Come funzionano gli accordi di ristrutturazione a efficacia estesa?
Scoprilo nella guida approfondita di Studio Monardo, gli avvocati specializzati in crisi d’impresa e accordi di ristrutturazione a efficacia estesa.
In fondo alla guida troverai poi tutti i contatti del nostro Studio Legale per richiedere una consulenza personalizzata.
Buona lettura.
1. Evoluzione normativa e ratio dell’istituto
Gli Accordi di ristrutturazione dei debiti ad efficacia estesa rappresentano uno strumento innovativo introdotto nel diritto concorsuale italiano per superare le resistenze dei creditori minoritari nelle procedure di risanamento aziendale. La genesi normativa risale alla riforma della legge fallimentare avviata negli anni 2000: nel 2005 è stato introdotto l’accordo di ristrutturazione dei debiti ordinario (art. 182-bis L.F.), caratterizzato dalla necessità di adesione di almeno il 60% dei crediti e dall’omologazione giudiziale, senza però vincolare i creditori non aderenti. Tale strumento, pur innovativo, evidenziava un limite: i creditori dissenzienti o inattivi (cosiddetti holdout) potevano ostacolare il risanamento rifiutando di aderire all’accordo e pretendendo il pagamento integrale dei propri crediti.
Per ovviare a questo problema, il legislatore ha introdotto la figura dell’accordo ad efficacia estesa inizialmente limitata ai creditori finanziari. Con il D.L. 83/2015 (conv. in L. 132/2015) è stato infatti inserito l’art. 182-septies L.F., che consentiva al debitore di “forzare” l’adesione delle banche non aderenti quando l’esposizione verso banche e intermediari finanziari superava la metà dell’indebitamento complessivo. In sostanza, se almeno il 75% dei crediti di una determinata categoria omogenea di banche aveva sottoscritto l’accordo, il tribunale poteva estenderne gli effetti anche alle banche dissenzienti di quella categoria, purché informate delle trattative e poste in condizione di parteciparvi. Contestualmente, veniva introdotta la “convenzione di moratoria”: un accordo temporaneo con i soli istituti finanziari per sospendere le azioni di recupero durante le trattative, anch’esso estendibile alle banche dissenzienti in presenza di una maggioranza qualificata. Questa duplice innovazione del 2015 mirava a incentivare accordi di standstill e ristrutturazione con le banche, riducendo il potere di veto del singolo istituto e favorendo soluzioni negoziali della crisi d’impresa.
Successivamente, il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019, di seguito CCII), pubblicato in G.U. il 14 febbraio 2019 e entrato in vigore definitivamente il 15 luglio 2022, ha sistematicamente riorganizzato la materia, inglobando e potenziando l’istituto degli accordi di ristrutturazione. Il CCII ha mantenuto l’accordo ordinario (artt. 57-60 CCII) e l’accordo “agevolato” (art. 60 CCII, v. oltre), ma soprattutto ha esteso la possibilità di efficacia vincolante anche oltre la cerchia dei creditori finanziari, generalizzando l’accordo ad efficacia estesa all’interno dell’art. 61 CCII. Ciò è avvenuto in attuazione della Direttiva (UE) 2019/1023 sulla ristrutturazione preventiva, che incoraggia gli ordinamenti nazionali a predisporre strumenti per superare le opposizioni indebite dei creditori e consentire il risanamento di imprese sane ma appesantite da debiti. In quest’ottica, la ratio legis dell’accordo ad efficacia estesa è quella di evitare comportamenti opportunistici dei creditori (holdout) e facilitare il raggiungimento delle maggioranze necessarie alla ristrutturazione. Il legislatore ha riconosciuto che spesso i creditori minoritari potrebbero astenersi dall’aderire aspettandosi comunque di essere pagati integralmente (specie se altri creditori sacrificano le proprie pretese): estendere gli effetti di un accordo sostenuto da un’ampia maggioranza elimina questo incentivo all’inerzia e rende più probabile il successo del risanamento.
Nel corso del tempo, varie modifiche normative hanno affinato l’istituto. Un primo correttivo al CCII (D.Lgs. 147/2020) e alcune misure emergenziali durante la pandemia Covid-19 (es. D.L. 125/2020 conv. in L. 159/2020) hanno introdotto importanti novità, specie in materia di transazione fiscale e cram-down tributario (v. §7 e §8). In particolare, la L. 159/2020 ha modificato l’art. 182-bis L.F. prevedendo che il tribunale possa omologare gli accordi anche in mancanza di adesione del Fisco o degli enti previdenziali, se la loro adesione è decisiva per il 60% e la proposta è conveniente rispetto alla liquidazione. Tale previsione, recepita poi nell’art. 63 CCII, rappresenta il cosiddetto “cram down fiscale”. Inoltre, la normativa emergenziale ha imposto alla Pubblica Amministrazione di valutare le proposte di transazione fiscale entro 90 giorni e di non rifiutarle quando risultino più convenienti della liquidazione, principi anch’essi confluiti nel Codice.
Da ultimo, il D.L. 13 giugno 2023 n. 69 (conv. in L. 103/2023) ha ulteriormente rafforzato le condizioni per l’omologazione forzosa in presenza di crediti erariali o previdenziali (ossia nel caso di mancata adesione del Fisco/INPS). Questa novella ha sancito espressamente che il meccanismo di cram down fiscale negli accordi di ristrutturazione richiede la presenza di una pluralità di creditori aderenti oltre al Fisco dissenziente, e ha introdotto soglie minime di soddisfacimento per i crediti pubblici e rapporti percentuali che devono essere rispettati (evitando, ad esempio, che l’Erario subisca decurtazioni eccessive se rappresenta la gran parte del debito). Tali modifiche del 2023 rispondono alle esigenze di bilanciare l’efficacia estesa con la tutela dei creditori estranei: l’istituto viene in questo modo rimodellato per impedire usi distorti (come tentare un accordo ad efficacia estesa con un unico creditore coinvolto, es. solo il Fisco, in assenza di un accordo vero e proprio con altri creditori).
In sintesi, gli accordi ad efficacia estesa sono oggi il frutto di un’evoluzione normativa graduale: nati in via limitata per i soli creditori finanziari (2015), sono stati ampliati e generalizzati dal Codice della crisi (2022) per conformarsi alla normativa UE e favorire i quadri di ristrutturazione preventiva. La ratio di fondo resta la medesima: fornire all’imprenditore uno strumento negoziale, alternativo al più gravoso concordato preventivo, in cui una ampia maggioranza di creditori consenzienti possa vincolare la minoranza dissenziente nell’interesse comune di evitare la crisi e massimizzare la soddisfazione dei creditori. Ciò avviene sotto il controllo del tribunale e nel rispetto di condizioni rigorose di equità, come vedremo nel dettaglio. L’istituto rappresenta dunque la “punta di diamante” degli strumenti di composizione negoziata della crisi d’impresa, contribuendo a colmare il divario tra gli accordi puramente stragiudiziali (inefficaci verso terzi) e le procedure concorsuali giudiziali.
2. Requisiti soggettivi e oggettivi per l’accesso
Per poter accedere a un accordo di ristrutturazione dei debiti ad efficacia estesa occorre soddisfare una serie di requisiti soggettivi (chi può accedervi) e requisiti oggettivi (condizioni di ammissibilità legate allo stato di crisi e alle percentuali di adesione).
Requisiti soggettivi – chi può proporre l’accordo. L’accordo di ristrutturazione (ordinario o ad efficacia estesa) è riservato ai debitori assoggettabili alle procedure concorsuali, in particolare alle imprese in crisi o insolvenza che rientrino nel campo di applicazione del CCII. Si tratta dunque principalmente degli imprenditori commerciali (società o ditte individuali) che superino le soglie dimensionali del piccolo imprenditore. In base alla disciplina previgente, erano esclusi dall’accordo ex art. 182-bis L.F. i soggetti “non fallibili” (piccoli imprenditori, imprenditori agricoli, consumatori), i quali potevano semmai accedere alle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento (L. 3/2012). Nel Codice della crisi tali categorie trovano oggi tutela in strumenti ad hoc (come il concordato minore o il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione – PRO per i debitori non fallibili). Dunque, l’accordo di ristrutturazione disciplinato dagli artt. 57 e segg. CCII – inclusa la variante ad efficacia estesa ex art. 61 – si rivolge essenzialmente alle imprese di media-grande dimensione in stato di crisi o insolvenza. Nulla vieta, in teoria, che anche un imprenditore di minori dimensioni tenti un accordo di ristrutturazione, ma in pratica per tali soggetti è più agevole utilizzare le procedure di sovraindebitamento. In ogni caso, è necessario che il debitore sia un soggetto meritevole e cooperativo: il CCII impone infatti al debitore (così come ai creditori) un dovere di correttezza e buona fede durante le trattative, pena il rischio di inammissibilità o di mancata omologazione dell’accordo (ad esempio, se nasconde informazioni rilevanti ai creditori).
Requisiti oggettivi – stato di crisi/insolvenza e percentuali di consenso. Sul piano oggettivo, il debitore deve trovarsi in uno stato di crisi o di insolvenza (anche solo prospettica) tale da richiedere una ristrutturazione del debito. Il concetto di “crisi” nel CCII (art. 2) è inteso come probabilità di futura insolvenza – un deterioramento economico-finanziario che rende prevedibile l’insolvenza se non si interviene. L’accordo può essere utilizzato anche in stato di insolvenza già conclamata (purché non sia ancora intervenuta l’apertura di una procedura di liquidazione giudiziale/fallimento). È dunque uno strumento di regolazione negoziale della crisi prima dell’avvio di procedure liquidatorie, coerente con l’idea di allerta precoce e risanamento incentivati dalla Direttiva UE. Va ricordato che la iniziativa spetta esclusivamente al debitore: è il debitore che predispone un piano e propone ai creditori l’accordo; non esiste accordo di ristrutturazione “imposto” dai creditori.
Il requisito oggettivo centrale è il quorum di adesione dei creditori all’accordo. In linea generale, l’art. 57 CCII (corrispondente all’ex art. 182-bis L.F.) prevede che l’accordo di ristrutturazione sia valido se sottoscritto da creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti complessivi. Tale soglia vale per l’accordo ordinario. Il CCII però introduce una forma di “accordo agevolato” con requisito ridotto al 30% dei crediti (art. 60 CCII) in presenza di determinate condizioni. In particolare, l’accordo di ristrutturazione agevolato è ammesso se: (a) i creditori aderenti rappresentano almeno il 30% dell’indebitamento; (b) il debitore non richiede misure protettive del patrimonio durante le trattative (rinuncia al cosiddetto automatic stay o alla moratoria); (c) non è stata presentata una domanda di concordato “in bianco” o altra procedura concorsuale; e (d) i creditori non aderenti vengono integralmente soddisfatti in modo tempestivo al di fuori dell’accordo (o comunque non subiscono moratorie nei pagamenti). Questa variante agevolata – che non è cumulabile con l’efficacia estesa – consente alle imprese che abbiano pochi creditori dissenzienti e liquidità sufficiente per pagarli di chiudere un accordo con una minoranza più esigua (30%) evitando il passaggio per il concordato. In caso invece di richiesta di misure protettive o di trattamento dilazionato dei creditori estranei, torna necessario il quorum pieno del 60%.
Oltre al quorum generale sul totale dei crediti, per attivare l’efficacia estesa servono ulteriori requisiti oggettivi specifici (approfonditi nel §4). L’art. 61 CCII prevede infatti che, affinché gli effetti di un accordo possano essere estesi ai creditori non aderenti di una certa categoria, è necessario che all’interno di tale categoria omogenea i crediti dei partecipanti rappresentino almeno il 75% di tutti i crediti della categoria. Dunque, oltre al 60% complessivo, occorre una super-maggioranza del 75% nella singola classe di creditori in cui ricadono i dissenzienti da vincolare. Ad esempio, se si vuole estendere l’accordo ad alcuni fornitori dissenzienti, bisognerà creare la categoria dei crediti chirografari-fornitori e raccogliere l’adesione di almeno il 75% di tali crediti; analogamente per le banche dissenzienti, serve che almeno il 75% dei crediti bancari di quella categoria abbia firmato. È importante notare che la classificazione dei creditori in categorie omogenee di posizione giuridica e interessi economici costituisce presupposto dell’efficacia estesa. Non si può chiedere l’estensione se tutti i creditori sono trattati indistintamente; occorre invece suddividerli in classi, ciascuna potenzialmente oggetto di estensione, similmente a quanto avviene nel concordato preventivo con classi di voto.
Riassumendo i quorum richiesti:
- Accordo ordinario: adesione di ≥ 60% dei crediti totali;
- Accordo agevolato (art. 60 CCII): adesione di ≥ 30% (senza misure protettive e con pagamento tempestivo dei dissenzienti estranei);
- Estensione intra-categoria (art. 61 CCII): adesione di ≥ 75% dei crediti di quella categoria omogenea da vincolare.
Dal punto di vista oggettivo sostanziale, l’accordo deve inoltre rispondere a requisiti di meritevolezza e fattibilità. Il piano di ristrutturazione sottostante deve essere idoneo a risanare l’impresa o comunque ad assicurare un pagamento ai creditori migliore di quello ricavabile dalla liquidazione. In particolare, condizione imprescindibile per l’omologazione è che ai creditori non aderenti sia garantito un trattamento non inferiore a quello che avrebbero in una liquidazione giudiziale (c.d. best interest test). Questo principio, ora codificato, vincola i contenuti dell’accordo (v. §3 e §4). Pertanto, oggettivamente, l’accordo deve prevedere la soddisfazione minima dei creditori dissenzienti al valore di liquidazione. Un ulteriore requisito oggettivo introdotto dal CCII, quando si voglia estendere l’accordo a categorie diverse dalle banche, è la natura non liquidatoria dell’accordo: l’art. 61 comma 2 lett. b) richiede che l’accordo preveda la continuità aziendale (prosecuzione dell’attività, diretta o tramite cessione in esercizio), salvo il caso speciale in cui oltre metà dell’indebitamento sia verso banche (in tal caso l’efficacia estesa può operare anche senza continuità, per le sole categorie di banche, ex art. 61 co. 5). Ciò significa che, generalmente, l’accordo ad efficacia estesa è pensato come strumento di ristrutturazione “in bonis” dell’impresa (salvaguardia della continuità), mentre per accordi meramente liquidatori l’estensione è limitata alle banche se ricorre la condizione suddetta. La ratio di tale limite è chiara: coinvolgere forzosamente creditori commerciali o diversi dalle banche è giustificabile se vi è un progetto di prosecuzione dell’impresa (che preserva rapporti e valore economico), mentre se l’impresa cessa l’attività la tutela del singolo creditore torna prevalente (fatta salva la possibilità di coinvolgere le banche quando costituiscono buona parte del debito, in quanto soggetti più strutturati a gestire ristrutturazioni).
Infine, tra i requisiti oggettivi si annovera la predisposizione della documentazione obbligatoria (piano, attestazione, ecc.) di cui parleremo tra breve. Ad esempio, è necessario che un professionista indipendente attesti l’idoneità dell’accordo a raggiungere gli obiettivi prefissati e il rispetto del parametro di convenienza per i creditori estranei. Anche questo è un requisito sostanziale: senza relazione di attestazione positiva, l’accordo non può essere omologato.
3. Procedimento di omologazione e contenuti obbligatori dell’accordo
L’accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa richiede un procedimento misto: in parte negoziale e privatistico (la formazione dell’accordo tra debitore e creditori) e in parte giudiziale (la sua omologazione da parte del tribunale, che gli conferisce efficacia verso i terzi). Vediamo le fasi salienti del procedimento e i contenuti che l’accordo deve obbligatoriamente avere.
a) Fase delle trattative e stipula dell’accordo. Il percorso inizia con la predisposizione, da parte del debitore, di un piano di risanamento e di una proposta di accordo ai creditori. In questa fase l’imprenditore può avvalersi della nuova procedura di composizione negoziata della crisi (introdotta dal D.L. 118/2021) per condurre le trattative con l’assistenza di un esperto indipendente nominato dalla Camera di Commercio. Pur non essendo obbligatoria, la composizione negoziata (o l’allerta tramite OCRI, v. §5) favorisce la collaborazione tra debitore e creditori e può sfociare nella sottoscrizione di un accordo di ristrutturazione. In ogni caso, il debitore deve avviare colloqui con i creditori presentando loro informazioni complete sulla propria situazione patrimoniale, economica e finanziaria e sulle soluzioni prospettate. La legge impone infatti che tutti i creditori potenzialmente coinvolti nell’accordo siano informati dell’avvio delle trattative e messi in condizione di partecipare in buona fede. Ciò implica inviare ai creditori una comunicazione iniziale di avvio negoziati e, durante le trattative, fornire aggiornamenti e dati rilevanti (bilanci, situazione debitoria, bozza di piano, ecc.). Questa trasparenza è fondamentale soprattutto se si vorrà poi chiedere l’estensione dell’accordo ai dissenzienti: la lettera a) del comma 2 dell’art. 61 richiede espressamente la prova che i creditori non aderenti siano stati coinvolti nelle trattative con lealtà.
Dopo aver negoziato i termini, si procede alla sottoscrizione formale dell’accordo da parte del debitore e dei creditori aderenti. Forma e contenuto: l’accordo è un atto scritto (generalmente un documento contrattuale) che riporta tutte le pattuizioni tra le parti. Non è previsto un modello rigido ex lege, ma alcuni contenuti sono obbligatori o comunque standard nella prassi:
- Elenco dei creditori aderenti e % di credito detenuta da ciascuno, per verificare il raggiungimento del quorum (60% o 30% a seconda dei casi).
- Eventuale suddivisione in categorie di creditori omogenei (soprattutto se si intende richiedere l’estensione ai non aderenti di qualche categoria). Nell’accordo devono essere individuate le categorie e specificato quali creditori vi appartengono.
- Descrizione del trattamento dei crediti: per ogni categoria o singolo creditore rilevante si specifica come verrà soddisfatto il credito (es.: pagamento del 80% entro 6 mesi; riscadenziamento a 5 anni con interessi X; conversione del debito in partecipazioni; stralcio totale, ecc.). Se il piano prevede la continuità aziendale, potrà contemplare la prosecuzione dei contratti essenziali, nuove linee di credito, ecc. Se vi sono garanzie reali o personali, occorre indicare l’effetto dell’accordo su di esse (ad es. mantenimento, riduzione proporzionale, liberazione del fideiussore, etc.).
- Clausola di efficacia e condizione sospensiva: usualmente l’efficacia dell’accordo è subordinata all’omologazione da parte del tribunale. Fino a tale omologa, l’accordo rimane “sospeso” (binding in solvendo ma non esecutivo) e acquisterà pieno vigore solo dopo il decreto di omologa. Questa clausola è cruciale perché, fino all’omologazione, i creditori potrebbero teoricamente revocare il consenso; tuttavia, il deposito in tribunale congela la situazione.
