati dissenzienti ne risulti danneggiato oltre il limite fallimentare). In pratica si applica una sorta di relative priority: se tutte le classi sono d’accordo, i creditori di rango inferiore possono ricevere qualcosa anche se quelli di rango superiore non vengono soddisfatti integralmente. Ad esempio, i creditori chirografari potrebbero ricevere il 5% mentre i creditori ipotecari hanno accettato di rinunciare a una parte del loro credito privilegiato oltre il ricavato del bene. Questa “violazione” delle regole ordinarie è ciò che rende il PRO unico. La dottrina parla di priorità relativa introdotta in modo estremo: “uno strumento che estremizza le potenzialità dell’accordo tra debitore e creditori sotto il profilo della deroga ai principi tradizionali”. Naturalmente, tale libertà è bilanciata dal fatto che l’accordo deve essere ampio (tutte le classi) e che il tribunale comunque verificherà il rispetto del valore di liquidazione in caso di obiezione.
In definitiva, il piano PRO può essere cucito su misura della situazione aziendale: può consistere in un articolato mix di sconti di debito, dilazioni, conversione in capitale, vendite, nuove finanze, garanzie collaterali (il debitore o terzi possono offrire garanzie aggiuntive ai creditori per persuaderli: es. pegno su certi beni a garanzia della nuova obbligazione ristrutturata), patti parasociali (spesso, se i creditori diventano soci, siglano accordi su governance futura). Nulla vieta poi contributi esterni: soci o terzi possono apportare denaro fresco nel piano per pagare meglio i creditori (questo succede per convincere le classi a votare sì: i soci possono offrire di mettere capitali nuovi destinati ai creditori). Nel PRO, a differenza del concordato, non vi è un requisito minimo di percentuale di apporto esterno ma se c’è, ovviamente, aumenta la convenienza del piano.
6.2 Effetti sul credito dei singoli creditori e clausole di soddisfazione. Per ogni creditore interessato, l’omologazione del PRO comporta la novazione o comunque la ridefinizione coattiva del suo diritto di credito secondo quanto stabilito nel piano. Approfondiamo alcuni effetti tipici:
- Taglio del debito (stralcio): il creditore il cui credito è falcidiato vedrà ridursi la propria pretesa all’importo o percentuale prevista dal piano. La parte eccedente viene eliminata (stralciata) e, ad esecuzione completata del piano, il creditore non potrà più pretendere nulla per quella parte. È come se accettasse una remissione parziale del debito, formalizzata dall’omologazione giudiziaria. Dal punto di vista contabile, per il debitore la parte stralciata costituisce una sopravvenienza attiva esente da imposte (grazie alla norma sulla neutralità fiscale nei concordati). Per il creditore, la parte non incassata è una perdita deducibile fiscalmente (e l’IVA sulla parte non incassata viene recuperata via nota di variazione come visto).
- Dilazione e interessi: se il piano prevede pagamenti dilazionati, salvo diverse previsioni contrattuali, dal momento dell’omologa il credito rimane esigibile secondo il nuovo calendario. Gli eventuali interessi maturati durante la procedura su crediti chirografari di regola non sono dovuti (nel concordato, i chirografari non maturano interessi durante la procedura, così presumibilmente anche nel PRO). Se però il piano concede loro pagamenti differiti, potrebbe riconoscere un tasso di interesse su tali rate (spesso simbolico o nullo, visto che è parte del sacrificio accettato). I crediti privilegiati, invece, in linea teorica continuerebbero a maturare interessi di privilegio sino al pagamento, ma se la classe di creditori privilegiati ha approvato una dilazione senza interessi ciò implica una rinuncia agli interessi per quel periodo. Dunque, l’omologazione cristallizza il trattamento: il creditore prenderà esattamente quanto e quando stabilito, senza poter reclamare altro (salvo che il piano stesso preveda diversamente per i suoi interessi).
- Garanzie reali: se un creditore era assistito da pegno o ipoteca, cosa accade alla garanzia? Qui bisogna distinguere: (i) se il piano prevede il pagamento integrale del credito garantito o comunque il creditore esce soddisfatto, la garanzia si estingue alla data del pagamento (come normale, per confusione con l’obbligazione estinta); (ii) se invece il creditore privilegiato accetta una riduzione, la garanzia reale permane a presidio della sola parte ristrutturata del credito (ad esempio, una banca ipotecaria vantava €1M, accetta €700k e rinuncia a €300k: l’ipoteca rimane per garantire i €700k promessi; una volta pagati, l’ipoteca si cancella). Il piano potrebbe però anche prevedere che il bene su cui insiste la garanzia venga venduto: in tal caso, la garanzia si trasferisce sul ricavato (il privilegio del creditore colpisce la somma ricavata dal bene), oppure se il bene è assegnato direttamente al creditore (datio in solutum) la garanzia si estingue col trasferimento del bene. In linea di principio, l’omologa di per sé non cancella ipoteche o pegni: occorre l’attuazione del piano (pagamento, vendita, ecc.). Un eventuale residuo non soddisfatto oltre la percentuale concordata diviene credito chirografario post-omologazione privo di garanzia. Esempio: ipoteca su immobile da €500k, credito €800k, il piano dice: “banca riceverà immobile del valore di €500k + €50k in contanti, e rinuncia al resto”. La banca dopo l’omologa avrà l’immobile (ipoteticamente assegnato) e €50k, l’ipoteca si cancella perché la banca ora possiede il bene; per i restanti €250k non può far più nulla (rinuncia formalizzata in sede di voto e omologa).
- Fideiussioni e coobbligati: come accennato sopra, l’omologa del piano non libera i coobbligati del debitore, a meno che ciò sia espressamente previsto e concordato. Questo è chiarito dal CCII per il concordato (art. 88, co.2, che dovrebbe applicarsi anche al PRO): “l’omologazione non produce effetti nei confronti dei coobbligati e dei fideiussori del debitore”. Dunque, un creditore può ancora pretendere dai fideiussori la parte non soddisfatta dal debitore in forza del piano. Se ciò accade e il… (continua)
Nel caso in cui un fideiussore o coobbligato del debitore paghi ai creditori la parte di credito da questi non riscossa tramite il PRO, egli potrà rivalersi sul debitore stesso (diritto di regresso). Tuttavia, poiché il debito originario del debitore verso il creditore è stato in parte cancellato dall’omologazione, la pretesa di regresso del garante potrebbe risultare limitata: in assenza di un accordo specifico, il garante viene surrogato nei diritti del creditore per la parte pagata, ma trova il debito del debitore ormai ridotto. In pratica, il piano omologato non libera automaticamente i garanti, ma pone il debitore in una posizione di maggior forza nel fronteggiare eventuali loro richieste. È sempre possibile prevedere nel piano clausole che regolino consensualmente anche i rapporti con i coobbligati (ad esempio, patti di hold harmless o rinunce alla rivalsa), ma ciò richiede il consenso dei creditori e dei garanti coinvolti.
In termini di esdebitazione del debitore, l’effetto pratico del PRO è assimilabile a quello di un concordato: se il piano viene eseguito, il debitore ottiene la liberazione definitiva dai debiti anteriori residui. Questa “esdebitazione concordataria” non richiede un provvedimento ad hoc (come invece accade nell’esdebitazione post-fallimentare per le persone fisiche) poiché è insita nell’efficacia del piano omologato. L’imprenditore potrà dunque proseguire la propria attività (se in continuità) o avviarne di nuove (se la precedente è stata liquidata) senza il fardello dei debiti pregressi non soddisfatti.
In conclusione, l’omologa del PRO incide profondamente sulla posizione giuridica dei creditori: questi ultimi sono tenuti ad accettare ex lege il trattamento stabilito nel piano, vedendo convertite/diminuite le proprie pretese, e perdendo la possibilità di rivalersi ulteriormente sul debitore per la parte eccedente. Il debitore, a sua volta, ottiene il beneficio di una definitiva sistemazione dei propri debiti, a fronte dell’onere di rispettare puntualmente gli impegni presi nel piano.
7. Rapporti con banche, Erario, enti previdenziali e fornitori
L’applicazione pratica del PRO porta in primo piano la gestione dei rapporti con alcune categorie di creditori strategici: banche e finanziatori, da un lato, e creditori pubblici (Erario e INPS) dall’altro, oltre naturalmente ai fornitori commerciali. Ciascuno di questi soggetti presenta esigenze particolari all’interno di un piano di ristrutturazione.
7.1 Banche e creditori finanziari. Gli istituti bancari e i finanziatori (es. obbligazionisti) sono spesso i creditori più rilevanti nelle crisi d’impresa. Nel PRO, i creditori finanziari possono trovarsi in posizioni diverse: con garanzie reali (mutui ipotecari, pegni su beni) oppure chirografari (prestiti non garantiti). Il loro atteggiamento verso il piano dipenderà dal confronto tra quanto otterrebbero in caso di escussione delle garanzie o fallimento e quanto offre il piano. In genere, le banche tendono a privilegiare soluzioni negoziate extragiudiziali (come accordi di ristrutturazione ex art. 182-bis CCII) per ridurre tempi e pubblicità negativa. Tuttavia, tali accordi richiedono un’adesione abbastanza ampia (almeno il 60% dei crediti, e per l’efficacia estesa ai dissenzienti finanziari almeno il 75%) e non vincolano i creditori non aderenti. Il PRO rappresenta un’alternativa interessante quando non è possibile ottenere l’assenso di tutte le banche o quando si vuole includere anche altre categorie di creditori in un’unica soluzione.
Vantaggi per le banche nel PRO:
- Maggiore vincolatività: se il piano è approvato nella classe delle banche, anche le banche dissenzienti in quella classe risultano vincolate dall’omologa (effetto maggioranza). Ciò consente di superare problemi di holdout (banche minoritarie che rifiutano l’accordo) che spesso ostacolano le ristrutturazioni pur avendo la maggioranza disponibile. In altre parole, il PRO può “forzare” le banche riottose a conformarsi alla volontà della maggioranza qualificata del loro ceto, cosa che un semplice accordo privato non potrebbe fare.
