Vuoi conoscere più a fondo come funziona il concordato semplificato?
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Introduzione e Contesto Normativo
Il Concordato Semplificato per la liquidazione del patrimonio è uno strumento introdotto nel nostro ordinamento di recente, all’interno del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019, detto CCII). Si tratta di una procedura concorsuale straordinaria e residuale, utilizzabile dall’imprenditore in difficoltà solo dopo aver tentato senza successo una composizione negoziata della crisi. In altre parole, il concordato semplificato è un’extrema ratio: si può chiedere solo quando ogni ipotesi di risanamento o accordo è fallita, per arrivare a una rapida liquidazione del patrimonio aziendale sotto il controllo del Tribunale.
Contesto normativo: Il Codice della Crisi (CCII), entrato pienamente in vigore nel 2022, ha innovato la disciplina delle procedure concorsuali. Il concordato semplificato è stato introdotto dapprima col D.L. 118/2021 (convertito in L. 147/2021) e poi integrato nel CCII (artt. 25-sexies e seguenti) anche in recepimento della Direttiva UE 2019/1023. Successivi correttivi normativi hanno perfezionato la disciplina: ad esempio, il Decreto Correttivo Ter (D.Lgs. 13 settembre 2024 n.136) ha apportato modifiche mirate al concordato semplificato, come vedremo.
Di seguito forniremo una panoramica completa: cos’è il concordato semplificato, chi può utilizzarlo, quali condizioni richiede, come si svolge nella pratica (passo dopo passo), con riferimenti alle leggi aggiornate al 2025 e ai più recenti orientamenti dei Tribunali. Illustreremo anche due casi pratici simulati (una ditta artigiana e una piccola s.r.l.), confronteremo questa procedura con altre opzioni concorsuali e risponderemo alle FAQ più frequenti degli imprenditori.
Che cos’è il Concordato Semplificato?
Il concordato semplificato è una procedura concorsuale liquidatoria semplificata prevista dall’art. 25-sexies CCII. È “semplificata” perché, a differenza del concordato preventivo tradizionale, non prevede il voto dei creditori né la complessa fase di ammissione con commissario giudiziale. In concreto, consiste in un piano di cessione dei beni dell’imprenditore debitore, proposto al Tribunale affinché venga omologato (approvato) senza passare dal consenso dei creditori. Il fine è liquidare tutti i cespiti dell’impresa (eventualmente anche cedendo l’azienda in blocco o rami di essa) e distribuire il ricavato ai creditori in modo più rapido ed efficiente rispetto alla liquidazione fallimentare tradizionale.
Importante: il concordato semplificato non è un concordato “in continuità”. A differenza del concordato preventivo ordinario, che può perseguire anche il risanamento e la prosecuzione dell’attività aziendale, qui l’obiettivo è esclusivamente liquidatorio. Non è prevista la continuazione diretta dell’attività da parte del debitore (se non in via temporanea e funzionale alla vendita dei beni). In pratica, l’impresa andrà dismessa; l’eventuale prosecuzione indiretta (es. vendita a terzi che continueranno l’attività) è solo un effetto collaterale possibile, ammesso solo se utile a massimizzare la soddisfazione dei creditori. Ad esempio, si potrà cedere l’intera azienda o un ramo a un altro soggetto interessato, se ciò consente di ricavare di più rispetto alla vendita spezzettata dei beni. Ma il debitore non può restare alla guida dell’impresa per farla proseguire: il suo scopo dev’essere liquidare e pagare i creditori.
Semplificato vs Preventivo: Vale la pena ribadire alcune differenze chiave rispetto al concordato preventivo tradizionale (disciplinato dagli artt. 84 e ss. CCII):
- Il concordato preventivo può essere di due tipi: liquidatorio (simile, nella finalità, al semplificato) oppure in continuità aziendale (con l’impresa che continua l’attività durante e dopo la procedura). Il concordato semplificato, invece, può essere solo liquidatorio.
- Per accedere al concordato preventivo l’imprenditore deve essere già insolvente (oltre ad avere certi requisiti dimensionali, come vedremo) e propone un piano ai creditori che viene votato dalle varie classi di creditori; serve l’approvazione delle maggioranze e poi l’omologazione del giudice. Nel concordato semplificato, invece, non c’è voto dei creditori: decide tutto il Tribunale in sede di omologazione, e i creditori possono solo presentare opposizione se contrari. Ciò rende la procedura più snella e veloce.
- Organi della procedura: nel preventivo vi sono il giudice delegato e un commissario giudiziale nominati dal Tribunale per vigilare sul debitore durante la procedura. Nel semplificato non vengono nominati né il giudice delegato né il commissario giudiziale. Il Tribunale però può nominare un ausiliario (esperto indipendente) per valutare il piano e riferire al giudice, e dopo l’omologazione nominerà un liquidatore giudiziale che eseguirà la liquidazione dei beni (similmente a quanto avviene nel concordato preventivo liquidatorio).
- Soggetti ammessi: il concordato preventivo è accessibile solo a imprenditori commerciali non piccoli (fallibili, v. art. 121 CCII), in stato di insolvenza. Il concordato semplificato invece è accessibile a qualsiasi imprenditore (anche agricolo e anche sotto soglia di fallibilità) che si trovi in situazione di crisi o insolvenza probabile, purché abbia seguito il percorso di composizione negoziata.
- Percentuali di pagamento: nel concordato preventivo la legge impone in alcuni casi una percentuale minima da garantire ai creditori chirografari (un tempo 20% per i concordati liquidatori). Nel concordato semplificato non c’è alcuna percentuale minima obbligatoria per i crediti chirografari. Si possono dunque proporre anche pagamenti parziali molto bassi, se purtroppo il valore di liquidazione è esiguo. Tuttavia, come vedremo, ogni creditore deve ricevere qualche utilità rispetto all’alternativa del fallimento, altrimenti l’omologazione sarà negata (ad es. offrire zero a una certa categoria di creditori non è ammesso se in liquidazione fallimentare avrebbero comunque diritto a qualcosa, fosse anche solo benefici fiscali; su questo punto si è pronunciato il Tribunale di Bergamo).
In sintesi, il concordato semplificato è un concordato “per cessione dei beni” speciale, introdotto dal legislatore per facilitare la soluzione liquidatoria delle crisi d’impresa in modo più rapido e con meno formalità, quando la via del risanamento concordato non è praticabile. Lo scopo è evitare il prolungarsi della crisi e offrire ai creditori una soddisfazione (anche parziale) più celere e potenzialmente migliore che in una liquidazione giudiziale classica.
Nei paragrafi successivi entreremo nel dettaglio dei requisiti per accedere, modalità di svolgimento della procedura (step operativi, tempistiche, attori coinvolti), consigli pratici e simulazioni di casi reali.
Requisiti e Condizioni di Accesso
Vediamo ora chi può chiedere un concordato semplificato e in quali condizioni. I requisiti si dividono in soggettivi (chi può accedere) e oggettivi (quando e a quali condizioni sostanziali).
Presupposti Soggettivi (chi può accedere)
Possono accedere al concordato semplificato tutti gli imprenditori – di qualsiasi dimensione e natura giuridica – che abbiano seguito una composizione negoziata. In particolare:
- Imprenditori commerciali di qualunque dimensione, inclusi quelli normalmente non fallibili (c.d. imprenditori minori o sotto soglia). Nella legge fallimentare previgente, infatti, chi non superava certi parametri di attivo (€300.000), ricavi (€200.000) e debiti (€500.000) non poteva accedere a concordato preventivo né essere dichiarato fallito. Ora invece, per la composizione negoziata (e dunque per il concordato semplificato successivo) anche i piccoli imprenditori sono ammessi. Ciò è molto rilevante: artigiani, commercianti, piccole startup, imprese individuali sotto soglia – esclusi dal concordato preventivo – possono invece utilizzare la procedura semplificata (se seguono l’iter richiesto).
- Imprenditori agricoli: tradizionalmente esclusi dal fallimento e dal concordato preventivo, gli imprenditori agricoli possono accedere alla composizione negoziata (il CCII li include espressamente). Dunque anche un’azienda agricola in crisi può, in teoria, beneficiare del concordato semplificato una volta concluse le trattative.
- Stato di crisi o insolvenza incipiente: il debitore, al momento di attivare la composizione negoziata, dev’essere in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che rendono probabile la crisi o l’insolvenza. Non è necessario essere già formalmente insolventi (come invece richiesto per il concordato preventivo), basta trovarsi in crisi o in difficoltà prospettica. In pratica, l’azienda deve avere problemi seri (es. flussi di cassa insufficienti, patrimonio eroso, difficoltà a pagare regolarmente i debiti) tali che, senza interventi, l’insolvenza è all’orizzonte. Se invece la situazione fosse ancora stabile, non si potrebbe attivare la composizione negoziata (né quindi la procedura semplificata).
- Percorso obbligatorio: aver esperito la composizione negoziata della crisi con un esperto indipendente nominato (procedura di cui agli artt. 17-25 CCII). Non si può accedere direttamente al concordato semplificato senza prima aver tentato la composizione negoziata. Questo è un punto fondamentale: il legislatore vuole che prima l’imprenditore provi un accordo stragiudiziale o una ristrutturazione assistita dall’esperto (che è una procedura volontaria e confidenziale). Solo se questo tentativo si conclude senza successo (ovvero senza aver portato ad alcuna soluzione di risanamento), allora si “sblocca” la possibilità di richiedere il concordato semplificato.
In sintesi, qualsiasi imprenditore in crisi – grande o piccolo, società o ditta individuale, commerciale o agricolo – può utilizzare il concordato semplificato, purché rispetti due condizioni: (1) abbia formalmente avviato e poi concluso la composizione negoziata con un esperto; (2) al termine di tale percorso sia ancora in stato di crisi o insolvente (ossia non abbia risolto la situazione, cosa prevedibile se ricorre al semplificato).
Vale la pena aggiungere che deve trattarsi di imprenditore onesto e collaborativo: la legge richiede che durante le trattative l’imprenditore si sia comportato con correttezza e buona fede. Su questo aspetto morale si innesta anche il controllo del Tribunale, come vedremo: condotte opportunistiche o ostruzionistiche nelle trattative possono precludere l’accesso al concordato semplificato.
Presupposti Oggettivi (quando e a quali condizioni)
Oltre alla qualifica soggettiva, ci sono delle condizioni oggettive per poter presentare la domanda di concordato semplificato, legate all’esito della composizione negoziata:
- Conclusione della composizione negoziata senza accordo risolutivo. Occorre che le trattative svolte con l’ausilio dell’esperto si siano concluse. Attenzione: la norma (art. 25-sexies CCII) in origine parlava di trattative “che non hanno avuto esito positivo”, ma il correttivo 2024 ha tolto queste parole. Adesso si richiede formalmente solo che le trattative siano terminate, indipendentemente dal motivo. In pratica comunque significa che non è stato possibile trovare una soluzione tra quelle previste dall’art. 23 CCII. Le possibili soluzioni erano:
- un contratto con uno o più creditori o altri soggetti interessati al risanamento (es. accordi stragiudiziali bilaterali);
- una convenzione di moratoria ex art. 62 CCII (accordo per rinviare scadenze);
- un accordo sottoscritto dall’imprenditore, da creditori aderenti e dall’esperto (una sorta di accordo di ristrutturazione semplificato durante la composizione);
- oppure le altre soluzioni ex art. 23 co.2: un piano attestato di risanamento (art. 56 CCII) non è stato fattibile; un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato (artt. 57 e ss. CCII) non è stato raggiunto; né è stato possibile accedere ad alcuna procedura concorsuale ordinaria (concordato preventivo, liquidazione giudiziale o amministrazione straordinaria).
- Relazione finale dell’esperto attestante la buona fede. Al termine della composizione negoziata, l’esperto indipendente nominato redige una relazione finale. In essa egli deve dare atto di come si sono svolte le trattative e concludere se l’imprenditore ha operato con correttezza e buona fede. Questo aspetto è indispensabile: l’art. 25-sexies richiede che le trattative si siano svolte in buona fede secondo l’attestazione dell’esperto. Se, ad esempio, l’esperto certificasse che l’imprenditore ha tenuto comportamenti scorretti (nascondendo informazioni ai creditori, non collaborando, ecc.), il concordato semplificato non sarebbe ammissibile. In pratica, il debitore deve dimostrare di aver provato sul serio a trovare un accordo o altra soluzione durante la negoziazione, fornendo ai creditori tutte le informazioni necessarie e formulando proposte ragionevoli. Questo requisito è stato confermato dalla giurisprudenza: Tribunale di Napoli (25 ottobre 2023) ha chiarito che il giudice deve vigilare sulla effettiva legittimità dell’accesso al semplificato e può negarlo se le trattative non sono state condotte correttamente. In quel caso, Napoli ha addirittura revocato l’ammissione al concordato semplificato e aperto la liquidazione giudiziale, rilevando condotta irregolare dell’imprenditore nelle trattative.
- Termine di presentazione della domanda (60 giorni). La richiesta di concordato semplificato va presentata tempestivamente: entro 60 giorni dalla comunicazione della relazione finale dell’esperto. Questo termine perentorio serve a evitare che il debitore tergiversi dopo la composizione negoziata fallita. Se si lasciasse passare troppo tempo, la situazione potrebbe aggravarsi o i creditori potrebbero agire individualmente. Dunque, una volta ricevuta la relazione finale (poniamo che l’esperto la consegni e la mandi alle parti e al Registro delle Imprese), l’imprenditore ha al massimo 60 giorni per depositare in Tribunale la proposta di concordato semplificato. In caso contrario, perde la “corsia” semplificata e resteranno solo le procedure ordinarie (e.g. i creditori potrebbero chiederne il fallimento). Esempio: se la relazione finale dell’esperto è comunicata il 1° marzo 2025, l’imprenditore deve depositare la domanda di concordato semplificato entro fine aprile 2025.
Riassumendo i presupposti chiave:
- Aver concluso la composizione negoziata senza aver trovato soluzioni di risanamento;
- Aver agito in buona fede durante le trattative (attestato dall’esperto nella relazione finale);
- Essere ancora in stato di crisi/insolvenza (quindi necessitare di liquidazione);
- Presentare la domanda entro 60 giorni dalla fine delle trattative.
Se queste condizioni sono rispettate, il Tribunale può prendere in esame la proposta di concordato semplificato. In caso contrario, la domanda verrà dichiarata inammissibile o comunque rigettata in limine.
💡 Tabella 1 – Requisiti per Concordato Semplificato vs Concordato Preventivo (sintesi):
Requisito | Concordato Semplificato | Concordato Preventivo (ordinario) |
---|---|---|
Stato dell’impresa | Crisi o insolvenza probabile (non serve insolvenza conclamata). | Stato di insolvenza già manifestato. |
Tipologia di imprenditore | Qualsiasi imprenditore (anche agricolo e “sotto soglia”). | Solo imprenditore commerciale non “sotto soglia”. Agricoltori esclusi. |
Procedura preliminare | Necessaria composizione negoziata conclusa senza esito. | Nessuna (accesso diretto al Tribunale). |
Comportamento richiesto | Buona fede e correttezza durante le trattative (verificate da esperto). | Nessun requisito esplicito di trattative pregresse (ma buona fede dovuta comunque). |
Termine per la domanda | Entro 60 giorni dalla relazione finale dell’esperto. | Nessun termine specifico (salvo urgenze per insolvenza). |
Finalità del piano | Solo liquidazione dei beni (no continuità diretta). | Liquidazione o ristrutturazione/continuità. |
Soddisfazione creditori | Parziale, nessun minimo legale per chirografari (ma ogni creditore deve avere un’utilità > 0 rispetto a liquidazione). | Spesso richiesta % minima (es. 20% in liquidatorio). |
Voto dei creditori | No (solo opposizione eventuale in Tribunale). | Sì (maggioranze per classi, poi omologa). |
Organi nominati | Ausiliario del giudice + Liquidatore per la vendita beni. No commissario giudiziale. | Commissario giudiziale + Giudice Delegato durante la procedura; eventuale liquidatore post-omologa (se piano liquidatorio). |
Misure protettive | Richiedibili su istanza col deposito domanda (ora ammesse espressamente). | Automatiche con ricorso + potenziali misure su istanza (art.54 CCII). |
Omologazione Tribunale | Se verifica regolarità, rispetto prelazioni, fattibilità piano, e nessun pregiudizio per creditori rispetto a liquidazione. | Se approvato dai creditori e piano conforme a legge (possibile cram-down se minoranze dissenzienti). |
(La tabella evidenzia le principali differenze: il concordato semplificato richiede la fase di composizione negoziata e mira solo a liquidare, con procedura più rapida e semplificata, mentre il concordato preventivo è più complesso e aperto anche a soluzioni di continuità.)
Come si Svolge la Procedura: Fasi e Tempistiche
Analizziamo adesso l’iter pratico-operativo del concordato semplificato, passo dopo passo, dalla conclusione della composizione negoziata fino alla chiusura della procedura. Pur essendo “semplificato”, il percorso coinvolge comunque il Tribunale e vari atti formali. Ecco le principali fasi:
1. Relazione Finale dell’Esperto e Comunicazione
Il punto di partenza è la relazione finale redatta dall’esperto che ha seguito la composizione negoziata. In essa, come detto, l’esperto dichiara che le trattative si sono concluse e attesta la correttezza e buona fede dell’imprenditore, indicando che nessuna delle soluzioni previste dall’art. 23 CCII è risultata praticabile. Questa relazione viene comunicata alle parti e al Registro delle Imprese.
Il giorno in cui l’imprenditore riceve la comunicazione della relazione finale (dall’esperto o tramite la Camera di Commercio) è cruciale: da quel momento parte il termine di 60 giorni entro cui, se vuole, deve predisporre e depositare la proposta di concordato semplificato.
Se l’imprenditore, lette le conclusioni dell’esperto (che confermano il fallimento delle trattative), decide di procedere col concordato semplificato, dovrà muoversi rapidamente per preparare la domanda al Tribunale. È consigliabile coinvolgere fin da subito un commercialista/consulente e un legale esperti in crisi d’impresa per predisporre il necessario.
2. Predisposizione della Proposta e del Piano Liquidatorio
La proposta di concordato semplificato consiste in un piano di liquidazione dei beni dell’impresa debitrice e in un’ipotesi di riparto del ricavato tra i creditori. In pratica, bisogna preparare un documento che indichi:
- Quali beni (attività) verranno liquidati. Esempio: immobili, macchinari, magazzino, crediti da clienti, partecipazioni, eventuali incentivi o crediti fiscali (p. es. crediti per bonus edilizi come nel caso di cui più avanti), ecc. Praticamente tutto il patrimonio disponibile del debitore deve essere elencato. Se si prevede la cessione dell’azienda in blocco o di un ramo, occorre indicarlo e magari allegare una perizia o una lettera di intenti di un potenziale acquirente. Più il piano è concreto, meglio è.
- Come saranno liquidati questi beni. Ad esempio: asta pubblica, vendita privata già individuata, affidamento a un mediatore, cessione a trattativa privata ma con offerte concorrenti, ecc. Il CCII (art. 25-septies) richiama le regole di trasparenza e competitività delle vendite concorsuali. Quindi, anche se il debitore propone un acquirente già d’accordo, il Tribunale potrebbe comunque richiedere che la vendita avvenga con forme competitive per garantire il miglior prezzo di mercato. Ad ogni modo, nel piano vanno specificate le modalità previste (es.: “immobile X sarà venduto mediante procedura competitiva entro 6 mesi dall’omologazione, prezzo base €…, con eventuale gara tra offerenti”). Se c’è già un’offerta vincolante da parte di un terzo, questo è un elemento positivo da segnalare.
- Valore di realizzo atteso. Bisogna stimare quanto denaro si otterrà dalla liquidazione di ciascun cespite o categoria di beni. Meglio allegare stime o perizie di professionisti indipendenti per dare credibilità alle valutazioni. Ad esempio: immobile valore €500k secondo perizia Tizio; macchinari stima €100k; crediti verso clienti €80k con percentuale di recupero stimata 50% (€40k), ecc.
- Eventuali apporti esterni. Se l’imprenditore o terzi offrono risorse aggiuntive (denaro fresco) per aumentare il monte da distribuire ai creditori, questo va indicato. Ad esempio, i soci potrebbero immettere una somma a fondo perduto per migliorare la percentuale di soddisfacimento. Oppure si può prevedere la cessione di beni personali dei garanti, ecc. Tali apporti volontari non sono obbligatori ma spesso risultano decisivi per rendere appetibile la proposta e dimostrare buona volontà.
- Elenco dei creditori e riparto previsto. Occorre allegare l’elenco completo dei creditori con indicazione di importi e cause di prelazione (privilegi, ipoteche, ecc.), analogo a quello che si prepara per un concordato preventivo. Sulla base del ricavato stimato, va poi indicato quanto si prevede di pagare a ciascuna categoria di crediti:
- Creditori privilegiati: vanno indicati i privilegiati (es. dipendenti per TFR e stipendi, Erario per IVA/ritenute, INPS, creditori con pegno/ipoteca, ecc.) e specificato se saranno soddisfatti integralmente o in che misura. Nel concordato, grazie al richiamo dell’art. 84 co.5 CCII, è possibile pagare i creditori privilegiati anche parzialmente, purché non meno di quanto otterrebbero dalla liquidazione dei beni su cui hanno privilegio. Ad esempio, se un creditore bancario ha ipoteca su un immobile e dalla vendita di quell’immobile si prevedono €100k, la banca deve prendere almeno €100k (anche se il suo credito è magari €150k). Il resto (50k in questo esempio) diventerebbe chirografo. Nota: in molti casi di crisi, specialmente con Erario e INPS, i beni non bastano a coprire interamente quei crediti privilegiati, che quindi per la parte incapiente diventano chirografari (degradazione del privilegio).
- Creditori chirografari (non garantiti): il piano deve indicare che percentuale (anche ipotetica) riceveranno. Può essere anche bassa (5%, 10%, ecc.) se il patrimonio è insufficiente, perché come detto non c’è soglia minima legale. Ad esempio, Tribunale di Lecce ha omologato un concordato semplificato che proponeva di pagare solo il 5% all’Erario e 6% agli enti previdenziali (per la parte di credito priva di garanzia, in quanto non c’erano abbastanza attivi per coprirli). Ciò è stato ritenuto ammissibile in quanto quei crediti erano in gran parte chirografari per incapienza e la percentuale offerta, sebbene molto bassa, rappresentava comunque il massimo realizzabile dalla vendita dell’azienda. In altri termini, ai creditori si può dare poco, ma deve essere almeno quanto ricaverebbero dal fallimento, se non meglio.
- Classi di creditori (facoltativo): grazie al correttivo 2024, la proposta semplificata può prevedere la suddivisione dei creditori in classi, analogamente al concordato preventivo. Ciò può essere utile per trattare in modo differenziato categorie con interessi giuridici omogenei. Tuttavia, non essendoci voto, le classi servono più che altro per trasparenza e per gestire eventuali opposizioni su basi comuni. Ad esempio, potrei creare una classe separata per i fornitori piccoli ai quali garantisco una percentuale un po’ più alta grazie a un contributo dedicato, ecc. Non è obbligatorio ma è consentito e potrebbe facilitare l’omologazione se dimostra equità.
- Documentazione allegata: come ogni procedura concorsuale, serviranno documenti a corredo: gli ultimi bilanci depositati, una situazione patrimoniale aggiornata (alla data della domanda), l’elenco analitico di creditori e debitori, l’elenco degli eventuali beni personali non aziendali se ditta individuale, ecc. Serve anche una relazione di un professionista attestante che il piano di liquidazione è fattibile e che i creditori ricevono non meno di quanto avrebbero in liquidazione giudiziale (principio del “miglior soddisfacimento”). Nel concordato preventivo, questa relazione è l’attestazione di un esperto indipendente ex art. 87 CCII; nel semplificato, la legge non lo prevede espressamente, ma alcuni Tribunali richiedono comunque un’attestazione sulla fattibilità del piano. Spesso viene utilizzata la stessa relazione finale dell’esperto della composizione negoziata, integrata se necessario, oppure si nomina un professionista ad hoc. Il Tribunale di Milano (decreto 15 aprile 2025) ha ribadito che il giudice deve valutare l’attuabilità concreta del piano, non solo sotto il profilo giuridico ma anche economico, quindi è essenziale presentare un piano solido e supportato da analisi.
Questa fase di preparazione è fondamentale: un piano dettagliato, realistico e garantito aumenta le probabilità che il Tribunale omologhi il concordato senza intoppi. Al contrario, piani fumosi o eccessivamente ottimistici rischiano di essere bocciati. Ad esempio, il Tribunale di Lecce (decreto 18 febbraio 2025) ha rigettato l’omologa di un concordato semplificato perché il piano presentava incertezze sull’attivo e garanzie inadeguate: includeva crediti fiscali di dubbia esigibilità, affitti futuri senza idonee fideiussioni, e mancava una chiara indicazione delle passività potenziali. In particolare, buona parte delle risorse prospettate erano aleatorie (un credito litigioso da €624.000 non immediatamente esigibile) e non c’erano garanzie solide per i pagamenti futuri; inoltre i crediti fiscali nel piano non erano stati ceduti pro soluto a terzi specializzati, aumentando l’incertezza. Il Tribunale ha sottolineato che la carenza di garanzie e la scarsa certezza delle risorse rendevano la proposta non conforme ai principi del diritto concorsuale, negando quindi l’omologa. Questo caso dimostra che credibilità e concretezza del piano sono requisiti di fatto per ottenere l’approvazione.
3. Deposito del Ricorso in Tribunale
Una volta pronta, la proposta di concordato semplificato va depositata in Tribunale con un ricorso. La competenza territoriale è del Tribunale dove l’impresa ha la sede principale (come per fallimento/concordato ordinario). Nel ricorso si chiede formalmente al Tribunale di omologare il concordato semplificato ai sensi dell’art. 25-sexies CCII.
Secondo la norma, la proposta può essere presentata anche “con riserva”, analogamente al concordato in bianco (art. 44 CCII). Ciò significa che, entro i 60 giorni, l’imprenditore può depositare un ricorso con la sola domanda di concordato semplificato, riservandosi di depositare nei termini successivi il piano e la documentazione completa. Questa possibilità di concordato semplificato “in bianco” è stata introdotta dal correttivo 2024. Può servire in situazioni di particolare urgenza, magari per bloccare azioni esecutive imminenti, quando il piano non è ancora definito nei dettagli. Tuttavia, va usata con cautela: il tribunale fisserà un termine per presentare il piano (in genere 30-60 giorni) e se non si rispetta, la procedura viene dichiarata improcedibile.
Nel nostro contesto, se possibile, è preferibile depositare direttamente la proposta completa (senza riserva), per dimostrare serietà e avere sin da subito le carte in regola. Il deposito dev’essere fatto telematicamente tramite il Processo Civile Telematico (a cura dell’avvocato) e comporta il pagamento del contributo unificato dovuto per le procedure concorsuali (circa € in base ai parametri).
Contestualmente al deposito, si può richiedere l’applicazione delle misure protettive e cautelari previste dagli artt. 54 e 55 CCII. Anche se l’art. 25-sexies inizialmente non lo menzionava, ormai è pacifico (e confermato dalla modifica normativa del 2024) che anche nel concordato semplificato il debitore può chiedere al Tribunale misure protettive per sospendere o impedire azioni esecutive individuali da parte dei creditori. Ad esempio, si può chiedere la sospensione di pignoramenti, fermi amministrativi, o il blocco di azioni cautelari, in modo da preservare il patrimonio fino all’omologazione. Tali misure, se concesse, operano dalla data di pubblicazione del ricorso nel Registro delle Imprese e durano per l’intera procedura (tipicamente fino all’omologa). Ad esempio, Tribunale di Lecce (4 maggio 2023) ha stabilito che nulla nel testo dell’art. 54 CCII impedisce di applicare le misure protettive al concordato semplificato, concedendo quindi la sospensione di azioni esecutive su istanza del debitore. Anche Tribunale di Forlì (28 marzo 2024) ha aderito a questo orientamento estensivo. Oggi, dopo l’intervento normativo, la richiesta di misure protettive in sede di concordato semplificato è una prassi consolidata e raccomandabile, per evitare che i creditori corrano individualmente ai beni prima che la procedura collettiva abbia effetto.
Riassumendo, nel ricorso al Tribunale bisognerà includere:
- le generalità dell’impresa debitrice e l’indicazione della pendenza di una composizione negoziata conclusa;
- la richiesta di omologa del concordato semplificato ex art. 25-sexies CCII;
- in allegato: la proposta di concordato e il piano (o la richiesta di termini per presentarli, se con riserva), con tutta la documentazione di cui sopra (elenco creditori, inventario beni, bilanci, relazione attestativa di fattibilità, relazione finale esperto, ecc.);
- eventuale istanza di misure protettive/cautelari, indicando quali atti dei creditori si intendono sospendere (di solito si chiede in generale la sospensione di azioni esecutive e cautelari ai sensi dell’art. 54 CCII).
Una volta depositata la domanda, il cancelliere del Tribunale provvede a iscriverla al Registro delle Imprese il giorno successivo, dando così pubblicità alla pendenza della procedura. Questo avviso in Camera di Commercio tutela dai tentativi dei creditori di iniziare nuove azioni (che sarebbero sospese per legge, se le misure protettive sono attive).
4. Controllo di Ammissibilità e Provvedimenti del Tribunale
Dopo il deposito, il fascicolo passa al collegio giudicante del Tribunale (di solito tre giudici della sezione fallimentare). Il Tribunale deve innanzitutto verificare la completezza e ritualità della proposta, ossia che:
- la domanda sia stata presentata dal soggetto legittimato (imprenditore che ha fatto composizione negoziata) entro i termini;
- la relazione finale dell’esperto alleghi quanto richiesto (buona fede e impraticabilità di soluzioni ex art. 23);
- siano presenti i documenti obbligatori (elenco creditori, situazione patrimoniale, ecc.);
- il piano preveda effettivamente la cessione dei beni e non altre strane operazioni (ricordiamo: non è ammessa la continuità aziendale diretta nel semplificato, quindi un piano che di fatto propone di continuare l’impresa sarebbe incoerente e il tribunale lo boccerebbe);
- e, in generale, che non vi siano cause di inammissibilità manifeste.
Questo controllo, benché definito di “ritualità”, non è del tutto formale: la legge dice che il Tribunale deve valutare la ritualità ma non si limita a spuntare una checklist. La giurisprudenza ha chiarito che il giudice può e deve fare un certo sindacato di merito limitato già in fase iniziale, specialmente sulla genuinità delle trattative svolte.
In particolare, il Tribunale di Milano (decreto 23 aprile 2024) ha affermato che il Tribunale non può sindacare nel merito “come” sono state condotte le trattative (numero di incontri, contenuti specifici, ecc.), ma deve verificare la coerenza e non contraddittorietà dell’attestazione dell’esperto sulla buona fede. In altre parole, se l’esperto attesta la correttezza del debitore, il giudice di regola si fida di tale valutazione, esercitando un controllo solo esterno di logicità (salvo che non vi siano palesi contraddizioni). Eventuali contestazioni sulla mancanza di buona fede potranno semmai essere portate dai creditori come opposizione all’omologa, e discusse in quella sede. Questa visione “garantista” tutela il debitore dagli eccessi di discrezionalità giudiziale iniziale: in sostanza, se l’esperto dice che si è comportato bene, il giudice non deve rifare l’indagine, a meno che un creditore fornisca elementi concreti di segno opposto. Diverso fu il caso di Napoli 2023, dove l’attestazione dell’esperto era risultata contraddittoria e infatti il tribunale ravvisò abuso, ma quello era un caso limite.
Oltre alla correttezza delle trattative, il Tribunale in questa fase può anche valutare sommariamente se la proposta offre un beneficio ai creditori rispetto alla liquidazione giudiziale. Ad esempio, se dal piano appare evidente che alcuni creditori non riceveranno nulla di più di quanto (anzi, magari meno) avrebbero in caso di fallimento, si profila un problema. Il Tribunale di Bergamo (6 dicembre 2023) ha infatti dichiarato irrituale (cioè inammissibile) una proposta semplificata in cui alcuni creditori non ottenevano alcuna utilità aggiuntiva rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale. In quel caso, il debitore sosteneva che anche se certi creditori chirografari non ricevevano soldi, avrebbero però potuto beneficiare della possibilità di recuperare l’IVA sui crediti inesigibili grazie al concordato. Ma il Tribunale ha osservato che tale recupero IVA è possibile anche nel fallimento (già dall’apertura della procedura) e quindi non costituiva un vantaggio esclusivo del concordato. Ne risultava che per quei creditori il concordato non apportava nulla di migliorativo: ciò è contrario all’art. 25-sexies che richiede “un’utilità a ciascun creditore”. Dunque il piano è stato cestinato. Lezione pratica: assicurarsi che ogni singolo creditore abbia qualcosa da guadagnare dalla soluzione proposta – fosse anche solo ricevere prima i soldi o in misura leggermente maggiore – altrimenti il giudice non potrà omologare.
Superati i controlli iniziali, il Tribunale emette un primo provvedimento (decreto) in cui solitamente:
- Nomina un ausiliario ex art. 68 c.p.c. o un esperto (spesso un commercialista) con il compito di esaminare la proposta e formulare un parere indipendente sulla fattibilità del piano e sulla convenienza per i creditori. Questo ruolo è assimilabile a quello di un commissario giudiziale light: non deve gestire la procedura ma solo fornire una valutazione tecnica al collegio. A volte la scelta può ricadere sullo stesso esperto della composizione negoziata, vista la conoscenza della situazione, oppure su altro professionista iscritto all’albo dei gestori della crisi.
- Ordina la comunicazione della proposta e dei relativi pareri ai creditori. Questo implica che al debitore (o all’ausiliario) venga chiesto di notificare o comunicare via PEC la copia del ricorso di concordato e della documentazione a tutti i creditori interessati, affinché ne siano informati ufficialmente.
- Fissa l’udienza di omologazione. Viene stabilita una data, con un congruo preavviso, per discutere l’istanza di omologa in camera di consiglio davanti al Tribunale. Di solito l’udienza viene fissata qualche settimana dopo, tenendo conto dei termini di legge per le eventuali opposizioni dei creditori.
Inoltre, il Tribunale verifica e conferma (o concede, se richiesto) le misure protettive e cautelari fino all’udienza. Se il debitore le ha chieste e non vi sono opposizioni, il decreto iniziale conterrà la sospensione di azioni esecutive individuali ex art. 54 CCII, valida fino all’omologa.
Da notare che non viene nominato alcun giudice delegato né commissario giudiziale (come detto). L’interlocutore è direttamente il collegio o la sezione fallimentare, che svolge il controllo in prima persona con l’ausilio dell’esperto nominato. Questo snellisce la procedura: non c’è una fase di “ammissione” formale come nel concordato preventivo, ma si va direttamente verso l’omologazione.
5. Opposizioni dei Creditori (fase pre-udienza)
Dopo aver ricevuto comunicazione del ricorso e della proposta, i creditori hanno la possibilità di esaminare il piano e, se lo ritengono lesivo dei propri diritti, possono presentare opposizione all’omologazione. La legge concede loro un termine perentorio che scade 10 giorni prima dell’udienza fissata. Entro tale termine, quindi, ciascun creditore (o altro interessato) può costituirsi in Tribunale depositando un atto di opposizione, motivato con le ragioni per cui secondo lui il concordato non dovrebbe essere omologato.
Le possibili motivazioni di opposizione possono essere:
- l’asserita mancanza dei requisiti (es. il creditore sostiene che l’imprenditore non era in buona fede, o che non aveva diritto al semplificato perché esisteva un’alternativa non tentata, ecc.);
- la convenienza: il creditore può cercare di dimostrare che la proposta lo danneggia rispetto a quanto otterrebbe in fallimento (violazione del principio di non pregiudizio) o che non riceve alcuna utilità;
- la violazione di legge: es. mancato rispetto delle cause di prelazione (privilegi violati), procedure di liquidazione non trasparenti, ecc.;
- la fattibilità: contestare che il piano sia irrealizzabile o poco credibile, rischiando di lasciare i creditori con ancor meno;
- qualsiasi altro elemento ritenuto rilevante (anche questioni procedurali, tipo tardività della domanda, etc.).
Nel concordato semplificato, con i creditori privati del voto, l’opposizione diventa il loro unico strumento per far valere le proprie ragioni. Se nessun creditore propone opposizione, significa che tutti (o quantomeno nessuno è così contrario da agire) accettano implicitamente la proposta. In tal caso, l’omologazione sarà più agevole. Se invece vi sono opposizioni, l’udienza diventerà più combattuta: il Tribunale dovrà valutare attentamente le contestazioni sollevate.
È anche possibile che, nel frattempo, un creditore o il Pubblico Ministero abbiano depositato un’istanza di apertura della liquidazione giudiziale (il “vecchio” fallimento) in pendenza del concordato semplificato, magari sostenendo che non ci sono i presupposti per il concordato e chiedendo di dichiarare insolvente il debitore subito. In tal caso, il Tribunale tendenzialmente esaminerà congiuntamente la domanda di concordato e l’istanza di fallimento, dando priorità alla soluzione concordataria se ammissibile. La giurisprudenza ha indicato che, se un creditore chiede il fallimento durante la procedura semplificata, il giudice deve comunque prima decidere sull’omologa del concordato semplificato, respingendola o accogliendola, e solo se la respinge potrà aprire la liquidazione giudiziale (salvo casi di frode evidente).
6. Udienza di Omologazione
All’udienza (in camera di consiglio, quindi non pubblica), compaiono:
- il debitore (assistito dall’avvocato);
- l’eventuale ausiliario/esperto nominato dal Tribunale, per riferire il proprio parere;
- i creditori opponenti eventualmente costituiti, con i loro legali;
- il Pubblico Ministero, se è stato informato (nelle procedure concorsuali il PM riceve comunicazione e può intervenire, ad es. per vigilare sull’interesse pubblico, reati fallimentari ecc.).
L’udienza si svolge in modo abbastanza informale: il relatore del collegio espone la questione, si dà conto delle opposizioni (se presenti), si sente il parere dell’ausiliario e poi le parti possono discutere. Spesso il giudice chiederà chiarimenti al debitore o all’esperto su punti critici del piano. Ad esempio: “Avete previsto la vendita dell’immobile X a 200k, ma un creditore sostiene che vale 300k, avete una perizia?” oppure “Un creditore lamenta che il privilegio è stato calcolato male, come rispondete?”.
L’ausiliario avrà depositato un parere scritto prima dell’udienza, oppure lo riferirà oralmente. In genere questo parere copre:
- la verifica del rispetto delle prelazioni (che i privilegiati non vengano ingiustamente sacrificati oltre la legge);
- un controllo sulla fattibilità economica del piano (l’ausiliario potrebbe rifare i conti e dire se i valori di realizzo sono attendibili);
- un raffronto tra concordato vs fallimento in termini di soddisfazione percentuale per i creditori.
Se l’ausiliario rileva criticità, il debitore può anche proporre modifiche alla proposta per superarle, fino all’udienza. Secondo il Tribunale di Mantova, al debitore è consentito modificare la proposta di concordato semplificato in via analogica applicando le norme del concordato preventivo che permettono modifiche (art. 47 co.4 CCII). Quindi, ad esempio, se durante la procedura ci si rende conto che si può offrire qualcosa in più ai creditori (magari un parente decide di aggiungere fondi, o arriva una proposta migliorativa di acquisto di un bene), si può emendare il piano prima dell’omologa.
Criteri di giudizio per l’Omologazione
Terminata la discussione, il Tribunale si ritira per decidere se omologare o meno il concordato. I criteri legali che guidano la decisione (art. 25-sexies e 112 CCII) sono principalmente due:
- Regolarità e legittimità della procedura: che tutto sia stato fatto secondo legge (dalla buona fede nelle trattative, al rispetto dei termini, alla corretta formazione delle classi se presenti, comunicazioni effettuate, etc.). Se emergono violazioni procedurali o difetto di requisiti, l’omologa va negata.
- Nessun pregiudizio per i creditori rispetto alla liquidazione giudiziale e utilità per ciascun creditore. Questo è il cosiddetto “best interest test”: il giudice deve essere convinto che i creditori non ricevano meno di quanto otterrebbero in un fallimento. Inoltre, come già evidenziato, ogni creditore deve ricavare almeno un qualche beneficio, per quanto piccolo, dal concordato (può essere anche un vantaggio “qualitativo” come la maggiore rapidità di realizzo e distribuzione, purché concreto). Se per qualche creditore la proposta risultasse peggiorativa, l’omologa non può essere accordata. Ad esempio, se un bene ipotecato fosse venduto nel concordato a un prezzo inferiore rispetto a quanto probabilmente si otterrebbe in un’asta fallimentare, creando danno al creditore ipotecario, ciò sarebbe un pregiudizio.
Il Tribunale valuta anche la fattibilità del piano: se il piano è irrealistico, potrebbe nuocere ai creditori (che resterebbero poi con un pugno di mosche). Dunque, verifica che le stime di ricavo siano plausibili, che eventuali condizioni (es. vendita dell’azienda a Tizio) siano concrete, ecc. In caso di dubbi, il giudice può condizionare l’omologa a certe tutele (es. richiedere fideiussioni aggiuntive, ma questo è raro; più probabile rigetta se non convinto).
Un altro punto: il rispetto dell’ordine delle cause di prelazione. Il piano non può alterare la graduatoria dei crediti se non nei limiti consentiti. Ciò significa che, salvo diverso accordo dei creditori privilegiati stessi, non si possono prendere soldi da un bene ipotecato e darli a creditori chirografi prima di aver soddisfatto l’ipotecario almeno al valore di liquidazione del bene (come da art. 84 co.5 CCII). Il Tribunale controllerà che il riparto proposto rispetti privilegio, pegno e ipoteca secondo legge.
Se tutte le condizioni sono soddisfatte, il Tribunale emette decreto di omologazione del concordato semplificato. Il decreto viene comunicato e pubblicato (Registro Imprese) ed è immediatamente efficace. Da quel momento, la proposta omologata diventa vincolante per tutti i creditori anteriori, anche dissenzienti o non votanti (in questo caso nessuno ha votato, ma vale per tutti). Gli effetti principali sono:
- I creditori concorsuali (quelli i cui crediti erano sorti prima della domanda) non possono più agire individualmente per importi e nei modi diversi da quanto previsto nel piano omologato. In pratica, il loro credito viene rideterminato secondo il concordato: se dovevano prendere 100 e il concordato prevede che prendano 30, essi avranno diritto solo a 30 e il resto viene stralciato (remissione del debito concorsuale).
- Eventuali procedure esecutive in corso si chiudono (si convertono in distribuzione secondo il piano).
- Il debitore mantiene la disponibilità dei beni fino alla liquidazione ma sotto il controllo del liquidatore che verrà nominato. Da questo punto in poi, è il liquidatore a dover gestire effettivamente la cessione dei beni, non più il debitore autonomamente.
Se invece il Tribunale nega l’omologa, emette un decreto motivato di rigetto. In tal caso, poiché quasi certamente l’impresa è insolvente a quel punto, nella stessa sede o con provvedimento contestuale il Tribunale spesso dichiara l’apertura della liquidazione giudiziale (il fallimento). Ad esempio, nel caso citato del Tribunale di Napoli, il giudice revocò l’ammissione al concordato semplificato per mancanza di buona fede e contestualmente dichiarò il fallimento (liquidazione giudiziale) dell’azienda. Dunque il mancato successo del semplificato porta l’imprenditore alla procedura liquidatoria tradizionale, con tutte le conseguenze del caso (nomina curatore ecc.). Il decreto di rigetto dell’omologa è reclamabile in Corte d’Appello, ma bisogna valutare realisticamente le chance.
7. Esecuzione del Piano Liquidatorio
Ottenuta l’omologazione, si passa alla fase di esecuzione del concordato semplificato, che equivale alla liquidazione del patrimonio secondo le modalità approvate.
Il Tribunale nomina formalmente un Liquidatore Giudiziale (spesso lo stesso ausiliario che ha seguito la fase precedente, o altra persona esperta) in base all’art. 25-septies CCII. Il liquidatore ha il compito di attualizzare il piano: vendere i beni, riscuotere i crediti, eseguire le operazioni previste e poi distribuire il ricavato ai creditori secondo il piano omologato. Questa fase assomiglia molto a quella di un concordato preventivo liquidatorio o di un fallimento, ma con la differenza che qui c’è già un piano vincolante da seguire.
Le vendite dei beni devono avvenire rispettando principi di trasparenza e competitività propri delle procedure concorsuali. L’art. 25-septies rinvia, per quanto compatibile, alle norme sulle vendite nel concordato preventivo (art. 114 CCII) e sulla chiusura (art. 118 CCII). In pratica, il liquidatore:
- predisporrà avvisi d’asta o procederà con trattative, in base a quanto stabilito (se ad es. era già individuato un compratore nel piano, dovrà comunque verificare se esistono offerte migliorative promuovendo una gara, salvo che il Tribunale abbia autorizzato la vendita diretta a quel compratore per particolari ragioni). Ad esempio, se il piano prevedeva la cessione immediata dell’azienda a un certo acquirente per 500k, il liquidatore potrà comunque pubblicizzare la vendita per vedere se qualcuno offre di più, garantendo trasparenza. Se non arrivano offerte migliori, si procede con l’acquirente designato; se ne arrivano di superiori, il liquidatore potrebbe dover proporre al Tribunale l’aggiudicazione al miglior offerente per massimizzare l’attivo.
- raccoglie i frutti: incassa i corrispettivi, svolge gli adempimenti (trasferimenti di proprietà, cancellazione di ipoteche, ecc. in collaborazione col Tribunale).
- tiene informato il Tribunale e i creditori tramite relazioni periodiche sullo stato della liquidazione.
Nel frattempo, l’imprenditore deve collaborare col liquidatore, consegnandogli i beni, i documenti contabili e tutto il necessario. Il debitore non viene spossessato legalmente come nel fallimento, ma di fatto la gestione dei beni passa al liquidatore per la vendita. L’azienda, se era ancora attiva, cessa l’attività salvo quella minima necessaria a conservare il valore dei beni in vendita (ad es. si può continuare a tenere acceso un macchinario in manutenzione finché non si vende, ecc. ma non si fanno nuove operazioni di impresa se non autorizzate e funzionali alla liquidazione).
Pagamento dei creditori: Una volta liquidati tutti o gran parte dei beni, il liquidatore elabora il piano di riparto delle somme tra i creditori, in conformità a quanto stabilito nel concordato omologato. Questo piano di riparto viene comunicato ai creditori. Se non ci sono contestazioni o dopo aver risolto eventuali reclami (es. un creditore può segnalare un errore nel calcolo, ecc.), il giudice approva il riparto. Si procede quindi a pagare effettivamente i creditori:
- I privilegiati fino all’ammontare coperto dai beni su cui avevano prelazione.
- I chirografari nella percentuale concordata.
Esecuzione parziale e integrale: Può darsi che il piano preveda pagamenti in più tranche (ad esempio, subito una percentuale minima con i fondi già disponibili, poi il resto dopo la vendita di un immobile). Il liquidatore può fare riparti parziali man mano che incassa. Alla fine, completate le vendite e distribuiti i ricavi, il liquidatore presenta un conto finale e un rapporto conclusivo al Tribunale.
Il Tribunale, verificato che tutto sia stato realizzato secondo il piano, emette decreto di chiusura della procedura di concordato semplificato (in analogia a quanto si fa per chiudere un fallimento o un concordato preventivo liquidatorio). A quel punto, la società debitrice – se è una società – viene avviata alla cancellazione dal Registro delle Imprese (liquidazione conclusa). Se è un imprenditore individuale, la procedura concorsuale si chiude e i debiti insoddisfatti (eccedenze non pagate) restano inesigibili.
Una considerazione importante: i crediti rimasti insoddisfatti si considerano estinti? In linea di massima sì, per effetto dell’omologazione e del soddisfo parziale concordato, i creditori non possono pretendere oltre quanto ricevuto. Il concordato, anche se liquidatorio, comporta la falcidia definitiva dei crediti concorsuali eccedenti. Di fatto è come un’esdebitazione per il debitore (analoga a quella del fallito, ma ottenuta in via concordataria). Ciò vale salvo eventuali obblighi di garanti o coobbligati esterni: se ad esempio un socio ha prestato fideiussione su un debito sociale, il creditore potrà escutere il garante per la parte non pagata nel concordato, a meno che questi non sia anch’egli protetto da procedure (aspetti da valutare caso per caso).
Durata della procedura: Il concordato semplificato, nelle intenzioni, dovrebbe completarsi in tempi più brevi di un fallimento. La fase giudiziale di omologa può durare dai 2 ai 4 mesi circa (in base alla complessità e alle eventuali opposizioni). La fase di liquidazione dipende dal tipo di beni: se ci sono immobili da vendere, può richiedere alcuni mesi o oltre un anno; se si tratta solo di beni mobili e crediti, potrebbe concludersi in pochi mesi. In generale, per piccole imprese con patrimonio limitato, l’intera procedura potrebbe chiudersi entro 12-18 mesi. Per realtà più complesse, magari 24-30 mesi. Resta comunque tendenzialmente più rapida di una liquidazione giudiziale, che spesso dura diversi anni. Inoltre, i creditori potrebbero iniziare a ricevere acconti prima (ad es. incassando prontamente un’azienda ceduta, si può fare un riparto parziale invece di attendere la fine di tutto).
Al termine, il liquidatore viene esonerato e cessano gli effetti delle eventuali misure protettive rimaste in piedi. L’imprenditore (se persona fisica) potrà ricominciare da capo senza l’onere dei vecchi debiti, avendo regolato la situazione come concordato con i creditori; se è società, questa viene estinta.
Simulazioni Pratiche: Due Casi Esemplificativi
Per comprendere meglio come funziona il concordato semplificato nella pratica, presentiamo due casi simulati di aziende in crisi: un’impresa artigiana individuale e una piccola società a responsabilità limitata. Questi esempi, pur semplificati, illustrano i passaggi e le decisioni che un imprenditore potrebbe affrontare.
Caso 1: Ditta Artigiana Individuale “Falegnameria Rossi”
Profilo: Mario Rossi è titolare di una piccola falegnameria (impresa individuale) a conduzione familiare. Negli ultimi anni ha accumulato debiti a causa del calo delle commesse e di alcuni investimenti errati. Al 2024 ha:
- Debiti verso fornitori per €80.000 (materie prime);
- Un mutuo bancario residuo di €50.000 (garantito da ipoteca su un piccolo laboratorio di proprietà del sig. Rossi, del valore stimato €60.000);
- Debiti fiscali per €20.000 (IVA non versata e tasse, in parte privilegiati);
- Debiti verso INPS €5.000 (contributi dipendenti, privilegiati);
- Nessun dipendente a libro paga (usa collaboratori saltuari).
Attività/beni:
- Il laboratorio (immobile commerciale di 150mq) di proprietà, stima €60k come detto;
- Attrezzature e macchinari (smerigliatrici, seghe, etc.), stima valore realizzo €15k;
- Magazzino legname e semilavorati, valore stimato €10k;
- Crediti verso clienti per lavori fatti: circa €20k ancora da incassare (forse €15k recuperabili);
- Nessun altro immobile; un furgone vecchio (valore €2k).
Situazione: Mario ha percepito già nel 2023 che non riesce a sostenere i pagamenti. A inizio 2024 avvia una composizione negoziata della crisi presso la Camera di Commercio. Gli viene assegnato un esperto negoziatore. Durante i 3 mesi di trattative, prova a proporre ai creditori un accordo:
- Offre ai fornitori un pagamento del 40% dilazionato, ma alcuni rifiutano perché ritengono di poter recuperare di più pignorando il laboratorio.
- La banca non accetta di ridursi l’ipoteca perché spera nel valore pieno dell’immobile.
- Mario cerca un investitore che rilevi l’attività, ma nessuno si fa avanti per acquistare la falegnameria come business (data la crisi del settore).
- Valuta un piano di ristrutturazione (piano attestato) ma i flussi prospettici non danno sufficiente garanzia di risanamento: l’esperto concorda che l’attività non è più redditizia come un tempo.
Alla fine, l’esperto stila una relazione a maggio 2024 dichiarando che “le trattative si sono svolte correttamente e con piena informativa, ma non è stato possibile concludere alcun accordo né individuare soluzioni di risanamento attuabili”. In pratica, certifica che la composizione negoziata si è conclusa senza esito.
Mario, riconosciuta la situazione, decide di ricorrere al concordato semplificato per evitare il fallimento. Con l’aiuto del suo commercialista e di un legale, prepara la domanda.
Proposta di Concordato Semplificato (Falegnameria Rossi):
- Liquidazione beni: tutti i beni aziendali verranno liquidati entro 6 mesi dall’omologa.
- Il laboratorio sarà venduto tramite procedura competitiva, base d’asta €55k (già c’è una manifestazione di interesse di un artigiano vicino disposto a offrire €60k).
- Macchinari e attrezzature saranno venduti in blocco a un rivenditore usato per €15k (offerta già ottenuta).
- Il magazzino legname sarà liquidato in stock al miglior offerente (valore atteso €10k).
- I crediti verso clienti, se non incassati entro breve, saranno ceduti pro-soluto a una società di factoring al 50% del valore nominale (ci si aspetta di ricavare almeno €10k).
- Il furgone sarà venduto (€2k).
- Apporto esterno: il fratello di Mario, Luigi, pur non coinvolto nell’attività, si offre di contribuire con €10.000 in contanti per aiutare a pagare i debiti (atto di sostegno familiare).
- Massa attiva attesa: tra vendite e apporto si prevedono circa: 60k (immobile) + 15k (macchinari) + 10k (magazzino) + 10k (crediti) + 2k (furgone) + 10k (apporto fratello) = €107.000 disponibili.
- Passivo: totale debiti €155k circa.
- La banca con ipoteca (€50k credito) verrà soddisfatta integralmente o quasi con il ricavato del laboratorio: prevedendo €60k, ipoteca soddisfatta al 100% e residuo €10k va alla massa chirografa.
- Debiti fiscali e INPS (€25k, di cui privilegiati): questi avranno copertura parziale. Supponiamo: da vendite magazzino e automezzo (€12k) si destinano a Fisco/INPS privilegiati, coprendo, diciamo, €12k su 25k (meno della metà). Il restante €13k di tali crediti privilegiati si degrada a chirografo.
- Fornitori (€80k) + parte degradati di Fisco/INPS (€13k) + eventuali residui banca se ipoteca non copriva (ma qui è coperta) = ~ €93k di crediti chirografari.
- Distribuzione proposta:
- Banca: €50k (100% su ipoteca, privilegiata).
- Erario/INPS: €12k su €25k privilegiati (pari a circa 48%) – supponiamo l’Agenzia Entrate riscossi €10k, INPS €2k, il resto non pagato.
- Chirografari (fornitori + crediti degradati): riparto dei rimanenti fondi. Dopo aver pagato banca e €12k al Fisco, rimangono: 107k – 50 – 12 = €45k da distribuire ai chirografari totali (€93k).
- Percentuale chirografari ≈ 48%. Quindi ogni fornitore prenderebbe circa la metà del suo credito.
- Totale pagato sarebbe 50k+12k+45k = 107k (coincide con attivo).
- Classi: si possono fare due classi per trasparenza: Classe A: Banca ipotecaria e creditori privilegiati (pagati fino a capienza); Classe B: Fornitori e altri chirografari (pagati pro-quota 48%). In verità banca e privilegio sono soddisfatti con prelazione, le classi in questo caso non cambiano l’ordine dei pagamenti ma sono un elemento formale.
- Esiti per i creditori: Tutti ricevono qualcosa. La banca 100%, Fisco ~48% (ma se crediti IVA residui non pagati, potrà comunque sfruttare la disciplina del “stralcio per incapienza” come da transazione fiscale implicita), fornitori 48% invece di potenzialmente zero in fallimento (ipotizziamo che in fallimento si sarebbe ricavato meno e avrebbero preso forse 30%).
- Comparazione con fallimento: Stimando che in un fallimento, tra spese e tempi, i beni avrebbero reso forse 10-20% in meno e non ci sarebbe stato l’apporto del fratello, i fornitori avrebbero preso forse 30%, Fisco 30%, etc. Qui prendono di più, e subito, quindi nessun pregiudizio per loro – anzi un miglioramento qualitativo perché entro un anno hanno i soldi, contro i 5 anni medi di un fallimento.
Mario deposita questa proposta entro i 60 giorni al Tribunale competente. Chiede anche la sospensione di un pignoramento che un fornitore aveva avviato sul laboratorio (misura protettiva).
Iter: Il Tribunale esamina e trova tutto in regola: la composizione è conclusa, buona fede c’è (l’esperto lo conferma), la proposta appare vantaggiosa. Nomina un esperto ausiliario che conferma i valori (magari dice: ok immobile 60k ci sta, etc.). Nessun creditore si oppone (perché vedono che conviene anche a loro evitare fallimento: i fornitori preferiscono 48% in tempi brevi che rischiare anni di attesa, e il Fisco accetta il 48% perché in fallimento forse prenderebbe uguale o meno).
All’udienza, tutto fila liscio: il Tribunale omologa il concordato semplificato di Rossi. Viene nominato liquidatore il dott. Bianchi (lo stesso ausiliario).
Esecuzione: Il liquidatore Bianchi vende il laboratorio all’asta, effettivamente a €62.000 (c’è stata un’offerta leggermente superiore alla base). Vende macchinari come previsto, incassa crediti (qualcuno paga volontariamente vedendo arrivare il liquidatore). In 8 mesi realizza addirittura un attivo totale di €110.000 (qualcosina in più delle stime). Distribuisce ai creditori seguendo il piano: banca soddisfatta, Erario/INPS prendono 50% ciascuno (un filo meglio del previsto), fornitori attorno al 50%. La procedura si chiude in 1 anno con tutti i beni liquidati. Mario Rossi, una volta pagato tutto il possibile, si libera dei debiti residui (circa €48k di debiti chirografi non pagati vengono cancellati dall’effetto esdebitatorio dell’omologa). La sua falegnameria come impresa cessa di esistere, ma Mario può ripartire come dipendente presso un collega o aprire in futuro una nuova attività (ora senza l’assillo dei debiti pregressi).
Questo caso mostra un esito positivo: l’imprenditore ha usato correttamente il concordato semplificato per evitare il fallimento, liquidare in modo ordinato i beni e soddisfare i creditori in misura dignitosa, con il contributo anche della famiglia. La chiave è stata presentare un piano realistico e collaborare con tutti: i creditori hanno apprezzato e non si sono opposti, velocizzando la soluzione.
Caso 2: Società “ABC S.r.l.” – Piccola azienda manifatturiera
Profilo: ABC S.r.l. produce componenti meccanici. Ha 10 dipendenti e negli ultimi anni ha perso commesse importanti. Al 2025 la società (che è una S.r.l.) è in crisi grave. Dati:
- Debiti finanziari con banca: €300.000 (scoperto e mutui, garantiti da ipoteche su capannone industriale del valore di €250.000 – quindi ipoteca parzialmente scoperta).
- Debiti verso fornitori: €200.000.
- Debiti verso Fisco: €150.000 (IVA, IRES non pagata) – gran parte privilegiati.
- Debiti verso INPS: €50.000 (contributi dipendenti).
- TFR e stipendi arretrati dipendenti: €80.000 (privilegiati).
- Totale passivo ~ €780.000.
Attività/beni:
- Capannone industriale di proprietà, stimato €250.000 (ipotecato per 300k).
- Macchinari e impianti tecnologici recenti, stimati €100.000.
- Magazzino materie prime e semilavorati: €50.000.
- Crediti verso clienti: €200.000 (ma molte aziende clienti sono a loro volta in ritardo, si stima recuperabile 50% = €100.000).
- La società ha inoltre crediti fiscali per €120.000 derivanti da agevolazioni (ad es. crediti per investimenti 4.0 e credito IVA accumulato) che potrebbero essere compensati ma in crisi di liquidità sono rimasti lì.
Situazione: A metà 2024 ABC S.r.l. attiva la composizione negoziata. L’esperto cerca soluzioni:
- Tenta di trovare un investitore o competitor che rilevi l’azienda in continuità: un paio di manifestazioni di interesse arrivano, ma quando vedono l’alto indebitamento si tirano indietro. Non emergono offerte vincolanti.
- Si propone alle banche e grandi creditori un accordo di ristrutturazione con stralcio di parte dei debiti e nuova finanza, ma la banca principale rifiuta di aggiungere finanza e vuole garanzie che ABC non può dare.
- I fornitori, temendo il peggio, iniziano ad agire: qualcuno ottiene decreti ingiuntivi.
- Nel frattempo ABC continua l’attività, ma gli ordini sono pochi: è più vantaggioso per i creditori chiudere e liquidare.
- L’esperto conclude che la società è insolvente e non recuperabile come going concern.
A novembre 2024 l’esperto consegna relazione finale: trattative concluse correttamente ma nessun accordo raggiunto, prospettandosi la sola soluzione liquidatoria. ABC S.r.l. delibera (assemblea soci) di proporre concordato semplificato liquidatorio.
Proposta di Concordato Semplificato (ABC S.r.l.):
- Cessione dell’azienda in blocco: c’è un soggetto interessato (XYZ S.p.a., concorrente) disposto a rilevare in blocco l’azienda (capannone + macchinari + magazzino, e assumere 5 dei 10 dipendenti) per un prezzo di €320.000. Questa offerta è condizionata all’omologa entro pochi mesi (XYZ non vuole aspettare troppo) e al fatto di ottenere il complesso aziendale libero da ipoteche. Il prezzo di 320k coprirebbe di fatto il valore di mercato stimato dei beni tangibili (250k capannone + 100k macchinari + 50k magazzino = 400k, l’offerta è un po’ più bassa ma si spiega col fatto che l’acquirente assume anche passività implicite come i dipendenti in esubero e il riavvio produzione).
- Alternativa competitiva: nel piano si specifica che, pur avendo questa offerta, il liquidatore dovrà procedere a invito pubblico per offerte migliori fino all’udienza di omologa. Se ne arrivassero, verrà considerata quella più alta. (Questo per tranquillizzare il Tribunale sul rispetto della competitività).
- Liquidazione crediti: i crediti verso clienti (€100k) saranno riscossi dal liquidatore entro 1 anno dalla cessione azienda (facilitati dal fatto che l’azienda continua con l’acquirente, che potrebbe aiutare a riscuotere).
- Crediti fiscali da superbonus ecc.: qui l’azienda ha 120k crediti fiscali. Il piano prevede di compensarli in concordato con debiti tributari (transazione fiscale implicita) oppure di cederli a terzi per ricavare liquidità. Tuttavia, la vendita dell’azienda include anche questi crediti (il compratore li valuta e fa parte del perché offre 320k).
- Contributo soci: i soci non hanno risorse aggiuntive per contributi significativi, ma rinunciano formalmente ai propri crediti verso la società (avevano finanziato 30k tempo addietro) e acconsentono a non ricevere nulla (comunque essendo postergati non avrebbero preso niente).
- Massa attiva attesa: €320k (vendita azienda) + €100k (incasso crediti) = €420k circa.
- Riparto proposto:
- Creditori privilegiati:
- Dipendenti (TFR, stipendi 80k) – saranno pagati 100% con preferenza assoluta.
- INPS (50k) – parte privilegiata per contributi dipendenti verrà pagata anch’essa integralmente se possibile. Supponiamo 100% anche a INPS.
- Erario (150k di cui supponiamo 120k privilegiati per IVA, ritenute ecc.) – qui c’è un problema: il valore attivo potrebbe non bastare a pagare integralmente anche l’Erario privilegiato. Dopo dipendenti e INPS (130k), restano €290k. La banca ha ipoteca per 300k sul capannone: però se l’azienda è venduta in blocco 320k, occorre vedere come ripartirli: verosimilmente, al creditore ipotecario spetterà l’equivalente del valore del capannone nell’ambito di 320k. Se stimato 250k, forse la banca avrà diritto a ~250k.
- Banca ipotecaria (300k credito, ipoteca su capannone 250k valore): verrà pagata per la parte privilegiata fino a concorrenza del valore capannone. Quindi ipotizziamo €250k.
- Totale privilegiati da pagare potenzialmente: 80 + 50 + 120 + 250 = 500k, che è superiore al 420k disponibile. Ovviamente non tutti possono prendere il 100%. Chi rimane scoperto? In primis l’Erario perché è postergato nel privilegio generale: i crediti privilegiati si pagano nell’ordine delle cause. Ipoteca banca su immobile, poi privilegi speciali mobiliari se ce ne fossero (non molti in questo caso), poi privilegi generali (dipendenti pre-deducibili, contributi, fisco).
- Ordine:
- Realizzo beni gravati da ipoteca (€250k per banca – saturato immobile).
- Realizzo beni mobili (macchinari, magazzino) e crediti: questi 170k restanti possono andare a privilegi generali. Prima i dipendenti (€80k) – pagati per intero; rimangono 90k.
- Poi INPS (€50k) – pagato intero; rimangono 40k.
- Poi Erario privilegiato (€120k) – rimane solo 40k, quindi Erario prende circa il 33% del suo credito privilegiato, il resto (€80k) degrada a chirografo.
- Dunque in questo scenario i privilegiati sarebbero soddisfatti così: banca 100% ipoteca, dipendenti 100%, INPS 100%, Erario ~33%.
- Chirografari:
- Fornitori 200k + Erario degrado 80k + eventuale residuo banca non coperto da ipoteca (che sarebbe 50k, perché banca aveva 300k credito, ne ha avuti 250k da ipoteca, resta 50k chirografo). Totale chirografo ~330k.
- Attivo destinato a chirografi: dopo aver pagato i privilegiati come sopra, l’attivo è esaurito (420k usati). Sembrerebbe non rimanere nulla per i chirografi ordinari! Però attenzione: qui entra quell’elemento di “utilità” anche minima. Il piano dovrebbe assicurare almeno qualcosa anche ai chirografi.
- Per esempio, i soci potrebbero decidere di destinare €10k (di ricavato dalla vendita o recupero crediti) come simbolico pagamento pro-quota ai chirografari, giusto per non lasciarli a zero. Oppure sottolineare un vantaggio qualitativo: i chirografi comunque beneficiano di incassare prima l’IVA non riscossa etc. Però, come visto in Bergamo, il solo recupero IVA non basta.
- Diciamo che il piano ABC prevede di destinare €10.000 (sottraendoli magari a una minima falcidia in più sull’Erario privilegiato, concordata come transazione fiscale) ai creditori chirografari, così che essi prendano qualcosa (~3%).
- Creditori privilegiati:
- Transazione fiscale e contributiva: visti i numeri, di fatto lo Stato non verrà pagato interamente. Occorre formalizzare una falcidia per Erario e INPS sulla parte non garantita dai beni. Fortunatamente, la legge consente nel concordato (anche semplificato) di ridurre i debiti fiscali e previdenziali se il patrimonio è incapiente. Il Tribunale di Lecce (ottobre 2023) ha confermato che si può omologare un concordato semplificato che paga solo parzialmente tali crediti (nel caso Lecce pagarono 5% Erario, 6% INPS). Nel nostro piano, l’Erario prenderebbe 33% sul privilegiato e zero sul resto, INPS 100% sul privilegiato (dipendenti) e nulla per eventuale altro. È una falcidia notevole, ma giustificata dall’incapienza. Per sicurezza, ABC includerà nella proposta la richiesta di cram down fiscale: cioè chiederà al Tribunale di omologare anche senza il voto favorevole dell’Erario, dimostrando che prende almeno quanto in fallimento (nel fallimento prenderebbe uguale 33% forse, quindi è soddisfatto il requisito).
- Confronto con fallimento:
- Banca: in fallimento venderebbero il capannone forse a 200k netti e la banca come ipotecaria prenderebbe quella somma (meno spese); qui offre 250k, quindi banca sta meglio.
- Dipendenti: in fallimento TFR è garantito anche dal Fondo di garanzia INPS, però qui vengono pagati subito nel concordato (comunque nessun pregiudizio).
- Fornitori: in fallimento probabilmente non avrebbero visto nulla (perché ipoteca e privilegi esauriscono tutto); anche nel concordato semplificato prendono quasi nulla, ma almeno un 3% simbolico – e forse la soddisfazione che l’azienda è stata venduta come un complesso funzionante (se fossero fornitori che continueranno a lavorare col nuovo acquirente, c’è un vantaggio indiretto).
- Tempi: concordato più veloce, riparti immediati per privilegiati, vs fallimento lungo.
- Il piano evidenzia quindi che nessun creditore sta peggio della liquidazione fallimentare (condizione di legge rispettata).
ABC deposita il ricorso in Tribunale a dicembre 2024 con questo piano. Diversi creditori presentano opposizione:
- Alcuni fornitori si lamentano di prendere solo le briciole, ma il loro avvocato riconosce che in fallimento avrebbero zero, quindi l’opposizione verte più che altro sulla richiesta di verificare che la vendita a 320k sia il miglior prezzo ottenibile.
- L’Agenzia delle Entrate presenta opposizione sulla base che il piano non rispetta pienamente le norme della transazione fiscale (vuole assicurazioni sul pagamento integrale dell’IVA privilegiata almeno al valore di realizzo).
- Il Tribunale nomina un ausiliario, il quale nel suo parere suggerisce di aumentare leggermente l’importo riservato ai chirografari (da 10k a 15k) sottraendo 5k dal pagamento Erario privilegiato (che passerebbe da 33% a 29%): tanto l’Erario prenderebbe quell’importo come recupero IVA dopo il fallimento comunque, e questo miglioramento per i chirografi faciliterebbe l’utilità a tutti. Suggerisce inoltre di accogliere l’offerta di XYZ S.p.a. ma predisporre una mini-gara all’udienza per vedere se sale (nessun altro si presenta, quindi rimane quella).
All’udienza di omologa (febbraio 2025), il giudice sente queste posizioni. Trova un equilibrio: grazie alla flessibilità, ABC modifica leggermente il piano in udienza accettando le raccomandazioni:
- Porta a €15.000 il fondo per chirografari (che ora prenderanno circa il 5%).
- L’Erario acconsente, in sede di trattativa finale col PM presente, a questa riduzione in cambio di un impegno formale di ABC a cooperare col nuovo acquirente per la gestione corretta dei crediti fiscali ceduti.
Il Tribunale quindi, constatato che il piano modificato è fattibile e vantaggioso per tutti rispetto al fallimento (i fornitori almeno qualcosa, la banca e i lavoratori meglio, il Fisco prende quel che c’è – nessun miracolo possibile), omologa il concordato semplificato di ABC S.r.l. (decreto nel marzo 2025).
Segue la liquidazione esecutiva: il liquidatore, nominato contestualmente, cede l’azienda a XYZ S.p.a. per €320.000 (nessuno ha offerto di più). I dipendenti vengono in parte riassorbiti da XYZ, quindi per quelli licenziati il TFR è calcolato e liquidato col ricavato. Il liquidatore incassa anche i €100k di crediti (in realtà riuscirà a incassarne 80k, alcuni clienti falliscono a loro volta). Complessivamente ha 400k da distribuire. Paga:
- Banca: €250k (chiusa ipoteca).
- Dipendenti: €80k (100%).
- INPS: €50k (100% contributi).
- Erario: ~€20k (il residuo attivo, un po’ meno del previsto, ma amen, l’Erario rimane scoperto di buona parte – come in fallimento).
- Fornitori + altri chirografi: €0 nominali dal riparto, ma aveva accantonato i 15k: in realtà quei 15k sono erosi dalle minori riscossioni crediti, diciamo riesce a dare loro €10k totali – un po’ ridotto ma in linea col minino).
- Liquidatore chiede al giudice e ottiene di considerare soddisfatto il requisito di utilità, essendo stato fatto il possibile.
La procedura chiude nel 2026. ABC S.r.l. viene poi cancellata. I soci hanno perso il capitale ma evitato azioni di responsabilità (non avendo aggravato il buco). I creditori hanno ottenuto il massimo possibile in minor tempo, e l’attività prosegue sotto un nuovo proprietario (scenario di indiretta continuità riuscito).
Questo secondo caso evidenzia le difficoltà di far quadrare i conti in presenza di molti privilegiati, ma mostra anche come il concordato semplificato possa essere adattato e concordato in udienza con i vari attori per trovare un compromesso. In particolare:
- Riduzione dei debiti fiscali e contributivi: è spesso necessaria e i Tribunali la ammettono se giustificata dall’incapienza.
- Trattative last-minute: pur senza voto, in udienza i creditori (soprattutto pubblici) possono far sentire la propria voce e il debitore può recepire le richieste (modificando il piano prima dell’omologa).
- Salvaguardia di interessi generali: i dipendenti sono stati tutelati, l’azienda non è andata completamente dispersa (bene per l’economia locale), il fisco incassa ciò che poteva.
- Tempi: dalla crisi alla chiusura sono passati circa 18 mesi, contro i probabilissimi 5+ anni di un fallimento per un’azienda con immobile.
Confronto: Concordato Semplificato vs Altre Procedure
Ora che abbiamo esaminato a fondo il concordato semplificato, può essere utile confrontarlo sinteticamente con le altre due procedure concorrenti in situazioni di insolvenza: la Liquidazione Giudiziale (il “fallimento” nel nuovo CCII) e il Concordato Preventivo tradizionale.
Questa comparazione aiuterà l’imprenditore a capire pro e contro di ciascuna via e perché (se possibile) conviene tentare la strada semplificata piuttosto che le alternative.
Concordato Semplificato vs Liquidazione Giudiziale (Fallimento)
Natura e iniziativa: La liquidazione giudiziale è la procedura concorsuale classica che si apre con una sentenza di fallimento (ora si chiama sentenza di apertura di liquidazione giudiziale) su iniziativa di creditori o d’ufficio. Il concordato semplificato, invece, è una procedura concordataria volontaria promossa dall’imprenditore stesso, subordinata alla composizione negoziata. Se l’imprenditore non fa nulla e i creditori agiscono, si rischia il fallimento; se invece attiva in tempo il percorso semplificato, cerca una soluzione di concerto con il Tribunale.
Gestione dell’impresa: Nel fallimento, l’imprenditore viene spossessato: un curatore nominato dal Tribunale prende in mano l’azienda e gestisce la liquidazione. L’imprenditore perde la disponibilità dei beni e ogni potere di gestione. Nel concordato semplificato, fino all’omologa l’imprenditore rimane in possesso dei beni (sorvegliato dal Tribunale) e dopo l’omologa collabora col liquidatore giudiziale nominato, ma è comunque una procedura proposta dal debitore e in una certa misura “controllata” da lui nelle sue linee guida (il piano l’ha proposto lui). Quindi c’è un maggior coinvolgimento del debitore nella soluzione, mentre nel fallimento il debitore è passivo.
Tempi e rapidità: Il concordato semplificato di norma è più rapido. La fase di omologa richiede pochi mesi e la liquidazione avviene su binari già tracciati dal piano, spesso con acquirenti o strategie predisposte in anticipo. La liquidazione giudiziale, non avendo un piano predefinito e dovendo partire da zero (il curatore deve capire cosa vendere, come, ecc.), tende a durare più a lungo. In media un fallimento dura diversi anni (dipende dall’attivo), comportando attese lunghe per i creditori. Un concordato semplificato ben congegnato potrebbe chiudersi anche in un anno o due. Inoltre, nel concordato semplificato i creditori privilegiati possono essere pagati già durante la procedura in tempi brevi (es. subito dopo la vendita di un bene), mentre nel fallimento spesso si aspetta la fine per i riparti.
Costi e spese: La liquidazione giudiziale comporta vari costi: il compenso del curatore (stabilito per legge sul realizzo, può essere significativo), le spese di giustizia, eventuali compensi dei membri del comitato creditori, ecc. Il concordato semplificato evita il commissario e delegato, ma comunque prevede compensi per l’ausiliario/liquidatore. In generale le spese concorsuali potrebbero essere minori nel semplificato, data la minore durata e complessità. Inoltre, nel fallimento arrivano spesso i crediti prededucibili (es. fornitori continuativi post-fallimento, spese legali dei creditori istanti etc.), che erodono l’attivo. Nel concordato semplificato ci possono essere prededucibili, ma in misura minore (i soli professionisti della procedura). Quindi c’è potenzialmente più attivo netto per i creditori nel semplificato.
Soddisfacimento dei creditori: Nel fallimento, i creditori chirografari spesso ricevono percentuali molto basse o zero, e i tempi di pagamento sono lunghi. Nel concordato semplificato, i creditori chirografari ricevono quello che il piano propone: a volte poco (es. pochi punti percentuali), ma almeno è concordato in anticipo e vincolante. Soprattutto, come detto, hanno garanzia di non ricevere meno di quanto avrebbero in fallimento. Il vantaggio può essere anche qualitativo: ad es. ricevere il denaro prima o vedere continuare la business (pensiamo a fornitori che restano fornitori del nuovo acquirente, beneficiando di future commesse – questo nel fallimento non accade perché l’azienda muore o si vende tardi). Dunque, il concordato semplificato può offrire ai creditori una maggiore convenienza complessiva rispetto al fallimento.
Vincoli per i creditori: Nel fallimento i creditori possono far valere i loro crediti insinuandoli e hanno diritto di voto nella ripartizione straordinaria (non proprio voto, ma possono fare osservazioni sullo stato passivo etc.). Nel concordato semplificato non votano sul piano, però possono opporsi. Una volta omologato, il concordato semplificato vincola tutti i creditori ai termini proposti. Ciò significa che anche i creditori dissenzienti o assenti sono obbligati a subire le falcidie. Nel fallimento, i creditori subiscono comunque le perdite, ma non c’è stata un loro consenso in anticipo – di fatto il risultato può essere peggiore e senza appello.
Esdebitazione: Sia nel concordato che nel fallimento, l’imprenditore persona fisica può ottenere la liberazione dai debiti residui. Nel concordato, questa è automatica per effetto dell’omologa (i creditori non possono più pretendere nulla oltre quanto previsto). Nel fallimento, il debitore deve chiedere l’esdebitazione a fine procedura e ottenerla con un decreto ad hoc (se ha collaborato e non ci sono ragioni ostative). Quindi, dal punto di vista del debitore, il concordato gli dà una pulizia dai debiti più immediata e certa.
Stigma e conseguenze: Il fallimento (liquidazione giudiziale) porta con sé alcune conseguenze negative: ad esempio, per gli imprenditori persone fisiche c’è l’inabilitazione all’esercizio di impresa per un periodo, eventuali restrizioni nei diritti civili, e comunque uno stigma reputazionale (l’azienda è “fallita”). Il concordato semplificato, essendo una procedura concordataria, non comporta lo status di “fallito” e relative incapacità. È un’informazione pubblica, certo (si iscrive al registro imprese), ma socialmente e legalmente è vista come una soluzione concordata e non come un default totale. Questo può essere importante per la reputazione dell’imprenditore e anche per evitare conseguenze come azioni penali da bancarotta (fermo restando che se ci sono reati, il concordato non li cancella – ma l’assenza del fallimento talvolta evita la procedibilità di alcuni reati fallimentari minori).
In conclusione, il concordato semplificato rappresenta, quando accessibile, una via preferibile al fallimento perché dà più controllo al debitore, tende a massimizzare e anticipare i ritorni ai creditori e minimizza costi e tempi morti. Naturalmente va anche detto che non sempre è possibile: se l’imprenditore non ha avviato la composizione negoziata in tempo o se si è comportato scorrettamente, il concordato semplificato non scatta e allora la liquidazione giudiziale diventa inevitabile.
Concordato Semplificato vs Concordato Preventivo
Confrontiamo infine il concordato semplificato con il concordato preventivo ordinario (quello previsto dall’art. 84 e seguenti CCII), sottolineando differenze e casi d’uso.
Accesso diretto vs residuo: Il concordato preventivo è uno strumento “principale” a cui l’imprenditore (fallibile) può accedere direttamente presentando domanda di concordato al Tribunale, sia liquidatorio che in continuità. Il concordato semplificato invece è pensato solo come esito residuale del percorso di composizione negoziata. Quindi, se un imprenditore volesse fare un concordato senza passare dalla negoziazione, deve per forza fare quello preventivo tradizionale. Il semplificato non è un’alternativa libera, ma subordinata.
Continuità aziendale: Il concordato preventivo consente la continuità aziendale (art. 84 co.3 CCII): cioè piani dove l’impresa prosegue l’attività, eventualmente riducendo debiti, con eventuale intervento di terzi, ecc. Può anche prevedere la vendita dell’azienda a un investitore (continuità indiretta) oppure la ristrutturazione del debito mantenendo la stessa società in funzione. Questo è spesso usato per imprese con possibilità di risanamento. Il concordato semplificato non consente concordati in continuità diretta. Il suo scopo è liquidare i beni; se c’è una continuità indiretta (vendita a terzi che continuano), è solo un mezzo per liquidare meglio, non per salvare la società originale. Dunque, imprese che abbiano speranza di ristrutturazione e prosecuzione dovrebbero valutare il concordato preventivo in continuità, non quello semplificato (che arriva solo se ogni opzione di risanamento è fallita).
Ruolo dei creditori (voto): Nel concordato preventivo, i creditori votano la proposta. Servono maggioranze (maggioranza dei crediti per teste o per classi, ecc.) per approvare il piano prima dell’omologazione. Questo dà potere ai creditori, ma rende la procedura più incerta e complessa: bisogna convincere una massa eterogenea di soggetti e gestire eventualmente classi dissenzienti. Nel concordato semplificato, come ripetuto, non c’è voto dei creditori. L’approvazione è rimessa solo al Tribunale (dopo eventuali opposizioni). Ciò semplifica molto il processo, evitando le assemblee dei creditori e i rischi di “no” dalle maggioranze. In un certo senso, il semplificato è più favorevole al debitore perché bypassa il “ricatto” del voto dei creditori. D’altro canto, i creditori in concordato preventivo possono essere coinvolti e magari concordare modifiche al piano per votarlo sì; nel semplificato, se scontenti, possono solo opporsi in tribunale (a cose quasi fatte). Quindi la dinamica negoziale è diversa: preventivo = negoziazione con i creditori (democrazia delle classi); semplificato = negoziazione col tribunale (giudice arbitro unico).
Organi della procedura: Nel preventivo, come detto, ci sono più organi: il commissario giudiziale che vigila durante la fase interinale, il giudice delegato dopo l’ammissione, ecc. Nel semplificato si ha solo l’ausiliario (simile al commissario ma ruolo più leggero) e poi il liquidatore dopo l’omologa. Meno soggetti coinvolti, minore burocrazia interna.
Flessibilità e modifica del piano: Nel concordato preventivo si può modificare la proposta prima del voto (art. 92 CCII) e persino presentare proposte concorrenti da parte di creditori o terzi in caso di classi dissenzienti. Nel semplificato non esistono proposte concorrenti di creditori (non c’è voto, quindi i creditori non possono proporre un concordato alternativo). Solo il debitore propone, e come visto può aggiustare il tiro in corso, ma resta la sua proposta. Questo elimina possibili scenari conflittuali (nel preventivo a volte arrivano investitori terzi con proposte concorrenti che complicano la procedura). D’altro canto, se il debitore del semplificato propone un piano pessimo, i creditori non hanno modo di proporre loro qualcosa di meglio: possono solo farlo bocciare e andare a fallimento. Nel preventivo avrebbero potuto eventualmente fare pressione con una proposta concorrente migliore.
Requisiti di ammissibilità: Il concordato preventivo ha requisiti diversi: il debitore dev’essere fallibile (non sotto soglia) e insolvente. Il semplificato richiede la composizione negoziata e può includere i piccoli imprenditori e anche situazioni di pre-insolvenza (crisi). Quindi il perimetro di utilizzo è differente. Un artigiano sotto soglia non può fare un concordato preventivo, ma potrebbe fare un semplificato se segue la negoziazione. Viceversa, una grande impresa insolvente potrebbe scegliere di saltare la negoziazione e andare diretta a concordato preventivo (magari in continuità) se pensa di avere consenso dai creditori.
Percentuali e trattamento creditori: Nel concordato preventivo liquidatorio, la legge spesso (specie prima del CCII) chiedeva una percentuale minima ai chirografi (20%). Nel CCII attuale c’è l’art. 84 co.6 che impone almeno il 20% ai chirografi se liquidatorio puro, e 10% se in continuità. Non è più chiarissimo dopo modifiche, ma tendenzialmente sì c’è una soglia. Nel semplificato, come detto, nessuna soglia minima. Ciò rende possibili soluzioni in cui i chirografi prendono molto poco (cosa che nel preventivo ordinario liquidatorio sarebbe forse inammissibile se <20%). Ma la condizione supplente è l’utilità minima a ciascuno. Quindi c’è più flessibilità.
Misure protettive: In un concordato preventivo ordinario, appena depositi la domanda hai il beneficio dell’automatic stay sulle azioni esecutive, e puoi chiedere autorizzazioni a pagare fornitori essenziali, ecc. Nel semplificato, inizialmente la legge era incerta ma ora come detto è possibile ottenere misure protettive simili. Quindi sotto questo aspetto ormai sono equiparabili (post correttivo 2024).
Casi d’uso tipici:
- Un concordato preventivo in continuità si usa quando c’è un piano di risanamento credibile e si vuole tenere viva l’azienda (es. ristrutturazione dei debiti con pagamento dilazionato ai creditori magari senza liquidare tutto). Il semplificato non va bene in tali casi, perché chiude comunque l’attività.
- Un concordato preventivo liquidatorio può essere scelto rispetto al semplificato in situazioni in cui: a) non si è fatta la composizione negoziata (quindi semplificato non accessibile); b) magari si vuole coinvolgere i creditori nel piano (ad es. convertendo crediti in quote, soluzione non prevista nel semplificato); c) l’imprenditore preferisce l’iter classico per qualche ragione (o deve includere creditori esteri, ecc., se temono questioni sul semplificato).
- Il concordato semplificato è invece utile per imprese più piccole o casi disperati dove la via negoziale è già stata tentata e la soluzione può essere solo liquidativa e veloce. È un “concordato agevolato” come definito da alcuni commentatori, che sfrutta il corridoio della composizione negoziata.
Esito finale: Entrambi sono concordati omologati che vincolano i creditori e portano all’esdebitazione del debitore. Ma se dal concordato preventivo in continuità l’azienda può uscire viva e ripartire, dal concordato semplificato l’azienda esce liquidata e cessata (ma i beni forse ricollocati in altre mani). Dunque dipende dall’obiettivo: salvare l’impresa o liquidarla. Il semplificato serve solo al secondo scopo, il preventivo può servire ad entrambi, in particolare all’eventuale salvataggio.
💡 In sintesi, quando un’azienda ha prospettive di salvataggio e tempo per negoziare, il concordato preventivo (o accordi di ristrutturazione) è la via più appropriata. Quando invece il salvataggio è improbabile ma si vuole comunque evitare la rovina completa del fallimento, il concordato semplificato offre una via d’uscita dignitosa e più celere, a patto di aver percorso la composizione negoziata.
(Ulteriore confronto: per completezza, gli imprenditori “minori” non soggetti a fallimento in passato potevano solo accedere alle procedure di sovraindebitamento (piani del consumatore, concordato minore, liquidazione controllata). Oggi, tramite il concordato semplificato, anche un piccolo imprenditore può ottenere risultati simili a un concordato senza passare dalla legge sovraindebitamento, purché abbia tentato la composizione negoziata. Resta comunque la Liquidazione Controllata (ex liquidazione del patrimonio, art. 268 CCII) come opzione per imprenditori minori in certi casi, ma non la approfondiamo qui).
FAQ – Domande Frequenti sul Concordato Semplificato
Di seguito rispondiamo ad alcune delle domande più comuni che un imprenditore potrebbe porsi riguardo a questa procedura.
- D: Che cos’è in parole semplici il concordato semplificato?
R: È una procedura di concordato fallimentare “più semplice” in cui l’imprenditore, dopo aver provato inutilmente a risanare l’azienda tramite la composizione negoziata, chiede al Tribunale di approvare un piano per liquidare tutti i suoi beni e pagare parzialmente i creditori. Si chiama “semplificato” perché non coinvolge il voto dei creditori né alcuni passaggi formali del concordato normale, rendendo il tutto più rapido e snello. In pratica, è un modo controllato e ordinato di chiudere un’azienda in crisi, evitando il fallimento tradizionale. - D: Chi può accedere al concordato semplificato?
R: Qualsiasi imprenditore (ditte individuali, società di persone o capitali, anche agricole) che si trovi in crisi o insolvenza imminente può, dopo aver attivato la composizione negoziata della crisi, proporre il concordato semplificato. Non ci sono limiti di dimensione: anche il piccolo imprenditore “non fallibile” può usarlo. Condizione fondamentale è che le trattative con l’esperto si siano concluse senza un accordo risolutivo. Senza il passaggio della composizione negoziata, non si può (la legge non permette di chiedere il semplificato direttamente). - D: Serve essere già insolventi/falliti per chiederlo?
R: No, anzi conviene muoversi prima. Basta trovarsi in stato di crisi (difficoltà finanziaria seria) che renda probabile l’insolvenza. Infatti la composizione negoziata può essere attivata anche prima del crack, quando si intravedono segnali di difficoltà. Se poi la situazione precipita, alla fine delle trattative uno potrebbe essere di fatto insolvente, ma non è richiesta una sentenza di insolvenza formale per presentare il semplificato: la domanda la fa direttamente l’imprenditore. Di solito l’insolvenza c’è, ma anticipare è bene – non attendere di essere dichiarati falliti. - D: Che differenza c’è tra concordato semplificato e concordato preventivo?
R: In sintesi:- Il concordato preventivo è la procedura classica di concordato, dove i creditori votano il piano e può essere usata anche per salvare l’azienda con la continuazione dell’attività (non solo liquidazione). È più lungo e complesso, e accessibile solo a imprese fallibili in stato di insolvenza conclamata.
- Il concordato semplificato è solo liquidativo, senza voto dei creditori (decide tutto il giudice) e riservato al caso in cui sia fallita la composizione negoziata. È più veloce, aperto anche a piccoli imprenditori, ma non consente di tenere in vita l’azienda (si deve liquidare tutto).
In altre parole, se vuoi provare a continuare l’attività devi passare per un concordato preventivo in continuità (o altra ristrutturazione); il semplificato invece lo usi per chiudere baracca e burattini in modo controllato, dopo aver constatato che non c’era modo di salvarla.
- D: I creditori devono essere d’accordo? Cosa succede se non lo sono?
R: I creditori non votano nel concordato semplificato. Non devono approvare loro la proposta. Però, se alcuni creditori sono contrari, possono presentare una opposizione all’omologa in Tribunale spiegando le ragioni (ad es. che prenderebbero troppo poco, o che l’imprenditore ha fatto il furbo nelle trattative, ecc.). Il giudice valuterà queste opposizioni prima di decidere. In pratica, se la maggior parte dei creditori è scontenta, lo manifesteranno con varie opposizioni e il Tribunale sarà molto cauto ad approvare. Se invece pochi o nessuno protesta, sarà più facile ottenere l’omologa. In definitiva, non serve il consenso espresso come nel concordato normale, ma il Tribunale ascolta comunque i creditori: se effettivamente la proposta li danneggia rispetto al fallimento, non la omologherà. Quindi conviene fare una proposta equa in modo che i creditori non abbiano motivi forti per opporsi. - D: Cosa succede durante la procedura? L’azienda può continuare a operare?
R: Durante la fase di presentazione e omologazione, l’azienda può continuare l’attività minima necessaria, sotto la supervisione del tribunale. Non viene nominato subito un curatore, quindi l’imprenditore mantiene la gestione ordinaria ma in pratica spesso l’attività è già ferma o ridotta al minimo (perché si sta per liquidare). Una volta depositata la domanda, si possono ottenere misure protettive che bloccano eventuali pignoramenti e azioni dei creditori, quindi l’azienda è “protetta” mentre si attende l’omologa. Dopo l’omologa, se il piano prevede di vendere l’azienda in blocco ad un terzo, quell’azienda potrebbe tecnicamente continuare (ma con un nuovo proprietario). La società debitrice però cessa di fare impresa: il suo scopo ora è solo liquidare i beni e poi chiudere. Quindi non c’è una continuazione dell’attività da parte del debitore oltre quanto serve a liquidare al meglio. In breve: durante la procedura preliminare l’impresa può operare limitatamente, dopo l’omologa la società vende tutto e chiude bottega (salvo che un acquirente esterno continui per conto suo l’attività rilevata). - D: Che fine fanno i dipendenti in un concordato semplificato?
R: I dipendenti sono creditori privilegiati per stipendi arretrati e TFR, quindi vengono al primo posto nei pagamenti dal ricavato. Spesso in questi concordati c’è la vendita dell’azienda, e l’acquirente potrebbe assumere parte dei dipendenti (come nel nostro caso ABC S.r.l.). Se ciò avviene, i lavoratori continuano col nuovo datore, mentre per quelli non assunti scatta il licenziamento e percepiranno il TFR e eventuali mensilità arretrate dal concordato (o dal Fondo di garanzia INPS se necessario). In mancanza di acquirenti, comunque l’attività cessa e tutti i dipendenti vengono licenziati, ma tutela economica: ricevono ciò che è loro dovuto in via privilegiata (fino dove i fondi bastano, e il resto interviene il Fondo INPS entro i massimali di legge). Dal punto di vista sociale, se c’è possibilità, la procedura semplificata favorisce una cessione rapida dell’azienda così da salvare posti di lavoro (cosa che un fallimento farebbe più difficilmente e più tardi). Comunque, ai fini legali il concordato semplificato non è una procedura di continuità: quindi il destino dei dipendenti è analogo a quello di un fallimento in termini di rapporto di lavoro (estinzione del rapporto, salvo riassunzione da terzi). - D: I debiti verso il Fisco e l’INPS vanno pagati per intero?
R: Non necessariamente. In generale, i debiti fiscali e contributivi godono di privilegio (soprattutto IVA, ritenute, contributi hanno privilegio generale sui beni). Nel piano, se il patrimonio è sufficiente, bisognerebbe pagarli almeno fino a capienza del privilegio. Se però non c’è abbastanza attivo, la parte eccedente può essere falciata (stralciata) come chirografa. La legge consente nel concordato (anche semplificato) di proporre il pagamento parziale di tasse e contributi, purché il Fisco/Enti prendano almeno quanto prenderebbero dalla liquidazione forzata. Ad esempio, se l’Erario ha €100k di credito ma i beni disponibili ne coprono solo 30k, nel concordato semplificato si possono offrire quei 30k (30%) e il restante 70% viene abbandonato. Casi reali: Tribunale di Lecce ha omologato un piano che dava solo il 5% all’Erario perché non c’erano più soldi. Ovviamente l’Erario potrebbe opporsi se ritiene che si poteva fare di più, ma se le risorse oggettivamente mancano, il giudice può approvare lo stesso (cram-down fiscale). Quindi, sì, si possono pagare parzialmente anche i debiti tributari/previdenziali nel semplificato, a differenza di altre procedure dove a volte serviva il voto della Agenzia Entrate (qui non c’è voto, decide il giudice). - D: Quanto tempo ci vuole per concludere un concordato semplificato?
R: Dipende dalla complessità, ma indicativamente: la fase di composizione negoziata dura al massimo 6 mesi (prerequisito). Dal momento in cui depositi la domanda di concordato, l’omologa può arrivare in circa 2-4 mesi (in assenza di complicazioni). Poi c’è la fase di liquidazione: se i beni sono pochi e facilmente vendibili, in altri 6-12 mesi si chiude tutto. Quindi potremmo dire che in molti casi un concordato semplificato si conclude entro 1 anno circa dall’avvio (tralasciando i mesi di negoziazione iniziale). Se ci sono immobili da vendere magari può prendere più tempo, diciamo 1-2 anni. In ogni caso è più rapido del fallimento, dove spesso solo la verifica dei crediti richiede 6-9 mesi e le vendite immobiliari possono andare deserte più volte. Qui c’è più spinta a vendere presto (magari con acquirenti già trovati). Dunque, tempi ragionevolmente brevi (per standard concorsuali). - D: Che costi ha per l’azienda questa procedura?
R: Ci sono alcuni costi da considerare:- Il compenso dell’esperto nella composizione negoziata (solitamente determinato secondo tariffe dal ministero, spesso a carico dell’impresa, ma può essere ridotto se l’impresa è piccola; alcune Camere di Commercio hanno fondi per contribuzione). Orientativamente qualche migliaio di euro, variabile a seconda dell’impegno.
- Il contributo unificato per il ricorso in Tribunale (poche centinaia di euro).
- Il compenso dell’ausiliario e del liquidatore nel concordato semplificato: sarà stabilito dal Tribunale, probabilmente sulla base di parametri simili al curatore fallimentare, cioè percentuale sull’attivo liquidato. Questo viene pagato con i soldi ricavati prima di soddisfare i creditori (spesa prededucibile). Esempio: se liquida 500k di beni, il liquidatore potrebbe avere 5-10% (numeri indicativi) come compenso.
- Le spese legali e professionali del debitore: bisogna farsi assistere da un avvocato nella procedura, e spesso da un commercialista/attestatore per il piano. Questi costi variano in base al professionista e alla complessità, ma vanno considerati e anch’essi possono essere considerati prededucibili (quindi pagati coi fondi aziendali prima dei creditori, se autorizzati).
- Eventuali costi di pubblicazione (registro imprese, ecc. sono irrisori) e spese processuali minori.
In sintesi, non è gratuito, ma parte dei costi si pagano con la procedura stessa. Per l’imprenditore, il costo “vivo” iniziale è soprattutto la consulenza per preparare la domanda. Rispetto a un fallimento, molti costi ci sarebbero comunque (curatore etc.), qui li gestisci tu scegliendo i tuoi consulenti.
- D: Posso includere anche i debiti personali dell’imprenditore nel concordato semplificato?
R: La procedura riguarda l’impresa debitrice. Se l’impresa è individuale, coincide col patrimonio dell’imprenditore persona fisica, quindi di fatto include tutto (escluse le cose impignorabili). Se è una società, il concordato riguarda la società; eventuali debiti personali dei soci o dell’imprenditore non rientrano direttamente. Ad esempio, se il socio ha un debito personale con un’altra banca, quello è fuori. Tuttavia, spesso i soci/garanti vengono coinvolti indirettamente: ad esempio possono contribuire con risorse proprie per migliorare il piano, oppure se hanno dato garanzie a creditori sociali, quei creditori dopo l’omologa potrebbero rifarsi sui garanti per la parte non pagata. Il concordato semplificato non copre i garanti. Quindi se sei imprenditore individuale stai sistemando tutti i tuoi debiti; se sei socio di srl che va in concordato, i debiti della srl li sistemi ma tu personalmente resti garante per eventuali differenze (a meno che il creditore rinunci). In tal caso, potresti poi valutare una tua procedura da sovraindebitamento o trovare accordi personali. - D: Cosa succede se il Tribunale non omologa il concordato semplificato?
R: Purtroppo, se l’omologa viene rifiutata, significa che il tentativo è fallito e quasi certamente verrà aperta la procedura di liquidazione giudiziale (fallimento). Il tribunale, rigettando, avrà riscontrato che non c’erano i presupposti o che il piano danneggiava i creditori. A quel punto, se l’impresa è insolvente (lo è), il tribunale contestualmente o subito dopo pronuncia il fallimento d’ufficio o su istanza di qualche creditore. Quindi l’esito è: si nomina un curatore e si segue la strada tradizionale. Questo è il motivo per cui l’impresa gioca un po’ il tutto per tutto col concordato semplificato: o riesce, o finisce in fallimento. In teoria, il debitore potrebbe reclamare contro il diniego in Corte d’Appello, ma sono procedimenti che durano e nel frattempo di solito il fallimento viene aperto lo stesso. Dunque conviene fare ogni sforzo perché il piano sia omologabile. - D: Il concordato semplificato cancella tutti i debiti residui dell’imprenditore?
R: Sì, una volta omologato e poi eseguito, il concordato semplificato ha effetto di liberare il debitore dai debiti concorsuali eccedenti quanto soddisfatto. L’omologa approvata dal giudice rende il piano obbligatorio per i creditori e implica che, dopo aver ricevuto ciò che è previsto (anche zero per alcuni, se era previsto zero), essi non possano più avanzare pretese per il pregresso. Se l’imprenditore è una società, quella verrà chiusa senza strascichi (i creditori non possono inseguire i soci, salvo garanzie personali). Se l’imprenditore è persona fisica, egli ottiene sostanzialmente un’esdebitazione automatica sui debiti insoddisfatti. Quindi sì, il concordato semplificato è risolutivo: chiudi la procedura “pulito”. Attenzione però: se il concordato viene revocato per inadempimento (es. dopo l’omologa il debitore non collabora, sparisce patrimonio, ecc.), allora si può riaprire la partita e i creditori potrebbero tornare alla carica (probabile fallimento). Ma se tutto va secondo piano, i debiti sono considerati regolati per quanto convenuto e il resto stralciato. - D: Posso presentare concordato semplificato se non ho fatto la composizione negoziata, magari perché ho provato a trattare da solo coi creditori?
R: No, purtroppo la legge non consente scorciatoie. Il concordato semplificato nasce solo a valle della composizione negoziata ex art. 23 CCII. Se non hai attivato la piattaforma di composizione e ottenuto la nomina di un esperto e sua relazione finale, non puoi proporre il semplificato. In tal caso, se sei già insolvente e vuoi evitare la liquidazione giudiziale, l’unica è presentare un concordato preventivo ordinario (con le sue regole). Quindi la sequenza è rigida: prima la composizione negoziata (anche se non obbligatoria per legge, è condizione per questo tipo di concordato), poi eventualmente il semplificato. Questo spiega l’importanza di attivarsi per tempo con la composizione negoziata quando si intuisce lo stato di crisi. - D: Durante la composizione negoziata, posso già “prenotare” il concordato semplificato?
R: In un certo senso sì: se vedi che le trattative non portano a nulla, puoi iniziare a preparare la documentazione per il concordato semplificato (piano di liquidazione, elenco creditori ecc.) così da essere pronto a depositare entro i 60 giorni dalla fine. Quello che non puoi fare è presentare il ricorso di concordato mentre la composizione è ancora formalmente aperta (devi attendere la relazione finale). Ma in pratica, l’ultimo giorno della negoziazione puoi già dire all’esperto: “ok, archiviamo le trattative, mi preparo per il semplificato” e magari l’esperto stesso ti aiuterà predisponendo parte della relazione che servirà. Quindi, tempismo: prepararsi in anticipo perché 60 giorni passano in fretta. Si può anche depositare subito il ricorso appena arriva la relazione (non è obbligatorio aspettare il 60° giorno!). - D: Se ho fornitori essenziali o affitti da pagare durante il processo, posso pagarli?
R: Nel concordato semplificato, una volta depositata la domanda, si applicano le stesse regole delle altre procedure: i debiti anteriori restano congelati (non puoi pagarli al di fuori del piano, sennò faresti trattamenti preferenziali vietati). Però il CCII prevede che il debitore possa chiedere al giudice autorizzazione a pagare crediti strategici o a continuare contratti essenziali anche durante un concordato (art. 95 CCII per il preventivo). Non è esplicitamente richiamato per il semplificato, ma nulla vieta di chiedere analogamente di poter, ad esempio, pagare forniture di luce/gas o materie prime indispensabili nel frattempo. Siccome la procedura è breve, di solito queste richieste sono limitate. Se devi mantenere un affitto del capannone per evitare sgombero prima di venderlo, il Tribunale potrebbe autorizzare di pagare quei canoni in prededuzione. Sono aspetti tecnici da valutare con l’avvocato e l’eventuale ausiliario, ma c’è flessibilità su questo. - D: Ci sono rischi penali nel concordato semplificato?
R: Non specifici della procedura: se l’imprenditore ha commesso reati (tipo bancarotta fraudolenta) prima, il concordato non li estingue, potrebbero emergere comunque. Però, se la procedura va a buon fine, non ci sarà una sentenza di fallimento e ciò evita l’attivazione di alcune fattispecie di reato collegate al fallimento. Ad esempio, la bancarotta semplice o fraudolenta tecnicamente si configgono con la dichiarazione di fallimento; se questa non c’è perché si è fatto il concordato, certi reati “fallimentari” non scattano (restano comunque possibili altri reati societari se commessi). Quindi dal punto di vista penale, il concordato semplificato è neutro o leggermente favorevole (evita il marchio di fallito che porta ispezioni penali obbligatorie). In ogni caso, agire in buona fede e trasparenza è il miglior modo per stare tranquilli sul fronte legale: e il concordato semplificato premia proprio chi ha operato correttamente. - D: In caso di esito positivo, posso tornare a fare impresa dopo?
R: Certamente, sì. Se sei persona fisica, non avrai interdizioni particolari (quelle derivano dal fallimento, che qui non c’è). Se eri amministratore di una società, la società viene liquidata ma tu personalmente non hai preclusioni legali a ricoprire nuove cariche (salvo ovviamente il discredito commerciale se la vicenda è nota). Insomma, il concordato semplificato ti consente di chiudere con il passato e ripartire con nuove iniziative, a differenza del fallimento che poteva comportare divieti per qualche tempo. Molti imprenditori dopo aver chiuso un’attività in concordato ricominciano altrove (a volte lavorano per il nuovo acquirente, o fondano una nuova società in un altro settore). L’importante è imparare dai propri errori e non trascinare problemi irrisolti.
Conclusioni
Il Concordato Semplificato è dunque uno strumento innovativo e prezioso introdotto dal nuovo Codice della Crisi. È pensato per dare una seconda chance “ordinata” all’imprenditore onesto che non è riuscito a salvare la propria azienda, evitando al contempo i costi e i tempi lunghi di un fallimento tradizionale. Consente di massimizzare il valore di liquidazione (grazie anche alla possibilità di cedere rapidamente l’azienda in blocco) e di distribuire il ricavato ai creditori in modo più efficiente, sotto il controllo giudiziale ma senza l’eccessiva formalità del concordato preventivo classico.
Dalla prospettiva dell’imprenditore, il messaggio chiave è: agire presto e con trasparenza. Se la tua impresa è in crisi, attiva subito la composizione negoziata; se non riesci a risolvere, prepara un buon piano di liquidazione e proponi il concordato semplificato. Così potrai chiudere la vicenda in tempi ragionevoli, limitando i danni per te e per i creditori, e voltare pagina.
Abbiamo visto esempi concreti di come un artigiano o una piccola azienda possono utilizzare questo percorso. Non è una bacchetta magica – i debiti non spariscono per incanto, vanno pagati col patrimonio disponibile – ma è una procedura equa e razionale che, quando usata correttamente, soddisfa i creditori meglio di una liquidazione forzata e permette all’imprenditore di ripartire senza il peso dei debiti passati.
Naturalmente, data la sua novità, il concordato semplificato è in continua evoluzione applicativa: le prassi dei Tribunali e le interpretazioni giurisprudenziali (alcune citate in questa guida) ne stanno delineando i contorni. Finora l’esperienza (2022-2025) mostra che i giudici sono disponibili ad omologare questi concordati purché rispettino rigorosamente i requisiti di legge e non si traducano in abusi (ad esempio non si deve usare la composizione negoziata solo per saltare il voto dei creditori in un concordato che sarebbe potuto essere preventivo – i giudici vigilano su questo).
In definitiva, il concordato semplificato è una procedura “giovane” ma promettente, da considerare seriamente nel toolkit di gestione della crisi d’impresa in Italia. Questa guida ha fornito il quadro teorico e pratico aggiornato alle ultime novità normative (marzo-aprile 2025) e giurisprudenziali, per aiutare gli imprenditori a comprenderne il funzionamento e valutare se possa essere la strada giusta nel momento difficile della crisi.
Fonti e Riferimenti
Normativa:
- Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) – D.Lgs. 12 gennaio 2019 n.14, in vigore dal 15 luglio 2022. In particolare, artt. 25-sexies, 25-septies, 25-octies CCII introdotti dal D.L. 118/2021 e D.Lgs. 83/2022, disciplinano il “Concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio”. (Disponibile su normativa ufficiale: es. Gazzetta Ufficiale).
- D.L. 24 agosto 2021 n.118 (convertito con modifiche dalla L. 147/2021) – Ha introdotto in via d’urgenza la Composizione Negoziata della Crisi e la possibilità del concordato semplificato (art.18 DL 118/21). [Norma ormai integrata nel CCII].
- Decreto Correttivo Ter – D.Lgs. 13 ottobre 2022 n.149 e D.Lgs. 13 settembre 2024 n.136 – Hanno apportato correzioni al CCII. In particolare, il D.Lgs. 136/2024 ha modificato l’art. 25-sexies eliminando le parole “che non hanno avuto esito positivo” riferite alle trattative, permettendo la domanda con riserva e richiamando le misure protettive (art.54 CCII) anche per il semplificato.
- Art. 54 e 55 CCII – Misure protettive e cautelari applicabili alle procedure concorsuali, ora espressamente estese anche al concordato semplificato (con il correttivo 2024).
Giurisprudenza:
- Tribunale di Firenze, sez. V, 31 agosto 2022 – (Primo orientamento sul controllo di ammissibilità) Ha delineato i criteri di verifica della buona fede nelle trattative: il debitore deve aver fornito completa informativa ai creditori, formulato proposte e illustrato i vantaggi rispetto al fallimento.
- Tribunale di Lecce, decreto 4 maggio 2023 – Ha riconosciuto che le misure protettive ex art.54 CCII sono applicabili al concordato semplificato, nonostante la mancanza di esplicito richiamo normativo (ante correttivo). (Confermato poi da Trib. Forlì 28.3.2024 e dalla modifica legislativa.
- Tribunale di Napoli, sentenza 25 ottobre 2023 – Caso in cui è stata revocata l’ammissione al concordato semplificato e aperto il fallimento per condotta irregolare e mancanza di buona fede del debitore. Ha ribadito che la composizione negoziata non va usata come scorciatoia abusiva per il concordato semplificato.
- Tribunale di Mantova, decreto 19 ottobre 2023 – Ha affermato che è ammissibile modificare la proposta di concordato semplificato prima dell’omologa, applicando analogicamente le norme del concordato preventivo. Inoltre, ha chiarito che la fase esecutiva segue le regole di trasparenza e competitività del concordato preventivo (artt.114 e 118 CCII).
- Tribunale di Lecce, decreto 30 ottobre 2023 (Pres. Pasca) – Ha omologato un concordato semplificato che prevedeva la cessione dell’azienda a un terzo e il pagamento parziale dei debiti privilegiati (Erario 5%, INPS 6%), ritenendo soddisfatto il requisito di legge in caso di incapienza dell’attivo.
- Tribunale di Bergamo, decreto 6 dicembre 2023 – Ha dichiarato inammissibile una proposta in cui mancava una “utilità minima” per alcuni creditori rispetto al fallimento (i creditori non ottenevano alcun vantaggio concreto). Nello specifico, il presunto beneficio del recupero IVA è stato ritenuto insufficiente poiché fruibile anche in liquidazione giudiziale.
- Tribunale di Milano, decreto 23 aprile 2024 (Pres. De Simone) – Ha stabilito che il sindacato del Tribunale sulla correttezza delle trattative è solo esterno/formale, limitato alla logicità e non contraddittorietà della relazione dell’esperto. La buona fede del debitore, se attestata dall’esperto, viene scrutinata compiutamente solo su contestazione in sede di opposizione.
- Tribunale di Milano, decreto 15 aprile 2025 (Pres. De Simone) – Ha ribadito la natura di “extrema ratio” del concordato semplificato: non è configurabile la continuità aziendale, neppure temporanea, se non finalizzata immediatamente alla liquidazione dei beni. Ha sottolineato che l’obiettivo è liquidare subito e distribuire ai creditori, evitando di protrarre l’attività di un’impresa non risanabile.
Nota: Questa guida, pur dettagliata, ha finalità informative generali. Ogni situazione di crisi d’impresa ha peculiarità proprie: è fondamentale consultarsi con professionisti specializzati (commercialisti, legali) per valutare caso per caso la strada migliore e predisporre correttamente gli atti di concordato semplificato. Con la giusta assistenza e un approccio di buona fede, il concordato semplificato può diventare uno strumento efficace per risolvere situazioni che altrimenti porterebbero alla liquidazione disordinata dell’impresa.
Concordato Semplificato: Perché Affidarsi a Studio Monardo
Perché affidarsi all’Avvocato Giuseppe Monardo per chiudere la crisi d’impresa in tempi brevi e senza liquidazione giudiziale
Se sei un imprenditore in gravi difficoltà e la tua impresa non è riuscita a uscire dalla crisi con la composizione negoziata, il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio può essere l’ultima via legale per evitare il fallimento ordinario.
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Affidarsi all’Avvocato Giuseppe Monardo significa percorrere questa strada con una guida esperta, abilitata e in grado di tutelare ogni aspetto giuridico, contabile e patrimoniale
Cosa fa per te l’Avvocato Monardo
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- Rappresenta l’impresa davanti al Tribunale
- Coordina le attività di liquidazione con commercialisti e tecnici
- Ti accompagna fino alla chiusura della procedura e all’esdebitazione finale
Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo
L’Avvocato Monardo è:
- Gestore della Crisi da Sovraindebitamento, iscritto al Ministero della Giustizia
- Fiduciario di un Organismo di Composizione della Crisi (OCC)
- Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa, abilitato ex D.L. 118/2021
- Coordinatore di una rete nazionale di avvocati e commercialisti specializzati in diritto bancario, tributario e concorsuale
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Perché agire subito
- Riduci i tempi e i costi rispetto alla liquidazione giudiziale
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Conclusione
Il concordato semplificato è lo strumento giusto per chiudere un’impresa in crisi con dignità, legalità e ordine, evitando il fallimento.
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Con Monardo, anche la fine di un’attività può diventare l’inizio di una nuova libertà imprenditoriale.
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