- Impegni del debitore: il debitore si obbliga a eseguire il piano di risanamento secondo le scadenze pattuite e a non compiere atti che possano pregiudicare i creditori aderenti. Spesso si inseriscono covenants, obblighi di informativa periodica sullo stato di attuazione del piano, ecc.
- Clausole di salvaguardia per creditori estranei: se alcuni creditori non aderiscono all’accordo, generalmente l’accordo prevede che costoro saranno pagati integralmente alle loro scadenze originali (o immediatamente dopo l’omologa) – questo soprattutto negli accordi agevolati dove è richiesto il pagamento tempestivo dei non aderenti. Nell’accordo ad efficacia estesa invece si specificherà che al tal credito dissenziente si estendono le medesime condizioni previste per gli aderenti della medesima categoria (es.: “Il creditore X, non aderente, sarà soddisfatto nei medesimi termini e percentuale previsti per gli altri creditori chirografari di categoria Alpha, ai sensi dell’art. 61 CCII, a seguito di omologazione”).
- Relazione attestativa: in allegato all’accordo vi deve essere la relazione redatta dal professionista indipendente attestatore, che costituisce parte integrante della documentazione da depositare. La relazione deve attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano, con particolare riguardo alla capacità del debitore di soddisfare i creditori estranei almeno al valore di liquidazione. Nel caso di transazione fiscale inclusa, l’esperto attesta anche la convenienza della proposta per l’Erario rispetto alla liquidazione.
- Piano economico-finanziario dettagliato: spesso allegato come documento separato, descrive le proiezioni economiche, il cash flow previsto, le azioni di rilancio (se continuità) o il programma di liquidazione beni (se del caso), così da dimostrare come verranno generati i fondi per pagare i creditori secondo l’accordo.
- Eventuali garanzie ed apporti: l’accordo può prevedere che il debitore o terzi forniscano garanzie aggiuntive (fideiussioni, pegni, ecc.) o apporti di finanza nuova. Tali elementi vanno descritti (es.: un socio finanzierà la nuova liquidità per €X destinata a pagare parzialmente i creditori). La normativa (art. 100 CCII) tutela i finanziamenti autorizzati in esecuzione del piano, considerandoli prededucibili in caso di successivo fallimento, ma occorre richiedere le necessarie autorizzazioni.
- Clausole risolutive: generalmente si prevede che, in caso di mancato pagamento di determinate rate o di inadempimento rilevante del debitore, l’accordo si considererà risolto di diritto, consentendo ai creditori di agire esecutivamente o chiedere il fallimento (su questo v. §8, giurisprudenza in tema di risoluzione degli accordi).
- Foro competente: questioni inerenti all’esecuzione dell’accordo post-omologa possono essere demandate al tribunale che ha omologato o ad arbitri, ma in pratica qualunque controversia significativa sarà gestita dal tribunale fallimentare competente (specie se sfocia in istanza di apertura di liquidazione giudiziale).
b) Deposito della domanda di omologazione in tribunale. Una volta sottoscritto l’accordo con le percentuali richieste, il debitore deposita presso il tribunale competente (sezione specializzata in crisi d’impresa) una domanda di omologazione. Questo ricorso deve essere corredato da tutti i documenti previsti dall’art. 48 CCII (richiamato per gli accordi dagli artt. 57 e 61):
- testo dell’accordo firmato,
- elenco completo dei creditori con indicazione di quelli aderenti e non,
- relazione dell’attestatore,
- piano di risanamento,
- situazione patrimoniale, economica e finanziaria aggiornata,
- eventuale domanda di concessione di misure protettive (stay) o autorizzazioni (ad es. per pagare creditori strategici prima dell’omologa, per contrarre finanziamenti prededucibili, ecc., ex art. 54 CCII).
Il deposito dell’accordo deve essere effettuato entro 30 giorni dalla data dell’ultima sottoscrizione, pena la perdita di efficacia delle dichiarazioni di consenso (per evitare che un debitore raccolga firme e poi tergiversi, con possibili mutamenti della situazione). L’accordo e la domanda di omologa vengono quindi pubblicati nel Registro delle Imprese a cura del cancelliere. La pubblicazione funge da notizia legale a tutti i creditori: da quel momento decorre il termine di 30 giorni entro cui i creditori e ogni altro interessato possono proporre opposizione all’omologazione. I creditori non aderenti ai quali si intende estendere l’accordo devono inoltre ricevere notifica individuale del ricorso e degli atti allegati; per costoro il termine di 30 giorni per fare opposizione decorre dalla ricezione della notifica. Questo doppio regime (pubblicazione generale + notifica ai destinatari dell’estensione) garantisce che tutti abbiano effettiva conoscenza e possibilità di intervento.
Contestualmente al deposito, il debitore può chiedere al tribunale la sospensione o il divieto di azioni esecutive o cautelari da parte dei creditori (le misure protettive, ex art. 54 CCII). Tali misure, analoghe all’automatic stay del concordato, servono a congelare le pretese dei creditori durante la pendenza dell’omologa, impedendo pignoramenti, sequestri e altre iniziative che potrebbero pregiudicare la par condicio o la fattibilità dell’accordo. Le misure protettive possono riguardare tutti i creditori o solo alcuni ed hanno durata iniziale fino a 4 mesi, prorogabili. Nell’accordo agevolato, come detto, il debitore rinuncia a queste misure (perché condizione per la soglia al 30%). Negli accordi ordinari o ad efficacia estesa invece di norma le richiede, dato che è essenziale evitare che qualche creditore estraneo (o anche aderente impaziente) avvii azioni esecutive nel frattempo. Il tribunale, con decreto inaudita altera parte, concede le misure protettive se ritiene la domanda di omologa ammissibile e non manifestamente abusiva.
c) Istruttoria e omologazione da parte del tribunale. Il procedimento di omologazione degli accordi è disciplinato dall’art. 48 CCII richiamato. In assenza di opposizioni, il tribunale decide sull’omologa in camera di consiglio con decreto motivato. In presenza di opposizioni di creditori o terzi, si instaura un sub-procedimento contenzioso: il tribunale fissa un’udienza, cita le parti e al termine decide sulle opposizioni e sull’omologazione con sentenza (o decreto reclamabile, a seconda dei casi). Il CCII, a differenza della vecchia legge, ha armonizzato il rito di omologa di concordati e accordi. In passato l’omologa dell’accordo era adottata con decreto non reclamabile (impugnabile solo per Cassazione); oggi la tendenza è di prevedere forme di reclamo in appello. Ad esempio, se l’accordo coinvolge crediti tributari non aderenti, l’art. 63 CCII ammette reclamo al tribunale superiore in caso di diniego di omologa forzosa (v. infra). In generale, il ruolo del tribunale è di verifica della legalità e fattibilità dell’accordo: controlla il raggiungimento delle percentuali di legge, la regolarità della formazione della volontà dei creditori (assenza di dolo, errore, informazioni corrette), l’idoneità del piano a soddisfare almeno in misura minima i creditori non aderenti, nonché il rispetto delle condizioni di legge per l’eventuale efficacia estesa (informativa ai dissenzienti, omogeneità di trattamento, ecc.). Il tribunale non sindaca nel merito la convenienza dell’accordo per i creditori aderenti (che hanno già espresso il loro consenso), ma deve valutare le contestazioni dei creditori opponenti sul punto della propria minor soddisfazione. In altre parole, se un creditore non aderente fa opposizione lamentando che l’accordo gli darebbe meno di quanto otterrebbe liquidando il debitore, il giudice è tenuto a esaminare la convenienza comparativa per quel creditore (anche avvalendosi della relazione dell’attestatore e di eventuali CTU). Se riscontra che effettivamente il best interest test non è rispettato, dovrà negare l’omologa, oppure – importante novità del CCII – potrà omologare escludendo da efficacia l’opponente dissenziente. L’art. 48 co. 5 CCII infatti consente una sorta di omologa parziale: il tribunale, se un’opposizione di un creditore non aderente è fondata, può omologare comunque l’accordo escludendo quell’opponente dagli effetti dell’accordo. In tal caso, quel creditore resta estraneo e potrà agire autonomamente (ad esempio, un fornitore la cui opposizione per insufficiente convenienza sia accolta verrà estromesso dall’accordo: l’accordo varrà per tutti meno che per lui). Questa possibilità – analoga alla non-cramdown di una singola classe nel concordato – evita che l’intero accordo fallisca per l’opposizione di un solo creditore, purché l’esclusione di costui non comprometta l’equilibrio generale (ad esempio, occorrerà che il debitore sia in grado di pagarlo a parte, altrimenti l’accordo senza quella decurtazione potrebbe non reggere).
In udienza di omologa, particolare attenzione è dedicata ai creditori pubblici (Erario e enti previdenziali) qualora dissenzienti. Come anticipato, dal 2020 è possibile omologare l’accordo anche senza il voto favorevole del Fisco/INPS, a condizione che:
- il loro assenso sarebbe decisivo per raggiungere la soglia del 60% (cioè, senza la loro adesione l’accordo non arriva al quorum richiesto, mentre con la loro adesione lo supererebbe);
- la proposta di soddisfacimento a loro rivolta sia conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria (ossia il piano offre a Fisco/INPS almeno quanto verrebbe ricavato in caso di fallimento);
- siano rispettati i principi di trattamento non deteriore rispetto ad altri creditori di pari grado (c.d. divieto di trattamento deteriore dei crediti fiscali);
- (dopo le modifiche 2023) vi siano altri creditori aderenti e il debitore non abbia costruito un accordo “fittizio” coinvolgendo solo il Fisco; inoltre sono stati fissati limiti minimi di soddisfazione: per esempio, pare che ora si richieda che la percentuale offerta al Fisco non scenda sotto determinati valori se esso rappresenta una larga fetta del debito.
Se queste condizioni sono rispettate, il tribunale può omologare forzosamente l’accordo includendo anche il credito fiscale/previdenziale dissenziente (questo è il cram down fiscale, disciplinato dall’art. 63 CCII, in parallelo all’omologa di concordato ex art. 48 co.5 CCII). In caso contrario, se ad esempio il Fisco è l’unico creditore coinvolto nell’accordo e tutti gli altri creditori sono stati pagati fuori accordo, la richiesta di omologa forzosa sarà dichiarata inammissibile per carenza dei presupposti. Così ha stabilito la Corte d’Appello di Roma (sent. 5412/2024) in un caso emblematico: una società proponeva un accordo riguardante solo il debito fiscale (86% delle passività) offrendone il pagamento al 21,5% (contro un 3,8% stimato in caso di fallimento); il Tribunale aveva omologato forzosamente ritenendo soddisfatti i requisiti, ma in sede di reclamo la Corte d’Appello ha revocato l’omologa, affermando che “l’operatività del cram down fiscale richiede un preventivo accordo con altri creditori”. In pratica, il meccanismo non può essere utilizzato se non c’è un accordo di ristrutturazione in senso proprio con almeno una parte di creditori (oltre al Fisco), in quanto altrimenti si tradurrebbe in una transazione fiscale giudiziale priva di base negoziale. Questa pronuncia, in linea con la novella del 2023, conferma la necessità di una platea di creditori aderenti sufficientemente ampia da giustificare l’intervento sostitutivo del giudice solo per far raggiungere il quorum mancante.
Conclusa l’istruttoria, il tribunale emette decreto di omologa (o sentenza). Se omologa l’accordo, ne dichiara l’efficacia anche rispetto ai creditori indicati e dispone gli adempimenti pubblicitari (notifica ai creditori esclusi, iscrizione nel Registro delle Imprese). Da quel momento, l’accordo acquista piena efficacia vincolante. Viceversa, se il tribunale rifiuta l’omologa (ad esempio perché il piano non assicura il rispetto del best interest test, o per qualche irregolarità insanabile), l’accordo non produce effetti giuridici e il debitore, di regola, si ritrova esposto alle azioni esecutive dei creditori. In tal caso potrà valutare di ripiegare su un concordato preventivo o altra procedura, oppure i creditori potranno chiederne il fallimento.
d) Contenuti post-omologa ed esecuzione dell’accordo. Una volta omologato, l’accordo di ristrutturazione costituisce un titolo esecutivo. Ciò significa che se il debitore non adempie alle obbligazioni previste (es: non paga una rata concordata), i creditori possono procedere direttamente con l’esecuzione forzata sulla base del provvedimento di omologa, senza dover ottenere ulteriori sentenze. L’accordo omologato vincola il debitore e tutti i creditori aderenti, nonché quelli non aderenti delle categorie a efficacia estesa (salvo eventuali esclusi per decisione del tribunale). Nei confronti dei creditori estranei (non aderenti e non inclusi in categorie a cui sia stata estesa l’efficacia), l’accordo in sé non ha efficacia liberatoria: tali creditori conservano i loro diritti per intero. Tuttavia, è prassi che l’accordo preveda di soddisfarli integralmente separatamente (come già discusso). Inoltre, l’omologazione produce l’effetto indiretto di esentare il debitore da azioni revocatorie e responsabilità penali per i pagamenti e le operazioni eseguite in applicazione dell’accordo (benefici analoghi a quelli del concordato: ad esempio, i pagamenti effettuati in esecuzione dell’accordo omologato non sono soggetti a revocatoria fallimentare se il debitore fallisce successivamente).
Durante l’esecuzione, il CCII non prevede un commissario giudiziale o un organo di controllo (diversamente dal concordato). Spetta quindi al debitore dare attuazione al piano e ai creditori vigilare sull’adempimento. L’accordo non si risolve di diritto se l’impresa torna in difficoltà, a meno che non sia espressamente pattuito. I creditori aderenti, in caso di inadempimento, possono agire per risoluzione contrattuale in base alle norme civilistiche o, più frequentemente, presentare istanza di fallimento (liquidazione giudiziale) del debitore inadempiente. La giurisprudenza ha chiarito che un creditore aderente all’accordo ha piena legittimazione a chiedere il fallimento se il debitore non rispetta l’accordo e permane uno stato di insolvenza, senza necessità di passare per una formale risoluzione dell’accordo in tribunale. Le Sezioni Unite della Cassazione (sent. 4696/2022) hanno infatti statuito che, diversamente dal concordato preventivo (dove la risoluzione deve essere dichiarata dal tribunale prima di poter depositare istanza di fallimento, salvo nuove insolvenze sopravvenute, cfr. art. 119 co. 7 CCII), per l’accordo di ristrutturazione non è previsto un analogo procedimento di risoluzione: il creditore potrà direttamente chiedere il fallimento se il suo credito ristrutturato rimane impagato alla scadenza concordata. Dunque l’accordo, pur omologato, non offre una protezione definitiva: se non viene eseguito correttamente, l’impresa può comunque essere dichiarata insolvente su istanza dei creditori (e in tal caso i crediti originari risorgono per l’intero importo al netto di quanto eventualmente già incassato secondo l’accordo). È tuttavia possibile per le parti inserire clausole di risoluzione stragiudiziale (ipso iure) per inadempimento, per avere certezza del momento di scioglimento dell’accordo in caso di default.
In conclusione, il procedimento per un accordo ad efficacia estesa richiede scrupolo e trasparenza: fin dalle trattative il debitore deve costruire consenso e rispettare le percentuali prescritte, quindi affidarsi al vaglio del tribunale dotato di poteri di controllo importanti (anche di modifica parziale dell’efficacia). L’accordo risultante è un atto negoziale omologato che vincola le parti come un contratto, con la particolare efficacia ultracontrattuale verso alcuni terzi prevista dalla legge (i creditori estranei coinvolti). I contenuti obbligatori dell’accordo – in primis la soddisfazione minima dei non aderenti e la continuità aziendale quando richiesta – fanno sì che questo strumento operi nel rispetto dei principi di equità e pari trattamento. Nel prossimo paragrafo analizzeremo più in dettaglio gli effetti specifici dell’omologazione nei confronti dei creditori non aderenti.
4. Effetti dell’accordo omologato sui creditori non aderenti
L’elemento distintivo degli accordi ad efficacia estesa consiste proprio negli effetti che l’accordo, omologato dal tribunale, produce nei confronti dei creditori non aderenti (dissenzienti o estranei). In via generale, in mancanza di efficacia estesa, un accordo di ristrutturazione dei debiti ha natura contrattuale e vincola solo i creditori che vi hanno aderito (efficacia inter partes ex art. 1372 c.c.), mentre i creditori non aderenti restano estranei e conservano intatti i loro diritti di credito. L’art. 61 CCII deroga a questo principio di relatività del contratto, consentendo – al ricorrere di rigorose condizioni – di vincolare anche taluni creditori non firmatari, equiparandoli di fatto agli aderenti. Esaminiamo dunque:
- Quali creditori non aderenti possono essere coinvolti e a quali condizioni;
- Quali effetti concreti subiscono tali creditori in seguito all’omologazione;
- Quali tutele sono previste a loro garanzia (opposizione, limiti all’estensione, ecc.).
Categorie di creditori non aderenti coinvolgibili. L’accordo ad efficacia estesa non implica che tutti i creditori estranei siano automaticamente vincolati: l’estensione riguarda solo i creditori appartenenti a una medesima categoria omogenea indicata nell’accordo, e solo se per quella categoria si raggiunge il 75% di consensi. Dunque, in sede di proposta di accordo, il debitore deve strategicamente individuare le categorie di creditori rispetto ai quali potrebbe essere necessario forzare la mano. Per esempio, può creare:
- una categoria di banche finanziatrici chirografarie,
- una categoria di fornitori commerciali,
- una categoria di locatori/affittuanti, ecc.,
tenendo conto che all’interno di ciascuna categoria i creditori abbiano posizione giuridica e interessi economici omogenei (art. 61 co.1). L’estensione degli effetti può operare categoria per categoria. Quindi un accordo potrebbe prevedere, ad esempio, l’estensione solo sui creditori finanziari (se alcune banche non aderiscono) ma non sui fornitori, oppure viceversa, a seconda delle adesioni raccolte. Anche l’estensione parziale è possibile: il debitore può decidere di chiedere l’efficacia estesa su una categoria e non su un’altra, in base alle convenienze e al livello di dissenso. Importante: come visto nel §2, se l’accordo non ha carattere liquidatorio (cioè è in continuità aziendale), la legge ora consente di coinvolgere qualsiasi categoria omogenea di creditori (non solo le banche). Ciò rappresenta una differenza rispetto alla disciplina originaria dell’art. 182-septies L.F., che limitava l’estensione alle sole banche e intermediari finanziari. Con il CCII l’ambito soggettivo si è ampliato: in presenza di un piano di risanamento con prosecuzione dell’attività, tutti i creditori chirografari o degradati di una certa natura possono essere sottoposti ad efficacia estesa, siano essi fornitori commerciali, obbligazionisti, locatori, ecc.. Rimane invece circostanziata ai creditori finanziari l’ipotesi di efficacia estesa in un accordo liquidatorio: l’art. 61 co.5, come visto, consente l’estensione alle categorie di banche anche se non c’è continuità, purché i debiti bancari ≥ 50% del totale e restino “fermi i diritti dei creditori diversi da banche” (cioè gli altri non possono essere coattivamente inclusi in un accordo liquidatorio). In pratica:
- Con continuità (piano di risanamento): efficacia estesa applicabile a qualunque classe (banche, fornitori, etc.);
- Senza continuità (piano liquidatorio): efficacia estesa limitata alle banche/intermediari (se >50% indebitamento).
