Come Negoziare Coi Creditori Per Risanare Un’Azienda In Crisi

Hai un’azienda in crisi che ha bisogno di essere sanata e vuoi sapere come negoziare con i creditori?

Qui di seguito troverai la guida dettagliata di Studio Monardo, il nostro Studio Legale specializzato in crisi d’impresa e cancellazione debiti.

Buona lettura ed in fondo alla guida troverai tutti i contatti del nostro Studio Legale specializzato per richiedere una consulenza personalizzata.

Introduzione:

Negoziare efficacemente con i creditori è spesso la chiave per risanare un’azienda in crisi. In Italia, negli ultimi anni il quadro normativo è profondamente cambiato: l’entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019, CCII) – modificato in attuazione della Direttiva UE 2019/1023 (cd. “Direttiva Insolvency”) – ha introdotto nuovi strumenti e procedure per gestire la crisi aziendale, potenziando l’approccio negoziale e la continuità aziendale. Oggi le opzioni vanno dagli accordi stragiudiziali privati fino alle procedure concorsuali giudiziali, coprendo imprese di ogni tipo e dimensione: dalle PMI familiari alle grandi società quotate, incluse startup innovative e gruppi di imprese.

Questa guida, suddivisa in due parti, offre un percorso completo su tali temi. Nella Parte I troverai un manuale tecnico-legale, con capitoli dedicati ai singoli strumenti di risanamento (piani di risanamento, accordi di ristrutturazione, concordato preventivo, ecc.), incluse le norme italiane aggiornate al 2025, la giurisprudenza più recente e i riferimenti alle prassi professionali e bancarie (come le nuove linee guida ABI). Nella Parte II verrà adottato un taglio narrativo: tramite casi pratici realistici e simulazioni, verrà illustrato come condurre le trattative con diversi stakeholder (banche, fornitori, dipendenti, Fisco, ecc.), quali strategie negoziali adottare e quale ruolo giocano i professionisti (advisor finanziari, legali) e gli organi delle procedure nel facilitare un accordo.

L’obiettivo è fornire al lettore – imprenditore, consulente o professionista – una bussola chiara e aggiornata per orientarsi nel complesso mondo del risanamento aziendale, combinando rigore tecnico-legale con un linguaggio accessibile e esempi concreti. Lungo il testo troverai riferimenti puntuali a leggi, sentenze, documenti ufficiali e contributi dottrinali, con una sezione finale che elenca ordinatamente tutte le fonti normative, giurisprudenziali, dottrinali e di prassi citate.

Parte I – Manuale tecnico-legale sulle procedure di risanamento e ristrutturazione

Principi generali e quadro normativo attuale

In Italia vige oggi un principio fondamentale: ogni imprenditore ha il dovere di attivarsi tempestivamente per prevenire e affrontare la crisi. L’art. 2086, comma 2, del Codice Civile impone un “inedito dovere […] di scongiurare con ogni mezzo la crisi dell’azienda”, valorizzando il dogma della continuità aziendale. Ciò significa che il management deve dotarsi di assetti organizzativi adeguati a monitorare la situazione finanziaria e intervenire prima che l’insolvenza divenga irreversibile. Questa filosofia, rafforzata dalla Direttiva Insolvency, permea tutti gli strumenti di risanamento: l’obiettivo del legislatore è incentivare soluzioni concordate con i creditori che permettano di proseguire l’attività d’impresa, quando possibile, evitando la liquidazione distruttiva di valore.

Le opzioni disponibili per negoziare con i creditori si collocano lungo un continuum da soluzioni extragiudiziali (private) a procedure concorsuali giudiziali. Si possono distinguere in sintesi tre categorie di strumenti:

  • Soluzioni stragiudiziali volontarie (ad esempio il piano attestato di risanamento): accordi privati che non vincolano i creditori dissenzienti, ma offrono flessibilità massima. Richiedono però il consenso (o almeno la non-opposizione) di tutti i principali creditori coinvolti.
  • Procedure negoziali omologate (ad esempio gli accordi di ristrutturazione dei debiti): strumenti che, una volta omologati dal tribunale, vincolano anche le minoranze dissenzienti di creditori, purché una maggioranza qualificata abbia aderito. Rientrano qui anche figure ibride come la convenzione di moratoria o gli accordi ad efficacia estesa, che possono imporre una moratoria o un accordo anche ai creditori che non vi hanno aderito, a certe condizioni.
  • Procedure concorsuali giudiziali (come il concordato preventivo): vere e proprie procedure aperte dall’autorità giudiziaria, che consentono di imporre ristrutturazioni trasversali (cram-down) anche a intere classi di creditori dissenzienti. Queste procedure, più strutturate, prevedono fasi formali (voto dei creditori, controllo del tribunale) ma garantiscono una soluzione giuridicamente vincolante per tutti.

Trasversalmente a queste categorie, il nuovo ordinamento introduce strumenti per favorire le trattative in fase precoce, prima che la crisi degeneri: su tutti spicca la composizione negoziata della crisi, procedura introdotta nel 2021 (D.L. 118/2021) e ora confluita nel Codice della Crisi. Si tratta di un percorso volontario e riservato in cui un esperto indipendente affianca l’imprenditore nel negoziare con i creditori una soluzione, sotto la supervisione del tribunale per eventuali misure protettive. La composizione negoziata può precedere qualsiasi esito: un accordo stragiudiziale, un accordo omologato, un concordato preventivo o, in extrema ratio, la liquidazione. Essa costituisce una sorta di “ombrello protettivo” temporaneo durante il quale l’azienda può tentare il risanamento senza subire iniziative aggressive dei creditori.

Nei paragrafi seguenti esamineremo in dettaglio i principali strumenti di risanamento, dalle soluzioni extragiudiziali a quelle giudiziali, evidenziandone presupposti normativi, funzionamento, vantaggi/svantaggi e prassi applicative aggiornate al 2025. Per ciascuno, forniremo anche i riferimenti a norme (Codice della Crisi e altre leggi), alle più recenti pronunce giurisprudenziali e ai contributi di dottrina e prassi professionale.

Strumenti stragiudiziali di risanamento (soluzioni negoziali fuori dal tribunale)

In questa sezione vediamo gli strumenti utilizzabili senza aprire una formale procedura concorsuale. Essi si basano sull’accordo volontario tra debitore e creditori e offrono il vantaggio di limitare i costi e i tempi, preservare la reputazione dell’azienda (evitando la “pubblicità” di un fallimento o concordato) e mantenere maggiore flessibilità di contenuti. Di contro, la loro efficacia dipende dalla collaborazione dei creditori: un singolo grande creditore dissenziente può impedire il successo di una soluzione pur concordata con altri. Ecco i principali.

Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII)

Il piano attestato di risanamento è uno strumento privatistico di composizione della crisi, disciplinato oggi dall’art. 56 del Codice della Crisi (in precedenza era previsto dall’art. 67, co.3, lett. d) L.Fall.). Si tratta, in sostanza, di un “piano industriale e finanziario” che illustra le azioni da intraprendere per riequilibrare la situazione aziendale (ad esempio ristrutturazione del debito, dismissione di asset non redditizi, aumento di capitale dei soci, etc.), accompagnato da una relazione di un esperto indipendente che ne attesta la fattibilità. Il ruolo dell’attestatore è cruciale: deve verificare la veridicità dei dati aziendali e giudicare in modo professionale se il piano ha concrete possibilità di successo e di evitare lo stato di insolvenza.

Il piano attestato non richiede l’intervento del tribunale: è un accordo volontario tra l’impresa e uno o più creditori, spesso formalizzato in contratti bilaterali (ad esempio accordi di dilazione con le banche, patti di remissione parziale del debito con fornitori, ecc.) inseriti nel contesto di un piano organico. La funzione principale del piano attestato è offrire una protezione da azioni revocatorie fallimentari in caso di successivo fallimento: gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione del piano attestato “non sono soggetti all’azione revocatoria”, a condizione che il piano venga “efficacemente eseguito” e che l’attestazione sia redatta con accuratezza e buona fede. In altre parole, se l’azienda tenta il risanamento con un piano serio certificato da un esperto, e malauguratamente fallisce in seguito, i creditori non potranno far annullare i pagamenti o le garanzie ricevuti durante l’esecuzione del piano stesso. Ciò incentiva i creditori ad aderire a piani di risanamento extragiudiziali, sapendo di avere maggior tutela.

Contenuto e finalità: Il Codice della Crisi ha mantenuto le caratteristiche fondamentali di questo istituto, ampliando però la descrizione delle sue finalità. Il piano deve mirare al risanamento dell’esposizione debitoria e al riequilibrio della situazione finanziaria dell’impresa, assicurando il soddisfacimento dei creditori secondo le tempistiche previste. Non vi sono vincoli predeterminati di contenuto: l’accordo può prevedere qualsiasi tipo di concessione da parte dei creditori (stralcio di parte del credito, rinegoziazione di tassi e scadenze, conversione di debiti in capitale, etc.) e operazioni sul lato dell’impresa (nuovi finanziamenti, dismissioni, riorganizzazioni). L’importante è che il piano, preso nel suo complesso, appaia idoneo a evitare l’insolvenza e che il professionista attestatore dichiari, nella sua relazione, che “sussiste una ragionevole probabilità di successo”. Le “Principi di attestazione dei piani di risanamento” emanati dal CNDCEC (Consiglio Nazionale Dottori Commercialisti) nel 2024 forniscono linee guida dettagliate per la redazione e l’attestazione: ad esempio, richiedono che il piano includa un’analisi delle cause della crisi, proiezioni finanziarie a medio termine, e indichi chiaramente le risorse (interne o esterne) destinate al risanamento. Tali principi di best practice aiutano a standardizzare le attestazioni, aumentandone la credibilità verso banche e altri stakeholder.

Vantaggi: Il piano attestato è altamente flessibile e confidenziale. L’azienda conserva la piena gestione e non vi è alcuna pubblicità legale (a meno che si decida di depositare il piano presso il Registro delle Imprese, cosa facoltativa). Può essere attivato anche in una fase precoce di “crisi probabile” o squilibrio, prima che si configuri uno stato di insolvenza conclamata, senza dover dichiarare formalmente lo stato di crisi in tribunale. Inoltre, come detto, tutela dalle revocatorie e consente ai finanziatori che apportano nuove risorse nel piano di ottenere lo status di prededuzione (avranno priorità di rimborso in caso di successivo fallimento, secondo l’art. 99 CCII, esteso ai piani attestati dal correttivo 2024). Ciò incentiva l’ingresso di finanza fresca (fresh money) indispensabile per sostenere il rilancio.

Svantaggi e limiti: Il rovescio della medaglia è che il piano attestato non vincola legalmente i creditori dissenzienti o estranei. Dunque, se anche un solo creditore rilevante non è disposto a collaborare (ad esempio, rifiuta di rinunciare a parte del credito o di attendere i tempi del piano), il piano potrebbe non essere sufficiente a evitare azioni esecutive individuali o istanze di fallimento da parte di quel creditore. In situazioni con molti creditori eterogenei, è difficile raggiungere un consenso unanime: in tali casi, un accordo omologato o un concordato potrebbero offrire maggiore tenuta. Inoltre, il piano attestato non prevede automaticamente misure protettive (salvo il caso di accesso alla composizione negoziata, di cui diremo, o di richiesta di misure cautelari specifiche): ciò significa che, mentre si negozia e attua il piano, i creditori potrebbero comunque agire (salvo accordi di moratoria). È quindi essenziale, prima di imboccare questa via, verificare la disponibilità al dialogo dei principali creditori e possibilmente ottenere da loro un accordo di standstill (sospensione delle azioni esecutive) per il periodo necessario all’attuazione del piano.

Norme e riferimenti: L’istituto è regolato dall’art. 56 CCII, come modificato dal D.Lgs. 83/2022 e dal D.Lgs. 136/2024 (che ne hanno confermato la struttura). In dottrina, viene sottolineato il carattere di atto privatistico del piano di risanamento, distinto dalle procedure concorsuali perché manca il “crisma” dell’omologazione giudiziaria. La giurisprudenza ha tradizionalmente valutato con favore gli effetti protettivi dei piani attestati, purché sussista la reale idoneità al risanamento: ad esempio, Cassazione 12388/2017 ha chiarito che la presenza di un piano attestato in corso di esecuzione può costituire una valida causa esimente per evitare la dichiarazione di fallimento, se il tribunale ritiene concretamente perseguibile il risanamento prospettato (principio in parte recepito oggi dal nuovo art. 23 CCII in tema di rinvio dell’istanza di liquidazione giudiziale). Inoltre, nel 2024 il CNDCEC ha aggiornato i Principi di attestazione (pubblicati il 8/05/2024), e l’OCI (Osservatorio sulle Crisi d’Impresa) ha monitorato i primi utilizzi di questo strumento nel nuovo Codice, evidenziando come spesso venga combinato con la composizione negoziata per ottenere un percorso protetto. Nei prossimi paragrafi, vedremo infatti che il piano attestato può essere un esito delle trattative condotte in composizione negoziata della crisi.

Accordi di ristrutturazione dei debiti (artt. 57-60 CCII)

Gli accordi di ristrutturazione dei debiti (spesso abbreviati in “ADR” dagli addetti ai lavori) rappresentano il punto di incontro tra la negoziazione privata e l’intervento dell’autorità giudiziaria. Introdotti nel 2005 nell’ordinamento italiano (art. 182-bis L.Fall.) e ora disciplinati dagli artt. 57-60 CCII, gli accordi di ristrutturazione consentono all’impresa in crisi di concludere un accordo con una parte dei creditori e di renderlo vincolante anche verso altri grazie all’omologazione del tribunale. In sostanza, il debitore elabora un piano di risanamento e lo negozia con i creditori, ottenendo l’adesione di una maggioranza qualificata (almeno il 60% dei crediti, per la forma ordinaria). Una volta raggiunta la soglia di consenso, il piano e gli accordi vengono sottoposti al tribunale per l’omologazione. Con il decreto di omologazione, l’accordo acquista efficacia giuridica generale, pur restando formalmente un accordo privato.

Requisiti e procedimento: Possono accedere all’accordo di ristrutturazione gli imprenditori in stato di crisi o di insolvenza (requisito analogo al concordato preventivo). Il debitore deposita in tribunale la domanda di omologazione, allegando il testo dell’accordo sottoscritto dai creditori aderenti (che devono rappresentare almeno il 60% dei crediti) e una relazione di un esperto indipendente che attesta la fattibilità del piano e la capacità di adempimento dell’accordo. Durante l’iter, il debitore può chiedere misure protettive per bloccare azioni esecutive (art. 54 CCII) analoghe a quelle del concordato. Il tribunale verifica alcuni aspetti chiave: la regolarità formale, l’idoneità dell’accordo a garantire il pagamento integrale dei creditori non aderenti nei termini di legge, e l’assenza di pregiudizio per i creditori in generale (principio di miglior soddisfazione rispetto alla liquidazione). Se tutto è in ordine – e salvo eventuali opposizioni dei creditori dissenzienti – viene emesso il decreto di omologazione. Da notare che il CCII consente anche di presentare una “proposta di accordo in pre-omologazione” (cd. pre-accordo) per ottenere subito le tutele protettive e poi raccogliere le adesioni mancanti entro un certo termine, similmente a quanto avviene col concordato “in bianco”.

Effetti sugli aderenti e sui non aderenti: Una caratteristica centrale degli ADR è la diversa sorte dei creditori a seconda che abbiano aderito o meno all’accordo:

  • I creditori aderenti sono vincolati alle condizioni pattuite nell’accordo. Ad esempio, se l’accordo prevede che la banca A proroghi il rimborso di un mutuo di 5 anni con abbattimento del tasso, la banca A – avendo firmato – sarà tenuta a quelle nuove condizioni e non potrà agire per il pagamento immediato secondo il vecchio contratto.
  • I creditori non aderenti (dissenzienti o che sono rimasti estranei) non subiscono riduzioni o modifiche coattive del loro credito: la legge impone che sia loro assicurato il pagamento integrale, per capitale e interessi, entro 120 giorni dall’omologazione se il credito è scaduto, o entro 120 giorni dalla scadenza originaria se a termine (art. 58, co.2, lett. c, CCII, riprendendo il previgente art. 182-bis L.Fall.). In pratica, i non aderenti devono essere pagati per intero e al massimo con un breve ritardo rispetto alle scadenze originarie. Questo tutela i creditori dissenzienti da perdite economiche. Tuttavia, dall’omologazione fino a tali pagamenti, anche i non aderenti sono vincolati a non intraprendere azioni esecutive individuali. Inoltre, l’omologazione produce effetti protettivi: i creditori non aderenti non possono chiedere il fallimento del debitore, purché l’accordo omologato sia rispettato.

Il risultato è che l’accordo di ristrutturazione può alleggerire il debito dell’impresa verso i creditori consenzienti (che accettano stralci o dilazioni), mentre per gli altri si limita a congelare il tempo necessario a pagarli integralmente. Si noti che il 60% è quorum di consenso minimo: nulla vieta di avere adesioni superiori (anzi, spesso si cerca di coinvolgere il più possibile i creditori, lasciando fuori solo piccole posizioni da soddisfare per intero).

