Sovraindebitamento: Come Scegliere La Procedura Giusta?

Vuoi accedere ad una procedura di sovraindebitamento ma non sa dove iniziare per cancellare tutti i tuoi debiti?

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Introduzione:

Il sovraindebitamento è lo stato in cui un soggetto (persona fisica o piccola impresa non fallibile) non è più in grado di far fronte ai propri debiti con il patrimonio liquidabile e i redditi disponibili in modo regolare. In altre parole, si ha un perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e le risorse economicamente utilizzabili per soddisfarle. Questo stato di insolvenza “civile” riguarda debitori esclusi dalle tradizionali procedure concorsuali (fallimento o, nell’attuale terminologia, liquidazione giudiziale), come i consumatori, i professionisti, gli imprenditori agricoli o gli imprenditori “minori” sotto soglia.

Per offrire a tali debitori una via d’uscita dalla crisi e al contempo assicurare una soluzione ordinata e paritaria ai creditori, l’ordinamento italiano ha introdotto specifiche procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento. La disciplina originariamente era contenuta nella legge 27 gennaio 2012 n. 3 (la c.d. “Legge sul Sovraindebitamento”), che per la prima volta ha consentito a privati e piccole imprese sovraindebitati di proporre piani di rientro o liquidare il proprio patrimonio ottenendo l’esdebitazione (cancellazione dei debiti residui). Dal 15 luglio 2022 questa normativa è stata integralmente assorbita e innovata dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14, come modificato da successivi correttivi), che dedica un intero Titolo alle procedure di regolazione della crisi da sovraindebitamento.

Le procedure oggi previste dal Codice della Crisi (CCII) per far fronte al sovraindebitamento sono le seguenti:

  • Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (il “vecchio” piano del consumatore), riservato ai debitori civili che hanno contratto debiti per scopi estranei ad attività imprenditoriali o professionali.
  • Concordato minore, destinato ai debitori non fallibili diversi dal consumatore (es. imprenditori sotto soglia, professionisti, imprenditori agricoli) per la composizione della crisi mediante un accordo con i creditori.
  • Liquidazione controllata del sovraindebitato, procedura liquidatoria analoga al fallimento (ora liquidazione giudiziale) ma ritagliata su misura per i debitori civili, con possibilità di liberarsi dai debiti a fine procedura.
  • Esdebitazione del debitore incapiente, una speciale procedura di “fresh start” rivolta al debitore persona fisica totalmente privo di beni o redditi aggredibili, che consente l’esdebitazione immediata pur senza alcun pagamento ai creditori (salvo sopravvenienze future rilevanti).
  • (Inoltre, la normativa prevede la possibilità di procedure familiari cumulative, quando più membri della stessa famiglia siano sovraindebitati. Questo consente di presentare un’unica procedura coordinata, come sarà accennato più avanti.)

Ciascuno di questi strumenti ha presupposti, vantaggi e limiti specifici. Scopo di questa guida è fornire una trattazione completa e aggiornata ad aprile 2025 di tutte le opzioni disponibili, con stile tecnico ma accessibile sia a professionisti del diritto sia ai debitori comuni. Verranno approfondite le caratteristiche di piano del consumatore, concordato minore, liquidazione controllata e esdebitazione incapiente, con riferimenti normativi puntuali (articoli del CCII, ultime modifiche legislative) e cenni alla giurisprudenza più recente (sentenze di merito e di legittimità rilevanti) nonché agli orientamenti della dottrina.

Al fine di aiutare nella scelta della procedura più adatta alla situazione concreta del debitore, si forniranno esempi pratici e simulazioni numeriche. Verranno messi in luce, per ciascun strumento, i requisiti di accesso, il funzionamento della procedura (fasi e organi coinvolti), gli effetti prodotti (in particolare l’esdebitazione, ossia la liberazione dai debiti residui), nonché i principali vantaggi e svantaggi. Nella parte finale, una comparazione sintetica e alcuni criteri guida orienteranno il lettore nella valutazione della soluzione migliore per risolvere la situazione di sovraindebitamento, tenendo conto della natura dei debiti, della presenza di beni liquidabili, della capacità di rimborso del debitore e del comportamento tenuto dallo stesso prima e durante la procedura.

Nota: Tutte le procedure concorsuali di sovraindebitamento richiedono il rispetto di requisiti di meritevolezza: non può accedervi il debitore che abbia provocato il proprio indebitamento con dolo o colpa grave, malafede o frode (ad es. ricorrendo al credito in modo sproporzionato alle proprie capacità senza ragionevole prospettiva di rimborso). Inoltre, è precluso un uso troppo frequente di queste procedure: chi ha già ottenuto un’esdebitazione nei 5 anni precedenti non può essere ammesso, e in ogni caso non si possono ottenere più di due esdebitazioni nell’arco della vita. Tali cause ostative si applicano in generale ai piani del consumatore e ai concordati minori (non invece alla liquidazione controllata in sé, dove però impediscono la successiva esdebitazione). In pratica, la legge vuole evitare abusi, concedendo il beneficio della cancellazione dei debiti solo a chi non ha colpe gravi e non ne abbia già fruito ripetutamente.

Di seguito esaminiamo in dettaglio ciascuna procedura.

Piano del Consumatore (Piano di Ristrutturazione dei Debiti del Consumatore)

Cos’è e chi può accedervi

Il piano del consumatore – denominazione completa nel CCII: piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore – è una procedura concorsuale riservata esclusivamente al debitore civile “consumatore”, cioè la persona fisica che ha contratto obbligazioni per scopi estranei alla propria attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta. In altri termini, è pensata per il privato cittadino sovraindebitato (es. per debiti familiari, personali, di consumo) e non per chi ha debiti derivanti dalla gestione di un’attività economica.

La definizione di consumatore in ambito sovraindebitamento è stata recentemente chiarita e leggermente modificata. Il Correttivo ter (D.Lgs. 13 settembre 2024 n. 136) ha riformulato l’art. 2, comma 1, lett. e) CCII, recependo l’orientamento emerso in dottrina e giurisprudenza. Oggi è confermato che conta la natura delle obbligazioni assunte: un soggetto è consumatore solo rispetto ai debiti contratti per fini personali, mentre se ha debiti originati da un’attività di impresa o professionale (ad esempio un ex imprenditore con debiti fiscali o verso fornitori della sua cessata attività), per quei debiti non può qualificarsi consumatore. In pratica, un ex imprenditore individuale con debiti d’impresa non potrà usare il piano del consumatore per quei debiti (dovrà semmai accedere al concordato minore o alla liquidazione controllata), anche se al momento della domanda non svolge più attività economica. Questa precisazione evita che debiti “professionali” vengano inseriti surrettiziamente in un piano senza voto dei creditori.

Oltre al requisito soggettivo del consumatore, servono i requisiti generali di meritevolezza già detti: il consumatore non deve aver provocato il sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode, né aver già beneficiato di un’esdebitazione nei 5 anni precedenti o più di due volte in totale. Ad esempio, un consumatore che abbia accumulato debiti per spese voluttuarie inconsulte ben sapendo di non poterle sostenere potrebbe vedersi negare l’omologazione del piano dal giudice per difetto di meritevolezza (in passato si parlava appunto di giudizio di “meritevolezza” del consumatore, oggi sostituito dal criterio negativo di esclusione solo in caso di dolo o colpa grave). Tuttavia, la riforma del 2020 e il nuovo Codice hanno attenuato gli ostacoli: il giudice non deve più compiere un sindacato morale ampio sul comportamento del consumatore, ma può negare l’omologa solo quando il debitore abbia tenuto condotte davvero riprovevoli (frodi ai creditori, incremento doloso del debito, violazioni gravi).

In sintesi, può accedere al piano del consumatore il debitore persona fisica non fallibile che ha debiti “di consumo” (non legati ad attività d’impresa), che rispetta i requisiti sopra menzionati. Sono esclusi invece: i soggetti con debiti principalmente professionali/imprenditoriali (che dovranno valutare il concordato minore), e i consumatori che abbiano abusato in passato di tali procedure o agito con frode.

Caratteristiche e vantaggi del Piano del Consumatore

Il piano del consumatore si caratterizza rispetto ad altre procedure concorsuali per alcuni elementi peculiari:

  • Mancanza di accordo preventivo dei creditori: il piano non richiede il voto né l’approvazione dei creditori prima dell’omologazione. Questa è una differenza fondamentale rispetto al concordato minore (dove è necessaria l’approvazione della maggioranza dei crediti). Nel piano del consumatore, la proposta viene sottoposta direttamente al giudice per l’omologazione, previo contraddittorio, ma senza passare per un’assemblea o votazione dei creditori. Ciò è pensato per favorire il consumatore meritevole, evitandogli di dover ottenere il consenso (spesso difficile) di banche, finanziarie ecc. Il giudice funge da garante degli interessi dei creditori, valutando d’ufficio se il piano è fattibile e più conveniente rispetto alla liquidazione. In sostanza, il peso decisionale è spostato sul tribunale, mentre i creditori possono solo eventualmente opporsi o far osservazioni (vedremo oltre la fase di omologazione).
  • Flessibilità del contenuto del piano: il piano può prevedere le soluzioni più varie per superare la crisi, con ristrutturazione dei debiti anche consistente in pagamento parziale e/o dilazionato degli stessi, secondo modalità e tempi specificati dal debitore. È ammesso soddisfare i crediti anche in forma parziale e differenziata, purché vengano rispettati alcuni paletti di legge (ad esempio la regola di trattare i creditori privilegiati in modo da garantire loro almeno quanto otterrebbero dalla liquidazione dei beni gravati, come dettagliato sotto). Il piano può contemplare remissioni parziali di debiti, riduzione di interessi, falcidie di alcune posizioni, dilazioni di pagamento, ecc. senza limiti prefissati di percentuale, se non quelli derivanti dalla sostenibilità e dalla convenienza rispetto all’alternativa liquidatoria. Ad esempio, si può proporre di pagare solo una parte dei debiti chirografari (senza garanzie) e chiedere lo stralcio del restante, oppure di allungare il periodo di rimborso su più anni.
  • Assenza di spossessamento del debitore: diversamente dalla liquidazione, nel piano il debitore mantiene l’amministrazione del suo patrimonio. Egli si impegna ad eseguire il piano (ad es. pagando rate con il suo reddito futuro o liquidando taluni beni come promesso), sotto la vigilanza dell’Organismo di Composizione della Crisi (OCC) nominato. Non c’è un trasferimento generale dei beni ad un curatore. Dunque il debitore conserva la disponibilità dei suoi beni (salvo quanto egli stesso si obbliga a destinare ai creditori nel piano) e la sua attività reddituale prosegue normalmente. Questo aspetto riduce lo stigma e l’impatto patrimoniale: a differenza di un fallimento o di una liquidazione, non si subisce una spoliazione completa dei beni (si evita ad es. la vendita forzata della casa se il piano prevede modalità alternative per soddisfare i creditori garantiti).
  • Protezione dai creditori (stay) facoltativa: quando il debitore presenta il piano, può chiedere al tribunale misure protettive temporanee, cioè la sospensione di azioni esecutive o cautelari dei creditori durante la pendenza della procedura. Nel Codice attuale queste misure non scattano automaticamente (no automatic stay), ma sono concesse su istanza e valutazione del giudice (art. 70 co. 4 CCII). Ad esempio, se un creditore sta pignorando lo stipendio, il debitore può chiedere che il pignoramento venga sospeso in attesa dell’omologazione del piano. Questo tutela la par condicio e la fattibilità del piano, impedendo ai creditori individualmente di vanificare la soluzione collettiva proposta. La durata iniziale della protezione è di massimo 90 giorni, prorogabile.
  • Effetto esdebitatorio: l’obiettivo del piano è permettere al consumatore di ottenere la cancellazione dei debiti residui una volta realizzato quanto promesso ai creditori. A seguito dell’omologazione del piano da parte del tribunale, il debitore ottiene l’effetto di essere vincolato solo al pagamento nelle forme e nei limiti previsti dal piano, e viene liberato dal resto delle obbligazioni pregresse (per quanto attiene la responsabilità personale). In altre parole, l’omologa comporta che il debitore sarà tenuto a pagare solo quanto stabilito nel piano, e per la parte eccedente i creditori non potranno più agire nei suoi confronti. Tecnicamente l’esdebitazione diviene effettiva con l’omologa stessa, sebbene sia risolutivamente condizionata all’effettivo adempimento del piano: se poi il debitore non rispetta gli impegni, il beneficio potrà venir meno (revoca). Ma se tutto va secondo il piano, il debitore a fine periodo avrà pagato la quota concordata e sarà definitivamente esdebitato (libero da ogni ulteriore pretesa per i debiti anteriori).
  • Controllo giudiziale della convenienza per i creditori: poiché i creditori non votano, la legge tutela i loro interessi stabilendo che il giudice, prima di omologare, valuti la convenienza del piano rispetto alla liquidazione alternativa. In pratica, il tribunale omologa solo se ritiene che ai creditori venga garantita con il piano una soddisfazione non inferiore a quella che avrebbero ottenuto liquidando i beni del debitore. Questo criterio (analogo a quello del best interest of creditors test) assicura che il piano non danneggi i creditori rispetto al fallimento. Se un creditore contesta l’omologa sostenendo che in liquidazione avrebbe preso di più, il giudice può anche disporre un cram down: può omologare il piano nonostante l’opposizione se ritiene la proposta maggiormente vantaggiosa rispetto all’alternativa liquidatoria. Ad esempio, Cassazione ha chiarito che nei piani del consumatore è legittimo prevedere dilazioni di pagamento ai creditori privilegiati anche oltre un anno, purché ciò incida solo sulla convenienza (ossia il creditore riceve tardi ma non meno di quanto gli spetterebbe altrimenti) e il creditore possa esprimere le sue ragioni in merito. Se invece il piano offrisse in modo palese meno del ricavato di una liquidazione, il giudice non potrebbe omologare (sarebbe contrario all’interesse dei creditori).

Riassumendo i vantaggi: il piano del consumatore consente al debitore civile di negoziare un sostanziale sconto o dilazione sul debito complessivo, senza dover ottenere il consenso dei creditori, evitando la liquidazione totale dei propri beni e mantenendo il controllo del proprio patrimonio, sotto vigilanza OCC. Se il piano è omologato e correttamente adempiuto, il debitore ottiene la cancellazione dei debiti residui e un nuovo inizio (fresh start).

Gli svantaggi e limiti: il consumatore deve comunque offrire uno sforzo finanziario coerente con le sue possibilità (non può aspettarsi di essere esdebitato a costo zero salvo il caso limite dell’“incapiente” di cui diremo). Deve dunque destinare ai creditori tutto il surplus di reddito o patrimonio disponibile oltre il minimo necessario al suo sostentamento, per un periodo che tipicamente può estendersi alcuni anni. Il piano richiede una rigorosa fattibilità: se il debitore non è in grado di sostenere i pagamenti promessi, rischia la revoca e la conversione in liquidazione controllata. Infine, anche se i creditori non votano, possono presentare opposizioni in sede di omologazione, ritardando la procedura ed evidenziando eventuali criticità (sulle quali deciderà il giudice). In ogni caso, il consumatore deve sottoporsi a un’analisi approfondita della sua situazione economica e patrimoniale attraverso l’OCC e al controllo del tribunale, con la conseguenza che eventuali atti in frode (ad esempio aver occultato beni o redditi) comportano sanzioni anche penali e la revoca dei benefici.

Procedura: fasi e struttura del piano

Vediamo ora come si svolge in pratica la procedura di piano del consumatore, secondo il Codice della Crisi (artt. 67-73 CCII):

  1. Ricorso introduttivo e relazione OCC: Il consumatore sovraindebitato si rivolge a un Organismo di Composizione della Crisi (OCC) abilitato (ad es. presso un Ordine di avvocati o commercialisti, o presso la Camera di Commercio). Con l’ausilio dell’OCC, il debitore predispone una proposta di piano di ristrutturazione dei debiti. Questa è una sorta di “piano di risanamento domestico” in cui il consumatore indica in che modo e in quanto tempo intende pagare ciascun creditore. Alla proposta deve essere allegata una relazione dettagliata dell’OCC (ex art. 68 CCII). Nella relazione l’OCC attesta la veridicità dei dati forniti, valuta le cause dell’indebitamento, la meritevolezza del debitore, e soprattutto giudica la fattibilità del piano e la convenienza per i creditori rispetto alla liquidazione. Questa relazione svolge un ruolo chiave di attestazione neutrale a supporto del piano. Il ricorso (predisposto eventualmente con l’assistenza di un legale, anche se la legge non impone assistenza tecnica obbligatoria per il consumatore) viene depositato presso il Tribunale competente (quello del luogo di residenza del debitore), con tutta la documentazione richiesta (elenco completo di creditori, debiti, redditi, beni, eventuali atti di disposizione compiuti di recente, certificati di stato di famiglia per eventuale procedura familiare, ecc.).
  2. Apertura della procedura e misure protettive: Il Tribunale (in composizione monocratica, cioè giudice unico) esamina l’istanza. Se riscontra la presenza dei requisiti di ammissibilità (soggettivi e oggettivi) in modo sommario, emette decreto di apertura della procedura. Con tale decreto il giudice dichiara aperta la procedura di ristrutturazione dei debiti, ordina eventuali pubblicazioni e, se richiesto, concede le misure protettive sospendendo azioni esecutive (art. 70 CCII). È importante notare che grazie al correttivo 2024 il giudice può, se il piano presenta lacune emendabili, assegnare al debitore un termine (fino a 15 giorni) per integrare il piano o la documentazione, invece di rigettare subito. Questo consente di evitare inammissibilità formali dando al debitore una chance di correzione. Una volta aperta la procedura, viene nominato lo stesso OCC come gestore incaricato del controllo, se non era già designato. Il decreto di apertura è comunicato ai creditori. Da questo momento scatta la par condicio: eventuali creditori non più possono iniziare o proseguire pignoramenti senza autorizzazione (grazie alle misure protettive concesse).
  3. Eventuali opposizioni dei creditori: Poiché i creditori non votano sul piano, la legge prevede comunque un contraddittorio. Viene fissata un’udienza di comparizione dei creditori (entro 60 giorni circa). I creditori possono depositare osservazioni, consensi spontanei o opposizioni scritte. In particolare, se un creditore ritiene che manchi un requisito (es. contesta che il debitore sia un consumatore, o che non sia meritevole, o che il piano sia insostenibile), può sollevare tali eccezioni. Tuttavia, attenzione: la giurisprudenza ha chiarito che eventuali contestazioni sui requisiti di ammissibilità decisi nel decreto di apertura (ad es. la qualifica di consumatore) devono essere proposte tramite reclamo immediato contro il decreto di apertura, non soltanto all’udienza finale. La Cassazione ha affermato che tutte le questioni relative all’ammissibilità (in procedura L.3/2012, ma il principio vale anche ora) vanno trattate subito, in sede di reclamo ex art. 70 co. 8 CCII, e non differite all’opposizione all’omologa. Ciò per ragioni di economia processuale: se un creditore pensa che il debitore non avesse i requisiti per accedere, deve attivarsi tempestivamente impugnando l’ammissione, altrimenti la questione si cristallizza.
  4. Omologazione del piano: All’udienza il giudice verifica la presenza di eventuali opposizioni e valuta il piano nel merito. Non essendoci un voto da scrutinare, il Tribunale decide se omologare il piano del consumatore, rendendolo vincolante per tutti i creditori. L’omologazione viene concessa se: (a) risultano rispettati tutti i requisiti soggettivi (consumatore, meritevolezza) ed oggettivi di legge; (b) il piano è fattibile (ossia le promesse di pagamento sono realistiche rispetto alle entrate e alle risorse del consumatore); (c) il piano è conveniente per i creditori rispetto all’alternativa della liquidazione. Quest’ultimo punto comporta un vero e proprio giudizio comparativo economico. Se uno o più creditori hanno fatto opposizione lamentando l’iniquità o la scarsa convenienza, il giudice li valuta e, eventualmente, può anche omologare il piano nonostante il dissenso di quei creditori, applicando il cram-down previsto dall’art. 70 co. 9 CCII. In pratica, se il giudice ritiene che i creditori dissenzienti otterranno col piano almeno quanto ricaverebbero dalla liquidazione, può omologare comunque. Un caso particolare riguarda i creditori pubblici: il Codice oggi prevede espressamente che l’omologa possa avvenire anche senza l’adesione dell’Amministrazione finanziaria (Agenzia Entrate o ente previdenziale) purché la proposta soddisfi i loro crediti in misura non inferiore all’alternativa liquidatoria. Ciò evita che il fisco possa “vetoare” il piano se comunque sta ricevendo il massimo possibile. Se invece emergono motivi di rigetto, il tribunale può rifiutare l’omologa. Ad esempio, se scopre che il debitore ha dolosamente omesso di indicare un creditore o ha fornito informazioni false, l’omologa verrà negata e la procedura chiusa. (Nota: in passato la legge prevedeva la conversione automatica in liquidazione in caso di mancata omologa; il CCII inizialmente lo prevedeva all’art. 73, ma il correttivo 2024 ha eliminato l’automatismo della conversione. Ora, se l’omologa è negata o il piano revocato, il debitore potrà autonomamente chiedere l’apertura di una liquidazione controllata, ma non vi sarà conversione ipso iure).
  5. Esecuzione del piano e conclusione: Una volta omologato, il piano diventa obbligatorio per tutti i creditori anteriori (anche dissenzienti) e vincolante per il debitore. Gli effetti sono quelli stabiliti nel piano stesso: ad esempio, se il piano prevede che il debitore versi una certa somma mensile all’OCC o direttamente ai creditori, egli dovrà farlo nei tempi indicati. L’OCC svolge funzioni di controllo sull’esecuzione del piano, verificando che il debitore adempia correttamente. Il debitore conserva l’amministrazione dei suoi beni durante l’esecuzione, ma deve attenersi a quanto stabilito (ad esempio potrebbe essere vietato contrarre nuovi debiti oltre una certa soglia senza avvisare il tribunale). Al termine, depositata la relazione finale dell’OCC attestante l’avvenuto adempimento, il debitore ottiene formalmente l’attestazione di aver eseguito il piano e quindi l’esdebitazione definitiva da eventuali importi eccedenti.
  6. Revoca del piano: Se durante l’esecuzione il debitore viene meno agli obblighi o emergono irregolarità gravi, il tribunale – anche su istanza di un creditore – può disporre la revoca dell’omologazione (art. 73 CCII). Ciò avviene, ad esempio, se il debitore non paga le rate come da piano senza giustificazione, oppure se si scopre che aveva dolosamente nascosto parte dell’attivo o aggravato il passivo con frode. La revoca annulla gli effetti esdebitatori del piano: i crediti originari risorgono per intero, detratto quanto eventualmente già pagato nel piano. In tal caso, su istanza del debitore o dei creditori, il tribunale può convertire la procedura in liquidazione controllata. Questo permette comunque ai creditori di soddisfarsi con una liquidazione giudiziale del patrimonio residuo. La conversione non è automatica ma frequente: infatti, se il piano fallisce, spesso non resta che liquidare i beni rimasti per chiudere la vicenda.

Va segnalato che la procedura di piano del consumatore è generalmente più rapida di un concordato o di una liquidazione: i tempi dipendono molto dalla complessità del caso e dalla durata dell’esecuzione del piano. L’omologazione può arrivare in pochi mesi (3-6 mesi) dall’istanza se non vi sono intoppi; l’esecuzione invece dipende dal piano stesso (molti piani prevedono pagamenti in 4-5 anni, ma alcuni possono prevedere liquidazioni immediate di beni e chiudersi prima).

Trattamento dei crediti e casi particolari nel Piano del Consumatore

Nel predisporre un piano, occorre rispettare alcune regole di trattamento dei creditori previste dalla legge:

  • Creditori privilegiati, pegno, ipoteca: Il piano può prevedere il pagamento parziale (falcidia) anche dei crediti privilegiati (inclusi ipotecari) solo a condizione che ai creditori con prelazione sia garantito un importo non inferiore a quello che otterrebbero liquidando i beni su cui grava la prelazione. Questo principio dell’“attestazione di incapienza” è identico a quello del concordato preventivo: in pratica, se un bene dato in garanzia non copre interamente il credito, la parte scoperta può essere falcidiata. Ad esempio, se c’è un mutuo ipotecario di 100.000€ su un immobile che in liquidazione frutterebbe 70.000€, il piano può prevedere di pagare anche meno di 100.000€, ma almeno 70.000€ al creditore ipotecario (perché tanto prenderebbe vendendo la casa). La Cassazione ha recentemente confermato che anche nel sovraindebitamento è legittimo dilazionare il pagamento dei creditori prelatizi oltre l’anno (come già accennato) e implicitamente, purché sia rispettato questo vincolo di soddisfazione minima pari al valore di realizzo dei beni. È importante sottolineare che la legge 3/2012 originaria vietava espressamente di falcidiare l’IVA e le ritenute non versate (imposte considerato debiti “qualificati”), ma tale divieto assoluto è stato oggetto di dibattito. La Corte Costituzionale nel 2022 ha ritenuto compatibile l’istituto con l’ordinamento, mentre il nuovo CCII non riproduce più quel divieto letterale, limitandosi al principio generale sopra detto. Quindi, oggi anche il debito IVA può essere trattato nel piano con pagamento parziale se, in caso di liquidazione, non verrebbe soddisfatto interamente (ad esempio per mancanza di beni), ferma restando l’ultima parola del giudice sulla convenienza e la correttezza del trattamento. Inoltre, per i debiti fiscali, è applicabile la disciplina della transazione fiscale (art. 63 CCII richiamato): il piano può prevedere la falcidia di tributi previo contraddittorio con l’Erario; se l’Erario non aderisce, il giudice può comunque omologare se ritiene la proposta equa.
  • Debiti con garanzie personali (fideiussioni): se alcuni debiti sono garantiti da terzi, questi terzi (fideiussori) non sono direttamente protetti dal piano, che riguarda solo il debitore principale. Tuttavia, il CCII richiede nel concordato minore la classificazione separata di creditori con garanzie fornite da terzi. Per il piano del consumatore questa previsione non è espressa, ma è buona prassi segnalare la presenza di fideiussori: l’omologa del piano libera il debitore principale, ma non impedisce ai creditori di agire contro i fideiussori per l’importo residuo. Spesso, in questi casi, il piano del consumatore può essere accompagnato da accordi con i garanti o da interventi di questi ultimi (ad es. un genitore garante che contribuisce al piano pagando una parte dei debiti per evitare escussioni). Nei piani familiari (vedi infra) questo aspetto si gestisce globalmente.
  • Debiti con cessione del quinto dello stipendio: Novità del CCII, art. 67 co.3: il piano del consumatore può includere la ristrutturazione dei debiti derivanti da finanziamenti contro cessione del quinto dello stipendio. Questi crediti, per loro natura, prevedono un prelievo diretto sullo stipendio del debitore. In passato c’erano dubbi se fosse possibile modificarli. Ora la legge chiarisce che si possono falcidiare o rinegoziare anche i debiti da cessione del quinto, ad esempio riducendo la quota ceduta o allungando il periodo, purché il piano sia omologato. Dopo l’omologa, il datore di lavoro adeguerà la trattenuta secondo quanto previsto dal piano. Questa è una previsione molto utile per i consumatori, spesso gravati da più cessioni e prestiti delega: col piano si può riequilibrare l’importo complessivo prelevato dallo stipendio, restituendo al debitore un minimo vitale sufficiente.
  • Mutuo sulla prima casa: Il CCII consente (art. 67 co.5) al consumatore di prevedere nel piano la continuazione dei pagamenti del mutuo ipotecario sulla propria abitazione principale alle scadenze originarie. Ciò significa che, se il debitore è in regola (o può tornare in regola) con le rate del mutuo, può mantenere la casa fuori dal piano, continuando a pagare la banca come da contratto, e concentrare nel piano il trattamento degli altri debiti. La ratio è evitare che il debitore perda la prima casa se il mutuo è sostenibile: la casa rimane in suo possesso, il creditore ipotecario non partecipa al piano (o vi partecipa solo per eventuali arretrati da reintegrare), e il piano si occupa di alleggerire il resto dei debiti. Questo è un meccanismo utile: ad esempio una famiglia può proporre di proseguire il mutuo (magari allungandolo di comune accordo con la banca) e nel contempo stralciare o ridurre altri debiti non garantiti. Ovviamente, il piano deve dimostrare che il debitore ha reddito sufficiente a pagare sia le rate del mutuo sia la quota offerta agli altri creditori.
  • Debiti alimentari, da risarcimento danni ed altre esclusioni: Per quanto efficace, il piano (come tutte le procedure di sovraindebitamento) non può toccare alcuni debiti per loro natura “inderogabili”. Sono esclusi dall’esdebitazione (quindi vanno comunque pagati, piano o non piano): gli obblighi di mantenimento e alimentari (es. assegni di mantenimento al coniuge o ai figli); le obbligazioni da risarcimento danni per fatto illecito extracontrattuale; le sanzioni penali o amministrative pecuniarie che non siano accessorie a debiti estinti. Questi debiti non vengono cancellati neppure a fine piano. Pertanto, se presenti, il piano deve prevedere come verranno adempiuti a parte. Ad esempio, un genitore debitore che deve pagare un assegno mensile al figlio dovrà continuare a farlo fuori piano; se ha multe, dovrà pagarle in ogni caso.
  • Procedure familiari: Se il consumatore fa parte di una famiglia sovraindebitata, il Codice prevede la possibilità di presentare un progetto unitario di piano familiare. Ai sensi dell’art. 66 CCII, i membri della stessa famiglia (coniugi, parenti conviventi o co-obbligati con origine comune del debito) possono proporre un unico piano consolidato. Ciò consente di risparmiare costi (un solo OCC, un unico procedimento) e di coordinare soluzioni che spesso sono interdipendenti. Ad esempio, marito e moglie entrambi indebitati con banche e fisco possono fare un piano familiare sommando i loro redditi e patrimoni. Se almeno uno dei debitori è consumatore e tutti i debiti sono personali, si applicheranno le norme del piano del consumatore; ma se uno dei membri non è consumatore (es. marito imprenditore minore, moglie consumatrice), allora per il progetto unitario si applicheranno le disposizioni del concordato minore. In sostanza, basta un co-debitore non consumatore per far “scattare” il meccanismo dell’accordo con voto. Questo vincolo è importante da sapere quando si decide se presentare un piano familiare o separare le posizioni.

Esempio pratico di Piano del Consumatore

Caso di esempio: Mario è un impiegato di quaranta anni, vive con la moglie e un figlio a carico. Negli anni scorsi ha contratto vari debiti: prestiti personali e carte di credito per 40.000€, un debito fiscale (IRPEF e multe) di 15.000€, e un mutuo residuo sulla casa di 80.000€ (rate mensili €500). Purtroppo, a causa di spese mediche impreviste e un periodo di cassa integrazione, Mario è diventato insolvente verso i finanziamenti (ha accumulato rate arretrate). Attualmente il suo stipendio è ripreso (€1.800 netti mensili) e la moglie guadagna €1.000 mensili. Tuttavia, tolta la rata mutuo e le spese familiari essenziali, rimane poco margine per pagare i debiti pregressi, che difatti sono rimasti insoluti (banche e Agenzia Entrate hanno iniziato azioni).

Scelta della procedura: Mario è un consumatore (i debiti sono di natura personale/familiare). Ha una casa con mutuo. Potrebbe valutare la liquidazione controllata, ma significherebbe perdere la casa (verrebbe venduta dal liquidatore) e comunque i crediti non verrebbero pagati interamente. Invece, con un piano del consumatore, Mario può cercare di salvaguardare la casa e ristrutturare gli altri debiti.

Proposta di piano: Con l’aiuto dell’OCC, Mario elabora un piano in cui:

  • Continua a pagare il mutuo regolarmente (€500/mese) tenendo la casa fuori dalla procedura (grazie all’art. 67 co.5 CCII). La banca mutuataria quindi non viene inclusa come creditore da falcidiare, ma solo come parte informata; Mario regolarizza le 2 rate di mutuo arretrate subito (magari usando una piccola liquidazione del TFR).
  • Per gli altri debiti (55.000€ totali) propone di pagare complessivamente €20.000, pari a circa il 36% del loro ammontare. In particolare, offre €15.000 ai creditori chirografari finanziari (40% del dovuto) e €5.000 all’Erario (un terzo del debito fiscale). Questa suddivisione è basata sul fatto che i debiti verso lo Stato (in parte sanzioni) verrebbero in un fallimento soddisfatti in minima parte, quindi anche un 33% è considerabile accettabile e comunque superiore al realizzo su eventuali beni mobili.
  • Da dove vengono €20.000? Mario si impegna a versare €300 al mese per 5 anni (totale €18.000) derivanti dal suo stipendio (ha calcolato che, riassestando il bilancio familiare, può destinare 300€ mensili ai creditori, dato che la moglie contribuisce alle spese domestiche). Inoltre, un parente di Mario si è detto disponibile a dare €2.000 una tantum come aiuto. Dunque 18.000 + 2.000 = 20.000€.
  • Il piano prevede che tali somme siano distribuite pro quota ai creditori finanziari e all’Erario, con preferenza indifferente poiché sono tutti chirografari (i crediti fiscali non privilegiati, essendo multe e sanzioni amministrative, non godono di privilegio sull’abitazione principale in questo caso). L’OCC calcola che in un’alternativa liquidazione Mario avrebbe perso la casa: vendendo la casa (valore €120.000) si sarebbe estinto il mutuo (€80.000) e forse rimasti €40.000 per gli altri creditori, ma Mario e famiglia avrebbero perso l’abitazione e dovuto trovarsi un affitto, aggravando la loro situazione. Inoltre, tolte spese di procedura e privilegi legali, ai chirografari sarebbe andata una percentuale comunque bassa e Mario sarebbe rimasto senza casa. Il piano invece lascia la casa alla famiglia e offre ai chirografari il 36% – che è più alto di quanto prenderebbero vendendo la casa (perché in liquidazione la casa avrebbe coperto il mutuo e poco altro). Pertanto, la relazione OCC evidenzia la convenienza del piano per i creditori chirografari e la sua sostenibilità per Mario (300€ al mese sono fattibili col suo reddito netto di 1800, avendo estinto altri consumi a credito).

Svolgimento: Il tribunale apre la procedura, concede il blocco di un pignoramento sul conto di Mario avviato da una finanziaria, e fissa udienza. L’Agenzia delle Entrate Riscossione invia un’osservazione chiedendo maggior rigore sul pagamento delle sanzioni, ma non propone soluzioni alternative; due finanziarie fanno opposizione lamentando che 40% è poco. All’udienza, tuttavia, il giudice valuta che:

  • Mario è meritevole (ha perso il lavoro temporaneamente, ora sta impegnandosi; nessuna frode).
  • Il piano è fattibile: la moglie è presente e conferma il suo contributo familiare, Mario ha già depositato i 2.000€ ricevuti dal parente in un conto dedicato all’OCC.
  • I creditori, benché non pieni, ricevono più di quanto realistico in un’alternativa liquidatoria (le finanziarie senza garanzie avrebbero forse preso il 5-10%, qui prendono 40%). Il fisco prende qualcosa su multe che altrimenti rimarrebbero in gran parte inesigibili.
    Il giudice quindi, nonostante le opposizioni, omologa il piano, ritenendolo conveniente e l’unico modo per realizzare una soddisfazione significativa dei creditori chirografari.

Esito: Mario esegue il piano fedelmente per 5 anni: versa 300€/mese all’OCC, il quale ogni anno ripartisce quanto raccolto ai creditori secondo l’omologazione. Dopo 5 anni, Mario ha versato tutti i €18.000 previsti; con i €2.000 iniziali fanno €20.000 distribuiti (i creditori finanziari hanno incassato 8.000 su 20.000 ciascuno ad esempio, l’Erario 4.000 su 12.000 dovuti e così via). L’OCC relaziona al giudice l’adempimento integrale del piano. Tutti i debiti originari di Mario sono quindi dichiarati inesigibili per la parte restante: in totale Mario aveva 55.000€ di debito extra mutuo, ne ha pagati 20.000, i rimanenti 35.000€ sono cancellati dall’esdebitazione. Mario conserva la sua casa (il mutuo prosegue e finirà di pagarlo in futuro) e ha ritrovato equilibrio finanziario. I creditori hanno ottenuto il possibile, in misura superiore a eventuali scenari di recupero forzato. Mario non potrà chiedere un’altra procedura per almeno 5 anni, ma l’auspicio è che non ne abbia più bisogno.

Questo esempio mostra come il piano del consumatore possa coniugare soddisfazione (parziale) dei creditori e rilancio del debitore, evitando soluzioni distruttive. Naturalmente ogni caso è a sé: altro scenario, se Mario non avesse avuto alcun reddito, il piano sarebbe stato insostenibile e si sarebbe forse optato per l’esdebitazione da incapiente (vedi oltre). Se invece i creditori avessero avuto garanzie su molti beni, la convenienza andava calcolata attentamente. L’assistenza di un OCC esperto e la trasparenza del debitore sono elementi cruciali per la buona riuscita di un piano.

Concordato Minore

Cos’è e chi può accedervi

Il concordato minore è la procedura di composizione negoziale della crisi da sovraindebitamento prevista per i debitori non consumatori, cioè quei soggetti sovraindebitati che hanno debiti riferibili ad un’attività economica o professionale, i quali non superano le soglie per la liquidazione giudiziale (ex fallimento). In pratica si rivolge a: imprenditori “minori”, cioè sotto i limiti dimensionali dell’art. 2 CCII (attivi e debiti sotto certe soglie – analoghi ai vecchi limiti art. 1 L.F.); imprenditori agricoli (esclusi per legge dal fallimento ma ammessi qui); professionisti (es. un avvocato o architetto con studio individuale indebitato); start-up innovative (che godono di esenzione da fallimento) e in generale qualsiasi debitore non fallibile che però non sia un consumatore.

In altre parole, il concordato minore è l’equivalente per piccoli imprenditori di ciò che il piano del consumatore è per i privati: uno strumento per proporre un accordo di ristrutturazione ai creditori e superare la crisi evitando la liquidazione giudiziale. Non a caso, prima del Codice della Crisi, la procedura analoga era chiamata accordo di composizione della crisi (L.3/2012) ed era aperta anche ai consumatori come opzione alternativa al piano. Oggi, con la separazione netta, il concordato minore si applica ai non consumatori in via esclusiva.

I requisiti soggettivi sono complementari a quelli visti per il piano: non dev’essere un soggetto assoggettabile a liquidazione giudiziale (quindi niente società di grandi dimensioni o imprenditori sopra soglia) e non dev’essere un consumatore (altrimenti userebbe l’altra procedura). Sono cause ostative le stesse viste prima: aver già ottenuto esdebitazione nei 5 anni precedenti o più di due volte, oppure aver causato il sovraindebitamento con dolo o colpa grave (art. 77 CCII richiama analoghe condizioni di meritevolezza). Inoltre, atti in frode ai creditori (es. distrazione di beni) commessi dal debitore precludono l’accesso. Se un imprenditore ha fatto sparire attivo o aggravato dolosamente il dissesto, il tribunale dichiarerà inammissibile il concordato minore. Invece, a differenza del piano, per il concordato è richiesta l’assistenza di un difensore legale: trattandosi di materia più complessa e di debitori “imprenditori”, la legge impone la necessaria difesa tecnica sin dal deposito della domanda.

Importante: Il concordato minore può essere utilizzato sia dall’imprenditore che intende continuare l’attività (concordato in continuità) sia da chi decide di cessarla e liquidare, purché, in quest’ultimo caso, apporti risorse esterne per aumentare la soddisfazione dei creditori. Il CCII incoraggia la continuità aziendale: se possibile, l’imprenditore deve perseguire la continuazione dell’attività (anche indiretta, cioè tramite affitto o cessione dell’azienda a terzi che proseguono). Se invece vuole semplicemente chiudere e liquidare tutto, la legge consente il concordato minore liquidatorio solo a condizione che vi sia un apporto di risorse esterne apprezzabili ad aumentare il soddisfacimento dei creditori. Questo per evitare che il concordato minore diventi un surrogato di un fallimento senza i presupposti: se devi comunque liquidare, la via ordinaria sarebbe la liquidazione controllata; il concordato minore liquidatorio è ammesso soltanto se, grazie a risorse ulteriori (ad es. denaro messo da familiari, nuovi finanziatori, terzi assuntori), i creditori ricavano di più di quanto ricaverebbero in una liquidazione pura. È un onere che spinge il debitore o terzi a contribuire economicamente per meritarsi l’accordo (nel concordato preventivo imprese era simile, ma con soglie percentuali; qui basta che sia “apprezzabile” l’incremento, valutazione lasciata al giudice).

Caratteristiche e confronto col piano del consumatore

Il concordato minore, pur condividendo l’obiettivo di ristrutturazione dei debiti, presenta differenze sostanziali rispetto al piano del consumatore:

  • Necessità di voto dei creditori: è una procedura negoziale, basata su un accordo con i creditori. Il debitore formula una proposta di concordato ai creditori e questi hanno diritto di voto. Serve l’approvazione dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto. Il meccanismo è simile al concordato preventivo: tutti (o suddivisi in classi, se previste) esprimono il proprio consenso o dissenso. La legge consente anche qui il cram down in caso di contestazioni sulla convenienza, ma non elimina la fase deliberativa: senza la maggioranza, di regola, non si omologa. Chi vota? Tutti i creditori titolari di diritti di credito chirografari o degradati da falcidia; i privilegiati per la parte eventualmente non garantita. I creditori privilegiati integralmente soddisfatti secondo il piano non hanno voto (perché non toccati). È possibile prevedere classi di creditori nel concordato minore, ma non è obbligatorio tranne che per i creditori garantiti da fideiussioni di terzi. Dunque, la formazione di classi multiple è facoltativa (diversamente dal concordato preventivo dove è obbligatoria in certe situazioni); ciò semplifica molte procedure. In ogni caso, la necessità di convincere una maggioranza qualificata di creditori è un elemento di incertezza: il debitore deve costruire una proposta sufficientemente appetibile, e spesso negoziare informally con i creditori principali prima e durante la procedura per assicurarsi i voti.
  • Ruolo dell’OCC e relazione particolareggiata: come per il piano, anche qui l’OCC assiste il debitore nella redazione del piano/proposta e predispone una relazione (art. 76 CCII). Nel concordato minore, questa relazione deve essere ancora più dettagliata (spesso chiamata attestazione particolareggiata), analizzando la situazione economico-finanziaria dell’impresa, le cause della crisi, e attestando la veridicità dei dati e la fattibilità del piano. Inoltre, se l’attività prosegue, l’OCC deve esprimersi sulla ragionevolezza del piano in continuità; se è liquidatorio, deve verificare la provenienza e la consistenza delle risorse esterne promesse. La documentazione allegata al ricorso è simile (elenco creditori, bilanci o rendiconti, elenco atti di straordinaria amministrazione ultimi 5 anni, ecc., come da art. 75 CCII).
  • Apertura e procedimento: Il procedimento si avvia con un ricorso presentato dal debitore presso il Tribunale competente (centro degli interessi principali, COMI, di solito la sede dell’attività). Il Tribunale (collegiale in questo caso, diversamente dal piano che è monocratico) esamina l’ammissibilità e dichiara aperta la procedura di concordato minore con decreto di apertura (art. 78 CCII). Anche qui il correttivo 2024 ha previsto la possibilità per il giudice di concedere 15 giorni per integrare la proposta/documenti in caso di carenze, invece di bocciare subito. Contestualmente, può adottare misure protettive del patrimonio su istanza del debitore (sospensione azioni esecutive), analoghe a quelle viste per il piano (art. 54-55 CCII applicabili). Il decreto nomina un giudice delegato e un commissario giudiziale – di solito l’OCC stesso assume il ruolo di commissario vigilando sull’impresa durante la procedura. Il commissario sovraintende alle operazioni di voto, raccoglie le manifestazioni di voto dei creditori (che possono avvenire in adunanza o per scritto), e redige una relazione finale sulle votazioni.
  • Gestione dell’impresa durante la procedura: Il debitore in concordato minore subisce uno spossessamento attenuato: mantiene l’amministrazione ordinaria, ma per gli atti di straordinaria amministrazione necessita di autorizzazione del giudice. Non viene nominato un curatore come nel fallimento; l’imprenditore continua la gestione sotto la vigilanza del commissario. In caso di concordato in continuità, ciò permette all’attività di proseguire senza soluzione di continuità, magari con nuovi contratti, scorte, vendite, ecc., però sotto monitoraggio (ad esempio il GD può imporre di non fare pagamenti preferenziali). In caso di liquidatorio, di solito l’imprenditore collabora col commissario per predisporre eventuale liquidazione concordataria dopo l’omologa (spesso l’esecuzione del concordato liquidatorio comporta la nomina di un liquidatore giudiziale che provvede a vendere i beni come da piano).
  • Voto dei creditori e omologa: Dopo l’apertura, il commissario comunica il piano ai creditori e li invita ad esprimere il voto entro un termine o in una udienza apposita. Si possono costituire classi (facoltative, come detto) e prevedere trattamenti diversificati. Ad esempio, si potrebbe classare separatamente il fisco o altri creditori strategici, ma la legge non obbliga salvo il caso di creditori garantiti da terzi. Serve il voto favorevole dei creditori rappresentanti la maggioranza dei crediti ammessi al voto. Se questa maggioranza c’è, il tribunale passa alla fase di omologazione. Se manca, il concordato non può essere omologato (il debitore a quel punto può chiedere la liquidazione controllata). È previsto tuttavia un meccanismo di “omologazione forzata” in due ipotesi specifiche:
    • Cram-down per contestazione di convenienza: se la maggioranza ha approvato ma qualche creditore opponendosi contesta la convenienza, il giudice può comunque omologare se ritiene che il piano sia più vantaggioso per quel creditore rispetto alla liquidazione (art. 80 co.7 CCII, analogo all’art. 70 co.9 per il piano).
    • Mancata adesione del Fisco/enti previdenziali: come per il piano, anche nel concordato minore la legge prevede che la mancata adesione dell’Erario o di enti previdenza non preclude l’omologa, se la loro soddisfazione prevista è almeno pari al valore di liquidazione. Questo evita il “veto” del credito pubblico: il tribunale può omologare d’ufficio anche senza voto favorevole dell’Agenzia Entrate o Inps, se questi non contestano specificamente la proposta nella sostanza. Il Correttivo ter ha sottolineato che non è necessaria la collocazione in classe separata del Fisco in caso di falcidia, perché comunque il Fisco può sempre opporsi sul piano della convenienza ed eventualmente subire cram-down.
    Dopo il voto, il tribunale tiene un’udienza di omologa. Se ci sono opposizioni (es. creditori dissenzienti che eccepiscono qualcosa), le esamina. Verificato il raggiungimento delle maggioranze e l’assenza di cause ostative, il tribunale emette il decreto di omologazione che rende efficace il concordato minore. In caso di mancata maggioranza, il giudice dichiara l’esito negativo e chiude la procedura (spesso contestualmente può aprirsi la liquidazione controllata su richiesta).
  • Esecuzione del concordato ed effetti: Una volta omologato, il concordato minore è vincolante per tutti i creditori anteriori (anche dissenzienti) e il debitore deve attuarlo. Se il piano prevedeva la continuazione dell’impresa, il debitore prosegue l’attività e paga i creditori secondo l’accordo omologato (il commissario cessa dalle funzioni se non è previsto diversamente). Se era liquidatorio, l’omologazione apre la fase di liquidazione dell’attivo secondo il piano: il tribunale nomina un liquidatore (spesso l’OCC o altro professionista) che provvede a liquidare i beni e distribuire le somme come stabilito. Ad esempio, se il concordato prevede che un certo immobile venga venduto e il ricavato ripartito al 30% ai chirografari, il liquidatore curerà la vendita e pagherà i creditori in quelle percentuali. Effetto esdebitatorio: Anche nel concordato minore, come nel piano, l’omologazione comporta che il debitore è obbligato solo a quanto previsto dal piano e viene liberato dal resto dei debiti anteriori, a condizione di eseguire regolarmente il concordato. Le stesse regole sulla possibile revoca e conversione in liquidazione controllata in caso di inadempimento o frode si applicano analogamente. Quindi se l’imprenditore non rispetta il piano, i creditori possono chiederne la risoluzione e il tribunale può farlo decadere dal beneficio, aprendo la liquidazione di tutti i beni residui.
  • Sanzioni e altri effetti: Il debitore in concordato minore, al pari del consumatore, è soggetto alle sanzioni penali in caso di comportamenti fraudolenti (es. occultare attivo, simulare crediti, distrarre beni prima o durante la procedura). Quanto agli effetti sugli eventuali soci illimitatamente responsabili (ad es. socio di SNC), il CCII prevede estensione analoghe a quelle della liquidazione (ma il dettaglio esula da questa trattazione). Durante la procedura, eventuali crediti sorti per la continuazione dell’attività o spese della procedura godono della prededuzione (priorità di pagamento) se poi si va in liquidazione – ciò garantisce fornitori e professionisti che assistono durante il concordato.

I vantaggi del concordato minore: permette all’imprenditore o professionista sovraindebitato di evitare la liquidazione giudiziale (l’equivalente del fallimento) e di gestire la crisi attivamente, proponendo una soluzione concordata che può includere la continuazione dell’azienda, il che è cruciale per salvaguardare valore economico e posti di lavoro. È una procedura più snella del concordato preventivo ordinario: ad esempio, non c’è obbligo di classi se non per casi specifici, le percentuali di pagamento non hanno soglie rigide (nel concordato preventivo liquidatorio serve almeno 20% ai chirografari, qui no, basta la convenienza rispetto alla liquidazione), e il tribunale è tipicamente più celere. Inoltre, il concordato minore copre categorie prima escluse (agricoli, start-up) e consente anche al professionista o piccolo imprenditore di liberarsi dai debiti residui con l’esdebitazione dopo omologa ed esecuzione.

Gli svantaggi: richiede di ottenere il consenso dei creditori, il che può essere arduo soprattutto se vi sono molti creditori o pochi creditori principali poco collaborativi. L’esito positivo non è garantito come nel piano (dove decide il giudice); c’è l’incognita del voto. Inoltre, la procedura è un po’ più onerosa: richiede un avvocato di fiducia, prevede il coinvolgimento attivo del tribunale in fase di omologa, può comportare costi di commissario e liquidatore. Se l’impresa è in esercizio, l’imprenditore deve operare sotto vigilanza, il che può essere percepito come limitativo. Va anche ricordato che, se il concordato minore fallisce (mancata omologa o risoluzione successiva), si rischia la liquidazione controllata coattiva su istanza dei creditori, che è assimilabile a un “piccolo fallimento”. Infine, il concordato minore non può essere riutilizzato a piacimento: se ne può beneficiare al massimo due volte, e non in tempi ravvicinati (5 anni).

Esempio pratico di Concordato Minore

Caso di esempio: Lucia è una imprenditrice individuale nel settore commercio al dettaglio. Ha un negozio di abbigliamento. Negli ultimi anni, complice la crisi e alcune scelte sbagliate di acquisto, ha accumulato debiti per circa €250.000: fornitori non pagati per 100.000€, debiti bancari (fidi e mutuo chirografario) per 80.000€, debiti verso il Fisco (IVA e contributi) per 70.000€. Il suo magazzino (rimanenze) vale sui 50.000€ e possiede come beni un’automobile commerciale e gli arredi del negozio. Non è fallibile perché il suo fatturato e attivo sono sotto le soglie di legge. Lucia vorrebbe proseguire l’attività, ma ha bisogno di liberarsi dai debiti e ristrutturare la gestione.

Valutazione: Essendo debitrice non consumatrice (debiti d’impresa), Lucia non può fare un piano del consumatore; inoltre preferisce evitare la liquidazione (perché significherebbe chiudere il negozio e vendere tutto all’asta). Il concordato minore in continuità appare la soluzione adatta: può proporre ai creditori un accordo, continuare l’attività e pagare i debiti in parte con i flussi futuri.

Lucia si rivolge a un OCC e presenta ricorso per concordato minore. Proposta di concordato:

  • Tenendo aperto il negozio, Lucia stima (con l’aiuto di un commercialista) di poter generare un utile annuo di circa €20.000 da destinare ai creditori, grazie a un piano di rilancio (chiusura di un punto vendita secondario per ridurre costi, concentrazione sull’e-commerce, ecc.). Propone quindi di pagare i creditori in 5 anni con i futuri utili, per un totale di €100.000 (20k x 5).
  • Inoltre, un investitore interessato (fornitore storico) è disposto a fornire nuova finanza di €20.000 per supportare l’attività, da destinarsi però in parte al rimborso parziale dei debiti verso di lui e in parte come liquidità per comprare nuove collezioni (questa nuova finanza sarà prededucibile).
  • Quindi, in totale, Lucia conta di mettere a disposizione dei creditori circa €120.000 in 5 anni.
  • Come saranno distribuiti? La proposta prevede di soddisfare integralmente i debiti IVA e contributi (70k) ma dilazionati in 5 anni senza interessi (sfruttando la possibilità di rateazione e la transazione fiscale), e di pagare circa 50% del dovuto ai fornitori e banche chirografarie (50k su 100k) anch’essi in 5 anni a rate semestrali. In pratica, i flussi annuali di 20k andranno prima preferibilmente a coprire le rate del fisco e poi pro quota ai chirografari.
  • I fornitori ipotizzati in chirografo (100k) otterranno dunque 50k (50%). Il fisco 70k (100%). Banche chirografarie incluse nei 100k totali prenderanno anch’esse 50%.
  • Ai creditori viene prospettato che se si andasse in liquidazione del negozio, presumibilmente dal magazzino e beni aziendali (valore 50k) al netto delle spese non si ricaverebbe più di 30k complessivi, con cui il fisco e qualche privilegiato prenderebbe forse qualcosa ma i fornitori quasi nulla. Invece, accettando la continuazione, tutti beneficiano di un ritorno più alto e l’azienda resta in vita.

Votazione: I creditori vengono suddivisi in due classi per trasparenza:

  • Classe 1: Erario e INPS (crediti privilegiati per 50k e chirografari per 20k di sanzioni). Hanno una proposta di pagamento integrale del loro credito principale (IVA/contributi) in 5 anni e stralcio delle sole sanzioni.
  • Classe 2: Banche e Fornitori chirografari (180k di crediti iniziali sommati, ma di cui 80k banche e 100k fornitori). Hanno proposta 50% in 5 anni.

In assemblea, la maggioranza si raggiunge perché: l’Erario (classe1) formalmente non aderisce (silenzio-assenso considerato dissenso forse, ma tanto verrà forzato perché li soddisfa pienamente in capitale), ma classe 2 vota sì con il 75% dei crediti (le banche e la maggior parte dei fornitori capiscono che è meglio recuperare la metà in 5 anni che quasi zero da una chiusura). Quindi globalmente c’è ben oltre il 50% dei crediti totali a favore (circa 75% su 250k). Il Tribunale omologa il concordato minore: respinge l’opposizione di due piccoli fornitori rimasti contrari (insieme avevano 5%, irrilevante) ritenendo la proposta conveniente per loro comunque (avrebbero preso zero in caso di fallimento). Anche senza adesione formale dell’Erario, omologa grazie alla soddisfazione integrale in valore (applicazione art. 80 co.3 CCII sul cram-down fiscale).

Esecuzione: Lucia continua a gestire il negozio sotto la supervisione iniziale del commissario (che dopo omologa diventa attuatore del piano monitorando i pagamenti). Ogni anno versa puntualmente le rate fiscali e paga le quote ai fornitori e banche secondo il calendario. Dopo 5 anni, avendo rispettato tutto, il tribunale su istanza di Lucia dichiara adempiuto il concordato. I creditori chirografari vengono esdebitati del restante 50% non pagato: non possono più avanzare pretese. Lucia ha così ridotto il suo indebitamento complessivo, salvato la sua impresa e può proseguire l’attività senza zavorre pregresse.

Se invece il piano di rilancio non avesse funzionato (mettiamo che dopo 2 anni Lucia non riesce più a pagare le rate), sarebbe potuta intervenire la risoluzione del concordato minore, con probabile apertura di una liquidazione controllata su richiesta dei creditori insoddisfatti. Lucia avrebbe perso l’azienda e i crediti residui sarebbero tornati esigibili in concorso nella liquidazione.

Questo esempio illustra il concordato minore in continuità: i creditori hanno accettato uno sconto del 50% sul dovuto in cambio di una prospettiva di recuperare il 50% in 5 anni, invece di mandare Lucia in liquidazione subito con recuperi forse del 10-15%. In più, Lucia ha potuto salvare la propria fonte di reddito (l’impresa) beneficiando di un alleggerimento dei debiti. La procedura, pur più complessa del piano del consumatore, è risultata efficace grazie alla costruzione di consenso tra i creditori.

Liquidazione Controllata del Sovraindebitato

Cos’è e quando si applica

La liquidazione controllata (disciplinata dagli artt. 268-277 CCII) è la procedura concorsuale a carattere liquidatorio prevista per i debitori civili sovraindebitati. È in sostanza l’erede della “liquidazione del patrimonio” della L.3/2012, e si configura come l’analogo, per i soggetti non fallibili, della liquidazione giudiziale (il nuovo nome del fallimento). Non a caso, il Codice la colloca nel Titolo V (dedicato alla liquidazione giudiziale), indicandola come uno speciale sottotipo di liquidazione destinato al debitore non fallibile. La liquidazione controllata può essere avviata volontariamente dal debitore oppure coattivamente su richiesta dei creditori o su istanza del Pubblico Ministero (in casi particolari), quando ricorre lo stato d’insolvenza del soggetto sovraindebitato.

In termini pratici, la liquidazione controllata consiste nel mettere a disposizione tutti i beni del debitore (presenti e futuri per un certo periodo) sotto il controllo di un liquidatore nominato dal tribunale, per ricavarne denaro da distribuire ai creditori secondo le regole della parità di trattamento e dei privilegi. Al termine, se il debitore è meritevole, potrà ottenere l’esdebitazione (liberazione dai debiti residui). È quindi una procedura più “drastica” rispetto alle precedenti: non mira a ristrutturare il debito ma a liquidare il patrimonio del debitore per chiudere i conti con i creditori.

Quando si sceglie o si subisce la liquidazione controllata?:

  • Quando il debitore, consumatore o meno, non è in grado di proporre un piano o un concordato sostenibile. Ad esempio, se non ha sufficienti entrate future per soddisfare anche parzialmente i creditori, oppure se i creditori non intendono accettare un concordato e le trattative sono fallite. La liquidazione diventa l’unica via per risolvere il sovraindebitamento, facendo comunque scattare a termine l’esdebitazione (in caso di meritevolezza).
  • Quando il debitore stesso preferisce liquidare i propri beni subito, magari per chiudere definitivamente la posizione debitoria nel tempo più breve possibile, rinunciando a tentare piani di rientro. Può sembrare controintuitivo, ma alcuni debitori scelgono volontariamente la liquidazione per avere un fresh start più rapido, specie se non tengono a conservare beni di proprietà.
  • Quando i creditori perdono fiducia o subiscono inattività del debitore: essi possono presentare istanza al tribunale per aprire la liquidazione controllata forzata (serve almeno uno o più creditori con un credito minimo indicato dalla legge, e la dimostrazione dello stato di insolvenza del debitore). Ad esempio, se un sovraindebitato cerca di ostacolare le procedure o dissipa beni, i creditori possono chiedere al giudice di avviare la liquidazione coattiva.
  • Quando un piano o un concordato saltano o non sono praticabili. Ad esempio, se un piano del consumatore viene revocato per inadempimento o un concordato minore non ottiene le maggioranze, di norma l’esito sarà l’apertura di una liquidazione controllata per soddisfare comunque i creditori con i beni esistenti.

La liquidazione controllata è accessibile a qualunque debitore sovraindebitato, consumatore o no. Non vi sono requisiti soggettivi di esclusiva, se non l’essere non fallibile (per i fallibili c’è la liquidazione giudiziale). In particolare, anche il debitore che non sia “meritevole” (che abbia colpa grave o comportamenti scorretti) può essere sottoposto a liquidazione: le circostanze di frode o colpa non precludono l’accesso, ma incideranno soltanto sul beneficio finale della liberazione dai debiti. Questo ha senso: anche chi ha colpe non può evitare che i creditori chiedano la sua liquidazione per recuperare qualcosa; tuttavia, come punizione, costui non otterrà l’esdebitazione a fine procedura.

Riassumendo: la liquidazione controllata è lo strumento residuale cui ricorrere quando non è praticabile una composizione negoziale. È, per così dire, “l’ultima spiaggia” per regolare la crisi: si perdono i beni, ma almeno dopo un periodo il debitore onesto può ripartire da zero senza debiti.

Procedura di Liquidazione Controllata: fasi principali

La procedura, in larga parte, ricalca quella della liquidazione giudiziale (fallimento), con gli opportuni adattamenti:

  1. Ricorso o istanza per apertura: Può presentare ricorso il debitore (volontariamente, con l’assistenza dell’OCC, depositando lo stato dettagliato di attivo e passivo, elenco creditori, inventario beni, ecc.) oppure possono presentare istanza uno o più creditori o il PM (quest’ultimo di rado, tipicamente se emergono ragioni di ordine pubblico, es. il debitore è defunto lasciando molti debiti). Se l’istanza viene da creditori, è necessaria la nomina di un OCC che assista la procedura (il tribunale provvede). Il tribunale competente è quello del luogo del centro principale interessi del debitore (residenza o sede). Non serve l’avvocato per il debitore se è lui a presentare il ricorso personalmente con l’ausilio OCC (mentre i creditori che istano devono farsi rappresentare da legale).
  2. Apertura della liquidazione: Il Tribunale, verificati sommariamente i presupposti (stato di insolvenza ovvero incapacità del debitore di pagare regolarmente i debiti), dichiara con decreto l’apertura della liquidazione controllata. Questo decreto ha effetti assimilabili ad una sentenza di fallimento: dispone che tutti i beni del debitore vengano acquisiti in un patrimonio destinato ai creditori. Precisamente, dalla data del decreto si forma la massa attiva comprendente tutti i beni di proprietà del debitore (presenti e futuri entro certi limiti). Il decreto è equiparato ad un atto di pignoramento su tutti i beni del debitore: ciò significa che i beni diventano indisponibili al debitore e soggetti all’esecuzione concorsuale (ogni atto dispositivo non autorizzato dopo l’apertura è inefficace). Viene nominato un Giudice Delegato e un Liquidatore (solitamente un professionista iscritto all’albo dei curatori/gestori della crisi). Il liquidatore sostituisce il debitore nell’amministrazione dei beni. Il decreto di apertura, inoltre, stabilisce le modalità di pubblicità (registro delle imprese se imprenditore, avvisi ai creditori) e ordina la consegna di documenti contabili al liquidatore.
  3. Inventario e formazione dello stato passivo: Il liquidatore compie l’inventario di tutti i beni del debitore, in collaborazione col debitore stesso (che deve fornire informazioni e documenti). Vengono individuati i beni esclusi per legge: la norma esenta dall’acquisizione i beni personali impignorabili (vestiario, cose indispensabili al nucleo familiare, eventuali stipendi entro la parte non pignorabile, ecc.). Restano invece acquisiti saldi di conto, immobili, mobili registrati, crediti esigibili dal debitore, ecc. Anche gli eventuali beni conferiti a un fondo patrimoniale o trust possono essere revocati se in frode. Il liquidatore redige l’elenco dettagliato. Contestualmente, invita i creditori a presentare domanda di insinuazione al passivo entro un termine (in genere 30-60 giorni). Come nel fallimento, si forma il passivo: il liquidatore esamina le domande dei creditori e predispone uno stato passivo con l’indicazione dei crediti ammessi, distinti per grado (privilegiati, chirografari, ecc.). Il Giudice Delegato tiene un’udienza di esame dello stato passivo e lo approva con decreto, decidendo su eventuali contestazioni dei creditori o del debitore.
  4. Liquidazione dell’attivo: Una volta cristallizzato l’elenco dei crediti da soddisfare, il liquidatore procede a vendere i beni del debitore secondo un programma di liquidazione approvato dal giudice (art. 270 CCII e seguenti). Si possono utilizzare le modalità tipiche: aste giudiziarie per immobili, vendite competitive per mobili di valore, cessione dei crediti, ecc. Se il debitore percepisce uno stipendio o pensione, la parte eccedente il minimo vitale mensile viene prelevata dal liquidatore (in misura non superiore ai limiti di pignorabilità) e accumulata per i creditori. Durata: la legge prevede che la procedura di liquidazione debba durare almeno 3 anni. Inoltre, tutti i beni che sopravvengono entro i 3 anni successivi all’apertura entrano a far parte dell’attivo. Questo significa che se, ad esempio, il debitore riceve un’eredità o vince alla lotteria entro tre anni dall’apertura, tali nuove utilità andranno in parte o totalmente ai creditori (salvo quelle ottenute per merito personale come il reddito da lavoro, di cui solo la quota pignorabile va ai creditori). Questa finestra triennale è una differenza rispetto al fallimento tradizionale, introdotta per i debitori civili in analogia a procedure di fresh start di altri ordinamenti: da un lato limita a 3 anni l’acquisizione di sopravvenienze, dall’altro impedisce al debitore di sottrarsi mettendo in stand-by eventuali guadagni (entro 3 anni se arrivano, vanno ai creditori). Al termine di 3 anni, eventuali redditi futuri del debitore non potranno più essere toccati (a meno che non si tratti del caso particolare dell’incapiente che vedremo).
  5. Ripartizione e chiusura: Man mano che si ricavano somme, il liquidatore effettua riparti ai creditori secondo l’ordine delle cause di prelazione risultante dallo stato passivo. Ad esempio, i creditori con ipoteca su un immobile venduto saranno pagati per primi con il ricavato di quell’immobile; i privilegiati (Fisco, dipendenti per stipendi arretrati, ecc.) seguiranno, e infine i chirografari divideranno l’eventuale residuo proporzionalmente. Il liquidatore prepara piani di riparto parziali durante la procedura e un riparto finale. Chiusura: Trascorsi almeno 3 anni, il liquidatore, venduto tutto il possibile e distribuiti i fondi, presenterà un rendiconto finale. Il Tribunale, su relazione del Giudice Delegato, dichiarerà chiusa la liquidazione con decreto motivato (art. 276 CCII). La chiusura può avvenire anche prima dei 3 anni se tutti i crediti sono stati soddisfatti integralmente (caso raro) o se non vi sono attivi da liquidare; tuttavia in tal caso i beni sopravvenuti fino al compimento dei 3 anni sarebbero comunque catturabili (per questo solitamente la prassi è attendere i 3 anni e poi chiudere).
  6. Esdebitazione: Il traguardo finale per il debitore persona fisica è l’esdebitazione di diritto (art. 282 CCII). La legge prevede che, una volta chiusa la procedura, il debitore meritevole è automaticamente ammesso al beneficio della liberazione dai debiti residui non soddisfatti, salvo che il tribunale, contestualmente alla chiusura, la escluda espressamente se rileva cause ostative. In realtà il CCII consente di ottenere l’esdebitazione anche prima della chiusura, dopo 3 anni dall’apertura, se la procedura si protrae troppo (per evitare di ritardare inutilmente il fresh start). In ogni caso, l’esdebitazione non è concessa se ricorrono le situazioni ostative di cui all’art. 280 CCII, in particolare:
    • il debitore ha riportato condanna per bancarotta fraudolenta o reati gravi in materia economica (salvo riabilitazione);
    • ha distratto o dilapidato attivo, aggravato il dissesto con grave imprudenza o abuso del credito, o comunque tenuto comportamenti frodatori durante la procedura;
    • non ha cooperato fornendo informazioni e documenti necessari;
    • ha già beneficiato di esdebitazione in una procedura nei 5 anni precedenti o più di due volte in totale.
    In sostanza sono gli stessi criteri di meritevolezza già visti: la liquidazione non li richiede per aprirsi, ma li richiede per concedere l’esdebitazione alla fine. Se il debitore non li soddisfa, la liquidazione chiude senza esdebitazione e i debiti non pagati restano in capo al debitore (che sarà ancora perseguitabile dai creditori per le somme residue). Se invece, come accade nella maggior parte dei casi, il debitore persona fisica ha cooperato onestamente, allora l’esdebitazione viene concessa “di diritto” con decreto del giudice. L’esdebitazione non copre taluni debiti: analogamente a quanto detto per il piano, restano esclusi i debiti per obblighi alimentari, mantenimento, risarcimenti da illecito e sanzioni penali/amministrative pecuniarie. Quelli il debitore li dovrà comunque pagare in futuro (ma di solito sono una minoranza). Tutti gli altri, anche se soddisfatti parzialmente o per nulla, sono estinti: il debitore viene liberato e i creditori non possono più pretendere nulla oltre quanto eventualmente ricevuto in liquidazione.
  7. Conseguenze post-liquidazione: Il debitore persona fisica, durante i 3 anni della liquidazione, potrebbe avere alcune limitazioni (simili a quelle di un fallito, anche se il CCII non le esplicita in dettaglio per la liquidazione controllata): ad esempio l’iscrizione nel registro dei protesti e nella### Esdebitazione del debitore incapiente

Tra le novità più rilevanti introdotte dal Codice della Crisi vi è la procedura di esdebitazione del sovraindebitato incapiente (art. 283 CCII). Si tratta di uno strumento speciale pensato per i casi estremi in cui il debitore persona fisica si trova oberato dai debiti ma non possiede alcun bene né reddito aggredibile da offrire ai creditori, né attuale né prevedibilmente futuro, pur essendo altrimenti meritevole. In tali situazioni, l’ordinamento – recependo un principio di umanizzazione del fallimento e di second chance – consente al debitore di ottenere la cancellazione dei debiti (esdebitazione) senza dover dare alcun soddisfacimento ai creditori, ossia a “costo zero”. È dunque un meccanismo eccezionale di “fresh start immediato”, attivabile però solo una volta nella vita e con stringenti cautele.

Requisiti: Possono accedere all’esdebitazione incapiente solo i debitori persone fisiche (no società) che:

  • si trovino in conclamata incapienza, ovvero non siano in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, né diretta né indiretta, nemmeno in futuro, al netto di quanto serve per il proprio mantenimento minimo;
  • siano meritevoli (assenza di frode, malafede o colpa grave nella formazione dell’indebitamento);
  • non abbiano già ottenuto un’esdebitazione in precedenza (o al massimo una, dato che il beneficio è concesso una sola volta).

In pratica, è destinata al debitore nullatenente, privo di redditi pignorabili (disoccupato o con reddito pari solo al minimo vitale) e che non abbia colpe rilevanti nella sua insolvenza. Se c’è anche solo un piccolo margine di risorsa destinabile ai creditori, allora si dovrebbe semmai tentare un piano o una liquidazione; l’“incapienza” implica la totale assenza di capacità di pagamento.

Procedura: La persona fisica incapiente presenta un ricorso al Tribunale (con l’assistenza di un OCC) chiedendo l’esdebitazione. Deve allegare la documentazione economica e reddituale comprovante la sua assoluta incapienza (dichiarazioni dei redditi, estratti conto, stato di famiglia, ecc.) e indicare l’eventuale esistenza di atti di straordinaria amministrazione ultimi 5 anni. Il Tribunale, verificati i requisiti e sentiti eventualmente i creditori (che possono opporsi se ad esempio ritengono che il debitore non sia affatto incapiente o sia in malafede), emette un decreto di esdebitazione che dichiara inesigibili tutti i debiti del ricorrente anteriori a quella data. Con il decreto, il debitore viene liberato da tutte le obbligazioni pregresse (salvo quelle escluse per legge, v. sotto) e i creditori chirografari non possono più agire esecutivamente contro di lui.

Effetti e condizioni post-esdebitazione: Il beneficio concesso al debitore incapiente non è però incondizionato. La legge prevede una sorta di “condizione risolutiva” nei quattro anni successivi: se entro 4 anni dal decreto di esdebitazione il debitore ottiene sopravvenienze attive rilevanti, ha l’obbligo di pagare ai creditori soddisfatti col decreto (cioè i vecchi creditori ormai inesigibili) un importo tale da consentire loro di ricevere almeno il 10% di quanto era dovuto. In altre parole, se l’incapiente, divenuto libero dai debiti, ha la fortuna (o la capacità) di migliorare sensibilmente la propria situazione economica entro i quattro anni successivi, dovrà condividere parte di questo miglioramento con i suoi ex creditori fino a una misura minima del 10% dei vecchi debiti complessivi. Ad esempio: Tizio aveva 100.000€ di debiti ed è stato esdebitato in quanto incapiente. Se entro 4 anni ereditasse 50.000€, dovrebbe destinarne almeno 10.000 (cioè il 10%) ai vecchi creditori. Se ereditasse 200.000€ (quindi sufficiente a pagarli integralmente), in teoria dovrebbe pagare integralmente i 100.000€ (l’obbligo è di pagare il debito entro quattro anni, non solo il 10% in senso assoluto, ma almeno il 10%). La norma non è di chiarissima formulazione, ma si interpreta nel senso che l’esdebitazione viene mantenuta solo se il debitore non ottiene utilità tali da poter pagare almeno il 10%; se invece le ottiene, deve effettivamente attivarsi per pagare i creditori fino a concorrenza del debito (o comunque in misura non inferiore al 10%). In caso contrario, i creditori potrebbero probabilmente chiedere la revoca dell’esdebitazione.

Trascorsi i quattro anni, ogni miglioramento successivo della condizione economica sarà interamente a vantaggio del debitore, senza più obblighi verso i vecchi creditori (che a quel punto resteranno definitivamente insoddisfatti per la parte eccedente quanto eventualmente ricevuto).

Come le altre esdebitazioni, anche quella dell’incapiente non opera per alcuni debiti: restano comunque dovuti gli alimenti, le obbligazioni da risarcimento per fatti illeciti, e le sanzioni penali/amm.ve pecuniarie (non accessorie a debiti estinti). Ma tipicamente un debitore incapiente non ha nemmeno queste risorse.

Differenze rispetto alla liquidazione controllata: L’esdebitazione incapiente potrebbe apparire come “una liquidazione senza liquidazione”. In effetti, evita tutta la procedura concorsuale: nessun liquidatore, nessuna formazione del passivo, nessuna attesa di 3 anni. Il debitore viene liberato dai debiti subito. Tuttavia, a differenza della liquidazione:

  • Non c’è distribuzione di attivo (per definizione, non c’è attivo). I creditori restano completamente insoddisfatti (salvo eventuali sopravvenienze entro 4 anni come visto).
  • È un beneficio una tantum: il debitore incapiente può ottenerlo una volta sola. Ciò impedisce che soggetti sistematicamente irresponsabili scarichino i debiti a ripetizione.
  • Se emergesse che in realtà il debitore possedeva beni o redditi occultati (quindi non era realmente incapiente), si applicano severe sanzioni penali e la revoca del beneficio. Ad esempio, chi falsifica i documenti per apparire nullatenente, o chi nasconde di avere un secondo lavoro, commette reato (punito con reclusione fino a 2 anni e multa fino a €50.000). Tribunale di Torino in una recente pronuncia ha sottolineato che l’esdebitazione automatica va concessa solo dopo accurato vaglio di meritevolezza e di completa trasparenza del debitore.
  • Sul fronte pratico, la legge (come modificata dal correttivo 2024) ha introdotto un criterio oggettivo per definire l’incapienza: è considerato incapiente chi, al netto delle spese indispensabili di produzione del reddito e di mantenimento proprio e familiare, ha un reddito annuo non superiore a 1,5 volte l’assegno sociale per il corrispondente parametro familiare ISEE. Questo parametro si calcola aumentando l’assegno sociale (circa €538 al mese per il 2025) del 50% e moltiplicandolo per il coefficiente familiare. Ad esempio, per un single nel 2025: assegno sociale €7.003 annuo, aumentato della metà = €10.504. Se un debitore, tolte le spese minime vitali, ha un reddito inferiore a ~€10.500 annui, è considerabile incapiente ai sensi di legge. Un nucleo di 2 persone avrà soglia maggiore (scala equivalenza ISEE). Questo criterio oggettivo evita incertezze su chi possa dirsi incapiente. Vi è però un dibattito: il Tribunale di Rimini (6 febbraio 2025) ha adottato un’interpretazione letterale, affermando che anche chi ha un piccolo surplus di reddito entro tale soglia è comunque incapiente ed esdebitabile, dovendosi applicare rigorosamente il parametro numerico di legge. Il Tribunale di Ferrara (10 marzo 2025) ha invece sostenuto che occorre una valutazione caso per caso: se il debitore ha qualche eccedenza di reddito disponibile, per quanto modesta, dovrebbe prima destinarla ai creditori anziché ottenere subito l’esdebitazione, altrimenti si avvantaggerebbe indebitamente rispetto a chi, con pari eccedenze, è tenuto a fare un piano. Ferrara propone quindi un’interpretazione sistematica del parametro, per evitare esiti distorti (un debitore con €100 di surplus mensile potrebbe pagare qualcosa ai creditori in 4-5 anni). La questione è in evoluzione: la norma come corretta nel 2024 sembra propendere per un criterio oggettivo rigido (Rimini), ma la dottrina segnala il rischio di ingiustizie e alcuni giudici optano per un filtro di equità (Ferrara).

Esempio pratico: Paola, 35 anni, era garante di un prestito bancario di €30.000 per l’ex marito. Dopo il divorzio, l’ex marito è insolvente e Paola si ritrova esecutata per quel debito, ma lei ha un lavoro precario part-time da €600 al mese e vive in affitto, senza alcun patrimonio. Nemmeno pignorandole il quinto dello stipendio (120€ al mese) la banca riuscirebbe a recuperare granché, e Paola non ha prospettive di entrate maggiori a breve. Paola potrebbe chiedere l’esdebitazione da incapiente: reddito €600/mese (7.200 annui) inferiore alla soglia (~€10.500 per un single), nessun bene, debito estraneo a colpa sua. Il tribunale valuterebbe la sua condizione e, verificata l’assenza di elementi di malafede, potrebbe esdebitare i €30.000. Paola così sarebbe libera dal debito della banca e potrebbe cercare di ricostruire la propria vita. Se poi entro 4 anni Paola trovasse un lavoro stabile a 1.200€/mese, teoricamente non scatta obbligo (perché col nuovo stipendio netto ~€14.400 annui, dedotte le spese di sopravvivenza magari €9.000, residuo €5.400, comunque sotto la soglia? Questo dettaglio mostra complessità: nel calcolo considerare deduzioni di spese vive). Se invece Paola vincesse 50.000€ a una lotteria entro 2 anni, dovrebbe informare il tribunale e restituire almeno 10% ai creditori (cioè €3.000, anzi in tal caso ha liquidità per pagare ben oltre il 10%, dunque verosimilmente le imporrebbero di pagare l’intero debito originario €30.000 alla banca, revocando in parte l’esdebitazione). Insomma, il beneficio è accordato confidando nella reale indigenza: se questa viene meno in tempi brevi, i creditori hanno diritto a una partecipazione.

L’esdebitazione dell’incapiente è un istituto di clemenza sociale, volto a evitare che persone totalmente insolventi restino intrappolate a vita dai debiti senza via d’uscita. Dà concreta attuazione al principio che “non si può cavar sangue da una rapa”: se il debitore non ha nulla, è inutile (e anzi dispendioso) avviare procedure di recupero o liquidazione, meglio azzerare la situazione e permettergli di reinserirsi nell’economia legale (altrimenti resterebbe nel circuito sommerso per sfuggire ai creditori). Ovviamente, proprio perché drastica, questa soluzione è riservata a situazioni di vera disperazione finanziaria e il legislatore l’ha corredata di precauzioni (una sola volta, revocabile se miglior fortuna, sanzioni se frodi, ecc.) per scongiurare abusi e salvaguardare un minimo l’interesse dei creditori.

Come scegliere la procedura giusta?

Dopo aver esaminato in dettaglio i vari strumenti offerti dal Codice della Crisi per il sovraindebitamento, possiamo trarre alcune linee guida per individuare la procedura più adatta a seconda delle caratteristiche del debitore e della sua situazione debitoria. La scelta dipende principalmente da: natura del debitore (consumatore vs impresa/professionista), entità e tipo di patrimonio/reddito disponibile, obiettivi del debitore (continuare eventuale attività o meno), atteggiamento dei creditori e meritevolezza del debitore. Vediamo alcuni scenari tipici e consigli:

  • Sei un consumatore con qualche capacità di pagamento: ad esempio un privato con uno stipendio o altri redditi che permettono di rimborsare almeno in parte i debiti. Scelta consigliata: il Piano del Consumatore. Questo strumento è progettato su misura per te: non richiede il voto dei creditori, ti consente di ristrutturare i debiti secondo la tua reale capacità, magari dilazionando il pagamento su più anni e ottenendo lo stralcio di una parte. Conviene se hai un reddito stabile o qualche bene che vuoi preservare (es. la prima casa col mutuo). Con il piano puoi evitare di perdere beni fondamentali (continuando a pagare il mutuo, ad esempio) e ottenere l’esdebitazione del residuo a fine piano. Condizioni: devi essere stato corretto (niente truffe o spese folli volontarie) e non aver già usato la procedura recentemente. Vantaggi: mantieni il controllo del tuo patrimonio, nessun curatore prende possesso dei tuoi beni, niente asta giudiziaria, e i creditori non votano (il giudice decide). Svantaggi: dovrai destinare ai creditori tutto il tuo surplus di reddito per un periodo (tipicamente 4-5 anni), stringendo la cinghia, e rispettare rigorosamente il piano. Se il tuo reddito è sufficiente a pagare ad es. un 20-30%, il piano è la strada giusta e sarà probabilmente omologato, perché i creditori in liquidazione prenderebbero comunque poco.
  • Sei un consumatore completamente senza risorse: ad esempio hai perso il lavoro, non hai beni intestati, vivi magari di aiuti familiari o sei sotto la soglia di povertà. In questo caso un piano sarebbe impossibile da sostenere (non avresti nulla da offrire) e una liquidazione produrrebbe zero. Scelta consigliata: valutare l’Esdebitazione da incapiente. Se rientri nei parametri (nessun bene, reddito praticamente nullo se non per la sopravvivenza) e sei meritevole, potrai liberarti dei debiti immediatamente. Vantaggi: soluzione rapidissima, in pochi mesi ottieni il decreto che cancella i debiti e puoi ricominciare; eviti di trascinarti dietro pignoramenti su futuri stipendi quando (si spera) troverai un lavoro. Svantaggi: è “one shot” – poi per almeno 5 anni non potrai accedere ad altra esdebitazione se per sfortuna dovessi indebitarti di nuovo; inoltre, se entro 4 anni la tua situazione migliora sensibilmente, dovrai restituire almeno una parte ai creditori (quindi non è un regalo assoluto se la fortuna gira molto in fretta). In ogni caso, per un debitore totalmente incapiente questa è praticamente l’unica via logica: un piano sarebbe respinto perché non fattibile, una liquidazione sarebbe tempo perso. Meglio chiudere subito il capitolo debiti con questo istituto.
  • Sei un imprenditore o professionista sovraindebitato e vuoi salvare la tua attività: ad esempio un artigiano, un commerciante sotto soglia fallimento, un agricoltore. Hai un flusso di cassa e magari la tua azienda potrebbe risollevarsi se alleggerita dai debiti, e vuoi continuare a lavorare. Scelta consigliata: il Concordato Minore in continuità. Questa procedura ti consente di rinegoziare il debito con i creditori mantenendo aperta l’attività. Dovrai convincere la maggioranza dei creditori sulla bontà del piano (spesso mostrando un credibile piano industriale di rilancio, magari aiutato da un consulente). Se credi nella tua impresa e puoi generare utili futuri per pagare almeno in parte i creditori, il concordato minore è la strada giusta. Vantaggi: eviti la chiusura e liquidazione forzata, preservi l’avviamento e i beni aziendali necessari, puoi continuare a produrre reddito e, se il piano riesce, cancelli i debiti residui e l’azienda sopravvive ripulita. Inoltre, il Codice favorisce la tua posizione: non servono percentuali minime ai chirografari (puoi anche offrire il 10% se purtroppo è il massimo possibile, purché sia meglio del fallimento), e il giudice può omologare anche se il Fisco non vota, purché lo paghi almeno quanto ricaverebbe liquidandoti. Svantaggi: devi gestire una procedura più complessa, con commissario e omologazione, e soprattutto ottenere i voti dei creditori: se uno o due grossi creditori (es. una banca o l’Agenzia delle Entrate) detengono più del 50% dei crediti e sono contrari, il concordato non passerà (anche se il giudice può superare il dissenso per motivi di convenienza, serve comunque la maggioranza aritmetica dei crediti al voto). Quindi c’è un rischio di fallimento del tentativo. Inoltre dovrai probabilmente farti assistere da un avvocato e redigere un piano dettagliato, con costi e impegno. Ma se l’alternativa è la liquidazione dell’azienda (dove probabilmente i creditori non otterranno comunque molto e tu perderesti il lavoro), hai buoni argomenti per convincere anche loro a darti fiducia nel concordato.
  • Sei un imprenditore o professionista che ha cessato l’attività o intende farlo e non vede modo di pagare i debiti: ad esempio un piccolo imprenditore che ha chiuso bottega travolto dai debiti. In questo caso, se non vuoi o non puoi proseguire l’attività, il concordato minore in continuità non ha senso. Potresti pensare a un concordato minore liquidatorio, ma ricordiamo che la legge lo permette solo se apporti risorse esterne apprezzabili – in assenza di attività, devi “mettere sul piatto” qualcosa di extra (un aiuto di un familiare, la disponibilità di un terzo ad assumersi il debito, ecc.) per giustificare l’accordo. Se non hai tali risorse esterne, è improbabile che i creditori accettino un concordato liquidatorio perché sarebbe per loro più vantaggiosa una liquidazione concorsuale “classica” (dove hanno meno costrizioni). Scelta consigliata: la Liquidazione Controllata volontaria. Anche se può sembrare spiacevole “chiedere il proprio fallimento”, in realtà aprire tu stesso la liquidazione controllata ha due vantaggi: (1) anticipi l’inevitabile e mostri collaborazione (il che giova alla futura esdebitazione); (2) fissi subito il termine iniziale dei 3 anni per maturare la liberazione dai debiti. In pratica, invece di temporeggiare anni sotto assedio dei creditori, apri la liquidazione ora e metti sul tavolo i tuoi beni (se ne hai) per distribuirli. Dopo 3 anni, ipso iure avrai diritto all’esdebitazione (se meritevole), chiudendo per sempre il capitolo debiti. Vantaggi: è una procedura ordinata e garantita dal tribunale; blocca le azioni esecutive individuali e riunisce tutto in un unico contesto (stop a pignoramenti scoordinati); ti consente di uscire dai debiti residui dopo il periodo previsto. Inoltre, tu stesso potresti beneficiare di alcune esclusioni (piccola parte di reddito impignorabile ti rimane per vivere, beni di stretta necessità esclusi). Svantaggi: perdi il controllo del tuo patrimonio – un liquidatore venderà i beni (anche la casa se non è protetta) – e per 3 anni eventuali tuoi guadagni extra andranno comunque ai creditori; è di fatto equiparabile a un “fallimento personale” in termini di pubblicità. Ma se comunque la tua attività è ferma e non hai alternative di risanamento, affrontare la liquidazione ti conduce più rapidamente alla riabilitazione economica. Al termine, potrai ricominciare senza debiti (salvo eccezioni tipo debiti alimentari). Se invece cercassi un concordato minore liquidatorio senza risorse esterne, probabilmente verrebbe respinto o non approvato dai creditori, facendoti solo perdere tempo per poi finire comunque in liquidazione.
  • Non sei sicuro se qualificarti come consumatore o piccolo imprenditore? Può capitare che una persona fisica abbia debiti misti, in parte personali e in parte legati a una piccola attività cessata. Ad esempio un ex imprenditore edile con debiti verso fornitori e anche debiti personali. In questi casi borderline, la distinzione consumer vs non consumer va fatta in base alla natura prevalente dei debiti. Se la parte preponderante (anche più del 50%) dei tuoi debiti deriva dall’attività imprenditoriale, i tribunali tendono a escludere il piano del consumatore e a richiedere il concordato minore. Se invece i debiti d’impresa sono marginali rispetto al totale e tu ormai sei un privato, potresti rientrare come consumatore (questo punto è stato oggetto di discussione, ma il correttivo 2024 ha chiarito che conta la natura delle obbligazioni). Quindi, valuta bene con l’OCC: se hai anche un solo debitore “professionale” significativo (es. debiti IVA per la tua ex ditta individuale), per sicurezza prepara un concordato minore. La procedura familiare può aiutare se, ad esempio, moglie e marito hanno debiti promiscui: in un unico procedimento si può gestire il tutto, applicando la disciplina del concordato minore se almeno uno dei due ha debiti da impresa.
  • Il debitore è deceduto o incapace: Una nota finale, in casi particolari anche gli eredi di un debitore defunto o gli eventuali tutori di un debitore incapace possono attivare procedure di sovraindebitamento per sistemare la massa debitoria (ad es. eredi che vogliono liquidare l’eredità accettata beneficiando dell’esdebitazione). La scelta dipenderà sempre dalla presenza di attivo da liquidare o meno.

In sintesi, il criterio fondamentale è: se hai prospettive di pagamento (parziali) -> scegli una procedura di ristrutturazione (piano del consumatore se non hai partita IVA, concordato minore se sei/eri imprenditore); se non hai alcuna prospettiva di pagamento -> procedura liquidatoria o esdebitazione incapiente a seconda che tu abbia beni da liquidare o proprio nulla. La meritevolezza e il tipo di debiti indirizzano ulteriormente: consumatore meritevole = piano; consumatore non meritevole (ma comunque qualcosa da dare) = difficoltà, forse solo liquidazione ma senza esdebitazione; imprenditore in attività = concordato; ex imprenditore senza beni = liquidazione o incapiente.

Per aiutare a visualizzare le differenze chiave, riportiamo una tabella comparativa delle quattro procedure principali (escludendo la familiare che è trasversale):

ProceduraDestinatari (soggetti)Necessità di accordo creditori?Durata indicativaEsdebitazione (liberazione debiti)
Piano del consumatore (ristrutturazione)Consumatori (persone fisiche con debiti personali); meritevoli; no esdebitaz. nei 5 anniNo (omologazione giudiziale senza voto)Variabile secondo il piano (spesso 4–5 anni di pagamenti)Consegue subito all’omologa (definitiva a fine esecuzione; revocabile se inadempimento)
Concordato minore (ristrutturazione)Debitori non fallibili non consumatori (piccoli imprenditori, professionisti, start-up, agricoltori); meritevoli; no esdeb. recente, serve approvazione creditori (maggioranza per valore)~6 mesi – 1 anno per omologa + esecuzione piano (3–5 anni se in continuità)Consegue con l’omologa, vincolata all’esecuzione del piano (revocabile se risoluzione)
Liquidazione controllata (liquidatoria)Qualsiasi debitore sovraindebitato (consumatore o no), anche non meritevole (ma allora niente esdeb. finale)No (procedura concorsuale giudiziale, nomina liquidatore)~3 anni (periodo minimo previsto); la procedura può protrarsi qualche mese oltre per chiusura formale, di diritto dopo chiusura o dopo 3 anni (se debitore meritevole) – cancella i debiti residui non pagati; se non meritevole, niente esdebitazione
Esdebitazione incapiente (speciale)Persona fisica del tutto priva di beni e redditi pignorabili; meritevole; una volta solaNo (decisione giudice su ricorso, creditori solo informati)Breve (pochi mesi per ottenere il decreto), immediata col decreto – debiti cancellati subito; condizione: se entro 4 anni il debitore ottiene utilità rilevanti, deve pagare ai creditori almeno il 10%

(N.B.: in tutte le procedure le obbligazioni per mantenimenti, risarcimenti da illecito e sanzioni penali/amministr. pecuniarie restano comunque dovute dal debitore e non si cancellano.)

Come si evince dalla tabella, le procedure di ristrutturazione (piano e concordato) puntano a un pagamento parziale/dilazionato dei debiti in base alle possibilità del debitore, evitando la liquidazione integrale dei beni; quelle liquidatorie (liquidazione controllata e esdebitazione incapiente) intervengono quando non vi è margine per ristrutturare – nel primo caso realizzando i beni disponibili, nel secondo caso constatando l’assenza di beni. La famiglia di appartenenza del debitore (consumatore vs imprenditore) determina quale ristrutturazione è accessibile, mentre la presenza o meno di attivo determina se ha senso scegliere la liquidazione o addirittura l’incapiente.

In pratica:

  • Se sei consumatore e puoi pagare qualcosa, farai quasi sempre il piano del consumatore. Se non puoi pagare nulla e non hai nulla, tenterai l’esdebitazione incapiente. Se non puoi pagare molto ma hai qualche bene, probabilmente dovrai accettare la liquidazione controllata (perché incapiente puro non sei, ma un piano non reggeresti).
  • Se sei imprenditore/professionista e vuoi continuare l’attività o puoi offrire un accordo, tenterai il concordato minore. Se hai beni ma l’azienda è chiusa o i creditori non collaborano, finirai in liquidazione controllata. Se non hai proprio nulla da liquidare (evento raro per un ex imprenditore, ma possibile se hai già perso tutto), potresti accedere come persona fisica incapiente all’esdebitazione (purché i debiti siano tuoi personali e non anche della tua società fallita, ad esempio).
  • Meritevolezza vs colpa: se emergono profili di frode o dolo, qualunque procedura di composizione (piano/concordato) ti sarà preclusa dal giudice, e dovrai passare per forza dalla liquidazione controllata (dove però perderai il beneficio dell’esdebitazione finale come sanzione). Quindi un debitore che abbia commesso atti in frode ai creditori non ha scelta: verrà liquidato e i suoi debiti (o parte) resteranno anche dopo. Inutile tentare piani che sarebbero bocciati per mancanza di buona fede. In casi dubbi (ad es. uso imprudente del credito), la riforma ha abbassato l’asticella di ammissibilità: oggi si tende a considerare meritevoli tutti salvo condotte davvero gravi. Dunque, non scoraggiarti dal proporre un piano solo perché “mi sono indebitato troppo con leggerezza”: quel che conta è che non tu abbia agito con intento fraudolento. Ad esempio, contrarre un debito sperando di poterlo pagare ma rivelatosi poi impossibile non ti preclude la procedura, purché non fosse chiaramente una truffa fin dall’inizio.

In conclusione, scegli la procedura tenendo conto di chi sei e cosa puoi mettere sul tavolo:

  • Piano del consumatore se sei un privato con entrate sacrificabili (ti compri pace dei creditori pagando quanto riesci, con l’aiuto del giudice).
  • Concordato minore se sei un piccolo imprenditore/professionista che può dare valore ai creditori attraverso la prosecuzione o un accordo strutturato (ti serve il consenso di metà dei crediti).
  • Liquidazione controllata se devi arrenderti a liquidare i tuoi beni (volontariamente o perché te lo chiedono i creditori), come via per poi ripulirti dai debiti residui.
  • Esdebitazione incapiente se davvero non hai nulla da perdere (se non l’onta di ammettere il fallimento personale, per poi però ottenere clemenza completa).

Qualunque strada intrapresa, è fondamentale farsi assistere da un buon Organismo di Composizione della Crisi e, ove richiesto, da un professionista legale esperto in crisi da sovraindebitamento. La materia è tecnica e il successo dipende dalla corretta predisposizione del piano o dall’ordinata gestione della procedura. Inoltre, l’andamento delle procedure presso i tribunali può avere particolarità (ad esempio, alcuni tribunali sono più rigorosi nel valutare la meritevolezza, altri incoraggiano l’utilizzo dell’incapienza in situazioni borderline). Tenersi aggiornati sulle prassi locali e sulla giurisprudenza più recente (come quella citata in questa guida) è perciò importante: ad esempio, sapere che la Cassazione ha permesso moratorie ultrannuali ai creditori ipotecari può incoraggiarti a proporre un piano sostenibile per salvare la casa; conoscere il dibattito sull’incapiente ti chiarirà se puoi percorrere quella via.

Fonti

  • Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14) – Artt. 2 (definizioni di consumatore, imprenditore minore, etc.), 65-83 (procedure di ristrutturazione debiti del consumatore e concordato minore), 268-277 (liquidazione controllata), 282-283 (esdebitazione). Incluso modifiche D.Lgs. 17 giugno 2022 n. 83 e D.Lgs. 13 settembre 2024 n. 136 (c.d. correttivo “Ter”).
  • Legge 27 gennaio 2012 n. 3 (vecchia legge sul sovraindebitamento) – Articoli richiamati in giurisprudenza per principi generali (es. art. 8 co.4 L.3/2012 in tema di moratoria privilegiati). (Norma abrogata dal 15/7/2022, ma rilevante per fatti anteriori).
  • Legge 18 dicembre 2020 n. 176 – Riforma della L.3/2012 pre-Codice: ha introdotto la figura del debitore “meritevole” vs “colpa grave, malafede o frode”, base dell’attuale art. 69 CCII).
  • Cass. civ. Sez. I, 23 dicembre 2024, n. 34150 – In tema di sovraindebitamento, ha stabilito che il piano del consumatore può prevedere la dilazione di pagamento dei crediti privilegiati anche oltre un anno, purché ai creditori sia data possibilità di esprimersi e la dilazione incida solo sulla convenienza (nessuna preclusione ex art. 8 L.3/2012).
  • Cass. civ. Sez. I, ord. 27 novembre 2024, n. 30529 – Ha chiarito che le contestazioni sui requisiti di ammissibilità di un procedimento di sovraindebitamento (nella specie accordo ex L.3/2012) vanno proposte immediatamente in sede di reclamo contro il decreto di apertura.
  • Cass. civ. Sez. I, 6 novembre 2023, n. 30814 – Massima: “In tema di accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento… ogni contestazione relativa ai presupposti di ammissibilità… va proposta in sede di impugnazione del decreto che decide sull’ammissibilità… e non in sede di omologazione).
  • Cass. civ. Sez. I, 14 febbraio 2023, n. 4613 – In materia di accordo ex L.3/2012, ha affermato principi sul soddisfacimento dei creditori ipotecari (necessità di garantire almeno il valore di realizzo del bene dato in garanzia).
  • Cass. civ. Sez. I, 10 marzo 2022, n. 065 (Corte Costituzionale) – Ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità dell’art. 8 co.1-bis L.3/2012 (falcidia IVA) in relazione ai principi euro-unitari. Riferimento alla possibilità di trattamento dei debiti IVA nei piani del consumatore.
  • Cass. civ. Sez. I, 27 luglio 2023, n. 22890 – Ha rimesso al Tribunale (Nola) la valutazione del piano del consumatore alla luce dei nuovi criteri di meritevolezza ex L.176/2020, superando il vecchio concetto di “mero indebitamento imprudente” come causa di rigetto.
  • Cass. civ. Sez. I, 26 settembre 2022, n. 28013 – Ha negato l’omologazione di un piano del consumatore con percentuale di soddisfazione dei chirografari ritenuta “esigua” (circa 1%), affermando che il giudice può valutare anche l’adeguatezza quantitativa dell’offerta ai creditori chirografari in termini di meritevolezza (oltre alla convenienza rispetto alla liquidazione).
  • Tribunale di Avellino, 25 gennaio 2023 – In tema di moratoria nel piano del consumatore: ha accordato una dilazione pluriennale ai creditori ipotecari poi avallata dalla Cass. 34150/2024. V. anche Cass. 34150/24.
  • Tribunale di Milano, 12 gennaio 2023 – Ha ritenuto ammissibile l’apertura di una liquidazione controllata anche in carenza di beni o redditi futuri del debitore (liquidazione “teoricamente incapiente”), in quanto comunque utile ai fini dell’esdebitazione a fine triennio.
  • Tribunale di Bologna, 29 settembre 2022 e Tribunale di Padova, 20 ottobre 2022 – Hanno affrontato il tema della durata della liquidazione controllata ed effetti esdebitatori, confermando che i beni sopravvenuti entro 3 anni dall’apertura rientrano nell’attivo e che l’esdebitazione può essere concessa decorsi i 3 anni (casi in cui la procedura era ancora aperta).
  • Tribunale di Ferrara, 7 marzo 2023 (decr.) – Ha concesso l’esdebitazione dell’incapiente a un debitore pur possessore di un’autovettura di modesto valore, ritenendo che un bene di uso quotidiano necessario non impedisce lo stato di incapienza sostanziale.
  • Tribunale di Ferrara, 10 marzo 2025, est. Ghedini – Ha interpretato in senso sistematico il criterio di incapienza ex art. 283 co.2 CCII, sostenendo che il giudice deve valutare caso per caso le eventuali eccedenze di reddito: un debitore che abbia pur minimo reddito disponibile destinabile ai creditori non dovrebbe essere dichiarato incapiente se ciò porta a risultati distorti, benché rientri formalmente nei parametri.
  • Tribunale di Rimini, 6 febbraio 2025, pres. Miconi – Ha applicato letteralmente il nuovo art. 283 co.2 CCII come modificato dal correttivo 2024, affermando che è da considerarsi incapiente (e quindi esdebitabile) anche il debitore che abbia un’eccedenza di reddito, purché contenuta entro il limite quantitativo fissato (assegno sociale ×1,5× parametro familiare). Ha ritenuto il tenore della norma “inequivocabile” in tal senso).
  • Società per la gestione OCC Brescia – Dispensa informativa maggio 2023 – “Procedure di composizione della crisi nel CCII, con quadro riassuntivo di ristrutturazione consumatore, concordato minore e liquidazione controllata, inclusi requisiti e cause ostativa.”
  • Camera di Commercio Frosinone-Latina – Guida OCC sulle diverse procedure (agg. 2025) – Sito OCC camerale con spiegazioni semplici su piano di ristrutturazione del consumatore, concordato minore, liquidazione controllata ed esdebitazione incapiente (inclusa procedura familiare).

Procedura di Sovraindebitamento: Perché Affidarsi a Studio Monardo

Hai accumulato troppi debiti e non riesci più a pagarli? Ti stanno pignorando il conto, lo stipendio o minacciano di vendere la tua casa? Se non sei fallibile e ti trovi in una situazione di crisi economica personale o professionale, oggi puoi avviare la procedura di sovraindebitamento.

Si tratta di una procedura giudiziale prevista dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019) che consente di bloccare i creditori, ridurre o cancellare i debiti e ottenere l’esdebitazione, anche se non hai nulla da offrire.

Affidarsi all’Avvocato Giuseppe Monardo significa farsi seguire da un professionista abilitato che presenta la domanda in Tribunale, gestisce i rapporti con l’OCC e difende i tuoi diritti in ogni fase della procedura.

Cosa fa per te l’Avvocato Monardo

  • Analizza la tua situazione debitoria e patrimoniale
  • Verifica i requisiti per accedere alla procedura
  • Predispone e presenta la domanda di sovraindebitamento in Tribunale
  • Si interfaccia con l’Organismo di Composizione della Crisi (OCC)
  • Cura tutta la documentazione legale, fiscale e reddituale
  • Ti assiste nelle udienze fino all’omologazione del piano
  • Ottiene per te il provvedimento finale di esdebitazione

Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

L’Avvocato Monardo è:

  • Gestore della Crisi da Sovraindebitamento, iscritto presso il Ministero della Giustizia
  • Fiduciario di un Organismo di Composizione della Crisi (OCC)
  • Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa, abilitato secondo il D.L. 118/2021
  • Coordinatore di una rete nazionale di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario, tributario ed esecutivo

Grazie a queste qualifiche, può attivare e seguire personalmente ogni fase della procedura, fino alla completa cancellazione dei debiti.

Perché agire ora

  • Perché ogni giorno aumenti il rischio di pignoramenti
  • Perché senza domanda formale, i creditori non si fermano
  • Perché puoi perdere il diritto all’esdebitazione se agisci tardi o in modo scorretto
  • Perché il giudice valuta anche la tua tempestività e buona fede

Con l’Avvocato Monardo, puoi difenderti, riprendere il controllo e tornare a vivere senza debiti.

Conclusione

La procedura di sovraindebitamento è la via legale per cancellare i debiti e chiudere con il passato, anche se non hai nulla.
Affidarsi all’Avvocato Giuseppe Monardo significa essere accompagnato passo dopo passo da un professionista abilitato, competente e attivo su tutto il territorio nazionale, capace di ottenere per te l’esdebitazione e una nuova vita libera dai debiti.

Qui di seguito tutti i contatti per richiedere una consulenza dedicata al nostro Studio Legale specializzato in procedure di sovraindebitamento:

Leggi con attenzione: Se stai affrontando difficoltà con il Fisco e hai bisogno di una rapida valutazione delle tue cartelle esattoriali e dei debiti, non esitare a contattarci. Siamo pronti ad aiutarti immediatamente! Scrivici su WhatsApp al numero 351.3169721 oppure inviaci un’e-mail all’indirizzo info@fattirimborsare.com. Ti ricontatteremo entro un’ora per offrirti supporto immediato.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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