Questa impostazione riflette l’idea per cui, in un risanamento aziendale, anche i creditori commerciali possono essere raggruppati e vincolati (es. fornitori strategici che beneficiano della continuazione del rapporto), mentre in un mero smobilizzo di attività si preferisce salvaguardare i creditori diversi dalle banche, lasciando che eventuali sacrifici coattivi ricadano solo sugli istituti finanziari.
Condizioni per l’efficacia estesa. Perché il tribunale possa dichiarare estesi agli estranei gli effetti dell’accordo, devono sussistere tutte le condizioni cumulative elencate dall’art. 61 comma 2 CCII:
- Informazione e buona fede nelle trattative: come già accennato, tutti i creditori della categoria da vincolare dovevano essere stati informati dell’avvio delle trattative e messi in condizione di parteciparvi lealmente, ricevendo informazioni complete e aggiornate sulla situazione del debitore e sull’accordo. Questa condizione (lett. a) è di fondamentale tutela: un creditore dissenziente non può subire l’accordo se non gli è stata data la chance di sedersi al tavolo negoziale informato al pari degli altri. Il debitore, in sede di omologa, deve dimostrare di aver inviato a tutti i creditori di quella classe comunicazioni tempestive (tipicamente mediante PEC o raccomandata) sia all’inizio delle negoziazioni che durante, trasmettendo copie del piano, delle proposte, etc.
- Accordo con continuità aziendale (salvo eccezione banche): la lett. b) richiede che l’accordo abbia carattere non liquidatorio, cioè preveda la continuazione dell’attività d’impresa (direttamente dal debitore o indirettamente mediante terzi) ai sensi dell’art. 84 CCII. Questa condizione – come detto – può essere derogata solo nel caso particolare di prevalenza dei debiti finanziari (art. 61 co.5), in cui l’estensione alle banche è consentita anche senza continuità. Se invece il piano è liquidatorio e i debiti finanziari non raggiungono la metà, l’efficacia estesa non è proprio applicabile. Esempio: una società vuole fare accordo vendendo tutti i beni e ripartendo il ricavato ai creditori (liquidazione concordata): in tal caso potrà vincolare solo le banche (se >50% debito) ma non potrà forzare i fornitori o altri estranei. Diversamente, se la società prevede di proseguire l’attività (magari ristrutturata), potrà chiedere efficacia estesa anche verso fornitori o altri creditori (ciò incoraggia i fornitori stessi a collaborare, mantenendo il cliente).
- Adesione del 75% dei crediti nella categoria: la lett. c) stabilisce il quorum qualificato: i creditori appartenenti alla categoria che hanno aderito volontariamente devono rappresentare almeno il 75% dei crediti di quella categoria. Il calcolo va fatto sul valore nominale dei crediti. Un creditore presente in più categorie (es. banca che ha parte credito chirografo e parte ipotecario) si considera pro-quota in ciascuna categoria. Il 75% richiesto è piuttosto elevato, indice del fatto che l’efficacia estesa è strumento “eccezionale”: serve una larga maggioranza interna al gruppo per giustificare la coercizione della minoranza. Se non si raggiunge il 75%, l’accordo rimane efficace solo per i firmatari e i dissenzienti restano fuori (con rischio di insuccesso complessivo).
- Best interest test per i non aderenti: la lett. d) ribadisce la condizione di miglior soddisfacimento rispetto alla liquidazione: i creditori non aderenti della categoria, una volta estesi nell’accordo, devono risultare soddisfatti in misura non inferiore a quella realizzabile in un’ipotetica liquidazione giudiziale. Questo è un parametro oggettivo di tutela: l’accordo non può peggiorare la posizione economica dei dissenzienti rispetto allo scenario liquidatorio. Ad esempio, se un creditore ha un privilegio su un bene e in caso di fallimento incasserebbe 50%, l’accordo non può riservargli il 30%; dovrà dargli almeno 50% (magari dilazionato, ma valore attuale equivalente). A tal fine, il piano e l’attestazione devono indicare il presumibile ricavato in caso di liquidazione e confrontarlo con quanto offerto. Se la soglia non è rispettata, il giudice non omologa per quella parte o, su opposizione, esclude quel creditore dall’estensione.
- Notifica individuale: la lett. e) prescrive che il debitore notifichi l’accordo, la domanda di omologa e i documenti allegati ai creditori non aderenti oggetto di estensione. Questa è una formalità essenziale: non basta la pubblicazione nel Registro Imprese, serve la notifica diretta (tipicamente via PEC) a ciascun dissenziente che si intende vincolare, in modo che abbia piena contezza e possa eventualmente opporsi. La notifica deve avvenire contestualmente al deposito o immediatamente dopo, e va documentata in atti.
Se tutte queste condizioni (a-e) sono soddisfatte, l’omologazione estende gli effetti dell’accordo ai creditori non aderenti della categoria indicata (art. 61 co.1). In pratica, tali creditori vengono trattati come se avessero aderito all’accordo. Quali sono dunque gli “effetti” che li investono? Possiamo distinguerli in due categorie: effetti passivi (vincoli e rinunce imposti al creditore) ed effetti attivi (benefici che il creditore ottiene dall’accordo, sebbene coattivamente).
- Effetti passivi per il creditore non aderente esteso: il creditore dissenziente, a seguito dell’omologa, perde il diritto di agire individualmente per il recupero integrale del suo credito alle condizioni originarie. In altre parole, è vincolato alle nuove condizioni stabilite dall’accordo per la sua categoria. Se l’accordo prevede un pagamento parziale, il creditore dovrà accettare la riduzione (stralcio) del suo credito; se prevede un pagamento dilazionato, dovrà accettare la nuova scadenza. Ogni azione esecutiva o cautelare autonoma diviene improcedibile per difetto di titolo esecutivo, poiché il credito è modificato dall’accordo omologato. Ad esempio, un fornitore esterno che vantava 100€ a 30 giorni e non ha aderito, se viene incluso in un accordo che paga i fornitori al 60% in 12 mesi, non potrà più pretendere 100€ subito, ma avrà diritto a 60€ secondo le tempistiche concordate. Di fatto, l’accordo omologato nova il rapporto obbligatorio del creditore estraneo nei limiti stabiliti. Nota: L’estensione dell’accordo non può imporre al creditore obblighi ulteriori oltre la modifica del credito. L’art. 61 co.4 CCII tutela espressamente i creditori non aderenti stabilendo che “in nessun caso” per effetto dell’accordo possono essere imposte ai creditori estesi nuove prestazioni, concessioni di nuovi finanziamenti o il mantenimento/rafforzamento di affidamenti non previsti originariamente. Ciò significa che non si può obbligare un creditore dissenziente a erogare nuovo credito, a continuare una fornitura oltre i termini pattuiti, a concedere ulteriori dilazioni rispetto a quanto previsto nell’accordo stesso, o ad aumentare importi di fido. Uniche eccezioni: la legge chiarisce che non è considerata nuova prestazione la continuazione di contratti di leasing già in essere (quindi un lessor non aderente potrebbe essere tenuto a lasciar proseguire il leasing se il piano lo prevede, ma è una situazione particolare dove il leasing era già contrattualmente in corso). Al di fuori di ciò, il creditore non può subire imposizioni attive: l’accordo incide solo sul dare (quanto e quando riceverà), non sul fare a suo carico.
- Effetti “attivi” per il creditore esteso: benché possa sembrare che il creditore dissenziente subisca solo un danno (riduzione o ritardo nel pagamento), in realtà beneficia indirettamente di alcuni effetti protettivi e di una soluzione potenzialmente più vantaggiosa del fallimento. Primo, l’accordo esteso evita al creditore i tempi e i costi di una procedura concorsuale: egli otterrà la prestazione prevista dall’accordo senza dover insinuare il credito in fallimento e attendere riparti spesso esigui. Secondo, i creditori estesi beneficiano delle eventuali garanzie aggiuntive o impegni che l’accordo prevede per la loro categoria. Ad esempio, se l’accordo prevede che i fornitori (inclusi i dissenzienti) siano garantiti da una fideiussione bancaria per il 50% dell’importo ristrutturato, anche il creditore che non aveva firmato potrà avvalersi di tale garanzia. Terzo, con l’omologazione, anche il creditore non aderente ottiene la prededucibilità (priorità) su eventuali incassi futuri se l’accordo fallisce: infatti i pagamenti dovuti in base all’accordo omologato hanno natura di debito concorsuale se poi c’è fallimento. Inoltre, non di poco conto, il creditore esteso conserva i suoi diritti di prelazione su beni del debitore (pegno, ipoteca) pur nell’ambito dell’accordo, e potrà farli valere proporzionalmente nel pagamento concordato. Ad esempio, se un ipotecario dissenziente viene incluso e l’accordo gli riconosce il 70%, quel 70% magari deriverà dalla liquidazione del bene su cui aveva ipoteca (e se il ricavato è superiore, il residuo andrà agli altri creditori). Importante: qualora un creditore privilegiato non aderente venga incluso, il rispetto del best interest test (lett. d) implica che non può subire decurtazioni sulla parte del credito coperta da garanzia se non nei limiti di incapienza. Ciò riflette la regola generale: i privilegiati possono essere falcidiati solo se il valore che realizzeranno dal bene non copre l’intero credito. Quindi, un creditore ipotecario dissenziente verrà trattato nell’accordo con le stesse percentuali degli ipotecari aderenti: se il bene su cui insiste l’ipoteca è stimato incapiente, prenderanno, ad esempio, 80%; se è capiente, dovranno essere soddisfatti integralmente sul ricavato (non oltre la capienza). L’estensione non consente di privare un creditore di una prelazione o degradare la sua causa di prelazione: semmai, in concordato, esistono regole di priorità relativa che consentono pagamenti parziali di creditori privilegiati a condizione di non trattare meglio creditori di rango inferiore. Tali regole valgono anche nell’accordo in base all’art. 63 CCII: non si può offrire a un chirografario più (in percentuale o tempi) di quanto offerto a un privilegiato di grado superiore non soddisfatto integralmente. Quindi il creditore esteso, se privilegiato, è protetto dal divieto di trattamento deteriore.
In sintesi, l’effetto principale per i creditori non aderenti inclusi nell’accordo è che il loro credito viene giuridicamente ristrutturato alle stesse condizioni pattuite dai creditori aderenti. Diventano parti dell’accordo ex lege. Da quel momento, ad esempio, se il debitore non adempie alle nuove scadenze, anche il creditore originariamente dissenziente dovrà agire non più per l’originario credito, ma per il credito come rimodulato. Per fare un raffronto con il concordato preventivo: nel concordato tutti i creditori chirografari sono legati dal piano omologato pur senza aver necessariamente votato a favore; nell’accordo ad efficacia estesa, analogamente, i creditori di quella classe minoritaria sono legati come se avessero firmato. La differenza è che l’accordo si basa su un consenso negoziale maggioritario anziché su un voto formale.
Limiti e tutele per i non aderenti. Abbiamo già evidenziato diverse tutele (condizioni per l’estensione, best interest test, divieto di prestazioni aggiuntive). A queste si aggiunge il fondamentale diritto di opposizione. I creditori non aderenti coinvolti dall’istanza di efficacia estesa possono proporre opposizione all’omologazione entro 30 giorni dalla notifica. L’opposizione si propone con ricorso al tribunale adito, e viene trattata nell’ambito del procedimento di omologa (art. 48 co.4 CCII). Il giudice, come visto, valuterà caso per caso. Se l’opposizione è infondata, verrà rigettata e l’accordo omologato esteso anche all’opponente. Se è fondata, il tribunale può decidere di escludere il creditore opponente dagli effetti dell’accordo ma omologare comunque per gli altri. Questa soluzione conserva l’accordo collettivo ed evita un pregiudizio al creditore che abbia obiettato in modo legittimo. È una differenza rispetto al concordato preventivo, dove se l’opposizione di un creditore privilegiato per mancato rispetto dell’art. 84 CCII (ex best interest test) è fondata, in genere si nega l’omologa intera. Nell’accordo, essendo su base contrattuale, è possibile modulare l’omologa per “spezzare” il dissenso senza far cadere tutto. Per il creditore escluso, come già detto, ciò significa che potrà agire per il proprio credito originario, magari provocando la crisi dell’accordo se il debitore non è poi in grado di soddisfarlo esternamente.
Un altro limite importante: l’estensione non può modificare i diritti di garanzia verso terzi. Se un creditore dissenziente ha, ad esempio, un fideiussore (un garante personale terzo) o un coobbligato in solido, l’accordo di ristrutturazione non libera questi soggetti a meno che essi stessi non partecipino. L’art. 1372 c.c. continua ad applicarsi per i rapporti con soggetti esterni all’accordo. Dunque, un creditore bancario non aderente, costretto ad accettare il 80% dal debitore principale per effetto dell’accordo, potrebbe comunque escutere il fideiussore per l’intero, salvo che la fideiussione preveda la liberazione in caso di modifica del debito principale. Questo implica che i coobbligati e garanti restano obbligati per intero, benché poi possano rivalersi sul debitore nei limiti di quanto effettivamente pagato. Nella prassi spesso l’accordo include clausole o patti con i garanti per disciplinare questa evenienza (ad esempio, il debitore potrebbe ottenere dai garanti la rinuncia a rivalersi oltre il concordato).
Persistenza dei diritti dei creditori esclusi: l’art. 61 co.5 ultima frase sancisce che restano “fermi i diritti dei creditori diversi da banche e intermediari finanziari” non inclusi in eventuali categorie estese. Più in generale, tutti i creditori non aderenti non facenti parte di categorie sottoposte ad efficacia estesa restano completamente estranei. Ad esempio, se l’accordo riguarda solo chirografari e non tocca i creditori privilegiati (pagati a parte integralmente), questi ultimi escono dalla procedura come se nulla fosse (verranno soddisfatti integralmente fuori accordo, oppure il loro pagamento integrale è condizione stessa per l’omologa in alcuni casi).
Infine, giova ribadire: l’efficacia estesa non trasforma l’accordo in un concordato preventivo. Anche dopo l’estensione, l’accordo mantiene la propria natura negoziale: differisce dal concordato perché non coinvolge necessariamente tutti i creditori (rimane magari fuori una classe non toccata) e perché manca un voto formale di tutti. Non c’è quindi l’effetto esdebitatorio generale del concordato; c’è una esdebitazione mirata ai soli creditori compresi. I creditori esterni esclusi conservano dunque ogni diritto.
In conclusione, gli effetti dell’accordo ad efficacia estesa sui creditori non aderenti sono quelli di una forzosa adesione postuma: si sostituisce la volontà del giudice (fondata sul consenso qualificato altrui e sul rispetto di parametri di legge) alla volontà mancante del creditore dissenziente, integrando così il contratto anche per costui. Questo meccanismo potenzia l’efficacia dell’accordo di ristrutturazione come strumento di superamento della crisi, perché elimina il rischio di holdout strategici. Al contempo, la legge bilancia tale potere con garanzie stringenti, sicché il creditore dissenziente sarà sì obbligato, ma in condizioni di equità e senza subire sorprese (avendo avuto informazione, potendo opporsi, e ottenendo comunque almeno quanto avrebbe preso nel fallimento del debitore). Dal punto di vista del debitore, l’efficacia estesa è un elemento di grande vantaggio: consente di assicurarsi che l’accordo, una volta omologato, risolva integralmente la situazione debitoria anche rispetto a quei pochi creditori non firmatari, prevenendo aggressioni e azioni individuali disordinate. È però un’arma da usare con cautela e solo se realmente necessaria, per non appesantire il processo di omologa (che diviene più complesso in caso di opposizioni) e per non rischiare di incorrere nei rigidi requisiti che, se non soddisfatti, potrebbero far naufragare l’omologazione.
5. Ruolo del Tribunale e dell’OCRI (Organismo di composizione della crisi)
Nella trattazione sin qui svolta, è già emersa l’importanza del Tribunale nel procedimento di accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa. Approfondiamo ora in modo sistematico le funzioni svolte dall’autorità giudiziaria e quelle attribuite all’OCRI o altri organismi di composizione della crisi nella fase pre-giudiziale di allerta e negoziazione.
Il ruolo del Tribunale nelle diverse fasi:
- Controllo di ammissibilità iniziale e misure protettive: Non appena il debitore deposita la domanda di omologazione, il tribunale effettua un primo esame “a filtro”. Verifica la competenza, la completezza documentale e la sussistenza apparente dei requisiti (percentuali di adesione, attestazione presente, ecc.). In questa sede emette, se richiesto, un decreto di concessione delle misure protettive (sospensione dei procedimenti esecutivi, ecc.), oppure un provvedimento di diniego se ravvisa mancanza di condizioni (ad es. se il debitore non ha raggiunto neanche il 60% minimo, la domanda potrebbe essere dichiarata inammissibile subito). Il provvedimento di protezione viene pubblicato e comunicato ai creditori. Il tribunale può anche nominare, se necessario, un ausiliario o attestatore supplente ad integrazione se rileva qualche lacuna (non è comune negli accordi, più tipico nel concordato, ma possibile).
- Gestione delle opposizioni e udienza: Il tribunale fissa l’udienza di omologazione qualora vi siano opposizioni o questioni da chiarire. In udienza ascolta le parti: debitore, eventuali oppositori (creditori non aderenti, Agenzia Entrate, ecc.), il Pubblico Ministero se presente (il PM interviene di norma nelle procedure concorsuali quando c’è interesse pubblico, ad esempio per debiti fiscali ingenti). Il tribunale può disporre mezzi istruttori: ad esempio, acquisire chiarimenti dall’attestatore, ordinare una consulenza tecnica per valutare il valore di liquidazione dei beni contestato da un oppositore, ecc. Ha un ruolo attivo di vigilanza sulla correttezza del processo negoziale: se emergono indizi di abuso (ad es. un creditore lamenta di essere stato escluso dalle trattative in malafede), il giudice ne tiene conto.