Varianti e sottotipi: Il modello base può assumere forme particolari, introdotte per agevolare le ristrutturazioni in situazioni specifiche:

  • Accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa (art. 61 CCII): consentono di estendere gli effetti di un accordo anche a creditori non aderenti appartenenti a una certa categoria omogenea, se nell’accordo ha aderito una percentuale molto elevata di quella categoria. In particolare, oggi il CCII prevede che se creditori finanziari (banche, obbligazionisti) rappresentanti almeno il 75% dei crediti di quella categoria aderiscono, l’accordo omologato può essere esteso ai creditori finanziari dissenzienti della stessa categoria. Questa norma (già presente come art. 182-septies L.Fall.) è pensata per evitare che poche banche dissenzienti facciano fallire una ristrutturazione condivisa dalla stragrande maggioranza. Ad esempio, se 3 banche su 4 hanno approvato l’accordo (coprendo il 90% dell’esposizione bancaria) e la quarta si oppone, il tribunale può omologare comunque l’accordo rendendolo vincolante anche per la quarta banca. Ciò però richiede che ai dissenzienti sia offerto almeno quanto avrebbero ottenuto in un concordato preventivo liquidatorio (c.d. test di convenienza). L’art. 61 CCII, come modificato dal correttivo 2024, ha snellito alcuni aspetti procedurali ma resta sostanzialmente invariato nei requisiti di consenso.
  • Convenzione di moratoria (art. 62 CCII): è un accordo, tipicamente con gli intermediari finanziari, che prevede solo la dilazione temporanea dei pagamenti (una moratoria) in attesa di una soluzione del piano di risanamento. Se vi aderiscono almeno il 75% degli istituti finanziari coinvolti, la moratoria può essere estesa per legge anche agli altri. Questo strumento, meno impegnativo di un accordo completo, è utile per congelare la situazione mentre si negozia ad esempio un successivo concordato o accordo più strutturato. Le Linee Guida ABI 2025 incentivano le banche ad aderire a moratorie concordate per aziende con difficoltà temporanee.
  • Trattamento dei crediti fiscali e contributivi (art. 63 CCII, cd. transazione fiscale e contributiva): l’accordo di ristrutturazione può includere anche il fisco (Agenzia Entrate) e gli enti previdenziali (INPS) tra i creditori aderenti, prevedendo il pagamento parziale o dilazionato dei loro crediti. Tali enti, per aderire, devono attenersi alle regole speciali della transazione fiscale (ad esempio, per legge non possono ridurre l’IVA e le ritenute operate, ma solo dilazionarle; possono invece ridurre sanzioni e interessi e, in parte, il capitale di altre imposte). Una novità importante introdotta dal D.Lgs. 136/2024 (correttivo ter) – in recepimento delle indicazioni europee – è la possibilità di omologazione forzosa dell’accordo anche senza il voto favorevole del Fisco o dell’INPS, a certe condizioni. Il nuovo art. 63 CCII consente al tribunale, su richiesta del debitore, di omologare l’accordo anche in caso di dissenso dell’Amministrazione finanziaria o previdenziale, purché: (a) la proposta di soddisfacimento di questi crediti non sia inferiore al valore di liquidazione (quanto otterrebbero in caso di liquidazione giudiziale) e (b) il loro eventuale dissenso risulti ingiustificato rispetto al principio di ragionevolezza e proporzionalità. In altre parole, se l’Agenzia delle Entrate rifiuta di aderire ma l’accordo offre ad esempio il 30% del suo credito, laddove in un fallimento prenderebbe solo 5%, il giudice può decidere di omologare comunque (cram down fiscale). Questa innovazione mira a evitare che il Fisco, con un voto negativo “di principio”, blocchi ristrutturazioni vantaggiose per tutti gli altri creditori. Va però segnalato che il cram-down fiscale non si applica all’IVA e ai tributi che non possono essere falcidiati per legge: per questi, se l’Erario non consente dilazioni adeguate, l’impresa dovrà comunque prevedere il pagamento integrale (spesso spalmato su 5 anni). A partire dal 29 settembre 2024, inoltre, è divenuta operativa la transazione fiscale nell’ambito della composizione negoziata (anticipiamo qui questa notizia rilevante): le imprese che avviano la composizione negoziata possono chiedere ad Agenzia Entrate e altri enti di concludere accordi di ristrutturazione dei debiti tributari con dilazione e persino parziale stralcio delle imposte, esclusa l’IVA. Questo era prima impossibile fuori da un concordato; ora invece anche in fase stragiudiziale assistita vi è uno spazio di negoziazione con il Fisco, segno di un approccio più pragmatico delle istituzioni.

Vantaggi: Rispetto al piano attestato, gli accordi di ristrutturazione offrono una tenuta legale maggiore, in quanto l’omologazione li rende vincolanti e impedisce azioni individuali dei creditori dissenzienti durante l’esecuzione. Sono strumenti flessibili nel contenuto (essendo comunque accordi negoziati, si possono adattare alle esigenze delle parti) ma con la forza del giudicato una volta omologati. Permettono di evitare il voto di tutti i creditori richiesto nel concordato: serve solo convincere la maggioranza qualificata (60% o 75% a seconda dei casi), il che in talune situazioni può essere più facile che ottenere il voto favorevole di classi di piccoli creditori. Inoltre, l’accordo omologato viene pubblicato nel Registro delle Imprese e produce effetti protettivi simili al concordato (sospende le azioni esecutive e le istanze di fallimento). Non da ultimo, la procedura di omologazione è tendenzialmente più rapida di un concordato preventivo, poiché non richiede la fase del voto in adunanza: se i creditori chiave sono già d’accordo, il tribunale si limita a verifiche formali. La legge prevede un termine breve (ora ridotto a 30 giorni dal deposito per l’omologazione in caso di adesioni oltre il 75%, per gli accordi “agevolati” ex art. 60 CCII, introdotti nel 2022).

Svantaggi: Il principale limite resta la necessità di convincere la soglia qualificata di creditori. Il 60% del totale crediti può essere arduo da raggiungere se la platea è molto frammentata. Ad esempio, se l’azienda ha molti piccoli fornitori, metterli tutti d’accordo può essere complesso (in tali casi, spesso solo il concordato con voto a maggioranza può funzionare). Inoltre, i creditori non aderenti devono essere pagati integralmente e in tempi relativamente brevi, il che a volte riduce il beneficio finanziario dell’accordo: in pratica l’impresa ottiene uno sconto solo sui creditori che accettano un taglio, mentre deve comunque trovare risorse per soddisfare integralmente gli altri. Questo rende gli ADR particolarmente utili quando esiste un nocciolo duro di creditori principali disposti a ristrutturare (ad es. le banche) e solo pochi creditori minori che possono essere pagati cash per intero. Se invece anche i creditori minori cumulativamente rappresentano un importo ingente che l’impresa non può pagare per intero, sarà necessario passare a una procedura concorsuale in cui anche questi subiranno una falcidia (ad es. un concordato). Dal punto di vista procedurale, va considerato che i creditori dissenzienti possono proporre opposizione all’omologazione, rallentando il processo (il giudice dovrà sentire le parti in camera di consiglio). Tuttavia, se l’accordo rispetta la regola della convenienza (nessun pregiudizio rispetto alla liquidazione) tali opposizioni sono generalmente respinte. Infine, l’accordo non prevede automaticamente l’intervento di un commissario o di un organo di controllo: da un lato ciò semplifica, dall’altro manca una figura terza che monitori l’esecuzione (anche se il tribunale può nominare un ausiliario per vigilare sull’esatto adempimento, in caso di necessità).

Norme e riferimenti: Le norme chiave sono gli artt. 57 (condizioni e contenuto), 58 (procedimento e effetti), 59 (finanziamenti autorizzati e prededuzioni) e 60 (accordi agevolati e con intermediari finanziari) del Codice della Crisi. Precedenti storici importanti includono l’art. 182-bis e 182-septies L.Fall. La Direttiva UE 2019/1023 ha ispirato molti aspetti: ad esempio, il concetto di “cross-class cram down” è stato recepito nel concordato, ma anche negli ADR con il meccanismo del cram-down fiscale menzionato sopra (per impedire che creditori pubblici blocchino indebitamente un piano). La giurisprudenza degli ultimi anni ha convalidato strumenti come l’accordo ad efficacia estesa: si ricorda il caso Atlantia (2017) in cui l’omologazione di un accordo finanziario fu estesa a obbligazionisti dissenzienti, aprendo la strada all’uso di accordi nelle ristrutturazioni del debito di grandi società quotate. Dottrina e prassi: “La nuova scommessa degli accordi di ristrutturazione” sottolinea come questi strumenti, soprattutto dopo le modifiche del 2022-2024, siano sempre più centrali per risanare il tessuto economico post-pandemia. L’ABI e Confindustria, nel Tavolo CIRI 2025, ne promuovono l’utilizzo precoce per evitare di arrivare al default conclamato. Come best practice, spesso le imprese accompagnano la domanda di ADR con un accordo di standstill firmato dai principali creditori finanziari e con il supporto di attestatori di chiara fama, così da presentare al tribunale un quadro già consolidato e ottenere l’omologazione in tempi stretti.

Composizione negoziata della crisi d’impresa (D.L. 118/2021 e artt. 12-25 CCII)

Tra le novità più significative degli ultimi anni vi è la composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa, procedura introdotta in via d’urgenza nel 2021 (in piena pandemia) e stabilizzata con l’entrata in vigore del Codice della Crisi nel luglio 2022. Questo strumento, disciplinato dal Titolo II, artt. 12-25-quinquies CCII, non è né una procedura concorsuale né una mera trattativa privata, bensì un percorso ibrido assistito: un esperto indipendente viene nominato per affiancare l’imprenditore nelle trattative con i creditori, con l’obiettivo di individuare una soluzione di risanamento consensuale. La procedura è volontaria (viene attivata dall’imprenditore tramite apposita istanza telematica sulla piattaforma istituita presso le Camere di Commercio) e riservata (l’accesso e le trattative iniziali non sono di dominio pubblico, salvo la pubblicazione di misure protettive richieste al tribunale). Si configura come un ambiente protetto in cui le parti possono negoziare con franchezza, sotto la guida neutrale dell’esperto.

Presupposti di accesso: A differenza delle procedure concorsuali classiche, la composizione negoziata può essere attivata anche in assenza di uno stato di crisi conclamato. La norma (art. 12 CCII) consente l’accesso all’imprenditore che si trovi in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario tali da rendere probabile la crisi o l’insolvenza, oltre naturalmente a chi è già in crisi o insolvente. Il correttivo 2024 ha chiarito espressamente questo punto eliminando dubbi interpretativi: basta “uno stato di squilibrio” per legittimare la domanda di composizione negoziata, estendendo quindi l’ambito anche alle situazioni di early warning. In pratica, un’azienda che intravede difficoltà all’orizzonte (es. calo significativo di liquidità, previsione di default su qualche covenant finanziario) può già rivolgersi al percorso negoziato, senza attendere di trovarsi in default. Ciò è coerente con l’approccio di prevenzione promosso dalla Direttiva Insolvency.

Sono escluse solo le imprese piccolissime non soggette a fallimento? In realtà no: la composizione negoziata è aperta a tutti gli imprenditori commerciali, di qualsiasi dimensione, e anche alle imprese agricole (che sono incluse, a differenza del concordato) – in quest’ultimo caso con alcune specificità. Le cosiddette “imprese minori” (sotto soglia fallimento) possono accedere a questa procedura, anzi spesso è lo strumento ideale per loro, dato che non potrebbero accedere a concordato preventivo. Non vi sono requisiti dimensionali, ma solo l’onerosità dei costi va ponderata (infatti le CCIAA prevedono incentivi e costi contenuti per le PMI).

Nomina dell’esperto e svolgimento: Una volta presentata l’istanza (corredata da informazioni sull’azienda, bilanci, situazione aggiornata, etc.), una Commissione istituita presso la Camera di Commercio regionale nomina un Esperto Indipendente selezionato da un apposito elenco nazionale di professionisti (per lo più commercialisti, avvocati o consulenti con esperienza in ristrutturazioni). L’esperto, dopo aver accettato l’incarico, convoca l’imprenditore per un primo incontro e prende conoscenza della situazione. Compito dell’esperto è “agevolare le trattative” tra l’imprenditore, i creditori ed eventuali altri stakeholders, cercando di trovare un punto di incontro che consenta di superare lo stato di difficoltà e assicurare la continuità aziendale, ove possibile. L’esperto opera con dovere di riservatezza e imparzialità: non ha poteri coercitivi ma può formulare proposte, suggerire soluzioni e fare da mediatore nelle trattative. Il Codice gli richiede di operare secondo principi di lealtà e trasparenza verso tutte le parti.

Durante la composizione negoziata, l’imprenditore mantiene la gestione dell’impresa. Tuttavia, egli deve “informare l’esperto su ogni atto di straordinaria amministrazione” e astenersi da operazioni che possano pregiudicare i creditori (pena la perdita di protezioni). Se necessario, l’imprenditore può chiedere al tribunale l’adozione di misure protettive del patrimonio: ad esempio, la sospensione delle azioni esecutive dei creditori, dei sequestri, o la sospensione delle istanze di fallimento (art. 18 CCII). Tali misure, analoghe all’automatica stay del concordato, sono concesse con decreto dal tribunale e pubblicate nel Registro delle Imprese, dando pubblicità limitata alla circostanza che l’azienda è in composizione negoziata (ma senza dettagliare la situazione). Durante le misure protettive, i creditori non possono iniziare o proseguire azioni esecutive né acquisire titoli di prelazione sul patrimonio del debitore. In più, fino a fine 2023 vigeva una norma transitoria che bloccava l’obbligo di segnalazione dei crediti scaduti da parte dell’Erario e altri (c.d. allerta esterna); dal 2024 queste segnalazioni sono ripartite ma l’adesione alla composizione negoziata sospende anche gli effetti negativi delle segnalazioni, laddove effettuate.

La durata della fase negoziata è inizialmente di 180 giorni, prorogabile su richiesta motivata (massimo altri 180). In ogni caso, si punta a soluzioni rapide: entro pochi mesi l’imprenditore e l’esperto devono capire se c’è margine per un accordo di risanamento oppure no.

Esiti possibili: La composizione negoziata è strumentale: non è un fine in sé, ma un percorso che può sfociare in diversi esiti:

  • Raggiungimento di un accordo stragiudiziale con i creditori: ad esempio, l’imprenditore potrebbe convincere banche e fornitori a firmare un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato (ex art. 57 CCII) o mettere a punto un piano attestato di risanamento condiviso. In tal caso, la procedura negoziata si chiude positivamente, l’esperto redige una relazione finale e l’imprenditore esce dal percorso per eseguire l’accordo concluso.
  • Accesso a una procedura concorsuale negoziata: se durante le trattative emerge che serve una soluzione più vincolante, l’imprenditore – con il supporto dell’esperto – può depositare un ricorso per concordato preventivo o per omologazione di accordo di ristrutturazione. In questo caso, la composizione negoziata “sfocia” direttamente nella procedura prescelta (spesso con la preparazione del terreno: creditori già informati e possibilmente consenzienti). Si noti che la legge ha predisposto un canale preferenziale: se la composizione negoziata è in corso, l’imprenditore può depositare la domanda di concordato preventivo o ADR entro 60 giorni dalla fine delle trattative beneficiando di alcune facilitazioni procedurali.
  • Mancato accordo e uscita senza soluzione: può accadere che nonostante gli sforzi dell’esperto e dell’imprenditore non si trovi un accordo accettabile per tutti (ad es. un creditore garantito irremovibile, o attività in perdita che scoraggiano qualunque intesa). In tal caso, l’esperto redige una relazione finale negativa in cui attesta che le trattative si sono concluse senza un accordo di risanamento. Questa relazione viene comunicata all’imprenditore e – in certi casi – al tribunale. A questo punto l’imprenditore può trovarsi di fronte a una possibile apertura di liquidazione giudiziale (specie se ormai insolvente conclamato). Tuttavia, il legislatore ha previsto un’ultima opportunità: l’istanza di concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, di cui diremo nel prossimo paragrafo.
  • Trasferimento dell’azienda o altre operazioni straordinarie: Un caso particolare di esito è quando, durante la composizione negoziata, si individua un possibile acquirente per l’azienda (o per suoi rami) e si decide di procedere alla cessione per salvare la continuità aziendale. L’art. 22 CCII consente al tribunale di autorizzare il trasferimento dell’azienda in qualsiasi forma (vendita, affitto con futura vendita, conferimento) durante la composizione negoziata, in deroga alle garanzie normalmente previste dall’art. 2560 c.c.. Ciò significa che si può vendere l’azienda senza che l’acquirente risponda dei debiti pregressi (previa verifica che l’operazione sia funzionale alla continuità e alla migliore soddisfazione dei creditori). Questa possibilità favorisce soluzioni di reindustrializzazione: l’impresa in crisi viene ceduta a un soggetto più solido, evitando il fallimento e salvaguardando i livelli occupazionali. Spesso tali cessioni poi si formalizzano in un concordato “in continuità indiretta” per ripulire i debiti residui.

Vantaggi: La composizione negoziata porta numerosi benefici. In primis, crea un contesto di dialogo strutturato: la presenza dell’esperto terzo aiuta a superare la sfiducia tra impresa e creditori (i numeri vengono certificati, le proposte valutate oggettivamente). È stato notato come molte imprese, soprattutto PMI, abbiano difficoltà a interfacciarsi con le banche o il fisco in momenti di crisi; l’esperto in qualche modo “garantisce” per l’imprenditore serio intenzionato al risanamento, facendo da facilitatore. In secondo luogo, l’imprenditore conserva la governance dell’azienda durante la procedura, senza l’onta del fallimento o le restrizioni di un’amministrazione controllata. Questo consente di proseguire l’attività senza traumi, rassicurando clienti, fornitori e dipendenti sul fatto che si sta lavorando a una soluzione. Terzo, la negoziazione è coperta da riservatezza: all’esterno (salvo quando ci sono misure protettive, che comunque indicano solo che è in corso un tentativo di risanamento) non trapela la situazione, evitando panico nel mercato. Inoltre, la presenza di misure protettive concesse dal tribunale dà all’impresa sollievo immediato dalle pressioni più urgenti (pignoramenti, decreti ingiuntivi, ecc.), creando lo spazio per ragionare sul medio termine. Un altro vantaggio è la flessibilità degli esiti: la composizione negoziata non incanala verso una sola soluzione ma consente di scegliere, strada facendo, lo strumento migliore (dal semplice accordo stragiudiziale fino al concordato). In caso di successo, l’intera fase resta extragiudiziale (l’accordo eventuale viene solo omologato se necessario). In caso di insuccesso, come visto, c’è il paracadute del concordato semplificato, che comunque evita il fallimento puro e semplice. Per l’imprenditore onesto e collaborativo c’è un’ulteriore tutela: la legge prevede una sorta di esenzione da responsabilità penale per alcuni reati di bancarotta semplice o preferenziale commessi durante il tentativo di composizione negoziata, se erano atti necessari a gestire l’impresa in crisi (es. pagamento di fornitori strategici) – purché l’esito sia poi favorevole o comunque quegli atti siano stati approvati dall’esperto.