- Trattamento differenziato e classi ad hoc: nel PRO è possibile creare classi separate di creditori finanziari con interessi omogenei. Ad esempio, si può distinguere tra banche senior e banche junior, oppure separare i creditori obbligazionisti dai bancari, offrendo condizioni diverse commisurate ai loro gradi di rischio. Questo livello di finezza è maggiore rispetto a un accordo ex 182-bis tradizionale, che tende a prevedere un taglio uniforme per tutti i finanziatori. Nel PRO la banca con garanzia ipotecaria potrà stare in una classe a parte e magari ottenere un dividendo o una percentuale di recupero diversa da quella di una banca chirografaria.
- Protezione durante le trattative: con l’apertura del PRO, le banche sono soggette al divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive individuali (come pignoramenti di beni o escussioni di pegni). Ciò crea un contesto stabile in cui negoziare, evitando la corsa alle garanzie tipica delle situazioni pre-fallimentari. Ad esempio, la banca ipotecaria non potrà avviare l’esecuzione immobiliare durante il PRO, dovendo attendere l’esito del piano. Questo può spingerla a cooperare per massimizzare la soddisfazione nel quadro concordato.
- Possibilità di soluzioni creative: nell’ambito del PRO, le banche possono accettare strumenti diversi dal mero pagamento in contanti. Ad esempio, potrebbero convertire parte del loro credito in strumenti partecipativi (azioni o equity della società risanata) oppure in obbligazioni convertende da riscuotere a lungo termine. Tali soluzioni, che trasformano il creditore in potenziale “socio” dell’azienda risanata, possono essere vantaggiose per la banca se confida nella ripresa dell’impresa (consentendo di recuperare in futuro valore superiore alla quota immediata di soddisfo). Il PRO facilita questi scenari, mentre in un accordo stragiudiziale sarebbe più complesso ottenere il consenso di tutti i finanziatori su operazioni societarie.
- Certezza giuridica: l’omologa del tribunale attribuisce stabilità e esecutorietà al piano, riducendo il rischio di contestazioni successive. Una banca potrebbe preferire un piano omologato – quindi “blindato” giuridicamente – piuttosto che un accordo puramente contrattuale soggetto a possibili revoche o aderenze mancate. Inoltre, grazie all’attestazione del professionista e alla valutazione del giudice, il piano PRO gode di un imprimatur di fattibilità e convenienza che in sede di accordo privato è rimesso esclusivamente alle parti.
Criticità per le banche nel PRO:
- Tempistiche procedurali e costi: il PRO, essendo procedura concorsuale, può essere percepito dalle banche come più lento e costoso rispetto a un accordo stragiudiziale. Vi sono costi di procedura (compenso del commissario, spese legali) e rigidità nelle fasi (tempi minimi per il voto, ecc.). Tuttavia, il CCII ha ridotto le lungaggini rispetto al vecchio concordato, imponendo la conclusione in 12 mesi, quindi i tempi risultano ragionevoli.
- Pubblicità negativa: l’apertura di una procedura concorsuale (ancorché di risanamento) comporta pubblicità legale e notizia sul registro imprese. Le banche potrebbero dover riclassificare in sofferenza quei crediti secondo le norme di vigilanza, a differenza di un accordo privato che a volte consente di mantenere un diverso status contabile. Tuttavia, con l’entrata in vigore delle regole calendar provisioning e la particolare considerazione delle procedure di ristrutturazione preventive, questa differenza si sta attenuando.
- Necessità di coordinamento interno: nelle banche, l’adesione a piani concordatari richiede spesso delibere dei comitati crediti, analisi interne e rispetto di linee guida (es. le Linee Guida ABI sulla gestione delle crisi). Un PRO esige la formalizzazione del voto in sede giudiziaria, il che comporta per la banca di istruire appositamente la pratica come farebbe per un concordato preventivo. Non è uno svantaggio sostanziale ma un onere procedurale di cui tener conto.
- Concorrenza con altri strumenti: va notato che il legislatore ha previsto in parallelo anche l’Accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa (art. 61 CCII) che consente, con l’adesione del 75% dei crediti finanziari, di estendere gli effetti ai finanziatori dissenzienti minoritari. Le banche potrebbero preferire utilizzare tale istituto (più vicino alla negoziazione contrattuale) piuttosto che un PRO, se la situazione coinvolge quasi esclusivamente creditori finanziari. Il PRO diventa preferibile quando vi sono anche altre categorie (fornitori, fisco) da gestire insieme alle banche.
In sintesi, le banche nel PRO giocano un ruolo fondamentale: tipicamente costituiranno una o più classi e il loro voto può determinare le sorti del piano. La chiave di successo è spesso trovare un accordo con le banche principali (che detengono la quota maggioritaria dei crediti finanziari), coinvolgendole magari nella predisposizione del piano stesso, così che il voto favorevole della loro classe sia assicurato. Un esempio pratico: se più banche condividono un credito (finanziamento in pool), il PRO consente di trattarle unitariamente in classe e se quelle rappresentanti oltre il 50% del pool votano sì, l’intero pool viene agganciato al piano, anche se qualche banca minore fosse contraria. Questa possibilità di consolidare decisioni con maggioranze interbancarie è vista positivamente dagli operatori finanziari, perché evita lunghe trattative bilaterali e consente una soluzione collettiva e definitiva. Del resto, come evidenziato da alcuni autori, il meccanismo del PRO può permettere l’approvazione della proposta anche con percentuali complessive di credito relativamente ridotte (in certe configurazioni, perfino attorno a un terzo del totale crediti, dato il quorum ridotto richiesto nelle classi), il che rappresenta uno strumento potente per il debitore ma anche un incentivo per i creditori principali a trovare un accordo (sapendo che se raggiungono l’intesa minima, il piano passa comunque).
7.2 Crediti fiscali e contributivi (Erario e INPS). I debiti verso l’Erario (Agenzia delle Entrate) e verso gli enti previdenziali (INPS e casse assimilate) rivestono spesso un ruolo cruciale nelle crisi d’impresa italiane. Tradizionalmente, la gestione di tali crediti è stata disciplinata dall’istituto della transazione fiscale e contributiva (originariamente art. 182-ter l.fall., ora rifuso negli artt. 63 e 88 CCII per accordi e concordati). In passato, l’Amministrazione finanziaria aveva margini ristretti per accettare falcidie, in particolare vigeva il divieto di falcidiare l’IVA e le ritenute operate e non versate, salvo doverli pagare integralmente nel concordato. Queste rigidità sono state in parte superate negli ultimi anni a seguito di pronunce della Corte di Giustizia UE e di modifiche normative: oggi è ammesso proporre il pagamento parziale di IVA e ritenute, purché in misura non inferiore al miglior scenario di realizzo in caso di fallimento e previa attestazione indipendente (art. 63, co.2, CCII).
Nel contesto del PRO, inizialmente non era chiaro se e come la transazione fiscale potesse applicarsi, poiché le norme si riferivano espressamente ad accordi di ristrutturazione e concordati. Alcuni tribunali hanno però affermato sin da subito la compatibilità del PRO con lo stralcio dei debiti tributari e contributivi, ritenendo che nulla nel CCII lo vietasse e che anzi fosse coerente con lo spirito della Direttiva UE. Ad esempio, il Tribunale di Udine (decreto 9 marzo 2023) ha osservato che il PRO può prevedere sia la dilazione sia il taglio parziale di imposte e contributi, al pari di un concordato, a condizione che ciò avvenga nel rispetto dell’ordinamento (cioè attraverso una proposta di transazione fiscale) e col consenso dell’ente creditore.
Per rimuovere ogni incertezza, il Terzo Decreto Correttivo (D.Lgs. 136/2024) ha inserito nel testo dell’art. 64-bis CCII un esplicito riferimento alla transazione tributaria e contributiva nell’ambito del PRO. In particolare, è stato aggiunto il comma 1-bis, che consente al debitore di includere nel piano omologato una proposta di trattamento dei debiti fiscali e previdenziali con le stesse modalità di un concordato preventivo. Ciò significa che, anche nel PRO, il debitore può chiedere all’Amministrazione finanziaria e agli enti previdenziali di aderire a una transazione che preveda la parziale rinuncia a imposte, sanzioni e interessi, oppure la loro dilazione oltre i termini ordinari, purché sia assicurata ai crediti tributari/previdenziali una soddisfazione almeno pari a quella ottenibile in caso di liquidazione fallimentare.
Tuttavia – ed è punto essenziale – la legge stabilisce che nel PRO tale transazione avviene su base volontaria: l’Erario e l’INPS devono espressamente acconsentire al piano proposto. Non è consentito nel PRO il cram-down giudiziale delle amministrazioni dissentienti (cosa invece possibile nel concordato preventivo riformato). In altri termini, se la classe dei crediti tributari o contributivi non approva la proposta (esprimendo voto contrario o astenendosi in misura decisiva), il PRO non può essere omologato. Si tratta di un potere di veto sostanziale da parte del Fisco/INPS: un aspetto delicato, perché in passato le amministrazioni pubbliche creditrici hanno spesso assunto posizioni rigide nelle procedure, talora respingendo proposte anche vantaggiose.
Consapevole di ciò, il legislatore ha previsto un meccanismo di incentivo e salvaguardia: qualora non si raggiunga l’accordo nel PRO, il debitore può chiedere la conversione della domanda di PRO in concordato preventivo e, in tale sede, attivare la procedura di omologa forzosa della transazione fiscale. Infatti, l’art. 88, commi 3 e 4 CCII consente al tribunale di omologare il concordato preventivo anche senza l’adesione dell’amministrazione finanziaria o degli enti previdenziali, se ritiene – sulla base di una relazione di un professionista indipendente – che la proposta formulata al Fisco/INPS sia migliore per l’erario rispetto all’alternativa liquidatoria. Questo cram-down fiscale, attuabile solo in concordato, fa da contrappeso: in sede di PRO l’Erario è libero di non aderire (bloccando di fatto il piano), ma sa che il debitore può innescare subito dopo un concordato in cui la sua opposizione potrebbe essere superata coattivamente dal giudice. Ciò spinge l’Amministrazione a valutare con attenzione la convenienza effettiva del piano PRO. Se il piano offre un pagamento almeno pari (se non superiore) a quello stimato in caso di fallimento, il Fisco ha poco interesse a rifiutare, poiché il debitore potrebbe comunque arrivare allo stesso risultato via concordato, allungando solo i tempi.