- Giudizio di omologazione (decreto/sentenza): Come già descritto, il tribunale decide sull’omologa valutando legalità, regolarità e convenienza per gli estranei. Se tutto è regolare, emette decreto motivato di omologazione che viene comunicato alle parti, pubblicato nel Registro delle Imprese e, se del caso, notificato ai creditori interessati. Il decreto di omologa ha efficacia immediatamente esecutiva. Nel caso in cui abbia dovuto decidere su opposizioni, l’atto può assumere la forma della sentenza, contro la quale può essere esperibile reclamo in Corte d’Appello entro 30 giorni (questo in base all’art. 50 CCII, che disciplina i mezzi di impugnazione). Di fatto, dopo il CCII, l’omologa degli accordi è reclamabile analogamente a quella del concordato: l’esempio visto del Fisco (Appello Roma 2024) lo conferma. La decisione di appello è a sua volta ricorribile in Cassazione.
- Poteri di adattamento della decisione: Il tribunale non è vincolato a un sì o no secco. Oltre alla possibilità di escludere un opponente dall’efficacia (v. supra), il giudice può anche subordinare l’omologazione a determinate condizioni. Ad esempio, se rileva un errore materiale nell’elenco creditori, può ordinare di correggerlo e poi omologare; oppure potrebbe concedere l’omologa a condizione che il debitore depositi entro un certo termine somme necessarie a pagare i creditori estranei (questo per garantire l’esecuzione). Tali provvedimenti condizionali sono rari ma possibili nel quadro dei poteri di controllo di merito sulla fattibilità.
- Vigilanza sull’esecuzione? Formalmente, negli accordi non è previsto un commissario giudiziale né una fase di vigilanza attiva del tribunale post-omologa. Tuttavia, il tribunale rimane competente per eventuali controversie relative all’accordo omologato, come ad esempio: dichiarare la risoluzione dell’accordo se questa è richiesta (anche se non esiste un articolo specifico nel CCII per la “risoluzione accordo”, il creditore potrebbe chiedere al tribunale civile l’accertamento della risoluzione per inadempimento grave, oppure come detto andare direttamente a istanza di fallimento). Inoltre il tribunale potrebbe essere nuovamente adito per autorizzare modifiche del piano ex art. 58 CCII: la norma consente al debitore di modificare l’accordo già omologato senza nuova omologa, a condizione che le modifiche non incidano sulla posizione dei creditori non aderenti o alterino la convenienza. Se però si vogliono fare cambiamenti sostanziali, occorrerebbe ripetere l’iter o almeno un passaggio in tribunale per valutare se serve nuova omologa. Ad esempio, se dopo l’omologa l’impresa offre ai creditori aderenti ulteriori cinque punti percentuali volontariamente, questo non richiede nulla; ma se invece vuole dilazionare di più i pagamenti, toccando i non aderenti, andrà valutato.
In conclusione, il Tribunale ha un ruolo di garanzia e controllo nella procedura: pur trattandosi di uno strumento negoziale, è il giudice che ne sancisce l’efficacia erga omnes e ne verifica il rispetto dei paletti di legge. Ciò instilla fiducia nei creditori aderenti (che sanno che un organo terzo vigilerà sulla correttezza complessiva) e tutela gli estranei (evitando abusi della maggioranza).
Il ruolo dell’OCRI e degli strumenti di allerta/negoziazione assistita:
L’OCRI (Organismo di Composizione della Crisi d’Impresa) era una delle grandi innovazioni del Codice della crisi nella versione originaria del 2019. Esso era pensato come una struttura istituita presso le Camere di Commercio con il compito di ricevere le segnalazioni d’allerta sui sintomi di crisi e di assistere l’imprenditore nell’adozione di misure correttive tempestive. In particolare, l’OCRI avrebbe nominato un collegio di esperti incaricato di analizzare la situazione dell’impresa segnalata e di gestire il procedimento di composizione assistita della crisi, che poteva durare alcuni mesi e mirava a facilitare un accordo con i creditori (anche mediante la convocazione delle parti e la proposta di accordi). All’OCRI erano attribuiti anche poteri di convocazione del debitore su segnalazione di alcuni creditori pubblici (Agenzia Entrate, INPS, agente della riscossione) se i debiti scaduti superavano soglie prefissate, nonché poteri di segnalazione d’ufficio degli organi di controllo societari.
Tuttavia, l’entrata in vigore di queste norme di allerta è stata più volte rinviata e infine sostituita da un approccio differente, introdotto con il D.L. 118/2021. Di fatto, l’OCRI in quanto tale non è mai diventato operativo e il CCII, per come entrato in vigore nel 2022, non contempla più l’OCRI come originariamente concepito. Al suo posto, è stata prevista la procedura volontaria di Composizione Negoziata della Crisi, gestita da un esperto indipendente nominato da una commissione presso la Camera di Commercio. Possiamo dire che la “funzione” dell’OCRI è stata in parte assorbita dalla composizione negoziata: cambia però la filosofia, da un sistema di allerta semi-obbligatorio (con possibili attivazioni d’ufficio) si è passati a un sistema volontario e confidenziale, attivabile su istanza dell’imprenditore in difficoltà.
Nel contesto degli accordi di ristrutturazione, ciò significa che prima di avviare formalmente un accordo il debitore può scegliere di percorrere la composizione negoziata, durante la quale un esperto terzo:
- esamina la situazione aziendale e verifica se vi sono concrete prospettive di risanamento,
- guida le trattative con i creditori, convocando riunioni, proponendo soluzioni mediatrici,
- aiuta a individuare lo strumento più adeguato (accordo stragiudiziale, accordo ex art. 57, concordato, ecc.),
- può suggerire misure industriali e di riorganizzazione (es. dismissioni di asset, taglio costi) per rendere sostenibile il piano.
La composizione negoziata è una procedura protetta: il debitore può ottenere dal tribunale misure protettive temporanee analoghe a quelle degli accordi (sospensione delle azioni esecutive, blocco delle ipoteche giudiziali, ecc.) mentre l’esperto conduce i negoziati. Inoltre, nel periodo di composizione negoziata il debitore conserva la gestione (è in debtor in possession) ma sotto vigilanza dell’esperto, e può chiedere al tribunale autorizzazioni per finanziamenti prededucibili o per cedere azienda senza revocatorie (strumenti introdotti dagli artt. 20-26 D.L. 118/2021, poi trasfusi nel CCII). Se la composizione negoziata si conclude positivamente, può sfociare appunto in un accordo di ristrutturazione dei debiti sottoscritto con i creditori. In tal caso, l’esperto termina il suo mandato e l’accordo segue l’iter ordinario di omologa.
Quindi, pur non esistendo più l’OCRI in senso stretto, la sua funzione di facilitatore istituzionale è svolta dall’esperto della composizione negoziata. Possiamo immaginare che l’esperto e la piattaforma negoziale agiscano come un “luogo protetto” in cui il debitore può iniziare a negoziare con i creditori e magari ottenere intese di massima che poi confluiranno in un accordo ex art. 57-61 CCII. Questo è particolarmente utile per assicurare il rispetto di quella condizione di informazione e buona fede di cui parlavamo: infatti, se i creditori dissenzienti sono stati invitati al tavolo dall’esperto, sarà più agevole per il debitore dimostrare che la trattativa è stata condotta in modo inclusivo (requisito art. 61 co.2 lett. a)).
Va aggiunto che, benché l’OCRI come struttura non sia operativo, il CCII ha mantenuto alcune norme di segnalazione obbligatoria a carico di INPS, Agenzia Entrate e agente riscossione, per importi rilevanti di debito scaduto (art. 25-novies CCII). Tali segnalazioni, dal 15 luglio 2022, vengono comunicate all’imprenditore per avvertirlo del superamento di soglie di allerta. L’imprenditore che riceve tali segnalazioni viene incentivato ad attivare la composizione negoziata. Inoltre, gli organi di controllo interni (sindaci, revisori) hanno tuttora il dovere di sollecitare gli amministratori a reagire in caso di segnali di crisi, e se questi non si attivano, possono informare l’organo di gestione della crisi (che oggi è la commissione CNC istituita). Quindi esiste ancora un sistema di allerta attenuato, senza un vero e proprio procedimento OCRI, ma con flussi informativi destinati a stimolare l’accesso precoce agli strumenti di composizione.
In pratica, per un imprenditore che voglia accedere a un accordo di ristrutturazione:
- Se rileva di trovarsi in difficoltà finanziaria e vede la possibilità di un accordo con i creditori, può autonomamente contattarli e negoziare.
- Se preferisce, può presentare istanza di composizione negoziata sulla piattaforma telematica nazionale. Otterrà un esperto e potrà svolgere negoziati riservati per un periodo (di solito 3-6 mesi, prorogabile).
- Durante la composizione negoziata, se le trattative vanno a buon fine, potrebbe firmare un accordo stragiudiziale semplice oppure impostare un accordo ex art. 57. In quest’ultimo caso, al termine della negoziazione depositerà l’accordo per omologa.
- L’esperto redigerà una relazione finale che, se positiva, potrà giustificare l’accesso ad eventuali misure premiali (fiscali o di non punibilità per l’imprenditore). Ma ciò incide relativamente sull’accordo in sé.
Inoltre, i protocolli e le prassi di diversi tribunali incoraggiano l’utilizzo della composizione negoziata. Ad esempio, alcuni tribunali, quando ricevono istanze di accordo di ristrutturazione non ancora supportate da sufficiente consenso, invitano il debitore a passare prima per la negoziazione assistita. Questo non è obbligatorio per legge, ma rientra nei poteri di indirizzo del giudice delegato.
In conclusione: l’OCRI come era stato pensato (collegio pubblico di gestione dell’allerta) è stato superato dai fatti normativi. Il suo ruolo di coadiuv## 6. Confronto con gli altri strumenti di composizione negoziata
Nel panorama degli strumenti di gestione della crisi d’impresa, gli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa si affiancano ad altri istituti, ciascuno con caratteristiche proprie. Di seguito confronteremo l’accordo con:
- il concordato preventivo,
- il piano attestato di risanamento,
- la transazione fiscale nell’ambito delle procedure concorsuali.
6.1 Concordato Preventivo vs Accordo di Ristrutturazione
Il concordato preventivo è una procedura concorsuale giudiziale, prevista dall’art. 84 e segg. CCII, in cui l’imprenditore in crisi propone un piano ai creditori soggetto a votazione e all’omologazione del tribunale. I punti di contatto con l’accordo di ristrutturazione ci sono – entrambi perseguono la soluzione negoziata della crisi evitando la liquidazione fallimentare – ma vi sono significative differenze:
- Iniziativa e forma della proposta: sia nel concordato sia nell’accordo l’iniziativa è del debitore (volontaria). Tuttavia, nell’accordo la trattativa è privata e porta a un contratto sottoscritto da una parte dei creditori, mentre nel concordato la proposta è pubblica e rivolta indistintamente a tutti i creditori, i quali esprimono il loro assenso tramite voto in sede giudiziale (non c’è una firma contrattuale individuale). In sostanza, l’accordo si basa sul consenso contrattuale preventivo (con percentuali >=60%), il concordato sul consenso maggioritario espresso con voto nell’adunanza dei creditori.
- Percentuali di consenso richieste: nell’accordo ordinario serve il 60% del totale crediti aderenti (salvo accordo agevolato al 30%), mentre nel concordato preventivo la maggioranza è calcolata sui voti espressi dai creditori ammessi al voto e può essere inferiore al 60% dell’intero indebitamento (è richiesta la maggioranza dei crediti votanti, che a sua volta dev’essere almeno i 2/3 dei crediti ammessi al voto in caso di ripartizione in classi, art. 109 CCII). In pratica nel concordato si computa il quorum sui presenti-votanti, non sull’intero ceto creditorio come nell’accordo. Ciò significa che, in situazioni con molti creditori poco attivi, il concordato può risultare più agevole da approvare (basta convincere i creditori attivi); l’accordo invece esige adesione formale e attiva di ciascun creditore fino a raggiungere la soglia legale.
- Coinvolgimento di tutti i creditori vs alcuni creditori: il concordato, una volta omologato, vincola tutti i creditori anteriori (anche quelli che hanno votato contro o non si sono presentati), ad eccezione dei soli crediti esclusi per legge (es. crediti estranei ex art. 88 CCII). L’accordo di ristrutturazione invece vincola solo i creditori aderenti e, se richiesto, i dissenzienti delle categorie omogenee su cui viene estesa l’efficacia. Dunque l’accordo può lasciare fuori taluni creditori (che andranno comunque soddisfatti secondo i loro diritti, seppur fuori dal perimetro contrattuale), mentre nel concordato la regola è la universalità: tutti dentro, con il vantaggio di risolvere in un sol colpo l’intera esposizione debitoria dell’impresa. Questo rende il concordato uno strumento più potente in termini di fresh start, ma anche più complesso (richiede gestire anche creditori minori o indifferenti che nell’accordo magari si sarebbero pagati fuori).
- Struttura del piano e classi: ambedue gli strumenti consentono ampia flessibilità di piano (ristrutturazione in continuità o liquidatoria, stralci, dilazioni, ecc.). Il concordato deve però rispettare alcuni requisiti di legge aggiuntivi: ad esempio, se liquidatorio, deve garantire almeno il 20% ai chirografari (art. 84 co.6 CCII); se in continuità, almeno il pagamento integrale dei creditori privilegiati salvo incapienza di attivo (art. 84 co.7). Inoltre, nel concordato è obbligatoria la formazione di classi di creditori quando vi siano posizioni giuridiche differenti (art. 107 CCII), e i creditori votano per classi. Nell’accordo la suddivisione in categorie è invece facoltativa e strumentale solo all’eventuale efficacia estesa: se non si intende chiedere estensione ai dissenzienti, l’accordo potrebbe anche non prevedere classi formali. Questa maggiore libertà contrattuale può semplificare la struttura dell’accordo rispetto al concordato. D’altro canto, il concordato consente il cram-down interclassi: il tribunale può omologare il concordato anche se una o più classi votano contro, purché sia approvato da almeno una classe e siano rispettate certe condizioni di merito (art. 112 CCII, recepimento della direttiva UE sul cross-class cramdown). L’accordo di ristrutturazione invece non ha un meccanismo di cram-down interclassi generalizzato: l’estensione è solo intraclasse (categoria specifica) e necessita comunque del 75% in quella classe. Quindi, se ci sono più classi di creditori e una intera classe non vuole aderire (es. tutti i fornitori), l’accordo non potrà vincolarli (fallirà), mentre un concordato potrebbe comunque essere omologato forzatamente se soddisfa i criteri di legge.
- Iter procedurale e tempistiche: il concordato preventivo ha un iter codificato più lungo e formalizzato: deposito di proposta e piano, giudizio di ammissibilità, eventuale fase di “concordato con riserva” (se il piano non è pronto), nomina di un commissario giudiziale, voto dei creditori in adunanza (entro 180 giorni circa), omologa da parte del tribunale. Un accordo di ristrutturazione, specie se i creditori principali sono concordi, può avere un percorso più snello e rapido: raggiunto l’accordo privatamente, l’omologazione in tribunale può avvenire in tempi relativamente brevi (anche 2-3 mesi, dipende se vi sono opposizioni). Non vi è commissario né adunanza formale. Tuttavia, se l’accordo è complesso e con efficacia estesa, anch’esso può richiedere diversi mesi di negoziato e un’istruttoria in tribunale non banale. Diciamo che l’accordo è uno strumento “fast-track” rispetto al concordato, adatto quando la platea di creditori è ristretta o controllabile.
- Gestione dell’impresa durante la procedura: nel concordato preventivo il tribunale nomina un commissario giudiziale che vigila sull’attività del debitore e riferisce ai creditori e al giudice (art. 105 CCII). Esistono vincoli specifici: atti di straordinaria amministrazione richiedono autorizzazione del giudice, ed è prevista la possibilità di revocare gli amministratori in casi gravi. Nell’accordo di ristrutturazione, il debitore mantiene la piena gestione senza organi commissariali (è in self governance). Può richiedere misure protettive ma rimane in possesso dei beni e può compiere atti di gestione ordinaria e straordinaria (salvo eventualmente concordare con i creditori limitazioni contrattuali). Ciò rende l’accordo meno intrusivo sulla governance aziendale. D’altra parte, i creditori in concordato sono maggiormente tutelati da occhi esterni (commissario) che verifica l’assenza di atti lesivi durante la procedura, mentre nell’accordo devono fidarsi del debitore (anche se hanno comunque le informazioni dell’attestatore).
- Efficacia erga omnes e forza esecutiva: Il concordato omologato ha efficacia erga omnes e determina l’automatic stay definitivo: tutti i creditori anteriori, anche se non soddisfatti integralmente, non possono più agire se non secondo le modalità del piano. L’accordo omologato non copre i creditori estranei: costoro potrebbero (se non già pagati) attivarsi per vie legali. Inoltre, se emergono nuovi debiti o insolvenze dopo, il concordato prevede (ex art. 119 co.7 CCII) che per dichiarare il fallimento del debitore occorre prima la risoluzione del concordato, salvo insolvenza da nuovi debiti. Nell’accordo, come visto, non c’è bisogno di risoluzione formale: un creditore può chiederne il fallimento immediatamente se l’impresa è insolvente nonostante l’accordo. Quindi il concordato offre un “periodo di scudo” più forte post-omologa (un fallimento post concordatum richiede una procedura di risoluzione entro 1 anno dal termine esecuzione, art. 118 CCII, se no i creditori chirografari perdono la possibilità di chiederlo), mentre l’accordo non ha tale protezione decadenziale. Per contro, l’accordo consente maggiore flessibilità post-omologa: può essere modificato con semplice pubblicazione di un nuovo piano (se non altera la posizione dei non aderenti) senza riaprire un procedimento, mentre il concordato per essere modificato richiede di norma un nuovo procedimento (il CCII introduce il concordato semplificato solo per la liquidazione successiva a composizione negoziata fallita, ma è altro scenario).
- Costi e pubblicità: Il concordato è più costoso: prevede un commissario da retribuire, spese di procedura, il fondo spese giustizia, competenze legali maggiori, ecc. Inoltre, l’apertura della procedura è iscritta nel Registro Imprese e resa pubblica da subito, con possibili ricadute reputazionali e sui rapporti commerciali. L’accordo di ristrutturazione comporta costi minori (non c’è organo commissariale, le spese legali sono inferiori perché la procedura giudiziale è semplificata, e l’attestatore spesso è lo stesso in entrambi i casi). In termini di pubblicità, la trattativa dell’accordo può essere condotta riservatamente e solo al momento del deposito per omologa diviene pubblica. Ciò può preservare meglio l’immagine dell’impresa ed evitare allarmi in clientela e fornitori nella fase preliminare.