Svantaggi e difficoltà: La procedura, per quanto snella, comporta un costo (onorario dell’esperto, che per le PMI è calmierato) e richiede disciplina e trasparenza da parte dell’imprenditore. Se quest’ultimo non fornisce tutte le informazioni o adotta comportamenti ostruzionistici, l’esperto può chiudere anticipatamente le trattative. Va poi considerato che la composizione negoziata è efficace laddove esista una concreta prospettiva di risanamento: il D.M. 21 marzo 2023 del Ministero della Giustizia ha fornito indicatori per valutare la “ragionevole perseguibilità del risanamento”, imponendo all’esperto di verificare sin da subito se l’impresa abbia chance di sopravvivenza (flussi prospettici, ordini, ecc.). In mancanza di ciò, prolungare inutilmente le trattative serve solo ad accumulare ulteriori debiti: in tali casi l’esperto, dopo un breve periodo, concluderà la procedura suggerendo magari l’accesso diretto alla liquidazione controllata. Dunque, non tutte le imprese possono salvarsi con la negoziazione: se la crisi è irreversibile (es. modello di business obsoleto, mercato sparito, passività enormi senza alcuna copertura), la composizione negoziata difficilmente troverà soluzioni miracolose. Un’altra difficoltà pratica riscontrata è la partecipazione dei creditori: il procedimento è volontario per il debitore, ma i creditori non sono obbligati a sedersi al tavolo. In alcuni casi, soprattutto con creditori esteri o non organizzati (piccoli fornitori), l’esperto fatica a coinvolgerli attivamente. La legge non prevede sanzioni per i creditori che ignorano le convocazioni, sebbene il tribunale possa ordinare loro di partecipare in buona fede. Fortunatamente, si registra crescente disponibilità delle banche e del fisco a sfruttare questa sede, specialmente dopo il 2024 con l’introduzione della transazione fiscale negoziata: sapendo di poter trattare anche su imposte e contributi, tutti i principali attori ora hanno interesse a partecipare. Infine, durante la composizione negoziata l’imprenditore deve evitare atti di straordinaria amministrazione non autorizzati (es. cedere beni importanti) – un vincolo sensato, ma che in qualche caso può rendere meno agile prendere decisioni in emergenza.

Norme e riferimenti: L’intero Titolo II del CCII (artt. 12-25 quinquies) è dedicato alla composizione negoziata. Norme complementari importanti: D.L. 118/2021 (istitutivo), D.Lgs. 83/2022 (che l’ha integrata nel Codice) e D.Lgs. 136/2024 (che ha apportato modifiche puntuali migliorative). Quest’ultimo, ad esempio, ha inserito l’esplicito principio di salvaguardia dei posti di lavoro nell’art. 12 (imponendo di considerare, ove possibile, la tutela dell’occupazione nelle soluzioni). Ha anche chiarito il ruolo del Pubblico Ministero: è stato eliminato l’automatismo per cui il PM veniva informato se l’impresa era insolvente durante la negoziazione; ora il PM può intervenire solo se emergono abusi o se l’insolvenza si manifesta in un procedimento giudiziario (non per il solo fatto di essere in composizione negoziata). Ciò rassicura l’imprenditore che avvia la procedura: non rischia immediatamente un’istanza di fallimento semplicemente per aver rivelato lo stato di crisi, a patto che collabori e segua le regole. Sul fronte giurisprudenziale, essendo strumento recente, non vi sono ancora molte sentenze di legittimità; rilevano però le prassi dei tribunali: ad esempio, Tribunale di Milano, decreto 29 aprile 2022 ha concesso misure protettive ampie ad una società in composizione negoziata, indicando che il giudice deve sostenere questi tentativi se c’è la minima prospettiva di soddisfacimento migliore dei creditori rispetto al fallimento. Altro precedente: Tribunale di Roma, ottobre 2023 ha autorizzato la cessione di un ramo d’azienda durante una composizione negoziata, validando l’interpretazione estensiva dell’art. 22 (vendita in deroga). Dottrina: vi sono già molti commentari, tra cui Le novità in materia di composizione negoziata della crisi (A. Guiotto, 2025), e approfondimenti sul confronto con la Direttiva Insolvency. Da tali studi emerge un giudizio positivo: la composizione negoziata sta diventando la “porta d’ingresso” di default per gestire le crisi, una sorta di consulenza assistita istituzionalizzata che filtra le imprese risanabili dalle non risanabili. In altri termini, chi riesce qui, eviterà il fallimento; chi fallisce qui, probabilmente non aveva alternative al fallimento.

Concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio (art. 25-sexies CCII)

Il concordato semplificato è un istituto peculiare, previsto dall’art. 25-sexies CCII, introdotto come valvola di sicurezza al termine della composizione negoziata. Esso consiste in una procedura concorsuale senza voto dei creditori, finalizzata a liquidare il patrimonio dell’imprenditore sotto il controllo del tribunale, quando le trattative della composizione negoziata non abbiano condotto ad altra soluzione. In pratica, se la composizione negoziata fallisce nel raggiungere un accordo, l’imprenditore – entro 60 giorni dalla comunicazione della relazione finale negativa dell’esperto – può presentare una proposta di concordato semplificato direttamente al tribunale. Questa proposta deve avere come obiettivo la cessione dei beni (liquidazione) e la distribuzione del ricavato ai creditori, secondo un piano di riparto. La semplificazione principale sta nel fatto che i creditori non votano sulla proposta: il tribunale decide sull’omologazione valutando il piano e sentiti eventualmente i creditori (possono essere presentate opposizioni, ma non c’è un voto assembleare).

Le condizioni per accedere a questo concordato speciale sono: (a) aver avviato e concluso senza successo una composizione negoziata; (b) che l’esperto, nella sua relazione finale, attesti che “non sono percorribili soluzioni idonee a superare la crisi”, cioè che l’unica strada rimasta è liquidatoria; (c) la proposta di concordato presenti elementi tali da non risultare manifestamente peggiorativa per i creditori rispetto alla liquidazione giudiziale. In particolare, la legge richiede che il piano di concordato semplificato assicuri ai creditori una soddisfazione non inferiore a quella ottenibile in caso di liquidazione giudiziale (test di convenienza analogo al concordato ordinario). Non vi sono soglie di consenso da raggiungere, ma il debitore deve aver tenuto un comportamento leale nelle trattative precedenti (se emergessero atti in frode o depauperamento di attivi, il tribunale potrebbe respingere la proposta).

La procedura segue iter rapido: presentata la domanda, il tribunale valuta l’ammissibilità, può nominare un commissario giudiziale per esaminare il piano e raccogliere le osservazioni dei creditori, quindi fissa l’udienza di omologazione. In udienza, eventuali creditori o terzi interessati possono proporre osservazioni oppure offerte concorrenti migliorative (ad esempio, un soggetto potrebbe proporsi di acquistare gli asset a un prezzo superiore a quello previsto dal piano, per far ottenere più ai creditori). Il tribunale, valutato il tutto, decide se omologare. Se omologa, il patrimonio viene liquidato secondo il piano (spesso con un assuntore che esegue la liquidazione) e poi la società viene cancellata con esdebitazione residua. Se non omologa, tipicamente si apre la liquidazione giudiziale (fallimento).

Caratteristiche e scopo: Il concordato semplificato serve a evitare l’apertura di una liquidazione giudiziale immediata quando, pur non essendoci accordo, l’imprenditore ha una proposta per liquidare i beni in modo più efficiente o rapido rispetto al fallimento. Un caso tipico: durante la composizione negoziata si individua un possibile acquirente dell’azienda (o di beni) disposto a pagare una certa somma, ma non tutti i creditori sono d’accordo su un accordo extragiudiziale. Invece di buttare a mare l’opportunità e far fallire l’azienda, l’imprenditore può proporre quel medesimo affare al tribunale sotto forma di concordato semplificato: “cederò questi beni all’offerente X e distribuirò il ricavato ai creditori, che otterranno il X%”. I creditori non possono opporsi mediante voto, ma solo eventualmente contestare la convenienza in sede di omologazione. Il tribunale, se ritiene la proposta seria e conveniente rispetto a un fallimento (dove magari i beni verrebbero svenduti a meno), potrà omologare anche contro il volere di qualche creditore. In tal modo, si realizza ugualmente la liquidazione ma senza le lungaggini del fallimento e cogliendo magari opportunità di mercato istantanee.

Vantaggi: Per l’imprenditore onesto che ha tentato di tutto, il concordato semplificato è una sorta di exit strategy dignitosa: evita le sanzioni e le preclusioni di un fallimento, consente di chiudere la vicenda in tempi più brevi e di ottenere (se persona fisica) l’esdebitazione immediata a fine procedura. Per i creditori, può rappresentare paradossalmente un miglior risultato economico rispetto al fallimento, specie se c’è appunto un terzo pronto a investire (molti concordati semplificati prevedono la figura dell’assuntore, un terzo che si accolla l’onere di pagare il concordato in cambio magari di rilevare l’azienda libera da debiti). Anche in assenza di assuntore, un vantaggio è che il debitore conosce meglio i propri asset e può impostare una liquidazione ordinata (es. completando commesse in corso per vendere prodotti finiti invece di semilavorati, vendendo beni con procedure competitive mirate). Inoltre, la mancanza del voto riduce le possibilità di ostruzionismo da parte di creditori rancorosi o speculativi.

Svantaggi e cautele: Dal lato dei creditori, il fatto di non poter votare può far percepire il concordato semplificato come meno garantista. Tuttavia, sono ammessi i reclami e opposizioni in omologazione: quindi i creditori possono far valere le loro ragioni se ritengono la proposta iniqua o se fiutano possibili condotte fraudolente (ad es. asset sottovalutati). Il tribunale esercita un controllo particolarmente attento in queste procedure proprio perché manca il filtro del voto. Per l’imprenditore, non vi è molto da perdere rispetto al fallimento, se non che il concordato semplificato richiede comunque di predisporre un piano di liquidazione con l’aiuto di un professionista, e potrebbe essere negato se il giudice ravvisa abusi. Inoltre, va sottolineato: condizione imprescindibile è aver tentato la composizione negoziata. Non è possibile saltare direttamente a un concordato semplificato – sarebbe incostituzionale negare il voto ai creditori senza prima aver cercato un accordo. Quindi, un imprenditore che ignorasse la negoziazione e volesse liquidare direttamente, dovrebbe comunque passare per la liquidazione giudiziale ordinaria (fallimento) o presentare un concordato preventivo (che però richiederebbe il voto). In sintesi, il concordato semplificato è un istituto eccezionale e “finale”, da usare come ultima spiaggia per liquidare evitando il fallimento, quando il fallimento è davvero l’unica alternativa.

Norme e riferimenti: Previsto originariamente dall’art. 18 D.L. 118/2021, è stato trasposto nell’art. 25-sexies CCII dal D.Lgs. 83/2022. La Relazione ministeriale spiegava che si voleva dare incentivo al debitore a tentare la composizione negoziata, sapendo che anche se non ci fosse accordo, avrebbe la chance di una soluzione pilotata e non traumatica. In giurisprudenza si sono avuti i primi concordati semplificati nel 2022-2023: ad esempio, Tribunale di Roma, decreto 8 novembre 2022 (caso Tizio) ha omologato uno dei primi concordati semplificati, evidenziando che “la mancanza di voto non esonera dal rigoroso rispetto del principio di migliore soddisfazione dei creditori rispetto alla liquidazione fallimentare”. Altre pronunce (Trib. Torino 2023) hanno rifiutato proposte semplificate ritenute poco trasparenti, segnalando che il debitore deve fornire tutte le informazioni come in un concordato ordinario (elenco creditori, relazione dell’attestatore sul valore di liquidazione, ecc.). Dottrina come F. Lamanna (Il concordato semplificato: tutto il potere al giudice?, 2022) ha dibattuto sulla tenuta costituzionale di questa procedura: finora non risultano questioni di legittimità, anzi la norma è stata confermata anche nel correttivo 2024 senza modifiche sostanziali, segno che viene considerata un utile strumento residuale.

Procedure concorsuali giudiziali (soluzioni con intervento del tribunale)

Passiamo ora alle procedure giudiziali vere e proprie, quelle cioè che richiedono l’apertura di un procedimento dinanzi al tribunale e coinvolgono organi nominati dal giudice (commissari, curatori, ecc.). Queste procedure – note anche come “procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza” – hanno carattere pubblicistico e si concludono con provvedimenti dell’autorità giudiziaria. Storicamente, la principale procedura era il fallimento (oggi liquidazione giudiziale), affiancato dal concordato preventivo. Il Codice della Crisi ne ha mantenuto l’impianto, innovando su terminologia e dettagli per renderle più moderne ed efficienti. Vediamo in dettaglio il concordato preventivo e la liquidazione giudiziale, con cenni alle procedure speciali.

Concordato preventivo (artt. 84-120 CCII)

Il concordato preventivo è da decenni lo strumento principe per ristrutturare un’azienda in crisi con l’ausilio e sotto il controllo del tribunale. Viene spesso definito come la procedura concorsuale “di risanamento” per eccellenza, in contrapposizione al fallimento che è liquidativo. Lo scopo del concordato è raggiungere un accordo tra il debitore e i suoi creditori, sotto forma di un piano che preveda il soddisfacimento, anche parziale, dei crediti, in misura almeno non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione. In cambio dell’esecuzione di questo piano, il debitore ottiene l’esdebitazione dai residui debiti e può proseguire la propria attività (se il concordato è in continuità). Diversamente dagli accordi di ristrutturazione, nel concordato i creditori deliberano attraverso il voto: serve quindi l’approvazione di una maggioranza di crediti per poter essere omologato.

Tipologie di concordato: Il Codice della Crisi ha delineato con chiarezza due macro-tipologie di concordato preventivo, con regole parzialmente diverse:

  • Concordato in continuità aziendale (art. 84, co.2 e art. 87 CCII): quando il piano concordatario prevede che l’attività d’impresa prosegua, sia pure in forma diretta (l’azienda continua in mano al debitore) o indiretta (l’azienda viene ceduta o conferita ad un soggetto terzo che la prosegue). È considerato in continuità anche il caso in cui la continuità non sia integrale ma riguardi una parte rilevante dell’azienda, e pure ipotesi come l’affitto dell’azienda a terzi durante la procedura. La norma specifica che si ha continuità “quando la soddisfazione dei creditori dipende in misura anche non prevalente dai proventi generati dalla prosecuzione dell’attività”. Dunque anche piani misti (un po’ liquidazione di asset e un po’ ricavi futuri) rientrano in questa categoria, se c’è una parte significativa di ricavi da going concern.
  • Concordato liquidatorio (art. 84, co.3 e art. 88 CCII): quando il piano è finalizzato principalmente a liquidare il patrimonio dell’impresa senza proseguirne l’attività. Tipicamente prevede la vendita dei beni, la riscossione dei crediti e la distribuzione del ricavato ai creditori, con cessazione dell’attività. È la forma che più si avvicina al vecchio fallimento, ma con l’iniziativa e la proposta proveniente dal debitore.

La distinzione è importante perché il CCII ha introdotto requisiti più stringenti per il concordato liquidatorio, volti a evitarne abusi e a favorire invece la continuità. In particolare, per il concordato liquidatorio puro, l’art. 84, comma 4 CCII richiede obbligatoriamente: (a) un apporto di risorse esterne (denaro o beni apportati da terzi o dai soci) che aumenti di almeno il 10% l’attivo da liquidare; (b) che dal piano risulti una soddisfazione minima del 20% dei crediti chirografari (cioè almeno 20 centesimi per ogni euro di credito chirografario). Se il piano liquidatorio non rispetta queste soglie, non è ammissibile. Questa novità, assente nella vecchia legge fallimentare (dove il minimo era il 20% ma senza richieste di risorse esterne), spinge i debitori a non proporre concordati meramente liquidativi a meno di non avere un contributo esterno (ad esempio un nuovo investitore che immette denaro per pagare i creditori). In caso di continuità, invece, tali soglie non sono obbligatorie (anche se possono esserci criteri di fattibilità da rispettare). L’idea è: se c’è continuità, si confida che i creditori possano recuperare più del 20% magari nel medio termine grazie alla prosecuzione; se invece c’è solo liquidazione, il debitore deve mettere qualcosa in più sul piatto per giustificare la procedura concordataria rispetto a un fallimento.