In pratica, nella gestione Erario/INPS nel PRO si delineano due possibili scenari:
- Adesione volontaria: l’impresa presenta una proposta di transazione all’Erario (e separatamente una all’INPS) dettagliando la quota di debito che intende pagare (spesso abbattendo sanzioni e interessi, e pagando parzialmente l’imposta) e i tempi di pagamento. Se le Agenzie competenti valutano la proposta conforme alle linee guida ministeriali (conveniente almeno quanto la liquidazione e sostenibile), esprimeranno voto favorevole in classe. In tal caso, la classe dei crediti erariali/previdenziali approva e il PRO procede regolarmente. L’omologazione perfeziona la transazione: i crediti fiscali e contributivi vengono soddisfatti secondo il piano e la parte stralciata è annullata. Ad esempio, se il piano prevede pagamento del 50% del debito IVA, dopo l’omologa l’Agenzia Entrate emetterà il provvedimento di sgravio del restante 50%.
- Mancata adesione: se invece l’Erario (o l’INPS) rifiuta la proposta (voto contrario) e la relativa classe non approva il piano, il PRO non può essere omologato. A questo punto il debitore, entro i termini di legge, può attivare la conversione in concordato e riproporre la medesima proposta di trattamento del debito fiscale al giudice del concordato. In sede di omologazione del concordato, grazie all’art. 88 CCII, il tribunale potrà omologare il piano anche senza il voto favorevole del Fisco, verificando d’ufficio la convenienza della proposta rispetto al fallimento. In pratica, il dissenso del Fisco viene bypassato (cram-down) se il piano è oggettivamente valido. Ciò ovviamente comporta un passaggio procedurale aggiuntivo e qualche ritardo (qualche mese in più), ma consente comunque di realizzare il risanamento senza dare al Fisco un potere di veto finale.
Va notato che l’orientamento delle amministrazioni sta evolvendo: l’Agenzia delle Entrate oggi dispone di Linee guida interne (da ultimo la Circolare 34/E del 2020) che le consentono di aderire a piani di ristrutturazione quando c’è convenienza economica. Inoltre, la legge n. 159/2020 ha istituito presso il MEF una Commissione per valutare le proposte di trattativa fiscale nelle grandi crisi, rendendo il processo decisionale più strutturato. Nella prassi, le risposte dell’Agenzia in sede di transazione fiscale arrivano spesso poco prima dell’udienza di omologa. In un caso concreto (Risposta AE 79/2025), l’Agenzia ha chiarito che, per un creditore fornitore, il diritto di emettere la nota di variazione IVA a seguito del mancato pagamento sorge al momento del decreto di omologa del PRO. Ciò significa che l’Amministrazione considera l’IVA su crediti falcidiati detraibile solo quando il piano diviene definitivo con l’omologa, analogamente a quanto avviene per i concordati e gli accordi. Questo chiarimento conferma la sostanziale equiparazione del PRO alle altre procedure di insolvenza in tema di trattamento fiscale degli insoluti.
In definitiva, i creditori pubblici (Fisco e INPS) rappresentano spesso il “nodo” più difficile in un PRO, ma gli strumenti per gestirli ora esistono. Il suggerimento pratico è di coinvolgere precocemente l’amministrazione finanziaria, presentando magari una bozza di piano e dimostrando (anche con l’ausilio dell’attestatore) che la proposta è il miglior scenario possibile. In alcuni casi, l’adesione del Fisco può essere favorita dal confronto in sede di composizione negoziata della crisi (dove l’esperto può invitare l’ente pubblico al tavolo): se il Fisco intravede che nel PRO potrebbe subire comunque un cram-down, potrebbe preferire negoziare qualche miglioramento e aderire spontaneamente. Dal lato del debitore, è fondamentale strutturare il piano in modo da massimizzare la convenienza per lo Stato (ad esempio destinando alla classe fiscale una quota di risorse sufficiente a superare la soglia di convenienza).
7.3 Fornitori commerciali e altri creditori chirografari. I fornitori dell’impresa (creditori trade) sono solitamente creditori chirografari, spesso numerosi ma con importi individuali inferiori rispetto alle banche. Non di rado sono parti cruciali per la continuazione dell’attività (fornitori di materie prime, servizi essenziali, ecc.) e quindi vanno gestiti con attenzione. Nel PRO, i fornitori costituiranno in genere una o più classi di creditori chirografari. Il trattamento che il piano riserva loro può essere diversificato: il Codice consente di creare classi separate se vi sono differenze significative di posizione o interesse. Ad esempio, si può distinguere tra fornitori strategici (quelli da cui l’impresa vuole continuare ad approvvigionarsi) e fornitori non strategici. I primi potrebbero ottenere una percentuale di soddisfazione maggiore o tempi di pagamento più brevi, in modo da incentivarli a sostenere il piano e a proseguire il rapporto commerciale. Ciò nel rispetto del principio di omogeneità di classe: tutti i fornitori ritenuti strategici vanno trattati in modo analogo, ma possono legittimamente ricevere un dividendo migliore rispetto alla classe dei fornitori generici, se c’è una ragione economica e se entrambe le classi approvano la proposta. Questa è una importante flessibilità del PRO: consente di premiare i partner commerciali su cui si vuole costruire il rilancio, anche in deroga alla par condicio (che imporrebbe uguale trattamento a tutti i chirografari). Naturalmente, ciò richiede trasparenza: il piano deve motivare la differenza di trattamento (tipicamente, “manteniamo buone relazioni con X perché essenziale per la produzione futura, quindi paghiamo X al 40% e gli altri fornitori al 20%”). Se le classi votano a favore, anche i creditori che ricevono meno non potranno opporsi per disparità, essendo una scelta negoziata e concordata.
Dal punto di vista procedurale, i fornitori in un PRO beneficiano di alcune tutele analoghe a quelle del concordato in continuità: innanzitutto, i contratti di fornitura in corso non possono essere risolti dal fornitore per il solo fatto dell’ammissione alla procedura (divieto di patto ipso facto). Il CCII (art. 94) impedisce ai contraenti essenziali di interrompere le forniture per inadempienze pregresse una volta avviata la procedura di regolazione. Ciò garantisce che, ad esempio, un fornitore di utenze o un manutentore necessario non sospenda la sua prestazione mettendo in crisi l’impresa. In cambio, il debitore deve pagare regolarmente le forniture correnti (oneri di esercizio in prededuzione). Nel piano, il debitore può anche decidere di sciogliere (previa autorizzazione del tribunale) alcuni contratti di fornitura non più utili, eventualmente offrendo al fornitore un indennizzo come credito chirografario (art. 97 CCII, applicabile).
Per quanto concerne il recupero dei propri crediti pregressi, i fornitori dovranno confrontarsi con il taglio proposto: ad esempio, il piano potrebbe offrire il 30% dei crediti commerciali, pagato in due tranche annuali. Se la classe dei fornitori approva, quel 30% diviene vincolante e il residuo 70% è remissione di debito. Dal punto di vista fiscale, il fornitore potrà, come detto, emettere la nota di variazione IVA sull’insoluto non appena il piano è omologato, recuperando l’IVA versata allo Stato sulle fatture poi non incassate (un aspetto non trascurabile per i fornitori, che altrimenti subirebbero oltre al danno la beffa di dover versare l’imposta su corrispettivi mai riscossi). L’Agenzia delle Entrate ha equiparato in ciò il PRO al concordato: il diritto alla variazione IVA sorge al momento dell’omologa, perché solo allora l’ammanco diviene definitivo e non più soggetto a “possibile pagamento futuro”.
Vantaggi per i fornitori nel PRO:
- Se l’azienda prosegue l’attività, i fornitori conservano un cliente e la possibilità di guadagno futuro. Ciò spesso li motiva ad accettare un sacrificio sui crediti pregressi pur di non perdere il rapporto commerciale. Un fornitore strategico, vedendosi riconosciuto magari un trattamento di favore (es. pagamento del 50% del suo credito, più la continuità degli ordini), sarà incline a votare sì. Anche i fornitori non strategici, pur tagliati ad es. al 20%, potrebbero preferire incassare quel 20% in tempi ragionevoli piuttosto che attendere anni di fallimento per forse recuperare percentuali irrisorie (spesso zero).
- L’omologazione dà certezza di incassare almeno la percentuale concordata, sotto la vigilanza del commissario. In fallimento, i fornitori chirografari incasserebbero (forse) qualcosa solo alla fine della procedura, con anni di attesa e grande incertezza sull’entità. Nel PRO hanno un orizzonte temporale definito e garanzie di controllo sull’adempimento.
- I fornitori possono partecipare attivamente alle trattative: magari riunendosi in associazioni di categoria o comitati, hanno voce nel piano. Possono presentare osservazioni o richiedere modifiche (p.es. chiedere una percentuale leggermente più alta presentando controproposte durante la votazione). Questo senso di coinvolgimento, assente in una liquidazione giudiziale, spesso porta a soluzioni più eque e condivise.
Possibili criticità:
- I fornitori, specialmente se piccoli, talvolta faticano a comprendere appieno la procedura e a esprimere il voto (magari per inerzia non votano). Il quorum del 50% di partecipazione richiesto per approvare la classe potrebbe richiedere uno sforzo di comunicazione: il commissario e il debitore devono attivarsi per spiegare il piano e sollecitare la partecipazione. Nella prassi, spesso i piccoli creditori non votanti vengono conteggiati come astenuti e, se la maggioranza dei votanti dice sì, la classe passa comunque. In PRO con molti microcreditori può succedere che basti una minoranza attiva di crediti per raggiungere i 2/3 dei votanti e approvare la classe. Ciò va gestito con cautela per evitare contestazioni di scarsa informazione.
- Un numero elevato di fornitori con importi e situazioni eterogenee può rendere necessario suddividerli in più classi, aumentando la complessità (ogni classe in più è un veto potenziale in più). Occorre quindi raggrupparli in modo equilibrato. Ad esempio, separare i fornitori “trade” dai creditori diversi (come i professionisti, o i creditori per danni), oppure isolare eventuali creditori litigiosi in una classe a sé da trattare con un certo riguardo per ottenerne il sì.