In conclusione, quando scegliere l’uno o l’altro? Un accordo di ristrutturazione è preferibile se il debitore riesce a ottenere l’adesione della maggior parte dei creditori chiave e desidera una procedura più rapida e sotto controllo privatistico. Il concordato è necessario invece quando vi è una platea più ampia di creditori o comunque non si riesce a raggiungere il 60% di consensi privatamente, oppure quando si vuole sin dall’inizio coinvolgere tutti i creditori per ottenere una “soluzione finale” onnicomprensiva (ad esempio per ottenere esdebitazione e rilancio libero da debiti residuali). Spesso l’accordo viene tentato per prima: se fallisce (per mancanza di adesioni), l’alternativa è presentare un concordato preventivo. Non a caso, il CCII consente il passaggio dall’accordo al concordato: l’art. 44 CCII prevede che, qualora durante l’omologazione dell’accordo emergano elementi tali da far presumere che non possa essere omologato (ad es. opposizioni fondate o venuta meno delle percentuali), il debitore può richiedere la conversione del procedimento in concordato preventivo (anche d’ufficio il tribunale può sollecitare il debitore in tal senso).
6.2 Piano Attestato di Risanamento vs Accordo di Ristrutturazione
Il piano attestato di risanamento (disciplinato dall’art. 56 CCII, già art. 67, 3° co., lett. d) L.F.) è uno strumento di soluzione negoziale interamente stragiudiziale. Consiste in un piano di risanamento predisposto dal debitore e “attestato” da un professionista indipendente che ne certifichi la veridicità dei dati e la fattibilità (idoneità a risanare l’impresa). Sulla base di tale piano, il debitore conclude accordi privatistici con i creditori (es. accordi bilaterali di rinegoziazione debiti, remissioni parziali, dilazioni). Il piano attestato non richiede omologazione né intervento del tribunale. Vantaggi e svantaggi rispetto all’accordo ex art. 57:
- Nessun requisito di percentuale: nel piano attestato non c’è soglia minima di consenso. Il debitore può cercare di convincere quanti più creditori possibile, ma anche se aderisce una minoranza, il piano può comunque essere redatto (sarà efficace solo con chi partecipa). Non esiste un vincolo legale come il 60%. Ciò dà flessibilità: si può fare un piano attestato anche con il 40% di adesioni, se il debitore conta di gestire gli altri in via ordinaria. Tuttavia, questo stesso aspetto è un limite: il piano attestato non vincola i non aderenti in alcun modo. Ogni creditore è libero di stare fuori e agire individualmente. Quindi l’imprenditore deve generalmente assicurarsi che tutti i creditori principali aderiscano volontariamente, altrimenti il rischio di azioni esecutive da parte di estranei rimane. Nell’accordo di ristrutturazione, invece, se uno sparuto gruppo non aderisce, c’è la possibilità di efficacia estesa (nel piano attestato no). Pertanto, il piano attestato è adatto quando c’è unanimità o quasi tra i creditori sulla soluzione, oppure quando i pochi non aderenti vengono pagati integralmente e dunque non creano problemi (in pratica, può somigliare a un accordo “agevolato” ma senza necessità di omologa).
- Procedura completamente extra-giudiziale: il piano attestato rimane un documento privato (anche se di prassi viene pubblicato al Registro delle Imprese per cristallizzarne la data e renderlo opponibile ai terzi, ex art. 56 co.2 CCII). Non c’è intervento del tribunale, né misure protettive legali. Ciò significa che, diversamente dall’accordo omologato, durante la trattativa del piano attestato i creditori potrebbero iniziare o proseguire pignoramenti, insinuarsi in procedure ecc. (il debitore può solo chiedere loro informalmente di attendere, ma non ha uno stay automatico salvo accordi individuali di standstill). Anche dopo la firma, non avendo un’omologa, il piano di per sé non sospende eventuali azioni esecutive dei non aderenti o di aderenti impazienti. Invece, negli accordi ex art. 57, il debitore può ottenere dal tribunale la sospensione generale delle azioni durante la pendenza (fino a 4 mesi rinnovabili). Inoltre, l’accordo omologato è titolo esecutivo per far valere i diritti ristrutturati; il piano attestato è un insieme di pattuizioni che in caso di inadempimento vanno fatte valere singolarmente in sede civile (per esempio, se un creditore aveva accettato il 70% a saldo ma il debitore non paga, quel creditore può chiedere risoluzione del suo accordo e pretendere il 100% in tribunale, non c’è un provvedimento di omologa che glielo impedisca). Questo rende il piano attestato più fragile in termini di certezza e tenuta.
- Attestazione obbligatoria e effetti protettivi limitati: sia l’accordo sia il piano attestato richiedono la relazione di un professionista indipendente. Nel piano attestato, la relazione deve confermare che il piano è idoneo a “assicurare il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa” (art. 56 CCII). Nell’accordo di ristrutturazione, l’attestatore deve certificare la veridicità dei dati e l’attuabilità dell’accordo con particolare riguardo al soddisfacimento dei creditori estranei. La qualità dell’attestazione è simile e in entrambi i casi centrale per la riuscita. Quanto agli effetti protettivi, il beneficio principale del piano attestato è in ambito fallimentare: gli atti, pagamenti e garanzie poste in essere in esecuzione del piano attestato non sono soggetti a revocatoria fallimentare (art. 166 co.3 lett. d CCII). Ciò offre ai creditori aderenti la sicurezza che se l’impresa poi dovesse fallire, i pagamenti ricevuti o le garanzie concesse nell’ambito del piano non verranno restituiti. Questo stesso beneficio vale per l’accordo di ristrutturazione omologato: anche i pagamenti eseguiti in esecuzione di un accordo ex art. 57 sono esenti da revocatoria (art. 166 co.3 lett. e CCII). Inoltre il legislatore fiscale ha previsto incentivi analoghi per entrambi: come vedremo (§7), le sopravvenienze attive da riduzione debiti in esecuzione di un piano attestato pubblicato sono parzialmente detassate, analogamente a quelle derivanti da un accordo omologato. Dunque, sotto il profilo della “validazione” esterna, tanto il piano attestato quanto l’accordo producono effetti di protezione limitata ma importanti: niente revocatorie e agevolazioni fiscali. Però il piano attestato non sospende le azioni individuali (se non per accordo tra le parti), l’accordo invece sì (grazie all’intervento giudiziale). Inoltre, l’accordo omologato offre uno scudo anche penale: ai sensi dell’art. 324 CCII, i pagamenti e le operazioni compiute in un accordo omologato non integrano reati di bancarotta preferenziale o semplice. Anche per il piano attestato è prevista un’esimente penale simile (non costituiscono reato gli atti compiuti in esecuzione del piano attestato purché i suoi effetti siano stati conseguiti), ma la soglia di sicurezza percepita è maggiore con l’omologa di un giudice.
- Grado di coinvolgimento dei creditori: un piano attestato non richiede voti né adesioni formalizzate. Spesso, i creditori principali sottoscrivono un accordo quadro di adesione al piano, ma non c’è un numero legale. In teoria, un imprenditore potrebbe redigere un piano attestato anche unilateralmente e poi convincere i creditori ad hoc. L’accordo ex art. 57 invece richiede la firma esplicita della maggioranza prescritta sui testi contrattuali. Questo rende il piano attestato più flessibile nelle forme (anche intese verbali o tacite concorrenze dei creditori possono farlo funzionare), ma allo stesso tempo lo espone a maggiore incertezza sugli impegni dei creditori (che se non hanno firmato nulla, potrebbero tirarsi indietro). Per questo, nella pratica, i piani attestati di risanamento efficaci sono quelli dove si raggiunge, di fatto, un consenso prossimo all’unanimità e il piano viene formalmente condiviso da tutti i principali creditori in un master agreement.
Riassumendo, l’accordo di ristrutturazione omologato e il piano attestato si collocano sul continuum tra negoziazione privata e procedura concorsuale. Il piano attestato è all’estremo privatistico: massima snellezza, nessuna ingerenza giudiziale, ma efficacia limitata dal consenso effettivamente ottenuto e nessun meccanismo per obbligare i dissenzienti. L’accordo sta nel mezzo: è comunque negoziale ma con l’avallo giudiziale che ne estende la portata e offre strumenti coattivi mirati.
Nella pratica, un imprenditore con poche banche e magari soci finanziatori potrebbe preferire un piano attestato: se le 2-3 banche principali sono d’accordo a ristrutturare il debito su base contrattuale e i fornitori verranno pagati regolarmente, non serve un procedimento di omologa. Si redige un piano con attestazione, le banche lo approvano, si realizzano gli accordi e l’impresa risana senza passare dal tribunale. Questa soluzione è stata usata di frequente, ad esempio, per ristrutturazioni del debito bancario con concessione di nuova finanza, dove si voleva evitare la pubblicità negativa di un concordato.
Al contrario, quando i creditori sono più numerosi e variegati (banche, bondholder, fornitori grandi e piccoli) e non vi è unanimità, il piano attestato rischia di non bastare. In tali casi, l’accordo di ristrutturazione offre un equilibrio: mantiene una logica concordata (non imposta come il concordato) ma con l’ombrello dell’omologa che consente di gestire le sacche di dissenso. Inoltre, grazie all’efficacia estesa, l’accordo può conseguire risultati simili a un concordato limitatamente a certe categorie (imponendo falcidie anche a chi non avrebbe mai accettato spontaneamente), cosa non possibile con un semplice piano attestato.
In sintesi:
- Piano attestato – Pro: rapidità, riservatezza, negoziazione libera; Contro: vincola solo chi vuole aderire, nessun stay automatico.
- Accordo di ristrutturazione – Pro: può vincolare anche dissenzienti (in categorie), sospende azioni durante l’omologa, forza esecutiva; Contro: richiede maggioranze di legge e controllo giudiziale (con costi e pubblicità maggiori rispetto al piano attestato).
6.3 Transazione Fiscale e accordi con il Fisco
La transazione fiscale (e contributiva) è un istituto introdotto per permettere la negoziazione dei debiti tributari e previdenziali all’interno delle procedure concorsuali. Introdotta nell’ordinamento nel 2006 (art. 182-ter L.F.) e ora disciplinata dall’art. 63 CCII, la transazione fiscale non è uno strumento autonomo di composizione della crisi, ma si innesta nel concordato preventivo o nell’accordo di ristrutturazione quando il debitore intenda proporre un pagamento non integrale o dilazionato dei tributi e contributi.
Caratteristiche principali: la transazione fiscale consiste in una proposta che il debitore rivolge all’Amministrazione finanziaria e/o agli enti previdenziali per definire il proprio debito tributario/contributivo nell’ambito del piano di risanamento. Può prevedere:
- la dilazione del pagamento (rateazione fino a 10 anni, eventualmente con interessi ridotti),
- la falcidia (riduzione) parziale di imposte, sanzioni e interessi.
La legge distingue il trattamento tra le varie voci:
- Le sanzioni tributarie e gli interessi di mora possono essere liberamente ridotti o anche azzerati.
- I debiti per IVA e ritenute operate e non versate possono essere falcidiati solo in caso di incapienza (cioè se il patrimonio disponibile non consente il loro pagamento integrale). Tali crediti in passato erano ritenuti intoccabili (essendo imposte trustee di diritto UE), ma la norma ora lo consente a condizione che siano trattati non peggio dei chirografari (principio di parità di trattamento).
- I debiti tributari privilegiati (es. imposte dirette, IVA, contributi con privilegio generale sui mobili) possono essere pagati parzialmente solo se i beni su cui hanno privilegio sono insufficienti a coprirli per intero (incapienza del collaterale). Il professionista attestatore deve certificare questo (valore di realizzo dei beni gravati).
- I debiti chirografari (es. sanzioni, interessi non privilegiati) possono ovviamente essere falcidiati alla stregua degli altri chirografari.
La proposta di transazione fiscale dev’essere presentata per iscritto e corredata dalla relazione di un professionista che attesti la convenienza della proposta per l’Erario rispetto all’alternativa liquidatoria. Questo si raccorda col principio di best interest già discusso: il Fisco dovrebbe accettare se con la transazione ottiene almeno quanto otterrebbe da un fallimento del debitore.
Differenze di approccio rispetto all’accordo di ristrutturazione generale:
- La transazione fiscale riguarda un singolo creditore (pubblico) o un insieme di crediti di natura pubblica. È, per così dire, un “accordo nell’accordo”: il debitore tratta separatamente col Fisco le proprie esposizioni fiscali, perché la legge lo richiede – le Amministrazioni non possono aderire tout court a un accordo senza passare per questo canale formale. Nel concordato preventivo il Fisco partecipa al voto come classe separata solo se si aderisce alla transazione; in caso di rigetto, il suo voto è comunque computato (in passato vigeva la regola del “voto contrario implicito se no risposta”, ora superata). Nell’accordo di ristrutturazione, il Fisco di norma aderisce tramite la sottoscrizione di un accordo di transazione fiscale integrato nell’accordo generale.
- Mentre nell’accordo di ristrutturazione tra privati il debitore può decidere di non coinvolgere affatto alcuni creditori (pagandoli fuori per intero), nel caso del Fisco la legge impone che se non lo si paga integralmente, occorre obbligatoriamente fare la proposta di transazione fiscale (non è ammesso “stralciare il Fisco” informalmente: l’omologazione verrebbe negata). Ad esempio, se il debitore vuole ridurre IVA e contributi, deve seguire l’iter di transazione fiscale disciplinato dall’art. 63 CCII, ottenendo preferibilmente il sì dall’Erario.
- Procedimento decisionale del Fisco: L’Agenzia delle Entrate e l’INPS decidono sulle proposte di transazione entro 90 giorni dal deposito della domanda di omologazione. Se non si pronunciano, si considera rigetto tacito. Il legislatore ha introdotto l’obbligo per tali enti di motivare un eventuale rifiuto, specialmente se l’offerta è conveniente rispetto alla liquidazione. In effetti, il DL 125/2020 e la L. 159/2020 hanno stabilito che l’ente deve aderire se la proposta è più vantaggiosa del ricavabile in caso di fallimento (o comunque deve motivare perché ritiene di poter recuperare di più diversamente). La prassi ante 2020 vedeva spesso il Fisco rifiutare per politica restrittiva, causando il fallimento del concordato. Ora questo scenario è mitigato: c’è un vero e proprio “dovere di convenienza” in capo all’ente pubblico creditore. Cassazione ha chiarito che il sindacato sull’eventuale diniego spetta al giudice fallimentare e non al giudice tributario (essendo la transazione parte di una procedura concorsuale, un eventuale ricorso contro il diniego dell’AdE va al tribunale civile fallimentare).
- Cram down fiscale: la differenza più marcata è che, se il Fisco (o l’INPS) non aderisce, nel concordato preventivo non si raggiunge la maggioranza della sua classe e quindi servirebbe il cram-down interclassi di cui all’art. 112 CCII (il tribunale può omologare ugualmente se almeno un’altra classe ha votato sì e il piano è equo). Per gli accordi di ristrutturazione, prima della riforma 2020, il mancato assenso del Fisco era insuperabile: se il Fisco non firmava l’accordo, e il suo credito impediva il raggiungimento del 60%, l’accordo non poteva essere omologato (celebre il caso di molti accordi “bloccati” dall’Erario). Dal 2020 invece l’art. 182-bis L.F. (ora art. 63 CCII) consente l’omologa anche senza adesione del Fisco se la sua adesione era determinante e la proposta è conveniente. È il cosiddetto cram down fiscale, di cui si è detto: il tribunale può sostituirsi alla volontà dell’ente e omologare l’accordo ugualmente, come se l’ente avesse aderito, vincolandolo così al piano. Si noti che questo è un potere notevole, soggetto però a condizioni stringenti (convenienza, e come da ultimo specificato dal DL 69/2023, presenza anche di altri creditori concordi, soglie minime di soddisfacimento per il Fisco, ecc.). La giurisprudenza recente ha già applicato il cram down fiscale in alcuni casi: ad esempio, Tribunale di Cagliari 2023 ha omologato un accordo di ristrutturazione nonostante l’opposizione dell’Agenzia Entrate, ritenendo rispettati i parametri di legge (la proposta al Fisco era migliorativa rispetto alla liquidazione). Viceversa, la Corte d’Appello di Roma 2024 ha negato l’omologa forzata in un caso in cui non c’erano altri creditori aderenti oltre il Fisco (vedi §3), richiamando i nuovi limiti normativi. La Cassazione con ordinanza n. 27782/2024 ha confermato che dopo la riforma 2020 il tribunale può omologare l’accordo anche in caso di voto contrario o mancata adesione del Fisco, senza distinguere tra silenzio e rifiuto espresso (superando vecchi dubbi interpretativi).
- Natura negoziale vs valutazione giudiziale: la transazione fiscale è comunque un accordo negoziale tra debitore ed Erario: se l’ente aderisce formalmente, i termini pattuiti divengono vincolanti e confluiscono nel dispositivo di omologa. Se l’ente non aderisce, non c’è un contratto con esso e il giudice, col cram down, impone unilateralmente le condizioni. Per questo nel linguaggio comune si distingue: transazione fiscale in senso stretto (quando c’è accordo con l’ente) e “cram down fiscale” (quando il giudice omologa senza accordo). Agli effetti pratici, dopo l’omologa, entrambi i casi producono lo stesso risultato: il debito tributario è ridotto/dilazionato come da piano omologato. In caso di adesione formale, l’Erario emetterà i provvedimenti amministrativi di sgravio, altrimenti sarà direttamente il decreto del giudice a costituire titolo per l’adeguamento (ad es., potrà ordinare la cancellazione di ipoteche esattoriali in eccesso, ecc.).
In confronto con gli altri strumenti:
- Rispetto al concordato, l’accordo di ristrutturazione consente un rapporto più diretto e mirato col Fisco: non c’è la dinamica del voto in classe, ma una trattativa bilaterale con un chiaro esito (accettazione o rifiuto entro 90gg). Questo può velocizzare le cose per il debitore. Nel concordato, il Fisco vota in adunanza e potrebbe anche non esprimersi (in passato il silenzio valeva voto contrario, ora si tende a far valere lo stesso principio, ma comunque la sua mancata adesione può essere superata con art. 48 co.5 CCII analogamente).
- Rispetto al piano attestato, che è fuori da procedure, non è possibile stralciare i debiti fiscali se non pagando integralmente o sfruttando strumenti ordinari (rateizzazioni ex DPR 602/73) al di fuori del quadro concorsuale. Il piano attestato non offre alcuna protezione su questo fronte: se il debitore non versa IVA o ritenute, rimane esposto a sanzioni e a richieste integrali. Quindi, per risolvere seriamente i debiti tributari, occorre quasi sempre passare per un accordo omologato o un concordato con transazione fiscale, specie se si vuole ridurre l’importo dovuto.