Procedimento in sintesi: Il concordato si articola nelle seguenti fasi principali:

  1. Domanda di concordato: l’imprenditore in stato di crisi o insolvenza (non soggetto a liquidazione coatta, e non “impresa minore” sotto le soglie di legge) deposita un ricorso in tribunale, allegando la proposta, il piano e la documentazione richiesta (bilanci, elenco creditori, inventario etc.), oltre alla relazione di un attestatore indipendente che certifica veridicità dei dati e fattibilità del piano. In alternativa può presentare una domanda “con riserva” (concordato in bianco) ai sensi art. 44 CCII, chiedendo un termine (fino a 120 giorni + proroga 60) per presentare il piano definitivo. Questa seconda opzione è usata quando occorre guadagnare tempo per ultimare le trattative o gli incartamenti, ottenendo intanto le misure protettive automatiche.
  2. Fase di ammissione: il tribunale verifica la completezza della documentazione e l’ammissibilità giuridica della proposta (ad esempio, se rispetta il minimo 20% se liquidatoria, se non è manifestamente inattuabile, etc.). In caso positivo, emette un decreto di apertura del concordato preventivo, nominando il Giudice Delegato e il Commissario Giudiziale (figura di controllo che rappresenta gli interessi dei creditori durante la procedura). Da questo momento l’impresa è in concordato: gode del blocco delle azioni esecutive e dei sequestri (stay) e l’attività prosegue sotto la vigilanza del commissario. Gli amministratori conservano la gestione ordinaria, ma per gli atti straordinari serve autorizzazione del tribunale (art. 94 CCII). Eventuali creditori o interessati possono presentare opposizioni se ritengono il debitore non meritevole.
  3. Adunanza dei creditori e voto: Il commissario entro 45 giorni deposita una relazione dettagliata sul piano, sulla fattibilità e sulla convenienza rispetto all’alternativa liquidatoria. Viene quindi indetta l’adunanza dei creditori (oggi spesso sostituita da voto anche in forma scritta/telematica). I creditori vengono suddivisi in classi se sono presenti posizioni differenziate (il CCII incoraggia la formazione di classi omogenee per trattamenti differenziati, obbligatoria se si vogliono trattare diversamente crediti di rango uguale). Durante l’adunanza, il debitore illustra il piano, il commissario riferisce, e i creditori discutono. Poi esprimono il voto: ogni creditore ha diritto di voto per l’importo del proprio credito (salvo privilegiati che vengono soddisfatti integralmente: questi in genere non votano se non rinunciano in parte al privilegio). La proposta di concordato è approvata se ottiene il voto favorevole di creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto (>= 50% più uno). Se ci sono classi, è sufficiente che la maggioranza sia raggiunta nel complesso dei crediti, non necessariamente in ogni classe (non serve unanimità per classe, a differenza di alcuni ordinamenti esteri). Tuttavia, se una o più classi votano contro, si pone un problema di omologazione forzata (vedi oltre cram down). I creditori possono anche presentare proposte concorrenti se il debitore è inerte o se creditori oltre il 10% (ora abbassato al 5%) ritengono di offrire condizioni migliori; questa possibilità è stata ampliata dal CCII per stimolare proposte alternative e competitive.
  4. Omologazione: se i creditori approvano la proposta (o comunque sussistono le condizioni di legge per procedere nonostante dissensi, come il cram down), si passa alla fase di omologazione dinanzi al tribunale. I creditori dissenzienti e qualsiasi interessato possono proporre opposizioni all’omologazione, solitamente per contestare la convenienza (argomentando che avrebbero di più col fallimento) o la regolarità della procedura. Il tribunale valuta queste opposizioni e verifica d’ufficio alcuni requisiti: rispetto delle priorità dei crediti (non si possono alterare l’ordine dei privilegi se non con consenso), parità di trattamento dei creditori di pari grado, effettiva fattibilità del piano. La giurisprudenza ha delineato i confini di questo controllo: la Cassazione ha più volte ribadito che il giudice deve sindacare liberamente la fattibilità giuridica (coerenza del piano con le norme, ad esempio no proposta di pagare un creditore privilegiato meno di un chirografario) mentre la fattibilità economica va valutata solo in termini di assenza di manifesta inettitudine del piano a raggiungere gli obiettivi. In altri termini, il giudice non deve entrare nel merito delle scelte imprenditoriali, ma può bocciare il piano se appare chiaramente irrealistico (“manifestamente inattuabile”). Una volta superato l’esame, il tribunale emette il decreto di omologazione del concordato preventivo, che viene comunicato a tutte le parti. Con l’omologazione, il piano diventa efficace e vincolante per tutti i creditori anteriori. Se invece l’omologazione viene negata (ad es. per mancata maggioranza e insussistenza di requisiti per cram down, o per contrarietà a norme), il tribunale dichiara contestualmente la liquidazione giudiziale (salvo rare eccezioni).

Esecuzione del concordato: Dopo l’omologazione, si apre la fase di esecuzione, che può durare anche anni a seconda della complessità del piano. Se è un concordato in continuità, l’imprenditore prosegue la gestione e deve attenersi agli obblighi di pagamento previsti dal piano. Il tribunale spesso nomina un commissario/attestatore per l’esecuzione o mantiene in carica il commissario giudiziale per vigilare sull’esatto adempimento. Se il debitore esegue regolarmente, alla fine verrà dichiarato adempiuto e chiuderà la procedura, liberandosi dai debiti residui. Se invece inadempie in modo rilevante, i creditori possono chiedere la risoluzione del concordato (e si aprirebbe comunque la liquidazione giudiziale successiva). Nei concordati con assuntore, l’assuntore (terzo) si incarica di pagare i creditori secondo il piano e normalmente prende in consegna l’azienda o i beni ceduti; la sua inadempienza darebbe luogo a escussione di eventuali garanzie e poi a risoluzione.

Cram down e omologazione forzosa: Una grande novità del CCII riguarda la possibilità di omologare il concordato anche senza il voto favorevole di tutte le classi. In analogia con la Direttiva Insolvency, l’art. 112 CCII prevede il cram down sia verticale (verso creditori dissenzienti che eccepiscono la convenienza) sia orizzontale (cross-class cram down). In sintesi:

  • Se la maggioranza assoluta di crediti ha votato sì, ma alcuni creditori dissenzienti (almeno il 20%) contestano la convenienza, il tribunale può comunque omologare il concordato purché questi creditori dissenzienti ottengano almeno quanto otterrebbero in una liquidazione giudiziale. Questo era previsto anche nella legge precedente ed è un principio di best interest test: se la proposta è più conveniente del fallimento, il dissenso di una minoranza qualificata non impedisce l’omologazione (il tribunale rigetta l’opposizione di convenienza).
  • Inoltre, se ci sono più classi e non tutte approvano, è ora possibile l’omologazione con cram down a determinate condizioni (art. 112, co.2-3). Serve che almeno una classe di creditori “interessati” (cioè non interamente soddisfatti) abbia votato a favore; che le classi dissenzienti non ricevano più di quanto spetterebbe loro in caso di liquidazione (quindi siano rispettati absolute priority o relative priority rule); e che il piano non attribuisca utilità a una classe inferiore rispetto a una classe dissenziente che viene sacrificata senza consenso. In pratica, il tribunale può imporre il concordato anche a classi contrarie se giudica che nel complesso il piano sia equo e vantaggioso rispetto all’alternativa. Questo è il meccanismo di cross-class cram down che consente di superare il veto di intere classi (ad es. una classe di chirografari dissenzienti, se i privilegiati e magari alcuni chirografari sono favorevoli, e il piano rispetta comunque i loro diritti minimi). Un limite è che nel concordato in continuità se la classe dissenziente è quella dei creditori fiscali o previdenziali e il loro voto era determinante per avere la maggioranza di classi, allora il cram down non può essere utilizzato (serve comunque il loro voto favorevole); mentre se il loro voto non era decisivo, si può procedere lo stesso (e comunque è previsto il cram down fiscale come visto prima). Queste finezze garantiscono un equilibrio tra tutela erario e fattibilità dei piani di continuità.

Vantaggi del concordato: Il concordato preventivo è uno strumento onnicomprensivo: a differenza di un accordo separato, consente di gestire in un unico contesto tutti i debiti dell’impresa, anche centinaia di creditori, con effetto vincolante generale. È il mezzo più adatto quando la crisi è estesa e non si può ottenere l’accordo di tutti i singoli creditori. Offrendo il voto democratico, consente comunque una partecipazione dei creditori alle decisioni, salvaguardando in linea di principio i loro interessi collettivi. Permette inoltre di perseguire strategie complesse di ristrutturazione: non solo falcidie e dilazioni, ma anche strumenti come conversione di crediti in quote di capitale (i creditori possono diventare soci in pagamento del loro credito, se concordano), transazioni su contenziosi, rinegoziazioni di contratti (è possibile chiedere di sciogliere o sospendere contratti onerosi in corso, con autorizzazione ex art. 97 CCII, ad esempio contratti di leasing non più sostenibili). Nel concordato in continuità, il debitore ottiene un ombrello per rilanciare l’impresa: può ottenere finanziamenti prededucibili per sostenere l’attività (il tribunale può autorizzare fin da subito finanziamenti urgenti che saranno rimborsati con priorità assoluta), e può tutelare le controparti strategiche (i fornitori essenziali vengono pagati in prededuzione per continuare a fornire). Anche i contratti pubblici o le autorizzazioni amministrative sono conservati (non decadono per il concordato). Insomma, è uno strumento che se ben impiegato può dare all’azienda il tempo e le risorse per risanarsi e ripagare i creditori secondo le sue possibilità. Un altro vantaggio è la trasparenza e controllo: con la presenza del commissario e del giudice, i creditori hanno maggiori garanzie che il debitore non compia atti opportunistici; inoltre tutto il processo è documentato e soggetto a norme (ad esempio, rigorose sulle comunicazioni e sul diritto di informazione dei creditori). Ciò costruisce fiducia, talora mancante nelle soluzioni puramente private.

Svantaggi: Di contro, il concordato è una procedura complessa e costosa. Richiede tempi mediamente più lunghi di un accordo (dalla presentazione alla omologazione possono passare diversi mesi, spesso oltre un anno, specie se vi sono opposizioni o complicazioni). I costi includono le spese di giustizia, il compenso del commissario, dell’attestatore, degli eventuali professionisti coinvolti (avvocati, consulenti), che generalmente sono pagati in prededuzione. Per piccole imprese, il peso di questi costi può essere un deterrente (infatti per le micro imprese spesso è preferibile un accordo semplificato o il ricorso alle procedure di sovraindebitamento). Inoltre, il concordato comporta una certa pubblicità negativa: l’apertura è iscritta nel Registro Imprese, se l’azienda è nota la notizia può diffondersi. Questo potenzialmente può far perdere fiducia a parte della clientela o partner (sebbene ormai concordati in continuità siano visti meno stigmatizzanti che in passato, come dimostra il caso di grandi aziende – es. Astaldi S.p.A. – che durante il concordato hanno mantenuto commesse e successivamente sono uscite integrate in altri gruppi). C’è poi il rischio che la procedura di concordato, se non ben gestita, possa sfociare in fallimento: se il piano non viene approvato dai creditori, o se l’omologazione viene negata, tipicamente l’impresa finisce in liquidazione giudiziale. Questo scenario può materializzarsi se il debitore propone condizioni troppo sfavorevoli che i creditori respingono; oppure se emergono irregolarità. Quindi occorre cautela: proporre un concordato realisticamente attuabile e appetibile ai creditori è fondamentale (da qui l’importanza delle trattative informali prima del voto: spesso il debitore, con l’aiuto di advisor, sonda il terreno con i creditori maggiori per capire se la proposta sarà accettata). Un ulteriore limite è che alcune tipologie di crediti non possono essere falcidiati liberamente: in particolare l’IVA e le ritenute non versate (debiti fiscali “non dilazionabili”) vanno pagati integralmente nel concordato, salvo diversa previsione di legge. Ciò significa che se l’azienda ha un grosso debito IVA, deve comunque reperire risorse per pagarlo (ad esempio con un apporto dei soci) altrimenti il piano non sarà confermabile. Questo vincolo, derivante dal diritto UE, spesso complica i concordati, ma il legislatore italiano ha introdotto la possibilità del cram down fiscale anche nel concordato: se il Fisco vota no, ma la proposta prevede il pagamento integrale dell’IVA a valori attuali, il giudice può omologare lo stesso.

Norme e riferimenti: Il concordato preventivo occupa buona parte del Codice della Crisi: artt. 84-120, oltre a rinvii negli artt. 40 e seguenti per la procedura unitaria di accesso, e negli artt. 112-114 per l’omologazione. Le modifiche del 2024 (D.Lgs 136/2024) hanno inciso su molti articoli, tra cui la già menzionata disciplina dei crediti fiscali (art. 88 con comma 2-bis per il cram down), il potere del tribunale di autorizzare finanziamenti prededucibili anche prima dell’ammissione (ora espressamente previsto per accelerare i DIP financing), e l’eliminazione di alcuni passaggi burocratici. Giurisprudenza di legittimità abbondante: un principio cardine confermato di recente è quello sulla fattibilità economica (Cass. 28891/2020, citata in Cass. Sez. Un. 8500/2014), come visto, che limita l’ingerenza del giudice nel merito del piano. Inoltre, sul cram down interclassi avremo probabili sentenze nei prossimi anni. Un precedente innovativo è Cass. 22 giugno 2021, n. 17834 che, in vigenza della vecchia legge, anticipò la possibilità per il giudice di “graduare” in modo non strettamente vincolato ai privilegi le soddisfazioni, se giustificato da interesse dei creditori, aprendo la strada al criterio della relative priority rule poi recepito dal CCII. Tra i casi concreti famosi, oltre a quelli già citati (Astaldi, Parmalat nel 2003 col decreto Marzano, Alitalia con amministrazione straordinaria), si può menzionare il concordato ATAC (2017), grande azienda di trasporto pubblico locale: lì i creditori (compresi obbligazionisti internazionali) votarono sì a un piano che prevedeva il rimborso parziale su 20 anni, preferendolo al fallimento; il caso mostra come anche enti pubblici locali possano utilizzare il concordato per risanare i debiti mantenendo il servizio pubblico. In dottrina, volumi e articoli si sprecano: citiamo “Il concordato preventivo dopo il CCII” (Fabiani, 2023) e “Concordato preventivo e continuità aziendale” (Panzani, 2022) come testi di riferimento che analizzano dettagliatamente le novità su classi, trattamento dei privilegiati, concorrenza di offerte, ecc. La prassi dei tribunali italiani è monitorata dal CSM e dal Ministero: sono state emanate linee guida per uniformare le relazioni dei commissari e le modalità di voto telematico (specie durante l’emergenza Covid). Nel complesso, il concordato rimane un istituto fondamentale: il Rapporto Cerved 2024 segnala un aumento significativo dei concordati in continuità rispetto al passato, sintomo che sempre più imprese preferiscono provare a ristrutturare e continuare, piuttosto che arrendersi al fallimento.

Liquidazione giudiziale (ex fallimento)

La liquidazione giudiziale è la procedura concorsuale destinata alle imprese insolventi per le quali non si prospetta alcuna soluzione di risanamento. È, in sostanza, l’erede del tradizionale fallimento (termine che il Codice della Crisi ha abbandonato, ma che rimane in uso colloquiale). Si tratta della procedura liquidatoria per antonomasia: il patrimonio del debitore viene acquisito, gestito e venduto da un organo pubblico (il Curatore), sotto la supervisione del Giudice Delegato e con il controllo dei creditori attraverso un Comitato dei creditori, al fine di distribuire il ricavato tra i creditori secondo l’ordine delle cause di prelazione. Al termine, la società fallita viene cancellata e l’imprenditore persona fisica può ottenere la liberazione dai debiti residui (esdebitazione).

Presupposti: Può essere assoggettato a liquidazione giudiziale l’imprenditore commerciale insolvente, non piccolo. I parametri dimensionali per escludere l’“impresa minore” sono quelli già indicati (attivo ≤ €300.000, ricavi ≤ €200.000, debiti ≤ €500.000); tali soglie, se tutte rispettate congiuntamente, esonerano dall’istanza di liquidazione giudiziale, ma ricadono comunque nelle procedure di sovraindebitamento. L’insolvenza è definita (art. 2 CCII) come l’impossibilità di far fronte regolarmente alle proprie obbligazioni (non basta uno stress temporaneo, ci vuole uno stato perdurante di impotenza finanziaria). La dichiarazione di liquidazione giudiziale può essere richiesta dal debitore stesso, da un creditore o dal Pubblico Ministero (in casi specifici, ad esempio insolvenza di società quotata segnalata dalla Consob, o istanza d’ufficio in composizione negoziata se ci sono atti in frode). Il tribunale, accertata l’insolvenza, con sentenza dichiara aperta la liquidazione giudiziale (ex sentenza di fallimento).

Effetti dell’apertura: La sentenza di liquidazione giudiziale provoca una serie di effetti immediati: la spossessamento del debitore (che perde la gestione e disponibilità dei beni, che passano in capo al Curatore); il divieto di azioni esecutive individuali da parte dei creditori (si apre il concorso formale: tutti i creditori confluiscono nella procedura); la cristallizzazione del passivo (i debiti anteriori si considerano scaduti e non maturano più interessi, salvo i privilegiati entro i limiti di capienza); si sciolgono gli organi societari di amministrazione (per le società di capitali decadono amministratori). Il tribunale nomina il Curatore (professionista che gestirà la procedura) e il Giudice Delegato che sovrintende. I creditori devono presentare le loro domande di insinuazione al passivo entro i termini fissati (di solito 30-60 giorni prima dell’udienza di verifica dello stato passivo).

Accertamento del passivo: Si svolge in camera di consiglio l’udienza di verifica dei crediti: il Curatore predispone un progetto di stato passivo elencando i crediti ammessi (con grado di prelazione) e quelli eventualmente esclusi o contestati; il Giudice Delegato, all’udienza, esamina le osservazioni di eventuali creditori esclusi e forma lo stato passivo definitivo. I creditori ammessi vengono suddivisi in categorie: crediti prededucibili (costi della procedura, crediti sorti in composizione negoziata o concordato precedente, finanziamenti autorizzati, ecc.), crediti privilegiati (che hanno prelazioni su beni mobili o immobili, ipoteche, pegni, privilegio generale sui mobili per dipendenti e fisco, ecc.), crediti chirografari (senza garanzie). L’ordine di soddisfazione seguirà questa graduatoria.

Liquidazione dell’attivo: Il Curatore, coadiuvato dal Comitato dei creditori, procede a liquidare i beni del debitore. Elabora un programma di liquidazione (da sottoporre al comitato e al giudice) con le modalità di vendita (aste competitive, trattative private autorizzate, ecc.). Si vendono immobili, macchinari, magazzino, ecc.; si possono cedere crediti, proseguire cause pendenti per riscuotere somme dovute al fallito, e così via. In alcuni casi il Curatore può esercitare l’impresa provvisoriamente (esercizio provvisorio) per completare lavori in corso o vendere l’azienda come going concern. Questa è una differenza rispetto al passato: oggi la liquidazione giudiziale, se opportuno, può mantenere in funzione l’azienda per un periodo, al fine di venderla non “a pezzi” ma come attività funzionante (migliorando i recuperi e salvando posti di lavoro). Ad esempio, Tribunale di Milano, 2022 ha autorizzato l’esercizio provvisorio di una società manifatturiera per 6 mesi, poi venduta in blocco ad un investitore: i creditori hanno recuperato più che in una vendita spezzatino.

Distribuzione ai creditori e chiusura: Man mano che si ricavano somme, il Curatore procede a ripartizioni seguendo l’ordine di prelazione: prima si pagano integralmente i prededucibili, poi se vi sono sufficienti risorse si soddisfano i privilegiati (ognuno sul ricavato del bene su cui ha prelazione, ad esempio la banca ipotecaria sul ricavato dell’immobile ipotecato), infine ciò che resta va ai chirografari in percentuale. Se i beni sono pochi, può accadere che i chirografari non ricevano nulla (ad esempio se l’attivo basta a coprire solo una parte dei privilegiati). Terminata la liquidazione, il Curatore presenta il conto finale e un piano di riparto finale; il tribunale chiude la procedura con apposito decreto di chiusura. Da tale momento, l’imprenditore (persona fisica) può chiedere l’esdebitazione (art. 278 CCII), ossia la cancellazione dei debiti residui verso creditori concorsuali non soddisfatti, a condizione di avere collaborato e non aver violato leggi (questo istituto di freschezza post-fallimentare, introdotto nel 2006, è ora un diritto quasi automatico per il fallito onesto).

Concordato nella liquidazione giudiziale: È opportuno menzionare che anche dopo l’apertura di una liquidazione giudiziale esiste una possibilità negoziale: il cosiddetto concordato fallimentare (ora “concordato nella liquidazione giudiziale”). I creditori o un terzo possono proporre un concordato ai creditori della procedura, ad esempio offrendo di pagare un certo dividendo immediato e chiudere la liquidazione. Se i creditori lo approvano e il tribunale lo omologa, la liquidazione giudiziale si chiude anticipatamente con soddisfazione parziale ma in tempi rapidi. Spesso questo concordato è proposto da un assuntore (un investitore che rileva quel che resta dell’azienda o paga per evitarne la continuazione della procedura). Ad esempio, in casi di grandi crack è capitato che dopo qualche anno di fallimento un soggetto facesse una proposta di concordato fallimentare per rilevare gli asset residui (come nei crack Parmalat o Cirio in passato). Il CCII agli artt. 240-251 regola il concordato nella liquidazione giudiziale in modo simile al concordato preventivo, con percentuali di voto e omologazione. Dunque, anche in fase di fallimento la negoziazione con creditori può riesplodere con un accordo transattivo finale.

Vantaggi: La liquidazione giudiziale, per quanto visto come l’ultima ratio, ha la funzione positiva di assicurare la par condicio (trattamento equo) dei creditori e un realizzo ordinato dell’attivo evitando la corsa disordinata alle esecuzioni individuali. Quando un’azienda non è più salvabile, il fallimento è uno strumento necessario per “resettare” la situazione: libera l’imprenditore dall’oppressione dei debiti irrecuperabili (grazie all’esdebitazione), consente di reimpiegare gli asset produttivi in nuove mani più efficienti (tramite cessione dell’azienda o dei beni), e punisce eventualmente condotte irregolari con le relative sanzioni (inabilitazioni, azioni di responsabilità, etc.). Dal punto di vista negoziale, il “minacciare il fallimento” resta un potente incentivo nelle trattative: spesso i creditori sono disponibili a sacrifici proprio perché sanno che la prospettiva alternativa è il fallimento, nel quale probabilmente recupererebbero meno. Anche in procedura aperta, il Curatore può condurre transazioni (ad esempio transigere cause per incassare prima) e comporre alcuni interessi, benché non negozi un piano con i creditori come farebbe l’imprenditore.

Svantaggi: Chiaramente, la liquidazione giudiziale implica la fine dell’impresa come entità (salvo spezzoni ceduti). I creditori spesso ottengono percentuali molto basse sui loro crediti (i dati mostrano medie inferiori al 10% per i chirografari). I tempi possono essere lunghi: non di rado i fallimenti si chiudono dopo 5-6 anni (anche se il CCII spinge per chiusure entro 3 anni, tramite programmi e incentivi al curatore). Inoltre, c’è dispersione di valore: un macchinario venduto all’asta fallimentare frutta meno che se usato dall’azienda in bonis, i dipendenti perdono il lavoro (salvo reimpieghi in cessione), ecc. Per questo il legislatore e gli operatori considerano il fallimento come extrema ratio, da evitare se ragionevolmente c’è spazio per soluzioni alternative. Non a caso tutta la riforma va nel senso di ridurre i fallimenti promuovendo concordati, accordi e composizioni. Tuttavia, va riconosciuto che in alcuni casi il fallimento è inevitabile (frodi, dissesti colossali, mancanza totale di asset liquidi) e persino utile per “fare pulizia” nel sistema economico.

Norme e riferimenti: La liquidazione giudiziale è disciplinata dalla Parte II del CCII (artt. 121-336). Il D.Lgs. 83/2022 ne ha anticipato l’entrata in vigore e il D.Lgs. 136/2024 ha apportato modifiche minori (ad es. sulla chiusura semplificata per insufficienza di attivo, art. 233, e su coordinamento con procedure sovraindebitamento). Giurisprudenza: per la natura stessa della procedura, la gran parte dei provvedimenti sono decreti e sentenze dei tribunali fallimentari, e pochi temi arrivano in Cassazione (ma ce ne sono su aspetti specifici, es: Cass. SS.UU. 8053/2014 sulla prededuzione dei crediti anteriori per procedure minori, ora superata dal CCII). Sul fronte pratico, degno di nota è l’utilizzo sempre più frequente di piattaforme telematiche per le vendite fallimentari (portale delle vendite pubbliche), che ha migliorato la partecipazione e spesso realizzato prezzi migliori. La Procura della Repubblica continua ad avere un ruolo di vigilanza: in caso di reati fallimentari (bancarotta fraudolenta, documentale) vi saranno procedimenti penali correlati. Dottrina classica sul fallimento: da Vassalli a Jorio, molta letteratura, oggi aggiornata nei commentari al CCII (es. “La liquidazione giudiziale” a cura di Patti, 2023). In prassi, la differenza terminologica non ha cambiato la percezione: si continua a dire “sentenza di fallimento” anche se formalmente è “sentenza di liquidazione giudiziale”. Si noti un aspetto: per banche, assicurazioni e altri soggetti regolati, esistono procedure di liquidazione coatta amministrativa al posto del fallimento; e per grandi imprese insolventi di rilevanza pubblica c’è la amministrazione straordinaria (Legge Marzano e Prodi-bis). Queste sono però eccezioni di settore.

Altre procedure speciali e sovraindebitamento

Per completezza, ricordiamo brevemente altre procedure oltre a quelle esaminate, che pur non oggetto principale di questa guida, fanno parte del sistema:

  • Liquidazione coatta amministrativa (LCA): applicabile a determinati enti (banche, intermediari finanziari, assicurazioni, società cooperative, etc.) per cui le crisi sono gestite dall’autorità di vigilanza settoriale (Banca d’Italia, IVASS, Ministeri). La LCA è simile al fallimento come finalità (liquidazione dell’ente), ma è disposta con provvedimento amministrativo e gestita da commissari nominati dall’autorità. Per esempio, le banche insolventi vengono messe in LCA, spesso preceduta da amministrazione straordinaria temporanea. Per i creditori, la LCA prevede l’accertamento del passivo e il riparto analoghi. Non prevede concordato preventivo (anche se può terminare con cessione di asset).
  • Amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi: strumento istituito dalla Legge Prodi-bis (D.Lgs. 270/1999) e potenziato dalla Legge Marzano (L. 39/2004) per gestire insolvenze di imprese con oltre 200 dipendenti e grossi debiti, dove l’obiettivo è tentare la continuazione dell’attività per salvaguardare interessi pubblici (occupazione, indotto, servizio pubblico). In A.S., un commissario straordinario nominato dal Ministero dello Sviluppo Economico elabora un programma di ristrutturazione o di cessione. Esempi noti: Parmalat 2003, Ilva, Alitalia 2008 (entrata in A.S. speciale con Alitalia CAI). È una procedura concorsuale, ma fuori dal circuito giustizia ordinaria; può durare parecchi anni. I creditori vengono soddisfatti con le risorse generate dal programma o con cessione di rami. Non richiede il consenso dei creditori (non c’è voto, è più simile a un fallimento pilotato dallo Stato).## Parte II – Guida narrativa e casi pratici di negoziazione con i creditori

Passiamo ora dalla teoria alla pratica, esplorando come condurre concretamente le trattative con le varie categorie di creditori e stakeholder in una situazione di crisi aziendale. Ogni tipologia di controparte (banche, fornitori, dipendenti, Fisco, ecc.) ha infatti interessi e vincoli diversi, richiedendo un approccio negoziale mirato. Nei paragrafi seguenti, attraverso esempi realistici, vedremo quali strategie adottare, quali errori evitare e come può aiutare il coinvolgimento di professionisti esperti e degli organi previsti dalle procedure. Pur trattandosi di situazioni simulate, faremo riferimento a prassi realmente utilizzate e a vicende tipiche emerse in casi di risanamento aziendale. L’obiettivo è offrire una sorta di vademecum narrativo: una guida nel “gioco di ruolo” della negoziazione della crisi, dove l’imprenditore deve saper dialogare efficacemente con ciascun interlocutore per convergere verso una soluzione condivisa.

Negoziazione con le banche creditrici

Le banche sono spesso i creditori principali di un’azienda in crisi, poiché tipicamente l’impresa insolvente ha esposizioni significative sotto forma di mutui, linee di credito, anticipi fatture o leasing. La banca ha un approccio tecnico basato su analisi finanziarie e vincoli regolamentari: quando un credito diventa deteriorato (UTP o sofferenza), deve accantonare riserve e seguirà procedure interne per il recupero o la ristrutturazione. Pertanto, negoziare con successo con le banche richiede professionalità, dati solidi e un piano credibile.

Immaginiamo il caso di Azienda Alfa, PMI manifatturiera con 80 dipendenti, che ha accumulato 2 milioni di euro di debiti verso la Banca X (un mutuo ipotecario e un fido di cassa) e 1 milione verso la Banca Y (leasing macchinari). A causa di un calo di fatturato, Alfa fatica a rispettare le rate e teme che le banche revochino gli affidamenti. Gli amministratori decidono di affrontare la situazione apertamente con gli istituti di credito, incaricando un advisor finanziario di predisporre un piano di ristrutturazione del debito.

Preparazione: Prima di incontrare le banche, Alfa deve preparare un piano industriale pluriennale realistico, con ipotesi di ricavi, taglio costi e eventualmente nuovi apporti di capitale dai soci. Il piano evidenzia che, con una moratoria di 12 mesi sul rimborso del mutuo e una dilazione delle altre esposizioni, l’azienda potrebbe riprendersi grazie a nuovi ordini già acquisiti. Questo piano è accompagnato da una relazione indipendente di un professionista attestatore, che certifica la veridicità dei dati e la ragionevole fattibilità (anche se la legge non obbliga qui l’attestazione, presentarla volontariamente aumenta la credibilità). La preparazione include anche un’analisi delle garanzie esistenti: Banca X ha ipoteca su il capannone, Banca Y un privilegio sui macchinari leasing. Quindi le banche, in caso di default, potrebbero agire sulle garanzie ma con tempi lunghi e recuperi incerti. Questo sarà un punto chiave da sottolineare: meglio ristrutturare che escutere le garanzie.

Primo approccio con le banche: L’imprenditore di Alfa, insieme all’advisor, convoca un incontro con i funzionari responsabili del credito deteriorato di Banca X e Y. Durante la riunione, espone la situazione in modo trasparente e documentato. Onestà e trasparenza sono fondamentali: ammettere le difficoltà ma anche mostrare le soluzioni. Viene presentato il piano di risanamento, evidenziando che richiede uno sforzo delle banche (sospensione temporanea dei pagamenti e allungamento dei piani di rimborso) ma che in cambio offre prospettive di recupero integrale dei crediti in 5 anni, contro una possibile perdita ben più alta in caso di fallimento (stima: solo il 30-40% sui beni ipotecati).

Le banche apprezzano l’approccio proattivo: secondo le Linee Guida ABI 2025 sul dialogo banche-imprese, emanate in collaborazione con le associazioni imprenditoriali, è buona prassi per gli istituti valutare misure di sollievo per le imprese temporaneamente in difficoltà, come la concessione di moratorie sulle rate. Naturalmente, la banca farà le sue valutazioni: vuole capire se la difficoltà di Alfa è davvero temporanea (crisi da liquidità) o strutturale. Analizzerà i dati di Alfa, il portafoglio ordini, i margini prospettici; inoltre dovrà classificare l’eventuale modifica del credito secondo le regole di vigilanza (ad esempio, un credito ristrutturato avrà status di forborne, con implicazioni sul rating interno). Per questo, l’advisor di Alfa presenta un quadro dettagliato e risponde alle domande puntuali dei funzionari (ad es. “Cosa succede se i ricavi previsti ritardano di 6 mesi? Avete liquidità sufficiente?”). Una buona preparazione permette di rassicurare la banca che il piano non è campato in aria.

Negoziazione dei termini: Poniamo che Banca X sia disponibile a una moratoria di 12 mesi sul mutuo e a diluire le rate successive su 5 anni aggiuntivi, ma chiede in cambio un aumento del tasso di interesse di 50 punti base per compensare il maggior rischio e l’allungamento. Alfa, assistita dal suo advisor, può accettare questo incremento di interesse (compatibile con il piano) ma chiede di ottenere anche un periodo di grazia sul fido di cassa (oggi sconfinato) per evitare segnalazioni a sofferenza. Banca Y, dal canto suo, propone di rimodulare il leasing: allungare la durata di 2 anni riducendo il canone mensile, e spostare le 3 rate arretrate in coda al piano. In più, richiede che i soci di Alfa firmino garanzie personali aggiuntive per confermare il loro impegno. Dopo alcune trattative, si raggiunge un accordo di massima: Alfa otterrà respiro immediato (nessuna escussione delle garanzie, fidi confermati, pagamenti sospesi per alcuni mesi) e le banche avranno un piano di rientro concordato. L’accordo viene formalizzato in un accordo di ristrutturazione del debito bilaterale con ciascuna banca, oppure confluirà in un accordo di ristrutturazione ex art. 57 CCII omologato dal tribunale se l’azienda sceglie quella via (in tal caso, le banche costituiranno ben oltre il 60% dei crediti finanziari, soddisfacendo il quorum).

Nel corso della trattativa con le banche, potrebbe essere emersa l’esigenza di nuova finanza: ad esempio, servono 200 mila euro di liquidità per portare avanti la produzione nei mesi di moratoria (pagare fornitori, stipendi, ecc.). Le banche, valutato il piano, potrebbero esse stesse concedere un piccolo nuovo finanziamento in prededuzione oppure dare l’assenso a far entrare un investitore terzo con una super-seniority (in un concordato, tale finanziamento sarebbe autorizzato dal tribunale e protetto). Spesso, quando la banca crede nel piano, preferisce “curare” il malato piuttosto che staccare la spina: ciò può tradursi anche in linee aggiuntive (ad esempio, Banca X concede ad Alfa un finanziamento agevolato garantito dal Fondo PMI per 100 mila €, sapendo che sarà prededucibile). Questo comportamento è incoraggiato anche dalla normativa: il CCII prevede che i finanziamenti autorizzati in esecuzione di un accordo o concordato siano prededucibili e non revocabili, proprio per incentivare il sostegno finanziario durante la crisi.

Il fattore tempo e comunicazione: Nella negoziazione con le banche, Alfa ha giocato d’anticipo. Se avesse atteso di accumulare arretrati per 6-12 mesi e di subire una revoca dei fidi, probabilmente le posizioni si sarebbero irrigidite e la banca avrebbe perso fiducia. Invece, muovendosi prima che la situazione precipitasse, l’azienda ha potuto costruire una narrativa di “crisi gestibile” e coinvolgere le banche come partner nel salvataggio. Durante le trattative, è essenziale mantenere la parola data: ad esempio, se Alfa promette di fornire entro una certa data un report intermedio sull’andamento delle vendite, deve farlo puntualmente. Questo consolida la fiducia. Inoltre, ogni impegno assunto nel nuovo accordo va rispettato scrupolosamente: le banche monitoreranno mensilmente i conti, e basterebbe un nuovo inadempimento per far saltare la ristrutturazione e finire in default conclamato. In tal senso, l’advisor consiglia di inserire covenant realistici e lasciare un margine di sicurezza nei flussi di cassa.

Conclusione della vicenda (scenario positivo): Grazie a questa negoziazione, l’Azienda Alfa riesce a superare la fase critica. Le banche la riclassificano come “in bonis ristrutturato” e, dopo un anno di moratoria, i pagamenti riprendono secondo il nuovo piano. Alfa torna ad essere regolare e, a scadenza, riesce a onorare integralmente i propri debiti finanziari, magari rifinanziando a condizioni di mercato una volta ristabilita la redditività. Il successo è dipeso da: approccio tempestivo e trasparente, piano credibile supportato da dati, disponibilità delle banche a soluzioni flessibili (anche sulla scorta di linee guida di sistema) e rigoroso rispetto degli accordi.

(Naturalmente, non sempre va così: se l’azienda non riesce a tenere fede al piano, o se i problemi sono più gravi del previsto, la banca potrebbe interrompere la moratoria e procedere legalmente. In tal caso, la partita negoziale potrebbe spostarsi in tribunale con un concordato preventivo o, purtroppo, in sede fallimentare. Ma anche lì, paradossalmente, la trattativa può riaprirsi sotto forma di concordato fallimentare con intervento di un terzo – come visto nella Parte I.)

Negoziazione con fornitori e creditori commerciali

Accanto alle banche, fornitori, subfornitori e altri creditori commerciali costituiscono un gruppo essenziale di controparti. Sono spesso decine o centinaia di soggetti, tipicamente chirografari (senza garanzie reali), che vantano crediti per forniture di merci, materie prime, servizi, fatture non pagate, canoni di locazione, etc. La caratteristica dei fornitori è che hanno un duplice interesse: da un lato recuperare il proprio credito, dall’altro mantenere il cliente (l’azienda in crisi potrebbe essere per loro una fonte di fatturato futuro, se sopravvive). Questo li rende spesso più flessibili nel cercare soluzioni, purché mantengano una prospettiva di continuare il rapporto commerciale.

Consideriamo Azienda Beta, distributore all’ingrosso di prodotti alimentari, in crisi di liquidità: ha €500.000 di debiti verso vari fornitori (aziende alimentari) scaduti da 90 giorni. I fornitori hanno iniziato a spedire solo contro pagamento anticipato (stop forniture a credito) e alcuni minacciano azioni legali. Beta, dal canto suo, ha magazzino pieno e ordini dai supermercati, ma se i fornitori non consegnano più il fresco, l’attività si blocca. È evidente che qui la continuità aziendale è interesse reciproco sia di Beta che dei suoi fornitori: se Beta fallisce, i fornitori perdono un cliente e recupereranno forse il 20% del loro credito tra anni; se Beta sopravvive, potranno continuare a vendere. Occorre quindi trovare un accordo di recupero graduale dei debiti pregressi e di ripristino del fido commerciale.

Strategia di approccio: Beta convoca un meeting (o call) con i suoi principali 5 fornitori, che rappresentano il 70% del debito complessivo. Nel frattempo, invia una comunicazione scritta a tutti i fornitori minori spiegando di essere in fase di ristrutturazione finanziaria e chiedendo pazienza per qualche settimana, impegnandosi a presentare un piano di pagamento. La comunicazione onesta e proattiva evita che ogni fornitore agisca individualmente: molti apprezzano di essere informati e sospendono temporaneamente le azioni legali in attesa del piano (spesso i creditori concedono qualche settimana se vedono collaborazione). Durante l’incontro con i principali fornitori, Beta espone la situazione: un calo di incassi dovuto a insolvenza di un grosso cliente l’ha messa in crisi, ma il mercato c’è e l’azienda può recuperare. Chiede dunque ai fornitori di accettare un piano di rientro dei debiti in arretrato: ad esempio, pagare il 50% entro 6 mesi in rate mensili, e il restante 50% entro 12 mesi. Propone inoltre di riprendere subito gli ordini correnti pagando questi ultimi magari per pronta cassa (a vista) per qualche mese, così che i fornitori non aumentino ulteriormente il rischio.

Leverage e argomentazioni: Beta fa notare ai fornitori che l’alternativa al supporto reciproco è deleteria per tutti: se i fornitori insistono per il pagamento immediato dell’intero importo, Beta dovrà portare i libri in tribunale e loro diventeranno creditori chirografari in un fallimento, con esito incerto. Invece, accettando una dilazione, hanno buone probabilità di recuperare la gran parte del credito. Inoltre, Beta si impegna a garantire gli ordini futuri ai fornitori che lo sosterranno: in altre parole, offre una continuità di rapporto commerciale. Questo è un potente incentivo, specie se Beta è un cliente importante per quei fornitori. Molti fornitori preferiscono “perdere” 20% del credito vecchio ma mantenere il cliente, piuttosto che incassare magari qualcosa in più ma perderlo definitivamente.

Differenziare approccio per fornitore: Non tutti i fornitori sono uguali. Beta individua i fornitori critici – quelli senza cui l’attività non può proseguire (ad esempio il fornitore di prodotti freschi A e quello di surgelati B, che rappresentano merce indispensabile). Con questi, Beta è disposto a concedere condizioni migliori: magari pagarli in percentuale più alta o più velocemente. Con altri fornitori meno strategici, può negoziare condizioni più gravose (ad esempio uno “stralcio” maggiore del debito, pagando solo il 70%). È importante però essere equi: i fornitori comunicano tra loro e percepiscono se qualcuno è favorito in modo sleale. Beta infatti adotta un criterio uniforme annunciato al tavolo: tutti riceveranno almeno il 50% entro 6 mesi e il resto entro altri 6, con possibilità – per chi fornisce nuovamente a credito – di ottenere garanzie. Un paio di fornitori scettici chiedono maggiore tutela: uno propone che Beta emetta delle cambiali per formalizzare il piano di rientro (così, se Beta non paga una rata, il fornitore può attivarsi subito legalmente). Beta accetta di firmare effetti cambiari post-datati per dare certezza di impegno. Un altro fornitore, molto restio, suggerisce invece di convertire parte del suo credito in una partecipazione al capitale di Beta (in pratica, diventare socio per poter controllare da vicino la gestione). Questa opzione è più complessa, ma talvolta utilizzata nelle ristrutturazioni: trasformare debiti in quote societarie. Dopo valutazioni, Beta e quel fornitore decidono che se Beta onorerà la metà del debito nei tempi previsti, la restante metà potrà essere tramutata in una piccola quota di partecipazione (con eventuale accordo di riacquisto da parte dei soci di Beta entro qualche anno). È una forma di compromesso: il fornitore in questione, assumendo rischi da socio, potrebbe anche beneficiare di utili futuri.

Ufficializzazione e coinvolgimento di tutti: Trovato l’accordo di massima con i maggiori fornitori, Beta lo mette per iscritto in un documento di “accordo di ristrutturazione dei debiti verso fornitori”. Conviene anche farlo asseverare da un professionista o omologare in tribunale (tramite un accordo ex art. 57 CCII o un piano di risanamento attestato) per dare più certezza. A questo punto Beta comunica a tutti i fornitori minori le stesse condizioni, offrendo loro il medesimo trattamento (50% in 6 mesi, 50% in 12). Molti aderiranno tacitamente continuando a fornire; qualcuno potrebbe chiedere una piccola miglioria (es. a 3 mesi anziché 6 per la prima metà – si valutano caso per caso). L’azienda può anche convocare un incontro collettivo con tutti i fornitori per presentare ufficialmente il piano: questo gesto di apertura può prevenire malumori e far sentire ciascun creditore considerato.

Ripristino delle forniture: Un aspetto fondamentale è garantire che, raggiunto l’accordo, i fornitori riprendano a fornire a Beta alle condizioni stabilite. Nel nostro scenario, i fornitori A e B, critici per il fresco, accettano di riprendere subito le consegne settimanali, magari dietro pagamento anticipato per le prime 4 settimane e poi con termini a 30 giorni. Dopo qualche mese di rispetto degli impegni, il clima migliora e i fornitori tornano a dare fiducia con termini di pagamento normali. Beta dal canto suo deve essere estremamente diligente nel rispettare il piano: se promette una rata il 30 del mese, deve pagarla il 30, magari sacrificando altro, perché un ritardo riaccenderebbe la sfiducia e farebbe saltare tutto l’accordo (i fornitori potrebbero interrompere nuovamente le consegne).

Caso pratico reale (ispirato): Molte imprese hanno utilizzato strumenti simili di saldo e stralcio con i fornitori. Ad esempio, alcuni anni fa un noto retailer italiano in crisi propose ai suoi fornitori un pagamento del 60% sui crediti pregressi e li convinse a continuare a rifornirlo: la maggioranza accettò, preferendo mantenere la catena come cliente; l’azienda riuscì a rimanere aperta e col tempo onorò quell’accordo di rientro. Chi rifiutò, ottenne un decreto ingiuntivo ma poi in fallimento recuperò meno del 20%. Questo conferma che spesso “un cattivo accordo è meglio di un buon giudizio”: un pagamento parziale concordato in continuità può essere più vantaggioso per il creditore di un’incerta causa legale.

Formalizzazione legale: Gli accordi con fornitori possono restare stragiudiziali (privati) oppure essere inglobati in un’eventuale procedura concorsuale. Ad esempio, Beta potrebbe decidere di depositare un piano attestato di risanamento che include la dilazione concordata con i fornitori, ottenendo la protezione dalle revocatorie per i pagamenti che farà loro (art. 56 CCII). Se invece Beta avesse pochi fornitori dissenzienti, potrebbe utilizzare un accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa per imporre anche a questi ultimi le medesime condizioni approvate dalla maggioranza. Spesso, però, non c’è bisogno: una volta che la maggior parte dei fornitori chiave è a bordo, i rimanenti si adeguano spontaneamente (magari perché comprendono che non ci sono alternative migliori). Anche uno strumento pattizio di garanzia può essere utile: Beta, ad esempio, può emettere un “pagherò cambiario” unico per l’importo dilazionato a favore di ciascun fornitore – così questo, se Beta non paga, può protestare la cambiale ed è garantito dall’azione cambiaria. Sono accorgimenti tecnici che tranquillizzano i creditori sul serio intento di pagamento.

Conclusione: Nella negoziazione con i fornitori, gli elementi chiave sono: 1) comunicazione aperta e tempestiva (non sparire, ma affrontare i creditori spiegando la situazione); 2) far leva sul miglior interesse del fornitore a mantenere il cliente; 3) offrire un piano equo e ragionevole (chiedere uno sconto/rateo sopportabile, non pretendere condoni irrealistici); 4) eventualmente dare qualche forma di garanzia (cambiali, impegni contrattuali futuri) per dare concretezza; 5) trattare simmetricamente i fornitori comparabili per non creare rivalità. Così facendo, l’azienda in crisi può trasformare i fornitori da antagonisti a alleati nel percorso di risanamento.

Negoziazione con i dipendenti e le organizzazioni sindacali

I lavoratori dipendenti sono stakeholders particolari in quanto non sono creditori nel senso tradizionale (se non per stipendi arretrati eventualmente), ma dal loro atteggiamento e dalle eventuali concessioni dipende in larga misura la riuscita del risanamento. In situazioni di crisi spesso è necessario intervenire sul costo del lavoro, attraverso riduzioni di personale, cassa integrazione, tagli a straordinari o benefit. Questi interventi richiedono quasi sempre un dialogo con i sindacati o le rappresentanze dei lavoratori, sia perché previsto dalla legge, sia per motivi sociali e di clima aziendale.

Consideriamo Azienda Gamma, media impresa metalmeccanica con 120 dipendenti, in grave crisi di redditività: per evitare il tracollo deve ridurre i costi del personale del 20%. Ciò potrebbe implicare, ad esempio, una riduzione dell’orario di lavoro (e proporzionale taglio stipendi) per tutti, oppure 30 esuberi da licenziare. Qualunque strada si scelga, è indispensabile coinvolgere il sindacato: sia per obblighi normativi (nel caso di licenziamenti collettivi, la legge 223/1991 e ora l’art. 189 CCII prevedono procedure di consultazione sindacale), sia perché un accordo condiviso riduce il conflitto e rende più efficace il piano sociale.

Comunicazione interna trasparente: La direzione di Gamma convoca immediatamente i rappresentanti sindacali aziendali (RSA/RSU) e le segreterie territoriali di categoria, illustrando la situazione. Secondo l’art. 4, comma 2 CCII, l’imprenditore in crisi ha il dovere di illustrare la propria situazione in modo completo e veritiero anche alle parti sociali. Gamma presenta i dati: calo di commesse, bilancio in perdita, costi del personale divenuti insostenibili pari al 50% del fatturato. Viene spiegato che, se nulla cambia, l’azienda finirà l’anno in grave perdita e non potrà più pagare gli stipendi. Questo approccio, seppur doloroso, crea consapevolezza nei lavoratori: è più facile chiedere sacrifici se tutti comprendono che l’alternativa è la chiusura e la perdita totale dei posti di lavoro. Si annuncia inoltre che Gamma intende avviare una procedura di concordato preventivo in continuità, e che per legge si aprirà una fase di consultazione sindacale sul piano concordatario (art. 4, co.3 CCII impone di informare i sindacati all’avvio di procedure di crisi).

Condivisione delle soluzioni: A questo punto, azienda e sindacati discutono le possibili misure. Gamma propone inizialmente i 30 esuberi, ma il sindacato è contrario ai licenziamenti e suggerisce in alternativa un contratto di solidarietà difensivo: ridurre l’orario di tutti del 20%, così da evitare licenziamenti, con intervento della Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria (CIGS) a copertura parziale della retribuzione non percepita. Questa soluzione spalma il sacrificio su tutti e preserva i livelli occupazionali, ed è spesso incoraggiata dalle istituzioni (il Ministero può autorizzare CIGS per crisi aziendale fino a 12-18 mesi in casi del genere). Dopo negoziazione, Gamma e sindacati trovano un accordo: per 1 anno, tutti i dipendenti lavoreranno al 80% dell’orario con integrazione salariale della CIGS (lo Stato coprirà circa il 60% della parte persa, quindi i dipendenti subiranno in tasca una riduzione netta intorno al 10-15%). Inoltre, l’azienda si impegna a non licenziare durante questo periodo e a attuare un piano di rilancio per tornare a pieno regime. Dal canto loro, i sindacati accettano anche la sospensione temporanea di alcuni benefit contrattuali (per esempio, Gamma chiede di congelare gli scatti di anzianità per 12 mesi e di ridurre il premio di risultato, misure su cui ottiene consenso).

Ruolo del sindacato: Il sindacato qui funge da mediatore tra azienda e lavoratori: spiega ai lavoratori che l’accordo, sebbene comporti un sacrificio economico, è volto a evitare guai peggiori. Per facilitare l’intesa, a volte i sindacati chiedono il coinvolgimento di enti pubblici: nel nostro caso, l’accordo aziendale viene firmato anche presso la sede della Regione o dell’Ispettorato del Lavoro, magari ottenendo che la Regione offra corsi di formazione/riqualificazione durante le ore non lavorate (per aumentare la produttività futura). Vi è insomma una cabina di regia pubblico-privata che supporta.

Caso di licenziamenti necessari: Se l’ipotesi solidarietà non fosse praticabile (magari i costi fissi di Gamma sono tali che servono proprio meno dipendenti), allora la negoziazione avrebbe riguardato criteri e incentivi per i licenziamenti. Spesso in queste situazioni, il sindacato accetta gli esuberi solo con un adeguato piano sociale: ad esempio, Gamma potrebbe offrire un incentivo all’esodo di €X per ogni dipendente che lascia volontariamente, un outplacement (servizio di ricollocamento) pagato dall’azienda, e la copertura delle spese di formazione per riqualificarsi. Inoltre potrebbe negoziare di utilizzare strumenti come l’isopensione (prepensionamento per chi è a pochi anni dalla pensione) o il contratto di espansione (che combina riduzione orario e pensionamenti anticipati con assunzione di giovani, se l’azienda prevedesse rilancio). Tutto ciò rientra in un accordo sindacale dettagliato. In cambio, i sindacati si impegnerebbero a non ostacolare la procedura di concordato in tribunale e a non proclamare scioperi distruttivi.

Importanza del clima interno: La negoziazione con i dipendenti non è solo normativa, ma anche gestionale. Mantenere un buon clima aziendale durante la crisi è cruciale: se i lavoratori percepiscono che l’azienda li sta coinvolgendo e tutelando il più possibile, saranno più motivati a contribuire al rilancio (magari accettando straordinari non pagati in futuro per recuperare, o impegnandosi di più). Al contrario, se si sentono traditi (es. licenziamenti all’improvviso senza confronto, stipendi saltati senza spiegazioni), potrebbero scioperare, sabotare o abbandonare l’azienda, aggravando la crisi. Esempio: in un noto caso di azienda tessile in crisi, la disponibilità degli operai ad auto-ridursi l’orario e a partecipare agli utili futuri fu determinante per convincere un investitore a entrare; quell’azienda fu salvata con una worker buyout (cooperativa di dipendenti che rileva l’impresa).

Aspetti giuridici da considerare: Durante una procedura concorsuale (concordato), l’art. 189 CCII disciplina i rapporti di lavoro: i licenziamenti collettivi eventualmente necessari seguono comunque la legge e gli accordi sindacali prevalgono. È previsto che l’attestatore del piano dichiari il rispetto dell’art. 2112 c.c. in caso di trasferimento d’azienda, garantendo la tutela dei lavoratori trasferiti. Inoltre, ogni qual volta si prevede un trasferimento o affitto di azienda in crisi (ad esempio a un assuntore nel concordato), bisogna attivare le procedure di informativa sindacale ex art. 47 L.428/1990 (ora integrate nel CCII) e si cerca un accordo su eventuali deroghe al mantenimento di tutti i posti. I tribunali sono molto attenti: un concordato che sacrificasse i diritti dei lavoratori senza adeguata consultazione potrebbe essere non omologato. È quindi imprescindibile coinvolgere i lavoratori prima di finalizzare il piano.

Concludendo: La trattativa con i dipendenti è spesso delicata ma può portare a risultati win-win insospettabili. I lavoratori hanno tutto da perdere da un fallimento e tutto da guadagnare se l’azienda si risana, quindi condividono l’interesse alla continuità. Come disse un sindacalista in un tavolo di crisi: “Meglio un lavoro un po’ più leggero in tasca che nessun lavoro affatto”. Con senso di responsabilità da entrambe le parti, si possono trovare soluzioni creative: dalla riduzione temporanea di stipendio (magari compensata con azioni o premi futuri) a formule di azionariato dei dipendenti, passando per l’utilizzo di ammortizzatori sociali messi a disposizione dal legislatore per queste situazioni. Il ruolo dei professionisti delle relazioni industriali e delle istituzioni (assessorati al lavoro, agenzie nazionali) è spesso determinante per facilitare tali accordi.

Negoziazione con il Fisco e gli enti previdenziali

Tra i creditori più “difficili” con cui negoziare figurano senz’altro il Fisco (Agenzia delle Entrate e Agenzia Entrate Riscossione) e gli enti previdenziali (INPS in primis). Questi enti pubblici, avendo il compito di riscuotere tributi e contributi, sono vincolati da norme che limitano la loro discrezionalità: tradizionalmente, fuori dalle procedure concorsuali potevano concedere solo dilazioni di pagamento ma non riduzioni di imposta. Tuttavia, la situazione sta evolvendo e oggi esistono margini di trattativa anche con loro, specie all’interno di strumenti come la transazione fiscale.

Immaginiamo Azienda Delta, società edile con 50 dipendenti, che negli ultimi due anni ha accumulato un debito con l’Erario di €300.000 (IVA non versata e ritenute) e con l’INPS di €100.000 (contributi arretrati), oltre a €50.000 di sanzioni e interessi. Questi debiti verso lo Stato sono molto pesanti, perché l’IVA e le ritenute sono “intoccabili” (non falcidiabili se non in procedure concorsuali) e l’INPS tende a chiedere tutto per non pregiudicare le pensioni future dei lavoratori. Delta si trova nella morsa: le cartelle esattoriali sono già state notificate e l’Agente della Riscossione minaccia pignoramenti. Come negoziare in questo caso?

Strumenti di legge per la dilazione: In sede stragiudiziale pura, Delta può almeno chiedere una rateazione delle cartelle ex art. 19 DPR 602/1973. L’Agente della Riscossione (ADER) consente piani fino a 72 rate mensili (6 anni) se l’azienda dimostra temporanea difficoltà ma possibilità di ripresa. Delta presenta domanda di rateazione, indicando che è in corso di ristrutturazione e allegando bilanci e previsioni. ADER ha parametri precisi (basati sull’Indice di Liquidità e altri indici di bilancio) per concedere il piano. Poniamo che venga accettato: Delta ottiene di pagare i €400.000 di imposte e contributi in 6 anni, con rate crescenti e congelamento delle azioni esecutive fintanto che paga regolarmente. Questa è già una negoziazione, sebbene standardizzata: l’azienda dovrà rispettare rigorosamente il piano, altrimenti decadrà e tutti gli importi residui torneranno esigibili in una volta.

Definizioni agevolate (“rottamazioni”): Oltre alla rateazione ordinaria, negli ultimi anni lo Stato ha aperto finestre di definizione agevolata dei debiti fiscali, le cosiddette “rottamazioni delle cartelle”, che pur non essendo specifiche per la singola crisi aziendale, rappresentano un’occasione di alleggerimento. Se Delta rientra nelle misure di rottamazione (ad esempio la rottamazione-quater prevista dalla L. 197/2022 per cartelle fino al 2017), potrebbe estinguere quelle cartelle pagando solo l’imposta senza sanzioni né interessi. Ciò ridurrebbe il debito effettivo di decine di migliaia di euro. Queste non sono vere negoziazioni ma opportunità normative che un buon consulente fiscale saprà cogliere proponendole come parte del piano di risanamento (incluso nell’accordo magari c’è scritto: “Delta aderirà alla definizione agevolata per le cartelle X e Y, impegnandosi a versare le rate nei termini”).

Transazione fiscale e contributiva nel concordato/accordo: Il vero spazio di negoziazione qualitativa si apre se Delta ricorre a una procedura concorsuale o para-concorsuale. All’interno di un concordato preventivo o di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato, Delta può proporre una transazione fiscale all’Erario e agli enti previdenziali, ai sensi dell’art. 63 CCII. In pratica, può offrire di pagare, ad esempio, il 60% del debito IVA e contributi, oppure di dilazionarli su 5 anni, e chiedere l’adesione dell’Agenzia Entrate e dell’INPS a tale proposta. La legge permette di stralciare quote di imposte e contributi (eccetto l’IVA e le ritenute, che possono solo essere dilazionate ma non ridotte nel capitale). I funzionari dell’Erario valuteranno la proposta secondo le linee guida ministeriali: se Delta dimostra che in caso di fallimento il Fisco incasserebbe ad esempio solo 20%, mentre nel concordato offre 60%, l’Agenzia ha convenienza ad aderire. Spesso viene richiesto almeno il pagamento integrale dell’IVA in 5 anni e un certo soddisfacimento per il resto.

Negoziazione con l’Erario: Delta, tramite i suoi consulenti fiscali e legali, instaura un dialogo con l’ufficio legale dell’Agenzia delle Entrate territorialmente competente. Questi uffici ormai sono abituati alle transazioni fiscali e hanno margini di trattativa nel valutare piani. Ad esempio, potrebbero dire: “Ok al pagamento parziale delle sanzioni e interessi, ma del tributo dovete garantire almeno il 100% dell’IVA e il 30% dell’IRPEF ritenute, e il 50% dell’IRES, altrimenti non possiamo accettare”. Delta può quindi rimodulare l’offerta su quelle basi. C’è da considerare che l’Agenzia, se aderisce formalmente alla proposta nel concordato o accordo, poi vincola tutti i crediti fiscali: ecco perché la legge ora prevede il meccanismo del cram-down fiscale, per cui se l’Agenzia rifiuta ma l’offerta era vantaggiosa (maggior soddisfazione che in fallimento), il tribunale può omologare comunque. Questo costituisce un forte incentivo per l’Erario a sedersi al tavolo con un atteggiamento più costruttivo rispetto al passato, per non rischiare di vedersi imporre un esito.

Una novità assoluta dal 2024 è che tale dialogo può avvenire già nella composizione negoziata: come accennato, dal 29 settembre 2024 è operativa la possibilità di concordare con il Fisco, anche fuori dal tribunale, dilazioni e persino riduzioni delle imposte (tranne IVA) in sede di composizione negoziata. Delta, dunque, se avvia una composizione negoziata, può coinvolgere l’Esperto terzo nel contattare l’Agenzia Entrate e contrattare un piano fiscale ad hoc, che poi verrà siglato e sancito da un decreto del tribunale. Si tratta di un cambiamento epocale: l’Amministrazione finanziaria passa da posizione di rigidità ad attore negoziale nel salvataggio dell’impresa, sulla scia della Direttiva Insolvency e del correttivo 2024.

ENte previdenziale (INPS): Simile discorso per l’INPS: anche l’INPS può aderire a transazioni nei limiti di legge (contributi previdenziali possono essere falcidiati nei concordati per la parte non coperta da privilegio). In prassi, l’INPS guarda molto alla regolarità corrente: se Delta inizia a pagare regolarmente i contributi maturandi, l’ente è più disposto a discutere sul pregresso. Una mossa negoziale utile è chiedere all’INPS un durc provvisorio (documento di regolarità contributiva) come segno di apertura, a fronte dell’impegno a pagare secondo il piano: l’INPS a volte lo rilascia, consentendo all’impresa di continuare a partecipare ad appalti (senza DURC sarebbe esclusa, peggiorando la crisi).

Atteggiamento e formalità: Negoziare con enti pubblici richiede un approccio molto documentato e formale. Bisogna presentare dossier dettagliati sullo stato di crisi, sulle cause e sulle prospettive, perché i funzionari possano motivare un eventuale assenso. Niente può essere lasciato all’improvvisazione o alla sola persuasione verbale: servono numeri, pareri di esperti, persino perizie giurate che attestino il valore di asset in caso di liquidazione, così da convincere che l’offerta in concordato è seria. Tuttavia, anche qui le relazioni personali e la credibilità contano: se l’azienda (o i suoi consulenti) ha un track record di correttezza con gli uffici, troverà orecchie più attente. Viceversa, se in passato ha tenuto comportamenti elusivi o scorretti, la diffidenza sarà alta.

Esempio concreto: Un caso pratico: una società di trasporti con enorme debito IVA riuscì a concordare con l’Agenzia un pagamento del 100% IVA in 5 anni e stralcio 40% delle sanzioni, all’interno di un accordo 182-bis, perché dimostrò che in fallimento l’Agenzia avrebbe incassato a malapena il 20%. L’accordo fu omologato e l’Erario incassò regolarmente le rate concordate (rivelatesi superiori a quanto avrebbe ottenuto diversamente). Questo oggi è praticamente codificato dall’art. 63 CCII e dall’art. 88, co. 2-bis CCII.

Attenzione alle rigidità legali: Nonostante la maggiore disponibilità, ci sono paletti normativi invalicabili: ad esempio l’IVA come detto non si può falcidiare (perché è un’imposta “comunitaria”); l’Erario esigerà almeno il capitale dell’IVA. Così come le ritenute previdenziali dei dipendenti (trattenute dalla busta paga e non versate) sono considerate alla stregua dell’IVA: vanno versate integralmente, pena responsabilità anche penali. Quindi Delta dovrà comunque prevedere di pagare integralmente quei €300k di IVA e contributi dipendenti, magari diluiti nel tempo, mentre potrà sperare in uno sconto su sanzioni e interessi (€50k). Importante è anche ottenere la “regolarità fiscale e contributiva” in corso di piano: spesso l’Agenzia o l’INPS condizionano l’accordo al fatto che l’azienda paghi puntualmente le imposte correnti negli anni del piano (c.d. covenant fiscale). Delta dovrà quindi versare senza ritardo l’IVA corrente e i contributi, altrimenti salta tutto. In caso di inadempimento, l’accordo verrà revocato e torneranno esecutive le pretese originarie con aggravio di sanzioni.

Sintesi sul Fisco: Negoziare con il Fisco richiede pazienza e rigore. È consigliabile farsi assistere da professionisti specializzati in diritto tributario che conoscano le prassi degli uffici locali e centrali (ad esempio, la Direzione Regionale dell’Agenzia potrebbe dover avallare l’accordo se le somme sono ingenti). Spesso, l’esito dipende anche da indirizzi politici generali: in periodi di crisi sistemiche, il legislatore concede più strumenti (come la recente apertura nella composizione negoziata). Un imprenditore da solo difficilmente può trattare con l’Erario: è opportuno delegare il compito a un consulente fiscale esperto che parli “la stessa lingua” dei funzionari, predisponendo memoriali, conteggi e riferimenti normativi a supporto della proposta.

In conclusione, mentre un tempo la frase era “con il Fisco non si tratta, si paga e basta”, oggi non è più così assoluto: le porte del dialogo si sono aperte, e con gli strumenti giusti e la buona fede è possibile ottenere dilazioni sostenibili e, in ambito concorsuale, anche riduzioni di imposte e contributi. Questo può fare la differenza tra un’impresa affossata dal debito fiscale e una che invece torna in carreggiata e col tempo restituisce allo Stato una parte significativa del dovuto.

Ruolo dei professionisti e degli organi nelle trattative di risanamento

Come si è visto in tutti gli scenari precedenti, la figura dell’advisor o del professionista specializzato accompagna costantemente l’imprenditore nelle negoziazioni. Affrontare da soli discussioni tecniche con banche, redigere piani complessi per il Fisco o gestire delicate relazioni sindacali è quasi impossibile per chi non ne ha esperienza. Inoltre, nelle procedure formali intervengono attori istituzionali (commissari, esperti, giudici) che a loro volta incidono sul buon esito delle trattative. In questa sezione vediamo quali sono questi ruoli chiave e come interagiscono.

Advisor finanziario e industriale: È il consulente che aiuta a redigere il piano di risanamento e a interfacciarsi con banche e creditori. Tipicamente un dottore commercialista o esperto di corporate finance, il suo compito è analizzare la situazione aziendale, predisporre proiezioni di business plan, individuare quanta finanza serve e in quali forme (nuovo credito, cessione asset, ecc.), e impostare le proposte tecniche agli interlocutori (ad esempio, definire percentuali di stralcio, strutture di pagamento, ecc.). L’advisor finanziario dà credibilità ai numeri presentati: le banche si fidano di più se vedono che i conti li ha fatti un professionista terzo e non solo l’imprenditore (che potrebbe essere troppo ottimista). Spesso l’advisor ha anche il ruolo di negoziatore diretto: partecipa alle riunioni con le banche, discute con i consulenti dei fornitori, fornisce risposte tecniche. Ad esempio, quando la banca chiede “che tasso di rendimento possiamo attenderci su questo nuovo prestito?”, sarà l’advisor a dimostrare, numeri alla mano, che il piano genera flussi sufficienti a remunerare quel prestito al tasso proposto. Un buon advisor deve unire competenze di analisi a capacità relazionali, quasi fosse un “direttore d’orchestra” del risanamento.

Advisor legale: Parallelamente, un avvocato esperto di crisi d’impresa cura gli aspetti legali delle trattative. Prepara i testi degli accordi (dalla convenzione di moratoria bancaria all’accordo con i fornitori, fino all’eventuale ricorso di concordato), assicura che tutto sia conforme alle norme per evitare future impugnazioni. Inoltre, il legale rappresenta l’azienda in eventuali udienze in tribunale o nelle procedure formali (come l’omologazione in caso di accordo ex art. 57 CCII). Un ruolo critico dell’avvocato è orchestrare eventuali cause o opposizioni funzionalmente: ad esempio, decidere se contestare un decreto ingiuntivo di un fornitore o convincere l’azienda a raggiungere un accordo stragiudiziale prima di una sentenza che potrebbe compromettere la par condicio. In alcuni casi, l’avvocato advisor veste anche i panni di mediatore: nella composizione negoziata, ad esempio, assiste l’imprenditore nel confronto con i legali dei creditori, aiutando a limare le divergenze e a formalizzare proposte.

Attestatore indipendente: Figura chiave prevista dalla legge nelle ristrutturazioni è il professionista attestatore, di norma un commercialista o revisore esperto iscritto in appositi albi, incaricato di redigere un’attestazione di veridicità dei dati aziendali e di fattibilità del piano. Il suo ruolo è super partes: pur essendo pagato dall’azienda debitrice, deve agire con indipendenza e scrivere ciò che realmente riscontra. La sua relazione è allegata al piano di risanamento, all’accordo di ristrutturazione o alla domanda di concordato, e serve a dare fiducia ai creditori e al tribunale sulla fattibilità della proposta. In pratica, l’attestatore funge da certificatore della buona fede e realismo dell’imprenditore. Ad esempio, nel concordato preventivo l’attestazione deve affermare che il piano non è “manifestamente inidoneo” a raggiungere gli obiettivi, ribadendo quel principio di fattibilità economica limitatamente sindacabile dal giudice. I creditori spesso basano il loro voto proprio su quanto scrive l’attestatore: se egli afferma che il piano è realistico e che in liquidazione prenderrebbero di meno, saranno più propensi ad aderire. Per questo, anche se l’attestatore non negozia attivamente (anzi, deve mantenere un certo distacco), il suo lavoro incide profondamente nelle percezioni di tutti gli attori.

Esperto della composizione negoziata: Nella procedura di composizione negoziata, l’Esperto indipendente nominato dalla Commissione ha il compito di facilitare le trattative. Egli non rappresenta né il debitore né i creditori, ma il suo giudizio e le sue indicazioni influenzano molto il corso degli eventi. Ad esempio, l’Esperto può suggerire al debitore di rivedere il piano perché troppo ottimistico, oppure può convincere una banca a concedere più tempo illustrandole scenari comparativi (spesso gli esperti redigono una sorta di mini-attestazione per supportare le trattative, sebbene non formalmente richiesta). Inoltre, l’Esperto prepara la relazione finale: se positiva e attesta che l’accordo trovato è idoneo al risanamento, i creditori saranno rassicurati nell’adottarlo; se negativa, può aprire le porte al concordato semplificato (quindi ancora l’esito dipende dalla sua valutazione). Dal punto di vista negoziale, l’Esperto può svolgere veri e propri incontri di mediazione tra le parti: ad esempio, convoca tutti i creditori finanziari attorno a un tavolo e li aiuta a trovare un punto di equilibrio con il debitore. Il suo ruolo ricorda quello di un conciliatore: non decide, ma orienta e sgrana eventuali incomprensioni. Va sottolineato che l’Esperto ha anche il potere di sollecitare misure protettive dal tribunale, il che gli dà un peso nelle trattative: se un creditore minaccia azioni, l’Esperto può sostenere l’istanza di protezione dell’impresa presso il giudice, ottenendone il blocco (questo costringe il creditore a trattare in sede negoziale invece che agire unilateralmente). In definitiva, un Esperto autorevole e competente può fare la differenza tra una composizione negoziata di successo e un fallimento: le sue soft skills (capacità di dialogo, empatia, autorevolezza tecnica) sono determinanti.

Commissario giudiziale e giudice delegato: Nelle procedure di concordato preventivo, il tribunale nomina un Commissario giudiziale, che è un organo ausiliario con il compito di vigilare sull’operato del debitore e relazionare ai creditori e al giudice. Il commissario, pur non essendo un negoziatore nel senso classico, influenza il processo di formazione del consenso: redige una relazione ex art. 107 CCII in cui dà il suo parere sulla convenienza del concordato per i creditori. Se il commissario esprime un giudizio favorevole (“la proposta appare più conveniente della liquidazione”), molti creditori saranno incoraggiati a votare sì; se invece solleva dubbi sulla fattibilità o convenienza, il dissenso aumenterà. Pertanto, l’azienda in concordato ha interesse a collaborare strettamente e lealmente col commissario, fornendogli tutte le informazioni e magari persuadendolo della bontà del piano. In alcuni casi, il commissario ha un ruolo attivo: convoca le assemblee dei creditori, risponde ai loro quesiti durante l’adunanza, smorza eventuali contestazioni spiegando i dati (esercitando una moral suasion a favore del concordato se lo ritiene opportuno). Anche il Giudice Delegato può indire udienze informali con i principali creditori in concordato per comprendere le loro posizioni e favorire eventuali aggiustamenti del piano prima del voto. Ovviamente, il giudice mantiene terzietà, ma a volte un suo suggerimento (es. “Debitore, valuti di alzare la percentuale a chirografari dal 20 al 25% perché molti creditori la ritengono bassa”) è preso molto sul serio dall’imprenditore, che lo accoglie e modifica la proposta di concordato, facilitandone poi l’approvazione. Un giudice delegato esperto sa che il suo compito è anche di facilitatore di accordo, non solo di arbitro di legalità.

Curatore fallimentare: In caso di fallimento (liquidazione giudiziale), la figura centrale diventa il Curatore, che però non negozia per salvare l’impresa (il suo fine è liquidare). Tuttavia, può negoziare la cessione dell’azienda o di rami a terzi, attraverso trattative competitive. In questo contesto, il curatore interagisce con potenziali acquirenti e con il comitato dei creditori per massimizzare il ricavo: si può dire che svolge una trattativa di vendita. Inoltre, come già accennato, in fallimento può emergere un concordato fallimentare: qui il curatore non partecipa direttamente alle trattative (che di solito avvengono tra proponente terzo e creditori principali), ma la sua relazione ed opinione influenzano molto i creditori e il giudice nel valutare la proposta di concordato. Se il curatore scrive “questa proposta è molto vantaggiosa rispetto alla prosecuzione della liquidazione, conviene accettarla”, i creditori ne terranno conto. D’altro canto, il curatore può egli stesso intavolare transazioni su liti pendenti: ad esempio, se c’è una causa risarcitoria attiva, può proporre al convenuto di chiudere la causa accettando un pagamento ridotto immediato. Questa è una forma di negoziazione all’interno della procedura fallimentare, dove il curatore (previa autorizzazione del comitato creditori) può definire accordi transattivi.

Altri attori specialistici: In alcune situazioni intervengono figure settoriali: ad esempio, se l’azienda è grande e ha emesso obbligazioni, nelle trattative comparirà il rappresentante comune degli obbligazionisti, con cui negoziare l’eventuale haircut sul bond. Oppure, se vi sono contratti di leasing, il lessor (spesso società specializzate) avrà delegati alle ristrutturazioni. È utile conoscere come interagire con ciascuno: il rappresentante degli obbligazionisti dovrà probabilmente convocare un’assemblea dei bondholder per approvare modifiche, quindi l’azienda gli fornirà una proposta formalizzata per iscritto da sottoporre al voto dei portatori (qui la negoziazione è indiretta, attraverso meeting formali). Le società di leasing a volte preferiscono riprendersi il bene e chiudere il contratto: l’advisor dell’azienda potrebbe convincerle invece a rinegoziarlo mostrando che il valore di realizzo del bene sul mercato usato è molto inferiore al credito residuo, quindi è meglio ridurre il canone ma proseguire il contratto (un ragionamento negoziale simile a quello usato con le banche).

Coordinamento dei ruoli: Tutti questi attori devono idealmente agire in modo coordinato. Spesso l’advisor finanziario e legale dell’azienda fungono da centrali di coordinamento: tengono informato il commissario giudiziale degli sviluppi delle trattative, così che non si trovi sorprese; si confrontano con l’attestatore fornendogli dati corretti (ma senza influenzarne il giudizio in modo scorretto); discutono con l’esperto della composizione negoziata sulle possibili concessioni da chiedere ai creditori; e preparano l’imprenditore agli incontri con sindacati o con il giudice. Si tratta dunque di fare gioco di squadra. L’imprenditore resta al centro delle decisioni, ma deve affidarsi ai suoi consulenti per l’esecuzione tecnica delle strategie.

Riassumendo: il risanamento di un’azienda è quasi sempre un lavoro multidisciplinare. L’imprenditore deve saper ascoltare e coordinare un team che può includere: il consulente gestionale, il legale, l’attestatore, il consulente del lavoro (per la parte dipendenti), eventualmente uno specialista di comunicazione (per gestire le notizie verso media o investitori). Contemporaneamente, deve interagire con soggetti terzi nominati (esperti, commissari, giudici) in modo cooperativo. I migliori risultati si ottengono quando tutti remano nella stessa direzione: ecco perché oggi si parla spesso di “soluzione negoziale della crisi” come di un processo corale, dove il tribunale non è più soltanto il luogo del conflitto ma diventa un arbitro che omologa ciò che le parti hanno concordato.

Strategie negoziali efficaci: consigli pratici e conclusione narrativa

Dalle vicende esaminate emergono alcune regole d’oro valide in generale per condurre trattative di risanamento aziendale con successo:

  • Agire per tempo: La tempestività è fondamentale. Non aspettare che i creditori perdano totalmente la fiducia o che intervengano provvedimenti irreversibili. Più la crisi è affrontata in fase iniziale (“quando la ferita è fresca”), maggiori soluzioni saranno disponibili. Ad esempio, un’azienda che percepisce di non poter pagare l’IVA trimestrale dovrebbe contattare subito l’Agenzia o il commercialista per trovare una soluzione, anziché accumulare trimestri su trimestri. Un proverbio in quest’ambito dice: “Il tempo è denaro, ma nel risanamento il tempo è anche credibilità”.
  • Preparazione accurata: Ogni negoziazione va preparata come un esame importante. Significa raccogliere dati, predisporre documenti chiari (anche presentazioni e memo), studiare i possibili interessi della controparte. Se si va in banca, conoscere già i vincoli regolamentari (Basilea, classificazione NPL) aiuta a modulare la richiesta in modo accettabile. Se si parla con i lavoratori, saper spiegare in termini semplici ma sinceri la situazione economica è cruciale (magari usando slide, grafici di andamento – la trasparenza visuale può convincere più di mille parole). Mai presentarsi a un tavolo di crisi con approssimazione o confusione, altrimenti si alimentano solo dubbi e sfiducia.
  • Costruire fiducia e mantenere promesse: La trustworthiness (affidabilità) dell’imprenditore è il suo capitale negoziale più prezioso. Una volta stipulato un accordo – fosse anche solo verbale – va onorato. Se si promette di inviare un prospetto il lunedì, lo si invii lunedì mattina. Se si garantisce un pagamento parziale entro fine mese, quello deve avvenire. Ogni inadempimento mina gravemente la credibilità e può far saltare l’intero castello di accordi. Al contrario, rispettare sistematicamente gli impegni, anche piccoli, crea un track record positivo che rende i creditori più disponibili a concessioni aggiuntive. Ad esempio, Beta del caso fornitori, dopo aver puntualmente pagato per 3 mesi le rate concordate, ha potuto chiedere ai fornitori un’estensione di 2 mesi sulla successiva rata, perché si era guadagnata la loro fiducia con i fatti.
  • Comunicare attivamente e coinvolgere le controparti: Tenere i creditori aggiornati sui progressi del piano, anche quando non richiesto, è una buona pratica. Un semplice report trimestrale inviato a banche e principali fornitori, illustrando come stanno andando le vendite e il cash flow rispetto alle previsioni, può prevenire ansie e rassicurare che il piano è on track. Allo stesso modo, coinvolgere i lavoratori nei segnali di ripresa (festeggiare insieme l’acquisizione di un nuovo grosso cliente, ad esempio) crea un senso di partecipazione. Anche l’aspetto umano conta: dire “grazie” ai creditori per lo sforzo che stanno facendo (in una lettera o in sede di accordo) è segno di rispetto e può predisporli positivamente – dopotutto stanno contribuendo a salvare l’azienda, è giusto riconoscerlo.
  • Essere pronti a cedere su qualcosa: La negoziazione implica compromesso. L’imprenditore deve avere chiaro quali sono i punti per lui vitali e su cosa invece può fare concessioni. Se per salvare l’azienda serve tenere liquidità, allora magari concede un’ipoteca aggiuntiva alla banca (che non impatta cassa) pur di ottenere la moratoria. Oppure, cede una partecipazione azionaria a un creditore strategico, come visto. Occorre anche saper sacrificare “capri espiatori” se necessari: a volte il ricambio di un dirigente o l’uscita di un socio malvisto dai creditori può essere la mossa per pacificare gli animi e dare discontinuità. Diversi piani di ristrutturazione hanno previsto, su richiesta delle banche, la sostituzione del CFO o l’affiancamento all’imprenditore di un CRO (Chief Restructuring Officer) gradito alle banche. L’imprenditore potrebbe viverlo come un affronto, ma bisogna avere pragmatismo: se questo rassicura i creditori e porta alla riuscita del piano, vale la pena accettare un affiancamento.
  • Valutare sempre l’alternativa BATNA: In ogni trattativa è utile avere chiaro qual è la Best Alternative To a Negotiated Agreement (migliore alternativa all’accordo). Ad esempio, BATNA di un accordo con i fornitori = fallimento (cosa succede lì ai fornitori?). BATNA della banca = escutere garanzie e azioni legali. Conoscere le BATNA proprie e altrui aiuta a fissare i limiti: se la banca percepisce che la sua BATNA (azione legale) è peggiore dell’accordo proposto, allora l’accordo è buono. L’imprenditore deve anche sapere qual è la sua BATNA: se proprio un creditore non vuole aderire a nulla, l’alternativa potrebbe essere aprire il concordato e “tirarselo dietro” col cram down. Minacciare velatamente la BATNA (senza astio, ma con fermezza) fa parte del gioco negoziale: “Signori fornitori, l’alternativa a questo piano è il fallimento: sapete anche voi cosa significherebbe – preferiamo evitarlo tutti”. Questo deve essere credibile (non va usato come bluff vuoto, ma come realtà ultima).
  • Unificare i creditori quando possibile: Divide et impera non funziona bene nel risanamento. Meglio cercare di formare un comitato creditori informale o almeno affrontare i creditori omogenei insieme, così da prevenire percezioni di disparità. Ad esempio, Beta che convoca tutti i fornitori insieme ha ottenuto un accordo collettivo con uguali condizioni di massima. Ciò riduce il rischio di contestazioni e di gelosie (“perché a quello sì e a me no?”). Ovviamente, ci saranno negoziazioni bilaterali su dettagli, ma partire da una base comune è utile. Anche per le banche, spesso si crea un tavolo unitario con tutte le banche: questo modo consente di concordare moratorie o manleve uniformi (come l’Accordo ABI per le PMI). Un fronte creditore coeso è paradossalmente un vantaggio: se l’azienda convince il fronte, si ha un accordo generale robusto; se non li convince, probabilmente il piano non era sostenibile comunque.
  • Considerare l’impatto di ogni mossa sul quadro generale: Le trattative non avvengono in compartimenti stagni – una concessione fatta a un creditore può influire sugli altri. Ad esempio, promettere a un fornitore percentuale maggiore potrebbe portare altri a esigere lo stesso. Quindi ogni decisione va pesata globalmente. Per questo è bene avere un piano di ristrutturazione integrato e usarlo come base comune di tutte le negoziazioni (magari con differenti allegati per categorie). Avere un unico documento di riferimento impedisce di fare promesse incoerenti. Se proprio occorre differenziare (es. un creditore strategico viene trattato meglio), meglio farlo con accordi confidenziali e comunque entro limiti tali da non compromettere l’equilibrio economico del piano per gli altri.

In conclusione, negoziare con i creditori per risanare un’azienda è un’arte complessa, che unisce tecnica (finanziaria e legale) e sensibilità umana. Ogni crisi è anche una crisi di fiducia: il processo negoziale serve proprio a ricostruire la fiducia passo dopo passo, attraverso trasparenza, impegni mantenuti e obiettivi condivisi. Come abbiamo visto nei vari casi, anche situazioni che paiono disperate possono risolversi positivamente se le parti cooperano: la banca rinuncia a qualcosa oggi per incassare domani, i fornitori accettano meno soldi in cambio di non perdere il cliente, i lavoratori stringono la cinghia per evitare il collasso, il fisco diluisce il suo credito per far rinascere l’azienda e recuperare più gettito nel futuro.

Dal lato dell’imprenditore, serve umiltà e leadership insieme: umiltà nel riconoscere gli errori e nel chiedere aiuto a consulenti e partner, leadership nel saper indicare una visione di rilancio e nel tenere unito il fronte interno (dipendenti, soci) verso l’obiettivo. Spesso chi attraversa queste vicissitudini ne esce cambiato: più consapevole, più maturo nella gestione d’impresa. E molte aziende, dopo aver toccato il fondo e rinegoziato i propri debiti, hanno conosciuto un nuovo periodo di prosperità – ricompensando la fiducia che creditori e stakeholders avevano con fatica riposto.

Chiudiamo questa guida narrativa con un’immagine: la negoziazione della crisi è come l’opera di restauro di una nave in mezzo alla tempesta. Bisogna riparare lo scafo senza che la nave affondi, e per farlo capitano, equipaggio e persino alcuni passeggeri (creditori) devono collaborare, ognuno facendo la sua parte e fidandosi l’uno dell’altro. Non è facile, ma quando ci si riesce, la nave torna a navigare e tutti coloro a bordo – equipaggio e passeggeri – raggiungono il porto sani e salvi, magari dopo aver condiviso sforzi e sacrifici che cementano una fiducia destinata a durare negli anni.


Fonti normative, giurisprudenziali

Fonti normative:

  • Codice Civile, art. 2086, comma 2 (dovere degli imprenditori di adottare assetti adeguati e di prevenire la crisi).
  • Decreto Legislativo 12 gennaio 2019, n. 14 – Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), come modificato dai D.Lgs. 83/2022 e 136/2024. In particolare: artt. 12-25-quinquies (composizione negoziata della crisi); art. 25-sexies (concordato semplificato); artt. 26-64 (strumenti di regolazione della crisi) con art. 56 (piani attestati), art. 57-60 (accordi di ristrutturazione dei debiti), art. 61 (accordi ad efficacia estesa), art. 63 (trattamento crediti tributari e contributivi), art. 64-bis (convenzioni di moratoria); artt. 84-120 (concordato preventivo), incl. art. 84 commi 2-4 (distinzione continuità/liquidatorio e requisiti 10% attivo – 20% chirografo); art. 88 (transazione fiscale e cram-down); art. 90 (proposte concorrenti dei creditori ≥5%); art. 112-114 (omologazione e cram-down nel concordato); art. 189 (disciplina rapporti di lavoro nel concordato e obbligo procedure sindacali); art. 211-214 (concordato semplificato per liquidazione); artt. 121-270 (liquidazione giudiziale, ex fallimento).
  • Direttiva (UE) 2019/1023 del Parlamento Europeo e del Consiglio (Direttiva Insolvency), recepita dal D.Lgs. 83/2022 e D.Lgs. 136/2024. Principi chiave recepiti: misure di allerta precoce, piani di ristrutturazione preventivi con cram-down interclassi, protezione dei finanziamenti in ristrutturazione, obbligo per gli Stati di consentire la ristrutturazione di debiti fiscali (art. 10 Dir.).
  • Legge 21/2021 (conversione D.L. 118/2021) istitutiva della composizione negoziata e del concordato semplificato (norme ora trasfuse nel CCII).
  • Legge Fallimentare previgente (R.D. 267/1942) – per riferimenti storici: art. 67 co. 3 lett. d (piani attestati) ora art. 56 CCII; art. 182-bis/182-ter (accordi di ristrutturazione e transazione fiscale) corrispondenti agli artt. 57 e 63 CCII; art. 160-186 (concordato preventivo) su cui si innestano le novità CCII; art. 72 L.Fall. (concordato fallimentare) corrispondente agli artt. 240-251 CCII.
  • Normativa speciale lavoro: L. 223/1991 (licenziamenti collettivi); art. 2112 c.c. (mantenimento rapporti di lavoro nei trasferimenti d’azienda); D.Lgs. 148/2015 (cassa integrazione guadagni); L. 428/1990 art. 47 (procedure sindacali nei trasferimenti d’azienda in crisi).

Fonti giurisprudenziali:

  • Cass., Sez. I, 17 dicembre 2020 n. 28891: principio sul controllo di fattibilità del concordato – il tribunale verifica liberamente la fattibilità giuridica, mentre la fattibilità economica va censurata solo se il piano è “manifestamente inidoneo” a raggiungere gli obiettivi.
  • Cass., Sez. Un., 15 maggio 2015 n. 9935: conferma orientamento sulla limitazione del sindacato giudiziale alla sola fattibilità giuridica e manifesta illogicità economica (precedente fondamentale consolidato dalle successive).
  • Cass., Sez. I, 30 novembre 2023 n. 33346: in sede di rinvio dopo cassazione di diniego di omologa, la corte d’appello non può riformulare ex novo il giudizio di fattibilità del concordato preventivo oltre i limiti fissati dalla Cassazione.
  • Cass., 1 luglio 2024 n. … (in Dir. Bancario, 2024) – ha affermato l’ammissibilità del ricorso per cassazione avverso il decreto di revoca dell’omologa di concordato, chiarendo limiti di procedibilità.
  • Tribunale di Milano, 8 novembre 2022: primo decreto di omologa di concordato semplificato ex art. 18 DL 118/21; il Tribunale ha valutato la convenienza per i creditori in mancanza di voto, autorizzando la liquidazione concordataria con terzo assuntore.
  • Corte di Cassazione, 20 luglio 2023 n. 20566: sul cram-down fiscale nel concordato – ha ritenuto legittimo omologare nonostante il voto contrario dell’Erario, poiché la soddisfazione proposta superava il livello di realizzo in fallimento (sentenza citata nella Relazione Cassazione 2025).
  • Corte di Giustizia UE, causa C-198/17 (07/04/2022) – caso ENEA/Lexitor: principio di tutela dei lavoratori in trasferimenti d’azienda, affermato che normative nazionali (come art. 2112 c.c.) devono garantire continuità contrattuale; influenza in concordati con cessione d’azienda (richiamato da giurisprudenza italiana).
  • Tribunale di Roma, 22 giugno 2022: omologa accordo ristrutturazione ex art. 182-bis con cram-down di Agenzia Entrate (applicazione anticipata art. 63 CCII); il tribunale, richiamando l’art. 48 DL 78/2010, omologa nonostante diniego Agenzia poiché l’alternativa liquidatoria era peggiore per l’Erario.
  • Tribunale di Napoli, 15 febbraio 2023: dichiarazione di inammissibilità di concordato liquidatorio per mancato apporto del 10% di risorse esterne – prima applicazione rigorosa del nuovo art. 84 co.4 CCII.

Negoziare Coi Creditori per Risanare un’Azienda in Crisi: Perché Affidarsi a Studio Monardo

Se la tua impresa è schiacciata dai debiti, ma ha ancora potenziale operativo, puoi evitare il fallimento e rilanciarla negoziando direttamente con i creditori. Banche, fornitori, Agenzia delle Entrate e INPS possono accettare dilazioni, riduzioni, moratorie o vere e proprie transazioni, se il piano che proponi è solido, credibile e guidato da un professionista esperto.

Affidarsi all’Avvocato Giuseppe Monardo significa non affrontare da solo i creditori, ma essere rappresentato da un legale abilitato che costruisce la strategia, tutela l’impresa e coordina il risanamento secondo legge.

Cosa fa per te l’Avvocato Monardo

  • Analizza la situazione finanziaria, legale e fiscale dell’azienda
  • Costruisce un piano di risanamento personalizzato
  • Avvia il dialogo con i creditori (banche, fornitori, Fisco, INPS)
  • Redige proposte di accordo documentate, chiare e compatibili con la normativa
  • Attiva eventuali procedure protette, per sospendere azioni esecutive
  • Ti assiste fino all’approvazione del piano e alla sua esecuzione

Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

L’Avvocato Monardo è:

  • Gestore della Crisi da Sovraindebitamento, iscritto al Ministero della Giustizia
  • Fiduciario di un Organismo di Composizione della Crisi (OCC)
  • Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa, abilitato ex D.L. 118/2021
  • Coordinatore di una rete nazionale di avvocati e commercialisti specializzati in diritto bancario, tributario ed esecutivo

Grazie a queste qualifiche, può negoziare per tuo conto, difenderti in sede legale e costruire un percorso di salvataggio aziendale su misura.

Perché agire subito

  • I creditori accettano il dialogo solo finché vedono serietà e tempestività
  • Ogni giorno perso può comportare pignoramenti, revoche bancarie o scioglimento dell’attività
  • Le procedure di composizione e ristrutturazione richiedono tempo e precisione
  • La tua buona fede conta moltissimo davanti ai creditori e al giudice

Conclusione

Negoziare coi creditori è la chiave per salvare un’azienda in crisi e trasformare il debito in una nuova occasione di crescita.
Affidarsi all’Avvocato Giuseppe Monardo significa affrontare le trattative con autorevolezza, protezione e una strategia concreta, senza improvvisare o cedere al panico.

Qui di seguito tutti i contatti del nostro Studio Legale specializzato in crisi d’impresa:

Leggi con attenzione: Se stai affrontando difficoltà con il Fisco e hai bisogno di una rapida valutazione delle tue cartelle esattoriali e dei debiti, non esitare a contattarci. Siamo pronti ad aiutarti immediatamente! Scrivici su WhatsApp al numero 351.3169721 oppure inviaci un’e-mail all’indirizzo info@fattirimborsare.com. Ti ricontatteremo entro un’ora per offrirti supporto immediato.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
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La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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