- Se il piano è meramente liquidatorio e l’attività cessa, per i fornitori il vantaggio della continuità viene meno. In tal caso, il loro interesse è solo economico: valuteranno se la percentuale offerta supera quella stimata in fallimento. Il PRO liquidatorio può comunque essere preferibile al fallimento perché di norma consente di ridurre i costi (vendite più rapide, niente curatore da mantenere per anni) e quindi di distribuire di più, ma i fornitori potrebbero essere chiamati ad accettare percentuali molto basse. Ad esempio, il Tribunale di Roma ha ammesso un PRO liquidatorio con soddisfacimento chirografi appena dello 0,8%, ritenendo che comunque era superiore allo zero stimato in fallimento. In casi così estremi, convincere i fornitori a votare favorevolmente può essere arduo: occorre far comprendere loro che l’alternativa è nulla e che quell’0,8% è “meglio di niente”. Sorprendentemente, ciò è possibile: se il divario è chiaro, anche percentuali minime possono ottenere il sì di creditori rassegnati. La presenza dell’attestazione indipendente aiuta a far accettare questi dati crudi (il professionista conferma che in fallimento non vi sarebbe ritorno).
In definitiva, il rapporto con i fornitori nel PRO richiede un mix di diplomazia e fermezza. È importante segmentare i fornitori, offrire il giusto bilanciamento di soddisfazione e prospettive future, e comunicare con trasparenza. L’esperienza insegna che molte PMI creditrici preferiscono una soluzione concordata, magari con un incasso parziale ma rapido, piuttosto che intraprendere vie giudiziarie lunghe e dall’esito incerto. Il PRO, offrendo loro un ruolo (seppur limitato) nel procedimento e prospettive di continuità, può guadagnarne il favore, come testimoniato dalle prime applicazioni in cui le classi dei fornitori hanno generalmente approvato i piani proposti.
8. Omologazione forzosa e conversione in concordato preventivo
Come evidenziato, il PRO richiede l’approvazione di tutte le classi di creditori affinché il tribunale possa procedere all’omologazione. Ci si può chiedere cosa accade se tale unanimità (per classi) non viene raggiunta, e se esistano strumenti di “omologazione forzosa” nel caso di classi dissenzienti. A differenza del concordato preventivo – dove, in base alla Direttiva UE, sono state introdotte regole di cram-down interclassi (c.d. ristrutturazione trasversale) che permettono l’omologa anche con classi contrarie, a certe condizioni – nel PRO non è previsto un meccanismo di cram-down sulle classi dissenzienti. Il principio ispiratore del PRO è che solo il consenso di tutte le classi giustifica le ampie deroghe concesse; pertanto, se una classe di voto non approva, il piano non è omologabile (salvo il controllo di convenienza sul singolo opponente di cui si dirà). In tali circostanze, l’ordinamento offre al debitore due strade: (i) convertire la procedura di PRO in una procedura di concordato preventivo “ordinario” (ove vigono regole di maggioranza diverse e strumenti di cram-down), oppure (ii) subire le conseguenze del caso (possibile apertura della liquidazione giudiziale su istanza di creditori o d’ufficio, se insolvente). Vediamo i dettagli.
8.1 Conversione del PRO in concordato preventivo. L’art. 64-ter CCII disciplina la mancata approvazione di tutte le classi. Se dal verbale del commissario risulta che una o più classi hanno respinto la proposta, il tribunale, su istanze dei creditori o in presenza dei presupposti, potrebbe dichiarare aperta la liquidazione giudiziale (fallimento). Ciò avverrebbe se, ad esempio, vi fossero già pendenti istanze di fallimento e il debitore fosse insolvente. Ma la legge offre al debitore un’opportunità per evitare il fallimento immediato: presentare istanza di concordato preventivo in sostituzione del PRO. Il comma 1 dell’art. 64-ter (come risultante dopo i correttivi) stabilisce che “se il piano non è approvato da tutte le classi […], il debitore può modificare la domanda formulando una proposta di concordato preventivo e chiedendo che il tribunale pronunci il decreto di apertura del concordato”. In pratica, entro un breve termine (non espressamente indicato nel testo definitivo, ma ragionevolmente pochi giorni dall’esito negativo delle votazioni), il debitore può depositare un atto di modifica della procedura: invece di perseguire l’omologa del PRO, chiede l’ammissione al concordato preventivo sulla base di un nuovo ricorso.
Questa conversione procedurale avviene in modo relativamente snello: il debitore può allegare la medesima documentazione già prodotta (piano, attestazione, ecc.), eventualmente adeguandola ai requisiti del concordato. Il tribunale, dal canto suo, provvede a emettere il decreto di apertura del concordato preventivo (ex art. 47 CCII) nominando un nuovo commissario o confermando quello in carica, e la procedura prosegue come concordato normale. L’art. 64-quater CCII – che disciplina lo switch inverso, da concordato a PRO – specifica che anche il passaggio contrario è possibile: un debitore che aveva presentato domanda di concordato preventivo può chiedere l’omologazione di un PRO finché non sono iniziate le operazioni di voto di quel concordato. Dunque la legge consente una notevole flessibilità: l’imprenditore può “cambiare rotta” a seconda dell’evoluzione delle trattative. Ad esempio, se durante il concordato scopre di poter ottenere il consenso di tutte le classi (magari grazie a un apporto di risorse aggiuntive), può virare sul PRO per beneficiare delle sue deroghe; viceversa, se nel PRO una classe si blocca, può ripiegare sul concordato per sfruttare il diverso quorum di maggioranza.
8.2 Omologazione forzosa nel concordato preventivo (cram-down). Una volta convertito il PRO in concordato, si applicano le regole proprie di quest’ultimo. Il concordato preventivo, soprattutto dopo le modifiche del 2022-2024, dispone di meccanismi di omologazione anche in mancanza di unanimità che il tribunale può utilizzare. In particolare:
- Se il concordato è in continuità aziendale, l’art. 112 CCII (come modificato dal D.Lgs. 83/2022) prevede che è sufficiente il voto favorevole di tutte le classi di creditori votanti per l’approvazione; tuttavia, se una o più classi votano contro, il tribunale può comunque omologare il concordato sfruttando il cross-class cram-down qualora: (i) la proposta sia stata approvata da almeno una classe di creditori “non inferiore” (ovvero di grado di prelazione pari o superiore) rispetto a quella dissenziente; (ii) le classi dissenzienti siano soddisfatte nel rispetto della regola della priorità assoluta sul valore di liquidazione e della priorità relativa sull’eventuale surplus (in sostanza, i creditori dissenzienti non devono ricevere meno di quanto spetterebbe loro sui valori di liquidazione e non devono subire che classi di rango inferiore ottengano trattamenti migliori). Se queste condizioni sono soddisfatte, il tribunale può forzare l’omologazione nonostante il voto contrario di una o più classi. Si tratta di una novità che rende il concordato uno strumento molto duttile: ad esempio, se in sede di conversione da PRO la classe dei creditori chirografari “fornitori” resta contraria ma la classe dei “banche” (di rango superiore) ha approvato ed essi ricevono almeno quanto le banche in percentuale sul surplus, il giudice potrà omologare il concordato comunque. Il PRO, invece, non avrebbe potuto superare il veto di quella classe fornitori.
- Indipendentemente dalle classi, per qualsiasi concordato (anche liquidatorio) vige il test del miglior soddisfacimento analogo a quello del PRO: nessun creditore dissenziente può essere trattato peggio che in fallimento. Questa regola è ormai generale e sostituisce la vecchia soglia del 40% (abrogata). Dunque anche in concordato, come in PRO, l’eventuale creditore opponente può far valere il confronto con la liquidazione giudiziale: ma se ciò accade, il tribunale potrà comunque omologare il concordato forzosamente se verifica che quel creditore prende almeno quanto la sua liquidation value. Nel PRO avevamo visto la medesima tutela, con la differenza che nel concordato il giudice può applicarla in via di cram-down, mentre nel PRO la presenza di un oppositore dissenziente che avesse ragione blocca l’omologa.
- Specificamente per i creditori pubblici (Fisco e INPS), nel concordato preventivo l’art. 88 CCII consente il cram-down fiscale: qualora l’Erario o l’ente previdenziale abbia votato no ma la proposta a loro rivolta rispetti i criteri di legge (convenienza e completezza documentale), il tribunale può omologare lo stesso, rendendo efficace la transazione fiscale senza l’assenso dell’ente. È esattamente il rimedio che il debitore del PRO sfrutta convertendo la procedura se il Fisco non aderisce in sede di PRO. In concordato, infatti, il potere di veto del Fisco è stato attenuato dal legislatore proprio per evitare situazioni di stallo irragionevoli.
In sintesi, la conversione del PRO in concordato preventivo è la valvola di sicurezza che evita che il fallimento diventi l’unica opzione in caso di dissenso di qualche classe. Attraverso la conversione, il debitore rinuncia ai vantaggi specifici del PRO (deroghe a par condicio integrale, niente soglie minime, ecc.) ma guadagna l’accesso agli strumenti di omologazione forzata ora disponibili nel concordato. Di regola, il piano concordatario dopo la conversione sarà molto simile a quello già proposto nel PRO, eventualmente con qualche aggiustamento per rispettare le regole di classe del concordato (ad esempio, potrebbe dover prevedere che i creditori chirografari dissenzienti ricevano almeno il 20% se concordato liquidatorio, salvo esenzioni per finanza esterna – soglia che nel PRO non c’era). Il procedimento ricomincia con nuove votazioni (anche se accelerate: la legge prevede termini dimezzati per le votazioni post-conversione), oppure – se c’era già ampio consenso nel PRO tranne una classe – le adesioni raccolte possono essere fatte valere anche nel concordato. Ad esempio, se nel PRO 4 classi su 5 avevano votato sì, nulla vieta che nel concordato quelle stesse 4 classi riconfermino rapidamente il voto favorevole, e il giudice imponga il cram-down sulla quinta classe. In tal modo, si giunge all’omologazione finale nel quadro del concordato preventivo.