- Limitazioni normative: va ricordato che lo Stato non può legalmente accettare pagamenti inferiori a certe soglie se non attraverso procedure di legge: la transazione fiscale è proprio l’eccezione legislativa a questo principio, per favorire il recupero parziale invece della possibile liquidazione con incasso nullo. Ma ad esempio, la legge prevede che nel cram down fiscale l’Erario non possa ricevere meno di quanto otterrebbero i chirografari in percentuale (principio di trattamento non deteriore). Inoltre, se il debito verso Erario e INPS è preponderante (>50%) e il debitore propone di soddisfarlo in misura minima, la legge oggi vieta l’omologazione: in simili casi, dovrebbe preferirsi direttamente la liquidazione fallimentare (Corte App. Roma 2024 ha proprio rilevato come nel caso trattato il Fisco rappresentasse 86% dei debiti e la proposta, ancorché conveniente, implicasse che l’accordo fosse in realtà un concordato “mascherato” solo col Fisco, non consentito).
Aspetti operativi: nella preparazione di un accordo di ristrutturazione, la gestione della transazione fiscale è spesso cruciale. Conviene presentare la proposta di transazione il prima possibile – tipicamente contestualmente al deposito dell’accordo in tribunale – per far decorrere il termine di 90 giorni. L’Agenzia delle Entrate ha istituito degli “Uffici crisi d’impresa” dedicati a valutare queste proposte (dal 2024 la competenza è stata spostata agli Uffici legali delle Direzioni Regionali, per uniformità). L’Agenzia può richiedere chiarimenti e documentazione aggiuntiva durante i 90 giorni; se alla scadenza non risponde, per legge equivale a diniego. È prassi a volte che, di fronte a un silenzio-diniego, il tribunale in udienza inviti l’Erario a esprimersi formalmente prima di procedere al cram down. In ogni caso, la decisione finale spetta al giudice: anche se l’Erario aderisce, l’omologa verificherà che la transazione rispetti i principi (es: non si possono offrire al Fisco condizioni inferiori a quelle offerte a un chirografo qualsiasi, altrimenti i creditori privati avrebbero un trattamento di favore illegittimo).
Va segnalato infine che la transazione fiscale omologata ha effetti anche sul piano penale-tributario: se l’imprenditore aveva commesso reati di omesso versamento IVA o contributi, la giurisprudenza (Cass. pen. n. 18826/2020) ha chiarito che la successiva omologa di un accordo con stralcio di parte di quei debiti riduce proporzionalmente la punibilità (in particolare, la confisca per equivalente va limitata alla parte di imposta che sarà effettivamente versata secondo l’accordo). Inoltre, la pendenza di una trattativa di transazione fiscale può talora essere valutata come segno di adempimento (o almeno come causa di rinvio del processo) nei reati tributari.
Riepilogando:
- La transazione fiscale è complementare all’accordo/concordato, permettendo di includere il Fisco tra i creditori ristrutturati.
- È un passaggio obbligato se si vuole dilazionare o tagliare i debiti fiscali: senza, nell’accordo il Fisco va soddisfatto integralmente (quindi spesso con risorse aggiuntive come nuove finanze).
- La sua riuscita (adesione) facilita l’omologa; il suo eventuale diniego può oggi essere superato dal giudice, ma rimane preferibile ottenere l’adesione per evitare incertezze e vincoli più severi.
- Il trattamento dei crediti pubblici deve sempre rispettare legalità e parità: il tribunale funge da garante che il Erario non sia trattato in modo meno favorevole di altri creditori di pari grado, pena la non omologa.
7. Profili fiscali e trattamento dei crediti tributari nell’accordo
I profili fiscali giocano un ruolo significativo sia nell’attuazione dell’accordo (per la presenza di debiti tributari da trattare) sia negli effetti contabili e fiscali che l’operazione produce sull’impresa e sui creditori. Possiamo distinguere due aspetti:
- il regime fiscale delle sopravvenienze attive generate dalla riduzione dei debiti nell’accordo,
- il trattamento dei crediti tributari all’interno dell’accordo (già in gran parte affrontato con la transazione fiscale, ma qui visto dal punto di vista della gerarchia dei crediti e delle implicazioni fiscali).
7.1 Tassazione delle sopravvenienze attive da riduzione dei debiti
Quando un debitore ottiene una remissione parziale dei debiti (ad esempio paga 50 anziché 100 a saldo e stralcio), contabilmente registra una sopravvenienza attiva straordinaria pari alla differenza condonata (in esempio, 50). In linea generale, tali sopravvenienze attive sarebbero imponibili come componenti positive di reddito ai fini IRES/IRPEF. Tuttavia, il legislatore fiscale ha introdotto importanti deroghe a scopo di favorire i risanamenti.
L’art. 88, comma 4-ter del TUIR (DPR 917/86) prevede che non sono imponibili le sopravvenienze attive derivanti da riduzione dei debiti dell’impresa nell’ambito di procedure concorsuali o accordi di ristrutturazione omologati o piani attestati. Più precisamente, la norma (come modificata dal D.Lgs. 147/2015 e seguenti) distingue due casi:
- Concordati preventivi liquidatori e fallimenti: le riduzioni di debiti non sono mai tassate (esenzione totale della sopravvenienza).
- Concordati in continuità, accordi di ristrutturazione omologati e piani attestati pubblicati: la riduzione del debito “non costituisce sopravvenienza attiva per la parte che eccede le perdite pregresse e di periodo”, le quali sono utilizzabili senza i limiti ordinari (80% annuo). In pratica, in questi casi si neutralizza la tassazione sfruttando prima le perdite fiscali dell’impresa. Se l’impresa ha perdite fiscali accumulate, deve utilizzarle per compensare la sopravvenienza (potendole usare al 100% senza limite); l’eventuale quota di riduzione debiti eccedente le perdite disponibili non viene tassata. Se invece l’impresa non ha perdite fiscali riportabili, l’intera sopravvenienza è considerata eccedente e dunque è integralmente detassata.
Esempio: Alfa Srl ottiene uno stralcio debiti di €500.000 con un accordo omologato. Aveva perdite fiscali pregresse per €200.000. Allora €200.000 della sopravvenienza vengono compensati con le perdite (senza limite dell’80%), e i restanti €300.000 eccedono le perdite e per legge non concorrono alla formazione del reddito imponibile. Risultato: Alfa non paga tasse su questi €300.000 (e neppure sui €200.000 in pratica, perché compensati da perdite che altrimenti sarebbero state utilizzabili solo in parte). Se Alfa avesse avuto zero perdite pregresse, l’intera €500.000 sarebbe non imponibile; se avesse avuto perdite per €600.000, avrebbe usato €500.000 di esse per assorbire tutta la sopravvenienza (senza restrizioni) e rimarrebbero perdite non sfruttate per €100.000.
Questa disciplina, inizialmente introdotta per concordati, è stata estesa anche agli accordi di ristrutturazione omologati e ai piani attestati, riconoscendo che anche in tali strumenti la riduzione dei debiti non rappresenta un vero arricchimento tassabile ma piuttosto un effetto della crisi. In ambito IVA, inoltre, il debitore (in qualità di cessionario/committente) non subisce effetti diretti: semmai i fornitori che riducono i loro crediti possono emettere note di credito IVA per recuperare l’IVA relativa alla parte di corrispettivo non incassata, trattandosi di crediti divenuti inesigibili a seguito di procedure concorsuali (la giurisprudenza equipara l’accordo omologato a tal fine a una procedura concorsuale).
Attenzione alle modifiche dell’accordo: l’Agenzia delle Entrate, in una recente risposta a interpello (Risp. AE 49 del 22/02/2024), ha chiarito che l’agevolazione fiscale si applica alle sole riduzioni di debito contemplate nell’accordo omologato. Se successivamente l’accordo viene modificato senza nuova omologa e ciò comporta un’ulteriore remissione di debito, quella ulteriore sopravvenienza è imponibile. Nel caso specifico, una società aveva omologato un accordo con detassazione della relativa sopravvenienza; poi, per peggioramento dei risultati, aveva rinegoziato privatamente con i creditori un taglio aggiuntivo depositando il nuovo piano al Registro Imprese (ex art. 58 CCII, senza passare dal giudice). L’AE ha ritenuto che le maggiori sopravvenienze attive realizzate in assenza di nuovo giudizio di omologa non rientrano nell’esenzione dell’art. 88 TUIR e vanno tassate. Ciò implica che l’esenzione è strettamente legata al controllo giudiziale: eventuali sconti extra “fuori accordo” non godono di favore fiscale. È un dettaglio importante da considerare qualora, dopo l’omologa, si valutino variazioni consensuali dell’accordo: dal punto di vista fiscale sarebbe più efficiente passare da un’omologazione anche per la modifica, in modo da estendere l’esenzione, ma il CCII non lo prevede espressamente (l’art. 58 consente modifiche senza omologa se non pregiudizievoli). Pertanto, l’impresa deve ponderare bene le implicazioni fiscali prima di modificare un accordo fuori dalle aule di giustizia.
Deduzione delle perdite dei creditori: dal lato dei creditori, la parte di credito rinunciata è generalmente deducibile come perdita su crediti. In particolare, per i creditori bancari e finanziari vige l’obbligo di svalutazione e deduzione secondo le regole IFRS/impairment; per i creditori commerciali, la perdita è deducibile se il debitore ha concluso un accordo di ristrutturazione omologato o un concordato (evento che qualifica il credito come inesigibile ex lege). Ad esempio, se un fornitore rinuncia al 20% del suo credito in un accordo omologato, quel 20% diventa perdita deducibile nel bilancio del fornitore nell’esercizio di omologa (non è considerata una liberalità). Inoltre, come detto, il fornitore potrà emettere nota di credito IVA per stornare la relativa imposta sulla parte non incassata, secondo l’art. 26 DPR 633/72 che consente variazione IVA in caso di procedura concorsuale del cliente (la Cassazione ha esteso l’interpretazione alle procedure para-concorsuali come gli accordi omologati, stante l’equiparazione di trattamento).
7.2 Trattamento dei crediti tributari e contributivi nell’accordo
Dal punto di vista concorsuale, i crediti tributari e previdenziali vantano spesso cause di prelazione (privilegi) e godono di una disciplina di favore. Nell’accordo di ristrutturazione, prima delle riforme sul cram down, la prassi era che il debitore dovesse pagare integralmente i crediti privilegiati Erario/INPS per ottenere l’omologa (oppure ottenere la loro adesione via transazione fiscale). Oggi, con la transazione fiscale integrata, è possibile includerli nel trattamento dilazionato o percentuale purché sia attestata l’incapienza e rispettato il divieto di trattamento deteriore.
Gerarchia di pagamento: in un accordo, i crediti privilegiati (inclusi quelli erariali) devono essere soddisfatti almeno in misura corrispondente al valore di realizzo delle garanzie/prelazioni. Questo significa che:
- Se il patrimonio del debitore consente di pagare integralmente un credito privilegiato (es. ipoteca su immobile di valore sufficiente a coprire il capitale e interessi del mutuo garantito e anche l’IVA privilegiata), allora nell’accordo quel credito andrà pagato interamente (o il creditore dovrà aderire volontariamente a una riduzione – cosa rara per il Fisco).
- Se invece c’è insufficienza, il creditore privilegiato può essere falcidiato fino alla concorrenza della sua parte chirografaria virtuale. Ad esempio, un credito IVA di €100.000 coperto solo al 50% da garanzia su beni potrà essere pagato €50.000 e falcidiato per €50.000, equiparando quest’ultima parte a un chirografo. Questa falcidia va formalizzata con la transazione fiscale.
- I crediti chirografari del Fisco (tipicamente sanzioni e interessi non privilegiati) vengono trattati come gli altri chirografi: possono ricevere una percentuale pari o inferiore, senza particolare protezione se non il fatto che, come da norma, non possono ricevere meno di crediti di rango inferiore inesistenti (essendo chirografi puri, vale solo il concetto di parità con altri chirografi).
Esempio pratico sul trattamento gerarchico: Beta Srl ha debiti verso il Fisco per €300.000, di cui €200.000 di IVA (privilegiata) e €100.000 di sanzioni (chirografarie). Supponiamo che Beta proponga in accordo di pagare il 40% ai chirografari generici. Se i beni aziendali coprono l’IVA per il 50%, Beta dovrà offrire almeno €100.000 su €200.000 di IVA (50%) perché quello è il valore di realizzo; non potrebbe ridurre l’IVA a 40% (che sarebbero €80.000) senza violare la regola di incapienza (perché i beni ne garantiscono €100.000). Dovrà quindi pagare l’IVA €100.000. Le sanzioni chirografarie potrà allinearle al 40% come gli altri chirografi (quindi €40.000 su €100.000). Complessivamente il Fisco verrebbe soddisfatto €140.000 su €300.000 (46,6%). È fondamentale mostrare nell’attestazione che in liquidazione Beta Srl farebbe ricavare al Fisco <€140.000, ad esempio €120.000, in modo da provare la convenienza. In tali circostanze, l’Agenzia Entrate dovrebbe aderire (perché 140k > 120k scenario fallimentare) e se non aderisse, il tribunale potrebbe comunque omologare forzosamente.
Va inoltre ricordato il trattamento differenziato dell’IVA e ritenute: la legge vieta la loro falcidia se sono interamente garantite dai beni su cui gravano. La Cassazione (Sez. Un. 8 giugno 2020 n.10884) aveva inizialmente sostenuto un principio di assoluta priorità dei crediti fiscali privilegiati, per cui non sarebbe stato legittimo pagare un chirografo se il Fisco privilegiato non era integrale. Questo orientamento è stato superato proprio dall’espresso dettato normativo della transazione fiscale, che delinea una priorità relativa: è ammesso pagare in parte i crediti di rango inferiore anche se i privilegiati non sono soddisfatti al 100%, purché non li si tratti meglio del Fisco. Ciò ha permesso nei fatti di includere anche IVA e ritenute in piani di concordato/accordo con percentuali ridotte (cosa che prima veniva contestata).
Imposte differite e perdite fiscali: c’è un ulteriore profilo fiscale interno all’azienda da considerare. Spesso le società in crisi hanno grosse perdite fiscali pregresse. Un accordo di ristrutturazione che riduce i debiti migliora il patrimonio netto e talvolta genera utili civilistici (per la rinuncia ai debiti). Le perdite pregresse possono così essere utilizzate per assorbire queste sopravvenienze (come visto sopra, e senza limite 80%). Tuttavia, occorre attenzione ai riflessi sul capitale sociale: se le perdite pregresse avevano portato a una riduzione di capitale (art. 2447 c.c.), la sopravvenienza attiva da accordo ne ristora una parte, potendo richiedere misure societarie (es. esdebitazione comporta che il patrimonio netto torna positivo, quindi l’assemblea può dover prendere atto della ricostituzione del capitale). Non è raro che un accordo di ristrutturazione preveda contestualmente un’operazione sul capitale sociale (ad esempio conversione di crediti in equity, o ingresso di nuovi soci con apporto di capitale): questi elementi vanno coordinati con la disciplina fiscale delle variazioni di capitale e delle eventuali utilità compensative ai creditori (ad es. se ai creditori viene data una partecipazione societaria, non c’è realizzo imponibile per loro se è parte della transazione globale, ma la società deve considerare gli eventuali effetti sulle riserve).
Crediti d’imposta dell’impresa in crisi: se l’impresa ha crediti tributari verso l’Erario (ad es. crediti IVA) mentre deve delle imposte, potrebbe utilizzare la compensazione come parte dell’accordo. Tecnicamente, i crediti tributari della società possono essere compensati con i debiti tributari secondo le regole ordinarie (F24). In un accordo, la compensazione legale è possibile sino alla data dell’omologa; dopo l’omologa, se residuano debiti fiscali ristrutturati da pagare a rate, l’uso di crediti IVA futuri in compensazione dovrebbe rispettare eventuali limiti (ma nulla vieta di farlo, anzi l’Erario spesso preferisce ricevere compensazione immediata). Talvolta, negli accordi, si prevede espressamente che eventuali crediti fiscali dell’azienda siano utilizzati per pagare parte dei debiti fiscali, migliorando la convenienza per l’Erario.
Incentivi fiscali vari: i debitori che accedono a strumenti di regolazione della crisi beneficiano di alcune esenzioni: ad esempio, gli atti, documenti e provvedimenti relativi agli accordi di ristrutturazione omologati sono esenti dall’imposta di bollo e di registro (art. 153 CCII richiama le esenzioni già previste per le procedure concorsuali). Inoltre, l’esecuzione dell’accordo spesso comporta atti come vendite di immobili o cessioni d’azienda: anche su questi può applicarsi il regime di favore delle procedure concorsuali (imposte di registro fisse, esenzioni, ecc.) in presenza di determinati requisiti normativi. È buona prassi citare nell’accordo la norma di esenzione fiscale applicabile per dare certezza ai contraenti (ad es. “Le parti danno atto che il presente accordo è esente da imposta di registro ai sensi dell’art. 153 del Codice della crisi”).
Conclusione sezione fiscale: l’accordo di ristrutturazione, se da un lato genera utili da remissione di debiti, dall’altro gode di un regime fiscale estremamente agevolato che quasi sempre azzera l’impatto fiscale di tali utili. È però essenziale rispettare tutte le formalità (omologa compresa) per poterne beneficiare. Dal lato dei creditori, la partecipazione a un accordo comporta di regola perdite deducibili e la chiusura di posizioni IVA (con note di credito). Il Fisco come creditore ha regole proprie: viene trattato in parte come un creditore privilegiato “forte” (specie per IVA/contributi), in parte come un creditore soggetto a regole pubbliche (transazione fiscale), ma la tendenza normativa e giurisprudenziale attuale è di integrarlo nei piani di risanamento in modo pragmatico, evitando tanto favoritismi eccessivi (non si può offrire all’Erario una percentuale irrisoria se altri chirografari prendono di più) quanto ostinati dinieghi (il giudice può scavalcare un no pretestuoso). In definitiva, l’ordinamento fiscale collabora con quello concorsuale per facilitare gli accordi di ristrutturazione: lo dimostrano sia la detassazione delle sopravvenienze sia la spinta al sì nelle transazioni fiscali, entrambi fattori che rendono più conveniente e fattibile il risanamento dell’impresa.
8. Giurisprudenza più recente in materia
Negli ultimi anni la giurisprudenza – di legittimità e di merito – ha affrontato vari aspetti applicativi degli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa, contribuendo a delinearne l’interpretazione. Di seguito, alcuni orientamenti e decisioni rilevanti (Corte di Cassazione, Corti d’Appello, Tribunali):
Sul cram down fiscale e il ruolo del giudice:
- Cassazione, Sez. I, 28 ottobre 2024 n. 27782: ha chiarito in via definitiva che la formulazione “in mancanza di adesione” dell’art. 63 CCII va intesa nel senso più ampio. Ciò significa che il tribunale può omologare l’accordo anche in caso di diniego espresso da parte dell’Erario, e non solo nel caso di silenzio. Si è trattato di chiudere un dibattito: alcuni ritenevano che la lettera “mancanza di adesione” coprisse solo il silenzio-assenso non dato, mentre “voto contrario espresso” no. La Cassazione ha invece affermato che il giudice può superare sia l’inerzia sia il rifiuto attivo del Fisco, sempre nei limiti delle condizioni (adesione determinante e convenienza rispettata). Questa pronuncia consolida il cram down fiscale come potere giudiziale pieno. Nella stessa ordinanza, la Suprema(in continuazione)
… Corte ha anche ribadito che l’omologazione forzata può intervenire solo se il credito fiscale non superi la metà dell’indebitamento complessivo e vi siano altri creditori consenzienti.
- Corte d’Appello di Roma, 8 agosto 2024 n. 5412: ha affrontato un caso di richiesta di cram down fiscale dove l’Erario era l’unico creditore rilevante (oltre l’86% delle passività) e aveva rifiutato la proposta (pagamento 21,5% vs 3,85% in caso di fallimento). La Corte ha negato l’omologa forzosa, evidenziando che manca uno “spirito di accordo” con altri creditori e che l’operatività del meccanismo richiede la presenza di un accordo pregresso con almeno una parte del ceto creditorio. Questa pronuncia (precedente alla legge 103/2023 ma confermata da essa) pone un argine agli accordi rivolti al solo Fisco, ritenendoli inammissibili senza altri creditori coinvolti.
- Tribunale di Milano, decreto 4 aprile 2024 (in IlCaso.it, Sez. Giur. 31581): in tema di risoluzione dell’accordo omologato, ha recepito i principi delle Sezioni Unite n. 4696/2022. Il Tribunale ha affermato che un creditore aderente può chiedere il fallimento del debitore se questi non adempie l’accordo, senza dover prima far risolvere l’accordo in sede giudiziale (a differenza di quanto richiesto ora per il concordato, art. 119 co.7 CCII). Ha però precisato che ciò non implica l’automatica applicazione all’accordo delle regole di risoluzione del concordato: l’accordo non è soggetto al termine decadenziale annuale previsto per la risoluzione del concordato e le eventuali rinunce unilaterali di crediti (di alcuni creditori) prima dell’accordo non contano come accordo ai fini del quorum. In sostanza, il fallimento post-accordo è possibile anche senza risoluzione formale, purché vi sia insolvenza attuale.
- Cassazione, Sez. I, 13 dicembre 2023 n. 34865 (in FiscoOggi): ha statuito che ogni contestazione sul diniego di transazione fiscale dell’Agenzia Entrate rientra nella competenza del giudice concorsuale, non del giudice tributario. Ciò conferma che l’adesione o il rifiuto del Fisco all’accordo è valutato nell’ambito del procedimento di omologa e, in caso di rifiuto considerato ingiustificato, sarà il tribunale fallimentare a poter eventualmente bypassare tale diniego (principio poi consacrato dal legislatore). La Cassazione, con questa pronuncia e altre simili, spinge per una visione unitaria e concorsuale delle trattative col Fisco.
- Cassazione, Sez. I, 8 giugno 2020 n. 10884: pur riferita a un concordato, è importante perché ha affermato il principio di assoluta parità di trattamento dei creditori privilegiati, ritenendo inammissibile soddisfare parzialmente un credito tributario privilegiato e, al contempo, pagare creditori di rango inferiore. Questo orientamento di “priorità assoluta” è stato superato dalla successiva evoluzione normativa (transazione fiscale), ma era indice della rigidità iniziale con cui la giurisprudenza proteggeva il Fisco. Oggi, la legge consente la “priorità relativa” (pagamenti parziali dei privilegiati ammissibili se il loro trattamento non è peggiore di quello di creditori subordinati) e Cass. 10884/2020 viene richiamata per evidenziare come le nuove norme costituiscano deroga espressa a quell’indirizzo.
- Cassazione, Sez. Unite civili, 8 marzo 2022 n. 4696: come visto, le SS.UU. hanno risolto un contrasto relativo alla legittimazione dei creditori a chiedere il fallimento dopo un concordato non adempiuto, estendendo il principio agli accordi di ristrutturazione. L’accordo non gode di un regime di risoluzione formale come il concordato (che ora richiede risoluzione prima del fallimento, salvo nuovi debiti), quindi il creditore può agire immediatamente. Le SS.UU. hanno però sottolineato che ciò non comporta l’automatica applicazione delle norme del concordato agli accordi: in particolare, l’accordo non è soggetto al termine annuale di risoluzione prevista per il concordato (art. 118 CCII). Questa pronuncia offre certezza ai creditori aderenti: se il debitore non paga secondo l’accordo, possono reagire prontamente, senza dover attendere o attivare una procedura di risoluzione giudiziale dell’accordo stesso (che, in effetti, il CCII non prevede espressamente).
- Tribunale di Cagliari, decreto 10 giugno 2023 (in Diritto del Risparmio): ha rappresentato uno dei primi casi applicativi del cram down post-2020. Nonostante l’opposizione dell’Agenzia delle Entrate, il Tribunale ha omologato l’accordo di ristrutturazione ex artt. 57 e 63 CCII, ritenendo soddisfatte le condizioni di legge per l’adesione forzata del Fisco. La decisione evidenzia come, in presenza di una proposta conveniente (nel caso, l’Erario avrebbe ottenuto più del doppio rispetto a quanto avrebbe preso in fallimento) e di altre adesioni, il giudice possa superare le resistenze erariali. Questo orientamento di merito, in linea con la ratio della norma, è stato poi confermato dalle pronunce di legittimità sopracitate.
- Tribunale di Reggio Calabria, decreto 6 luglio 2023 (in ilCaso.it): ha omologato un accordo di ristrutturazione comprensivo di transazione fiscale, sottolineando il rispetto del divieto di trattamento deteriore del credito tributario. Il Tribunale ha verificato che la percentuale offerta al Fisco (ad es. 30%) non fosse inferiore a quella offerta ai chirografari (ugualmente 30%), e che il debito IVA falcidiato corrispondesse alla parte non garantita da attivo (incapienza). Questa prassi giurisprudenziale di controllo puntuale garantisce la tenuta in giudizio degli accordi anche in eventuali impugnazioni.
- Cassazione, Sez. I, 29 dicembre 2024 n. 34842: in chiusura d’anno 2024 la Suprema Corte ha ribadito il dovere del tribunale di verificare d’ufficio la correttezza del trattamento dei crediti pubblici negli accordi, anche in assenza di opposizione. Nel caso esaminato (accordo con transazione fiscale omologato), la Cassazione ha cassato l’omologa perché il piano non rispettava appieno la regola della priorità relativa: alcuni creditori chirografari avevano ottenuto condizioni leggermente migliori del Fisco privilegiato falcidiato. Ciò a conferma che la legittimità dell’accordo è scrutinabile anche successivamente e che occorre massima attenzione nel predisporre il trattamento delle varie classi.
Rilievi di diritto europeo: non vi sono state, finora, pronunce della Corte di Giustizia UE specifiche sugli accordi ex art. 57 CCII, ma la disciplina italiana è stata calibrata per conformarsi alla Direttiva UE 2019/1023. La giurisprudenza nazionale spesso richiama i considerando della Direttiva in tema di coinvolgimento dei creditori inattivi e di protezione dei dissenzienti. Ad esempio, Cass. 2024 n.27782 cita il considerando 64 della Direttiva (sui creditori che non partecipano al voto) per interpretare estensivamente la nozione di “mancanza di voto”. Inoltre, si osserva come l’istituto italiano dell’efficacia estesa abbia analogie con meccanismi di altri ordinamenti europei: la cross-class cram down del diritto tedesco (StaRUG) o lo scheme of arrangement inglese. Ciò facilita un approccio comparato e filoeuropeo da parte dei giudici italiani, teso a privilegiare soluzioni di continuità aziendale e soddisfacimento negoziale rispetto alla liquidazione giudiziale. Le pronunce riportate mostrano questa tendenza: interpretazioni evolutive (come il cram down fiscale) e flessibili (es. esclusione del creditore opponente in omologa parziale) evidenziano la volontà dei giudici di far funzionare gli accordi, purché nel rispetto delle tutele minime dei dissenzienti.
In definitiva, la giurisprudenza recente:
- Supporta l’innovatività degli accordi ad efficacia estesa, usando i nuovi poteri (omologa nonostante il Fisco, ecc.) per evitare che una crisi risanabile finisca in fallimento per l’opposizione irragionevole di pochi;
- Tutela i principi di equità tra creditori: ribadisce che nessun accordo può essere omologato se non garantisce almeno la convenienza rispetto alla liquidazione e la pari dignità dei creditori di pari grado;
- Fornisce indicazioni operative: ad esempio, se il Fisco è praticamente l’unico creditore e non c’è intesa, è preferibile non perseguire l’accordo ma altre soluzioni (come evidenziato da App. Roma 2024), oppure se un accordo omologato necessita modifiche, conviene formalizzarle in un nuovo accordo per non perdere benefici (vedi Risp. AE 49/2024 sul trattamento fiscale).
Questa base giurisprudenziale dà oggi a imprenditori e consulenti un quadro più chiaro entro cui muoversi, indicando sia le potenzialità (e.g. possibilità di chiudere accordi anche con il dissenso fiscale) sia i limiti da non superare (e.g. evitare estensioni ingiuste o accordi “monocreditori”).
9. Casi pratici, simulazioni e modelli operativi
Per calare quanto esposto nella pratica, esaminiamo un esempio simulato di accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa e forniamo un schema operativo (check-list) utile a imprenditori e consulenti.
9.1 Esempio pratico di accordo ad efficacia estesa
Scenario: Beta S.r.l. è un’impresa manifatturiera in crisi finanziaria, con debiti totali per 2 milioni di euro così composti:
- €800.000 verso banche (credito chirografario),
- €600.000 verso fornitori chirografari,
- €400.000 di debiti tributari (di cui €250.000 IVA privilegiata e €150.000 tra IRPEF e sanzioni chirografarie),
- €200.000 verso altri vari (affitti, consulenti).
L’azienda è in crisi ma in continuità aziendale: ha ordini e può proseguire l’attività se riduce l’indebitamento a un livello sostenibile. In liquidazione giudiziale, si stima che i beni aziendali (macchinari e magazzino) coprirebbero solo i crediti privilegiati, con i chirografari che recupererebbero circa il 20% del loro credito.
Soluzione proposta: Beta S.r.l. elabora un piano di risanamento che prevede un accordo di ristrutturazione dei debiti con la continuazione dell’attività. In sintesi, offre:
- Ai creditori finanziari (banche): pagamento del 80% dei rispettivi crediti in 5 anni (20% di stralcio). Le banche A e B (che detengono ciascuna €400.000) aderiscono; una piccola banca C (€80.000 di credito) inizialmente è dubbiosa.
- Ai fornitori: pagamento del 50% dei crediti in 24 mesi (stralcio 50%), mantenendo i rapporti commerciali. I fornitori principali (che rappresentano €500.000 su 600.000) accettano la proposta; i piccoli fornitori (€100.000 totali) sono passivi, alcuni vorrebbero il 100% ma non attivano azioni.
- All’Erario (Agenzia Entrate): proposta di transazione fiscale con pagamento di €250.000 su €400.000 (pari al 62,5%): in particolare, IVA €250.000 verrebbe pagata integralmente (essendo garantita dai beni aziendali circa in tale misura) e le sanzioni/IRPEF chirografarie sarebbero falcidiate quasi totalmente. Il pagamento avverrà in 4 anni. Questa proposta, asseverata come più conveniente del fallimento (dove il Fisco avrebbe preso forse 30-40%), viene presentata contestualmente al deposito dell’accordo.
- Agli altri creditori vari: pagamento integrale ma dilazionato in 1 anno (si tratta spesso di crediti minori, eventualmente strategici da non toccare per motivi reputazionali).
Esecuzione dell’accordo: Beta S.r.l. raccoglie le adesioni scritte: le banche A e B firmano, totalizzando 100% della loro categoria (banche); i fornitori firmatari rappresentano ~83% del valore dei crediti fornitori (500k su 600k). Globalmente Beta ha adesioni per circa €1.300.000 su 2.000.000 (65% del totale debiti) – >60% quindi l’accordo è valido. Inoltre crea due categorie omogenee:
- Categoria “Banche chirografarie”: comprende A, B e C (€800k totali, aderenti 90% – la banca C (€80k) non ha firmato, ma le altre due coprono il 90% >75%). Si chiede efficacia estesa su C.
- Categoria “Fornitori chirografari”: totale €600k, aderenti 83% – >75%, i restanti piccoli fornitori per €100k non aderenti saranno vincolati.
(I crediti tributari e gli altri crediti non formano categorie vincolate: il Fisco si tratta via transazione, gli altri sono pagati integralmente per scelta).
L’accordo viene depositato in tribunale con la relazione di un attestatore che certifica che:
- i creditori non aderenti (banca C e piccoli fornitori) prendono comunque più del 20% che avrebbero in fallimento (prendono 80% e 50% rispettivamente, vs 20% in fallimento);
- l’attività produce flussi sufficienti a pagare le rate proposte;
- l’Erario riceve 62,5% rispetto a un 10% circa stimato in caso di liquidazione, quindi la proposta è conveniente.
Il tribunale concede misure protettive (sospendendo un decreto ingiuntivo che la banca C aveva ottenuto) e, decorsi i termini, omologa l’accordo, estendendone gli effetti alla banca C e ai fornitori dissenzienti. L’Agenzia Entrate, inizialmente silente, viene comunque inclusa poiché l’adesione era decisiva ma la convenienza era evidente; il giudice omologa anche senza un formale assenso (si tratta di cram down fiscale, nel frattempo reso possibile dalla legge). A omologa avvenuta, Beta inizia a pagare secondo il piano: la banca C, seppur non firmataria, riceve la prima rata ed è vincolata a non agire oltre (non potendo pretendere più dell’80% accordato); i fornitori non aderenti incassano gli acconti e proseguono i rapporti; l’Erario incamera le prime rate e sospende le azioni esecutive (fermi amministrativi) avviate.
Esito: Beta S.r.l. riesce a dimezzare il proprio indebitamento e, grazie alla continuità aziendale, ritorna solvibile e competitiva. I creditori aderenti ottengono soddisfazione parziale ma in un contesto di continuità (le banche evitano peggiori perdite, i fornitori mantengono un cliente, il Fisco recupera più che in fallimento). Questo esempio mostra come l’accordo ad efficacia estesa consenta di gestire i dissensi residui (banca C e alcuni fornitori) senza che questi facciano naufragare il risanamento, garantendo però loro un trattamento equo e conforme al best interest test. Mostra anche l’importanza della transazione fiscale: senza di essa, Beta avrebbe dovuto pagare €400k di tasse per intero (insostenibile); con essa, ha potuto ridurre quel carico a €250k spalmati in 4 anni. Tutti gli atti (dall’omologa alle cessioni di beni previste nel piano) sono esenti da bollo e registro, e Beta non pagherà tasse sulla sopravvenienza attiva da €1M di debiti abbattuti grazie alle perdite fiscali pregresse e alla norma agevolativa.
9.2 Struttura indicativa di un accordo di ristrutturazione
Sulla base dell’esempio, i documenti operativi da predisporre sono:
- Accordo di ristrutturazione (contratto) contenente: Premesse (descrizione crisi), Elenco creditori e ripartizione per categorie omogenee, Trattamento dei crediti per ciascuna categoria (percentuali, scadenze, garanzie), Impegni del debitore (esecuzione del piano, informativa periodica), eventuali Clausole di efficacia estesa (indicando i creditori non aderenti che saranno vincolati ex lege), Condizione sospensiva dell’omologa, Clausole risolutive (inadempimenti rilevanti), Foro competente. L’accordo dev’essere sottoscritto dal legale rappresentante della società e dai creditori aderenti (anche con firme separate).
- Piano industriale e finanziario allegato: illustra le strategie di risanamento, il cash-flow prospettico con cui si pagheranno le percentuali offerte, l’eventuale apporto di nuovi capitali, e include uno scenario di liquidazione per confronto (per dimostrare la convenienza).
- Relazione del professionista attestatore: documento indipendente che attesta: (a) la veridicità dei dati aziendali, (b) la fattibilità del piano e dell’accordo, (c) la convenienza per i creditori non aderenti (dando conto che incasseranno almeno quanto in caso di fallimento). Nel caso di transazione fiscale, attesta anche la capienza delle garanzie erariali e la convenienza per il Fisco.
- Domanda di omologazione da depositare in tribunale: un ricorso con cui Beta S.r.l. chiede l’omologa ex artt. 44, 48 e 61 CCII, elencando i documenti allegati (accordo, piano, attestazione, bilanci, elenco creditori completo, certificato dei debiti fiscali e previdenziali). Se servono misure protettive, vanno richieste in questo ricorso o con istanza separata ex art. 54 CCII.
- Istanza di transazione fiscale e contributiva: un’istanza formale (o più, a seconda degli enti) rivolta ad Agenzia Entrate e INPS, contenente la proposta dettagliata di pagamento e gli elementi per valutarne la convenienza, allegando la relazione di attestazione. Questa va presentata preferibilmente contestualmente al deposito in tribunale (così che i 90 giorni di tempo per l’AdE decorrano subito).
9.3 Check-list per imprenditori e consulenti
Per gestire correttamente un accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa, è utile seguire una check-list operativa:
- Analisi iniziale della crisi: valutare la situazione economico-finanziaria dell’impresa, l’entità dei debiti e la presenza di stakeholder (banche, fornitori principali, fisco). Verificare se vi sono prospettive concrete di risanamento (ad esempio, commesse in corso, riorganizzazioni possibili) o se la crisi è irreversibile.
- Scelta dello strumento: decidere se l’accordo di ristrutturazione è lo strumento adatto. Domande chiave: Si può ottenere l’adesione di almeno il 60% dei crediti? I pochi dissenzienti potranno essere gestiti con efficacia estesa? L’impresa preferisce evitare il percorso più lungo del concordato? Se i crediti sono troppo frammentati o c’è incertezza sulle adesioni, considerare eventualmente il concordato preventivo. Se invece i creditori sono pochi e tutti collaborativi, potrebbe bastare un piano attestato semplice (senza omologa).
- Coinvolgimento dei professionisti: incaricare tempestivamente un advisor finanziario/legale esperto in crisi d’impresa e individuare un attestatore indipendente (iscritto all’albo dei gestori crisi) di comprovata esperienza. L’attestatore deve essere terzo (assenza di conflitti) e avere tempo per analizzare dati e piano. Se si prevede di attivare la composizione negoziata, inoltrare istanza per la nomina di un esperto.
- Predisposizione del piano di risanamento: elaborare un piano industriale realistico, con proiezioni di conto economico, stato patrimoniale e flussi di cassa pluriennali. Il piano deve indicare chiaramente come si intende ristrutturare l’impresa (taglio costi, dismissione di rami improduttivi, nuovi investimenti, ecc.) e come genererà liquidità per soddisfare i creditori. Determinare il valore di liquidazione in caso di fallimento (stima prudenziale di quanto otterrebbero i creditori). Questa stima sarà cruciale per definire le percentuali minime da offrire ai dissenzienti.
- Classificazione dei debiti per grado e natura: redigere l’elenco completo dei debiti distinguendo le varie categorie: crediti con garanzie reali, crediti privilegiati (dipendenti, Erario, ecc.), crediti chirografari (eventualmente suddivisi per tipologia: banche, fornitori, ecc.). Ciò servirà a ipotizzare le “categorie omogenee” ex art. 61 CCII e capire dove potrebbe servire l’efficacia estesa. Ad esempio, raggruppare tutti i finanziatori bancari insieme, i fornitori commerciali insieme, ecc.
- Definizione dell’offerta ai creditori: sulla base del piano e delle risorse disponibili, decidere quanto proporre a ciascuna categoria di creditori. Tenere conto dei vincoli legali: creditori con pegni/ipoteche vanno pagati almeno fino al valore del bene; crediti fiscali privilegiati idem; creditori chirografari possono essere falcidiati liberamente purché il loro trattamento sia proporzionale. Stabilire anche i tempi di pagamento e se offrire eventuali garanzie aggiuntive (es. nuova garanzia dei soci per la parte residua, ecc.).
- Contatti preliminari con i creditori chiave: è prudente, prima di formalizzare tutto, sondare informalmente le banche e i fornitori principali per verificarne la disponibilità. Ciò può avvenire nell’ambito della composizione negoziata con l’aiuto dell’esperto nominato (che convoca gli incontri e facilita lo scambio di informazioni in via riservata). In ogni caso, assicurarsi di avere il sostegno dei creditori che rappresentano almeno il 60% dei debiti (idealmente di più, per margine di sicurezza). Anche l’Amministrazione finanziaria può essere interpellata a livello informale (alcuni uffici accettano incontri pre-istanza) per capire se la proposta di transazione potrebbe essere accolta.
- Redazione dell’accordo e raccolta delle adesioni: predisporre materialmente il testo dell’accordo di ristrutturazione, includendo tutte le clausole rilevanti (vedi §9.2). Far circolare la bozza tra i creditori chiave per eventuali aggiustamenti. Una volta definito il testo, raccogliere le firme di adesione dai creditori disponibili (spesso si firmano più copie o si firma aderendovi con atto separato, purché chiaro). Per i creditori che aderiscono, considerare la possibilità di far sottoscrivere anche impegni accessori (es. accordi di standstill: impegno a non agire esecutivamente nelle more dell’omologa, a votare sì nell’eventuale concordato se l’accordo fallisce, ecc.).
- Notifica ai creditori potenzialmente dissenzienti: comunicare formalmente (meglio per iscritto, es. PEC) ai creditori non aderenti l’avvio delle trattative e le linee generali della proposta. Questo adempimento, da reiterare al momento del deposito dell’accordo, è essenziale per soddisfare la condizione di cui all’art. 61 co.2 lett. a (informazione e buona fede). Documentare tali comunicazioni per poterle esibire in tribunale.
- Attestazione del piano e dell’accordo: fornire all’attestatore nominato il piano definitivo e l’accordo con le adesioni raccolte. L’attestatore dovrà avere accesso a tutti i dati (bilanci, situazione aggiornata, perizie di stima beni, ecc.) e potrà richiedere ulteriori informazioni o correzioni. Una volta convinto della fattibilità e convenienza, rilascerà la relazione giurata di attestazione. Questa va ottenuta prima del deposito in tribunale. Verificare che la relazione copra espressamente il best interest test dei non aderenti (è un punto che il giudice guarderà attentamente).
- Deposito dell’accordo in tribunale: predisporre il ricorso per omologazione indirizzato al Tribunale competente (dove ha sede l’impresa). Allegare tutti i documenti elencati in §9.2. Se occorre, nel ricorso richiedere la concessione di misure protettive urgenti (specificando quali creditori hanno eventualmente azioni pendenti da sospendere). Pagare il contributo unificato ridotto previsto per queste procedure e curare la iscrizione dell’accordo al Registro delle Imprese per pubblicità legale. Contestualmente, presentare la domanda di transazione fiscale agli enti creditori pubblici (Agenzia Entrate-Riscossione e INPS), depositandone copia anche al tribunale.
- Fase pre-omologa e opposizioni: dopo il deposito, il tribunale nomina un giudice delegato e fissa termini per le eventuali opposizioni (30 giorni dalla pubblicazione/ notifica). Notificare immediatamente a mezzo PEC copia del ricorso e dell’accordo ai creditori non aderenti coinvolti nell’estensione. Nel frattempo, attivarsi per soddisfare eventuali condizioni richieste dal tribunale in sede di concessione dello stay (es. presentare relazione periodica di cassa all’esperto nominato, se vi è composizione negoziata in corso, o versare un importo a titolo di cauzione spese, ecc.). Se giungono opposizioni, preparare le memorie difensive confutandole puntualmente (con l’ausilio dell’attestatore per gli aspetti tecnici). Ad esempio, se un creditore contesta la convenienza, produrre calcoli dettagliati che mostrino che con l’accordo prende di più.
- Udienza di omologazione: partecipare (insieme ai legali e, se del caso, all’attestatore) all’udienza davanti al tribunale. Rispondere a eventuali richieste di chiarimenti del giudice. In molti casi, se le percentuali e le condizioni di legge sono rispettate e non vi sono opposizioni gravi, l’udienza può essere una formalità. Se invece ci sono oppositori (es. il Fisco che ha detto no), focalizzarsi sugli argomenti chiave: soglia del 60% raggiunta, adesione decisiva del Fisco, convenienza economica per tutti, buona fede tenuta in trattative. Richiamare eventuale giurisprudenza favorevole (come quella citata in §8) a sostegno della propria tesi.
- Decreto di omologa: attendere la pronuncia. Se positiva, verificarne il contenuto: spesso il decreto dell’accordo ad efficacia estesa dichiara espressamente che gli effetti dell’accordo sono estesi ai creditori X e Y non aderenti della categoria Z. Controllare che rispecchi le richieste. In caso di omologa con esclusione di un oppositore (evenienza rara ma possibile), capire l’impatto e decidere come gestire quel creditore rimasto estraneo (probabilmente da pagare integralmente fuori accordo, pena il suo potenziale fallimento). Se, malauguratamente, il tribunale rifiuta l’omologa, valutare immediatamente – entro i 30 gg – il reclamo in Corte d’Appello (ove ammesso) o, in alternativa, la strada del concordato preventivo (spesso si deposita contestualmente riserva di concordato come piano B).
- Esecuzione dell’accordo: con l’omologa, l’accordo diventa vincolante ed efficace per tutti i soggetti coinvolti. A questo punto l’imprenditore deve adempiere rigorosamente gli impegni presi. Predisporre un calendario delle scadenze di pagamento secondo l’accordo e garantirsi le risorse (ad es. se erano previste vendite di asset per pagare le prime rate, attivarle subito con l’ausilio eventuale di un advisor finanziario). È utile nominare internamente un responsabile del monitoraggio del piano: verificare periodicamente i flussi di cassa consuntivi vs previsionali e segnalare eventuali scostamenti. Mantenere informati i creditori (in particolare quelli aderenti che hanno interesse al buon esito) sullo stato di avanzamento.
- Gestione dei creditori estranei e adempimenti fiscali: se l’accordo prevede pagamenti integrali a taluni creditori estranei (es. debiti verso fornitori esclusi), onorarli puntualmente per evitare azioni. Attivarsi presso l’Agenzia delle Entrate e altri enti affinché, in seguito all’omologa, aggiornino le proprie scritture: l’Agenzia dovrà emettere atti di sgravio per la parte di debito fiscale stralciata e predisporre piani di rateazione per la parte dovuta; cancellare eventuali ipoteche fiscali se l’accordo le prevede (il decreto di omologa costituisce titolo). Sul fronte contabile, registrare la sopravvenienza attiva da riduzione debiti e le variazioni del passivo (in nota integrativa spiegare che è frutto di accordo ex art. 57 CCII omologato). Valutare con il proprio consulente fiscale l’utilizzo di perdite pregresse per sterilizzare la tassazione di tali sopravvenienze.
- Eventuali modifiche in corso d’opera: se, durante l’esecuzione, si manifestano difficoltà (ad es. incassi inferiori al previsto, tali da mettere a rischio una rata futura), attivarsi subito: contattare i creditori interessati e l’eventuale advisory committee se costituito, per concordare aggiustamenti. L’art. 58 CCII permette di pubblicare una modifica del piano concordata con i creditori senza passare dal giudice se non peggiora la loro posizione. Esempio: se occorre posticipare di 3 mesi una rata ma i creditori sono d’accordo, redigere un addendum al piano da depositare al Registro delle Imprese. Attenzione però all’aspetto fiscale (come visto, modifiche senza omologa comportano tassazione delle eventuali ulteriori remissioni). Se le variazioni fossero significative o qualche creditore non fosse d’accordo, considerare di rinegoziare un nuovo accordo o un concordato minore, piuttosto che andare incontro a possibile risoluzione di fatto.
- Chiusura del percorso: al termine dell’esecuzione del piano, verificare che tutti i crediti siano stati soddisfatti secondo quanto stabilito. Se l’accordo è stato eseguito integralmente, l’imprenditore esce formalmente dalla crisi. Non è prevista una “chiusura” ufficiale come nel concordato, ma si può comunicare ai creditori l’avvenuto integrale adempimento. L’azienda potrà allora concentrarsi sul rilancio, con una struttura finanziaria più leggera. In caso di inadempimento grave, invece, i creditori potranno – come visto – intraprendere azioni esecutive o chiedere il fallimento (che, a accordo non adempiuto, verrà dichiarato dal tribunale se l’insolvenza perdura).
Questa check-list sintetizza i passaggi fondamentali. Ogni situazione concreta potrà presentare peculiarità (ad es. coinvolgimento di soci per ricapitalizzazione, presenza di pegni su magazzino da trattare separatamente, ecc.), ma la logica di base resta: negoziare in anticipo, coinvolgere correttamente i creditori, soddisfare condizioni legali, e dare piena esecuzione agli impegni presi. Quando ben orchestrato, un accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa può rappresentare la salvezza per un’azienda in difficoltà e, contestualmente, garantire ai creditori una soddisfazione più alta rispetto agli scenari liquidatori, in uno spirito di composizione concordata della crisi che è l’obiettivo ultimo del Codice della crisi e dell’insolvenza.
10. Fonti normative, dottrinali e giurisprudenziali (ultima consultazione 4/5/2025)
- Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267 – Legge Fallimentare (vigente fino al 14 luglio 2022), artt. 182-bis, 182-ter, 182-septies, 182-octies. G.U. n.81 del 6/04/1942.
- Decreto-Legge 27 giugno 2015, n. 83, convertito con modificazioni dalla L. 6 agosto 2015, n. 132 – Introduzione dell’art. 182-septies L.F. (accordi con intermediari finanziari e convenzioni di moratoria). G.U. n.147 del 27/06/2015.
- Decreto Legislativo 12 gennaio 2019, n. 14 – Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, artt. 56, 57-64 (strumenti di regolazione della crisi), art. 84 e segg. (concordato preventivo), art. 88 (trattamento fiscale sopravvenienze), artt. 44-54 (procedimento omologa), art. 61 (accordi ad efficacia estesa), art. 63 (transazione fiscale). Pubblicato in G.U. n.38 del 14/02/2019 (Suppl. ord.). (Norma base, successivamente modificata da decreti correttivi e di attuazione direttiva).
- Decreto Legislativo 26 ottobre 2020, n. 147 – Primo correttivo al CCII. Ha modificato, tra l’altro, l’art. 88 TUIR detassazione sopravvenienze e ampliato termini per adesione enti pubblici (portati da 60 a 90 gg). G.U. n.276 del 05/11/2020.
- Legge 8 ottobre 2020, n. 159 – Conversione D.L. 125/2020. Ha inserito in L.F.: art. 182-bis co.4 (cram down fiscale negli accordi) e art. 180 co.4 L.F. (cram down concordato), imponendo ad enti il sì se convenienza superiore. Ha inoltre differito l’entrata in vigore degli istituti di allerta del CCII. G.U. n.260 del 20/10/2020.
- Decreto-Legge 24 agosto 2021, n. 118, convertito con mod. dalla L. 21 ottobre 2021, n. 147 – Introduzione della composizione negoziata della crisi al posto dell’OCRI. Ha modificato il CCII prima dell’entrata in vigore, ad es. introducendo l’accordo di ristrutturazione agevolato (art. 60 CCII, soglia 30%), e posticipando al 15/07/2022 l’operatività del Codice. G.U. n.202 del 24/08/2021.
- Decreto Legislativo 17 giugno 2022, n. 83 – Secondo correttivo CCII e attuazione Direttiva (UE) 2019/1023. Ha tra l’altro modificato l’art. 63 CCII rafforzando il cram down fiscale e introdotto condizioni come la pluralità di creditori per omologa forzosa (art. 63 co.2-bis). G.U. n.152 del 01/07/2022.
- Decreto-Legge 13 giugno 2023, n. 69, convertito con mod. dalla L. 10 agosto 2023, n. 103 – Ulteriori modifiche al CCII. Ha inserito l’art. 1-bis al D.L. 69/2023 con condizioni più stringenti per il cram down fiscale negli accordi (percentuale minima soddisfacimento crediti fiscali, obbligo pluralità creditori). (C.d. “Decreto attuazione PNRR 2 / Salva-infrazioni”). G.U. n.186 del 10/08/2023.
- Direttiva (UE) 2019/1023 del 20 giugno 2019 – Ristrutturazione preventiva e insolvenza. Considerando 49-68 e art. 9 (classi di voto, cram down). (Recepita in Italia col D.Lgs. 83/2022).
- Agenzia delle Entrate – Risposta a interpello n. 49/E del 22 febbraio 2024. – Chiarimenti sul regime fiscale delle sopravvenienze attive in caso di modifica di accordo omologato senza nuova omologa (detassazione non applicabile alle ulteriori riduzioni di debito). (fonte: dirittobancario.it Flash News 29/03/2024).
- Agenzia delle Entrate – Circolare n.34/E del 2020. – Istruzioni interne sulla valutazione delle proposte di transazione fiscale (criteri di convenienza e obbligo di motivazione in caso di diniego).
- Cass., Sez. I, 28/10/2024 n.27782 – Ordinanza (in banca dati Sole24Ore) sul cram down fiscale negli accordi.
- Cass., Sez. I, 13/12/2023 n.34865 – Sentenza (Fiscooggi) su competenza giurisdizionale in tema di transazione fiscale (giudice ordinario).
- Cass., Sez. I, 08/06/2020 n.10884 – Sentenza (in Corr. Giur. 2020) su trattamento crediti privilegiati e divieto di alterazione graduatorie nei piani concordatari.
- Cass., Sez. Un., 08/06/2020 n.10884 – (Diversa da sopra: Cass. SU Penale) Sentenza in materia penale tributaria: conferma che la confisca per reati tributari deve essere ridotta proporzionalmente alla falcidia ottenuta con l’accordo di ristrutturazione fiscale.
- Cass., Sez. Un., 17/03/2021 n.8500 – Sentenza (in Riv. Dir. Trib. 2021) sulla natura giurisdizionale delle contestazioni sul diniego di transazione fiscale: competenza del foro concorsuale, anticipando Cass. 34865/2023.
- Massimario Corte di Cassazione – Relazione novità normativa 87/2022 – Riforma CCII 2022 (riflessi su accordi di ristrutturazione, adesione fiscale).
- Camera di Commercio di Milano Monza – Portale Crisi: guida pratica sulla Composizione Negoziata e lista controlli per esperto (menziona accordi agevolati 30%).
Accordi di Ristrutturazione a Efficacia Estesa: Perché Affidarsi a Studio Monardo
Hai un’impresa indebitata, ma ancora operativa e con prospettive di rilancio? Hai ottenuto l’adesione di una parte consistente dei tuoi creditori, ma alcuni si oppongono o restano in silenzio?
Con gli Accordi di Ristrutturazione a Efficacia Estesa, puoi ottenere l’omologazione del piano anche contro la volontà di alcuni creditori, bloccando azioni esecutive e salvando l’impresa.
Si tratta di una soluzione introdotta dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019, artt. 60 e 61), pensata per rafforzare la tutela del debitore e rendere gli accordi vincolanti per tutti.
Affidarsi all’Avvocato Giuseppe Monardo significa contare su un esperto legale abilitato che può strutturare il piano, negoziare con i creditori e ottenere l’omologazione giudiziale con estensione a tutti.
Cosa fa per te l’Avvocato Monardo
- Analizza la tua posizione finanziaria e costruisce un piano realistico
- Coordina il lavoro di commercialisti, advisor e attestatori
- Negoziata gli accordi con i creditori chiave (banche, fornitori, Fisco)
- Raccoglie le adesioni necessarie al raggiungimento della soglia
- Presenta la domanda al Tribunale per ottenere l’omologazione con efficacia estesa
- Ti rappresenta durante tutte le fasi giudiziali e gestisce l’esecuzione del piano
Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo
L’Avvocato Monardo è:
- Gestore della Crisi da Sovraindebitamento, iscritto presso il Ministero della Giustizia
- Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa, abilitato ex D.L. 118/2021
- Fiduciario di un Organismo di Composizione della Crisi (OCC)
- Coordinatore di una rete nazionale di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario, tributario ed esecutivo
Grazie a queste competenze, è in grado di gestire l’intero processo con autorevolezza, precisione e rapidità.
Perché agire adesso
- Perché solo l’accordo omologato blocca anche i creditori ostili
- Perché le banche e il Fisco valutano positivamente chi agisce per tempo
- Perché più passa il tempo, minori sono le possibilità di successo
- Perché una ristrutturazione ben costruita salva azienda, reputazione e amministratori
Conclusione
Gli Accordi di Ristrutturazione a Efficacia Estesa sono la soluzione ideale per chi vuole uscire dalla crisi in modo negoziato, strutturato e protetto, anche in presenza di dissenso.
Affidarsi all’Avvocato Giuseppe Monardo significa avere accanto un professionista esperto e abilitato, in grado di costruire il piano, trattare con tutti i creditori e ottenere l’omologa che vincola anche chi non partecipa.
Qui di seguito tutti i riferimenti per contattare il nostro Studio Legale specializzato: