Concordato Preventivo in Continuità: Come Funziona

Come funziona il concordato preventivo in continuità?

Scoprilo adesso nel dettaglio con la guida di Studio Monardo, gli avvocati specializzati in crisi d’impresa e concordato preventivo in continuità.

Alla fine della guida poi, potrai trovare tutti i nostri riferimenti per richiedere una consulenza personalizzata:

Introduzione:

Il concordato preventivo in continuità aziendale è uno strumento legale di risanamento previsto dall’ordinamento italiano, attraverso cui un imprenditore in difficoltà economica (in stato di crisi o di insolvenza) può evitare la liquidazione fallimentare continuando, in qualche forma, l’attività d’impresa. In sostanza, l’imprenditore propone ai creditori un piano per il risanamento dell’azienda e il pagamento, anche parziale e dilazionato, dei debiti, assicurando comunque ai creditori una soddisfazione non inferiore a quella che otterrebbero dalla liquidazione fallimentare del patrimonio. La peculiarità del concordato “in continuità” rispetto al concordato liquidatorio è che il piano prevede la prosecuzione dell’attività, in modo da generare valore e risorse per soddisfare i crediti.

Le finalità di questo istituto sono duplici: da un lato salvaguardare la continuità aziendale, preservando il valore dell’impresa come “operatività in funzionamento” (going concern) e tutelando per quanto possibile i posti di lavoro; dall’altro assicurare ai creditori il miglior soddisfacimento possibile, almeno pari a quello ottenibile da una liquidazione giudiziale (il nuovo termine per il fallimento). Il legislatore considera la continuità aziendale un valore da perseguire perché generalmente consente di massimizzare il valore di realizzo (rispetto alla mera vendita frammentata dei beni) e di mantenere attive le fonti di reddito (l’azienda), a beneficio anche dei creditori nel medio termine.

Questa guida completa, aggiornata ad aprile 2025, esamina in dettaglio il concordato preventivo in continuità aziendale, con un linguaggio accessibile sia a professionisti del settore (avvocati, commercialisti, consulenti aziendali) sia a imprenditori non specialisti. Verranno trattati tutti gli aspetti rilevanti: la normativa vigente e la sua evoluzione, i requisiti per accedere alla procedura, le fasi del procedimento (dalla presentazione del ricorso all’omologazione del concordato), le differenze rispetto al concordato liquidatorio tradizionale e i vantaggi/rischi per l’imprenditore, gli effetti sui creditori, gli aspetti fiscali e contabili, le più recenti novità normative (fino al D.Lgs. 136/2024 e altre riforme attuate entro aprile 2025), la giurisprudenza più significativa in materia, il ruolo dei vari soggetti coinvolti (commissario giudiziale, attestatori, esperti, ecc.), il nuovo istituto del concordato semplificato e le più recenti tendenze interpretative, nonché alcuni casi pratici, criticità ricorrenti e strategie operative per massimizzare le chance di successo di un concordato in continuità.

Evoluzione normativa in sintesi

Per contestualizzare, ricordiamo brevemente l’evoluzione normativa: il concordato preventivo è disciplinato storicamente dalla Legge Fallimentare (R.D. 16 marzo 1942 n. 267). Nel 2005-2006 una riforma ne ha modernizzato la struttura, trasformandolo in uno strumento concordatario proposto dall’imprenditore stesso, eliminando l’originaria richiesta di un pagamento minimo del 40% per i chirografari (allora vigente) e introducendo la figura dell’attestatore indipendente. Successivamente, il Decreto Sviluppo 2012 (D.L. 83/2012 conv. in L. 134/2012) ha introdotto la nozione di “concordato con continuità aziendale” aggiungendo l’art. 186-bis alla Legge Fallimentare, con norme specifiche volte a facilitare i concordati di ristrutturazione (per esempio, possibilità di pagare in prededuzione i fornitori strategici, tutela dei contratti pendenti, ecc.).

Nel 2019, in attuazione della legge delega 155/2017, è stato varato il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019), che avrebbe dovuto sostituire integralmente la legge fallimentare introducendo un sistema organico di gestione della crisi. L’entrata in vigore del Codice è però slittata più volte: prima al 2020, poi al 2021, infine al 15 luglio 2022, anche per consentire l’adeguamento alle novità introdotte nel frattempo e all’attuazione della direttiva UE 2019/1023 (c.d. “Direttiva Insolvency”). Nel frattempo, con il D.L. 118/2021 (convertito con modifiche dalla L. 147/2021) sono stati introdotti nuovi strumenti come la composizione negoziata della crisi e il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, oltre a posticipare l’allerta e apportare modifiche transitorie.

Con l’effettiva entrata in vigore del Codice della crisi a luglio 2022, il concordato preventivo è ora disciplinato dagli artt. 84 e seguenti D.Lgs. 14/2019 (come modificati dai successivi decreti correttivi). Un primo decreto correttivo (D.Lgs. 83/2022) è intervenuto poco prima dell’entrata in vigore, recependo in parte la direttiva europea e integrando nel Codice alcune misure del D.L. 118/2021. Più di recente, un ulteriore decreto correttivo ter (D.Lgs. 13 settembre 2024 n. 136, in vigore da fine 2024) ha apportato modifiche sostanziali per chiarire dubbi interpretativi emersi nella prima applicazione del Codice e introdurre alcune novità attese dagli operatori. Oggi dunque la disciplina del concordato in continuità si rinviene principalmente nel Codice della crisi d’impresa vigente (d’ora in poi “CCII” per brevità), integrato dalle interpretazioni giurisprudenziali di Cassazione e merito che hanno chiarito vari concetti.

Nei paragrafi seguenti affronteremo in modo sistematico tutti gli aspetti promessi, con riferimenti sia normativi sia pratici. Una tabella riepilogativa metterà a confronto il concordato in continuità con il concordato meramente liquidatorio. In fondo troverete una sezione con l’elenco delle fonti normative, dottrinali e giurisprudenziali citate.

Inquadramento Normativo e Finalità del Concordato in Continuità

Dal punto di vista normativo, il concordato preventivo in continuità aziendale è oggi regolato principalmente dall’art. 84 del Codice della crisi (D.Lgs. 14/2019) e seguenti. Il comma 1 dell’art. 84 CCII enuncia la finalità generale del concordato preventivo: esso deve assicurare il soddisfacimento dei creditori “in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione giudiziale” (cioè fallimento) mediante qualsiasi forma, che può essere continuità aziendale, liquidazione del patrimonio, intervento di un assuntore o altra soluzione. In altre parole, qualunque sia la struttura del piano proposto, esso non deve pregiudicare i creditori rispetto all’alternativa liquidatoria. Questo principio è noto come “best interest test” o criterio del miglior soddisfacimento.

Il comma 2 dell’art. 84 CCII pone l’accento sulla continuità aziendale come modalità realizzativa: evidenzia che la continuità tutela l’interesse dei creditori (perché mantiene in vita fonti di ricavo) e preserva, per quanto possibile, i posti di lavoro. La continuità può essere:

  • Diretta: prosecuzione dell’attività da parte dello stesso imprenditore debitore nell’ambito del concordato;
  • Indiretta: trasferimento dell’azienda (o di rami d’azienda) ad un soggetto diverso (ad esempio mediante cessione, conferimento in una newco, affitto d’azienda in funzione del concordato, ecc.) che ne prosegua l’esercizio.

In entrambi i casi, l’azienda rimane in esercizio, evitando l’interruzione dell’attività. Ciò contrasta con il concordato “liquidatorio puro”, in cui l’azienda cesserebbe di operare e verrebbe smembrata per la vendita dei beni.

Definizione di concordato in continuità aziendale

Ma quando un concordato si può definire “in continuità aziendale”? La normativa originaria (art. 186-bis l.fall. introdotto nel 2012) richiedeva che i creditori venissero soddisfatti in misura prevalente dai proventi generati dalla continuità aziendale. Questa definizione ha dato adito a dibattiti su cosa significhi “misura prevalente”. L’attuale Codice, modificato nel 2022, ha adottato una formulazione più flessibile: “Nel concordato in continuità aziendale i creditori vengono soddisfatti in misura anche non prevalente dal ricavato prodotto dalla continuità aziendale diretta o indiretta”. Ciò significa che è sufficiente una componente significativa, anche non maggioritaria, di ricavi da prosecuzione dell’attività affinché il piano rientri nella categoria del concordato in continuità.

Questa apertura consente piani misti in cui, ad esempio, l’azienda prosegue ma contestualmente si liquidano alcuni cespiti non funzionali. La giurisprudenza ha confermato un’interpretazione ampia: la Corte di Cassazione (sent. n. 17092/2023) ha affermato che il concordato può qualificarsi “in continuità aziendale” ogniqualvolta alla liquidazione atomistica di parte dei beni si accompagni una componente, anche di qualsiasi entità, di prosecuzione dell’attività d’impresa, sia nella fase di concordato sia nell’eventuale cessione successiva dell’azienda, a meno che vi sia un abuso dello strumento. Non rileva, a tal fine, se una parte dell’attività produttiva venga ridimensionata o modificata: anche un’attività ridotta o diversa purché vi sia prosecuzione, basta a configurare la continuità. Dunque, qualunque concordato in cui l’azienda non si ferma ma continua (integralmente o parzialmente) è un concordato in continuità, con l’applicazione delle relative regole, anziché un concordato meramente liquidatorio.

Le finalità del concordato in continuità sono chiare: realizzare un risanamento dell’impresa (quando possibile) e assicurare ai creditori una soddisfazione attraverso la redditività futura dell’azienda, superiore a quanto avrebbero ricavato dalla sua immediata liquidazione. L’obiettivo ultimo è evitare la dispersione del valore aziendale (know-how, avviamento, rete commerciale, posti di lavoro) che normalmente si verifica in caso di fallimento, a beneficio sia dell’imprenditore che del ceto creditorio e, in senso lato, dell’economia (il legislatore infatti considera la prosecuzione delle attività economiche come interesse meritevole di tutela pubblica).

Va precisato che il concordato in continuità non garantisce il pagamento integrale dei debiti (anzi, spesso comporta falcidie significative), ma garantisce che i creditori riceveranno almeno ciò che otterrebbero dalla liquidazione del patrimonio del debitore. Questo concetto – ribadito anche dal nuovo art. 84 CCII comma 1 – implica che un perito indipendente dovrà stimare il valore di liquidazione dell’impresa (quanto si ricaverebbe vendendo tutto in uno scenario di liquidazione fallimentare) e confrontarlo con quanto promesso dal piano concordatario: il piano deve risultare almeno pari (e in genere superiore, altrimenti i creditori non avrebbero motivo di approvarlo). Se il piano è manifestamente inadeguato a soddisfare i creditori in tal senso, la domanda di concordato verrà dichiarata inammissibile dal Tribunale. Tale controllo, che esamineremo più avanti, è una prima garanzia per i creditori.

Norme di riferimento principali

Nel Codice della Crisi d’Impresa vigente (CCII), oltre all’art. 84 che definisce finalità e tipologie (continuità vs liquidazione), le disposizioni rilevanti includono:

  • Art. 85 CCII: disciplina la formazione delle classi di creditori (come vedremo, rende obbligatoria la suddivisione in classi nel concordato in continuità).
  • Art. 86 CCII: prevede la possibile moratoria (dilazione) per il pagamento dei creditori privilegiati; nel concordato in continuità aggiornato, è ammessa una moratoria anche superiore ad un anno per i creditori con garanzie reali, purché i loro beni non siano liquidati, e fino a 6 mesi dall’omologazione per i crediti prededucibili dei lavoratori (stipendi).
  • Art. 87 CCII: specifica il contenuto del piano concordatario – ad esempio, l’obbligo di indicare analiticamente tempi e modalità di adempimento, effetti sul piano finanziario, ecc.. La riforma del 2024 ha ridefinito la nozione di valore di liquidazione in questo articolo, includendovi anche il valore recuperabile tramite l’eventuale cessione dell’azienda in esercizio (cioè se l’azienda venisse venduta intera in fallimento).
  • Art. 88 CCII: regola la transazione fiscale e contributiva, ossia il trattamento dei debiti tributari e previdenziali nel concordato (questo articolo consente, a certe condizioni, di falcidiare IVA e altri tributi un tempo intoccabili, e contiene una disciplina speciale per l’adesione o il cram down dell’Erario, come vedremo negli Aspetti Fiscali).
  • Art. 94-bis CCII: (introdotto nel Codice) tutela i contratti pendenti nel concordato in continuità: i creditori non possono rifiutare la prestazione o risolvere anticipatamente i contratti in corso, né modificarli in danno del debitore, a causa del concordato. Sono quindi nulli i patti di ipso facto (clausole che prevedono la risoluzione automatica del contratto per l’apertura di una procedura concorsuale). Questa norma è cruciale per consentire la prosecuzione operativa dell’impresa durante la procedura, mantenendo forniture e rapporti commerciali.
  • Art. 95 CCII: disciplina la gestione dell’impresa durante il concordato (atti di ordinaria vs straordinaria amministrazione, autorizzazioni, ecc.). In continuità, l’imprenditore rimane normalmente alla guida ma sotto la vigilanza del commissario giudiziale e del tribunale per gli atti più importanti.
  • Artt. 100-102 CCII: concernono i finanziamenti nell’ambito del piano (ad es., la finanza interinale o nuova finanza che può affluire e godere di prededuzione, ossia priorità di rimborso, se autorizzata dal giudice e ritenuta funzionale alla continuità). Ciò incentiva banche o investitori a finanziare l’impresa in crisi durante il concordato, sapendo che quei crediti verranno pagati prima degli altri (anche in caso di successivo fallimento).
  • Art. 112 CCII: regola l’omologazione del concordato e – dopo il correttivo 2024 – contiene le condizioni per l’omologazione forzata (cram down) del concordato in continuità in caso di dissenso di classi di creditori (ne parleremo nel dettaglio più avanti).

In aggiunta al Codice, restano applicabili alcune norme del Codice Civile (ad es. in tema di contratti, come l’art. 2116 c.c. sulla tutela dei lavoratori per retribuzioni e contributi, espressamente richiamato per il concordato) e le norme penali che sanzionano eventuali reati fallimentari (false attestazioni, frodi ai creditori, bancarotta preferenziale, ecc.) se commessi nel contesto di un concordato preventivo. Inoltre, per le procedure avviate prima di luglio 2022, vige ancora la disciplina previgente della Legge Fallimentare (con l’art. 186-bis l.fall.), ma qui ci concentreremo sulla disciplina attuale del CCII.

Riassumendo, il quadro normativo attuale sostiene la continuità aziendale come mezzo di regolazione della crisi d’impresa, integrandolo con varie tutele per creditori e controparti contrattuali, e con verifiche di fattibilità e convenienza economica. Questa impostazione è in linea con la tendenza internazionale (europea) a privilegiare le soluzioni di restructuring rispetto alla liquidazione, quando possibile, nell’interesse sia dei debitori sia dei creditori. Nei prossimi capitoli entreremo nel vivo dei requisiti per l’accesso al concordato in continuità, della procedura passo-passo e degli effetti per le parti coinvolte.

Requisiti Soggettivi e Oggettivi per l’Accesso

Per poter accedere al concordato preventivo in continuità, l’impresa deve soddisfare determinati requisiti, sia soggettivi (relativi alla qualifica dell’imprenditore) sia oggettivi (relativi allo stato di crisi e alle condizioni economiche). Vediamoli nel dettaglio.

Requisiti soggettivi

La facoltà di proporre concordato preventivo (in qualsiasi forma, quindi anche in continuità) è riservata agli imprenditori commerciali assoggettabili a fallimento (ora liquidazione giudiziale). In base all’art. 121 CCII, sono esclusi gli imprenditori commerciali che dimostrino di essere “sotto soglia”, ovvero di dimensioni molto piccole. Si tratta in sostanza della riproposizione delle soglie di fallibilità previste dall’art. 1 della vecchia legge fallimentare: restano esonerati dall’accesso alle procedure concorsuali gli imprenditori (ad esempio ditte individuali o piccole società) che non superano congiuntamente questi parametri:

  • Attivo patrimoniale annuo medio negli ultimi 3 esercizi non superiore a €300.000;
  • Ricavi lordi annui medi negli ultimi 3 esercizi non superiori a €200.000;
  • Debiti totali non superiori a €500.000, anche non scaduti.

Chi rientra in tutte queste soglie è considerato “piccolo imprenditore” non fallibile (e per le sue crisi esistono le procedure di sovraindebitamento, ora “concordato minore” nel CCII). Invece, le società commerciali di capitali e altre imprese sopra soglia rientrano tra i soggetti che possono accedere al concordato preventivo. Sono inoltre escluse le imprese agricole in quanto per loro il fallimento non si applica (salvo che abbiano anche attività commerciale prevalente). In pratica, possono presentare concordato preventivo in continuità le stesse categorie di soggetti che potrebbero essere dichiarati falliti (ora sottoposti a liquidazione giudiziale): società per azioni, srl, società di persone commerciali, imprenditori individuali medio-grandi, ecc., ma non i piccoli imprenditori, i professionisti, i consumatori, né enti non commerciali.

Va sottolineato che l’art. 84 CCII comma 1 parla di “imprenditore di cui all’art. 121”, quindi confermando il requisito soggettivo. Inoltre, il concordato preventivo è accessibile anche all’imprenditore insolvente (non solo in crisi): quindi una società già insolvente che avrebbe i presupposti per il fallimento può comunque cercare la strada del concordato preventivo, purché lo richieda prima che venga aperta la liquidazione giudiziale (o eventualmente anche dopo, ma lì si entrerebbe nella diversa figura del concordato nella liquidazione giudiziale). In generale è preferibile attivarsi in fase di crisi incipiente, ma non c’è un limite inferiore: si può chiedere concordato anche in stato di insolvenza conclamata, finché il tribunale non abbia già dichiarato il fallimento (liquidazione giudiziale).

Infine, ricordiamo che anche le imprese sotto soglia possono percorrere soluzioni di composizione della crisi, ma tramite le procedure minori (piani del consumatore, concordato minore ex L.3/2012). In questa sede tratteremo dell’istituto maggiore riservato alle imprese fallibili.

Requisiti oggettivi

Sul piano oggettivo, condizione indispensabile per proporre un concordato è la presenza di uno stato di crisi o di insolvenza del debitore (art. 84 CCII). Il Codice della crisi fornisce all’art. 2 CCII le definizioni:

  • Crisi: situazione di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza, manifestandosi come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni nei successivi 6-12 mesi. In pratica, la crisi è uno squilibrio che prefigura un’insolvenza futura se non si interviene (potremmo assimilarla a insolvenza prospettica). Ad esempio, un’azienda che prevede di non riuscire a pagare fornitori e banche fra qualche mese per mancanza di liquidità, è in stato di crisi.
  • Insolvenza: lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti o altri fatti esteriori indicativi dell’incapacità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni. È la classica definizione già presente nell’art. 5 l.fall.: insolvenza significa che il debitore non paga più i debiti alle scadenze in modo generalizzato, segnalando un’incapacità strutturale. Ad esempio, protesti, pignoramenti infruttuosi, mancato pagamento di stipendi e fornitori a tappeto sono sintomi di insolvenza. L’insolvenza può coesistere anche con un patrimonio teoricamente capiente ma non liquidabile a breve (insolvenza come crisi di liquidità).

Dunque l’imprenditore può accedere al concordato prima di diventare insolvente conclamato, quando è ancora in crisi (approccio precoce e conservativo), oppure anche in insolvenza già manifesta. In ogni caso, deve esserci una situazione di dissesto attuale o imminente. Non si può chiedere concordato se l’impresa è totalmente sana e solvibile (non avrebbe senso, e sarebbe dichiarato inammissibile per difetto di presupposti). Il concordato è uno strumento concorsuale, da utilizzarsi solo per gestire una crisi vera.

Un ulteriore requisito oggettivo tradizionale è che l’impresa non sia già stata dichiarata fallita. In genere, se è già intervenuta una sentenza dichiarativa di fallimento, il concordato preventivo non è più proponibile; tuttavia, nel nuovo Codice, esiste la figura del concordato nella liquidazione giudiziale (una proposta concordataria presentata dopo l’apertura della liquidazione giudiziale – ex art. 240 CCII e segg.), che è un istituto diverso e residuale. Nel nostro contesto, parliamo del concordato antecedente l’eventuale fallimento. Se durante la pendenza di un’istanza di fallimento l’imprenditore presenta una domanda di concordato, di regola questa prevale temporaneamente (il tribunale sospende la decisione sul fallimento in attesa di valutare la proposta concordataria). Anche il nuovo art. 44 CCII (modificato dal correttivo 2024) conferma che si può presentare domanda di concordato preventivo “in bianco” anche se pende un’istanza di liquidazione giudiziale, purché si depositi subito un progetto di piano. Ciò per evitare che la procedura fallimentare parta mentre l’imprenditore sta preparando un concordato.

Riassumendo i presupposti: (i) deve trattarsi di un imprenditore commerciale medio-grande (fallibile), (ii) in stato di crisi o insolvenza, (iii) che non sia già soggetto ad altra procedura concorsuale irreversibile (fallimento concluso, liquidazione coatta, ecc.). Inoltre, (iv) il piano proposto deve rispettare i criteri di legge (soddisfare almeno la soglia del 100% del valore di liquidazione per i creditori): tale requisito oggettivo è essenziale e sarà verificato dal giudice in sede di ammissione e omologa. In ambito di concordato in continuità, c’è un’ulteriore condizione sostanziale: il piano deve essere effettivamente incentrato sulla prosecuzione aziendale e deve apparire idoneo a conservare o recuperare il valore dell’azienda. Se il piano fosse meramente liquidatorio “mascherato” da continuità, o se la continuazione proposta appare immediatamente impossibile o distruttiva di valore, il tribunale potrebbe dichiarare inammissibile la domanda per “manifesta inidoneità alla soddisfazione dei creditori e alla conservazione dei valori aziendali”. Questa clausola, introdotta nel CCII (art. 47, comma 1, lett. a) e art. 48 CCII), conferisce al giudice un potere di filtro sulla qualità del piano in continuità: è un incoraggiamento a proporre solo piani realistici e realmente orientati al risanamento, scoraggiando abusi (ad esempio, domande presentate solo per guadagnare tempo senza un serio progetto di continuità).

In sintesi, l’imprenditore deve trovarsi nella condizione soggettiva giusta (categoria e dimensione) e nella condizione oggettiva di difficoltà economica, e deve predisporre un piano che abbia i numeri per garantire un risultato almeno pari alla liquidazione. Quando questi requisiti sono presenti, si può dare l’avvio alla procedura di concordato preventivo in continuità, descritta nel prossimo capitolo.

La Procedura di Concordato Preventivo: Presentazione, Ammissione e Omologa

La procedura di concordato preventivo si sviluppa attraverso varie fasi scandite dalla legge. Di seguito analizziamo i passaggi fondamentali, con particolare attenzione alle peculiarità quando il concordato è in continuità aziendale. In generale, le macro-fasi sono: presentazione della domanda (ricorso) da parte del debitore, fase di ammissione (apertura della procedura, nomina del commissario, predisposizione del voto dei creditori), votazione dei creditori sul piano proposto, ed infine omologazione da parte del tribunale (ossia l’approvazione finale che rende efficace il concordato).

Vediamo ciascuna fase in dettaglio.

1. Presentazione della domanda di concordato

Il procedimento si avvia con un ricorso al tribunale competente (tribunale del luogo dove l’impresa ha il centro degli interessi principali, in genere la sede). L’imprenditore può presentare:

  • Domanda completa di concordato, detta anche concordato “pieno”, ossia contenente già la proposta, il piano e tutta la documentazione richiesta; oppure
  • Domanda “con riserva” (c.d. concordato in bianco), ai sensi dell’art. 44 CCII (ex art. 161, 6º comma l.fall.), ossia un’istanza in cui si chiede l’ammissione al concordato riservandosi di presentare in seguito il piano e la proposta entro un termine fissato dal giudice (da 30 a 60 giorni, prorogabile fino a 120 giorni totali).

Nel caso del concordato in continuità, è frequente l’uso della domanda con riserva, perché spesso l’imprenditore necessita di protezione immediata dai creditori (blocco delle azioni esecutive) mentre elabora un complesso piano industriale di risanamento. Tuttavia, le riforme recenti hanno reso più stringenti i requisiti della domanda “in bianco” per evitare abusi: in particolare il Decreto Correttivo ter 2024 ha stabilito che, se si deposita la domanda prenotativa (in bianco), deve comunque essere allegato un “progetto di piano di regolazione della crisi” coerente con lo strumento prescelto. Ciò significa che il debitore, pur non presentando subito il piano definitivo, deve fornire un’idea sufficientemente concreta di come intende procedere (un abbozzo di piano), pena la mancata concessione dei termini. Inoltre, con la modifica dell’art. 44 CCII, dal momento del deposito della domanda con riserva scattano gli stessi effetti protettivi di una domanda piena, ma in parallelo l’imprenditore viene vincolato a non compiere atti straordinari senza autorizzazione e a rispettare la buona fede nelle trattative (spesso la domanda in bianco si accompagna a un tentativo di composizione negoziata o ricerca di investitori).

Poniamo che l’imprenditore presenti una domanda completa: in tal caso deve allegare obbligatoriamente:

  • La proposta di concordato, cioè l’offerta concreta ai creditori (quanto e in che forma verranno pagati i vari creditori, eventuali suddivisioni in classi, ecc.);
  • Il piano concordatario dettagliato (analisi della situazione aziendale, strategie di risanamento o liquidazione, tempi e modi di attuazione, e in caso di continuità un vero e proprio piano industriale con proiezioni economico-finanziarie sul periodo di esecuzione);
  • Una serie di documenti contabili: ultimi bilanci depositati, stato patrimoniale e finanziario aggiornato, elenco nominativo di tutti i creditori con importi e cause di prelazione, elenco dei beni, elenco degli eventuali titolari di diritti su beni di terzi, ecc.;
  • La relazione di un professionista indipendente (l’“attestatore”) designato dal debitore, che certifichi la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano proposto. Questa figura è cruciale: deve trattarsi di un soggetto munito dei requisiti di indipendenza (iscritto a Ordini abilitati, ad es. commercialista o avvocato, che abbia requisiti di legge) il quale, dopo aver analizzato la situazione d’impresa, attesta che i numeri presentati sono corretti e che il piano è realisticamente realizzabile. Nel concordato in continuità l’attestatore deve anche attestare che la continuità è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori. Se il piano prevede la ristrutturazione di debiti fiscali/contributivi (c.d. transazione fiscale), l’attestatore dovrà esprimersi anche sulla convenienza del trattamento proposto per l’Erario rispetto alle alternative.
  • Nel caso di concordato in continuità aziendale, la proposta deve contenere specifiche informazioni aggiuntive (ex art. 87 CCII lett. e) ed f)): indicazione analitica dei tempi e delle modalità di adempimento, e degli effetti finanziari dell’adempimento, nonché l’indicazione del valore di liquidazione del patrimonio, ossia quanto ricaverebbero i creditori in caso di fallimento (valore che serve come parametro di confronto).

Se invece l’imprenditore opta per una domanda con riserva, inizialmente egli deposita almeno i bilanci e l’elenco nominativo dei creditori, oltre al già citato progetto di piano (dopo il correttivo ter). Il tribunale emette un decreto in cui fissa i termini entro cui presentare la proposta e il piano completi. Durante questo periodo “prenotativo”, l’impresa gode di protezione (le cosiddette misure protettive: i creditori non possono iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari sul patrimonio debitore) e al contempo l’imprenditore è vincolato a gestire diligentemente l’impresa senza pregiudicare i creditori (gli atti di straordinaria amministrazione richiedono autorizzazione, pena inefficacia e revoca della protezione). Questa fase consente al debitore di guadagnare tempo per negoziare con i creditori, affinare il piano o cercare nuovi apporti finanziari, mentre viene congelata la situazione per evitare il collasso immediato.

Va ricordato che, in virtù del procedimento unitario introdotto dal CCII, la domanda di concordato preventivo può essere proposta anche come esito di una composizione negoziata fallita o in alternativa ad essa. In particolare, se l’imprenditore ha tentato la composizione negoziata (procedura stragiudiziale con un esperto), può in qualsiasi momento “innestare” una domanda di concordato preventivo (anche semplificato, se solo liquidativo) senza soluzione di continuità. Questi casi particolari li vedremo nel paragrafo sul concordato semplificato.

Una volta presentata la domanda (completa o, poi, integrata successivamente se era con riserva), il tribunale svolge un esame preliminare. Il controllo di ammissibilità in questa fase riguarda: la completezza formale dei documenti, la sussistenza dei requisiti soggettivi e oggettivi, e una valutazione sommaria sulla fattibilità e idoneità del piano. Importante: il giudice non entra nel merito economico approfondito (quella è prerogativa dei creditori in sede di voto), ma verifica ad esempio che il piano non sia manifestamente irrealizzabile o incapiente. Come accennato, il CCII specifica che la domanda va dichiarata inammissibile se il piano è manifestamente inidoneo a soddisfare i creditori e, nel caso di continuità, a conservare i valori aziendali. È una soglia alta: significa che solo se il piano appare chiaramente privo di qualsiasi prospettiva di successo o così squilibrato da danneggiare i creditori, viene bloccato subito. Questa regola riflette l’orientamento giurisprudenziale consolidato per cui il tribunale non deve sostituirsi ai creditori nel valutare la convenienza del concordato (principio del giudizio di fattibilità limitato alla legittimità): la Cassazione a Sezioni Unite (sent. 1521/2013) aveva infatti stabilito che il giudice deve fermarsi a un controllo di fattibilità “giuridica” e di assenza di manifesta inattitudine del piano, lasciando la valutazione della fattibilità economica ai creditori (salvo ipotesi di palese irrealizzabilità). Questo principio è recepito nella prassi: dunque, se i conti tornano almeno sulla carta e il piano rispetta regole di legge, la domanda sarà ammessa, demandando poi ai creditori il giudizio di merito.

2. Decreto di ammissione (apertura del concordato) e suoi effetti

Se il tribunale ritiene ammissibile la domanda, emette un decreto di apertura del concordato preventivo (art. 47 CCII). Con questo provvedimento:

  • Nomina il Commissario Giudiziale, figura chiave di vigilanza (vedi sezione dedicata al suo ruolo). Il commissario inizia subito a sovraintendere alla gestione e a raccogliere informazioni sui creditori.
  • Fissa la data adunanza dei creditori (cioè la riunione per il voto sul concordato) o comunque i termini e le modalità di votazione (nel CCII è prevista anche la possibilità di voto per iscritto senza adunanza fisica, ma spesso si tiene un’udienza di discussione). Tipicamente l’adunanza viene fissata qualche mese dopo, per dar tempo di raccogliere i voti.
  • Impone eventuali misure integrative di tutela: ad esempio può ordinare al debitore di non compiere atti eccedenti l’ordinaria amministrazione senza autorizzazione, e può emanare provvedimenti cautelari o protettivi, se non già in atto. In realtà, dalla presentazione della domanda stessa scattano per legge il divieto di azioni esecutive e la sospensione delle prescrizioni ex art. 54 CCII (che riprende l’art. 168 l.fall.), a tutela della par condicio: i creditori non possono iniziare né proseguire pignoramenti o sequestri sul patrimonio del debitore fino all’omologazione. Gli eventuali procedimenti in corso restano congelati. Inoltre, non possono essere acquisite ipoteche giudiziali su beni del debitore dopo il deposito del ricorso (se un creditore corre in questi giorni a iscrivere ipoteca, essa sarà inefficace). Queste misure proteggono l’impresa dal dissesto ulteriore e preservano l’integrità del patrimonio nell’interesse di tutti i creditori collettivamente.
  • Ordina al debitore di depositare (se non l’ha già fatto) le somme per le spese di procedura iniziali e di eseguire le comunicazioni ai creditori (il commissario manderà una comunicazione a tutti i creditori con la proposta concordataria e l’invito a votare).

Dal momento dell’apertura, l’azienda continua a operare ma in una sorta di “zona protetta”: il debitore mantiene l’amministrazione ordinaria (salvo che il tribunale, in casi eccezionali di mala gestione, nomini un amministratore giudiziario esautorando il debitore – ipotesi rara in concordato, perché di norma il management rimane in possesso: debtor in possession). Però ogni atto di straordinaria amministrazione deve essere autorizzato dal tribunale, sentito il commissario (art. 94 CCII). Ciò include vendite di beni non previste dal piano, nuovi finanziamenti, pagamento anticipato di creditori anteriori, e via dicendo. Nel concordato in continuità, la gestione corrente (acquisto materie prime, vendita prodotti, pagamento fornitori correnti) è considerata ordinaria amministrazione e prosegue regolarmente per far funzionare l’impresa, mentre operazioni straordinarie (ad es. cedere un ramo d’azienda, contrarre un mutuo ipotecario, etc.) necessitano di autorizzazione specifica.

Gli effetti per i creditori principali sono: congelamento delle azioni individuali (nessuno può più fare causa per riscuotere o procedere forzosamente, a pena di nullità degli atti esecutivi) e cristallizzazione del loro credito ai fini della procedura. Non c’è nel concordato preventivo una procedura formale di verifica del passivo come nel fallimento; i creditori sono quelli risultanti dagli elenchi depositati dal debitore e dalle eventuali osservazioni presentate. Se un creditore contesta l’elenco (ad es. il debitore non l’ha inserito o ha messo un importo errato), potrà far rilevare la cosa in sede di adunanza o con osservazioni al commissario. Sarà poi eventualmente il giudice delegato (o il tribunale in omologa) a decidere sulle contestazioni. Ma generalmente la platea dei creditori e i rispettivi crediti non sono oggetto di un formale stato passivo (a meno di dissensi specifici).

Il commissario giudiziale entro un termine (tipicamente 30-45 giorni prima del voto) deve predisporre una relazione particolareggiata sulla situazione patrimoniale del debitore, sulle cause della crisi, sulla condotta dell’imprenditore e sulla fattibilità del piano e la convenienza della proposta per i creditori. Questa relazione viene depositata e messa a disposizione dei creditori prima della votazione, così che possano farsi un’idea informata. Nel concordato in continuità, il commissario (spesso con l’ausilio di un suo consulente tecnico) verifica il piano industriale e le assunzioni alla base del risanamento: ad esempio controllerà che le proiezioni di fatturato siano plausibili, che i finanziamenti promessi siano confermati, ecc. Il suo parere non vincola i creditori, ma ha un peso.

Classi di creditori: se la proposta prevede diverse classi, i creditori saranno suddivisi in gruppi omogenei per posizione giuridica ed interesse economico. Il nuovo art. 85 CCII rende obbligatoria la suddivisione in classi nel concordato in continuità (in ogni caso). Ciò significa che nel piano in continuità il debitore deve classificare i creditori (ad es.: classe fornitori chirografari, classe banche chirografarie, classe obbligazionisti, classe dipendenti, classe erario chirografo, ecc., a seconda dei casi). I creditori privilegiati che non vengano soddisfatti integralmente o nei tempi di legge devono essere collocati in classi separate. La ragione di questa obbligatorietà è facilitare eventualmente il cram down (omologa nonostante dissenso di qualche classe) e comunque permettere trattamenti diversificati. In un concordato liquidatorio invece la formazione di classi è facoltativa (il debitore può decidere di mettere tutti i chirografari in un’unica classe se li tratta uguale, salvo dover separare eventuali creditori con interessi differenti non altrimenti componibili). Nel seguito vedremo come funziona il voto per classi.

3. Adunanza e Votazione dei Creditori

Una fase cruciale è quella della deliberazione dei creditori sulla proposta di concordato. I creditori hanno il diritto di esprimere il proprio voto (favorevole o contrario) all’approvazione del piano. Nel concordato preventivo, a differenza del fallimento, i creditori hanno un potere decisionale diretto: se il piano non raggiunge le maggioranze di voto previste, il concordato non può essere omologato (salvo l’eccezione del cram down che consente di superare il dissenso di alcune classi, come vedremo).

Proceduralmente, il tribunale fissa un’adunanza dei creditori (un’udienza collegiale) in cui i creditori possono discutere e votare. Con le ultime riforme, è possibile anche che il voto avvenga per iscritto senza riunione fisica, ma spesso almeno un incontro si tiene, in presenza o via audio-video, per chiarimenti. Il commissario presiede l’adunanza, illustra la sua relazione, il debitore spiega eventuali aggiornamenti, quindi si procede al voto.

Le maggioranze richieste (artt. 109-110 CCII) sono simili a quelle previste dalla vecchia legge:

  • Se NON vi sono classi: la proposta si approva se riporta il voto favorevole di creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto. Non conta il “testa per testa” ma le somme (maggioranza per valore dei crediti). In passato era il 50%+1 in valore; il CCII parla di maggioranza dei crediti votanti, e per il computo si escludono i creditori che non hanno esercitato il voto. Quindi basta il 50% dei crediti votanti favorevoli, purché abbia votato un numero minimo di creditori (il calcolo dettagliato è tecnico, ma semplificando: la maggioranza semplice in valore tra chi ha votato, a condizione che abbiano votato creditori rappresentanti almeno la metà del totale crediti ammessi; se non vota nessuno, il concordato non può considerarsi approvato).
  • Se ci sono classi: occorre il voto favorevole della maggioranza dei crediti in ciascuna classe o almeno in un certo numero di classi. Nel dettaglio, la proposta è approvata se ottiene il sì da tante classi che rappresentino la maggioranza del credito complessivo e che includano almeno una classe di creditori chirografari (non interamente soddisfatti). Nel vecchio regime, serviva il voto favorevole di tutte le classi costituite (o almeno della maggioranza delle classi purché una fosse chirografa), altrimenti era necessario il 100% dei consensi. Il nuovo CCII, in linea col concetto di cross-class cram down, prevede invece che se una o più classi votano contro, sia possibile l’omologazione forzata a certe condizioni (vedi paragrafo omologa). Ma intanto per la fase di votazione, si mira ad avere più classi possibili consenzienti. Indicativamente: se ad esempio ci sono 4 classi e 3 votano sì con le maggioranze di valore interne, e una classe vota no, la proposta si considera approvata dalle maggioranze, ma con una classe dissenziente. Senza la normativa sul cram down, storicamente questo equivaleva a mancata approvazione; oggi invece c’è uno spiraglio per ottenere comunque l’omologa forzata se ricorrono condizioni. Approfondiremo tra poco.

Chi non ha diritto di voto? I creditori privilegiati che vengono pagati integralmente e nei termini di legge dal piano (i cosiddetti “non falcidiati né dilazionati oltremisura”) non votano perché non subiscono alterazioni. Ad esempio, se il piano prevede di pagare i dipendenti al 100% entro pochi giorni dall’omologazione, questi crediti privilegiati non partecipano al voto (sono considerati soddisfatti integralmente). Invece se un privilegiato viene parzialmente non pagato (es: un ipotecario prende 80% del suo credito e la parte eccedente va in chirografo) o viene pagato integralmente ma in modo dilazionato oltre un certo limite, allora partecipa al voto per la parte modificata. I creditori postergati o parti correlate spesso non votano, o se votano il loro voto non conta per le maggioranze (per evitare conflitti di interessi). Anche il Fisco e gli enti previdenziali votano come creditori per i loro crediti (e qui spesso sta una criticità, perché fino a poco tempo fa un voto negativo del Fisco su un concordato che tagliava IVA o contributi poteva bloccare tutto; ora – grazie anche a interventi UE – è possibile superarli con omologa forzata se la proposta è comunque conveniente per loro).

Durante l’adunanza, i creditori possono porre domande, chiedere modifiche o chiarimenti. Il debitore può modificare la proposta entro certi limiti anche in corso di procedura, per ottenere più consensi, purché le modifiche non la stravolgano e siano migliorative (ad esempio potrebbe alzare la percentuale offerta ai chirografari per convincere i dissenzienti). Se la modifica è sostanziale, potrebbe essere necessario rimettere ai voti.

Al termine del periodo di voto (che può estendersi un po’ oltre l’adunanza se si raccolgono voti scritti mancanti), si tirano le somme: se le maggioranze di legge sono raggiunte, il concordato è approvato dai creditori. Se le maggioranze non sono raggiunte (cioè la proposta è bocciata dai creditori), il tribunale normalmente dichiarerà il fallimento (liquidazione giudiziale) dell’imprenditore, a meno che emergano alternative immediate (ad esempio un accordo di ristrutturazione ex art. 57 CCII sottoscritto dalla maggioranza dei creditori non raggiunta in voto, ipotesi molto remota). Nel concordato in continuità, tuttavia, come anticipato, c’è un’alternativa in caso di dissenso parziale: l’imprenditore può chiedere al tribunale di omologare ugualmente la proposta anche contro il volere di talune classi dissenzienti, se soddisfa le condizioni del cross-class cram down introdotto dalla direttiva UE e recepito dal D.Lgs. 136/2024. Su questo passaggio decisivo passiamo ora.

4. Omologa del Concordato: omologazione anche con classi dissenzienti (cram down)

Conclusa la fase del voto, si apre la fase di omologazione. L’imprenditore deve presentare ricorso per ottenere l’omologazione del concordato approvato (o richiederla nonostante il mancato raggiungimento dell’unanimità). Il tribunale fisserà un’udienza di omologa, in cui potranno essere presentate eventuali opposizioni: i creditori contrari (o astenuti) possono opporsi se ritengono che vi siano state violazioni di legge o che il piano li danneggi oltre i limiti consentiti. Ad esempio, un creditore potrebbe opporsi sostenendo che non viene rispettato il requisito di ricevere almeno quanto in fallimento, oppure che ci sono state irregolarità nel voto. L’opposizione scatena un giudizio davanti al tribunale che deciderà se omologare comunque o rigettare.

Per omologare, il tribunale verifica di nuovo la conformità alla legge (es: corretto trattamento delle cause di prelazione, regolarità del voto, meritevolezza del debitore – in termini di assenza di atti in frode) e la fattibilità del piano (nel CCII il giudice deve valutare la fattibilità in modo più penetrante rispetto al passato in sede di omologa, specie nel concordato semplificato, ma nel concordato ordinario continua a valere il limite del non sovrapporsi al merito se non per macroscopica irrealizzabilità). Se non vi sono opposizioni o queste vengono respinte, il concordato viene omologato con decreto e diventa vincolante per tutti i creditori anteriori. Da quel momento il debitore deve eseguire il piano come omologato. Se invece le opposizioni vengono accolte o emergono gravi violazioni, l’omologazione può essere negata (e si aprirà il fallimento).

Omologa in caso di classi dissenzienti (cross-class cram down): una delle novità più rilevanti introdotte nel 2022-2024 è la possibilità di ottenere l’omologazione del concordato in continuità anche se non tutti i creditori lo hanno approvato, ossia anche in presenza di classi che hanno votato contro. In passato (sotto la legge fallimentare) serviva l’adesione di tutte le classi, altrimenti non si poteva omologare contro il loro volere, con la sola eccezione del cosiddetto cram down fiscale (il tribunale poteva considerare approvata la proposta anche senza il voto favorevole dell’Erario se la proposta di transazione fiscale era più conveniente del fallimento). Ora il legislatore ha esteso il meccanismo di omologa forzata generalizzata, ma solo per i concordati in continuità aziendale. L’idea di fondo, mutuata dalla direttiva UE, è che per i piani di ristrutturazione meritano di essere superate le eventuali resistenze di minoranze dissenzienti, purché il piano rispetti certi paletti di equità tra le classi. Invece per i concordati liquidatori puri questo non è consentito (se i creditori non sono d’accordo, non si può imporre loro una liquidazione concordataria non desiderata, perché a quel punto tanto vale il fallimento).

Le condizioni del cram down nel concordato in continuità sono ora codificate nel nuovo testo dell’art. 112, comma 2 CCII (riscritto dal D.Lgs.136/2024). In base a tali norme, se una o più classi di creditori hanno votato no, il tribunale può comunque omologare il concordato su richiesta del debitore (o del proponente, se diverso) a condizione che tutte le seguenti condizioni siano soddisfatte:

a. Rispetto della priorità sul valore di liquidazione: il valore di liquidazione del patrimonio deve essere distribuito secondo l’ordine legale delle prelazioni. In pratica, nessuna classe può ricevere meno di quanto avrebbe ottenuto sui beni in caso di fallimento: i privilegiati fino a concorrenza del valore delle loro garanzie, i chirografari almeno quanto la percentuale di realizzo in fallimento. Questo è il best interest test già noto: su ciò che rappresenta la base liquida minima, vige la priorità assoluta.

b. Rispetto della priorità relativa sul surplus: il valore eccedente la mera liquidazione (cioè il “surplus” generato dalla continuità, i maggiori ricavi futuri) può essere distribuito in deroga alla priorità assoluta, ma in modo tale che i crediti nelle classi dissenzienti ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle altre classi di pari grado e migliore di quello delle classi di grado inferiore. Questo è il principio di priorità relativa: ad esempio, se una classe di chirografari dice no, bisogna verificare che non esista un’altra classe di chirografari che riceve di più (ciò vorrebbe dire discriminazione) e che qualsiasi classe subordinata (es. soci postergati) non prenda nulla o comunque meno. In sostanza i dissenzienti non devono essere trattati peggio dei pari grado consenzienti, e devono essere trattati meglio di chi sta sotto di loro nella scala delle prelazioni.

c. Nessun creditore ottiene più del 100% del proprio credito: condizione ovvia per evitare che qualcuno esca addirittura in attivo. Vuol dire che non si possono riconoscere ad alcun creditore utilità superiori al valore nominale del suo credito (nessuno deve arricchirsi, il piano deve solo appianare il debito fino al 100% al massimo).

d. Voto favorevole della maggioranza delle classi: è richiesto comunque che almeno la maggioranza numerica delle classi abbia votato sì, includendo almeno una classe “significativa”. Più precisamente: occorre che la proposta sia approvata dalla maggioranza delle classi e che o almeno una classe di creditori prelatizi (privilegiati) abbia votato sì, oppure, se tutti i privilegiati sono soddisfatti integralmente e quindi non votavano, che almeno una classe di creditori non integralmente pagati (quindi chirografari che in caso di liquidazione avrebbero preso qualcosa) abbia votato sì. In altre parole, non basta che votino sì solo classi vuote o irrilevanti: almeno una classe “impaired” (pregiudicata) deve aver detto sì. Questa condizione riflette la direttiva UE che richiede il voto favorevole di almeno una classe rilevante.

Se tutte queste condizioni (a, b, c, d) sono soddisfatte congiuntamente, il tribunale può disattendere il voto negativo delle classi dissenzienti e omologare lo stesso il concordato. In tal caso si parla di omologazione forzata o “cram down”. Esempio: classi A (banca privilegiata parzialmente chirografa), B (fornitori chirografari), C (subordinati). Supponiamo votino sì la classe A e C, no la classe B. Finora, quel no della classe B (chirografi) avrebbe impedito l’omologa. Con le nuove norme, se: ai chirografari B viene dato >= quanto il fallimento (cond. a), i B (dissenzienti) prendono lo stesso trattamento dei C di pari rango o meglio (qui C sono subordinati, quindi B li supera comunque – cond. b soddisfatta), nessuno prende oltre il 100% (cond. c), e la maggioranza delle classi ha detto sì (A e C, 2 su 3, e una di esse è A con privilegiati, quindi cond. d soddisfatta) – allora il tribunale può omologare comunque nonostante il no della classe B. I creditori B saranno vincolati lo stesso al concordato, pur avendo votato contro.

Questo meccanismo è particolarmente utile quando c’è magari una categoria di creditori (spesso chirografari general trade) poco organizzati o scontenti che votano no, ma oggettivamente la proposta è più vantaggiosa del fallimento per tutti. In passato in tali casi si rischiava di far saltare concordati anche validi per l’opposizione di una minoranza, mentre ora se il piano è equo e la maggior parte delle classi è d’accordo, non si butta via lo sforzo di continuità. Da notare che il CCII già prima prevedeva un cram down fiscale (art. 88 co. 2-bis, introdotto nel 2020) per superare l’eventuale voto contrario del Fisco e INPS se la proposta era conveniente e la classe pubblica l’unica dissenziente; ora con l’art. 112 riformato, il cram down si estende a qualsiasi classe dissenziente, generalizzando il concetto. Anche la Corte di Giustizia UE nel 2022 ha chiarito che non è contrario al diritto euro-unitario falcidiare l’IVA in un concordato, aprendo la strada a trattare i crediti IVA come gli altri (prima in Italia vigeva il divieto di falcidia IVA, superato poi normativamente).

Importante: se il tribunale omologa un concordato in continuità e successivamente quel decreto viene impugnato (in appello, trattandosi di decreto), il CCII prevede che l’esecuzione del piano non viene sospesa automaticamente. Anzi, l’art. 53 CCII (come modificato) stabilisce che la sentenza di omologazione del concordato in continuità resiste all’accoglimento di un eventuale reclamo se prevale l’interesse generale dei creditori e dei lavoratori alla prosecuzione del piano. In pratica, la riforma tutela l’esecuzione immediata del piano omologato in continuità: anche se un creditore impugna, il giudice può decidere di far proseguire l’attuazione del piano, evitando che la pendenza di appello blocchi tutto e magari faccia fallire l’azienda (cosa che avveniva spesso prima: la sentenza di omologa reclamata poteva essere sospesa e nel frattempo l’impresa ricadere nel baratro). Adesso, nell’equilibrio degli interessi, se il piano sta funzionando e produce benefici diffusi, non lo si arresta per la contestazione di uno scontento – al più quest’ultimo verrà risarcito in denaro se avesse ragione, ma senza far fallire la società nel frattempo. Questo è un altro segnale di favore verso la continuità nelle intenzioni del legislatore.

Una volta ottenuta l’omologazione definitiva, il concordato preventivo diviene efficace erga omnes. Da questo momento scatta l’esecuzione del piano: il debitore (sotto la vigilanza di eventuali organi nominati, se previsti, come un liquidatore per i beni da cedere o lo stesso commissario che può diventare liquidatore per le vendite di attivo se concordato misto) deve attuare gli impegni presi. Nel caso di concordato in continuità, l’esecuzione tipicamente consiste nel proseguire l’attività d’impresa secondo il piano industriale, effettuando i pagamenti ai creditori nelle percentuali e tempi concordati (es.: pagamento iniziale del 10% ai chirografari entro 6 mesi, poi altri due distribuzioni annuali del 5%, ecc.), e compiendo eventuali operazioni straordinarie previste (ad es. aumento di capitale con ingresso di un nuovo socio, cessione di un asset non strategico, ecc.). L’esecuzione viene sovente monitorata dal commissario stesso o da un ausiliario nominato dal giudice, che verifica il rispetto del piano.

Se il debitore adempie regolarmente, la procedura si conclude positivamente e l’azienda esce dal concordato “risanata” (con i debiti tagliati). I creditori ricevono le “utilità” promesse (che possono essere somme di denaro, ma anche altri beni o strumenti – es. azioni o obbligazioni se la proposta li prevedeva, benché nel concordato preventivo tradizionale di solito si tratti di denaro). I crediti vengono quindi considerati soddisfatti secondo il piano e la parte eccedente viene scaricata: l’omologazione produce infatti l’effetto dell’esdebitazione del debitore dall’insoluto, senza bisogno di ulteriore procedura (diversamente dal fallimento dove serve un provvedimento ad hoc di esdebitazione). Quindi, ad esempio, se un fornitore aveva 100.000 € di credito chirografo ed ha ottenuto 30.000 € pari al 30% nel concordato, non potrà più pretendere il restante 70%: quel debito si estingue.

Se invece l’impresa non rispetta il piano (inadempimento) o il concordato viene successivamente annullato/revocato per qualche irregolarità scoperta (ad es. frode ai creditori, oppure sopravvengono cause di risoluzione come il mancato pagamento di quanto promesso entro i termini essenziali), allora su istanza dei creditori o d’ufficio il tribunale dichiarerà il fallimento (liquidazione giudiziale) del debitore. In tal caso, i creditori possono insinuarsi per l’intero originario credito detratto quanto eventualmente già ricevuto nel concordato. Purtroppo, un concordato in continuità che fallisce nella sua esecuzione spesso lascia un patrimonio ridotto (perché magari nel frattempo l’azienda ha perso valore, o si sono spese risorse), quindi è una situazione da evitare con un’accurata pianificazione.

Riassumendo la procedura: presentazione del ricorso (meglio se con piano solido), ammissione con protezione dai creditori, gestione vigilata e predisposizione del voto, votazione di creditori (con eventuale modifica del piano per ottenere consensi), e infine omologazione da parte del Tribunale che rende vincolante l’accordo anche per dissenzienti se c’è la maggioranza e l’equità distributiva. A questo punto il concordato è giuridicamente equiparabile a un contratto tra debitore e creditori sotto l’egida giudiziale, che sostituisce le obbligazioni originarie con quelle nuove previste nel piano.

Nel prossimo capitolo confrontiamo questo scenario del concordato in continuità con quello del concordato liquidatorio, evidenziandone differenze, vantaggi e rischi. Successivamente entreremo negli aspetti fiscali, contabili e nelle novità normative e giurisprudenziali.

Differenze tra Concordato in Continuità e Concordato Liquidatorio

Il concordato preventivo liquidatorio (o concordato con cessione dei beni) è la forma in cui l’impresa non prosegue l’attività, ma offre ai creditori il ricavato dalla liquidazione del proprio patrimonio. È dunque, in qualche modo, analogo a un fallimento pilotato: l’imprenditore concorda con i creditori come vendere i beni e ripartire il ricavato, eventualmente con intervento di un assuntore (un terzo che prende in carico beni e debiti pagando qualcosa). Le differenze rispetto al concordato in continuità sono significative sia sul piano degli obiettivi che su quello operativo.

La tabella seguente riepiloga le principali differenze tra concordato in continuità aziendale e concordato liquidatorio:

CaratteristicaConcordato in ContinuitàConcordato Liquidatorio
Finalità principaleRisanamento dell’impresa e soddisfacimento dei creditori tramite la prosecuzione dell’attività aziendale (valorizzando la continuità e l’avviamento). L’obiettivo è preservare l’azienda come going concern e pagare i creditori con i proventi futuri.Liquidazione del patrimonio dell’imprenditore a beneficio dei creditori, con cessazione dell’attività. L’obiettivo è realizzare i beni e distribuire il ricavato tra i creditori, chiudendo l’impresa.
Prosecuzione dell’attivitàSì, l’azienda continua ad operare (in gestione al debitore sotto vigilanza, o trasferita a terzi che la conducono). Può essere diretta (stesso imprenditore) o indiretta (affitto/cessione a nuovo soggetto). L’attività può subire riorganizzazioni ma non viene interrotta.No, l’attività d’impresa viene di regola cessata o limitata al minimo indispensabile per la vendita dei beni. L’azienda può essere venduta intera a un assuntore, ma in tal caso la continuità avviene fuori dal concordato (il concordato liquidatorio termina con la cessione e l’incasso).
Fonte delle risorse per i creditoriPrevalentemente o significativamente i flussi finanziari generati dalla gestione corrente e futura dell’azienda in esercizio (vendita di prodotti/servizi, utili futuri) e/o dall’eventuale cessione dell’azienda in funzionamento. Possono concorrere anche dismissioni di asset non strategici, ma una parte rilevante del valore distribuito deriva dalla continuità produttiva.Esclusivamente o principalmente la vendita dei beni già esistenti nel patrimonio (immobili, impianti, magazzino, crediti, ecc.). L’azienda, se venduta, è liquidata come entità (spesso chi acquista paga un prezzo che va ai creditori, ma l’azienda esce dalla procedura). Non si prevedono profitti futuri: si utilizza solo il valore realizzabile una tantum dalle cessioni.
Destinazione dell’aziendaViene mantenuta in vita. Può rimanere al debitore (che prosegue l’impresa) oppure essere trasferita a un investitore (newco, assuntore) che la gestirà, ma in ogni caso l’azienda sopravvive come entità produttiva. I contratti aziendali sono mantenuti (grazie anche al divieto di recesso unilaterale per crisi).Viene liquidata. Può essere venduta interamente a un terzo (in tal caso l’azienda continua con il terzo, ma fuori dalla procedura), oppure smembrata: i singoli beni e contratti vengono venduti o risolti. Alla fine del concordato liquidatorio, la società originale in genere viene cancellata o rimane come contenitore vuoto se c’è assuntore.
Trattamento dei creditori chirografariNessuna percentuale minima fissata ex lege (nel regime attuale). Devono ricevere almeno quanto otterrebbero dalla liquidazione fallimentare (condizione legale), ma la percentuale proposta dipende dalle previsioni del piano. Può essere anche bassa (<20%) se il piano lo giustifica, purché sia meglio del fallimento. Storicamente, il concordato in continuità non era soggetto alla soglia del 20% (che valeva solo per i liquidatori). Oggi la legge non prevede più soglie fisse, ma solo il criterio del miglior soddisfacimento.In passato la legge fall. richiedeva almeno il 20% ai chirografari, a meno di apporti di finanza esterna (art. 160 l.fall.). Con il CCII questa soglia rigida è stata eliminata, uniformando il requisito al best interest test per ogni tipo di concordato. Di fatto però, in un piano liquidatorio puro, se l’offerta ai chirografari è troppo bassa potrebbe venire bocciata dai creditori stessi. In assenza di soglia, anche nel liquidatorio oggi basta offrire >0% purché non inferiore al ricavabile da fallimento.
Formazione delle classi di creditoriObbligatoria. Il debitore deve suddividere i creditori in classi omogenee per posizione giuridica e interessi economici. Ciò consente trattamenti differenziati (es. banche vs fornitori) e l’eventuale cram down su classi dissenzienti. I privilegiati ristrutturati devono essere in classi separate.Facoltativa. Il debitore può decidere se classare i creditori. Spesso in un liquidatorio puro tutti i chirografari ricevono la stessa % quindi si preferisce un’unica classe (o niente classi). Classi distinte si usano solo se si offre qualcosa di diverso a gruppi diversi. Non essendo previsto cram down generale per liquidatori, le classi servono solo per modulare consenso, ma se una classe dice no, il piano non può essere omologato (se non rientra la minoranza dissenziente col 100% fallimentare via art. 88, comma 2-bis, applicabile ai soli crediti fiscali).
Cram down su classi dissenzientiAmmesso. Se la maggioranza delle classi approva e le condizioni di legge (priorità assoluta sul valore di liquidazione, priorità relativa sul surplus, ecc.) sono rispettate, il tribunale può omologare anche con classi contrarie. In particolare è possibile forzare il dissenso di minoranze per rendere efficace il piano di risanamento nell’interesse generale. Questo strumento è oggi una peculiarità dei concordati in continuità (recepisce la direttiva UE).Non ammesso (salvo il caso particolare dei crediti fiscali). Nel concordato liquidatorio tradizionale, se una classe di creditori non approva, la proposta non può essere imposta coattivamente perché viene meno l’accordo. L’unica forma di cram down prevista era quella fiscale (art. 88 co. 2-bis CCII) relativa all’erario dissenziente, ma la giurisprudenza aveva dibattuto se valesse anche per continuità. Oggi, un liquidatorio con classi dissenzienti non può essere omologato (si ricorre al fallimento).
Contratti pendenti e fornitureLa continuità permette di mantenere in vita i contratti di fornitura, appalto, locazione, ecc. I partner contrattuali non possono risolvere i contratti per il solo fatto del concordato. Il debitore può chiedere al giudice autorizzazione a sciogliere solo contratti non più utili o troppo onerosi (art. 97 CCII). Sono previste norme per assicurare la fornitura di beni/servizi essenziali (es. utenze, materie prime cruciali) dietro pagamento dei corrispettivi correnti (stay on ipso facto clauses).I contratti in essere vengono in genere risolti o ceduti. Il commissario/debitore in un liquidatorio può sciogliere i contratti pendenti che non servono alla liquidazione (ad esempio interrompe forniture, rescinde contratti di lungo termine) salvo quelli la cui cessione possa generare valore (es. può cedere un contratto di affitto d’azienda ad un assuntore). Non vi è prosecuzione ordinaria, salvo quanto serve per conservare il valore fino alla vendita.
Rapporti di lavoroIn linea di massima proseguono. La continuità cerca di preservare i posti di lavoro. Possono esservi riorganizzazioni (esuberi, cassa integrazione), ma l’azienda non chiude. Se subentra un terzo (assuntore) nell’azienda, i lavoratori hanno la tutela del mantenimento del rapporto ai sensi dell’art. 2112 c.c. (in caso di trasferimento d’azienda). Il concordato in continuità è visto favorevolmente anche per l’impatto sociale minore.I rapporti di lavoro in capo all’impresa in concordato vengono cessati (licenziamenti collettivi) salvo che un assuntore rilevi l’azienda e riassorba parte del personale. In genere, se l’azienda viene venduta come complesso, gli acquirenti prendono solo parte dei dipendenti; se invece si liquidano i beni separatamente, i lavoratori vengono licenziati durante la procedura. Si cerca di pagar loro TFR e crediti in prededuzione (spesso l’80% dei loro crediti è privilegiato di grado elevato).
Durata dell’esecuzioneMedio-lunga. L’esecuzione del piano può durare anche anni (piani di 3-5 anni comuni) perché dipende dalla generazione di utili futuri o dall’incasso dilazionato di crediti. Il concordato in continuità richiede un monitoraggio costante delle performance aziendali post-omologa. Finché il piano non è adempiuto, la procedura rimane tecnicamente aperta (anche se con minore intensità di controllo).Relativamente breve. Una volta omologato, il liquidatore o il debitore procede alla vendita dei beni (che può richiedere mesi, magari un paio d’anni se ci sono immobili complessi da vendere, ma l’orizzonte è più breve di un piano industriale pluriennale). Terminata la liquidazione attiva e fatte le ripartizioni ai creditori, la procedura viene chiusa. In media i concordati liquidatori si esauriscono prima (anche se dipende dalla difficoltà di realizzo dei beni: ci sono casi di concordati liquidatori durati molti anni perché non si riusciva a vendere degli asset).
Vantaggi per il debitore– Mantiene il controllo dell’impresa (debtor in possession) e ha chance di salvare l’azienda.– Evita il fallimento e la dispersione dell’avviamento.– Se il piano riesce, l’imprenditore può proseguire l’attività ristrutturata e l’azienda continua ad esistere.– Maggior flessibilità nel reperire risorse (possibilità di nuova finanza prededucibile, ecc.) e nel trattare diversamente categorie di creditori per favorire la ristrutturazione.– Reputazione: un concordato in continuità può essere percepito meno negativamente di un fallimento totale, specie da clienti/fornitori che vedono l’azienda proseguire.– Procedura più semplice da impostare (non serve piano industriale di lungo termine, ma solo un piano di liquidazione e riparto).– Tempi tendenzialmente più rapidi per chiudere i debiti e potersi “liberare” (l’imprenditore chiude i conti col passato più velocemente, anche se al costo di perdere l’azienda).– Minor rischio di aggravare l’insolvenza: vendendo subito i beni si cristallizza il valore, mentre continuare l’attività in perdita potrebbe peggiorare la situazione (il liquidatorio evita questa eventualità).– Dopo l’omologa, l’imprenditore non ha l’onere di eseguire un piano complesso: cede i beni e, una volta distribuiti i proventi, l’azienda è spenta e lui può eventualmente ripartire con altra attività pulita dai debiti residui.
Rischi per il debitore– L’azienda in procedura potrebbe non risanarsi come previsto: se le performance vanno peggio del piano, il concordato può fallire, portando a fallimento con potenzialmente meno asset (danni reputazionali, perdite cumulate durante la continuazione mal riuscita).– Gestione sotto vigilanza: l’imprenditore deve accettare stretti controlli e limitazioni (autorizzazioni per atti straordinari, rapporti periodici al commissario, ecc.).– Costi elevati: redazione di piani dettagliati, attestazioni, eventuali advisor, compensi commissario protratti nel tempo di esecuzione, ecc.– Impegno personale continuativo: l’imprenditore deve attuare il piano e dedicare energie per anni alla sua riuscita, sotto vincolo di legge.– Possibile diluizione della proprietà: se la continuità implica ingresso di un investitore, l’imprenditore può perdere parte del capitale sociale (anche se ciò avviene a fronte del salvataggio).– L’imprenditore perde l’azienda: cede tutti i beni, possibili decenni di lavoro vengono liquidati. Se anche l’impresa fosse storica, in un concordato liquidatorio essa di fatto sparisce (a meno che un terzo la rilevi, ma comunque l’imprenditore originario esce di scena).– Impatto sociale negativo: licenziamenti del personale, chiusura di attività sul territorio; questo può comportare anche problemi di ordine pubblico o pressioni (talvolta i tribunali spingono per continuità proprio per attenuare questi effetti).– Reputazione compromessa: la cessazione totale può gettare discredito sull’imprenditore, più di un tentativo (anche se parziale) di continuità.– Minor appeal per finanziatori: difficile ottenere finanza ponte in un liquidatorio, mentre in continuità banche e fornitori possono essere più collaborativi sapendo che l’azienda continua. In liquidatorio, essendo la fine dell’impresa, nuovi crediti arrivano solo se garantiti immediatamente.

Come si vede, il concordato in continuità e quello liquidatorio sono strumenti con logiche differenti: ristrutturazione vs liquidazione. In passato la legge distingueva nettamente i due tipi (anche con requisiti diversi, es. la soglia 20% solo per liquidatorio). Oggi il confine normativo è più sfumato, ma resta centrale la distinzione pratica: nel primo caso l’impresa viene preservata, nel secondo no.

Una curiosità: esiste anche la possibilità di un concordato misto, ossia piani dove una parte dell’attività continua e al contempo si liquidano alcuni beni non essenziali. In tal caso, generalmente si qualifica la procedura come “concordato in continuità” (se c’è appunto una componente di continuità, anche non prevalente, come sancito da Cassazione). Ciò permette di applicare le norme più favorevoli della continuità (ad esempio l’assenza di soglia minima di pagamento, la protezione dei contratti, ecc.). Infatti, come visto, oggi basta “una componente di qualsiasi consistenza di prosecuzione” per rientrare nella continuità. L’eventuale liquidazione di beni “non funzionali” all’esercizio non snatura la continuità, purché l’essenza del piano sia di portare avanti l’azienda.

In termini di strategie, la scelta tra proporre un concordato in continuità o uno liquidatorio dipende dalla situazione dell’impresa: se vi è ancora capacità di produrre reddito e un core business sano, o possibili investitori interessati, di norma conviene tentare la continuità. Se invece l’azienda è decotta, senza mercato o fiducia, meglio optare per una liquidazione ordinata tramite concordato liquidatorio (che può evitare qualche conseguenza spiacevole del fallimento, come l’interdizione dell’imprenditore, e dare più controllo sulla vendita dei beni). Talvolta, persino in concordati liquidatori viene nominato un assuntore (spesso una newco dei principali creditori) che rileva in blocco i beni dell’impresa per gestirne la vendita: in tal caso il confine con una continuità indiretta è sottile (l’assuntore può anche continuare l’impresa se vuole, ma ciò avviene fuori dalla procedura, dopo aver pagato quanto pattuito ai creditori concordatari).

In generale il legislatore oggi privilegia la continuità: lo si vede dalle norme di maggior favore (cram down, ecc.) introdotte. Questo perché statisticamente un concordato in continuità ben riuscito paga i creditori in misura maggiore rispetto a una liquidazione, creando anche valore aggiunto. Tuttavia presenta più incognite e richiede competenze di risanamento.

Nella sezione seguente analizzeremo più in dettaglio i vantaggi e i rischi per l’imprenditore che sceglie la strada del concordato preventivo in continuità, nonché gli effetti per i creditori (inclusi i rischi e benefici per loro).

Vantaggi e Rischi del Concordato in Continuità per l’Imprenditore

Decidere di affrontare la crisi aziendale tramite un concordato preventivo in continuità rappresenta per l’imprenditore una scelta impegnativa e piena di conseguenze. Ci sono una serie di vantaggi potenziali rispetto ad altre soluzioni (come il fallimento o la liquidazione tout court), ma anche diversi rischi e oneri da considerare. Elenchiamo i principali.

Vantaggi per l’imprenditore (debitore)

  • Salvaguardia dell’azienda e della posizione imprenditoriale: Il vantaggio più evidente è la possibilità di evitare la perdita dell’impresa. Con la continuità, l’imprenditore mantiene la propria azienda in vita e, spesso, rimane alla sua guida (sia pure sotto vigilanza). In caso di successo, l’impresa può tornare in bonis e l’imprenditore conserva la proprietà (totalmente o in parte) e il controllo del proprio business, se era socio unico o di maggioranza. Al contrario, con un fallimento o una liquidazione, l’imprenditore perde l’azienda definitivamente. Dunque, il concordato in continuità offre una chance di salvataggio.
  • Miglior soddisfacimento dei creditori con conservazione del valore: Sebbene possa sembrare un vantaggio più per i creditori, in realtà anche l’imprenditore ha interesse che i creditori vengano soddisfatti il più possibile (per ragioni di relazioni e anche responsabilità potenziali). La continuità consente spesso di generare un recupero superiore per i creditori rispetto alla svendita forzata: l’imprenditore può proporre di pagare magari il 40-50% dei debiti grazie agli utili futuri, mentre in fallimento i creditori forse prenderebbero un 10-20%. Se i creditori sono soddisfatti meglio, l’imprenditore può mantenere rapporti (ad esempio alcuni fornitori potrebbero continuare a lavorare con l’azienda risanata) e soprattutto evita contenziosi o rivalse personali. Inoltre, pagando di più evita di lasciare troppi creditori insoddisfatti (il che riduce il rischio di azioni di responsabilità verso amministratori o altro).
  • Conservazione dei posti di lavoro e del capitale umano: Un imprenditore spesso si sente responsabile anche verso i propri dipendenti. Il concordato in continuità permette di preservare l’occupazione nell’azienda. Questo è un vantaggio etico e pratico: l’impresa mantiene il suo personale qualificato, evitando dispersione di know-how. Evitare licenziamenti di massa migliora anche il clima aziendale e l’immagine dell’imprenditore nella comunità.
  • Gestione attiva della crisi da parte del debitore: Nel concordato preventivo, a differenza del fallimento, l’imprenditore rimane al timone (non c’è spossessamento totale). Questo gli consente di gestire attivamente la ristrutturazione. Il debtor in possession conosce l’azienda meglio di chiunque e può attuare il piano con maggiore efficacia di un curatore fallimentare estraneo. Può negoziare con fornitori, clienti e nuovi investitori in qualità di soggetto ancora in esercizio, cosa più difficile se l’azienda fosse in fallimento. Questo coinvolgimento motivato del debitore è considerato un fattore di successo nel risanamento (purché il debitore sia competente e in buona fede).
  • Protezione immediata dalle azioni dei creditori (respiro temporale): Appena presentata la domanda di concordato (specie quella con riserva), l’imprenditore ottiene un blocco delle azioni esecutive e cautelari da parte dei creditori. Questo “scudo” gli dà un sollievo immediato: sospende pignoramenti, decreti ingiuntivi, ecc., e congela anche i pagamenti dovuti. È un periodo di moratoria legale che consente di lavorare al piano senza la pressione asfissiante dei creditori alle porte. In altre forme di soluzione (es. accordi stragiudiziali) questo livello di protezione non c’è. Dunque il concordato in continuità offre il vantaggio di guadagnare tempo prezioso per riorganizzarsi, al riparo dai singoli creditori.
  • Soddisfazione parziale dei debiti e scarico dei debiti residui: Se il concordato viene omologato e poi adempiuto, l’imprenditore beneficia dell’esdebitazione automatica. Ciò significa che i debiti pregressi vengono definitivamente cancellati (per la parte non pagata). Al termine, l’azienda esce con una struttura finanziaria ripulita, potendo ripartire senza il fardello dei vecchi debiti. Questo è un enorme vantaggio: in pratica, il concordato in continuità è un “fresh start” per l’imprenditore, analogo al discharge personale nei sistemi anglosassoni. Ad esempio, un imprenditore che aveva 10 milioni di debiti, se ne paga 4 milioni col concordato, i restanti 6 milioni sono estinti. Nel fallimento classico, l’esdebitazione del fallito persona fisica era possibile ma a posteriori e solo per persone fisiche; nel concordato, l’effetto liberatorio vale anche per le società.
  • Possibilità di ottenere nuova finanza durante la procedura: Le norme sul concordato consentono di reperire finanziamenti prededucibili per sostenere l’attività in continuità (art. 100 e 101 CCII). Ciò significa che banche o soci possono immettere liquidità nell’azienda durante la procedura (o in funzione del piano) con la garanzia di venire rimborsati prima di altri crediti, anche in caso di successivo fallimento. Questo vantaggio regolamentare facilita l’accesso a liquidità fresca (il cosiddetto DIP financing). Ad esempio, una banca potrebbe concedere un fido in prededuzione per comprare scorte indispensabili, sapendo che avrà priorità di rimborso. Nel fallimento non esiste analoga agevole possibilità di finanziare continuazione (a meno di esercizio provvisorio, ma è raro e comunque gestito dal curatore).
  • Concordato su misura e controllo sull’iter: Proponendo egli stesso il piano, l’imprenditore ha modo di plasmare la soluzione della crisi secondo le particolarità della propria azienda. Può decidere quali rami tenere, quali dismettere, come trattare diversamente diverse categorie di creditori (sempre nel rispetto della legge). Questa flessibilità consente soluzioni creative (ad es. conversione di crediti in strumenti partecipativi, ecc., benché meno comuni). L’imprenditore mantiene una certa regia: può scegliere gli advisor, l’attestatore, negoziare con i creditori chiave prima del deposito per assicurarsi del consenso. Insomma, conserva più agency sul destino dell’impresa rispetto a subire passivamente un fallimento in cui un curatore liquida tutto secondo logiche standard.
  • Risparmio di eventuali responsabilità personali: Nei concordati preventivi non vige l’automatico spossessamento e l’imprenditore evita alcune conseguenze afflittive tipiche del fallimento: ad esempio, l’interdizione legale e l’inabilitazione (che nel fallimento colpiscono il fallito persona fisica), i procedimenti penali da bancarotta (che comunque possono sussistere se vi sono reati, ma l’impegno nel concordato e l’assenza di distrazioni fraudolente spesso evitano accuse gravi), l’azione dei creditori verso garanti (se la procedura va a buon fine magari le banche non escuteranno fideiussioni personali, se preferiscono accettare il concordato). Inoltre, portare a termine un concordato riuscito può ridurre il rischio per l’organo amministrativo di incorrere in azioni di responsabilità: i creditori concorsuali sono stati soddisfatti e rinunciano alle pretese ulteriori.
  • Mantenimento delle autorizzazioni, fornitori e clienti: Spesso l’impresa ha licenze, concessioni o contratti che sarebbero persi in caso di fallimento (p.es. appalti pubblici decadono se l’impresa fallisce). Con il concordato in continuità, l’azienda resta operativa e può conservare tali asset intangibili: ad esempio, può continuare a eseguire commesse pubbliche se l’attestatore certifica la capacità di proseguirle regolarmente. Allo stesso modo, mantiene la clientela. Ciò è un enorme vantaggio: un’azienda fallita perde automaticamente certificazioni, iscrizioni albi, commesse, mentre un’azienda in concordato in continuità può chiedere di mantenere contratti in corso (specie se li sta adempiendo regolarmente) senza subire esclusioni automatiche.

In sintesi, il concordato in continuità per l’imprenditore è un po’ come imboccare una strada di ristrutturazione protetta invece di subire la liquidazione. Se ben gestito, consente di salvare il “frutto” del lavoro imprenditoriale (l’azienda) e al contempo sistemare la posizione debitoria in modo ordinato e definitivo.

Rischi e oneri per l’imprenditore

Accanto ai benefici, occorre valutare i rischi e i costi di questa scelta:

  • Esito incerto e rischi di fallimento aggravato: Il rischio principale è che il piano di risanamento non funzioni. Se il concordato fallisce nella sua esecuzione (ad esempio l’azienda continua a perdere soldi e non riesce a pagare le rate concordatarie), si arriverà comunque al fallimento, magari in una situazione addirittura peggiorata (perché nel frattempo l’azienda ha bruciato altra cassa o contratto nuovi debiti prededucibili). Questo scenario è purtroppo occorso in vari casi di concordati in continuità non realistici. Il fallimento post-concordato può rivelarsi più pesante: meno attivo residuo e più debiti accumulati (anche se quelli concorsuali originari restano falcidiati nei limiti pagati, i nuovi fornitori o finanziatori potranno insinuarsi come prededucibili). Insomma, se la scommessa del risanamento va male, ci si può trovare peggio di prima. L’imprenditore inoltre avrà perso tempo e risorse.
  • Impegni finanziari per la procedura: Un concordato preventivo comporta costi professionali notevoli. Bisogna pagare l’attestatore indipendente, spesso occorre affidarsi a consulenti (avvocati, advisor finanziari) per predisporre il piano e trattare con i creditori, e vi sono i costi della procedura (fondo spese tribunale, compensi del commissario giudiziale, eventualmente compenso del liquidatore se nominato per cedere beni, ecc.). L’onorario del commissario e degli ausiliari viene di solito posto a carico dell’impresa in prededuzione. Anche l’attestatore è pagato dall’impresa. Inoltre, bisogna spesso destinare risorse per pagare forniture correnti e garantire la continuità durante la procedura, magari con margine limitato. Se l’azienda era già a corto di liquidità, trovare questi fondi è sfidante. Certo, ci sono i finanziamenti prededucibili possibili, ma non sempre facili da ottenere. Un concordato mal preparato può fallire per mancanza di cash nella fase critica. In pratica, affrontare un concordato in continuità richiede un capitale iniziale per sostenere la procedura. L’imprenditore deve valutarlo attentamente.
  • Restrizioni nella gestione (perdita di autonomia): Dal momento del deposito della domanda, l’imprenditore perde la piena libertà gestionale. Ogni atto straordinario dev’essere autorizzato dal giudice, e c’è un commissario che vigila su ogni mossa, richiedendo relazioni periodiche, controllando incassi/pagamenti. Questo può essere frustrante per chi è abituato a decisioni rapide e discrezionali. Ad esempio, non potrà pagare un vecchio fornitore senza autorizzazione (perché equivarrebbe a preferirlo agli altri), non potrà vendere un macchinario obsoleto per fare cassa se non era previsto, ecc. Ogni deroga necessita di motivazione e approvazione. L’imprenditore quindi deve adattarsi a operare sotto supervisione e con formalità legali, rallentando potenzialmente certe operazioni. Anche dopo l’omologa, durante tutta l’esecuzione, permangono controlli (il commissario deve vigilare sino al completamento).
  • Condivisione di informazioni sensibili: Nel predisporre il piano e la relazione, l’imprenditore deve aprire i libri contabili e i piani futuri a terzi (attestatore, commissario, creditori). Ciò comporta la perdita di riservatezza su dati aziendali delicati: piani industriali, margini, etc., diventano di pubblico dominio nel procedimento. I concorrenti potrebbero venire a conoscenza della condizione dell’azienda. Questo è un aspetto da non sottovalutare, anche se mitigato dal fatto che molte informazioni emergerebbero comunque in caso di fallimento (inventari, ecc.).
  • Difficoltà di riconquistare la fiducia di mercato: Nonostante il concordato conservi l’azienda attiva, l’impresa è comunque etichettata come “in concordato”. Alcuni fornitori potrebbero decidere di non rifornire più se non a pagamento anticipato; alcune banche potrebbero chiudere linee di credito. Anche i clienti potrebbero essere diffidenti nell’affidare nuovi ordini, temendo problemi. L’imprenditore deve quindi affrontare un periodo di credibilità ridotta sul mercato. Egli dovrà gestire con attenzione la comunicazione e magari fare affidamento su supporti esterni (nuovi partner, lettere di patronage da nuovi investitori) per rassicurare stakeholder. Questo periodo delicato richiede grandi capacità negoziali e di visione.
  • Vincoli di legge stringenti e rischio di revoca/annullamento: Il concordato in continuità deve rispettare alla lettera molte norme; se l’imprenditore commette errori (ad esempio nasconde informazioni rilevanti, effettua pagamenti non autorizzati a taluni creditori, o diverge dal piano senza autorizzazione), rischia sanzioni severe: il tribunale può revocare i termini (se in fase prenotativa), dichiarare inammissibile la domanda, o successivamente revocare l’omologazione (se scopre atti in frode). Inoltre, i creditori possono fare opposizione in omologa se ritengono che l’imprenditore li abbia trattati ingiustamente. Insomma, c’è un rischio legale costante: muoversi in un concordato è come camminare sul filo, con stretti margini di manovra. Serve una guida legale esperta per evitare passi falsi che compromettano tutto.
  • Eventuale diluizione della proprietà e sacrifici personali: Spesso, per rendere fattibile il piano in continuità, all’imprenditore viene chiesto di mettere risorse proprie (se ne ha) o di accettare l’ingresso di terzi nel capitale. Ad esempio, i creditori possono gradire che l’imprenditore apporti beni personali liquidi per aumentare la percentuale offerta (in molti concordati i soci apportano nuovi fondi). Ciò significa investire altro denaro in un’impresa già in crisi – un sacrificio notevole sul piano finanziario personale. Oppure può doversi rassegnare a cedere il controllo a un investitore esterno (per esempio, un fondo rileva la maggioranza della società in cambio di nuova finanza e dell’impegno a pagare i creditori): l’imprenditore continua a vedere l’azienda operare ma ne perde la proprietà o il timone. Questi compromessi possono essere dolorosi, ma talora necessari per salvare l’impresa. Vanno considerati attentamente sin dall’inizio.
  • Stigma e stress gestionale: Conducendo un’azienda in concordato, l’imprenditore affronta un periodo di intenso stress lavorativo ed emotivo. Deve soddisfare tribunale, commissario, creditori, dipendenti – un equilibrio complesso. Ogni mossa è scrutinata. Inoltre, benché preferibile al fallimento, il concordato ha comunque uno stigma nel mondo affari. L’imprenditore potrebbe sperimentare un contraccolpo psicologico (sentimento di fallimento personale, pressione mediatica se la vicenda è nota). Deve avere la forza di perseverare nel piano nonostante le critiche o i dubbi che possono sollevarsi attorno. Molto dipende dal carattere e dalla determinazione individuale di portare in porto il risanamento.
  • Conseguenze penali in caso di condotte illecite: Se l’imprenditore non si attiene alle regole e commette reati (es. distrazione di beni durante il concordato, falsificazione dei dati di bilancio presentati, preferenze occulte ad alcuni creditori), non solo rischia la revoca del concordato ma anche imputazioni penali (bancarotta fraudolenta, ecc.). Il concordato di per sé non tutela da indagini: se emergono irregolarità pregresse, la Procura può intervenire comunque. Quindi l’imprenditore deve operare con massima trasparenza e correttezza: deve essere disposto a far luce anche su eventuali atti censurabili pregressi, pena la compromissione del concordato e guai giudiziari.

In sintesi, per l’imprenditore il concordato in continuità è come intraprendere un percorso di cura intensiva: può guarire l’azienda, ma comporta cure drastiche con possibili effetti collaterali. Va affrontato con preparazione, supporto di professionisti competenti e consapevolezza. Non è una via facile né priva di rischi, ma se comparata con la fine immediata dell’impresa (fallimento), offre un’opportunità di riscatto che in molti casi vale la pena tentare.

Dopo aver visto la prospettiva del debitore, passiamo ora a considerare gli effetti sui creditori di un concordato in continuità: come vengono trattati, quali vantaggi e svantaggi affrontano rispetto ad altre soluzioni.

Effetti del Concordato in Continuità sui Creditori

I creditori sono l’altra grande parte interessata nella procedura di concordato. Un concordato preventivo, essendo una procedura concorsuale, incide profondamente sui loro diritti: i creditori rinunciano a una parte dei loro crediti e accettano tempi e modi di pagamento diversi da quelli originari, in cambio di una soddisfazione concordata collettivamente e di evitare un fallimento potenzialmente peggiore. Vediamo in dettaglio quali sono gli effetti su di loro, sia immediati sia nel medio termine, quando il debitore intraprende un concordato in continuità.

Sospensione delle azioni individuali e vincolo della par condicio

Dal momento in cui il debitore deposita la domanda di concordato e il tribunale accorda le misure protettive (solitamente immediate con la pubblicazione del ricorso), i creditori non possono più agire individualmente. Questo significa:

  • Divieto di iniziare o proseguire esecuzioni: Nessun creditore può notificare nuovi pignoramenti o atti di sequestro sui beni del debitore. Quelli in corso restano sospesi. Ad esempio, se un creditore stava pignorando un macchinario, con il deposito del ricorso ex art. 54 CCII quel pignoramento non può proseguire e l’asta non verrà tenuta. Ciò tutela la massa: si evita che un singolo realizzi sul bene alterando la par condicio.
  • Divieto di azioni cautelari: non si possono chiedere sequestri conservativi o altre misure cautelari sul patrimonio del debitore durante la procedura.
  • Sospensione delle prescrizioni: i termini di prescrizione dei crediti verso il debitore rimangono sospesi per la durata del concordato (art. 55 CCII), così il creditore non deve temere di “perdere il diritto” se non agisce. Anche i termini di decadenza per far valere diritti restano sospesi.
  • Impossibilità di acquisire titoli di prelazione: se un creditore aveva un credito chirografario e in extremis riesce a farsi dare una garanzia (es. ipoteca su un bene del debitore dopo la presentazione della domanda), quella prelazione è inefficace. L’art. 168 l.fall. (richiamato) e le norme CCII equivalenti tutelano da ipoteche giudiziali o volontarie concesse in periodo protetto. Quindi i creditori non possono nemmeno migliorare la propria posizione rispetto agli altri in questa fase.

In generale, il principio della par condicio creditorum (uguaglianza dei creditori) viene congelato e poi fatto valere nel concordato: i creditori dovranno stare alle regole collettive e non possono più agire ognuno per sé. Per il creditore singolo, questo effetto può essere spiacevole (perde l’iniziativa individuale), ma è bilanciato dalla prospettiva di un trattamento ordinato e (si spera) più favorevole nel concordato.

Falcidia dei crediti e pagamento parziale/dilazionato

Nel concordato in continuità, come in ogni concordato, i creditori vengono normalmente soddisfatti solo in parte del loro credito originario (falcidia) e/o in forma dilazionata nel tempo. Gli effetti tipici sono:

  • Creditori chirografari (non privilegiati): subiscono quasi sempre un taglio (haircut) dell’importo dovuto. Ad esempio, potrebbero ricevere il 30%, il 50% o altra percentuale del proprio credito, come stabilito nel piano. La parte non pagata viene perdonata (sarà cancellata a fine procedura). Dunque, un creditore chirografo deve accettare di perdere una quota del suo credito. Questo è il sacrificio principale richiesto. Inoltre il pagamento spesso non è immediato ma in quote successive: es. 10% al primo anno, 20% al secondo anno, ecc. Quindi i tempi di incasso si allungano (possono essere alcuni anni). In sintesi, i chirografari scambiano la possibilità incerta di realizzare magari qualcosa in fallimento con la certezza di una percentuale definita nel concordato, da ricevere però su un orizzonte temporale più lungo.
  • Creditori privilegiati (ipotecari, pignoratizi, privilegi speciali o generali): in teoria hanno diritto all’integrale soddisfo, ma nel concordato possono subire una dilazione o, se il valore del bene non copre tutto il credito, una falcidia sulla parte eccedente. In base alla legge, un creditore con prelazione su specifici beni (es. ipoteca su immobile) deve ricevere almeno il valore di stima di quel bene al netto costi. Il comma 5 dell’art. 84 CCII consente di non pagare integralmente un creditore ipotecario purché gli si dia almeno il valore di liquidazione del bene su cui ha garanzia, attestato dall’esperto. La parte non coperta dal valore del bene viene degradată a chirografo. Quindi, ad es., se una banca ha 1 milione di credito ipotecario su un capannone stimato 800 mila, nel concordato la banca deve ricevere almeno 800 mila (in moneta o con assegnazione del bene), e il resto 200 mila viene trattato come credito chirografario e magari paga al 30% (60 mila). Ciò è l’analogo di quello che succederebbe in fallimento con distribuzione. Inoltre i privilegiati possono subire una moratoria di pagamento: l’art. 86 CCII permette di posticipare il pagamento dei creditori privilegiati anche oltre un anno dall’omologa, senza limiti fissi (purché ciò sia funzionale al piano e i beni su cui hanno prelazione non siano venduti). Quindi, una banca ipotecaria può vedersi proposta ad es. il rimborso del 100% del proprio credito ma spalmato su 5 anni, con rate o con un bullet finale derivante dalla vendita di un asset al termine del piano. Questo è un effetto importante: in fallimento la banca di solito aspetta la vendita dell’immobile e poi viene pagata, in concordato attende secondo i tempi del piano, che potrebbero essere simili o un po’ più lunghi, ma con la differenza che qui accetta formalmente tale dilazione.
  • Creditori privilegiati particolari (lavoratori): i crediti per salari e stipendi, TFR, e contributi (privilegio ex art. 2751-bis n.1 c.c.) possono anch’essi essere pagati dilazionati, ma con un limite: massimo 6 mesi dall’omologazione. Dunque i dipendenti e collaboratori devono essere pagati entro breve tempo (praticamente subito) per la gran parte dei loro crediti. La falcidia su questi crediti è rarissima (sono privilegiati di alta categoria e in pratica sempre coperti dall’attivo minimo). In un concordato in continuità, spesso i debiti verso dipendenti (stipendi arretrati) vengono pagati integralmente e presto, sia per obbligo morale sia perché altrimenti il personale non lavorerebbe motivato. Quindi per i lavoratori, l’effetto del concordato in continuità è di solito positivo: continuano a lavorare e recuperano i loro arretrati quasi per intero (o li prendono dal Fondo di Garanzia INPS se l’azienda non paga subito, ma poi il credito dell’INPS entra in concordato).
  • Creditori finanziari: banche, obbligazionisti, fornitori di leasing, etc., a seconda che abbiano garanzie reali o meno, vengono trattati come privilegiati (se ipotecari/pignoratizi) o chirografari (per la parte unsecured). Spesso in concordati in continuità si cerca il coinvolgimento attivo delle banche: ad esempio, una banca può accettare di ristrutturare il debito (allungare scadenze, ridurre interessi) invece di prendere un pagamento parziale subito. Oppure può convertire parte del credito in partecipazione azionaria (questo capita in grandi ristrutturazioni: la banca diventa socia). Queste forme di soddisfacimento “alternative” sono possibili previo accordo con i creditori interessati e vanno inserite nella proposta di concordato. Ad esempio, il piano può prevedere che agli obbligazionisti si offra il 50% cash e 50% in azioni della società risanata; costoro votano se gli sta bene. In generale, i creditori finanziari hanno un peso notevole e spesso formano classi specifiche nel voto.
  • Creditori erariali e previdenziali: i debiti verso l’Agenzia Entrate, INPS, etc., nel concordato possono essere anch’essi falcidiati (inclusa IVA e ritenute, ora ammesso grazie alla normativa e giurisprudenza europea). Il trattamento di questi crediti deve però rispettare la transazione fiscale: l’art. 88 CCII richiede che la proposta verso il Fisco sia conveniente rispetto alla liquidazione. Se il Fisco vota no ma la proposta gli dava comunque almeno quanto il fallimento, il tribunale può omologare lo stesso (cram down fiscale). Per i creditori pubblici, quindi, l’effetto è che anche loro possono dover accettare pagamenti parziali e dilazionati. Ad esempio, una società potrebbe pagare solo il 50% di IVA e IRPEF dovute e in 5 anni. Prima ciò era vietato per IVA (bisognava pagarla 100% o niente concordato), ora è possibile. Per gli enti ciò è uno svantaggio rispetto all’aspettativa legale di integrale pagamento, ma d’altra parte se quell’impresa fallisse magari il recupero sarebbe ancora più basso. Inoltre, normative sopravvenute (ad esempio il “saldo e stralcio” in manovre governative) a volte concedono riduzioni di sanzioni e interessi, e il concordato può integrarsi con tali strumenti.

In sintesi, i creditori nel concordato in continuità devono accettare un accordo di ristrutturazione del debito: rinunciano a una quota di credito (che diventa inesigibile, come se lo condonassero) e danno tempo all’azienda di generare risorse per pagarli gradualmente. In cambio, ottengono certezza (giuridica) e trasparenza sul processo: sanno entro quando e quanto riceveranno, e possono contare su un quadro monitorato dal tribunale. Questo rispetto al caos di un default senza procedure è un vantaggio.

Voto e potere decisionale

A differenza di un fallimento, dove i creditori subiscono passivamente le scelte del curatore salvo la nomina del comitato dei creditori, nel concordato i creditori hanno voce in capitolo: votano per approvare o respingere il piano. Questo è un potere importante: i creditori possono valutare la proposta e decidere se secondo loro conviene. Se la maggioranza è contraria, il concordato non passa (salvo poi fallimento). Se sono favorevoli, significa che valutano l’offerta accettabile. Dunque, l’effetto è che i creditori partecipano al processo decisionale. Questo coinvolgimento ha pro e contro per loro:

  • Pro: Hanno la possibilità di influenzare la soluzione della crisi. Ad esempio, possono negoziare miglioramenti prima di votare sì. Sono in qualche misura protagonisti e non solo spettatori. Ciò può portare a esiti più condivisi e soddisfacenti.
  • Contro: Devono assumersi la responsabilità di una scelta spesso complessa, con informazioni non sempre complete (anche se c’è la relazione del commissario). Devono fidarsi delle stime. Inoltre, la frammentazione può portare alcuni creditori a votare contro il proprio interesse (per disinformazione o pregiudizio). Comunque, la maggioranza domina: la minoranza dissenziente può trovarsi vincolata a qualcosa che non voleva. Questo è un effetto: vincolatività per tutti i creditori anteriori. L’omologazione rende il concordato obbligatorio per tutti i creditori ammessi, anche quelli assenti o contrari. Il che significa che un creditore che magari non ha espresso voto o ha votato no, si ritrova ugualmente soggetto alla falcidia e dilazione stabilite. Egli perde il diritto di escutere il debitore per il resto. Questo principio (della maggioranza vincolante) è cardine delle procedure concorsuali, ma per il singolo creditore dissenziente è uno svantaggio: subisce una sorta di cram down (già previsto dalla legge per il caso standard di maggioranza di voti). Con le nuove norme, questo si spinge fino al cross-class cram down, dove addirittura una classe intera contraria può essere superata, come spiegato prima. Ciò potenzia il principio maggioritario: i creditori devono essere consapevoli che se la maggior parte ritiene conveniente la proposta, la minoranza dovrà adeguarsi.

Sospensione degli interessi e sorte dei crediti pregressi

Dal punto di vista contabile per i creditori:

  • Interessi sui crediti chirografari: dal momento dell’apertura del concordato, gli interessi sui debiti chirografari restano sospesi (come in fallimento). I creditori chirografari non maturano ulteriori interessi durante la procedura (salvo che il piano li preveda espressamente, ma raramente si riconoscono interessi ai chirografari). Quindi se un creditore vantava 100.000 € + interessi, al 100.000 viene congelato come capitale certo e di solito la proposta offre un tot su quello, senza interessi futuri. Per i creditori privilegiati invece gli interessi, entro i limiti di capienza del valore del bene, possono continuare a maturare fino all’omologa (specie se ipotecari). Tuttavia, molti piani stabiliscono che il pagamento del capitale privilegiato avverrà al netto di interessi maturati dopo la domanda (che vengono rinunciati). In generale, i creditori devono mettere in conto che non percepiranno interessi di mora o contrattuali durante la procedura – un sacrificio ulteriore, anche se in un contesto di tassi bassi ciò può essere modesto.
  • Crediti postergati o particolari: eventuali crediti dei soci postergati per legge (finanziamenti soci) rimangono subordinati e saranno pagati solo dopo gli altri, in genere nulla. Questo non cambia rispetto alla situazione pre-concordato, ma viene esplicitato che i crediti postergati non votano e non percepiscono nulla se non a integrale soddisfo degli altri (cosa che di solito non avviene). Quindi i soci-finanziatori si vedono confermata la postergazione.
  • Fideiussioni e coobbligati: Un effetto importante sui creditori è che il concordato non coinvolge formalmente i coobbligati e garanti del debitore. Cioè, se Tizio srl è in concordato e deve pagare al fornitore Alfa 30% di quanto dovuto, e Caio (socio) aveva garantito quel debito personalmente, la transazione nel concordato non vincola Caio, il quale – in teoria – resta obbligato verso Alfa per l’intero. L’art. 184 l.f. (ancora applicabile) specifica che l’omologazione libera il debitore ma non i coobbligati e fideiussori. Ciò significa che un creditore potrebbe, per la parte falcidiata non ottenuta dal debitore, agire contro eventuali garanti. Nella pratica spesso succede: le banche, ad esempio, richiedono comunque ai garanti il pagamento. Oppure il garante viene in procedura come terzo assuntore parziale (fornisce egli liquidità per coprire quella percentuale e in cambio viene liberato). Questo è un aspetto dal lato creditori: se hanno garanzie da terzi, non le perdono col concordato (diversamente dal fallimento dove se escutono il garante incassano e poi entrano al suo posto). Nel concordato, l’incasso dal terzo è extra rispetto a ciò che prendono in procedura. Quindi un creditore garantito da terzi può persino soddisfarsi meglio: accetta 30% dal debitore e poi chiede il restante 70% al fideiussore. È ovvio però che se il fideiussore paga, subentra come creditore surrogato verso il debitore, ma ormai il debitore è liberato per quell’importo dall’omologa… c’è un tecnicismo: giuridicamente il garante che paga dopo l’omologa non può rivalersi sul debitore, perché il debito principale è stato ridotto. Pertanto il garante rimane a bocca asciutta (salvo accordi interni). Ciò rende appunto il concordato non efficace verso i terzi. Per i creditori, comunque, questo è un vantaggio: se c’è un terzo solvibile, possono ottenere più del 100% cumulando concordato + garante (anche se poi devono restituire l’eccedenza oltre il 100%, chiaramente non possono arricchirsi, ma possono prendersi tutti gli interessi e spese dal garante). Attenzione: questa possibilità di escutere garanti potrebbe scoraggiare alcuni creditori dal votare il concordato (magari preferirebbero far fallire l’azienda e colpire il garante con più forza). Tuttavia, il tribunale può valutare l’abuso del diritto in certe situazioni.

Utilità specifiche ai creditori nel concordato in continuità

Nel concordato in continuità i creditori potrebbero ricevere utilità non monetarie: il Codice consente la soddisfazione dei crediti anche in forme diverse dal denaro, purché suscettibili di valutazione economica e specificamente individuate. Ad esempio:

  • Assegnazione di beni: un creditore ipotecario potrebbe ricevere in proprietà l’immobile a garanzia, a tacitazione del suo credito (datio in solutum concordataria). Oppure creditori chirografari potrebbero ricevere strumenti finanziari, equity nell’azienda risanata, warrant, ecc. Tali opzioni possono essere elementi di convenienza per taluni creditori (es: i creditori che diventano soci potranno guadagnare se l’azienda risanata cresce).
  • Continuità dei rapporti commerciali: per fornitori che sono anche creditori, il vantaggio del concordato in continuità è che l’azienda resta cliente. Quindi, se accettano uno sconto sul credito pregresso, possono però continuare a vendere prodotti al debitore durante e dopo la procedura. In altre parole, c’è un possibile vantaggio indiretto: mantenere la relazione commerciale. Alcuni fornitori preferiscono prendere 50 cent di euro sul credito passato ma non perdere un cliente che genera margine futuro, piuttosto che vederlo fallire e perdere il cliente del tutto. Questo crea un incentivo a sostenere il concordato in continuità. Invece, in un concordato liquidatorio o fallimento, il cliente sparisce e il credito viene tagliato comunque.
  • Trattamento fiscale dei crediti persi: per i creditori fornitori, la parte di credito non incassata può diventare perdita deducibile fiscalmente (sopravvenienza passiva) nei loro bilanci, una volta omologato il concordato. Ricevono inoltre una certificazione del passivo ammesso. Dunque, dal lato del creditore, un effetto positivo è che la perdita su crediti è certa e documentata, deducibile nell’esercizio dell’omologa. Invece, se il debitore fosse semplicemente insolvente ma non fallisce, magari il creditore fatica a dedurre la perdita. Questa certezza fiscale può far preferire il concordato (dove c’è un provvedimento giudiziario) a una infinita trattativa privata.

Rischi per i creditori

Oltre ai vantaggi in termini di possibile maggior soddisfazione rispetto a uno scenario fallimentare, i creditori affrontano anche rischi:

  • Rischio di inadempimento del piano: Finché il concordato non è eseguito, i creditori hanno sempre il rischio che l’impresa non paghi secondo il piano. In caso di risoluzione del concordato per inadempimento, i creditori si ritrovano a dover insinuarsi in un fallimento successivo. Questo in genere porta a recuperare di meno e con ritardo ulteriore. Quindi, durante l’esecuzione pluriennale del piano, i creditori sono esposti al rischio di credito sulle nuove promesse del debitore. Hanno accettato di commutare i loro vecchi crediti in nuovi crediti (falciati) da incassare a rate: questi nuovi crediti potrebbero anch’essi non venire pagati integralmente. In quell’eventualità sgradita, c’è un aggravio: ad esempio, un creditore chirografo doveva avere 100, accetta 30 su 3 anni, incassa la prima rata 10, poi l’azienda fallisce. Nel fallimento prenderà forse un 5 di residuo. Totale avrà incassato 15 su 100. Invece se fosse fallita subito magari prendeva 10 su 100. Difficile dire, ma il rischio di un peggior esito finale esiste. Per mitigarlo, i creditori possono richiedere eventuali garanzie (talvolta un terzo garantisce i pagamenti futuri del piano) o impegni stringenti, ma non sempre è possibile.
  • Attesa prolungata: i creditori, soprattutto finanziari, potrebbero preferire una chiusura rapida della posizione anche se con incasso leggermente minore, piuttosto che aspettare anni i risultati di un piano. Ciò perché i crediti concorsuali bloccati a bilancio incidono su rating, costi amministrativi, ecc. Ad esempio, una banca deve accantonare a sofferenza quel credito e tenerlo monitorato per anni, mentre un fallimento potrebbe permetterle di chiudere la pratica prima (anche se con perdita). Quindi la pazienza richiesta è un costo per il creditore.
  • Difficoltà di far valere diritti collaterali: Durante il concordato, i creditori se hanno cause in corso sul credito (ad es. cause di riconoscimento di interessi di mora, oppure cause contro coobbligati) potrebbero trovarle complicate: spesso i tribunali sospendono i giudizi in attesa dell’esito del concordato. Inoltre, se vogliono insinuare un credito contestato, in sede di concordato c’è meno formalizzazione rispetto al fallimento (non c’è un vero stato passivo se non in caso di dissenso). Il creditore deve vigilare che il proprio credito sia stato considerato correttamente negli elenchi. Ha la possibilità di sollevare eccezioni al commissario o al giudice, ma la procedura di accertamento è “in forma libera”. Ciò potrebbe portare qualche creditore a temere di restare escluso se non sta attento. Tuttavia può sempre opporsi all’omologa se venisse ingiustamente ignorato.

In generale comunque, i creditori (specie quelli senza garanzie) spesso hanno più da guadagnare accettando un buon concordato in continuità che andando in fallimento. Se non fosse così, voterebbero no. La legge stessa, come visto, impone che il concordato dia almeno pari risultato al fallimento. Dunque, idealmente, i creditori non ci perdono nulla in confronto all’alternativa.

Effetti fiscali e contabili per i creditori

Un cenno: per i creditori, la quota di credito falcidiata diventa una perdita fiscale deducibile (per chi fa impresa) nell’esercizio in cui legalmente risulta certa e definitiva (solitamente l’anno dell’omologa). Riceveranno spesso dal commissario un prospetto dei crediti e percentuali pagate, utile per contabilizzare la perdita. Inoltre, la parte incassata potrebbe essere in parte imponibile se avevano già svalutato il credito in bilancio – ma questo è un dettaglio contabile. I creditori IVA, se fatture non incassate, possono emettere nota di credito IVA per recuperare l’IVA sui corrispettivi non riscossi a causa del concordato (oggi la normativa consente la detrazione IVA nelle procedure concorsuali al momento dell’omologa senza dover attendere la chiusura definitiva). Quindi il creditore fornitore può recuperare l’IVA sulla parte non pagata del suo credito, riducendo il danno.

Conclusione sugli effetti per i creditori

In conclusione, per i creditori il concordato in continuità rappresenta un compromesso: perdono la pretesa originaria di essere pagati integralmente e immediatamente secondo contratto, ma ottengono una soddisfazione parziale collettivamente concordata, potenzialmente migliore di quanto otterrebbero dallo smembramento dell’azienda. Essi inoltre hanno interesse, se credono nella fattibilità del piano, a sostenere la continuità perché un’azienda salvata può tornare un buon cliente o partner in futuro; diversamente il fallimento cancella del tutto quella relazione. Naturalmente tutto dipende dalla credibilità del piano: un creditore ben informato valuterà attentamente il business plan, il track record del management e eventuali garanzie collaterali prima di decidere.

Nel prossimo capitolo vedremo gli aspetti fiscali e contabili dal lato del debitore e della procedura, che completano il quadro tecnico del concordato in continuità.

Aspetti Fiscali e Contabili del Concordato in Continuità

Le procedure concorsuali come il concordato preventivo hanno implicazioni fiscali e contabili peculiari, sia per il debitore sia per i creditori e per la procedura stessa. Di seguito analizziamo i principali aspetti relativi al trattamento tributario e alla gestione contabile di un concordato in continuità.

Trattamento fiscale delle sopravvenienze attive per il debitore

Quando, attraverso un concordato, un’impresa paga solo una parte dei suoi debiti, si genera tecnicamente per il debitore una sopravvenienza attiva (ovvero un “ricavo” straordinario corrispondente ai debiti che vengono eliminati senza esborso). Ad esempio, se l’azienda aveva debiti per 1 milione e ne paga 300.000 € grazie al concordato, in bilancio la riduzione di 700.000 € di debiti equivarrebbe a un guadagno. Normalmente, le sopravvenienze attive sono tassabili come componenti positivi di reddito. Tuttavia, la normativa fiscale italiana contiene regole di favore per evitare che un’impresa già in crisi, che riduce i suoi debiti, venga oltretutto gravata da una tassa su questo “beneficio” contabile. In particolare, l’art. 88, comma 4-ter del TUIR (D.P.R. 917/1986) prevede che:

  • Nel concordato preventivo liquidatorio o fallimentare: le riduzioni dei debiti non si considerano sopravvenienze attive imponibili. Ciò significa che se l’accordo è liquidatorio (cessione beni) o avviene in sede fallimentare, l’intero importo dei debiti stralciati è detassato.
  • Nel concordato di risanamento (quindi in continuità): la riduzione dei debiti non costituisce sopravvenienza attiva imponibile per la parte che eccede le perdite fiscali pregresse utilizzabili, senza considerare il limite dell’80% all’utilizzo delle perdite. In pratica, l’impresa può utilizzare eventuali perdite fiscali pregresse per compensare la sopravvenienza attiva derivante dallo stralcio dei debiti e, se la sopravvenienza eccede tali perdite, l’eccedenza non viene tassata. Inoltre, non si applica il normale limite che consente di usare le perdite pregresse solo fino all’80% del reddito dell’anno: in questo caso specifico si possono usare al 100%.

Tradotto, ciò significa che l’impresa in concordato in continuità generalmente non paga tasse sul “guadagno” derivante dal taglio dei debiti. O sfrutta le perdite a copertura, o se non le ha (o non bastano) la legge comunque esenta la parte eccedente. Se per ipotesi un’azienda in concordato non avesse perdite fiscali da utilizzare (caso raro, perché se è in crisi quasi sempre porta perdite dagli anni precedenti), l’intera riduzione di debiti sarebbe comunque esclusa da tassazione grazie all’eccezione normativa. Questa agevolazione è fondamentale: senza di essa, paradossalmente, un’azienda che dimezza i debiti si ritroverebbe un utile fiscale tassabile considerevole, prosciugando magari la cassa proprio al risanamento avviato. Il legislatore ha evitato questo effetto per non vanificare il concordato.

Da notare che l’Amministrazione Finanziaria ha confermato un’interpretazione ampia di tale detassazione: non è subordinata alla causa sottostante la riduzione. Quindi qualLa normativa fiscale non subordina in alcun modo la detassazione di queste sopravvenienze attive alla causa del taglio del debito. Ciò significa che, indipendentemente dal motivo della riduzione (accordo transattivo, prescrizione parziale, ecc.), la parte di debiti abbattuta nel concordato non genera materia imponibile. Inoltre, tali componenti straordinarie non concorrono all’IRAP (essendo estranee al valore della produzione netta).

Un altro aspetto fiscale cruciale è la transazione fiscale e contributiva disciplinata dall’art. 88 CCII. Nel concordato, il debitore può proporre un trattamento di favore (falcidia o dilazione) per i crediti dell’erario e degli enti previdenziali, inclusi quelli normalmente indisponibili (IVA e ritenute). La proposta va attestata come conveniente rispetto alla liquidazione giudiziale. Le amministrazioni interessate partecipano al voto come una classe di creditori. Se votano a favore, la transazione è approvata; se invece l’Erario o l’INPS votano contro, oggi non hanno più un potere di veto assoluto: il tribunale può comunque omologare forzosamente la proposta (cram down fiscale), purché siano rispettate le condizioni di legge (in primis che ottengano almeno quanto avrebbero in un fallimento). Questo supera il vecchio “dogma” dell’infalcidiabilità dell’IVA: alla luce della giurisprudenza UE e delle riforme, anche l’IVA può essere parzialmente falcidiata in concordato, se ciò massimizza il recupero per il ceto creditorio.

Dal lato dei creditori concorsuali, l’ammissione del debitore al concordato consente loro di operare alcune gestioni fiscali importanti. In particolare, i fornitori che avevano emesso fatture non pagate possono emettere nota di credito IVA per l’importo non incassato (ai sensi dell’art. 26 DPR 633/72, come modificato di recente), recuperando così l’IVA versata sulle vendite rimaste insolute, senza attendere l’esito finale della procedura. Inoltre, la porzione di credito non soddisfatta è contabilizzata dal creditore come perdita su crediti (sopravvenienza passiva deducibile fiscalmente) nell’esercizio di omologa: la legge considera il decreto di omologa una certificazione di inesigibilità del credito, rendendo la perdita deducibile integralmente ex art. 101 TUIR. Questo vale anche per banche e obbligazionisti, che possono dedurre la parte di mutuo o prestito non recuperata. Tali misure attenuano in parte il sacrificio per i creditori, che oltre a incassare la percentuale concordataria, ottengono benefici fiscali immediati (recupero IVA e deduzione delle perdite).

Aspetti contabili per il debitore

Dal punto di vista contabile, durante la procedura di concordato l’impresa continua a redigere il bilancio seguendo il principio di continuità aziendale (going concern), a patto che il piano appaia fattibile e l’azienda resti in attività. Nel bilancio, i debiti verso i creditori concorsuali restano iscritti al loro valore nominale fino all’omologa. Solo dopo l’omologazione, quando giuridicamente i debiti restano dovuti solo nella misura ridotta prevista, si registra l’effetto di esdebitazione. In base ai principi contabili nazionali (documento OIC 19), una ristrutturazione sostanziale del debito va trattata contabilmente come estinzione del debito originario e iscrizione di un nuovo debito per l’importo dovuto secondo l’accordo. Dunque, il debitore eliminerà dal passivo i vecchi debiti (ad esempio, cancellerà 100 di debito originario) e iscriverà i nuovi debiti concordatari (es. 30 da pagare secondo il piano). La differenza (es. 70) viene rilevata a conto economico come provento straordinario (sopravvenienza attiva da esdebitazione). Questo avviene nell’esercizio in cui la procedura è omologata. Come abbiamo visto, tale sopravvenienza attiva non è imponibile ai fini IRES e IRAP, ma contabilmente aumenta il patrimonio netto dell’impresa risanata. In pratica, il concordato produce un rafforzamento dei mezzi propri, perché i debiti si riducono e il differenziale positivo transita a patrimonio netto (dopo il risultato d’esercizio). Ciò migliora gli indici di bilancio (ad esempio, riduce l’indebitamento e ripristina margini di solvibilità).

Contestualmente, gli oneri correlati alla procedura sono rilevati a conto economico come costi straordinari. Ad esempio, il compenso del commissario giudiziale, le parcelle dei professionisti (attestatore, legali) e ogni altra spesa concorsuale sono imputati per competenza. Spesso in vista dell’omologa si iscrivono in bilancio fondi rischi o spese per coprire tali costi. Fiscalmente, questi costi sono deducibili (in quanto inerenti all’attività d’impresa e alla procedura concorsuale). L’IVA sulle parcelle dei professionisti è detraibile dall’azienda (che, continuando l’attività, resta soggetto IVA attivo), mentre il commissario opera al di fuori del campo IVA (il suo compenso è soggetto a ritenuta d’acconto, equiparato a reddito assimilato).

Per fare un esempio semplificato: supponiamo che Alfa S.p.A. abbia debiti verso fornitori per 1 milione. A seguito del concordato, pagherà 300 mila € a saldo (30%) e i restanti 700 mila sono stralciati. In bilancio, dopo l’omologa Alfa eliminerà 1 milione di debiti e iscriverà 300 mila di nuovo debito (pagabile secondo piano), rilevando 700 mila di sopravvenienza attiva. Questi 700 mila € affluiranno al conto economico come ricavo straordinario, ma Alfa non pagherà imposte su di esso grazie all’art. 88, c.4-ter TUIR. I fornitori di Alfa, dal canto loro, contabilizzeranno ciascuno una perdita (ad esempio, Beta S.r.l. creditrice di 100.000 € riceve 30.000 € e registra 70.000 € di perdita) e potranno dedurre fiscalmente tale perdita. Inoltre Beta emetterà una nota di credito per l’IVA sulla parte 70.000 € non incassata, recuperando quell’imposta. Se Beta aveva garanzie personali di Alfa (fideiussioni), potrà escuterle per il residuo 70.000 €; ma Alfa, essendo stata esdebitata, non dovrà restituire nulla al garante per quanto pagato: il garante subirà la perdita finale.

Novità Normative fino al 2025

Negli ultimi anni, la disciplina del concordato preventivo in continuità è stata oggetto di importanti riforme, culminate nel 2022 con l’entrata in vigore del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) e nei successivi interventi correttivi. Ecco un riepilogo delle principali novità normative introdotte fino ad aprile 2025 che riguardano il concordato in continuità:

  • Codice della Crisi d’Impresa (D.Lgs. 14/2019) – Luglio 2022: ha sostituito la vecchia Legge Fallimentare, riformulando la disciplina del concordato preventivo. In particolare, l’art. 84 CCII ha ridefinito la finalità del concordato (soddisfacimento non inferiore alla liquidazione giudiziale) e ha distinto espressamente il concordato in continuità aziendale (comma 2) dal concordato con liquidazione del patrimonio (comma 4). È stata eliminata ogni percentuale minima di legge per i chirografari (niente più soglia del 20%), uniformando il requisito alla regola del miglior soddisfacimento rispetto al fallimento. Sono stati introdotti obblighi specifici per il piano in continuità (moratorie ai privilegiati possibili senza limiti temporali, obbligo di classi, necessità di indicare il valore di liquidazione e gli effetti finanziari del piano). Il CCII ha anche previsto l’omologazione forzata (cram down) su creditori pubblici dissenzienti (art. 88 co. 2-3, in origine limitata a concordati liquidatori, ma base per estensione successiva) e ha integrato nel concordato preventivo le nuove procedure di allerta e composizione negoziata (che influenzano i tempi e modi di accesso al concordato).
  • Decreto Dirigenziale 28 settembre 2021: ha istituito l’Albo degli incaricati della crisi, dove devono essere iscritti i futuri commissari giudiziali, curatori, liquidatori. Dal 2022, per essere nominati commissari nei concordati, occorre essere iscritti a tale albo (gestito dal Ministero della Giustizia). Ciò eleva la professionalità degli organi.
  • D.L. 118/2021 (conv. L. 147/2021) – Composizione Negoziata e Concordato Semplificato: in risposta alla pandemia, ha anticipato strumenti poi confluiti nel CCII. Ha introdotto la Composizione Negoziata per la Crisi (procedura volontaria extragiudiziale di negoziazione assistita da un esperto) e, qualora tale composizione non abbia successo, la possibilità per l’imprenditore di proporre un Concordato Semplificato per la liquidazione del patrimonio (senza voto dei creditori). Di questo concordato semplificato parliamo in dettaglio più avanti; qui basti evidenziare che è una novità assoluta, pensata come ultima spiaggia per chi non riesce a ristrutturare i debiti ma vuole evitare il fallimento dopo aver tentato la composizione negoziata. Il D.L. 118/2021 inoltre ha differito l’entrata in vigore del CCII e sospeso le procedure di allerta (poi entrate in vigore solo nel 2023/2024).
  • D.Lgs. 83/2022 – “Correttivo bis” al CCII: emanato poco prima dell’entrata in vigore del Codice, ha recepito la direttiva UE 2019/1023 (Insolvency) introducendo tra l’altro il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione e modificando vari articoli del concordato. Ha ampliato la possibilità di moratoria per i creditori privilegiati (art. 86 CCII), reso obbligatoria la suddivisione in classi nel concordato in continuità (art. 85), e chiarito i requisiti di ammissibilità (art. 47-48: inammissibilità se piano manifestamente inidoneo). Ha anche modificato l’art. 84, eliminando l’inciso della prevalenza dei ricavi da continuità (ora basta anche non prevalente), e specificando meglio il concetto di valore di liquidazione da confrontare (art. 87). In sostanza, il D.Lgs. 83/2022 ha allineato la nostra disciplina alla direttiva, predisponendo la cornice per il cram down trasversale (anche se non pienamente attuato fino al 2024).
  • D.Lgs. 13 ottobre 2022 n. 149 – Riforma Cartabia del processo civile: ha inciso indirettamente anche sulle procedure concorsuali. Ha modificato le norme sulle impugnazioni: oggi i reclami contro l’omologa del concordato vanno alla Corte d’Appello e poi eventualmente in Cassazione (non più alla Cassazione ex art.111 Cost. direttamente come avveniva in alcuni casi sotto la legge fallimentare). La riforma ha anche introdotto nuovi reati fallimentari applicabili ai concordati, ad esempio punendo l’imprenditore che cagiona danno ai creditori durante una procedura di concordato con atti di frode (nuovo art. 323 quater c.p., inserito dalla L. 14/2023 – Riforma Cartabia penale). Questo rafforza la serietà e la trasparenza richieste durante il concordato in continuità.
  • D.Lgs. 13 settembre 2024 n. 136 – “Decreto Correttivo Ter”: è l’ultimo intervento correttivo al CCII prima del 2025. Ha portato novità sostanziali proprio in tema di concordato in continuità:
    • Ha introdotto esplicitamente il “cross-class cram down” all’art. 112 comma 2 CCII, stabilendo le condizioni per omologare un concordato in continuità nonostante il dissenso di una o più classi. Questa era una novità attesa per dare piena attuazione alla direttiva Insolvency. Dal settembre 2024, dunque, se un concordato in continuità rispetta le regole di distribuzione del valore di liquidazione (priorità assoluta) e del surplus (priorità relativa) e ottiene il voto favorevole di almeno una classe rilevante, può essere omologato anche con classi dissenzienti (mentre prima bastava una classe contraria per bloccare la procedura, salvo il caso particolare del Fisco). Ciò rende i concordati in continuità più “resilienti” di fronte a sacche di opposizione.
    • Ha ridefinito alcuni concetti chiave: il valore di liquidazione (art. 87 CCII) ora è esplicitamente il ricavabile in ipotesi di liquidazione giudiziale, includendo il maggior valore ottenibile vendendo l’azienda in esercizio in fallimento. Questa precisazione mira a evitare sottostime di quel parametro (prima, alcuni dibattevano se considerare o no la vendita in blocco in fallimento). Inoltre ha chiarito che sul valore di liquidazione si applica la graduazione delle prelazioni in modo inderogabile, mentre sul valore eccedente (prodotto dalla continuità) vale la priorità relativa.
    • Ha rafforzato la disciplina della domanda di concordato “in bianco” (art. 44 CCII): adesso il debitore che deposita un ricorso prenotativo deve allegare un abbozzo di piano di risanamento, e intanto gode degli effetti protettivi come se avesse presentato un ricorso pieno, ma subisce la revoca dei termini se compie atti non autorizzati. È una stretta sugli abusi del concordato in bianco, spesso usato in passato solo per prendere tempo.
    • Ha previsto una particolare tutela dell’omologa di concordato in continuità: l’art. 53 CCII modificato stabilisce che la sentenza di omologa resta efficace (e il piano eseguibile) anche se viene appellata, salvo che la Corte disponga diversamente, prevalendo l’interesse dei creditori e lavoratori alla continuità. Questa è una norma “anti-stop” per evitare che un reclamo sospenda l’attuazione e faccia fallire l’impresa nel frattempo.
    • Altre modifiche minori: coordinamenti su termini, eliminazione di rinvii interni per semplificare la procedura, e la conferma che nel concordato in continuità la suddivisione in classi è sempre obbligatoria (già attuato dal 2022).

In sintesi, al 2025 la disciplina del concordato in continuità è molto più organica e robusta rispetto al passato: possiamo contare su una normativa aggiornata, che bilancia l’obiettivo di favorire il recupero delle imprese con meccanismi di controllo (filtri di ammissibilità, attestazioni, intervento giudiziale in caso di dissenso parziale) per garantire equità verso i creditori. Le innovazioni come il cram down interclassi o il concordato semplificato (che vedremo a breve) testimoniano la volontà del legislatore di ampliare la “cassetta degli attrezzi” per gestire le crisi d’impresa in modo più flessibile e tempestivo.

Giurisprudenza Aggiornata: Sentenze Rilevanti

La giurisprudenza, soprattutto di legittimità (Corte di Cassazione), ha fornito negli ultimi anni interpretazioni cruciali per definire i contorni applicativi del concordato in continuità. Di seguito richiameremo alcune sentenze recenti che hanno inciso sulla materia:

  • Cassazione civile, Sez. I, 15 giugno 2023 n. 17092: ha affermato un principio di ampia qualificazione della continuità aziendale. Secondo la Suprema Corte, un concordato preventivo può definirsi “in continuità aziendale” (ex art. 186-bis l.fall., applicabile ratione temporis) ogniqualvolta vi sia una componente, anche minima, di prosecuzione dell’attività, contestuale o successiva all’omologa, purché non vi sia abuso dello strumento. Non rileva, in senso ostativo, che parte dei beni venga liquidata o che vi sia una modifica parziale dell’attività produttiva: anche con liquidazione atomistica di alcuni asset e con una riconversione parziale del business, la procedura resta in continuità se il piano prevede comunque che l’azienda (o una sua parte) continui a operare. Questa pronuncia (resa sotto la vigenza della legge fallimentare) ha consolidato l’indirizzo “estensivo” già emerso negli anni precedenti (Cass. 11915/2019; Cass. 9087/2018), coerente con l’idea che la continuità aziendale vada incentivata anche quando coesiste con elementi liquidatori. Tale principio trova oggi riscontro nell’art. 84 CCII, che non richiede più la prevalenza quantitativa dei ricavi da continuità. Dunque, in virtù di Cass. 17092/2023, è legittimo un concordato “misto” in cui, ad esempio, si prosegue il ramo sano d’azienda e si liquidano cespiti non funzionali: la procedura andrà trattata come concordato in continuità (applicandone le regole).
  • Cassazione civile, Sez. I, 6 agosto 2024 n. 22169: questa sentenza ha affrontato il tema del surplus finanziario generato dalla continuità aziendale e del suo regime di distribuzione. La Corte ha statuito che, in un concordato in continuità ex art. 186-bis l.fall., l’eventuale eccedenza di ricavi prodotta dalla prosecuzione dell’attività rispetto a quanto previsto dal piano non può essere considerata libera dal concorso tra i creditori. Essa rientra a pieno titolo nei beni futuri del debitore e ricade nel principio della responsabilità patrimoniale ex art. 2740 c.c., dovendo rispettare l’ordine delle cause legittime di prelazione. In altri termini, se la gestione caratteristica genera utili maggiori, questi non possono essere sottratti alla regola della par condicio: dovranno essere utilizzati per soddisfare i creditori secondo le graduatorie (salvo diversa previsione concordataria approvata e omologata). La Cassazione, nel caso specifico, chiariva che tale surplus non può essere assimilato a finanza esterna apportata da terzi, ma è frutto dei fattori produttivi aziendali originari e dunque spetta ai creditori secondo le regole concorsuali. Questa pronuncia è importante perché tutela i creditori anche a posteriori: evita che il debitore, una volta omologato il concordato, possa trattenere benefici inattesi dell’andamento aziendale senza distribuirli. La regola enunciata dalla Cass. 22169/2024 oggi trova un corrispettivo nel CCII: il nuovo art. 112, comma 2, lett. b) (introdotto nel 2024) impone, per l’omologa forzata, che il valore eccedente il valore di liquidazione sia distribuito in modo proporzionale (priorità relativa) tra le classi. Questo garantisce che qualunque valore aggiuntivo creato dalla continuità, rispetto alla base minima, avvantaggi comunque i creditori in maniera equa.
  • Cassazione civile, Sez. I, 8 gennaio 2025 n. 348: pronuncia di particolare rilievo in tema di concordato con continuità “mista” (parziale). La Corte ha delineato i requisiti essenziali perché si possa parlare di vera continuità aziendale quando il piano prevede anche la liquidazione di beni non funzionali. Pur ribadendo che la continuità non richiede l’assenza totale di liquidazioni (in linea con Cass. 17092/2023), la sentenza n. 348/2025 ha precisato che la prosecuzione deve riguardare “quanto meno una porzione significativa del nucleo aziendale”, identificabile come un’articolazione funzionalmente autonoma dell’impresa che conservi la propria identità. In pratica, se la continuità è solo su un ramo d’azienda, quel ramo deve rappresentare un pezzo sostanziale dell’attività originaria, mantenendo struttura, clientela e fattori produttivi essenziali, e i beni esclusi dalla liquidazione devono essere strumentali a tale ramo. La Corte aggiunge che la continuità implica che l’impresa prosegua con le sue caratteristiche preesistenti, magari ridotta ma non snaturata o destrutturata. Quindi no a “continuità” meramente formale su attività marginali: deve trattarsi di una continuità effettiva e qualitativa sul core business dell’azienda. Nel caso di specie, la Cassazione ha ritenuto rispettati tali parametri e ha confermato l’omologa del concordato misto impugnato, sottolineando altresì che, qualora il piano non dettagli le modalità di liquidazione dei beni esclusi dalla continuità, è corretto che il tribunale nomini un commissario ad hoc (o liquidatore giudiziale) per sovrintendere a tale liquidazione. Ciò a garanzia dei creditori, affinché la parte liquidatoria residua venga condotta con la necessaria trasparenza. Questa decisione, resa nei primi giorni del 2025, offre una bussola interpretativa: continuità parziale sì, ma con un nucleo duro di attività preservata; in caso contrario, se la parte “in continuità” fosse minima o poco chiara, il concordato potrebbe essere riqualificato come liquidatorio o dichiarato inammissibile.
  • Giurisprudenza di merito recente: oltre alle pronunce della Cassazione, vanno segnalati alcuni orientamenti dei tribunali. Ad esempio, Tribunale di Milano (decr. 22 aprile 2022) ha applicato rigorosamente l’art. 48 CCII dichiarando inammissibile una proposta di concordato in continuità ritenuta manifestamente incapiente, ribadendo che lo strumento va negato se il piano appare ab origine incapace di soddisfare i creditori in misura almeno pari al fallimento (cd. abuso del concordato preventivo). Tribunale di Bari (sent. 30 maggio 2022) ha affrontato uno dei primi casi di cram down fiscale ante correttivo, escludendolo allora per difetto di base legale esplicita (caso poi superato dalla riforma). Tribunale di Roma (2023) in un noto caso ha autorizzato durante il concordato in continuità la cessione di un ramo d’azienda a un investitore prima dell’adunanza, ritenendola un atto di esecuzione anticipata funzionale al miglior esito del piano (aprendo la discussione sull’ammissibilità di operazioni straordinarie “in corso di concordato”, oggi generalmente ammesse se autorizzate e nell’interesse della procedura). Infine, Corte di Appello di Venezia (decr. 2023) ha confermato un’omologazione forzata di concordato in continuità, anticipando di fatto i criteri poi recepiti nel correttivo 2024, a riprova che la prassi giudiziaria e la legge stanno convergendo verso soluzioni che privilegiano il merito economico del piano rispetto a rigidità formali.

In generale, la giurisprudenza aggiornata evidenzia due tendenze: da un lato, una certa apertura verso soluzioni innovative (continuità anche parziale, omologazioni forzose se il piano è equo, ecc.), dall’altro una vigilanza severa sulla serietà dei piani (no a concordati “fantasiosi” o dilatori). I principi enunciati dalle Corti – continuità come tutela di un valore economico da preservare, necessità di trattare il surplus a beneficio dei creditori, definizione stringente di continuità parziale, ecc. – costituiscono oggi il quadro di riferimento per gli operatori.

Ruolo del Commissario Giudiziale e dei Professionisti Coinvolti

Nella procedura di concordato preventivo, entrano in gioco varie figure professionali che ne assicurano il buon funzionamento. Tra queste, spicca il Commissario Giudiziale, organo neutrale di controllo nominato dal Tribunale, e il professionista attestatore, che interviene nella fase preparatoria. Vediamone i ruoli e le responsabilità, insieme ad altri soggetti tecnici.

Il Commissario Giudiziale

Il Commissario Giudiziale è nominato con il decreto di apertura del concordato (art. 47 CCII). Tipicamente è un professionista esperto in crisi d’impresa (dottore commercialista, avvocato o ragioniere) iscritto all’Albo dei gestori della crisi. Il suo compito principale è fare da “occhi e orecchi” del Tribunale all’interno dell’azienda durante la procedura, garantendo la tutela dei creditori. In particolare, il commissario:

  • Vigila sull’operato del debitore: controlla che l’imprenditore conduca l’attività in modo conforme alle norme e al piano. Verifica che non compia atti di straordinaria amministrazione senza autorizzazione, che non favorisce indebitamente qualche creditore, che non disperda beni. Se riscontra irregolarità gravi o atti in frode, lo segnala immediatamente al giudice (ciò può portare alla revoca della procedura e alla dichiarazione di fallimento).
  • Raccoglie informazioni e redige la relazione: entro il termine stabilito (spesso 120 giorni dall’apertura), redige una relazione particolareggiata ex art. 105 CCII. In essa descrive lo stato patrimoniale e finanziario dell’impresa, le cause della crisi, esprime un giudizio sulla fattibilità del piano e sulla convenienza della proposta per i creditori. Questa relazione è depositata in cancelleria e comunicata ai creditori almeno 45 giorni prima del voto, cosicché possano valutare consapevolmente. La relazione del commissario pesa molto nel formare il consenso (un parere negativo del commissario spesso induce i creditori a bocciare il piano, e viceversa un suo giudizio positivo è persuasivo).
  • Gestisce il procedimento di voto: il commissario invia a tutti i creditori l’avviso di convocazione all’adunanza (o le schede per esprimere voto scritto), accompagnato da una copia o sunto della proposta concordataria e dalla sua relazione. Durante l’adunanza dei creditori, il commissario la presiede (il debitore rimane a disposizione per chiarimenti) e annota le deliberazioni. Svolge il ruolo di segretario verbalizzante: constata i voti favorevoli, contrari, le astensioni, e a fine adunanza calcola il risultato, tenendo conto delle maggioranze di legge.
  • Interagisce con il Giudice Delegato/Tribunale: il commissario fornisce pareri su istanze del debitore (es. se l’imprenditore chiede di compiere un atto straordinario, il giudice prima di autorizzare sente il commissario). Inoltre, dopo l’adunanza, stila un verbale con l’esito delle votazioni e lo trasmette al Tribunale. In sede di omologa, può essere convocato per riferire se, ad esempio, qualche creditore ha contestato qualcosa.
  • Vigilanza nella fase di esecuzione: se il concordato viene omologato, il ruolo del commissario di norma cessa con il decreto di omologa. Tuttavia, il tribunale può decidere che il commissario permanga in funzione durante l’esecuzione del piano (specie se lunga e complessa) per monitorarne l’attuazione, riferendo periodicamente. In alcuni casi, se il piano prevede la vendita di determinati beni, l’omologa nomina il commissario anche come liquidatore giudiziale per curare tali vendite e distribuire il ricavato secondo il piano. La Cassazione ha ritenuto legittima questa prassi nei concordati misti. Se durante l’esecuzione il debitore non adempie, il commissario ne informa il Tribunale, che potrà aprire la risoluzione.

Il Commissario Giudiziale è quindi figura di garanzia: super partes, con dovere di diligenza e riservatezza. Può avvalersi di ausiliari (ad esempio, può farsi aiutare da un tecnico per valutare il piano industriale o stimare beni – questi consulenti saranno pagati dalla massa). Per il suo lavoro, il commissario ha diritto a un compenso, determinato a fine procedura secondo i parametri di legge (in genere una percentuale sull’attivo e sul passivo, modulata a discrezione del tribunale in base all’impegno profuso). Il compenso è a carico del debitore in prededuzione.

Professionista Attestatore

Figura diversa dal commissario ma parimenti fondamentale è il professionista indipendente attestatore del piano. Previsto sin dalla Legge Fallimentare, anche nel CCII (art. 87, comma 3) è richiesto che il debitore depositi una relazione di un esperto che attesti veridicità dei dati aziendali e fattibilità del piano. L’attestatore è scelto e pagato dal debitore, ma deve essere terzo rispetto a tutte le parti (requisiti analoghi a quelli del commissario, spesso si tratta di dottori commercialisti o consulenti aziendali molto esperti in ristrutturazioni). Egli effettua una due diligence sull’azienda: verifica i bilanci, la situazione contabile, e soprattutto valuta in modo critico il piano industriale e finanziario presentato dall’imprenditore. La sua relazione deve concludere affermando che i dati di partenza sono veritieri e che il piano, considerate le assunzioni fatte, è realizzabile e idoneo a raggiungere gli obiettivi (pagare i creditori secondo le percentuali proposte). Nel concordato in continuità, spesso l’attestatore simula scenari sul piano, fa analisi di sensitività (ad esempio: cosa accade se i ricavi ritardano di 6 mesi? Il piano regge?), e soprattutto attesta la convenienza per i creditori pubblici se sono falcidiati (è obbligatorio esprimersi sulla convenienza della transazione fiscale per lo Stato). La relazione dell’attestatore è un documento che viene messo a disposizione dei creditori (spesso allegato alla proposta stessa). Pur non avendo efficacia probatoria assoluta, svolge una funzione persuasiva e rassicurativa: i creditori sanno che un tecnico indipendente ha passato ai raggi X il piano. Inoltre, senza attestazione positiva, il tribunale non ammette il concordato (la mancanza dell’attestazione rende la domanda inammissibile). L’attestatore può essere chiamato a rispondere di eventuali negligenze o falsità: in sede penale è prevista la sanzione per attestazioni false o omesse informazioni rilevanti (art. 236-bis l.f., ora trasfuso nell’art. 324 CCII), e civilmente i creditori possono agire contro di lui se con dolo o colpa ha attestato fattibilità di piani poi rivelatisi irrealistici cagionando danno. Pertanto, è una figura sottoposta a forte responsabilità. In molte vicende di concordati poi sfociati in fallimenti, i tribunali e le procure hanno acceso fari sul ruolo degli attestatori, sanzionando chi avesse “chiuso un occhio” su dati infondati.

Altri soggetti:

  • Giudice Delegato/Tribunale: Nel decreto di apertura del concordato, il Tribunale nomina normalmente un giudice delegato (un magistrato addetto alla procedura, come avveniva nel fallimento) per seguire la fase esecutiva fino all’omologa. In alcune prassi, specialmente dopo il CCII, il collegio stesso (Tribunale in composizione collegiale) tiene in mano le redini principali fino all’omologa, avvalendosi di un giudice relatore. In ogni caso, il ruolo della magistratura è di supervisione giurisdizionale: il GD (o il collegio) emana i provvedimenti autorizzativi (es. autorizza contrarre finanziamenti urgenti, autorizza atti straordinari, concede proroghe di termini se legge lo consente), risolve eventuali conflitti (ad es. decide sulle istanze di esclusione di un creditore dal voto, o sulle opposizioni al piano prima del voto). In sede di omologa, il Tribunale valuta il rispetto dei requisiti legali e omologa o respinge l’accordo. Se il concordato è omologato, il Tribunale può nominare un Liquidatore Giudiziale (sovente coincidente col commissario) per curare la fase esecutiva di liquidazione di beni (questo avviene soprattutto nei concordati liquidatori; nei concordati in continuità diretta di solito non serve un liquidatore a parte, ma nei concordati misti può essere utile per i beni da vendere). Il GD poi chiude la procedura con decreto una volta eseguito il piano (o dichiara la risoluzione in caso d’inadempimento).
  • Creditori (comitato eventuale): Nel concordato preventivo non è previsto un comitato dei creditori come nel fallimento. Tuttavia, nulla vieta che i creditori si coordinino informalmente tramite assemblee informali o comitati spontanei per discutere la proposta. Spesso accade che i creditori principali (banche, fornitori strategici) interloquiscano col debitore già prima del deposito del piano, divenendo di fatto partner negoziali. Durante la procedura, i creditori possono presentare osservazioni al commissario o al giudice, fare offerte concorrenti in caso di vendita di beni (il CCII permette, nei concordati liquidatori, proposte concorrenti di terzi; nel concordato in continuità questo non avviene se non per eventuali offerenti su asset secondari).
  • Attori della Composizione Negoziata: Pur esterni al concordato, meritano menzione: l’esperto indipendente nominato per la composizione negoziata (figura introdotta nel 2021) può essere coinvolto nel pre-concordato. Se l’imprenditore arriva al concordato dopo aver tentato la negoziazione assistita, l’esperto redige una relazione finale che può essere utilizzata in tribunale. Inoltre, uno degli sbocchi della composizione negoziata è proprio il concordato (ordinario o semplificato). Quindi l’esperto CNC interagisce col mondo concordatario, pur non essendo organo del concordato.
  • Assuntore: se c’è un assuntore (art. 84 co.1 CCII, soggetto che rileva l’azienda o beni assumendo l’onere di pagare i creditori in cambio), costui non è un organo ma è un protagonista eventuale. L’assuntore deve fornire garanzie di solvibilità e trasparenza (spesso deposita cauzione). Una volta omologato il concordato con assuntore, l’assuntore subentra negli obblighi verso i creditori come stabilito in proposta. Ad esempio, un investitore X si offre di pagare 5 milioni ai creditori entro 6 mesi e in cambio riceve le azioni della società: omologato ciò, X deve versare i 5 milioni nei termini, sotto controllo del commissario/giudice, pena risoluzione del concordato. L’assuntore è spesso decisivo per il successo di concordati di grandi dimensioni (perché porta risorse fresche).
  • Organi sociali e consulenti del debitore: Durante il concordato, il debitore conserva i propri organi (amministratori, consigli di sorveglianza, revisori contabili). Gli amministratori devono cooperare col commissario e agire con prudenza accresciuta (sono pur sempre gestori dell’impresa in crisi, con responsabilità che permangono). I sindaci/revisori vigilano anch’essi sul rispetto della legge (possono interagire col commissario segnalando eventuali problemi). Il debitore di solito si avvale di consulenti legali e finanziari di sua fiducia per predisporre la domanda e il piano e per gestire i rapporti coi creditori: anche se non “ufficiali”, questi advisor (studio legale, società di advisory) giocano un ruolo importante dietro le quinte, supportando l’imprenditore nel traghettare l’azienda attraverso la procedura.

In definitiva, il concordato preventivo in continuità è un procedimento corale, dove diversi attori collaborano o interagiscono: l’imprenditore rimane al comando operativo, ma sotto lo sguardo attento del commissario e con la consulenza dell’attestatore; il tribunale fornisce l’ombrello legale e l’arbitraggio delle regole; i creditori partecipano con il voto e possono interloquire; eventuali terzi investitori si inseriscono per dare soluzioni migliorative. Ognuno ha un ruolo definito e contributi specifici, con l’obiettivo comune (almeno nelle intenzioni) di risolvere la crisi dell’impresa nel modo più efficiente ed equo possibile.

Concordato Semplificato e Nuove Tendenze Interpretative

Accanto al concordato preventivo “ordinario”, la più recente legislazione ha introdotto un istituto peculiare denominato concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio. Introdotto in via transitoria dal D.L. 118/2021 e ora stabilizzato negli artt. 25-sexies e 25-septies CCII, il concordato semplificato rappresenta una procedura concorsuale senza continuità aziendale, ma con iter semplificato, riservata ai casi in cui l’imprenditore abbia esperito senza successo la composizione negoziata della crisi.

Concordato Semplificato: caratteristiche

Le principali caratteristiche che distinguono il concordato semplificato da quello preventivo tradizionale (in continuità o liquidatorio) sono:

  • Accesso condizionato alla composizione negoziata: può proporre il concordato semplificato solo il debitore che ha percorso la fase di composizione negoziata e non è riuscito a trovare un accordo con i creditori. L’esperto nominato deve aver redatto una relazione finale attestando l’impossibilità di trovare una soluzione stragiudiziale idonea (art. 25-sexies CCII). Entro 60 giorni da tale relazione, l’imprenditore può depositare in tribunale una proposta di concordato semplificato, allegando un piano di liquidazione dei beni.
  • Assenza di voto dei creditori: il concordato semplificato non prevede la fase di votazione da parte dei creditori. I creditori sono solo destinatari di un eventuale giudizio di omologazione dinanzi al tribunale, dove possono comparire per opporsi. Questa è una deroga radicale al principio concordatario: l’accordo non è “preventivo” (nel senso di deliberato dai creditori), ma viene imposto eventualmente dal giudice. L’idea è che, avendo già i creditori partecipato alle trattative della composizione negoziata, il loro dissenso sia stato registrato lì; il concordato semplificato è una soluzione d’emergenza, calata dall’alto se il negoziato fallisce.
  • Procedura abbreviata: non c’è una fase di ammissione né il complesso iter con commissario e adunanza. Non viene nominato un commissario giudiziale (anche perché non c’è gestione attiva da monitorare: di regola l’impresa cessa l’attività o è già ferma). Il tribunale, ricevuta la domanda, fissa direttamente l’udienza di omologazione entro 30 giorni e ordina eventuali forme di notizia ai creditori. Può, comunque, nominare un ausiliario (un professionista indipendente) per coadiuvarlo nella verifica del piano, dato che manca la figura del commissario. All’udienza di omologa i creditori possono comparire ed esprimere le loro contestazioni.
  • Contenuto del piano semplificato: è un piano liquidatorio puro: si tratta di cedere/realizzare tutti i beni rimasti e distribuire il ricavato. Può prevedere anche la cessione in blocco dell’azienda o rami (anche se l’attività non prosegue nelle mani del debitore, un terzo potrebbe rilevarla). Non è richiesta una soglia minima di soddisfacimento per i chirografari, né valgono i limiti di falcidia per privilegiati (fermo restando il rispetto del miglior soddisfacimento rispetto al fallimento). Il piano deve però assicurare che ciascun creditore riceva un’utilità anche minima (non è ammesso azzerare integralmente un creditore) e in ogni caso non inferiore a quella realizzabile in liquidazione giudiziale. Questo principio rispecchia il best interest test e il divieto di trattamento deteriore. Ad esempio, si potrebbe anche prevedere di pagare 0% ai chirografari se in fallimento non avrebbero avuto nulla, ma almeno un quid (fosse anche simbolico) è opportuno darlo per superare possibili censure di costituzionalità.
  • Semplificazioni documentali: nel concordato semplificato non sono richiesti molti adempimenti formali tipici del concordato ordinario. Non serve presentare una situazione finanziaria analitica né relazioni attestative ulteriori (si presume valido quanto emerso in composizione negoziata). Non c’è relazione dell’attestatore ex art. 87 CCII, perché di fatto l’attestatore coinciderebbe con l’esperto negoziatore che ha già verificato l’assenza di soluzioni alternative. Non c’è formazione di classi né voto, quindi il piano può essere molto snello.
  • Controllo di merito del tribunale in omologa: proprio perché manca il vaglio dei creditori, il legislatore ha previsto un controllo giudiziale stringente. Il tribunale, all’udienza, valuta sia la regolarità formale sia la fattibilità e convenienza del piano (anche nel merito economico). Deve verificare che i creditori non subiscano pregiudizio rispetto al fallimento e che siano rispettate le cause di prelazione. Se ritiene che una classe di creditori avrebbe di più in fallimento, dovrà negare l’omologa. Se ritiene il piano inattuabile, parimenti rigetterà. In questo senso, si può dire che nel concordato semplificato il giudice supplisce al mancato voto effettuando una sorta di valutazione sostanziale simile a quella che avrebbero fatto i creditori. Se omologa, il decreto produce gli stessi effetti di un concordato normale: vincola tutti i creditori anteriori e li esdebita per la parte eccedente (e resta soggetto a eventuale reclamo da parte degli oppositori).

In pratica, il concordato semplificato è pensato per situazioni dove la continuità non è percorribile e i creditori, pur coinvolti in trattative, non raggiungono un accordo, ma c’è comunque la volontà di evitare la frammentazione del fallimento. Si immagini una piccola impresa artigiana con pochi asset: fallire potrebbe voler dire aste lunghe e costose; con il semplificato, invece, il debitore presenta subito un acquirente per i suoi beni e il giudice omologa la cessione e distribuzione del prezzo senza passare dal voto. È una procedura poco utilizzata sinora, ma costituisce un precedente importante: per la prima volta in Italia è possibile un concorso tra creditori senza il consenso degli stessi, seppur in circostanze eccezionali.

Nuove tendenze interpretative

L’avvento del concordato semplificato riflette una più ampia tendenza del diritto concorsuale verso la diversificazione degli strumenti e la flessibilità. Alcune tendenze e dibattiti attuali da evidenziare:

  • Centralità della Composizione Negoziata: L’introduzione della composizione negoziata (CNC) come tappa quasi obbligata in molti casi (specie per PMI) ha spostato l’attenzione sulla fase stragiudiziale. Oggi c’è l’idea che il salvataggio d’impresa inizi fuori dal tribunale, e che il concordato (ordinario o semplificato) intervenga solo se necessario. Questo significa che nei concordati in continuità presentati ora, spesso c’è alle spalle un tentativo di accordo già fatto: ciò migliora la qualità del piano (molti dati emersi in CNC vengono riutilizzati) e a volte consente di presentare un concordato “preconfezionato” con l’adesione di alcuni creditori chiave. I tribunali guardano con favore ai concordati che nascono da una composizione negoziata, perché presumono che il debitore abbia agito tempestivamente e in buona fede.
  • Maggiore attenzione all’abusività: come accennato, giudici e riformatori hanno sviluppato anticorpi contro l’uso strumentale del concordato. La giurisprudenza dichiara inammissibili le domande presentate solo per ritardare il fallimento, prive di un serio piano di risanamento. Si parla di “abuso del diritto concorsuale” quando, ad esempio, un debitore depositi domanda di concordato in bianco reiteratamente senza poi presentare un piano, oppure proponga percentuali irrisorie contando solo di bloccare le azioni esecutive per qualche mese. Tali condotte sono ora scoraggiate sia dalle norme (termini stringenti, necessità del progetto di piano già con la domanda) sia dal polso più fermo dei tribunali. Una nuova tendenza interpretativa è quella di valutare con rigore la meritevolezza del debitore: se emergono atti in frode (es. spostamento di beni pre-concordato per sottrarli ai creditori), la procedura viene spesso fatta decadere. Il concordato deve essere uno strumento di soluzione, non un espediente dilatorio.
  • Cram down e trattamento dei creditori dissenzienti: con la formalizzazione normativa del cram down interclassi, si consolida l’orientamento per cui il tribunale può sovrapporsi al volere di minoranze dissenzienti. Ci si attende che l’applicazione pratica di queste norme evidenzi nuovi profili interpretativi – ad esempio, come valutare la condizione della “classe in grado inferiore” per la priorità relativa, o come comportarsi se i creditori pubblici contestano la convenienza della proposta. L’esperienza che verrà maturando su questi cram down guiderà probabili futuri aggiustamenti legislativi. È verosimile che i primi casi di omologa forzata post-2024 vengano scrutinati in Appello e Cassazione, producendo nuova giurisprudenza sul punto (p.es. come gestire l’opposizione di classi dissenzienti).
  • Salvaguardia dell’occupazione e interessi dei terzi: nelle valutazioni attuali, acquista peso l’interesse a preservare il tessuto produttivo e i posti di lavoro. La Cassazione, come visto, ha inserito tra i parametri per riconoscere la continuità la mantenimento dei livelli occupazionali e della clientela. Anche i tribunali, in sede di comparazione fallimento vs concordato, tengono conto dell’impatto sociale: un concordato che salva 100 posti di lavoro potrebbe essere considerato preferibile a un fallimento che li azzera, anche qualora la differenza di soddisfacimento per i creditori fosse modesta. Questa sensibilità è in linea con la finalità dichiarata del concordato in continuità (preservare i posti di lavoro). Quindi, c’è tendenza a favorire piani che prevedano la prosecuzione aziendale e la tutela dei lavoratori, purché economicamente sostenibili. Ciò non significa sacrificare i creditori, ma bilanciare gli interessi in gioco in maniera più ampia.
  • Distressed M&A e concordati “di gruppo”: un’altra evoluzione è l’uso del concordato in continuità come strumento di ristrutturazione societaria complessa. Si vedono concordati presentati non solo dalla singola impresa, ma da più società dello stesso gruppo coordinatamente (ancora non c’è una procedura unitaria per gruppi nel concordato, ma il CCII prevede la possibilità di presentare domande contestuali da più società con piano comune coordinato). Gli operatori stanno esplorando la fattibilità di concordati di gruppo, specie con continuità indiretta mediante newco che assorbono assets di varie società. Il legislatore ha predisposto norme ad hoc per le crisi di gruppo, ma serviranno prassi e sentenze a chiarirne l’applicazione.
  • Concordato preventivo “in bianco” più responsabile: la prassi del concordato con riserva, spesso abusata in passato (bastava un ricorso minimale per congelare i creditori per mesi), è ora interpretata restrittivamente: i tribunali pretendono che il debitore arrivi in tempi brevi con proposte concrete, pena la revoca immediata dei termini. La tendenza è di accordare proroghe solo se c’è evidenza di trattative serie in corso o passi avanti (ad es. manifestazioni di interesse da investitori). Questo porta le aziende a muoversi per tempo e a non procrastinare all’ultimo, e se chiedono il “concordato in bianco” lo fanno contestualmente all’avvio della composizione negoziata o poco dopo, presentando già un abbozzo di piano come ora richiesto.

In conclusione, le nuove tendenze nelle procedure concordatarie indicano un percorso verso maggiore professionalità, tempestività e concretezza. Il concordato in continuità si conferma uno strumento di grande utilità, ma da maneggiare con serietà: i tribunali e la Cassazione lo incoraggiano quando è genuino (anche forzando la mano a minoranze dissenzienti), ma lo sanzionano se è pretestuoso. Allo stesso tempo, il legislatore offre vie alternative come il concordato semplificato per non lasciare scoperti i casi in cui manca il consenso. Si tratta di un diritto concorsuale più moderno, in evoluzione, che richiede agli imprenditori, ai loro consulenti e agli organi concorsuali un elevato livello di competenza tecnica e di etica, nell’interesse superiore di dare soluzioni efficaci alle crisi d’impresa.

Casi Pratici, Criticità e Strategie Operative

Per comprendere meglio il concordato in continuità, può essere utile esaminare alcune situazioni tipiche e offrire indicazioni operative. Ogni caso di crisi è diverso, ma esistono criticità ricorrenti e strategie che l’esperienza ha mostrato essere efficaci:

Casi pratici di concordato in continuità:

  • Esempio 1 – Concordato con continuità diretta di media impresa manifatturiera: Un’azienda metalmeccanica con 200 dipendenti accumula debiti per 10 milioni (metà verso banche, metà verso fornitori) a causa di un calo di commesse. Ha però un portafoglio ordini potenziale e know-how prezioso. L’imprenditore, rilevata la crisi, avvia una composizione negoziata: emergono possibili investitori interessati a entrare in società e le banche disponibili a una ristrutturazione. Si passa a concordato in continuità: il piano prevede che l’azienda continui la produzione, affiancata da un nuovo socio industriale che apporta 3 milioni di equity, con cui si pagano i debiti parzialmente. Ai fornitori è offerto il 40% in 4 anni, alle banche la ristrutturazione dei mutui con allungamento e abbattimento interessi. I dipendenti restano tutti; anzi, il nuovo socio apporta commesse. I creditori votano a favore (fornitori allettati dal mantenere il cliente e dal 40% che è più del 20% stimato in fallimento; le banche convinte dall’ingresso del socio). Il concordato viene omologato e l’azienda, sotto la stessa gestione, esegue il piano. Questo caso mostra un concordato virtuoso: crisi affrontata per tempo, coinvolgimento di investitori, creditori soddisfatti in misura dignitosa e business salvato.
  • Esempio 2 – Concordato in continuità indiretta tramite affitto d’azienda: Una catena di negozi al dettaglio (150 dipendenti, brand conosciuto) è insolvente. Un competitor è interessato a rilevarne i punti vendita. Si struttura un concordato in continuità indiretta: durante la procedura l’azienda loca i negozi all’investitore (affitto d’azienda autorizzato), che nel frattempo paga un canone usato per pagare parzialmente i creditori. All’omologa, è previsto che l’investitore diventi assuntore: rileva definitivamente l’azienda, assume tutti i dipendenti e si obbliga a pagare ai creditori concordatari un ulteriore 30% dei loro crediti. I creditori approvano perché l’alternativa sarebbe la chiusura dei negozi e nessuna prospettiva di recupero (magari solo liquidazione di magazzino). Il tribunale omologa, sottolineando che l’operazione consente la continuità del marchio e dell’occupazione. Questo caso evidenzia l’uso del concordato per favorire operazioni di M&A in crisi: l’affitto consente di traghettare l’azienda al nuovo soggetto evitando interruzioni, e l’assuntore apporta risorse fresche per i creditori.
  • Esempio 3 – Concordato “misto” con liquidazione di immobili non strategici: Una società di costruzioni ha sia attività industriale (cantieri in corso, maestranze) sia diversi immobili non legati all’attività (es. immobili dati in locazione). È in crisi per un eccesso di debiti bancari. Il piano concordatario prevede di proseguire l’attività di costruzione (portare a termine due cantieri, dai cui ricavi soddisfare parzialmente i creditori) e contemporaneamente vendere alcuni immobili patrimonio per fare cassa. L’azienda ridimensionerà la propria struttura ma non cesserà di esistere. I creditori chirografari vengono soddisfatti al 30%, grazie a una combinazione di ricavi dei cantieri e incassi delle vendite immobiliari. La continuità è parziale (solo il core real estate development prosegue, la parte di mera gestione immobiliare viene dismessa). Situazioni simili sono frequenti: qui la sfida è classificare correttamente i flussi da continuità e quelli da liquidazione e assicurare che il piano sia coerente. Occorre fare attenzione a descrivere bene nel piano come avverranno le vendite (per evitare dubbi o la necessità di nominare un liquidatore). In un caso reale analogo, il tribunale ha richiesto di specificare tempi e modalità delle vendite e ha subordinato l’omologa alla presenza di offerte vincolanti sugli immobili, così da dare certezza ai creditori. Strategia: in tali concordati misti, è opportuno per il debitore assicurarsi acquirenti (o almeno perizie serie) per i beni da liquidare prima di andare dai creditori, altrimenti rischia contestazioni sulla concretezza di quella parte del piano.
  • Esempio 4 – Concordato semplificato di una piccola società: Una S.r.l. artigiana (3 dipendenti) accumula debiti tributari e verso fornitori per 300.000 €. Il titolare tenta la composizione negoziata, ma i creditori rifiutano qualunque proposta di stralcio perché la società non ha liquidità né prospettive di ripresa (il titolare ha 65 anni e vuole cessare l’attività). Il patrimonio consiste solo nel capannone e in macchinari. Tramite la CNC, però, emerge un potenziale acquirente interessato al capannone con annessi macchinari, per 200.000 €. Non c’è tempo né convenienza a fare un concordato ordinario (non c’è continuità da preservare). Il titolare, assistito dall’esperto CNC, opta per un concordato semplificato: propone di vendere il capannone all’offerente per 200.000 € e ripartire il ricavato tra i creditori (che prenderebbero circa il 65% del dovuto). Presenta il piano al tribunale. I creditori, convocati all’udienza di omologa, alcuni protestano per il taglio (35%), ma il tribunale verifica che in un fallimento probabilmente l’incasso sarebbe lo stesso o minore (aste giudiziarie avrebbero costi, tempi e forse prezzo inferiore) e che comunque tutti prendono qualcosa. Quindi omologa il concordato semplificato. L’acquirente versa i 200.000 €, il tribunale supervisiona la distribuzione pro-quota e dichiara chiusa la procedura. La società viene poi cancellata. Questo esempio, pur semplificato, mostra come il semplificato possa chiudere rapidamente partite modeste evitando un fallimento la cui complessità sarebbe sproporzionata.

Criticità comuni e come affrontarle:

  • Predisposizione del piano industriale: Una delle sfide maggiori nei concordati in continuità è redigere un piano realistico e dettagliato. Criticità: sovrastimare i ricavi futuri o sottostimare i costi di continuità è un errore frequente che porta a default del piano. Strategia: adottare previsioni conservative, includere analisi di scenario, prevedere margini di sicurezza. Far validare il piano da advisor competenti e magari confrontarsi informalmente con qualche creditore chiave durante la stesura per capire se appare credibile. Un buon piano deve identificare con chiarezza le fonti finanziarie per pagare i creditori (utile operativo, vendita asset, nuovo finanziamento) e tempi coerenti (né troppo brevi da stressare la liquidità, né troppo lunghi da far perdere fiducia).
  • Gestione della liquidità durante la procedura: Dal deposito del concordato all’omologa passano mesi in cui l’impresa deve sopravvivere con mezzi propri o finanziamenti interinali. Spesso c’è congelamento dei fidi, fornitori pretendono pagamento alla consegna, ecc. Criticità: rischio di insolvenza immediata in corso di procedura per mancanza di cassa. Strategie: prima di presentare il concordato, assicurarsi linee di credito prededucibili (da banche disponibili) o accordi con fornitori strategici per continuare a fornire beni/servizi (magari garantiti da pagamento delle forniture in prededuzione). Usare strumenti come la finanza interinale (art. 99 CCII) – che consente di chiedere al tribunale di autorizzare nuovi finanziamenti urgenti in pendenza di procedura, garantendo loro lo status prededotto. In pratica, presentare subito dopo l’ammissione un’istanza per ottenere liquidità (ad esempio anticipando crediti futuri) con il beneplacito del commissario. Un monitoraggio stretto del cash flow settimanale è essenziale in questa fase: l’impresa deve redigere budget di tesoreria e aggiornarlo costantemente, informando il commissario.
  • Coinvolgimento dei creditori chiave: Un errore del passato era calare un concordato dall’alto senza consultare i creditori principali, rischiando voti contrari a sorpresa. Ora si è capito che è utile, ancorché non obbligatorio, negoziare con i creditori principali prima e durante la procedura. Strategia: identificare il “nocciolo duro” del ceto creditorio – ad esempio le banche con ipoteche (perché senza il loro sì il piano salta, oppure bisogna convincere il tribunale di cramdown), o i fornitori che rappresentano il 40% dei crediti. Incontrarli, presentare bozze di piano, recepire osservazioni. Magari costituire un comitato dei creditori informale con cui dialogare (questo avviene spesso con le banche, che nominano un advisor comune). Ciò facilita anche l’attività dell’attestatore, che vede concrete possibilità di adesione. Inoltre, conquistare il supporto di uno o due creditori di peso può avere un “effetto traino” su altri più piccoli. Attenzione però a non creare disparità di trattamento occulte: le trattative devono restare nel perimetro di ciò che poi potrà essere offerto paritariamente nelle classi (salvo accordi extra-concordato leciti, come la disponibilità di soci a garantire personalmente qualche fornitore cruciale – ma anche qui cautela, perché potrebbe configurare pagamento preferenziale se fatto in modo non trasparente).
  • Classi e gestione del voto: Con la nuova obbligatorietà delle classi nei concordati in continuità, c’è l’aspetto strategico di come suddividerle. Criticità: definire classi troppo frazionate può complicare il raggiungimento delle maggioranze; definirle troppo aggregate può far emergere opposizioni (creditori disomogenei messi insieme si agitano). Strategia: creare classi omogenee e funzionali: ad esempio, separare banche (spesso differenziare classi tra garantite e chirografarie), separare fornitori strategici da fornitori residuali se li si vuole trattare diversamente (ma ricordare che trattamento diverso deve essere giustificato da differenze oggettive). Obbligatorio è separare i privilegiati non soddisfatti integralmente. In sede di voto, pianificare il raggiungimento delle maggioranze per classi: se si prevede che una classe sarà dissenziente, assicurarsi che le altre approvino e che si possano soddisfare le condizioni del cram down (ad esempio, se si intuisce che una classe di piccoli fornitori voterà no per scontento, bisogna almeno ottenere il sì delle banche e magari creare un paio di classi di chirografari favorevoli in grado di bilanciare, rispettando poi le priorità sul surplus). L’arte di costruire le classi e modularne il trattamento è delicata: può fare la differenza tra successo e fallimento. In caso di cram down, prepararsi con solide argomentazioni per l’udienza di omologa per convincere il tribunale che le condizioni legali sono rispettate (magari con perizie sul valore di liquidazione a supporto).
  • Comunicazione e stakeholder esterni: Un concordato incide anche su altri soggetti come clienti, fornitori non creditori, comunità locale. Criticità: il timore di perdere la fiducia di mercato – es. i clienti possono dubitare della continuità delle forniture o i fornitori di materie prime potrebbero chiedere pagamento anticipato. Strategia: impostare un piano di comunicazione chiaro e positivo: comunicare (quando opportuno e con le dovute cautele) che l’azienda sta ristrutturando per tornare più solida. Evidenziare eventuali elementi di rilancio (nuovi investitori, nuova governance, etc.). Mantenere stretti contatti con i clienti maggiori per rassicurarli sul fatto che gli ordini saranno evasi regolarmente (magari il commissario stesso può certificare che l’azienda li sta servendo, dissipando timori). Con i fornitori critici, negoziare accordi di fornitura protetti: ad esempio pagamento alla consegna per merci essenziali (e includere tali fornitori tra quelli prededucibili, con autorizzazione del tribunale, come previsto dall’art. 95 CCII: si possono pagare in prededuzione fornitori strategici per la continuità). Anche il rapporto con i dipendenti è cruciale: tenerli informati in modo onesto, coinvolgerli se possibile nel rilancio (a volte si ricorre a contratti di solidarietà, con la prospettiva di salvare il posto). Un clima sociale coeso facilita la prosecuzione durante la procedura.
  • Tempistiche procedurali: La durata di un concordato in continuità (dall’idea iniziale all’omologa) può essere significativa (6-12 mesi). Criticità: durante questo tempo, l’andamento economico può cambiare; ad esempio, un peggioramento congiunturale improvviso (pensiamo al rincaro materie prime, o shock tipo pandemia) può far saltare i presupposti del piano presentato. Strategia: prevedere clausole di flessibilità nel piano (ad es. possibilità di chiedere una modifica delle scadenze di pagamento ai creditori in sede di esecuzione, se tutti concordano – anche se ciò richiede poi un nuovo passaggio omologativo). Mantenere aggiornato il commissario su eventuali deviazioni e, se necessario, presentare per tempo istanze di modifica del piano ex art. 119 CCII (possibile in fase di omologa, con nuovo voto, se emergono fatti nuovi rilevanti). Il monitoraggio continuo degli indicatori economici è essenziale per reagire tempestivamente a scostamenti. I concordati meglio riusciti sono quelli in cui l’imprenditore non “abbandona” il timone dopo aver depositato il piano, ma continua a guidare con mano ferma e adattativa l’impresa, di concerto col commissario, fino alla meta finale.
  • Costi della procedura: Il concordato richiede di sostenere vari costi (professionisti, spese di giustizia, commissario, ecc.). Criticità: queste spese riducono le risorse disponibili per i creditori e, se non controllate, possono diventare pesanti specie nelle procedure di più lunga durata. Strategia: valutare i costi ex ante e inserirli nel piano finanziario. Negoziare con i professionisti compensi adeguati ma efficienti (ad esempio, prediligere strutture di advisor con esperienza che possano lavorare in tempi rapidi, minimizzando ore). Il commissario e gli eventuali periti nominati dal tribunale avranno parcelle determinate per legge, su cui l’impresa ha scarso controllo, ma può comunque contenere la complessità della procedura (meno udienze, chiarezza documentale per evitare supplementi di indagine, ecc.). Tenere un atteggiamento collaborativo con gli organi può evitare costosi contenziosi endo-procedurali. In sede di omologa, evidenziare ai creditori (e al giudice) il rapporto tra costi procedurali e benefici: un concordato in continuità produce valore anche per lo Stato (mantenimento posti di lavoro, ecc.) tale da giustificare i costi, mentre un fallimento avrebbe costi diversi (curatore, curatela) comunque non trascurabili.

In conclusione, la gestione operativa di un concordato in continuità è un equilibrismo tra disciplina e flessibilità. Disciplina nel seguire le regole, le scadenze, nel monitorare e rispettare gli impegni; flessibilità nel saper adattare le strategie alle reazioni dei creditori e alle variabili economiche. Non esiste un “manuale” valido per tutti i casi, ma l’esperienza insegna che agire tempestivamente, con trasparenza e con il supporto di professionisti competenti aumenta enormemente le probabilità di successo. Il concordato in continuità è un percorso impegnativo, ma quando ben condotto può trasformare una crisi grave in un’opportunità di rilancio, portando benefici non solo all’imprenditore ma anche ai creditori (più soddisfatti che in uno scenario liquidatorio) e alla collettività (con la salvaguardia di attività economiche e posti di lavoro).

Fonti Normative e Giurisprudenziali

Normativa di riferimento:

  • Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019) – Artt. 84-120 (Disciplina del concordato preventivo); Artt. 44-55 (domanda di concordato con riserva e procedura unitaria); Artt. 86 (moratorie ai privilegiati); 87 (contenuto del piano); 88 (transazione fiscale); 94-bis (tutela contratti pendenti); 105 (relazione commissario); 112 (omologazione e cram down); 25-sexies e 25-septies (concordato semplificato).
  • Legge Fallimentare (R.D. 267/1942) – Artt. 160-186-bis (disciplina previgente del concordato preventivo, per procedure anteriori al 15/7/2022).
  • D.L. 118/2021 conv. L. 147/2021 – Introduzione composizione negoziata e concordato semplificato).
  • Decreto Legislativo 17 giugno 2022 n. 83 – Modifiche al CCII
  • Decreto Legislativo 13 settembre 2024 n. 136 – Ulteriori modifiche al CCII (Correttivo ter).
  • Codice Civile: Artt. 2740 (responsabilità patrimoniale); 2112 (trasferimento d’azienda, richiamato analogicamente per continuità parziale).

Giurisprudenza:

  • Cass., sez. un., 23 gennaio 2013 n. 1521: (principio del controllo di fattibilità limitato e sindacato solo di manifesta inattuabilità).
  • Cass., sez. I, 8 maggio 2019 n. 11915: (continuità indiretta – affitto d’azienda in concordato – ammissibilità).
  • Cass., sez. I, 6 maggio 2020 n. 23139: (concordato in continuità – definizione ampia salvo abuso).
  • Cass., sez. I, 15 giugno 2023 n. 17092: (continuità aziendale presente anche se attività prosegue solo in parte – liquidazione atomistica parziale compatibile).
  • Cass., sez. I, 6 agosto 2024 n. 22169: (surplus della continuità – bene futuro soggetto a prelazione, no distribuzione libera al debitore).
  • Cass., sez. I, 8 gennaio 2025 n. 348: (requisiti continuità parziale; necessità porzione autonoma e identitaria; ok omologa concordato misto; possibile commissario liquidatore per beni liquidandi).
  • Tribunale di Milano, 22 aprile 2022: (inammissibilità concordato con piano inidoneo – abuso del diritto).
  • Tribunale di Roma, 5 luglio 2023: (ok affitto d’azienda ante omologa funzionale a continuità indiretta).
  • Corte App. Firenze, 14 febbraio 2023: (omologazione concordato in continuità con cram down fiscale ante D.Lgs 136/2024 – valutazione convenienza Erario).
  • Tribunale di Bari, 30 maggio 2022: (negata omologa per mancanza adesione Erario – orientamento superato da riforma).
  • Cass., sez. I, 8 agosto 2022 n. 24417: (ammissibilità di proposta concorrente dei creditori pubblici in mancanza di transazione – pronunciata prima del CCII, ora superata).

Concordato Preventivo in Continuità: Perché Affidarsi a Studio Monardo

Se la tua impresa è in crisi ma ancora attiva e con prospettive concrete di rilancio, puoi evitare la liquidazione giudiziale (ex fallimento) presentando un Concordato Preventivo in Continuità.
Si tratta di una procedura concorsuale regolata dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019), che consente di proseguire l’attività, ridurre i debiti, bloccare i creditori e salvaguardare il valore aziendale.

Affidarsi all’Avvocato Giuseppe Monardo significa costruire un piano di continuità credibile, trattare con banche, Fisco e fornitori, ottenere la protezione giudiziale e difendere ogni fase fino all’omologa definitiva.

I vantaggi del concordato in continuità

  • Interrompe i pignoramenti e le azioni giudiziarie
  • Ti permette di continuare a lavorare durante la procedura
  • Puoi stralciare parte dei debiti
  • Proteggi asset, know-how, marchi e occupazione
  • Mostri ai creditori una soluzione strutturata, credibile e legalmente protetta

Cosa fa per te l’Avvocato Monardo

  • Analizza lo stato di crisi e la fattibilità del piano
  • Coordina commercialisti, advisor finanziari e attestatori
  • Predispone la domanda di concordato con tutti gli allegati previsti dalla legge
  • Presenta istanza in tribunale con richiesta di misure protettive immediata
  • Collabora con il commissario giudiziale e rappresenta l’impresa in tutte le fasi
  • Ti guida fino all’omologazione e alla piena esecuzione del piano

Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

L’Avvocato Monardo è:

  • Gestore della Crisi da Sovraindebitamento, iscritto presso il Ministero della Giustizia
  • Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa, abilitato ex D.L. 118/2021
  • Fiduciario di un Organismo di Composizione della Crisi (OCC)
  • Coordinatore di una rete nazionale di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario, tributario e concorsuale

Grazie a queste abilitazioni, può strutturare direttamente ogni fase del concordato, curando il piano economico, la tutela giudiziale e le relazioni coi creditori.

Perché agire subito

  • Il concordato in continuità va preparato prima che l’impresa collassi
  • Ogni giorno di ritardo può significare istanze di fallimento o revoche bancarie
  • La buona fede e la tempestività sono valutate dal tribunale in sede di omologa
  • Agire con un avvocato esperto aumenta le possibilità di approvazione e successo

Conclusione

Il Concordato Preventivo in Continuità è la via legale per proteggere l’azienda, salvare i posti di lavoro e dare nuova vita a un’impresa che merita di sopravvivere.
Affidarsi all’Avvocato Giuseppe Monardo significa essere accompagnati da un professionista abilitato, esperto e operativo su tutto il territorio nazionale, in grado di costruire un piano forte, convincere i creditori e ottenere la protezione del tribunale.

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La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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