8.3 Controllo di convenienza e opposizione del creditore dissenziente. Prima di chiudere, va ribadito un aspetto del PRO stesso: anche nel PRO, se tutte le classi approvano ma un singolo creditore appartenente a una classe approvata propone opposizione contestando la convenienza, il tribunale deve verificarne le ragioni. Se quel creditore dimostra che la sua percentuale di soddisfo nel piano è inferiore a quella fallimentare, il tribunale non omologa il PRO. Questo non è un cram-down, bensì il rispetto di un limite. In caso invece di esito positivo della verifica (cioè il creditore riceve almeno pari al fallimento), il tribunale rigetta l’opposizione e omologa comunque il PRO, pur contro la volontà di quel creditore. Si potrebbe definire questa una forma di “omologa forzata individuale”, limitata al singolo opponente (analoga a quanto avviene nel concordato). Il legislatore ha voluto evitare che un piano conveniente per i creditori nel complesso possa danneggiare uno di essi oltre il lecito. Tale norma però, come sottolineato in dottrina, genera un’apparente incoerenza: da un lato il PRO lascia libertà di derogare alle prelazioni e quindi, ad esempio, di offrire a un creditore ipotecario anche meno del valore del bene dato in garanzia; dall’altro, se quel creditore protesta, l’omologa va negata. Ciò di fatto obbliga il debitore, se vuole evitare rischi, a rispettare i “valori di realizzo” almeno per i creditori privilegiati chiave, vanificando in parte la libertà teorica di falcidia. Questa incoerenza concettuale si risolve, nella prassi, con un accorto calcolo economico: il piano PRO deve prevedere per ogni creditore dissenziente potenziale almeno il dividendo fallimentare, cosicché l’eventuale opposizione possa essere superata. E infatti, nelle prime omologhe di PRO avvenute, i tribunali hanno riscontrato la soddisfazione conforme o superiore al caso liquidatorio e hanno omologato rigettando le opposizioni (ove sollevate) dei creditori contestatori.
In definitiva, la “forzosità” nel PRO si manifesta soprattutto come flessibilità di passaggio al concordato preventivo. Non a caso ci si domanda se servisse introdurre un istituto a sé come il PRO quando, in ultima analisi, i casi di dissenso si risolvono dentro il concordato: ma quando invece il PRO riesce ad ottenere il consenso richiesto, allora dà risultati che il concordato classico non avrebbe potuto raggiungere (ad esempio distribuzioni non proporzionali alle prelazioni o percentuali ai chirografari inferiori ai minimi). Sta all’abilità del professionista valutare in quali situazioni sia opportuno tentare il PRO e in quali sia meglio ripiegare da subito su un concordato (o su un accordo). Il quadro normativo attuale, comunque, offre percorsi comunicanti e una rete di sicurezza: la conversione evita che il fallimento sia l’esito inevitabile di un PRO non approvato all’unanimità, mantenendo aperta la strada del risanamento attraverso altri strumenti.
9. Confronto con altri strumenti di soluzione della crisi
Vediamo ora, in sintesi, i vantaggi e svantaggi del Piano di Ristrutturazione Omologato rispetto ad altri strumenti affini previsti dall’ordinamento: in particolare gli accordi di ristrutturazione dei debiti, il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio e la liquidazione giudiziale (il “fallimento” secondo la nuova terminologia).
9.1 PRO vs Accordi di ristrutturazione dei debiti. Gli accordi di ristrutturazione dei debiti (ADR) sono accordi negoziali tra l’imprenditore e una parte qualificata dei creditori, omologati dal tribunale ex art. 48 CCII (già art. 182-bis l.fall.). A differenza del PRO, essi sono essenzialmente contratti: pur avendo l’omologazione, vincolano solo i creditori aderenti (salvo estensioni particolari) e non coinvolgono un commissario o classi di voto. I punti di confronto:
- Consenso richiesto: negli ADR ordinari è necessario l’accordo con almeno il 60% dei crediti totali. Ciò significa che una minoranza del 40% può restare fuori dall’accordo, e i suoi crediti devono essere pagati integralmente o comunque non pregiudicati (altrimenti farebbe fallire l’operazione). Nel PRO, teoricamente, potrebbe bastare poco più del 50% in ogni classe, il che in certe configurazioni equivale anche a circa il 50% dei crediti totali o meno. Ad esempio, se l’impresa ha creditori finanziari (classe A) e trade (classe B) ciascuna al 50% del passivo, basterebbe il sì del 50%+1 di A e del 50%+1 di B (ossia circa il 25%+1 + 25%+1 = poco più del 50% del totale) perché il PRO sia approvato. Un ADR, invece, richiederebbe almeno il 60%. Quindi il PRO può risultare più “facile” da approvare in termini di soglia numerica di consenso. Inoltre, l’ADR non vincola i dissenzienti: se anche ho il 75% di adesioni, il 25% fuori accordo può agire liberamente salvo pagarlo per intero. Nel PRO, se una classe raggiunge la maggioranza legale, il dissenso minoritario in quella classe viene superato. In sostanza, il PRO vincola tutti i creditori (anche non aderenti) entro le classi votate a maggioranza, mentre l’accordo vincola solo i firmatari. Questo è forse il vantaggio principale: il PRO assicura una soluzione universale e definitiva, mentre l’accordo può lasciare fuori sacche di resistenza. Certo, esistono ADR “ad efficacia estesa” dove, se il 75% delle banche firma, il giudice estende ai dissenzienti bancari (art. 61 CCII), ma resta un ambito limitato ai finanziari omogenei. Il PRO invece può riguardare tutte le categorie di creditori in un unico contesto.
- Formalità e costi: un accordo di ristrutturazione è meno formalizzato: non c’è commissario né votazione, il controllo del tribunale è limitato alla legalità e meritevolezza. Anche i costi possono essere inferiori (non ci sono spese di procedura, solo advisor e attesti). Il PRO comporta una procedura concorsuale, quindi ha costi (commissario, contributo unificato maggiore) e formalità (depositi in tribunale, udienze). Un debitore con pochi creditori grandi potrebbe preferire l’accordo per risparmiare tempo e costi burocratici. Al contrario, se i creditori sono molti e disorganizzati, il PRO offre una piattaforma ordinata con tempi cadenzati e decisione a maggioranza, che può paradossalmente risultare più efficiente che raccogliere decine di firme contrattuali.
- Gestione dell’attività: durante le trattative per un accordo, il debitore è privo di protezione automatica salvo chiedere misure cautelari specifiche. Nel PRO, come visto, le misure protettive sospendono le azioni esecutive e cautelari dei creditori, creando una moratoria generale che tutela il patrimonio. Questo può essere un netto vantaggio se si temono iniziative aggressive di alcuni creditori. È vero che il CCII consente anche nell’ADR di ottenere misure protettive in via d’urgenza (art. 54 CCII) ma sono concesse solo quando l’accordo è già imminente e comunque hanno durata limitata. Il PRO, essendo procedura aperta, garantisce la piena protezione per tutta la sua durata.
- Deroghe di sistema: un accordo di ristrutturazione non consente di derogare all’ordine delle cause di prelazione: un creditore ipotecario non aderente va pagato integralmente, e anche tra aderenti di rango diverso non si può alterare le priorità senza il consenso di ciascuno. Nel PRO, invece, come abbiamo analizzato, è possibile far accettare a creditori privilegiati un pagamento non integrale purché la classe lo approvi e non vi siano opposizioni fondate. Il PRO quindi permette soluzioni non strettamente conformi alle priorità legali (absolute priority rule), mentre un ADR in pratica richiede di rispettarle o di ottenere l’adesione individuale del privilegiato a qualunque deroga. Ad esempio, se si vuole pagare i fornitori al 10% e le banche ipotecarie al 70%, in un accordo occorre che tutte le banche accettino di rinunciare al restante 30% (cosa contro il loro diritto di prelazione); nel PRO basta che la classe banche approvi a maggioranza quell’offerta del 70%, e diviene vincolante anche per eventuali banche dissenzienti in minoranza. Dunque, per operazioni di haircut dei crediti privilegiati, il PRO offre maggiore certezza di attuazione.
- Coinvolgimento del tribunale: qualcuno potrebbe considerare vantaggioso evitare l’alea di un giudizio di omologazione complesso. Negli accordi, l’omologa è di solito meno controversa (non essendoci voti, ci sono solo eventuali opposizioni di creditori estranei per lesione, ma se questi sono pagati integralmente non hanno motivo di opporsi). Nel PRO, l’omologa può veder contrapposizioni in tribunale (creditori oppositori, valutazioni di convenienza, ecc.). D’altro canto, l’intervento del tribunale dà titolo esecutivo al piano e certezza legale. Dipende dai punti di vista: alcuni imprenditori e creditori preferiscono la “privacy e autonomia” di un accordo (niente pubblicità concorsuale, negoziazione confidenziale), altri preferiscono la “ufficialità e trasparenza” del PRO (tutti sono coinvolti alla luce del sole, con controllo giudiziale).
In generale, il PRO risulta più utile quando l’impresa ha molti creditori eterogenei e non sarebbe possibile ottenerne il consenso individuale (specialmente piccoli creditori o creditori pubblici), oppure quando occorre imporre la manovra anche a qualche soggetto dissenziente. Se invece i creditori sono pochi e omogenei (ad es. solo banche), l’accordo di ristrutturazione può bastare ed è meno gravoso. Non a caso, dottrina e prassi vedono il PRO come uno strumento a metà tra l’accordo e il concordato, che cerca di unire i pregi di entrambi: la volontarietà tipica dell’accordo e la forza erga omnes tipica del concordato.
9.2 PRO vs Concordato semplificato (per la liquidazione del patrimonio). Il concordato semplificato è una procedura speciale, introdotta in via temporanea dal D.L. 118/2021 e ora stabilizzata nel CCII (art. 25-sexies), riservata ai casi in cui la composizione negoziata della crisi non abbia prodotto soluzioni e l’imprenditore intenda liquidare il patrimonio sotto controllo del tribunale. Si chiama “semplificato” perché non prevede votazione dei creditori: il piano di liquidazione viene presentato direttamente al giudice, il quale, sentiti i creditori, decide se omologarlo. È quindi uno strumento autoritativo, pensato per situazioni di dissesto dove non c’è tempo né modo di negoziare con i creditori (tipicamente piccole imprese senza prospettive di continuità). Il confronto con il PRO evidenzia:
- Natura e finalità: il concordato semplificato è possibile solo per liquidare i beni, non per ristrutturare e proseguire l’attività. Il PRO invece può essere utilizzato sia per liquidare sia per risanare in continuità. Pertanto, il PRO è molto più flessibile e adatto a perseguire la continuità aziendale, mentre il concordato semplificato è confinato ai casi in cui l’impresa cessa l’attività e si limita a distribuire il ricavato ai creditori. Se l’obiettivo è salvare l’azienda, il PRO (o il concordato preventivo ordinario) sono gli strumenti appropriati; il concordato semplificato è l’extrema ratio quando si vuole evitare il fallimento ma non c’è speranza di salvare l’impresa come going concern.
- Coinvolgimento dei creditori: nel concordato semplificato i creditori non votano e subiscono passivamente le decisioni del tribunale. Essi possono solo presentare delle osservazioni all’udienza, ma non hanno il potere di bocciare il piano. Nel PRO, come visto, i creditori hanno un ruolo attivo fondamentale: devono approvare il piano per renderlo efficace. Questo può essere visto come uno svantaggio (il debitore deve “convincere” i creditori, processo non richiesto nel semplificato) ma è anche un vantaggio in termini di condivisione e legittimazione: un piano approvato dai creditori sarà più facilmente accettato e sostenuto, anche psicologicamente, mentre un piano imposto potrebbe generare più contenziosi o malcontento. Inoltre, il PRO permette soluzioni concordate – magari integrando risorse ulteriori – che aumentano la soddisfazione dei creditori rispetto alla pura liquidazione. Nel concordato semplificato, invece, i creditori subiscono spesso percentuali minime decise dal debitore e validate dal giudice, senza possibilità di ottenere di più.
- Esiti per l’imprenditore: con il PRO, se l’azienda è risanabile, l’imprenditore può conservarne la proprietà e proseguire l’attività (magari ristrutturata) dopo l’omologa, beneficiando dell’esdebitazione. Con il concordato semplificato, l’imprenditore chiude l’impresa e vede il patrimonio liquidato; potrà ottenere l’esdebitazione solo se persona fisica (applicando l’istituto di esdebitazione post-liquidazione), ma la sua attività economica cessa. Per un imprenditore che abbia prospettive di rilancio, il PRO è nettamente preferibile perché consente di dare continuità all’impresa (o a parte di essa, tramite cessione a terzi). Il concordato semplificato è pensato per chiudere dignitosamente un’azienda senza passare dal fallimento, ma non per salvarla.
- Rapidità e semplicità procedurale: come indica il nome, il concordato semplificato è molto rapido: la legge richiede che entro 60 giorni dalla segnalazione dell’esperto di composizione negoziata che non vi sono soluzioni, il debitore depositi il piano liquidatorio, e l’omologa avviene in tempi brevi poiché non c’è fase di voto. Il PRO è più articolato (ci vogliono alcuni mesi per arrivare a voto e omologa). Dunque, se l’esigenza primaria è chiudere la crisi in fretta minimizzando i passaggi, il concordato semplificato può risultare vincente. In pratica, per piccole imprese molto indebitate dove è chiaro che i creditori non recupereranno granché, il semplificato evita di far perdere ulteriore tempo e denaro in procedure lunghe: si liquidano i beni e si volta pagina. Il PRO richiede un minimo di struttura in più, giustificabile però quando si spera di ottenere un risultato migliore di un mero realizzo.
- Grado di soddisfacimento dei creditori: nel concordato semplificato, non essendoci soglie di legge né voto, potrebbe teoricamente essere riconosciuto anche un dividendo bassissimo ai chirografari (simile all’esempio di PRO liquidatorio con 0,8%). Il tribunale omologante valuterà comunque la convenienza rispetto al fallimento, quindi implicitamente chiede che ciò che viene offerto ai creditori sia il massimo ricavabile dal patrimonio. In un PRO liquidatorio, la stessa logica di convenienza opera tramite il voto e il controllo finale. In sostanza, se l’obiettivo è solo liquidare e i creditori comunque prendono quel che c’è, entrambi gli strumenti tendono al medesimo esito economico. Ma il PRO, coinvolgendo i creditori e potendo integrare risorse terze (ad esempio un apporto di un socio per convincere le classi), potrebbe portare a un esito economico migliore per i creditori. Nel concordato semplificato non c’è incentivo per l’imprenditore ad aggiungere risorse proprie (se non etico): non dovendo cercare voti, può limitarsi a offrire il solo ricavato dei beni. Nel PRO, per ottenere il voto, spesso il debitore è spinto a offrire qualcosa in più (finanza esterna, garanzie personali, ecc.), il che è vantaggioso per i creditori.
In conclusione, il concordato semplificato è uno strumento di nicchia, applicabile a situazioni di crisi conclamata in cui manca il tempo o la possibilità di un accordo. Il PRO è decisamente più versatile e può portare a soluzioni di maggior soddisfazione e con minori impatti sociali (si pensi alla continuità dei posti di lavoro, impossibile nel semplificato). Il vantaggio del semplificato sta nella sua facilità di utilizzo quando tutto il resto fallisce: niente maggioranze da costruire, niente commissario, solo la buona fede del debitore e la convenienza obiettiva del piano rispetto alla liquidazione fallimentare. Per questo il semplificato è visto come ultima spiaggia all’esito di una composizione negoziata infruttuosa, mentre il PRO è uno strumento prima da tentare se ci sono margini di accordo. Un imprenditore lungimirante proverà prima il percorso negoziale/PRO; solo se i creditori sono totalmente indisponibili e la situazione è disperata, ricorrerà al semplificato per evitare il fallimento puro.
9.3 PRO vs Liquidazione giudiziale (fallimento). Infine, un confronto con la liquidazione giudiziale (il vecchio fallimento) è doveroso, poiché questa rimane la procedura “competitor” di qualsiasi tentativo di composizione. La liquidazione giudiziale è la procedura concorsuale esecutiva per eccellenza: i beni del debitore vengono liquidati da un curatore nominato dal tribunale e il ricavato distribuito ai creditori secondo le cause di prelazione, sotto la vigilanza di un giudice delegato e di un comitato creditori. È la strada che si percorre quando non vi sono percorribili soluzioni di risanamento. I vantaggi del PRO rispetto alla liquidazione giudiziale sono molteplici:
- Migliore soddisfazione dei creditori: in un PRO, la percentuale di recupero per i creditori tende ad essere superiore a quella di un fallimento. Ciò perché il PRO riduce i costi della procedura (evitando le lungaggini e le spese generali di un fallimento pluriennale) e perché può preservare valore (ad es. vendendo l’azienda in funzionamento piuttosto che frammentarne gli asset all’asta). Studi empirici mostrano che nei fallimenti tradizionali i creditori chirografari recuperano spesso una frazione minima e dopo molti anni. Nel PRO, se ben congegnato, i creditori possono ottenere somme maggiori e in tempi più brevi. Anche la legge ne è consapevole: richiede infatti che ogni creditore riceva col PRO almeno quanto riceverebbe in fallimento. Questo si traduce in pratica in un vantaggio concreto: se il piano non può offrire almeno qualcosa in più ai creditori rispetto al fallimento, difficilmente verrà approvato. Dunque, solo i piani con effettiva convenienza vanno avanti, migliorando l’outcome dei creditori.
- Tempi più rapidi e certezza dell’esito: una liquidazione giudiziale può durare molti anni (anche oltre 5-10 anni per procedure complesse), durante i quali i creditori ricevono acconti esigui e devono attendere la chiusura per la ripartizione finale. Il PRO, per legge, deve concludersi in 12 mesi con l’omologa, e l’esecuzione del piano tipicamente avviene in 1-3 anni (a seconda delle dilazioni previste). Ciò significa che i creditori vedono moneta in tempi molto più brevi. Inoltre, il PRO fissa ex ante ciò che i creditori avranno (es. 30% in 2 anni): c’è certezza dell’esito, mentre nel fallimento i creditori non sanno se prenderanno il 5% o il 20% finché non si vendono tutti i beni, e vivono nell’incertezza.
- Salvaguardia del valore d’impresa: il PRO in continuità consente di evitare l’interruzione dell’attività, con vantaggi per tutti: l’azienda continua a produrre reddito, i lavoratori mantengono il posto, i fornitori continuano a fornire, lo Stato continua a incassare imposte. Nel fallimento, spesso l’impresa viene spenta, o comunque perde valore (clienti che se ne vanno, know-how disperso). Anche nei fallimenti con esercizio provvisorio, la stigma porta alla perdita di fiducia del mercato. Il PRO, essendo percepito come un concordato di risanamento, attenua lo stigma: benché pubblico, comunica che l’azienda sta cercando di risollevarsi. Questo può preservare contratti e avviamento. Nel caso di vendite, un PRO “porta in dote” un’azienda ancora viva che può essere ceduta a un investitore migliore di quanto farebbe un curatore fallimentare con un’azienda spenta.
- Minori effetti negativi per l’imprenditore: subire un fallimento comporta per l’imprenditore (specie persona fisica o piccolo socio di s.r.l.) conseguenze pesanti: incapacità personali (come interdizioni da incarichi, perdita dei requisiti di onorabilità per cariche societarie), possibile apertura di procedimenti penali (bancarotta) se emergono irregolarità, stigma reputazionale. Il PRO evita la dichiarazione di fallimento e queste conseguenze. Anzi, il CCII prevede espressamente che se l’imprenditore attua un piano di risanamento concordato, egli non incorre in alcuni reati fallimentari, come la bancarotta semplice e preferenziale, in relazione agli atti compiuti durante la procedura. C’è dunque una “uscita pulita” dalla crisi: il debitore non è un fallito, ma uno che ha trovato un accordo con i creditori. Questo può essere vitale per la sua capacità di restare nell’economia attiva (si pensi a un piccolo imprenditore individuale: col fallimento subirebbe l’interdizione e la pubblicazione come fallito; col PRO esce esdebitato senza queste macchie).
- Governance del processo: nella liquidazione giudiziale i creditori contano poco – eleggono il comitato dei creditori ma le decisioni chiave (vendite, ecc.) sono in mano al curatore e al giudice. Nel PRO, i creditori decidono attivamente il loro destino votando sul piano e possono negoziare migliori condizioni. Questo engagement può portare a risultati più efficienti e condivisi. D’altro canto, il PRO consente al debitore di mantenere il controllo dell’azienda (sorvegliato dal commissario) durante la procedura, mentre nel fallimento la governance passa al curatore. Per un imprenditore che abbia ancora energie e piani, il PRO dà la chance di condurre lui stesso il risanamento, anziché consegnare tutto nelle mani di terzi.
In definitiva, la liquidazione giudiziale dovrebbe rappresentare l’ultima risorsa, da percorrere solo se falliscono tutti gli strumenti negoziali (PRO, concordati, accordi) o se l’imprenditore non è meritevole. Il PRO offre una via per evitare il fallimento, garantendo comunque il rispetto della par condicio in senso sostanziale (nessun creditore sta peggio che in fallimento) ma con la possibilità per tutti di stare meglio. La ratio stessa del PRO e della Direttiva UE è di evitare liquidazioni disordinate di imprese potenzialmente vitali, e quindi di massimizzare la soddisfazione dei creditori rispetto a ciò che otterrebbero dal fallimento. Solo quando un PRO non è praticabile (per mancanza di consensi o perché l’impresa è totalmente decotta) si farà luogo alla liquidazione giudiziale. Non sorprende dunque che nei casi sinora registrati di PRO, i tribunali abbiano sottolineato la funzione “di rottura” del PRO rispetto al sistema tradizionale: esso può dirottare accordi che altrimenti sarebbero sfociati in fallimenti, offrendo una soluzione mediata certamente preferibile per tutte le parti.
10. Criticità e orientamenti della dottrina
Fin dalla sua introduzione, il PRO è stato oggetto di dibattito dottrinale. Da un lato, è stato accolto come un’innovazione positiva, in linea con il diritto europeo, che colma un vuoto degli strumenti italiani; dall’altro lato, alcuni autori ne hanno criticato la necessità e messo in luce possibili incoerenze.
10.1 “Serviva davvero una nuova procedura?” – Molti commentatori si sono chiesti se l’introduzione del PRO, accanto agli accordi di ristrutturazione e al concordato preventivo, fosse realmente necessaria. Si è osservato che, nonostante i numerosi vantaggi del PRO, si tratta dell’ennesima procedura di crisi collocata “a metà” tra quelle esistenti, e ciò potrebbe confliggere con l’obiettivo di semplificare e razionalizzare il quadro normativo. In particolare, Cipolla e Ferrari hanno rilevato come il PRO rischi di duplicare strumenti già noti: i suoi elementi negoziali riprendono gli accordi ex art. 182-bis, mentre quelli pubblicistici e coattivi richiamano il concordato. La domanda retorica “…ma serviva davvero una nuova procedura?” esprime il timore che si sia complicato il sistema anziché semplificarlo.
Questa perplessità va contestualizzata: il legislatore delegato ha introdotto il PRO soprattutto per recepire l’art. 11 della Direttiva UE (che chiedeva uno strumento di ristrutturazione totale con consenso di tutte le parti interessate). Dunque, dal punto di vista formale, il PRO era richiesto a livello europeo. Tuttavia, alcuni ritengono che avrebbe potuto essere implementato all’interno del concordato preventivo come modalità particolare (ad esempio, un concordato con unanimità di classi e maggior flessibilità distributiva), senza creare una categoria a parte. Il fatto che poi il PRO stesso rinvii massicciamente alle norme del concordato e che preveda la convertibilità reciproca con esso conferma l’intimo legame e la sovrapposizione tra i due istituti.
10.2 Incoerenze distributive e limiti del controllo giudiziario. Un punto di discussione dottrinale è l’apparente incoerenza nella disciplina delle deroghe alle prelazioni: il PRO offre libertà di sovvertire la par condicio, ma poi subordina l’omologa alla verifica che nessun creditore opponente prenda meno che in liquidazione. Come spiegato (§6.1 e §8.3), ciò significa che il debitore può nel piano proporre di pagare un creditore privilegiato meno del valore del suo bene, ma se quel creditore si oppone, il giudice dovrà negare l’omologa, vanificando la proposta. La dottrina (ancora Cipolla et al.) ha evidenziato questa “sorta di incoerenza” del Codice: da un lato concede mano libera al debitore, dall’altro gliela toglie di fatto col controllo di convenienza. Si tratta, va detto, di un’incoerenza solo apparente: il legislatore unionale voleva che i piani potessero derogare alle priorità se tutti i coinvolti erano consenzienti, ma voleva anche salvaguardare i dissenzienti isolati. In pratica, il trade-off è stato risolto così: ok alle deroghe, ma non a discapito di chi contesta. La prassi dovrà quindi bilanciare queste istanze caso per caso. Ad oggi, i tribunali tendono a non omologare se un creditore privilegiato lamenta fondatamente un trattamento deteriore rispetto al fallimento – come è giusto – ma nello stesso tempo cercano di interpretare le regole in modo sistematico. Ad esempio, il Tribunale di Roma (decr. 3 luglio 2024) ha chiarito che nel PRO liquidatorio non si applicano le soglie minime di soddisfo del concordato (20%), proprio in ragione dell’assenza di richiamo dell’art. 84, co.4 CCII. Ciò ribadisce la volontà di lasciare libere le parti di concordare anche percentuali bassissime. All’opposto, gli stessi giudici sottolineano che il controllo di convenienza ex art. 64-bis, co.8 CCII garantisce comunque che quelle percentuali non siano inferiori a quelle fallimentari, evidenziando che in un caso è stata ritenuta ammissibile una soddisfazione chirografi dello 0,8% perché comunque superiore allo 0% stimato in fallimento. In altre parole, la “libertà” del PRO è spinta al limite, ma tenuta al guinzaglio da un estremo controllo di razionalità economica.
10.3 Complessità applicativa e casi d’uso limitati. Alcuni operatori ritengono che il PRO sarà utilizzato solo in pochi casi particolari e che la maggior parte delle crisi continueranno a risolversi tramite concordati o accordi. Le ragioni addotte sono:
- La difficoltà di ottenere il voto favorevole di tutte le classi: costruire un consenso di classe unanime è un onere non indifferente. Se c’è forte conflittualità tra categorie di creditori (es. banche vs fornitori), è improbabile avere tutte classi allineate. In tali situazioni, si preferirà andare in concordato preventivo e sfruttare il cram-down su eventuali classi dissenzienti. Dunque il PRO si adatta a crisi dove la contrapposizione principale è tra debitore e creditori, ma non tra gruppi di creditori. Se invece ci sono spaccature intercreditori, il PRO rischia di fallire. In pratica potrebbe funzionare meglio in aziende con pochi “blocchi” di creditori (es. banche e fornitori coesi internamente) piuttosto che con molteplici interessi divergenti.
- Il PRO richiede la presenza di un piano concordatario solido (documentato, attestato, ecc.): molte piccole imprese in crisi non hanno le risorse per predisporre un piano del genere e magari preferiscono procedimenti più snelli come il concordato semplificato. In effetti, nei primi casi, i PRO depositati hanno riguardato società di medie dimensioni assistite da advisor qualificati.
- La sovrapposizione con il concordato: con la riforma del 2022, il concordato preventivo in continuità è divenuto molto più flessibile (introduzione del cram-down, priorità relativa sul going concern, classi facoltative). Ciò riduce il “vantaggio competitivo” del PRO. Se prima il concordato imponeva rigide absolute priority e soglie, ora consente alcune deviazioni (priorità relativa sul surplus, pagamento non integrale di garantiti con loro consenso, ecc.). Lo spazio di applicazione peculiare del PRO si restringe: essenzialmente, il PRO serve a bypassare le soglie di legge (es. il 20% ai chirografari in liquidatorio) e a coinvolgere il fisco su base volontaria (in attesa di cram-down in conc). Per il resto, un concordato ben strutturato può ottenere risultati similari. Per questo qualcuno paventa che il PRO possa rivelarsi un istituto usato di rado, quando un concordato basterebbe nella maggior parte dei casi.
- Duplicazione procedurale: come visto, spesso un PRO non riuscito si converte in concordato. Questo “doppio passaggio” può comportare un aumento di costi e tempi complessivi (nonostante i termini ridotti in conversione). Alcuni creditori potrebbero obiettare alla scelta iniziale del debitore di tentare il PRO se appare improbabile: ad esempio, “perché hai fatto perdere tempo con un PRO sapendo che la tal classe non sarebbe mai stata d’accordo, invece di fare direttamente un concordato con cram-down?”. Questa critica può emergere in contenziosi. Di converso, se un debitore sceglie subito il concordato per non rischiare, gli si potrebbe rimproverare di non aver provato a massimizzare il valore come invece un PRO avrebbe potuto fare (specie su prelazioni). In pratica c’è il rischio di incertezza strategica: la coesistenza di tanti strumenti può generare discussioni su quale fosse più adeguato in un caso concreto, con possibili contestazioni di abuso dello strumento sbagliato.
10.4 Prime applicazioni giurisprudenziali. Nei primi mesi dall’entrata in vigore (secondo semestre 2022 – 2023) si sono registrati alcuni casi di PRO, principalmente con finalità liquidatorie. I tribunali (Vicenza, Udine, Roma) hanno mostrato un atteggiamento di apertura, ammettendo piani PRO anche con soluzioni aggressive (come l’assenza di soddisfazione minima ai chirografari), purché ci fosse unanimità delle classi e convenienza rispetto al fallimento. Hanno inoltre esplicitato principi utili: ad esempio, confermando che il PRO può essere usato anche solo per liquidare l’azienda e che non sussiste alcun obbligo di apporto di finanza esterna o di percentuale minima ai creditori chirografari. Questo ha rassicurato i professionisti sul fatto che il PRO liquidatorio non presenta “trappole nascoste”. Al contempo, dai primi provvedimenti emerge grande attenzione sul fronte fiscale: si è sottolineata l’importanza della transazione fiscale nel PRO e l’opportunità, se il Fisco non aderisce, di conversione immediata in concordato per procedere al cram-down. Si evidenzia dunque un approccio pragmatico: utilizzare il PRO finché funziona, ma essere pronti a passare al concordato appena si manifestano ostacoli insormontabili. Questa elasticità è una novità per il nostro ordinamento, che tradizionalmente era rigido nel separare le procedure. Ora invece abbiamo un continuum PRO-concordato, il che è un indubbio miglioramento in termini di toolkit per la gestione della crisi.
10.5 Considerazioni finali. In dottrina si è affermato, ben riassumendo il tutto, che il PRO è uno strumento innovativo perché consente per la prima volta di derogare a principi considerati finora intoccabili (par condicio, ordine dei privilegi). Ciò rappresenta un progresso in linea con i moderni sistemi di insolvency comparati, che privilegiano la soluzione concordata su quella liquidatoria. Allo stesso tempo, gli effetti di tale “violazione” sono opportunamente mitigati dal giudizio di convenienza e dal controllo del tribunale, sicché difficilmente un creditore potrà dirsi ingiustamente penalizzato. Il dubbio sulla proliferazione di procedure resta sul tavolo, ma potrebbe essere dissolto dall’esperienza: se il PRO troverà una sua collocazione fisiologica (ad esempio venendo scelto in casi specifici in cui massimizza valore, e non in altri), esso entrerà a pieno titolo nella prassi come opzione normale. In caso contrario, se dovesse rimanere inutilizzato a favore di concordati e accordi, il legislatore futuro potrebbe anche assorbirlo nelle altre procedure. È presto per dirlo: al momento, fino ad aprile 2025, il PRO è in una fase di rodaggio, con pochi casi all’attivo ma un notevole interesse tra gli addetti ai lavori.
Quel che è certo è che il PRO riflette l’evoluzione del diritto concorsuale verso una logica di massimizzazione del valore attraverso il consenso. La sua efficacia dipenderà molto dall’uso che ne faranno imprenditori e creditori: se verrà approcciato con mentalità collaborativa e non conflittuale, potrà diventare uno strumento potente di soluzione delle crisi d’impresa. Viceversa, se ogni attore difenderà rigidamente la propria posizione senza compromessi, il PRO finirà per fallire e si tornerà alle soluzioni tradizionali. In altre parole, il PRO “funziona” nella misura in cui tutte le parti adottano la prospettiva del negoziato win-win. Le prime pronunce sembrano incoraggianti in tal senso, avendo mostrato creditori disponibili (in primis banche e fornitori) a votare piani anche con sacrifici notevoli pur di evitare la più distruttiva alternativa liquidatoria.
Come ogni innovazione, anche il PRO richiederà un cambio di mentalità: il tribunale stesso, nel ruolo di supervisore, dovrà adottare un controllo non invasivo sul merito (limitandosi ai profili di abuso, come sta facendo), lasciando spazio alla volontà negoziale. La dottrina più attenta, pur segnalando le criticità, riconosce che il PRO allinea il nostro sistema a quelli anglosassoni (schemi di arrangement, Chapter 11 pre-pack) e può servire da strumento di composizione “mirato” dove altri fallirebbero. Con queste premesse, vale la pena dare fiducia al PRO e sperimentarne le potenzialità nei prossimi anni.
Fonti e riferimenti
Normativa di riferimento:
- Direttiva (UE) 2019/1023 del 20 giugno 2019 – in particolare l’art. 11, par.1 che ha ispirato l’introduzione del PR.
- D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14 – Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), come modificato dal D.Lgs. 17 giugno 2022 n. 83 (attuazione Direttiva Insolvency) e dal D.Lgs. 13 settembre 2024 n. 136 (Terzo Correttivo). In particolare, gli artt. 64-bis, 64-ter e 64-quater CCII disciplinano il Piano di ristrutturazione soggetto a omologazione, mentre gli artt. 63, 88 CCII regolano la transazione fiscale e contributiva nel concordato (richiamata nel PRO dopo il correttivo 2024.
- Articoli del Codice civile rilevanti: art. 2740 c.c. (responsabilità patrimoniale), art. 2741 c.c. (par condicio creditorum) – le cui regole possono essere derogate nel PRO con il consenso richiesto. Art. 2751-bis n.1 c.c. (crediti di lavoro privilegiati) – da soddisfare integralmente entro 30 giorni.
- Legge 3/2012 e Codice della crisi (Artt. 65-73) sul concordato semplificato e composizione negoziata – normative di contesto per gli strumenti alternativi.
Documenti ufficiali e prassi:
- Relazione Illustrativa allo schema di D.Lgs. attuativo Dir. 1023/2019 (17 marzo 2022) – spiega ratio e contenuti del PRO, definendone la “suddivisione obbligatoria in classi” e l’obiettivo di consentire piani anche in deroga alle cause di prelazione col consenso unanime delle classi).
- Relazione illustrativa D.Lgs. 136/2024 (Terzo correttivo) – motiva l’inserimento del comma 1-bis in art. 64-bis CCII per estendere la transazione fiscale al PRO e introduce il cram-down fiscale in caso di conversione.
- Legislazione:
- D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14 – Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (artt. 64-bis, 64-ter, 64-quater CCII sul PR; D.Lgs. 17 giugno 2022 n. 83; D.Lgs. 13 settembre 2024 n. 136.
- Direttiva (UE) 2019/1023 del Parlamento UE e del Consiglio, 20 giugno 2019 – Artt. 9-11 (quadri di ristrutturazione preventiva: base giuridica del PR).
- Artt. 2740-2741 c.c. (responsabilità patrimoniale e par condicio) – derogabili nel PRO con il consenso richiesto; Art. 2751-bis n.1 c.c. (crediti di lavoro privilegiati)
- Documenti ufficiali e prassi:
- Relazione illustrativa allo Schema di D.Lgs. attuativo Dir. UE 2019/1023 (17.03.2022)
- Relazione Governo al D.Lgs. 136/2024 (Terzo Correttivo) – Estensione espressa della transazione fiscale al PRO (inserimento art. 64-bis, co.1-bis CCI).
- Agenzia Entrate – Risposta Interpello n. 79/E del 21.03.2025: chiarimenti su note di variazione IVA nel PRO.
- Circolare Agenzia Entrate n. 34/E del 2020 – Linee guida in tema di adesione dell’Erario alle transazioni fiscali (criterio del miglior soddisfacimento).
- Giurisprudenza:
- Tribunale Vicenza, 17 febbraio 2023 – Decreto di ammissione PRO liquidatorio.
- Tribunale Udine, 9 marzo 2023 – Decreto ammissione PRO
- Tribunale Roma, 3 luglio 2024 – Decreto omologa PRO liquidatorio
- Corte Giustizia UE, causa C-246/16 – Sentenza sull’IVA inesigibile nelle procedure concorsuali
Piano di Ristrutturazione Soggetto a Omologazione (PRO): Perché Affidarsi a Studio Monardo
Perché affidarsi all’Avvocato Giuseppe Monardo per salvare l’impresa con uno strumento moderno, efficace e protetto
Se la tua azienda è in crisi ma vuoi evitarne la liquidazione giudiziale, oggi puoi contare su un nuovo strumento introdotto dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza: il Piano di Ristrutturazione Soggetto a Omologazione (PRO).
È una procedura flessibile che consente all’imprenditore di presentare un piano anche con il consenso solo di alcuni creditori, e ottenere l’omologa del Tribunale, rendendo l’accordo vincolante anche per i dissenzienti.
Affidarsi all’Avvocato Giuseppe Monardo significa essere assistiti da un legale abilitato, esperto in procedure complesse di crisi d’impresa e in grado di costruire un piano che superi ogni opposizione e consenta di ripartire.
I vantaggi concreti del PRO
- Gestione flessibile della crisi, senza rinunciare al controllo dell’impresa
- Possibilità di bloccare le azioni esecutive attraverso misure protettive
- Omologazione possibile anche senza consenso di tutti i creditori
- Applicabile anche con transazione fiscale e previdenziale
- Meno costoso e più rapido di un concordato preventivo
Cosa fa per te l’Avvocato Monardo
- Analizza la situazione finanziaria e legale dell’impresa
- Costruisce un piano economicamente sostenibile e giuridicamente valido
- Negozia con i creditori strategici per ottenere il consenso necessario
- Integra nel piano eventuali debiti fiscali o previdenziali con proposte di transazione
- Presenta la domanda in Tribunale e segue l’iter fino all’omologazione finale
- Ti assiste anche nell’esecuzione e nei rapporti post-omologa
Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo
L’Avvocato Monardo è:
- Gestore della Crisi da Sovraindebitamento, iscritto presso il Ministero della Giustizia
- Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa, abilitato ai sensi del D.L. 118/2021
- Fiduciario di un Organismo di Composizione della Crisi (OCC)
- Coordinatore di una rete nazionale di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario, tributario e concorsuale
Grazie alla sua esperienza, è in grado di trasformare un progetto di ristrutturazione in un provvedimento omologato, legalmente vincolante, anche per creditori non consenzienti.
Perché agire subito
- Il PRO è una procedura tempestiva: prima si attiva, maggiori sono le possibilità di approvazione
- Le banche e il Fisco valutano positivamente chi interviene in tempo e con piani credibili
- Ritardare può portare a istanze di liquidazione giudiziale, pignoramenti o blocchi operativi
- Solo un professionista esperto può redigere un piano conforme ai requisiti richiesti dal Tribunale
Conclusione
Il Piano di Ristrutturazione Soggetto a Omologazione è la scelta più moderna e flessibile per risolvere una crisi aziendale senza perdere il controllo dell’impresa.
Affidarsi all’Avvocato Giuseppe Monardo significa scegliere un professionista qualificato, esperto e operativo su tutto il territorio nazionale, capace di costruire, depositare e far omologare un piano efficace anche in presenza di dissenso.
Qui di seguito troverai tutti i contatti di Studio Monardo, gli avvocati specializzati in Crisi d’Impresa, per richiedere una consulenza dedicata: